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431 pages, Paperback
First published September 1, 2004
Day was breaking. A silvery blue light slid over the cobblestones, over the parapets along the quayside, over the towers of Notre-Dame. Bags of sand were piled halfway up all the important monuments, encircling Carpeaux’s dancers on the façade of the Opera House, silencing the Marseillaise on the Arc de Triomphe… [A]t some distance, great guns were firing; they drew nearer, and every window shuddered in reply. In hot rooms with blacked-out windows, children were born, and their cries made the women forget the sound of sirens and war. To the dying, the barrage of gunfire seemed far away, without any meaning whatsoever, just one more element in that vague, menacing whisper that washes over those on the brink of death. Children slept peacefully, held tight against their mothers’ sides, their lips making sucking noises, like little lambs. Street sellers’ carts lay abandoned, full of fresh flowers.
Nemirovsky began...by writing notes on the work in progress and thoughts inspired by the situation in France...She dreamed of a book of a thousand pages, constructed like a symphony...she took Beethoven's Fifth Symphony as a model.
On 12 June 1942 she began to doubt she would be able to complete this huge endeavour. She had a premonition that she didn't have long to live. But she continued to work on her book, simultaneously writing notes. In her writing she denounced fear, cowardice, acceptance of humiliation, of persecution and massacre. She was alone. It was rare to find anyone in the literary and publishing worlds who did not choose to collaborate with the Nazis.
Giudicava la sua famiglia con amarezza e dolorosa severità; i motivi del suo risentimento non erano formulati in maniera precisa, erano un insieme di immagini brevi e violente: suo padre che diceva della Repubblica «questo regime marcio...», e quella sera stessa, a casa, una cena di ventiquattro persone, con le tovaglie più belle, un foie gras eccellente, i vini più pregiati, in onore di un ex ministro che avrebbe potuto avere di nuovo l'incarico e di cui il signor Pericard ricercava i favori.(Oh! La bocca a culo di gallina di sua madre: «Mio caro Presidente...»). Le automobili cariche di biancheria e di argenteria fino a scoppiare, bloccate in mezzo alla folla dei fuggiaschi, e sua madre che, indicando le donne e i bambini che andavano a piedi con qualche indumento avvolto nel fazzoletto, diceva: «Guardate com'è buono il bambin Gesù. Pensate che avremmo potuto essere al posto di quei disgraziati!». Ipocriti! Sepolcri imbiancati! E lui stesso, che cosa ci faceva lì? Con il cuore pieno di ribellione e di odio, faceva finta di pregare per Philippe! Ma Philippe era... Mio Dio! «Philippe, fratello mio adorato!» bisbigliò, e come se quelle parole avessero avuto un potere divino di consolazione il suo cuore contratto si dilatò e sgorgarono lacrime, calde e irruenti. S'insinuarono pensieri di dolcezza e di perdono; non da lui ma venivano dall'esterno, come se un amico si fosse chinato al suo orecchio e avesse sussurrato: "Una famiglia, una razza che hanno prodotto Philippe non possono essere malvagie. Sei troppo severo, hai visto solo i fatti esteriori, non conosci gli animi..."
Un soldato nemico non era mai solo un essere umano di fronte ad un altro - ma portava con sé una folla innumerevole di fantasmi, i fantasmi degli assenti e dei morti. [...] «Signora, sono un soldato. I soldati non pensano. Mi dicono di andare là, e io ci vado. Di combattere, e io combatto. Di farmi uccidere, e io muoio. L'esercizio del pensiero renderebbe la battaglia più difficile, e la morte più terribile.»
Non era delirio, nè un principio di follia; non era mai stata più fermamente lucida e cosciente di sé stessa; era una sorta di commedia volontaria, l'unica che le procurasse qualche sollievo, come può darne il vino o la morfina. Nell'oscurità, nel silenzio, lei ricreava il passato, riesumava istanti che lesi stessa aveva creduto dimenticati per sempre, portava alla luce dei tesori, ritrovava quella parola di suo figlio, quell'intonazione della sua voce, quel gesto delle sue paffute manine di neonato che davvero, per un secondo, annullavano il tempo. Non era più immaginazione, ma la realtà stessa le veniva restituita in ciò che aveva di imperituro, perchè niente poteva fare in modo che tutto quello non fosse avvenuto. L'assenza, perfino la morte, non potevano cancellare il passato; un grembiulino rosa che suo figlio aveva indossato, il gesto con cui piangendo le aveva teso la mano punta da un’ortica, tutto questo era esistito, ed era in suo potere, finché fosse rimasta in vita, farlo esistere di nuovo. Aveva solo bisogno della solitudine, dell’ombra, e intorno a sé di quei mobili, di quegli oggetti che suo figlio aveva conosciuto. Variava come voleva le sue allucinazioni. E non si accontentava del passato, prefigurava il futuro! Trasformava il presente secondo la sua volontà; mentiva ingannando sé stessa, ma quelle menzogne, essendo opera sua, le erano care. Per qualche breve momento era felice. La sua felicità non doveva subire i limiti imposti dalla realtà. Tutto era possibile, alla sua portata. Prima di tutto, la guerra era finita.