In occasione della prima data assoluta in Italia di questo duo, che ha suonato di spalla a Riley Walker a Milano, abbiamo incontrato di persona i due artisti, che ci hanno dato risposte sempre molto centrate e interessanti, soprattutto sull'idea di guardare alla tradizione senza replicarla e sull'importanza degli spazi vuoti nel loro sound.
Come vi siete incontrati e come avete iniziato a lavorare insieme?
Josienne: Ben era in un gruppo indie-rock, che si chiamava Lights. Un mio amico era il loro tecnico del suono. Ha ascoltato Ben mentre suonava la chitarra acustica e gli è piaciuto, quindi gli ha chiesto perché non stesse facendo anche dei progetti acustici. Lui ha detto che non conosceva cantanti. Nel frattempo, stavo suonando le mie prime canzoni da sola, ma suonavo male la chitarra, sentivo che avevo bisogno di qualcun altro per migliorare il mio sound. Il nostro amico comune ci ha messi in contatto, è successo sette anni fa.
Come funziona il vostro processo compositivo? È cambiato nel corso degli anni?
Josienne: Fondamentalmente, ho un’idea base per una canzone, poi la porto a Ben e lui la arrangia e la sviluppa. È più o meno sempre lo stesso metodo, però nell’ultimo album c’è stato un processo più collaborativo, con noi due nella stessa stanza.
Com’è stato il lavoro sulla costruzione del suono? Ho letto che, soprattutto nell’ultimo album, hanno suonato un sacco di musicisti.
Ben: In precedenza, mettevamo assieme una sorta di demo, per cui registravamo una prima versione, e poi altre versioni. Per questo album, abbiamo fatto qualcosa di simile al suonare dal vivo, quindi abbiamo comunque fatto dei demo, ma con alcuni dei musicisti già con noi.
Josienne: C’era un pianista, un bassista, un batterista, e la maggior parte delle cose è stata fatta live, ed è stato diverso da come avevamo fato prima. Questo cambia il suono non solo su disco, ma anche nel modo in cui lo concepiamo.
Avete avuto la possibilità di avere con voi questi musicisti per più tempo grazie all’aver firmato con Rough Trade?
Josienne: Sì, l’aver firmato non ha cambiato il suono in sé, ma ci ha dato più risorse per svilupparlo. C’erano cose che volevamo fare, come registrare live in studio, che non avevamo la possibilità di fare.
Ben: Non avevamo il budget e lo spazio.
Josienne: Hai un’idea, ma ti servono risorse per far sì che arrive un risultato di cui tu possa fruire.
Avete pubblicato un disco all’anno per tre anni di fila, dal 2012 al 2014, poi niente nel 2015 e ora questo nuovo. Forse, l’avere avuto più risorse e spazi ha anche significato che ci è voluto più tempo per terminare l’album?
Josienne: Avevamo già deciso che un album ogni dodici mesi è un po’ difficile da fare, quindi penso che non avremmo pubblicato comunque nulla nel 2015.
Ben: Fondamentalmente, ci siamo detti che avevamo bisogno di prenderci un anno di pausa.
Josienne: Non è che non ci stessimo lavorando, ma avevamo deciso di farlo più lentamente, e con più attenzione e anche in modo più rilassato, perché arrivare a finire un album, poi finirne un altro in dodici mesi è tanto lavoro, avevamo deciso che ce la saremmo presa un po’ più comoda stavolta.
Nelle nostre recensioni, abbiamo scritto che la vostra musica guarda alla tradizione, ma non è tradizionalista. Volete dire qualcosa su questo?
Josienne: Penso che sia un buon punto di vista.
Ben: “Folk music” è sempre stata un’etichetta applicata a noi, ma è una buona osservazione dire che guardiamo a qualcosa, perché effettivamente è un’influenza e non stiamo provando a replicarla.
Josienne: Ci piacciono il jazz, l’elettronica, l’indie suonato con chitarra e basso. Il folk tradizionale è solo una parte della nostra collezione e di ciò che vogliamo fare.
Sempre a proposito del guardare alla tradizione, siete conosciuti anche per le vostre cover di altre canzoni. Ne state già preparando altre? Forse, in futuro, pensate che potreste pubblicare un album solo di cover?
Josienne: Sì, abbiamo senz’altro preso la cosa in considerazione, penso che funzionerebbe molto bene. Pensiamo che, se fai una cover, devi cambiare la canzone in qualche modo, e portare in essa qualcosa di nuovo, o almeno provarci, qualcosa che non c’era già prima. Non vogliamo solo replicare la canzone.
Ho letto, nel comunicato stampa, che con questo disco provate a guardare verso nuovi orizzonti, mentre i precedenti erano correlati alla tradizione folk. Però io penso che il salto tra “Fire And Fortune” (2013) e “Nothing Can Bring Back The Hour” (2014) sia più grande rispetto a quello avvenuto tra quell’album e quest’ultimo.
Josienne: Sì, sono d’accordo, però ci sono tante cose che vanno considerate. Abbiamo pubblicato un disco nel 2010, ce ne sono molte poche copie, quindi in pochi hanno potuto ascoltarlo, ma se lo ascolti, sentiresti che alcune delle cose che abbiamo fatto per quest’ultimo disco erano già lì.
Ben: A essere onesti, “Nothing Can Bring Back The Hour” mi dà la sensazione di un disco folk piuttosto stabile, ma per quest’ultimo, abbiamo provato a renderlo più grande possibile, e volevamo che ci portasse dove volevamo noi.
Per quanto riguarda il concept che sta dietro al disco (il ciclo della note e del giorno), è la prima volta che create un concept? E il suono dell’album è influenzato anche dal concept, o quest’ultimo riguarda solo i testi?
Josienne: Penso che abbiamo sempre lavorato con gradualità verso l’idea di dischi che abbiano un concept, ma per quelli precedenti, il concept c’era ma era abbastanza ampio. Penso che qui abbiamo semplicemente ristretto tutte le cose verso un album che abbia più chiaramente un concept. Penso che siamo diventati più bravi a svilupparlo.
Per quanto riguarda il vostro sound, quando ascolto la vostra musica, ho la sensazione dell’importanza di lasciare spazi vuoti nel suono, piuttosto che riempirlo. Lo spazio vuoto, sotto un certo punto di vista, può essere molto potente.
Josienne: Gli spazi sono sempre stati importanti nel nostro sound, ci sono tanti, tanti spazi in esso. Inoltre, in questo album, abbiamo usato anche quattro o cinque strumenti in più rispetto al passato, ma ci sono ancora tanti spazi.
Ben: Questa idea è molto importante per le dinamiche del sound. Solo per il fatto di poter inserire un suono, non significa che tu lo debba fare. Lasciare spazi significa avere cura tanto quanto usare uno strumento.
Josienne: Siamo piuttosto attenti a far sì che il sound non sia troppo, né troppo poco, ma che sia abbastanza.
Una domanda sulla tracklist, e in particolare, sul momento in cui arriva “The Waning Crescent”. Penso che sia il momento perfetto, perché è come se venisse rilasciata una tensione che si costruisce man mano con le canzoni precedenti.
Josienne: La canzone parla della luna, e l’intenzione era che riguardasse il momento in cui sei nella parte più scura della notte e c’è una forte botta di luce della luna.
Questa è stata la vostra prima volta in italia. Se tornerete in futuro, forse come headliner, cosa possiamo aspettarci dai vostri concerti?
Josienne: Alcune volte suoniamo con altri musicisti, ma la maggior parte dei concerti li facciamo noi due. Ci sono versioni delle nostre canzoni che funzionano solo con oi due da soli.
Ben: Cerchiamo sempre di reinventare ciò che abbiamo fatto, e anche lì c’è l’idea degli spazi, è un’idea che influenza quello che succede sul palco.
Josienne: Sì, lo spazio è molto importante, il nostro sound dal vivo è scarno, delicato, calmo, ma ciò non significa che sia triste.
Probabilmente, con questo disco diventerete più conosciuti rispetto a prima, quindi potreste avere l’opportunità di collaborare con artisti che vi piacciono. Volete dirmi uno o più nomi di gente con cui vi piacerebbe collaborare?
Josienne: Ad alcuni abbiamo scritto, ancora non hanno risposto ma speriamo che lo facciano, prima o poi…
Si ringrazia Vassilios Karagiannis per il contributo alla realizzazione delle domande.