Tempo fa la Rai trasmetteva spesso uno spezzone di vecchio avanspettacolo dove un comico veniva ripreso semplicemente nell'atto di ridere smisuratamente, sguaiatamente e soprattutto senza alcun motivo scatenante; l'effetto voluto e ottenuto era quello di causare, a catena, la risata nello spettatore, poco tempo dopo che questo si fosse chiesto "ma è scemo, che ha da ridere?". Ebbene gli Oneida, quartetto di Brooklyn al quarto disco, raggiungono un effetto molto simile con il brano di apertura di questo loro ultimo album "Each one teach one", il titolo della pietra dello scandalo è "Sheets Of Easter", 14 minuti dove i nostri eseguono la stessa identica battuta (interrotta da due break di numero!) di una ipotetica potentissima canzone garage-rock, un parossismo più prossimo allo sberleffo che alla sperimentazione, ma di sicuro divertimento, almeno finché non verrete cacciati di casa.
Nel brano successivo, che poi occupa l'altra metà del primo cd, gli Oneida però dimostrano che possono fare sul serio: "Antibiotics" è un brano diviso in due parti, un delirio di hard-rock psichedelico che si propone come una "Sister ray" del nuovo millennio per i primi 10 minuti, grazie ad un'ossessiva frase d'organo, e che sa unire all'epilessia di una ritmica spezzata la violenza delle chitarre e del basso, martoriati senza pietà. Il tutto fino a quando l'organo va a sbriciolarsi in una polvere di noise e feedback, attraversato da una recitato straniante che pare una filastrocca per bambini, fino a scemare nel puro rumore.
Dopo due botte del genere, vien da chiedersi cosa ci aspetta nell'altro cd, ma ecco che già la durata dei brani ci rassicura, essendo decisamente più convenzionale. E anche la musica mostra aspetti differenti. Violenza liberatoria e divertente del garage-rock allora, ma impregnata di elettronica alla Suicide, contrasti di matrice Chrome, così come del krautrock alla Faust, mentre tra i contemporanei possono ricordare un altro grande esordio del 2002, quello degli Xiu Xiu. Gli Oneida, così, non sono troppo semplicemente rock per cadere nella banalità, e non sono troppo cervellotici per finire nell'onanismo musicale. Partoriscono in questa maniera brani come la filastrocca acida "Number nine", il synth pulsante alla Suicide di "People of the North", la giostra malata e un po' dub di "No label", ma anche la tiratissima title-track, che libera un riff da hard-rock anni 70.
E' musica che schiuma un’elettronica ossessiva e metallica, in cui al basso sono riservati pattern elementari e ripetitivi, mentre le chitarre imperversano, tra accenni di garage e noise, e la batteria viene lanciata in esplosioni di violenza allo stato brado. Alla voce è affidato il compito di riflettere in uno specchio deformante questa musica, già di per sé non univoca: distante, distorta, filtrata in vari modi, spesso cantilenante in maniera demenziale. Una voce che rappresenta anch'essa, a modo suo, il Dna di questa band che ha iniziato a suonare nei magazzini abbandonati di Brooklyn e che non ha lasciato dietro le serrande l'energia, ma fa i conti con il fatto che, nel 2002, il background di un musicista e degli appassionati è sempre più stratificato ed è normalissimo trovare nello scaffale di casa affiancati, MC 5 e Suicide, o i Faust e i Kyuss.
Provenienti come si è detto da Brooklyn come i Liars (con cui hanno collaborato) e gli Yeah Yeah Yeahs!, altri due esordi venuti alla ribalta nei mesi scorsi, gli Oneida fanno parte della stessa vivacissima scena, e contribuiscono in maniera decisiva a far diventare la grande mela la città più importante del rock odierno. Giusto un piccolo avvertimento: non lasciatevi intimorire dal primo brano, sarebbe davvero un peccato, magari iniziate con il secondo e più accessibile cd, ma prendete poi coraggio e ascoltatelo come è stato pensato, ne varrà la pena.
04/11/2006
Disc 1
Disc 2