Se volete leggere un romanzo davvero fuori dai canoni, che vi chieda di mordere subito il prossimo capitolo come i più riusciti noir ma che al tempo sSe volete leggere un romanzo davvero fuori dai canoni, che vi chieda di mordere subito il prossimo capitolo come i più riusciti noir ma che al tempo stesso apra uno squarcio sul reale alla maniera delle migliori storie del fantastico (penso a Buzzati, a Bontempelli), non posso che consigliare il nuovo romanzo di Edoardo Zambelli, "La coincidenza", che inserendosi nel percorso tracciato dai due testi precedenti dello stesso autore - "L'antagonista"; "Storia di due donne e di uno specchio" - riesce a sfuggire al recinto dei generi rimanendo a cavallo con una gamba da un lato e una dall'altro e a osservare di entrambi le caratteristiche più profonde. La storia principale potrebbe apparire lineare: c'è un morto, un ragazzo assassinato, e il protagonista, per fuggire a un periodo della vita che lo addolora, si trova a cercare - muovendosi tra false piste e diventando addirittura una sorta di stalker - il suo assassino e il movente. Questa storia, tuttavia, si intreccia con altre storie (quella di Maria, certo, e quella della "stanza numero 12" che appartiene al passato del protagonista, ma anche alle storie contenute in altri libri: tanti sono i rimandi e i riferimenti) e talvolta si inceppa, diventa oscura, o rallenta per espandersi espandersi espandersi (ed espandere il reale) in quelle che mi viene da definire "bolle" (di immaginazione, o di "visione"). Per esempio:
“Mi siedo in ultima fila, che è tutta vuota. In questa luce la stanza dà la sensazione di essere ancora più grande. Le pareti sono tanto scure che sembrano nere, e mi viene da pensare che nemmeno ci siano, che questo dove siamo sia solo un pezzetto di uno spazio più grande, enorme, che dilaga sottoterra, attraversa la città, nel buio, e chi lo sa dov’è che ritorna in superficie. È, questa, una luce che è fatta apposta per nascondersi, è facile starci dentro e non riconoscersi.”
O ancora:
“Uscendo dalla città, passiamo davanti a un hotel molto grande, che mi immagino sempre vuoto, le camere disertate e i letti nudi senza lenzuola, un uomo triste alla reception. Adesso però ho un’immaginazione un poco diversa, immagino che ci sia una stanza occupata, solo una, e che dentro ci sia un uomo, uguale a quello della reception, un gemello o un doppio, e sta lì fermo, disteso con le mani intrecciate dietro la testa, infinitamente solo, a reggere il peso di tutto quel vuoto.”
Ecco, questo restringersi e dilatarsi del testo, questo camminare in parallelo con altri testi e poi disgiungersi e proseguire veloce verso la sua risoluzione e in attesa del prossimo passo laterale è secondo me una delle caratteristiche più interessanti del romanzo di Zambelli; una di quelle caratteristiche che segnano modi nuovi di narrare e che - quando, specchiandosi e "parlando" con testi precedenti, si inseriscono in un percorso coerente di storie nelle storie e di procedimenti onirici - fanno pensare davvero non solo a un libro a sé, un libro profondo e bello e avvincente che chiede di andare avanti "per sapere come va a finire", ma a un nuovo mattone di un felice e riuscitissimo percorso autoriale....more