VIAGGIO TRA VULCANI
FORESTE E PETROLIO (2)
ANDE SETTENTRIONALI
Laguna Cuicocha
Il contatto con le Ande ecuadoriane inizia ad Otavalo (alt. 2532 mt), piccolo centro
della provincia di Imbabura dal nome
del vulcano omonimo che svetta 2000 metri più in alto, dove trovo un ottimo alberghetto
dal nome irresistibile per i nomadi, El
Andariego, non segnalato dalla guida. Unico difetto: le docce la cui acqua
rischia di scotennarti a 40 gradi e gelarti dopo pochi secondi, ordigni elettrici
infelici già sperimentati in Cile: devono essere una specialità vulcanica. A
parte questo particolare, ottimo rapporto qualità/prezzo e premio simpatia.
Mercato di Otavalo |
Dopo una prima passeggiata alla cascata di Peguche[2]per
riscaldare i muscoli, l’indomani prendo un autobus locale per Cotacachi, che non immaginavo essere famosa
meta per turisti di mezzo mondo che pare vi trascorrano lunghi periodi. Il
museo e il jardin etno che avrei
voluto visitare sono chiusi entrambi ma sono fortunata: il sagrato della
chiesetta e la scalinata sottostante brulicano di uomini e donne, tutti con
caratteristici cappelli di feltro[3],
appartenenti alle comunità indigene circonvicine, che sono scesi dai loro
villaggi per festeggiare non ricordo più che ricorrenza religiosa.
Un’orchestrina suona davanti alla chiesa, tra la folla ci sono uomini a
cavallo, vari cani randagi, rari turisti e qualche poliziotto, uno scenario
variegato sotto un sole implacabile. La messa è finita, i musicanti si
incolonnano e partono spediti, la folla li segue e io mi accodo; il corteo è
interessantissimo, la musica pimpante, il caldo estremo. Gli indigeni sono in
maggioranza piccolissimi e io col mio metro e mezzo mi sento un gigante,
evidentemente è l’eredità di secoli di fame e diete scarse di solo mais. I
musici procedono quasi correndo a zig-zag per le strade del centro, fermandosi
a tratti con visi paonazzi senza smettere di suonare, poi imboccano un rettilineo
che sbocca in campagna. Ormai i curiosi sono spariti e credo di essere l’unica
estranea.
India a Cotacachi |
Il giorno successivo da Cotacachi
prendo un altro mezzo pubblico per Quiroga
e infine un taxi per raggiungere la Riserva ecologica Cotacachi-Cayapas e la laguna Cuicocha,
che riempie il cratere dell’ex-vulcano [4]Cotacachi. Il sentiero da percorrere è
in cresta al margine del cratere ed è una ruta
sagrada Inka, scandita dai santuari al sole e alla luna e da altari per le
offerte agli dei, il tutto immerso nel verde e tra fioriture multicolori, più orchidee
e agavi coreografici. La passeggiata tra ombra e sole è una delizia di panorami
cangianti che si specchiano nella laguna dove scorrono nuvole luminose, un
grande occhio spalancato nel verde. Un altro sentiero affascinante è quello delle
orchidee.
Agave a Cuicocha |
La tappa successiva, sempre partendo dalla base di Otavalo, è Ibarra, più a nord e sul cammino per Esmeraldas, dove abita ritirato in campagna con la moglie un mio ex-collega
in Mali. Oltre che dal piacere di rivederli e comprendere meglio le realtà del
paese, sono attirata dalla Provincia di Esmeraldas
in quanto la sua popolazione di afro-ecuadoriani, ex schiavi, e il crogiuolo di
culture che ne è scaturito la rendono unica. Ma la mia amica di Quito sconsiglia
il viaggio in quanto a suo avviso il tragitto Ibarra-Esmeraldas in autobus, che
rasenta la frontiera con la Colombia, non è affatto sicuro, e rinuncio. A Ibarra visito un Centro culturale
piccolo ma interessante: in Ecuador ne ho trovati molti di questi minuscoli
luoghi, ognuno con un peculiare genius
loci, che illustrano antiche culture e tradizioni di nicchia con manufatti
e informazioni non reperibili altrove. Qui il museo è intitolato ad Atahualpa, ultimo re Inka, che
ingenuamente nel 1532 cadde in un’imboscata a Cajamarca[5]
(oggi Perù) tesagli da Pizarro, e
ancor più ingenuamente una volta prigioniero negoziò la sua liberazione con il
conquistador in cambio di una quantità d’argento pari a due volte il contenuto
della stanza della sua prigione in argento e una volta in oro.
Alla morte di questi, Alonso de Illescas
gli subentrò come cacique (leader)
indiscusso. Riuscì a tessere rapporti e imporsi con le altre popolazioni locali
già meticciate con altri schiavi fuggiaschi, sposò una india di alto rango e sempre
prevalse con la sua autorevolezza. Infine fu aiutato dallo spagnolo Gonzalo de Avila a trattare
l’indipendenza del suo territorio con i conquistadores spagnoli, creando così
un vero e proprio regno, il regno degli Zambos[7], l’unico
territorio libero del Sudamerica, formato da una popolazione multietnica
indigeno-africano-spagnola che rimase invincibile per 100 anni. Alonso de Illescas fu riconosciuto eroe
nazionale della Repubblica Ecuadoriana ne 1977[8]. Questa
storia del cammino di un popolo di schiavi verso la libertà, complessa e ben
poco conosciuta, l’ho scoperta grazie al piccolissimo museo di Ibarra. E ha rafforzato la mia
ammirazione per i capoverdiani, con i quali ho lavorato rilevando una
straordinaria prevalenza delle persone più intelligenti, capaci, informate e
tenaci in Africa. L’eroe dell’indipendenza della Guinea Bissau, Amilcar Cabral, era capoverdiano.
Strada verso il Parque Condor
Da Otavalo salgo al Parque Condor, dove gli uccelli, tutti
rapaci, sono in grandi gabbie, compreso un cupo condor che pare assai depresso,
e un singolare domatore esibisce i voli controllati di alcuni di essi in
libertà provvisoria davanti a un piccolo pubblico di ecuadoriani e stranieri.
Mi piace il bicolore gufo dei campanili, il più piccolo e docile. Un cartiglio
appeso a una gabbia che racchiude un’aquila provata dalla vita ormai nonna
felice c’è la sua lunga storia di ex trovatella: infatti molti dei volatili
sono stati tratti in salvo in congiunture perigliose.
Gufo dei Campanili |
Spicca
una foto di Dolores Cacuango[9] che, nata
in un paesino vicino a Cayambe, pur
analfabeta e serva domestica dall’età di 15 anni una volta arrivata a Quito
comprese rapidamente cosa sono le differenze di classe e il contrasto di
interessi tra servi e padroni.
Divenne presto una militante comunista dei
diritti degli indigeni e dei lavoratori delle haciendas e si spese, lei che mai era andata a scuola, per
l’accesso dei campesinos
all’educazione come base per la conquista di una vita più degna e giusta,
fondando le prime scuole bilingui, in spagnolo e quechua e la prima Federazione
per i diritti degli Indios nel 1944. In occasione di lavori pubblici è stato
scoperto in città un sito archeologico pre-Inka denominato Puntyatzil, con tolas
cioè piramidi tronche destinate a dimore dei caciques, visibile salendo dal centro.
L’esplorazione delle Ande centrali comincia da Latacunga, dove il vulcano Cotopaxi,
durante il mio soggiorno, è rimasto costantemente avvolto da un mantello di
nuvole impenetrabili. Nella casa di alcuni parenti della mia amica di Quito
passiamo una serata e una notte senza corrente elettrica a causa di un
fortunale. Si scuoce miseramente nel buio della cucina la mia cena, l’unico
pesce fresco, freschissimo, trovato in Ecuador in due mesi da un pescivendolo
in piazza e di domenica a 2750 mt di altitudine, un miracolo.
Laguna Quilotoa |
In compenso sveglia
gelida alle 5 di mattina a lume di candela e alle 6.45 sono su un autobus alla
volta della laguna Quilotoa, attrazione alternativa in mancanza del vulcano
invisibile. Trovo il solito sentiero sul bordo del vulcano estinto e nessun
escursionista, tempo freddo e grigio, siamo a 3914 mt. Scarseggiano i fiori,
bellissime le nuvole in corsa riflesse sul piano di vetro dell’acqua. Latacunga è famosa per la tradizionale
festa della Mamá Negra (Vergine della Mercede), celebrata con processione e
diversi figuranti e maschere, che in casa mi descrivono con entusiasmo.[10] Una delle leggende alla base di questa festa
dice che la Vergine fermò una catastrofica eruzione dell’attiguo vulcano Cotopaxi più di duecento anni fa. Il
giorno successivo mi reco a per vedere una originale Galleria d’arte messa in
piedi da una famiglia di artisti locali. Il luogo è gelido e il pittore, Alfredo
Toaquiza, uno dei componenti della famiglia in cui pare che solo il sesso
maschile abbia avuto il dono delle mani d’oro, mi mostra orgoglioso le opere,
quadri naif di montagne, deità e lama brucanti, campesinos in simil-Borsalino e
lune colorate, atmosfere fiabesche alla Rousseau modalità andina.
Quadro di Alfredo Toaquiza |
Le statue, molte quasi mascheroni, delle più svariate fogge, danno
un’idea della fantasmagoria di tradizioni e radici che formano il tessuto
multiculturale di questo paese; le targhe sotto le statue danno il capogiro
tante sono le culture menzionate. La cultura Valdivia la ritroverò in molti altri musei.
Il mascherone qui sotto appartiene alla cultura Jama-Coaque.
Il giorno successivo lascio
Latacunga alla volta dell’Amazzonia
meridionale.
Vulcano Imbabura a Cotacachi
[1] https://es.wikipedia.org/wiki/Sombrero_de_paja_toquilla
[2] https://www.evaneos.it/ecuador/viaggio/destinazioni/9769-peguche/
[3] Sono i
corrispettivi delle bombette nere di feltro indossate dalla donne quechua in
Bolivia, e costano un occhio, come verifico quando chiedo di acquistarne uno.
Ma, evidentemente irrinunciabili, durano tutta una vita adulta.
[4] Da
notare che l’ex vulcano è chiamato nel folclore locale warmi Cotacachi, dove warmi
significa “donna” in quechua, perché è considerato “la moglie” del più alto e
vicino Imbabura.
[5] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Cajamarca.
Da tenere presente che il Tahuantinsuyo,
l’impero Inka, era immenso e comprendeva l’odierno Perù, e larghe parti degli
odierni stati di Bolivia, Ecuador, Colombia, Argentina e Cile.
[6] Cimarrón
significa schiavo fuggiasco, l’enclave dove si rifugia libero ormai è il palenque o quilombo.
[7] Zambo in spagnolo significa
letteralmente: uomo con le gambe a X. Di fatto, persona figlia di un africano e
di un’amerindia o viceversa,
[8] https://pueblosoriginarios.com/sur/andina/zambo/zambos.html
[9] https://en.wikipedia.org/wiki/Dolores_Cacuango
[10] https://es.wikipedia.org/wiki/Mama_Negra
[11] https://es.wikipedia.org/wiki/Mama_Negra
Testa di Tufo Cultura Caramqui