A che cosa serve l’abbraccio
di Marco Cattaneo
L'editoriale del n.240 in edicola il 22 novembre 2024
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Da quando abbiamo cominciato a studiarli con più attenzione e con strumenti migliori, abbiamo scoperto che molti animali, soprattutto tra le specie sociali, provano emozioni, manifestano empatia e hanno sofisticati mezzi di comunicazione, anche non verbali. I leoni si strofinano la testa a vicenda, i cavalli si puliscono reciprocamente, gli elefanti si stringono la proboscide. C’è un gesto, però, nella comunicazione non verbale, che per ragioni anatomiche è praticabile soltanto dai primati: abbracciarsi. Si abbracciano i nostri cugini più prossimi, bonobo e scimpanzè, per rassicurarsi dopo un conflitto o un forte stress. E i giovani orangutan si abbracciano di fronte a una minaccia, quasi a proteggersi l’un l’altro.
Ma si abbracciano anche primati meno vicini all’uomo, come le scimmie ragno di Geoffroy (Ateles geoffroyi), che adottano questo comportamento non per rimettersi da uno scontro, ma per prevenirlo. «L’abbraccio potrebbe essere un modo per testare il legame tra le scimmie, perché espone parti del corpo vulnerabili all’attacco», ha dichiarato Filippo Aureli, coautore dell’articolo del 2007 su «Biology Letters» che descriveva questo comportamento.
Viene da pensare, dunque, che questo gesto si sia evoluto relativamente presto, nella storia della nostra famiglia allargata, e forse in momenti e luoghi diversi, il che testimonierebbe a favore di una sua utilità adattativa. Eppure lo abbiamo studiato poco, come raccontano Sebastian Ocklenburg e Julian Packheiser a pagina 24, sottolineando che l’abbraccio assume significati diversi a seconda del contesto. Ci abbracciamo nei momenti di felicità, a un matrimonio, dopo aver superato un esame, o anche solo dopo un gol della squadra del cuore. E ci abbracciamo nei momenti di dolore. A un funerale, dopo un licenziamento o ancora quando abbiamo ricevuto una diagnosi infausta.
Sebbene le ricerche sul significato evolutivo e sociale degli abbracci siano relativamente nuove, sono già stati scoperti alcuni effetti dell’abbraccio su parametri fisiologici come la pressione sanguigna, che si abbassa, e sulla concentrazione di ossitocina, che aumenta. L’abbraccio, dunque, sarebbe un antipertensivo naturale, e secondo alcuni studiosi potrebbe addirittura essere di beneficio al nostro sistema immunitario, anche se gli studi che lo affermano sono piuttosto controversi. Pare invece confermato, da uno studio pubblicato nel 2022, che un abbraccio riduca i livelli di cortisolo, e dunque abbassi lo stress, ma soltanto nelle donne, per ragioni ancora tutte da indagare.
Non è chiaro nemmeno, per il momento, il modo in cui il nostro cervello elabora gli abbracci. Ma, conclude Ocklenburg, questo gesto rituale ha un ruolo cruciale nella comunicazione delle emozioni che si riflette anche sul nostro benessere fisico e psicologico. E rafforza i legami con le persone che ci sono care. Dalla notte dei tempi.
Da quando abbiamo cominciato a studiarli con più attenzione e con strumenti migliori, abbiamo scoperto che molti animali, soprattutto tra le specie sociali, provano emozioni, manifestano empatia e hanno sofisticati mezzi di comunicazione, anche non verbali. I leoni si strofinano la testa a vicenda, i cavalli si puliscono reciprocamente, gli elefanti si stringono la proboscide. C’è un gesto, però, nella comunicazione non verbale, che per ragioni anatomiche è praticabile soltanto dai primati: abbracciarsi. Si abbracciano i nostri cugini più prossimi, bonobo e scimpanzè, per rassicurarsi dopo un conflitto o un forte stress. E i giovani orangutan si abbracciano di fronte a una minaccia, quasi a proteggersi l’un l’altro.
Ma si abbracciano anche primati meno vicini all’uomo, come le scimmie ragno di Geoffroy (Ateles geoffroyi), che adottano questo comportamento non per rimettersi da uno scontro, ma per prevenirlo. «L’abbraccio potrebbe essere un modo per testare il legame tra le scimmie, perché espone parti del corpo vulnerabili all’attacco», ha dichiarato Filippo Aureli, coautore dell’articolo del 2007 su «Biology Letters» che descriveva questo comportamento.
Viene da pensare, dunque, che questo gesto si sia evoluto relativamente presto, nella storia della nostra famiglia allargata, e forse in momenti e luoghi diversi, il che testimonierebbe a favore di una sua utilità adattativa. Eppure lo abbiamo studiato poco, come raccontano Sebastian Ocklenburg e Julian Packheiser a pagina 24, sottolineando che l’abbraccio assume significati diversi a seconda del contesto. Ci abbracciamo nei momenti di felicità, a un matrimonio, dopo aver superato un esame, o anche solo dopo un gol della squadra del cuore. E ci abbracciamo nei momenti di dolore. A un funerale, dopo un licenziamento o ancora quando abbiamo ricevuto una diagnosi infausta.
Sebbene le ricerche sul significato evolutivo e sociale degli abbracci siano relativamente nuove, sono già stati scoperti alcuni effetti dell’abbraccio su parametri fisiologici come la pressione sanguigna, che si abbassa, e sulla concentrazione di ossitocina, che aumenta. L’abbraccio, dunque, sarebbe un antipertensivo naturale, e secondo alcuni studiosi potrebbe addirittura essere di beneficio al nostro sistema immunitario, anche se gli studi che lo affermano sono piuttosto controversi. Pare invece confermato, da uno studio pubblicato nel 2022, che un abbraccio riduca i livelli di cortisolo, e dunque abbassi lo stress, ma soltanto nelle donne, per ragioni ancora tutte da indagare.
Non è chiaro nemmeno, per il momento, il modo in cui il nostro cervello elabora gli abbracci. Ma, conclude Ocklenburg, questo gesto rituale ha un ruolo cruciale nella comunicazione delle emozioni che si riflette anche sul nostro benessere fisico e psicologico. E rafforza i legami con le persone che ci sono care. Dalla notte dei tempi.
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