RENATO MEUCCI
DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”:
UNA NUOVA INTERPRETAZIONE
Nelle fonti musicali antiche s’incontra di frequente la menzione di strumenti la cui denominazione appare simile o identica a quella attuale, ma
che ad un’analisi più approfondita si rivelano di difficile o impossibile
identificazione. Anche se si può essere tentati di attribuire questo fenomeno alla vaghezza o all’imprecisione delle fonti storiche, esso dipende
in realtà il più delle volte dal fatto che questi oggetti, come molti altri
utensili, possono subire col tempo una sensibile variazione terminologica, dovuta al mutare delle loro fattezze, della loro diffusione o del gergo di coloro che ne fanno uso. Sarebbe errato, dunque, attendersi che
delle semplici omonimie abbiano a mantenere inalterato lo stesso valore
semantico nel corso del tempo.1
Se a queste considerazioni si aggiunge il fatto che gli studi organologici risultano ancora particolarmente carenti proprio sul versante linguistico e che la terminologia italiana sembra essere stata quanto di più vivace
e variabile si possa immaginare, ecco allora che anche denominazioni alle
quali penseremmo di poter attribuire un preciso significato si prestano
talvolta ad essere intese in maniera diversa da quella che ci si aspetterebbe.
1
Nuovi modelli di utensili vengono di solito denominati, al momento della loro
comparsa, aggiungendo un aggettivo specificativo al nome preesistente, per poi perderlo qualora incontrino un successo tale da far dimenticare i tipi precedentemente in
voga. Si pensi, tanto per fare un esempio, a cosa si intende oggi col termine “trapano”
e al fatto che a lungo lo stesso utensile è stato chiamato “trapano elettrico” per differenziarlo da un più comune modello “a mano”. Analoghe considerazioni potrebbero
valere per “cucina a gas” e “cucina”, per “lampione elettrico” e “lampione”, ma non
per “agenda elettronica” e “agenda” (in quest’ultimo caso, non essendosi affermato definitivamente il modello più recente, lo specificativo resta d’obbligo almeno in tutti quei
casi in cui possa generarsi confusione).
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
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Uno dei casi in oggetto è costituito dal termine “chitarrone”, che designa uno degli strumenti più diffusi a partire dalla fine del ’500 (è richiesto tra l’altro anche nelle composizioni di Radesca). Nella sua versione
più tipica questo strumento si presenta con le caratteristiche di un liuto
(quindi con una cassa a forma di guscio di tartaruga) con l’aggiunta di
alcune corde gravi fissate ad un cavigliere supplementare collocato sul
prolungamento di quello principale, molto distante da quest’ultimo, in
modo da garantire a tali corde un’ampia lunghezza vibrante. Lo stesso
strumento propone un singolare problema linguistico, visto che mentre
il suo nome risulta essere l’accrescitivo del termine “chitarra”, la sua cassa
a guscio, tipica dei liuti, non mostra alcuna affinità con quella a forma di
8 che oggi siamo abituati ad associare con questo nome. (Figura 1).
Obiettivo del presente studio è quello di far luce su quest’apparente
incongruenza, richiamando l’attenzione su un’altra forma di chitarra, oggi
del tutto ignorata, e tuttavia in grado di illuminare numerosi aspetti della storia di questo e di altri strumenti a pizzico. Si tenterà così anche di
colmare una lacuna nella documentazione organologica sull’Italia meridionale, giacché, come vedremo, alcuni degli strumenti di cui ci occuperemo trovarono origine o speciale accoglienza nel Regno di Napoli,
allora sotto il dominio spagnolo.2
***
Per affrontare l’argomento è innanzitutto necessario richiamare l’attenzione su un fenomeno terminologico riscontrabile a partire dalla fine
del ’500 e per tutto il secolo successivo: il fatto che la chitarra a forma
di 8, antenato di quella attuale, in Italia veniva all’epoca immancabilmente
chiamata “chitarra spagnola”. (Figura 2).
Tale strumento all’inizio del XVII secolo veniva inoltre considerato
di recente invenzione, nonostante già più di un secolo prima avesse fatto una breve comparsa in Italia un modello assai simile, ma evidentemente senza grande fortuna, al punto da essere dimenticato.3
2 Per una più ampia ricognizione degli strumenti musicali usati nel Mezzogiorno si
veda R. MEUCCI, Gli strumenti della musica colta in Italia meridionale nei secoli XVI-XIX,
“Fonti Musicali Italiane”, 3 1998, pp. 233-264.
3 Alla sua comparsa in Italia, avvenuta appunto verso la fine del ’400, tale strumento
venne chiamato “viola da mano”, evidente calco dello spagnolo vihuela de mano (cfr. I.
WOODFIELD, La viola da gamba, dalle origini al rinascimento, EDT, Torino 1999, cap. III).
La somiglianza tra viola da mano e chitarra spagnola potrebbe tuttavia essere stata solo
Figura 2 - Chitarra spagnola
(Typus Cytharae Hispanicae) da
A. KIRCHER, Musurgia Universalis, Eredi Corbelletti, Roma
1650, fol. 477
Figura 1 - Chitarrone (Lang Romanische Theorba: Chitarron)
da M. PRAETORIUS, Syntagma musicum, vol. II: Theatrum instrumentorum, Holwein, Wolfenbüttel, 1620, tav.V”
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
Giacché tuttavia nelle fonti italiane il termine isolato “chitarra” compare almeno a partire dal ’300, è necessario presumere che esistesse una
netta differenza tra la nuova chitarra spagnola e una chitarra comune di
ben più antica tradizione.
Per stabilire quali fossero le sembianze di quest’ultimo strumento possiamo rifarci in primo luogo ad una fonte autorevole come il Vocabolario
della Crusca, che nella prima edizione del 1612 riporta la seguente definizione: “Chitarra. Liuto piccolo, che manca del basso, e del soprano”.4
E la stessa descrizione viene ripetuta con una lieve modifica in edizioni
successive dello stesso dizionario: “Chitarra […] specie di liuto, ma più
piccolo e con meno corde”.
Ad ogni modo parecchie altre testimonianze possono corroborare
l’evidenza che la chitarra fosse uno strumento a forma di liuto e di uso
comune almeno fin verso la metà del XVII secolo, quando fu progressivamente messa da parte mentre si veniva affermando la chitarra spagnola.
Una delle più antiche evidenze si incontra in un brano di Dante risalente al 1304-07, laddove si dice (Convivio I, 8-7)
Ché inoltre tale strumento inventato dai catalani, e chiamato da alcuni
ghiterra e da altri ghiterna, derivi dal liuto, è davvero inequivocabile. Essa
infatti, pur essendo molto più piccola, riprende dal liuto sia la forma a guscio di testuggine, sia la disposizione e il modo di toccare le corde.
40
ché così come sarebbe biasimevole operazione fare una zappa di una bella
spada, o fare un nappo di una bella chitarra, così è biasimevole muovere la
cosa da dove sia utile e portarla in parte dove sia meno utile.
La possibilità di trasformare la chitarra in un nappo, cioè in una tazza, richiama alla mente la forma da “mestolo” costituita dalla cassa a guscio e dal
manico dello strumento (e, certo, ben poco confortevole risulterebbe in tal
caso un recipiente a forma di 8).
Spostandoci ad un’epoca più vicina a quella che ci interessa possiamo citare la testimonianza di Johannes Tinctoris, ancora attivo a Napoli
alla data del 1487, quando pubblicò il De inventione et usu musicae in cui
afferma che lo strumento chiamato ghiterra o ghiterna, inventato in Spagna, è fatto appunto a forma di piccolo liuto:5
esteriore, in quanto la tecnica esecutiva dello strumento più antico risulta nettamente
diversa da quella dello strumento più recente (sul quale cfr. M. PREITANO, Gli albori della
concezione tonale: aria, ritornello strumentale e chitarra spagnola nel primo Seicento, “Rivista
Italiana di Musicologia”, XXIX 1994, pp. 27-88).
4 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, 1612; facs. Licosa, Firenze 1974, p.
179.
5 Johannes Tinctoris (1445-1511) und sein unbekannter Traktat “De inventione et usu musicae”, a cura di K. WIENMANN, Pustet, Regensburg - Rom 1917, p. 42: “Quinetiam instrumentum illud a Catalanis inventum: quod ab aliis ghiterra: ab aliis ghiterna vocatur: ex lyra
41
Dobbiamo supporre che tale strumento fosse stato adottato in Italia ben prima dell’epoca di Tinctoris, visto che ne parla già Dante; è inoltre molto verosimile che ad esso, o ad una taglia ancora più piccola, si riferiscano le numerose fonti del ‘400 in cui compare il nome “chitarrino” (e basti qui
ricordare i celebri virtuosi Pietrobono, Rainaldo, Biagio, Leonardo e Celio
“dal chitarrino”).
L’esistenza di uno strumento simile al liuto ma di dimensioni decisamente minori è d’altronde attestata in questo periodo in varie regioni
europee,6 ed è documentata anche iconograficamente dal trattato di
Sebastian Virdung Musica getutscht, del 1511 (Figura 3).7
Possiamo conoscere l’accordatura e le dimensioni approssimative di
almeno un modello di questo strumento grazie alla testimonianza di Scipione Cerreto, il quale nel suo Della prattica musica vocale et strumentale
(1601) attesta anche un nome ulteriore chiamandolo “Strumento della
Chitarra à sette corde, detto Bordelletto alla Taliana” (ossia all’italiana),
per il quale riporta lo schema di accordatura seguente:8
Esempio 1: S. CERRETO, Della prattica musica, 1601, p. 320
prodiisse manifestissimum est. hec enim ut leutum (licet eo longe minor sit) et formam testudineam: et chordarum dispositionem atque contactum suscipit”. Si noti che la traduzione della parola
latina “lyra” con l’italiano liuto è tutt’altro che arbitraria, essendo giustificata da altri
passi del testo di Tinctoris.
6 Per una trattazione sovranazionale si veda il fondamentale saggio di L. WRIGHT,
The Medieval Gittern and Citole: a Case of Mistaken Identity, “Galpin Society Journal”,
XXX 1977, pp. 8-42.
7 La stessa immagine è ripresa con qualche variante in M. AGRICOLA, Musica instrumentalis deudsch, Rhau, Wittemberg 1529.
8 S. CERRETO, Della prattica musica vocale et strumentale, Carlino, Napoli 1601, p. 320.
Lo stesso autore era un suonatore di questo strumento, oltre che di liuto.
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
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lioni (Roma, 1627) alcuni brani della quale sono dedicati appunto al “chitarrino overo ghitarra italiana”.10
Ma le testimonianze riguardo all’esistenza di una chitarra italiana, diversa da quella spagnola, includono anche alcune eloquenti evidenze documentarie. La più antica a mia conoscenza risale di nuovo al 1627 ed è
contenuta in un inventario redatto a Bologna nella bottega di Gasparo
Franchi (Caspar Frei): vi sono elencate, insieme con molti altri strumenti,
“50 Chitare alla spagnola” e “150 chitarre all’italiana”.11 Molto più tardi, tra le carte della Guardaroba medicea che registravano i beni della
famiglia granducale fiorentina, si incontrano, in un inventario del 1691,
due voci contigue che ribadiscono l’effettiva estraneità dei due modelli:12
Una chitarra all’italiana con il corpo d’avorio filettato d’ebano entro alla
sua custodia
Una chitarra alla spagnola grande entro alla sua custodia
Figura 3 - Liuto e chitarra (Lauten. Quintern) da S.VIRDUNG, Musica getutscht, Furter, Basel 1511, fol. Bij
Si tratta evidentemente di una taglia molto piccola, dotata di tre ordini doppi e uno singolo di corde con lunghezza vibrante molto limitata — anche meno di quella del mandolino attuale — giacché la quarta
corda (Sol3) veniva intonata con accordatura “rientrante”, ossia con un
intervallo ascendente invece che discendente, il che doveva dipendere
appunto dalla modesta lunghezza delle corde.9
La menzione dell’appellativo “italiana” spinge a sottolineare che, almeno da un certo momento in poi, questo strumento con la cassa a guscio scomparve dagli altri paesi europei e divenne tipico solo dell’Italia,
ciò che spiega la denominazione che si incontra anche nella Corona del
primo, secondo e terzo libro d’intavolatura di chitarra spagnola di Pietro Mil-
9 Sull’accordatura “antica” (“temple
CI, Gli
viejo”) documentata da Cerreto, cfr. R. MEUCstrumenti della musica colta, p. 239.
Il fatto che una chitarra italiana potesse avere “il corpo d’avorio” rappresenta un’ulteriore conferma della conformazione a guscio della sua cassa: la costruzione in solo avorio (qui con filettatura d’ebano), per la natura stessa di
quel materiale, se da una parte permette la realizzazione di una cassa a guscio, non consente invece quella a forma di 8 (non è difatti possibile piegare
l’avorio nella maniera necessaria a formare le fasce di una cassa a 8). D’altronde, in un analogo inventario mediceo stilato l’anno prima si incontra
un eloquente “pentimento” del compilatore, il quale dopo aver registrato tre
chitarrine (una più piccola delle altre), rettifica quanto da lui appena scritto
specificando che si tratta invece di chitarre spagnole, ulteriore dimostrazione che vi era una differenza visibile tra una chitarrina comune e una alla
spagnola:13
3 Chitarrine con corpo di granatiglio che una minore anzj dico 3 alla
spagnola
Esiste comunque un ulteriore appellativo documentato dalle fonti, quello di
chitarra “napoletana”. Ne sono testimoni Cristofano Malvezzi e Bastiano de’
10 Cfr. J. TYLER, The Early Guitar. A History and Handbook, Oxford University Press,
Oxford 1980, p. 31.
11 S. PASQUAL - R. REGAZZI, Le radici del successo della liuteria a Bologna, Florenus, Bologna 1998, p. 68.
12 Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea 1005, 1691. Ringrazio Giuliana
Montanari per avermi cortesemente comunicato il contenuto di questo documento
inedito e di quello successivamente citato.
13 Archivio di Stato di Firenze, Guardaroba Medicea 959, 1690.
RENATO MEUCCI
DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
Rossi nelle loro descrizioni degli intermedi tenutisi a Firenze nel 1589, per
le musiche dei quali furono impiegati tanto la chitarra spagnola, quanto quella
napoletana.14 I due toponimi sembrerebbero qui designare i principali modelli di chitarra allora esistenti, e la stessa impressione si ricava ancor più
nitidamente dal Discorso sopra la musica di Vincenzo Giustiniani, risalente
al 1628:15
Sebbene molte delle testimonianze fin qui prese in considerazione
puntino verso l’identificazione di questa chitarra con uno strumento di
taglia acuta (il che giustifica il diminutivo “chitarrino” e anche “bordelletto”),18 non è escluso tuttavia che questo strumento sia stato costruito anche in qualche taglia più grande, analoga o di poco inferiore alle
dimensioni di un liuto. Anzi, è verosimile che il chitarrino fosse il soprano di una chitarra di ben maggiori proporzioni.
Se il modello più acuto era di norma dotato di 4 ordini di corde, come
ci ricorda Cerreto, quello più grande potrebbe essere stato fornito tanto
di 4 quanto di 5 ordini.19 Quest’ultima considerazione è confermata dall’esistenza di un discreto repertorio destinato ad uno strumento con 5 ordini di corde denominato nelle fonti semplicemente “chitarra” (senza alcun
attributo), repertorio oggi indiscriminatamente assegnato alla chitarra spagnola, ma che va molto probabilmente ricondotto al modello italiano.20
Accettando comunque l’identificazione di questa chitarra/chitarrino
con lo strumento a forma di liuto, non ci stupirà infine osservare che
un accrescitivo del suo nome, “chitarrone”, possa aver indicato uno strumento con cassa a guscio: esso altro non era, in effetti, se non una chitarra di maggiori dimensioni con corde aggiunte nel grave. Quest’ultimo
strumento — per ragioni sulle quali torneremo tra poco — abbandonò
in seguito tale denominazione originaria per passare a quella di “tiorba”.
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nell’istesso tempo s’introdusse la Chitarra alla spagnola per tutta Italia, massime in Napoli, che unita con la Tiorba, pare che abbiano congiurato di sbandire affatto il Liuto; et è quasi riuscito a punto, come il modo di vestire alla
spagnola in Italia prevale a tutte le altre foggie. […] Il suonare di Chitarra
napolitana resta affatto dismesso in Roma, e quasi anche in Napoli, con la
quale già suonavano in eccellenza Don Ettore Gesualdo e Fabritio Fillomarino in conserto col Prencipe suddetto di Venosa.
Pur senza che l’identità di questa chitarra napoletana possa dirsi accertata, visto che non se ne conoscono descrizioni più dettagliate,16 appare verosimile identificarla con lo strumento di cui ci stiamo occupando,
e più probabilmente proprio con la taglia più acuta. Un indizio significativo sembra essere la sottolineatura della sua progressiva scomparsa dopo
un periodo di grande voga: alla data del 1628 uno strumento avviato a
tale condizione di decadenza sembrerebbe essere proprio la “chitarra italiana” o “chitarrino”.
Si trattava, insomma, di una chitarra comune in Italia, tanto da essere
appunto definita “italiana”, anche se qualcuno — a quanto pare nella fase
tarda della sua storia — preferiva chiamarla “napoletana”, forse per una
precedente speciale predilezione nel capoluogo partenopeo.17 Non sembra comunque azzardato, tra i vari nomi incontrati, adottare in questo
studio proprio quello di “chitarra italiana”, oltretutto particolarmente
appropriato per un modello che — come si è visto — veniva considerato in alternativa alla “chitarra spagnola”.
14
H. MAYER BROWN, Sixteenth-Century Instrumentation: The Music for the Florentine
Intermedii, American Institute of Musicology, s.l. 1973, pp. 131-2.
15 In A. SOLERTI, Le origini del melodramma, Bocca, Torino 1903, pp. 98-128: 126.
16 Esiste, a mia conoscenza, solo un’altra menzione in una fonte musicale, per la quale
si veda I. CAVALLINI, L’intavolatura per Chitarrino alla Napolitana dal “Conserto Vago - 1645”,
“Quadrivium”, Bologna, XIX/2 1978, pp. 225-264.
17 Sembra puntare in tale direzione l’annotazione di Giustiniani sulla progressiva
scomparsa “quasi anche in Napoli” dello strumento, evidentemente in precedenza molto
più diffuso e suonato dai grandi virtuosi di cui egli fa menzione.
45
***
Manca tuttavia ancora un tassello per completare la ricostruzione del panorama degli strumenti a pizzico italiani di primo ’600: difatti già verso
la fine del ’500 aveva fatto la sua comparsa un altro strumento con la
cassa a guscio, il quale nel giro di breve tempo si sarebbe imposto prepotentemente sulla scena musicale. Si tratta della mandola21 (mandora,
18 È bene sottolineare l’originalità della presente opinione, che contrasta apertamente
con l’identificazione chitarrino = piccola chitarra a forma di 8 sostenuta, ad esempio,
in J. TYLER, The Early Guitar, pp. 31-33.
19 Si veda ad esempio la testimonianza dell’inventario napoletano del 1578 riportato più avanti nel testo.
20 Una dettagliata lista del repertorio più antico, comprendente sia brani per “chitarra” sia altri per “chitarra spagnola”, si trova in J. TYLER, The Early Guitar. Non si è
ritenuto tuttavia di poter prendere in considerazione in questa sede una specifica analisi delle composizioni in oggetto.
21 È stata preferita in questo studio la variante grafica più diffusa tra le numerose
che si incontrano nelle fonti dell’epoca.
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
RENATO MEUCCI
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pandura),22 le cui fattezze costruttive non differivano in maniera sostanziale da quelle del chitarrino (intendendo con questo termine la taglia
più piccola di chitarra italiana).
Di tale strumento ci danno notizia varie fonti del primo ’600, descrivendolo sempre con dimensioni ridottissime. Innanzitutto Praetorius, che
nel Syntagma Musicum ce ne presenta la seguente descrizione, nel 1619:23
Pandurina: Mandürichen. Questa strumento è variamente conosciuto
come Bandürichen, Mandoër, e Mandurinichen (forse perché può essere facilmente tenuto e suonato con la “mano”). È come un piccolo e esile liuto con
quattro corde, accordate Sol2, Re3, Sol3, Re4, sebbene talvolta abbia 5 corde, o cori di corde. La Mandora si può facilmente trasportare mettendola sotto
il mantello, ed è molto comune in Francia.
E infatti proprio da una fonte francese, l’Harmonie universelle di Marin Mersenne, del 1636, ce ne viene la più lunga e dettagliata descrizione, dalla quale apprendiamo tra l’altro che:24
la Mandore […] non ha di norma che sole quattro corde, ancorché se ne
facciano a sei, o anche più corde, al fine di avvicinarla all’eccellenza del liuto, di cui ella è per così dire un compendio e una riduzione.
Lo stesso Mersenne, oltre a segnalare le ridottissime dimensioni dell’esemplare da lui preso a campione (“un piede e mezzo”, pari a ca. 48 cm, meno
di un mandolino napoletano attuale), riporta anche la rispettiva accordatu-
Figura 4 - Mandola (Typus Testudinis compendiatae quae Mandora dicitur) da A. KIRUniversalis, fol. 477
CHER, Musurgia
ra, una quarta sopra quella di Praetorius (Do3, Sol3, Do4, Sol4, con possibilità di intonare quest’ultima corda Fa4, oppure Mi4), aggiungendo che:25
questa accordatura viene chiamata di Quinta in Quarta, in quanto le quattro corde danno il suddetto accordo quando le si tocca a vuoto.
22 La più antica attestazione a me nota dello strumento si trova in G. BRUNO, Degli
eroici furori (1585), parte II, dial. 5,4: “Il secondo con la mandòra sua sonò e cantò”. Questa
testimonianza anticipa di qualche anno la comparsa dello strumento negli intermedi
fiorentini del 1589 citata in J. TYLER - P. SPARKS, The Early Mandolin, Clarendon Press,
Oxford 1989, p. 12. Per quanto riguarda la variante “pandora” si veda più avanti nel
testo e anche la nota 32.
23 PRAETORIUS, Syntagma musicum, vol. II, p. 53: “Dieses wird von etlichen Bandürichen / von etlichen Mandoër / oder Mandurinichê (forté quia manu facilè comprehendi
& tractari potest) genennet: Ist wie gar ein klein Läutlein mit 4. Saiten also gestimpt g
d’ g’ d”: Etliche auch mit fünff Saiten oder Choren bezogen / so unter einem Mantel
füglich / und in Franckreich sehr gebräuchlich seyn sol”.
24 M. MERSENNE, Harmonie universelle, Cramoisy, Paris 1636, livre II, p. 93r: “la Mandore […] n’a pour l’ordinaire que quatre chordes, encore que l’on en fasse à six, ou à
vn plus grand nombre, afin de les faire approcher de l’excellence du Luth, dont elle est
le racourcy, & le diminutif ”.
A complemento di quanto da lui descritto, Mersenne riporta anche
un’immagine dello strumento, che, a testimonianza della diffusione anche
italiana dello strumento, venne riprodotta fedelmente nella Musurgia universalis di Athanasius Kircher, pubblicata a Roma nel 1650 (Figura 4).
Stando a tutte queste fonti due caratteristiche fisiche potrebbero aver
distinto la mandola, rispetto al chitarrino, almeno nella prima fase della
sua affermazione: l’adozione abituale di 4 corde singole (la variante con
“5 corde, o cori di corde” ricordata da Praetorius sembra difatti restare
un caso del tutto isolato) e una forma del guscio o più allungata, ovvero
25 M. MERSENNE, Harmonie universelle, p. 93r: “C’est pourquoy l’on appelle cet accord de Quinte en Quarte, d’autant que les quatre chordes font les susdits accords, quand
on les touche à vuide”.
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
RENATO MEUCCI
Figura 5 - Chitarrino (?) - A. GRAMMATICA, Santa Cecilia,Vienna, Kunsthistorisches
Museum
più larga rispetto al chitarrino. Si tratta di particolari secondari, che potrebbero tuttavia assumere una certa importanza nell’identificazione degli esemplari di primo ’600.
Uno di questi esemplari compare, poggiato prono su un tavolo, in un
dipinto realizzato tra il 1620 e il ’25 da Antiveduto Grammatica (1571c.1626): tenuto conto anche della data di esecuzione del dipinto, i dettagli
costruttivi (numero delle corde e forma dello strumento) spingono all’identificazione con un chitarrino piuttosto che con una mandola, senza che tuttavia se ne possa avere sicurezza definitiva (Figura 5).
D’altronde, se realmente vi fu, all’inizio del XVII secolo, una vera e
propria differenza morfologica tra chitarrino e mandola, essa durò ben
poco, giacché la loro somiglianza esteriore prevalse ben presto rispetto
alle possibili, iniziali distinzioni.
Tale singolare somiglianza di forme e diversità di denominazioni merita allora un chiarimento: si può difatti giustificare l’affermazione del
nuovo strumento, la mandola, ammettendo che essa presentasse, al di là
dei caratteri esteriormente simili a quelli del chitarrino (la struttura dello strumento, come si è detto, restava sostanzialmente immutata), una ca-
49
ratteristica originale tale da giustificare l’adozione di un nuovo nome.
Questa condizione va verosimilmente individuata nella diversa accordatura dei due strumenti: prevalentemente per quarte con una terza in
mezzo nel chitarrino (analogamente al liuto), per quarte e quinte nella
mandola di nuova introduzione.Tali differenti accordature implicano una
tecnica esecutiva della mano sinistra completamente diversa in un caso
e nell’altro, giustificando quindi l’adozione di due nomi differenti, visto
che per maneggiare il nuovo strumento era indispensabile una tecnica
completamente diversa. Non è escluso, ad ogni modo, che anche la tecnica della mano destra possa aver svolto un ruolo nell’affermazione della mandola.26 Di converso la diteggiatura del chitarrino/chitarra risultava
assai simile a quella del modello spagnolo, così che un “chitarrista” avrebbe
potuto agevolmente passare alla chitarra spagnola a forma di 8, la quale
poteva risultare più comoda o più facile da maneggiare.27
Il termine mandola costituisce, in ogni caso, una vera e propria insidia
linguistica che cercheremo ora di analizzare più approfonditamente e, possibilmente, di circoscrivere: ciò va fatto contestando in primo luogo la consuetudine moderna di assegnare tal nome anche ad esemplari seicenteschi
di ampie dimensioni, purché dotati di cassa a guscio. In aperto contrasto
con tale consuetudine, va rilevato invece che fino ad oltre la metà del ‘600
non si incontrano testimonianze che accreditino l’esistenza di una taglia
di mandola più grande di quella illustrata da Praetorius, Mersenne e Kircher, le cui esigue dimensioni sono confermate dalle accordature e dalle
misure da loro riportate. Bisogna inoltre tenere presente che fino all’ultimo quarto del secolo non si conoscono in Italia musiche per una mandola con più di 4 cori di corde (la prima fonte che ne richiede cinque è del
1681).28 Quanto sopra è pienamente confermato, ancora nel 1665, da
26 La
tecnica d’impiego del plettro sulla mandola è accuratamente descritta in M. MERuniverselle, p. 95r. Un ulteriore punto di distinzione tra i due strumenti
potrebbe essere stata l’adozione di tasti fissi (traversine), invece che dei legacci di budello tipici del liuto, un argomento per il quale non conosco tuttavia testimonianze
decisive.
27 Non bisogna dimenticare tuttavia che una delle ragioni del rapido successo ottenuto dalla chitarra spagnola nel ’600 fu la semplice tecnica accordale, tuttora ben viva
nella musica di consumo, e spesso considerata alla stregua di un sottoprodotto musicale:
tale tecnica, tuttavia, fu alla base della nascita stessa della moderna tonalità. Si veda al riguardo il già citato articolo di M. PREITANO, Gli albori della concezione tonale (cfr. nota 3).
28 In T. MOTTA, Armonia capricciosa di suonate musicali, Milano, 1681, pref. (cit. in J.TYLER
- P. SPARKS, The Early Mandolin, p. 20).
SENNE, Harmonie
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
un’esauriente descrizione contenuta nel Museum historico-legale bipartitum
di Carlo Pellegrini, il quale attesta, oltre alle ridotte dimensioni e al numero di corde della mandola (definita un “piccolo liuto” dotato di soli
quattro ordini), anche una curiosa — ma, come vedremo, perfettamente
spiegabile — assimilazione tra mandola e chitarrino:29
nativa a mandola e mandora,32 viene infine assegnata a quello che noi
oggi chiameremmo “mandolino milanese”, il quale fa così finalmente la
sua comparsa ufficiale sulla scena musicale.
È evidente dunque, ancora una volta, che la terminologia degli strumenti musicali — come quella di tutti gli utensili — è destinata a mutare e ad adeguarsi alle nuove mode, creando magari insidiose sinonimie
e polionimie. Così, la chitarra spagnola a forma di 8 perderà a sua volta il
toponimo iberico nel ’700, allorché non vi sarà più alcun rischio di confusione con la chitarra italiana, a quel punto completamente dimenticata.
In base a quanto sin qui accertato, si dovrebbe escludere dunque, almeno sino all’ultimo quarto del ‘600, l’impiego del termine mandola per
indicare esemplari con cassa a guscio di ampie dimensioni, come ad esempio quello che compare in un quadro di Evaristo Baschenis (1617-1677),
un ampio strumento a 5 ordini (9 corde) appoggiato sulla cassa di una
chitarra spagnola e di gran lunga più grande del violino (o viola?) che
gli si trova a fianco (Figura 6). È pur vero che, se si trattasse di un’opera
molto tarda di Baschenis (i cui dipinti non sono quasi mai databili con
precisione), il nome mandola potrebbe anche essere preso in considerazione, ma è comunque molto più verosimile riconoscervi una chitarra
italiana, visto che — come si è già osservato — le più antiche testimonianze italiane di un’ampia mandola a 5 ordini sono successive di qualche anno alla morte del pittore, avvenuta nel 1677.
Ben più sicura è invece l’identificazione dello strumento raffigurato
in un dipinto anonimo della Galleria Doria Pamphilj, risalente al 1620
ca.: a quella data un esemplare di considerevoli dimensioni dotato di 4
cori e 7 corde non sembra poter essere identificato altrimenti che come
chitarra italiana (Figura 7).
Stando a quanto detto finora sembrerebbe ininfluente, ai fini dell’identificazione, la forma del cavigliere: ad angolo come nel liuto, a paletta
come nella chitarra attuale, a falcetto come nel mandolino milanese. In
effetti, sebbene a tale particolare costruttivo sia stata attribuita negli stu-
50
Mandora, o come altri dicono Mandola, ovvero piccolo liuto, è lo strumento oggi detto Chitarrino, o Burdelletto, con il manico ripiegato alla maniera del liuto; è armato di sole quattro corde di budello, talvolta però
raddoppiate a due a due, e suonato come la chitarra spagnola; l’illustrazione
è in Kircher [cfr. sopra, fig. 4]
Evidentemente a quella data si era già perduta la memoria della distinzione originaria tra la mandola e il ben più antico chitarrino italiano — ossia la loro differente accordatura — e lo strumento più recente
(mandola) veniva ormai confuso con quello più antico (chitarrino).
Lo stadio successivo della vicenda è compiutamente descritto, alla data
del 1685, da Francesco Redi, insigne scienziato e collaboratore della Accademia della Crusca e del già menzionato Vocabolario, il quale nelle Annotazioni alla sua spassosa opera Bacco in Toscana, riporta le seguenti
descrizioni:30
la mandola ha dieci corde e cinque ordini
il mandolino ha sette corde e quattro ordini
la pandora de’ moderni musici è strumento di dodici corde in sei ordini.
Se ne deve dedurre che nel frattempo si era affermata una taglia più
grande di mandola, vale a dire quella a 5 ordini, la quale aveva reso indispensabile introdurre il diminutivo “mandolino” per il tipo più piccolo
e più antico.31 La variante “pandora”, già utilizzata in passato in alter29 C. PELLEGRINI, Museum Historico-Legale bipartitum, De Falco, Roma 1665, p. 21:
“Mandora, seù vt alij dicunt Mandola, vel testudo compendiaria, est illud instrumentum, quod
hodie dicitur vulgò: Chitarrino, seù Burdelletto, cum collo etiam retorto ad modum testudinis,
seu leuti; quatuor tantum chordis ex intestinis constat, & aliquando duplicantur duplicato ordine, & pulsatur ad modum cytharæ Hispanicæ; cuius formam habes apud eumd. kircher”.
30 F. REDI, Annotazioni al Bacco in Toscana, in Opere, vol. I, Soc. Tip. de’ Classici Italiani, Milano 1809-11, p. 302.
31 All’incirca a questa fase risalgono i modelli di carta per costruire entrambi questi
strumenti disegnati da Stradivari, il quale distingue appunto tra “mandolino” e ”mandola” (cfr. F. SACCONI, I segreti di Stradivari, Libreria del Convegno, Cremona 1979, pp.
235-40).
32 È
51
quasi certamente questo il significato attribuito al termine “pandora” in A. AGAZsonare sopra ‘l basso con tutti li stromenti, Falcini, Siena 1607, pp. 3 e 4, dove esso
indica verosimilmente una piccola mandola. Non va dimenticato tuttavia che lo stesso
nome “pandora” fu in seguito impiegato da A. PICCININI, Intavolatura di liuto et di chitarrone, (Bologna, 1613) ed. mod. SPES, Bologna 1983, p. 5, per designare un particolare
chitarrone dotato di corde metalliche, le più gravi delle quali in argento. Di tale accezione non si è tenuto conto in questo studio, giacché essa sembra aver avuto una diffusione limitatissima, tanto che non se ne trova traccia dopo Piccinini.
ZARI, Del
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RENATO MEUCCI
DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
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Figura 6 - Chitarra italiana (?) - E. BASCHENIS, Natura morta con strumenti musicali,
Bergamo, coll. priv.
di moderni forse eccessiva importanza per l’identificazione di questo o
quel modello, non è comunque da escludere che esso potesse in origine
avere un qualche ruolo nella distinzione di questi strumenti, solo che la
scarsità d’informazioni al riguardo non ci consente di poterne trattare
in maniera concludente.
Per la stessa ragione è forse opportuno non avanzare ipotesi categoriche circa le denominazioni da attribuire agli esemplari antichi conservati nei musei di tutto il mondo, almeno fin quando non sarà stato
possibile verificare a fondo la validità della nuova ricostruzione dei fatti
presentata in questo studio.
Siamo invece in grado di interpretare compiutamente un altro passo
di sicura importanza per la descrizione del panorama strumentale italiano del primo ‘600, utile anche a documentare le origini del chitarrone.
Si tratta di una testimonianza contenuta nei Dieci libri di pensieri diversi
(1620) di Alessandro Tassoni, dove, con il consueto tentativo di risalire ai
più arcaici antecedenti degli strumenti in uso, si dice:33
33 Si
cita dall’ediz. Bidelli, Milano 1628, p. 613.
Figura 7 - Chitarra italiana - ANONIMO, Suonatore di liuto, Roma, Gall. Doria Pamphilj
La Chitarra alla Spagnuola è instromento nuouo; Il Pandero è antichissimo come si può vedere dalla vita d’Eliogabalo, che se ne dilettaua. Il Chitarrimo [!] trovato da Boezio, non si sà ciò che fosse, se non era la Chitarra
comune, la qual desse poi occasione d’inuentare il Liuto, come il Liuto medesimo hà dato materia a’ dì nostri di ritrouare il Chitarrone, ò tiorba, che
supera tutti gli altri istromenti da corda.
Credo di non forzare l’interpretazione di questo passo osservando che
in esso, oltre al pandero, in cui è verosimile riconoscere la piccola mandola di inizio secolo, è chiaramente distinta una “nuova” chitarra spagnola da
una chitarra comune34 considerata prototipo del liuto, quindi inequivo34 Tassoni, oltre al “pandero”, elenca tutti i principali modelli di strumenti a pizzico
in uso a quella data, ossia nel 1620: chitarra spagnola, chitarrino, chitarra comune, liuto, chitarrone, tiorba. Non sembra dunque azzardato supporre che il “pandero” vada
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DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
RENATO MEUCCI
cabilmente con forma a guscio, il che chiarisce così la relazione nominale
col chitarrone, strumento di dimensioni semplicemente maggiori.
Questa sorta di genealogia mi sembra allora suggerire l’opportunità
di riprendere in considerazione un manoscritto napoletano per chitarra
(“catarra”) pubblicato vent’anni or sono da Dinko Fabris.35
Il manoscritto in questione, risalente in parte alla fine del ’500 e in
parte al primo ’600,36 contiene delle danze scritte in intavolatura italiana per uno strumento con 5 cori tastati e 8 corde di bordone (di cui
solo 7 effettivamente utilizzate), strumento a suo tempo identificato con
una chitarra a forma di 8 dotata di corde di bordone. Quanto detto fin
qui spinge tuttavia a rivedere tale pur comprensibile interpretazione e,
alla luce delle nuove conoscenze, a ritenere che lo strumento richiesto
non fosse altro che un chitarrone con cassa a guscio. Nell’ipotesi contraria — bisogna sottolineare — quello in oggetto sarebbe l’unico caso
conosciuto, tra fine ’500 e inizio del ’600, di una chitarra a forma di 8
designata senza il toponimo “spagnola”.
Interpretato in questo modo, è allora possibile che tale manoscritto
costituisca una delle più antiche attestazioni della chitarra italiana con
bordoni, ossia un prototipo del chitarrone: la “catarra” qui richiesta presenta in effetti solo 5 cori tastati, caratteristica che potrebbe documentare una fase iniziale nell’evoluzione del chitarrone, altrimenti sempre
descritto con 6 o più ordini di corde tastate.
Al fine di stabilire un terminus post quem per la comparsa di questo strumento, un documento risolutivo sembra essere costituito dall’inventario
di bottega di due liutai napoletani, risalente al 1578, di recente pubblicato da Francesco Nocerino e nel quale compaiono i seguenti strumenti
a pizzico:37
- chitarra a sette corde
- chitarra a nove corde
- cetola
identificato proprio con l’unico altro modello allora di grande diffusione è assente in
tale lista: la mandola, appunto.
35 D. FABRIS, Danze intavolate per “chitarra tiorbata” in uno sconosciuto manoscritto napoletano (Na, Cons., Ms. 1321), “Nuova Rivista Musicale Italiana”, XV 1981, pp. 405-426.
36 D. FABRIS, Danze intavolate, p. 413.
37 F. NOCERINO, La bottega dei “violari” napoletani Albanese e Matino in un inventario
inedito del 1578, Liuteria Musica e Cultura”, 1999-2000, LIM, Lucca, p. 3-9.
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- liuto a sette corde
- liuto a undici corde
- liuto (liutiello) napoletano a sette corde
Una dettagliata interpretazione di questi e di altri termini presenti nel
suddetto inventario si trova nell’articolo di Nocerino, al quale rimando
il lettore per ulteriori informazioni.38 Qui basterà rilevare che in esso
non compare alcun tipo di chitarra con bordoni, il che può significare
che nessun esemplare era presente in quel momento nella bottega di tali
liutai o che, più probabilmente — vista anche la data del documento —
lo strumento non era ancora stato inventato, ovvero non veniva ancora
costruito abitualmente.
D’altra parte ulteriori testimonianze confermano che solo lentamente, e a seguito di un’alacre sperimentazione, il chitarrone venne assumendo
le fattezze che conosciamo, con una lunga “tratta” supplementare del
manico per accogliere il secondo cavigliere con i bordoni.
La fase intermedia è documentata dalla seconda edizione del Fronimo
(1584) di Vincenzo Galilei, il quale accenna a strumenti (in questo caso
definiti “liuti”) con corde aggiunte “sotto il basso”, ma evidentemente
fissate allo stesso cavigliere delle corde tastate.39 Ancora nel 1592, d’altronde, Giulio Caccini suonava un chitarrone senza “tratta”, come asserisce Alessandro Piccinini nella sua Intavolatura di liuto et di chitarrone. Libro
primo (1623), rivendicando a sé la paternità di quest’ultima invenzione
(la tratta, appunto), avvenuta a suo dire nel 1594: un’affermazione a lungo sospettata, ma oggi ritenuta decisamente attendibile.40 Bisogna cre38 Restano
comunque alcuni dubbi, ad esempio sull’identificazione del liuto a 7 corde
e del liuto (o liutiello) “napoletano” a 7 corde: si trattava forse di uno stesso modello, e
magari di un ulteriore nome alternativo a quello di chitarrino o bordelletto (a quella
data un vero liuto a 7 corde risulta davvero anacronistico).
39 V. GALILEI, Fronimo. Dialogo sopra l’arte di bene intavolare et rettamente sonare la musica
negli strumenti artificiali si di corde come di fiato, et in particolare nel liuto, Erede di Scotto,
Venezia 1584, p. 102.
40 A. PICCININI, Intavolatura di liuto et di chitarrone, cit., pref. di O. Cristoforetti, p. [IX].
A conferma dell’attendibilità di Piccinini andrebbe forse preso in considerazione anche il fatto che tale volume era dedicato ad Isabella d’Austria (1566-1633), figlia di Filippo II re di Spagna e di Elisabetta di Francia, nonché moglie dell’arciduca Alberto di
Absburgo, figlio dell’imperatore Massimiliano II: sicché è ben difficile immaginare una
dichiarazione ingannevole o mendace (tale da suscitare magari delle contestazioni), di
fronte ad una destinazione e ad una dedicataria così altolocate.
RENATO MEUCCI
DA “CHITARRA ITALIANA” A “CHITARRONE”
dere, di conseguenza, che per un certo periodo il nome chitarrone indicasse solo una grande chitarra italiana con qualche corda di bordone
aggiunta nel grave. E questo deve valere in particolare per la più antica
occorrenza datata del termine, presente nell’organico degli intermedi fiorentini della Pellegrina, del 1589.41 Dopo la data del 1594, invece, lo stesso
nome iniziò ad indicare lo strumento con la tratta, così come noi lo conosciamo.
Nel frattempo, tuttavia, aveva fatto la sua comparsa anche la “tiorba”,
sulla quale dobbiamo infine concentrare la nostra attenzione.
Come è noto i termini “chitarrone” e “tiorba” sono oggi considerati
sinonimi. In origine tuttavia essi devono aver designato strumenti effettivamente distinti l’uno dall’altro. A differenza del primo, difatti, la tiorba non sembra aver subìto una fase di sperimentazione e, probabilmente,
fu dotata fin dalla sua origine di un prolungamento per il cavigliere delle corde di bordone. Ad ogni modo già negli anni ’20 del Seicento i due
strumenti venivano confusi tra di loro e le rispettive denominazioni venivano usate come sinonimi. Infine, durante gli anni ’50 il nome chitarrone sparì del tutto per lasciare il posto al solo “tiorba”.
Mi sembra allora che, tra le varie testimonianze riguardanti l’invenzione di quest’ultimo strumento, ve ne sia una decisamente sottovalutata, nonostante si debba all’autorevole Athanasius Kircher, il quale nella
sua Musurgia Universalis del 1650, così afferma:42
letana, potrebbe infatti essersi diffusa rapidamente, sostituendosi ai vari
modelli preesistenti di chitarrone.44 Se così fosse ci sarebbe da sospettare che ad imporre il nuovo nome sia stata la scuola dei virtuosi di liuto
napoletani che si appropriarono dello strumento e che lo portarono a
tanta rinomanza.
Come non pensare allora alla cerchia del principe Gesualdo, virtuoso
egli stesso e attorniato da una serie di specialisti del liuto e di strumenti
affini, cui si potrebbe magari aggiungere perfino il nome di Andrea Falconieri? Ma ad una tesi così suggestiva non può bastare certo uno studio come quello presente, destinato principalmente a risolvere uno
spinoso problema terminologico. Sarà dunque opportuno tornare in futuro su quest’ultima congettura, qui di necessità soltanto suggerita.
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Desidero ringraziare Paul Beier e Andrea Damiani per aver letto e commentato la versione preliminare di questo studio. È solo mia, ad ogni modo, la decisione di non affrontare in questa sede, al solo scopo della sinteticità, una completa
disamina delle opinioni, del tutto divergenti da quelle qui esposte, riscontrabili
nei principali testi su questi strumenti.
la tiorba ha avuto il suo nome da un girovago napoletano che per primo
sdoppiò efficacemente il manico del liuto aggiungendogli varie corde [basse] (essa in precedenza poteva essere usata solo per il registro baritono), e
costui scherzosamente soleva chiamare lo strumento “tiorba”.
Pur senza dimenticare che esistono anche altre spiegazioni circa l’origine del nome tiorba, mi pare che quella qui riportata possa chiarire
meglio delle rimanenti le vicende di cui ci stiamo occupando e cui andò
soggetto il nome dello strumento.43 La tiorba, peculiare dell’area napo41 H. MAYER BROWN, Sixteenth-Century Instrumentation, p. 108 e passim.
42 A. KIRCHER, Musurgia Universalis, p. 476: “Tiorba nomen suum inuenit à
Circumforaneo quodam Neapolitano qui primus testudinis collum productius duplicavit; chordas diuersas
addidit, cùm primò non nisi barytono seruiret, atque hoc instrumentum ioco quodam vocare solebat Tiorbam”.
43 L’ideazione della tiorba viene abitualmente attribuita ad Antonio Naldi (detto il
Bardella) sulla base di una affermazione di G. B. Doni. Esistono comunque ulteriori
tesi, tra cui quella che lo fa discendere da un non meglio precisato signor Tiorba e quella
qui sopra narrata da Kircher. Per quanto riguarda l’etimologia, da sempre molto discussa,
ad una conclusione certa sembra essere finalmente giunto F. D’ASCOLI, Dizionario etimologico napoletano, Edizioni del Delfino, Napoli, 1990, p. 670: “slavo torba = ”sacca
da viaggio, bisaccia”, dal turco torba = idem”. L’inclusione di tale termine in un dizionario etimologico napoletano mi sembra allora un valido indizio — certo non conclusivo ma nemmeno del tutto trascurabile —, per assegnare maggior credibilità
all’ipotesi di un’origine partenopea.
44 In effetti, ad esempio a Bologna, la tiorba sembra aver fatto la sua comparsa successivamente al chitarrone: cfr. S. PASQUAL - R. REGAZZI, Le radici del successo, p. 68 (documento del 1627), p. 80 (documento del 1639), p. 88 (documento del 1649).