ENCICLOPEDIA
DEL DIRITTO
Estratto da I TEMATICI, IV-2022
FAMIGLIA, diretto da Francesco Macario
Ugo A. Salanitro
PROCREAZIONE MEDICALMENTE
ASSISTITA (DIRITTO CIVILE)
P
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (diritto civile)
SOMMARIO: 1. Le questioni interpretative. — 2. Il quadro normativo. —
3. Lo statuto soggettivo del concepito. — Sez. I. L’accesso alla
tecnica: 4. Una terapia per la sterilità. — 5. L’applicazione della
tecnica. — 6. La diagnosi genetica preimpianto. — 7. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa. — 8. I limiti di
accesso per le coppie fertili. — 9. I requisiti soggettivi. — 10. La
rilevanza del consenso. — Sez. II. La filiazione da procreazione
assistita: 11. Profili generali. — 12. La costituzione dello status.
— 13. Le azioni di stato. — 14. La procreazione post mortem. —
15. La procreazione da coppia dello stesso sesso.
1. Le questioni interpretative. — Il tema della
filiazione da procreazione assistita, dietro l’apparente unitarietà delle riflessioni dottrinali, nasconde almeno tre diversi tipi di problema.
Innanzitutto, il problema dell’estensione e
della legittimità costituzionale dei limiti di accesso
contenuti nella disciplina speciale della fecondazione assistita; poi, il problema della costituzione
del rapporto di filiazione in Italia nel caso in cui
l’embrione sia stato fecondato in contrasto con
siffatti limiti; infine, il problema del riconoscimento in Italia dell’atto che registra la costituzione
di un rapporto filiale in altro ordinamento a seguito di una condotta vietata in Italia.
Sul primo tipo di problema, che attiene all’interpretazione dei limiti e dei requisiti posti dalla l.
19 febbraio 2004, n. 40, pesano gli argomenti
utilizzati dalla sentenza della Corte costituzionale
n. 162 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità
della fecondazione eterologa (1): riconoscendo il
diritto della coppia all’autodeterminazione, nonché alla salvaguardia della salute psichica dai
danni derivanti dal desiderio frustrato della procreazione, ha messo potenzialmente in crisi la
(1) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, in Corr. giur., 2014,
1062, con nota di G. FERRANDO, e in Eur. dir. priv., 2014,
1105, con nota di C. CASTRONOVO.
legittimità di tutti i requisiti soggettivi di accesso
alla fecondazione assistita (2), nonché il divieto di
maternità surrogata almeno nella sua versione solidale (3). La tenuta del sistema legislativo dei
requisiti soggettivi sembra, almeno in questa fase,
garantita dalla sentenza della Corte costituzionale
n. 221 del 2019, che ha dichiarato la legittimità del
divieto di accesso alle tecniche per la coppia dello
stesso sesso, traendo argomento dalla natura terapeutica del diritto alla procreazione assistita e
negando conseguentemente ogni intento discriminatorio nella mancata estensione a coppie fisiologicamente sterili (4). Quest’ultima decisione, nei
termini in cui è stata formulata, sembra porsi quale
momento conclusivo di un processo di smantellamento dei vincoli meno giustificabili della disciplina vigente, che è stato perseguito, seppure con
equilibrio e cautela, dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 151 del 2009, sui limiti al
numero di embrione oggetto di fecondazione e di
impianto (5), e nelle sentenze n. 96 del 2015 (6) e
n. 229 del 2015 (7), sugli impedimenti all’accesso
delle coppie fertili suscettibili di trasmettere malattie genetiche.
(2) U. SALANITRO, I requisiti soggettivi per la procreazione
assistita: limiti ai diritti fondamentali e ruolo dell’interprete,
in N. giur. civ., 2016, II, 1360 ss.
(3) A.G. GRASSO, Maternità surrogata altruistica e tecniche di costituzione dello status, Torino, Giappichelli, 2022,
31 ss.
(4) C. cost. 23 ottobre 2019, n. 221, in Foro it., 2019, I,
3782, con nota di G. CASABURI. Per una lettura critica si
consenta il richiamo a U. SALANITRO, A strange loop. La
procreazione assistita nel canone della Corte costituzionale, in
N. leggi civ., 2020, 212 ss., dove si mette in evidenza il
tentativo di obliare il diritto all’autodeterminazione.
(5) C. cost. 8 maggio 2009, n. 151, in Foro it., 2009, I,
2301 ss.
(6) C. cost. 14 maggio 2015, n. 96, in Corr. giur., 2016,
186 ss., con nota di M.A. IANNICELLI.
(7) C. cost. 11 novembre 2015, n. 229, in Dir. fam.,
2016, I, n. 1, 36 ss., e (s.m.) in Foro it., 2015, I, 3749 ss., con
nota di G. CASABURI.
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Procreazione assistita (dir. civ.)
Sul secondo tipo di problema è emblematica la
disciplina originaria della fecondazione eterologa,
che ammetteva la costituzione dello stato di figlio
nato da fecondazione eterologa, allora vietata, in
base al consenso espresso dalla coppia.
Una soluzione nel senso dell’ammissibilità di
un’interpretazione costituzionalmente orientata
del combinato disposto degli art. 8 e 9 l. n. 40 del
2004, volta ad assicurare il diritto del minore alla
duplice figura genitoriale, si trova in numerose
pronunce di merito aventi ad oggetto casi di nascita in Italia conseguenti al ricorso all’estero alla
fecondazione eterologa da parte di coppie omosessuali, con le quali i giudici hanno consentito il
riconoscimento della genitorialità in capo ad entrambe le “madri”, considerando irrilevante la
violazione dei requisiti previsti dalla legge. Di
contrario avviso si è mostrata la giurisprudenza di
legittimità che, vigente il divieto per le persone
dello stesso sesso di ricorrere alle tecniche riproduttive — argomentando anche dalla sentenza n.
221 del 2019 della Consulta, che ne aveva riconosciuto la legittimità — ha respinto la domanda di
rettificazione dell’atto di nascita di un minore nato
in Italia, mediante l’inserimento del nome della
madre intenzionale accanto a quello della madre
biologica (8). La questione è adesso in profonda
evoluzione a seguito dell’ordinanza n. 32 del 2021,
ove la Corte costituzionale ha riconosciuto un
vulnus di tutela nella condizione dei nati a seguito
di fecondazione eterologa praticata da due donne,
i quali verserebbero in una condizione deteriore
rispetto a quella di tutti gli altri nati, data anche
l’insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari per riconoscere il rapporto con il genitore
intenzionale non genetico (9).
In giurisprudenza va ricordata, inoltre, per la
consapevole trattazione, la sentenza di legittimità
n. 13000 del 2019 (10), che ammette la costituzione del rapporto di filiazione del nato da una
pratica vietata di fecondazione post mortem, chiudendo un dibattito già emerso nella giurisprudenza di merito.
Il terzo tipo di problema occupa da qualche
tempo il centro della scena nella riflessione della
dottrina civilistica, pur essendo, in effetti, un tema
di diritto internazionale privato, concernente la
rilevanza nell’ordinamento italiano del certificato
(8) Cass. 3 aprile 2020, n. 7668, in Corr. giur., 2020,
1041, con nota di A.G. GRASSO; Cass. 22 aprile 2020, n. 8029.
(9) C. cost., ordinanza, 9 marzo 2021, n. 32, in Giur. it.,
2021, 311, con nota di C. FAVILLI.
(10) Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, in N. giur. civ.,
2019, 1282 ss., con nota di M. FACCIOLI.
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o della sentenza di altro ordinamento che accerta
la costituzione del rapporto filiale per pratiche non
ammesse dalla nostra legislazione: sullo stesso si
rinvia, per competenza disciplinare, a PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO).
2. Il quadro normativo. — Il superamento di
alcune delle regole più restrittive, considerate in
contrasto con il vincolo costituzionale e internazionale, non impone tuttavia di rimettere in discussione l’intero impianto legislativo. Va, infatti,
confermata l’idea, che ha permeato la legge, di
ammettere il ricorso alle tecniche mediche riproduttive ogni qualvolta esse consentano alle persone sterili di essere equiparate a quelle fertili,
salvo che una diversa soluzione non si imponga al
fine di salvaguardare interessi altrettanto meritevoli; mentre al di fuori di questo specifico ambito,
si pongono delicate questioni di definizione dei
limiti entro i quali la procreazione medicalmente
assistita possa essere utilizzata quale modello alternativo alla procreazione naturale, in modo da
disarticolare la rilevanza dell’interesse genitoriale
ad evitare la trasmissione di malattie incurabili da
interessi eugenetici in contrasto con la dignità
dell’uomo.
Sono questi i cardini entro i quali si collocano
le scelte degli ordinamenti dei Paesi europei di
consentire e regolare l’accesso alle tecniche di
procreazione assistita in un ampio spettro di modelli tra loro alternativi, alcuni più liberali, altri più
restrittivi (v. FAMIGLIA: EVOLUZIONE DEI MODELLI SOCIALI E LEGALI). Cardini che assumono rilievo anche
nell’analisi della legislazione italiana, la quale è
apparsa sin dalle prime letture caratterizzata dall’accoglimento di un modello limitativo: la legge,
fortemente contestata e sottoposta a referendum
abrogativo, non si è limitata a regolare le tecniche
di procreazione assistita, ma è intervenuta anche
sui limiti alla ricerca scientifica nel trattamento
degli embrioni (11).
Va tuttavia evidenziato che la contrapposizione
tra le istanze favorevoli all’interesse alla procreazione e alla ricerca scientifica e quelle più restrittive permeate da valutazioni etiche e morali ha
(11) Anche del tema della ricerca clinica o sperimentale
sull’embrione è stata investita la Corte costituzionale, che
con la pronuncia 13 aprile 2016, n. 84, in Foro it., 2016, I,
1509 ss., pur rilevando che il bilanciamento contenuto nella
legge tra libertà di ricerca scientifica e limiti al trattamento
degli embrioni non sia obbligato, ha comunque ritenuto non
censurabile la scelta del legislatore di prediligere la tutela
dell’embrione sulle contrapposte esigenze della ricerca
scientifica.
Procreazione assistita (dir. civ.)
prodotto una legislazione che — collocandosi nel
solco delle scelte di regolamentazione di temi di
forte impatto etico (in primis, la normativa sull’interruzione di gravidanza) — si è rivelata, ad un
attento esame, di rigore incerto: a fronte di enunciati di principio di apparente rigidità, le singole
regole si sono presentate come il frutto di compromessi, più o meno ragionevoli, volti a riconoscere spazi di tutela e di libertà che sarebbero stati
altrimenti preclusi (si pensi all’art. 9 l. n. 40 del
2004 o alla salvezza della disciplina dell’interruzione della gravidanza).
Si deve peraltro segnalare che la normativa de
qua non è stata caratterizzata soltanto dalla contrapposizione tra la rigidità dei principi e il carattere compromissorio delle regole: non meno rilevante è stata la mancata disciplina di taluni profili
tutt’altro che marginali (si pensi alla diagnosi
preimpianto o ai requisiti per l’impianto di embrioni fecondati), per i quali si è posto il problema
se i silenzi del diritto scritto costituissero lacune da
colmare in via analogica (sviluppando la portata
dei principi) ovvero tecniche volte a riconoscere
spazi di libertà (traendo argomento anche dalla
tendenziale tassatività delle sanzioni penali o amministrative).
L’incertezza e la lacunosità del dato legislativo
trova, in effetti, una precisa conferma nell’analisi
dei lavori preparatori. Al riguardo, va evidenziato
che il testo unificato votato a maggioranza dalla
XII Commissione Affari sociali della Camera dei
deputati nel maggio 2001, con Relazione di D.
Bianchi (d’ora in poi: testo unificato Bianchi),
molto restrittivo e coerente nel suo rigore, è stato
significativamente modificato dalla votazione in
Aula, introducendo proprio quelle disposizioni
che hanno in larga misura prodotto lacune e contraddizioni. Il testo approvato in prima lettura
dall’Aula della Camera dei deputati — e poi modificato solo per aspetti formali al Senato — si
presenta quindi come soluzione di compromesso
— successivamente blindata da una maggioranza
trasversale — nella quale appare frutto di una
scelta consapevole lo iato tra l’apparente rigidezza
dei principi e la relativa elasticità delle soluzioni
applicative. Il successivo dibattito parlamentare
non appare perciò utile per l’interpretazione delle
disposizioni vigenti, se non nella misura in cui non
sono state consentite altre variazioni che avrebbero reso meno incerte, o più esplicite, determinate scelte normative: ma dalla mancata approvazione di determinati emendamenti, a differenza di
quanto sostenuto da altri interpreti, non si pos-
sono trarre indicazioni per sciogliere l’incertezza
in senso opposto.
3. Lo statuto soggettivo del concepito. —
Espressione emblematica di una soluzione di compromesso, aperta ad una molteplicità di chiavi di
lettura, è la formula adottata dall’art. 1 l. n. 40 del
2004, secondo la quale la disciplina sulla procreazione assistita « assicura i diritti di tutti i soggetti
coinvolti, compreso il concepito »: formula che,
nella parte in cui qualifica il concepito quale soggetto titolare di diritti, ha richiamato l’attenzione
della dottrina e della giurisprudenza, dando vita
ad un dibattito in cui le opzioni ideologiche hanno
sovente fatto premio sui profili tecnici.
Il dibattito si è indirizzato in questi termini,
perché la formula legislativa è stata considerata
conforme alla volontà di equiparare l’interesse alla
tutela dell’embrione e/o del concepito con gli
interessi della donna o della ricerca scientifica.
Volontà che, in effetti, è sottesa a quelle letture
rivolte non soltanto a un’interpretazione delle
norme costituzionali intesa a rafforzare la posizione degli interessi alla tutela della vita prenatale
rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti, ma a trarre anche argomenti nello stesso
senso dalla estensione della nozione di persona o
di soggetto al concepito o all’embrione, anticipando la rilevanza della disciplina civilistica della
capacità giuridica al momento della fecondazione:
secondo questi interpreti, infatti, l’anticipazione
della capacità giuridica alla vita prenatale assumerebbe rilievo nel bilanciamento costituzionale degli interessi, riconoscendo al concepito la titolarità
dei diritti della personalità e comportando conseguentemente, per la prevalenza del diritto alla vita
su ogni altro interesse, l’incostituzionalità della
disciplina dell’aborto.
È in questa cornice che va inquadrata la reazione di altra parte della dottrina e della giurisprudenza, la quale ha criticato la formula legislativa,
in quanto giudicata in contrasto con il sistema del
diritto civile che, limitando la capacità giuridica ai
soggetti già nati (art. 1 c.c.), escluderebbe la soggettività dell’embrione, riconoscendo piuttosto
che il concepito possa rivestire soltanto il ruolo di
oggetto di tutela dell’ordinamento: desumendo in
tal modo, dal contrasto della volontà legislativa
con il sistema, la sua irrilevanza anche rispetto al
bilanciamento costituzionale d’interessi.
Il singolare intreccio tra temi di rilevanza civilistica e temi di rilevanza costituzionale impone
una rimeditazione dell’intera questione (cfr. FAMI-
1017
Procreazione assistita (dir. civ.)
GLIA: BIOETICA E DIRITTO),
che proceda alla disarticolazione delle questioni rilevanti.
Va preliminarmente osservato che la collocazione della disposizione nella legge speciale induce
a ritenere che con il termine « concepito » si intenda anche l’embrione in vitro non impiantato (12); al contempo va rilevato che il riferimento
al concepito, piuttosto che all’embrione, depone
nel senso di una valenza generale del richiamo, da
estendersi ad ogni forma di vita umana prenatale (13).
Ciò posto, va sin da subito messo in rilievo che
l’idea che il concepito sia soggetto di diritti non è
stata riconosciuta per la prima volta dalla disposizione in oggetto, poiché risale piuttosto alla
sentenza della Corte costituzionale n. 27 del
1975 (14), con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p. « nella parte
in cui non prevede che la gravidanza possa essere
interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi
danno o pericolo, grave, medicalmente accertato
[...] e non altrimenti evitabile, per la salute della
madre »: proprio in questa sentenza, che ha aperto
la strada alla legittimità dell’interruzione di gravidanza, si è indicato il collegamento tra il riconoscimento dei diritti fondamentali e la tutela del
concepito. Il fondamento costituzionale della tutela del concepito è stato individuato, infatti, non
solo nell’art. 31 comma 2 cost., il quale impone
espressamente la tutela della maternità, ma anche
nell’art. 2 cost., « che riconosce e garantisce i
diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può
non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del
concepito ». Va tuttavia sottolineato che la qualificazione in termini soggettivi della tutela del concepito non ha determinato la legittimità costituzionale della norma penale punitiva dell’aborto, in
quanto nella sentenza si è osservato che l’interesse
del concepito può entrare in collisione con altri
beni tutelati a livello costituzionale e che necessitano anch’essi di adeguata protezione: nel procedere al bilanciamento di interessi, la Corte ha
negato che sussista equivalenza tra il diritto alla
(12) F. MODUGNO, La fecondazione assistita alla luce dei
principi della giurisprudenza costituzionale, in Procreazione
assistita: problemi e prospettive (Atti del Convegno dei Lincei, Roma, 31 gennaio 2005), Fasano (Brindisi), Schena,
2005, 238 s.
(13) In senso opposto, per la limitazione al solo embrione in vitro, R. VILLANI, Procreazione assistita, in Trattato
di diritto di famiglia diretto da P. ZATTI, VII. Aggiornamenti
(gennaio 2003 - giugno 2006), Milano, Giuffrè, 2006, 262 ss.
(14) C. cost. 18 febbraio 1975, n. 27, in Giur. it., 1975,
I, 1416 ss.
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vita o alla salute della madre e la salvaguardia
dell’embrione, in quanto la prima « è già persona », mentre il secondo « persona deve ancora
diventare ». Il ricorso al concetto di « persona » ha
consentito di esprimere, con formula sintetica, la
differenza di valore, sul piano della tutela costituzionale, tra gli interessi della madre e quelli del
concepito: ma non vi è ragione di attribuire a tale
il richiamo, se non in senso improprio, uno specifico riferimento alla disciplina civilistica della capacità giuridica o al concetto di « persona » quale
soggetto di diritto.
È alla luce di tali precedenti che va valutata
l’incidenza dell’art. 1 l. n. 40 del 2004, della cui
portata innovativa sul bilanciamento costituzionale d’interessi sembra lecito dubitare, quantomeno in relazione al conflitto regolato dalla normativa sull’interruzione della gravidanza (15). Al
contrario, va rilevato che il dato legislativo trasmette la precisa volontà di non modificare gli
equilibri consolidati dalla giurisprudenza costituzionale: volontà desumibile non tanto, o non solo,
dal mancato riferimento letterale al concetto di
« persona » e dal ricorso alla figura meno evocativa di « soggetto » (16), quanto piuttosto dalla
scelta, avvenuta nel corso del dibattito in Aula alla
Camera dei deputati, di introdurre l’esplicita salvezza della legge sull’interruzione di gravidanza
nei commi 1 e 4 dell’art. 14 e di abrogare il comma
2 dell’art. 2 del testo unificato Bianchi, nel quale si
prevedeva che « nell’applicazione delle tecniche di
procreazione medicalmente assistita, la presente
legge assicura il diritto a nascere del concepito ».
Sgombrato il campo dal problema delle conseguenze sulla disciplina dell’interruzione di gravidanza, occorre chiedersi se la qualificazione del
concepito come soggetto di diritto assuma una
(15) Lo escludono non solo coloro che negano rilevanza
alla soggettività (per tutti N. LIPARI, Legge sulla procreazione
assistita e tecnica legislativa, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 203), ma anche chi autorevolmente
aderisce alla concezione soggettiva prospettata dalla norma:
F.D. BUSNELLI, L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ.,
2004, I, 563 ss.; M. SESTA, La filiazione, in Trattato di diritto
privato diretto da BESSONE, IV. Il diritto di famiglia, t. 4.
Filiazione, adozione, alimenti a cura di T. AULETTA, Torino,
Giappichelli, 2011, 340.
(16) Così MODUGNO, op. cit., 246 ss., il quale reputa che
il ricorso al concetto di « soggetto » indichi un livello di
tutela minore rispetto a quello riconosciuto attraverso il
concetto di « persona »: il discorso assume una rilevanza
specifica nella misura in cui si ritenga che la qualificazione
del concepito come persona, in sede di legislazione ordinaria, avrebbe inciso sull’applicazione dell’art. 2 CEDU, così
come interpretato dalla sentenza della Corte di Strasburgo 8
luglio 2004, Vo c. France, secondo la quale tale diritto spetta
solo alle « persone » e non a qualsiasi essere umano.
Procreazione assistita (dir. civ.)
specifica rilevanza nell’ambito della disciplina
sulla procreazione assistita, consentendo di giustificare i limiti che la legge impone al diritto della
coppia di accedere alle tecniche procreative a
tutela della propria salute psicofisica, nonché al
diritto di praticare la ricerca scientifica.
In realtà, la questione potrebbe essere disarticolata. Si può dubitare che il riferimento alla
figura del « soggetto di diritti » sia conducente —
già sul piano concettuale — con riguardo a quelle
norme che pongono limiti alla creazione di nuovi
embrioni, sia nelle pratiche di fecondazione assistita (ad esempio, divieto di accesso alle tecniche
per i soggetti fertili o carenti dei requisiti soggettivi, divieto di fecondazione eterologa, divieto di
produzione di embrioni soprannumerari, ecc.), sia
nella ricerca scientifica (ad esempio, divieto di
creazione di embrioni per la ricerca): come dimostra la circostanza che in materia di fecondazione
eterologa la Corte costituzionale ha bilanciato i
diritti attuali della coppia con i diritti (potenziali)
all’identità genitoriale o alle informazioni sulla
propria origine.
Il richiamo sarebbe piuttosto congruo quando
è posto a fondamento di quelle regole che proteggono gli embrioni già formati (divieto di sperimentazione sugli embrioni, obbligo d’impianto degli
embrioni già formati, divieto di soppressione e
crioconservazione, divieto di clonazione): ma anche in questi casi può essere negato che la formula
dell’art. 1 l. n. 40 del 2004 sia in grado di modificare il bilanciamento d’interessi sancito in generale dalla Corte costituzionale, come dimostra l’argomentazione della citata pronuncia n. 151 del
2009. Pure questa sentenza si è espressa, infatti,
per la prevalenza dell’interesse alla salute della
donna rispetto a quello della vita o della salute
dell’embrione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dei commi secondo e terzo dell’art. 14
della legge de qua, perché lesivi della salute della
donna: anche se non è stato ripreso l’argomento
della comparazione tra chi “è già persona” e chi
“persona deve diventare”, la definizione del concepito come soggetto di diritto non ha impedito
alla Corte di posporne gli interessi rispetto a quelli
della salute della donna.
Occorre adesso chiedersi se la qualificazione
del concepito quale soggetto di diritti possa, su un
altro piano rispetto al bilanciamento costituzionale
d’interessi, esprimere regole diverse da quelle desumibili da una eventuale disciplina che fosse
formulata in termini meramente oggettivi. Una
risposta negativa sembra trarsi dalla motivazione
della sentenza della Consulta n. 48 del 2005 (17),
che ha ammesso il referendum abrogativo dell’intero art. 1, dove si rileva che la disposizione, sotto
questo aspetto, presenterebbe « un contenuto meramente enunciativo, dovendosi ricavare la tutela
di tutti i soggetti coinvolti e, quindi, anche del
concepito, dal complesso delle altre disposizioni
della legge »: risposta negativa che in linea di
massima si condivide, anche se non può essere
sottaciuto che la qualificazione soggettiva, per la
sua portata generale, non può non incidere sull’interpretazione delle altre disposizioni di legge, le
quali, in mancanza di interessi rilevanti di segno
diverso, devono essere intese in senso favorevole
alla sopravvivenza e all’impianto degli embrioni
già fecondati. In conformità con tale principio le
norme che vietavano la fecondazione eterologa e
che tuttora limitano i requisiti soggettivi per l’accesso alle pratiche terapeutiche vanno considerate
applicabili soltanto alla fase della fecondazione
dell’embrione e non sono da intendere quali preclusive al successivo impianto (18).
La configurazione dell’embrione quale soggetto di diritto potrebbe assumere inoltre un’autonoma rilevanza, con specifico riferimento alla
materia della procreazione assistita, nella misura in
cui si reputi che, anche in assenza di una previsione specifica, la tutela dell’embrione possa consentire spazi di autonomia nell’esercizio di determinate scelte. In tale prospettiva, si può ammettere che sia rimessa ad un soggetto terzo (i “genitori” o un curatore) l’espressione del consenso
all’accoglimento dell’embrione presso altra coppia: la mancanza di una regolamentazione analitica
— non essendo stata accolta, nel testo approvato
in via definitiva, la proposta di disciplina dell’art.
16 del già citato testo unificato Bianchi — non
appare preclusiva, perché le lacune possono essere
colmate attraverso il ricorso in via analogica alle
norme e ai principi che disciplinano la fecondazione eterologa, secondo il modello accolto dalla
Corte costituzionale.
Sez. I. – L’ACCESSO
ALLA TECNICA.
4. Una terapia per la sterilità. — Tra le patologie che assumono rilievo nelle società industrializzate vi sono certamente quelle connesse al ciclo
(17) C. cost. 28 gennaio 2005, n. 48, in Giur. it., 2005,
2018 ss., con nota di R. SCIATTA.
(18) In tal senso C. CASINI, M. CASINI e M.L. DI PIETRO,
La legge 19 febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di
procreazione medicalmente assistita”. Commentario, Torino,
Giappichelli, 2004, 184 s.
1019
Procreazione assistita (dir. civ.)
riproduttivo, indicate dal legislatore con l’endiadi
« sterilità e infertilità » (19): la distinzione non
sembra sia stata assunta nel suo significato tecnico
dal legislatore, il quale piuttosto ha utilizzato l’endiadi in senso genericamente comprensivo della
sussistenza di ostacoli psicofisici alla procreazione,
in modo tale da non escludere i casi di ridotta
fertilità (20).
A fronte della consistenza del fenomeno, la
disciplina in esame adotta una pluralità di strumenti di intervento, tra i quali la procreazione
medicalmente assistita assume un carattere residuale. Il dato normativo tende in primo luogo a
promuovere, attraverso specifici finanziamenti,
una maggiore conoscenza delle cause delle patologie della riproduzione, al fine di individuare e
porre in atto adeguate misure preventive e terapeutiche (art. 2). Oltre all’approccio preventivo —
in cui assumono specifica importanza le campagne
di informazione (art. 2 comma 1) e l’attribuzione
di una nuova competenza ai consultori familiari
(art. 3) — e a quello strettamente terapeutico
inteso a rimuovere le condizioni di sterilità, la
consapevolezza della complessità del superamento
degli stati patologici ha sollecitato un intervento
normativo articolato finalizzato a superare i problemi riproduttivi mediante il ricorso alla procreazione assistita.
Occorre ricordare che, nell’impostazione normativa, l’accesso alle pratiche di procreazione medicalmente assistita è reso più difficile da due
diversi versanti: per un verso, si incoraggia la
coppia sterile, attraverso momenti informativi (art.
3 comma 1, ultimo alinea; art. 6 comma 1), al
ricorso alle procedure dell’adozione o dell’affidamento, tentando di dissuaderla dall’accesso alla
procreazione assistita; per altro verso, si impone al
medico curante di accertare, prima di intervenire
con tecniche di procreazione assistita, che non vi
siano « altri metodi terapeutici » efficaci per ri(19) Secondo i testi specialistici settoriali, per sterilità si
intende l’incapacità biologica da parte di un uomo o di una
donna di contribuire al concepimento, mentre per infertilità
si intende l’incapacità di portare a termine una gravidanza da
una donna in grado di concepire; secondo altra distinzione
tecnica la sterilità si riferisce ad una condizione più grave
della infertilità e riguarda la coppia e non il singolo componente. Entrambe le distinzioni sono richiamate dalle Linee
guida, le quali esplicitamente affermano di utilizzare i termini legislativi quali sinonimi.
(20) In senso diverso, per l’esclusione delle ipotesi di
coppie ipofertili: SESTA, La filiazione, cit., 341; da ultimo la
tesi esposta nel testo sembra contrastata anche dalla sentenza
della C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit., che richiama,
quale presupposto per l’applicazione della fecondazione eterologa, una sterilità o infertilità di carattere assoluto.
1020
muovere le patologie che impediscono la procreazione (art. 1 comma 2; art. 4 comma 1).
L’idea di considerare l’adozione quale strumento alternativo alla procreazione medicalmente
assistita, non condivisa dalla dottrina prevalente (21), muove da un approccio di tipo solidaristico volto a coniugare la soddisfazione delle
esigenze di genitorialità con l’interesse del minore
in stato di abbandono ad essere accolto in un
nuovo nucleo familiare (22); approccio che richiederebbe tuttavia scelte di semplificazione della
disciplina dell’adozione e che non appare efficacemente estensibile, per la precarietà che lo caratterizza, all’istituto dell’affidamento (salvo a non
intendere la norma nel senso che sia riferita solo
all’affidamento preadottivo). Va osservato piuttosto che uno sviluppo coerente di tale impostazione
avrebbe potuto condurre alla previsione di una
disciplina dei requisiti di accesso all’adozione
coincidente o più ampia rispetto a quella dei
requisiti di accesso alla procreazione assistita (23);
scelta che il legislatore italiano non ha perseguito,
come dimostra in particolare l’esclusione delle
coppie conviventi, ammesse alla procreazione assistita, dalle procedure di adozione.
L’imposizione al medico dell’obbligo di accertare l’impossibilità di rimuovere le cause che impediscono la procreazione naturale non può essere
intesa in senso letterale (24), in quanto comporterebbe la singolare conseguenza, lesiva dell’interesse della coppia sterile, di uno sforzo diagnostico
e terapeutico protratto nel tempo tale da non
consentire un tempestivo ed efficace intervento di
procreazione assistita. La norma va interpretata,
secondo una lettura costituzionalmente orientata,
come una direttiva di residualità tendenziale, la
quale in ogni caso tiene integro il potere di valu(21) Cfr. R. VILLANI, La procreazione assistita. La nuova
legge 19 febbraio 2004, n. 40, Torino, Giappichelli, 2004, 229
ss.; F. NADDEO, Accesso alle tecniche, in Procreazione assistita.
Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 a cura di P.
STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, Milano, Giuffrè, 2004, 63 ss.;
M. DOGLIOTTI e A. FIGONE, Procreazione assistita. Fonti,
orientamenti, linee di tendenza, Milano, Giuffrè, 2004, 102;
I. CORTI, La procreazione assistita, in Il nuovo diritto di
famiglia. Trattato diretto da G. FERRANDO, III. Filiazione e
adozione, Bologna, Zanichelli, 2007, 500 s.
(22) In tema F.D. BUSNELLI, Procreazione artificiale e
filiazione adottiva, in Familia, 2003, I, 1 ss.; P. MOROZZO
DELLA ROCCA, Riflessioni sul rapporto tra adozione e procreazione medicalmente assistita, in Dir. fam., 2005, I, 217 ss.
(23) Lo rileva F. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale,
in Dir. fam., 2005, 177 s.
(24) Cfr. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 59 s.; M.
FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, in D. disc.
priv., sez. civ., Aggiornamento, III, 2007, 1060.
Procreazione assistita (dir. civ.)
tazione e di scelta del medico, per cui va escluso
l’accesso alla pratica procreativa assistita e va piuttosto perseguito il tentativo di curare direttamente
la patologia solo qualora vi siano alte probabilità
di successo di interventi terapeutici intesi a risolvere le condizioni di sterilità in tempi ragionevoli.
Una diversa soluzione non appare giustificata
sotto il profilo del bilanciamento degli interessi
costituzionalmente rilevanti, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 2009,
anche perché va reso evidente che, nella disciplina
italiana, la procreazione medicalmente assistita,
ancorché residuale, è considerata espressamente
anch’essa un metodo terapeutico, come si desume
dalla lettera del comma 2 dell’art. 1 l. n. 40 del
2004, dove si usa la formula « altri metodi terapeutici ». Formula alla quale ha dato rilevanza la
sentenza della Corte costituzionale n. 162 del
2014, già richiamata all’inizio della nostra trattazione, che ha qualificato la procreazione medicalmente assistita quale pratica terapeutica per le
patologie psichiche legate alla sterilità: traendo
argomento, per la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, dall’incidenza negativa di tale divieto sul diritto alla
salute psichica della coppia, la cui lesione sarebbe
conseguente all’impossibilità di accedere alla filiazione.
Le tecniche di procreazione assistita vanno
comunque applicate in base al criterio di gradualità (25), volto ad evitare l’uso delle modalità più
invasive ogni qualvolta si possa reputare adeguato
un intervento meno gravoso, sul piano fisico o
psicologico, per il paziente (art. 2 lett. a): ad
esempio, in forza di tale criterio si dovrebbe tendenzialmente escludere il ricorso alla fecondazione
in vitro qualora si consideri altrettanto efficace
l’uso delle tecniche procreative in vivo, nonché ad
un escludere la fecondazione eterologa se non nei
casi in cui sia inefficace quella omologa.
5. L’applicazione della tecnica. — Nella formulazione originaria della legge è stato previsto
l’obbligo del medico di produrre un numero di
embrioni non superiore a quello strettamente necessario, in ogni caso non superiore a tre, e di
procedere a un unico e contestuale impianto in
utero (art. 14 comma 2); inoltre è stato sancito che
(25) Secondo le Linee guida, nella definizione di gradualità, « il medico deve tenere conto dell’età della donna,
delle problematiche specifiche della coppia, delle presumibili cause dell’infertilità e della sterilità di coppia, dei rischi
inerenti le singole tecniche, sia per la donna che per il
concepito, nel rispetto dei principi etici della coppia stessa
ed in osservanza del dato della legge ».
l’impianto può essere rinviato soltanto nel caso in
cui sopraggiunga una causa di forza maggiore
attinente allo stato di salute della donna imprevedibile al momento della fecondazione; solo in tal
caso è stata ammessa la crioconservazione degli
embrioni sino al momento in cui è cessata la causa
di forza maggiore ed è ridiventato possibile l’impianto (art. 14 comma 3).
Nella sentenza n. 151 del 2009, la Corte costituzionale muove dall’idea che il limite massimo di
produzione di tre embrioni non consenta di adottare in ogni circostanza la terapia idonea ad ottenere un risultato positivo in termini procreativi: la
regola posta dal legislatore non terrebbe infatti
conto della circostanza che le possibilità di successo degli interventi di assistenza alla procreazione possono variare considerevolmente da persona a persona, in quanto dipendono dalle caratteristiche degli embrioni e dalle condizioni soggettive delle donne (tra le quali un ruolo rilevante
assume l’età, il cui avanzamento riduce la probabilità della gravidanza). La Consulta ha reputato
pertanto che il limite numerico, aumentando il
rischio d’insuccesso del prodotto di ogni ciclo di
fecondazione, imponga la moltiplicazione dei cicli
di stimolazione ovarica, con conseguente pericolo
d’insorgenza di numerose patologie; al contempo
ha ritenuto che l’obbligo di contestuale impianto
di tutti gli embrioni fecondati determini il rischio
opposto di gravidanze plurime, con altri pericoli
per la salute della donna, e degli stessi feti, che
potrebbero determinare l’esigenza di ricorrere a
pratiche abortive.
Le previsioni normative, che stabiliscono il
numero massimo di produzione di embrioni e
l’obbligo di contestuale impianto, limitano pertanto in modo ingiustificato, secondo la prospettiva della Corte, la valutazione discrezionale del
medico rispetto ad ogni singolo caso sottoposto al
trattamento: tale valutazione, infatti, in presenza di
siffatte disposizioni, non può essere effettuata secondo le più aggiornate ed accreditate conoscenze
tecnico-scientifiche, in modo tale da ridurre al
minimo il rischio per la salute della donna e del
feto. Si reputa pertanto che siano violati i limiti
alla discrezionalità legislativa i quali, secondo la
stessa giurisprudenza costituzionale, anche precedente, sarebbero sottoposti alla prevalenza dei
principi di autonomia e di responsabilità della
professione medica nella scelta delle tecniche applicabili in base all’evoluzione delle acquisizioni
scientifiche e sperimentali.
La disposizione del comma 2 dell’art. 14 è stata
pertanto considerata in violazione dell’art. 3 —
1021
Procreazione assistita (dir. civ.)
poiché il legislatore avrebbe riservato, in contrasto
con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, il
medesimo trattamento alle diverse ipotesi in cui
possono versare le coppie che accedono alla procreazione assistita — e dell’art. 32 della Costituzione, per il conseguente pregiudizio alla salute
della donna e, eventualmente, del feto. La norma
è ritenuta costituzionalmente illegittima limitatamente alla frase « a un unico e contemporaneo
impianto e comunque non superiore a tre »: attraverso tale operazione di ortopedia legislativa, resta
salvo il principio per cui le tecniche di produzione
degli embrioni non devono creare un numero di
embrioni superiore a quello strettamente necessario, rimettendo integralmente alla discrezionalità
medica la determinazione, di volta in volta, del
limite massimo.
Nella valutazione della Consulta, pertanto, il
bilanciamento d’interessi colloca la salute della
donna in una posizione prevalente, di integrale
tutela, coerentemente con i principi affermati nei
precedenti in materia di interruzione di gravidanza; solo una volta soddisfatta tale esigenza di
tutela, infatti, si tiene fermo il limite al potere del
medico nella produzione di embrioni soprannumerari, da esercitare in modo da tenere conto del
valore della dignità della vita umana prenatale (26).
Se la portata della caducazione parziale del
comma 2 si presenta chiara già dalla lettura del
dispositivo, occorre una valutazione più analitica,
che tenga conto anche della parte motiva, per
intendere la rilevanza della dichiarazione d’incostituzionalità del comma 3 « nella parte in cui non
prevede che il trasferimento degli embrioni, da
realizzare appena possibile, come stabilisce tale
norma, debba essere effettuato senza pregiudizio
della salute della donna ». Il dispositivo si presenta
ambiguo, ma l’intento della Corte è chiaramente
(26) Si dimostra pertanto che, anche nella prospettazione della Corte, l’introduzione, a livello di legislazione
ordinaria, della norma che promuove a « soggetto » il concepito non è idonea a modificare il criterio gerarchico di
bilanciamento tra gli interessi di chi è nato e gli interessi di
chi ancora deve nascere. Va tuttavia sottolineato che, nella
stessa sentenza, si giustifica il venire meno dell’obbligo di
contestuale impianto e la conseguente deroga al divieto di
crioconservazione, non solo facendo riferimento al diritto
alla salute della donna, ma assumendo la rilevanza, quantomeno eventuale, anche dell’interesse di evitare rischi alla
salute del feto conseguenti alla possibilità di gravidanze
plurime: se ne deduce che, nell’intenzione della Corte, l’interesse ad un sicuro e sano sviluppo del feto assume una sua
autonoma rilevanza (a prescindere dalla correttezza della
qualifica in termini di diritto) e risulta essere prevalente
rispetto al contrapposto interesse di assicurare chance di
nascita a tutti gli embrioni prodotti.
1022
enunciato nella motivazione, dove si assume che,
una volta dichiarata l’incostituzionalità del secondo comma nella parte che pone l’obbligo di
contestuale impianto di tutti gli embrioni fecondati, si è prodotta una deroga al principio generale
di divieto della crioconservazione, disposto dal
comma 1 dell’art. 13, in quanto, quale « logica
conseguenza » della caducazione dell’obbligo, si
determina « la necessità del ricorso alla tecnica di
congelamento con riguardo agli embrioni prodotti, ma non impiantati per scelta medica ». La
dichiarazione d’incostituzionalità del comma 3
pertanto andrebbe intesa nel senso che accanto
alla deroga prevista originariamente, di carattere
eccezionale, sussiste un’altra deroga, di carattere
generale, per cui l’impianto degli embrioni prodotti andrebbe in ogni caso gestito con modalità e
tempistica che, pur limitando al minimo i tempi di
crioconservazione, siano idonee a non arrecare
pregiudizio alla salute della donna: in applicazione
di tale criterio, il medico può disporre un numero
variabile di cicli successivi di impianto con una
quantità variabile di embrioni da impiantare per
ogni ciclo, in modo da aumentare le possibilità di
successo e da ridurre al contempo il rischio di
gravidanze plurime. Conseguentemente, gli embrioni prodotti possono essere sottoposti a processi di congelamento, di durata variabile nel
tempo, e possono essere impiantati anche uno alla
volta.
Resta da risolvere il problema della sorte degli
embrioni residui: secondo la scelta adottata dalle
Linee guida del 2004 gli embrioni non utilizzati si
sarebbero dovuti lasciare nella coltura sino all’estinzione (e tale pratica si supponeva lecita,
perché non ricadente nel divieto di soppressione o
crioconservazione dell’embrione); una diversa
scelta, volta a ricondurre tale ipotesi nella regola
generale tendente alla crioconservazione tendenzialmente perpetua degli embrioni non utilizzati (27), sembra desumibile dalle Linee guida
successive (a partire dal 2008) e ha trovato copertura costituzionale nella decisione della Corte costituzionale n. 229 del 2015, quale tecnica di tutela, allo stato adeguata, della dignità dell’embrione.
6. La diagnosi genetica preimpianto. — In un
ordinamento che ammette l’interruzione di gravidanza ogni qualvolta il rischio di malattia genetica
del feto pregiudichi le condizioni psichiche della
(27) Aveva già sostenuto tale soluzione Ri. CHIEPPA,
Conclusioni, in Procreazione assistita: problemi e prospettive,
cit., 536.
Procreazione assistita (dir. civ.)
donna, è pienamente coerente con il sistema dei
valori che si consenta, in sede di fecondazione in
vitro, la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni, in modo da permettere alla coppia di conoscere quali siano le condizioni di salute dell’embrione, anche per accedere con maggiore serenità
ai successivi trattamenti e alla gravidanza.
Il problema dell’ammissibilità della diagnosi
genetica preimpianto si è rivelato uno dei più
controversi nell’interpretazione della disciplina vigente: se è vero che già nella Risoluzione del
Parlamento europeo del 16 marzo 1989 (28) si
negava il diritto di ricorrere alla fecondazione in
vitro per la selezione degli embrioni e conseguentemente si chiedeva agli Stati membri di vietare
qualsiasi forma di esame genetico al di fuori del
corpo materno, va tuttavia costatato che il divieto
di diagnosi preimpianto, pur essendo stato presente nel dibattito politico, non è espressamente
disposto e non sembra che possa essere desunto
dalle regole disposte nel comma 2 e nella lett. b del
comma 3 dell’art. 13 l. n. 40 del 2004 (29).
La regola del comma 2 dell’art. 13 limita la
ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione
alle ipotesi in cui si perseguono finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela
della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso; la
regola del comma 3 lett. b dello stesso articolo
pone un divieto specifico alle forme di selezione a
scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti,
ovvero agli interventi che, attraverso tecniche di
selezione, manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti a predeterminarne caratteristiche genetiche, escludendo dal divieto gli interventi aventi finalità diagnostiche e
terapeutiche indicati nel comma 2 dello stesso
articolo.
Si può dubitare, per entrambe le norme, che
esse vietino la diagnosi genetica preimpianto, attraverso due distinti percorsi argomentativi.
Per un verso, può sostenersi che la diagnosi
genetica dell’embrione da impiantare rientri tra gli
interventi aventi finalità diagnostiche, perché ri(28) Doc. A 2-327/88, in G.U.C.E. 17 aprile 1989, n. C
96, 165 ss.
(29) Si tenga presenta a tal proposito che nella Relazione al testo unificato Bolognesi, che nell’art. 16 già conteneva le regole poste dai primi tre commi dell’art. 13 del testo
ora vigente, si dichiarava senza tentennamenti la sussistenza
in Commissione di « ampie sintonie » sul testo da approvare,
con riferimenti ad alcuni aspetti, tra i quali viene indicata la
necessità di « prevedere indagini genetiche per prevenire
malformazioni e malattie », sottolineando al contempo come
« nessun intervento è ammesso relativamente al sesso del
nascituro e alla selezione delle sue caratteristiche ».
volti alla tutela della salute e dello sviluppo dello
stesso embrione (30). Per altro verso, si può avanzare il dubbio che le disposizioni dell’art. 13 si
riferiscano al conflitto tra interesse collettivo alla
ricerca scientifica e interesse collettivo alla tutela
dell’embrione e siano pertanto volte a vietare pratiche selettive o manipolative di tipo sperimentale (31), ma non interferiscano con processi diagnostici non sperimentali nell’ambito di pratiche
mediche consolidate in relazione al singolo trattamento fecondativo (32). La riferibilità di tali disposizioni alla fase procreativa — oltre a produrre
effetti rilevanti anche per gli interventi sulla donna
in gravidanza, ponendo in discussione la legittimità anche della diagnosi prenatale (33), in contrasto con la volontà del legislatore di non modificare l’equilibrio storicamente determinatosi nell’applicazione della legge sull’interruzione di gravidanza — risulterebbe incoerente anche con le
misure eccessive della sanzione penale.
A sostegno della legittimità della diagnosi
preimpianto, inoltre, risulta decisiva la disposizione, anch’essa introdotta nella discussione finale
in Aula, che consente alla coppia di esercitare il
diritto di informazione (oltre che sul numero)
sullo stato di salute degli embrioni prodotti prima
del trasferimento nell’utero.
La disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 13 è particolarmente rilevante in quanto,
(30) In tal senso: F. SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n.
40, Milano, Giuffrè, 2004, 96 ss.; VILLANI, La procreazione
assistita, cit., 63 s., 200, 211; GAZZONI, Osservazioni non solo
giuridiche, cit., 200; P. BECCHI, La legge sulla procreazione
medicalmente assistita al vaglio della corte costituzionale, in
Sociologia del diritto, 2006, 115 s.; L. D’AVACK, L’evasiva
ordinanza n. 369 della Corte costituzionale del 9 novembre
2006 in merito alla legge sulla procreazione medicalmente
assistita, in Dir. fam., 2007, 27 ss.
(31) In tal senso sono anche C. CASINI, M. CASINI e DI
PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 218, i quali però
sostengono il carattere sperimentale della diagnosi preimpianto.
(32) C. CASSANI e M. SESTA, Procreazione medicalmente
assistita, in Codice della famiglia a cura di M. SESTA, II,
Milano, Giuffrè, 2009, 3744 ss.
(33) In senso diverso, hanno sostenuto C. CASINI, M.
CASINI e DI PIETRO, op. cit., 206 s., che la diagnosi prenatale
consentirebbe, seppure in casi limitati, la predisposizione di
interventi curativi durante la gravidanza o subito dopo il
parto ed in ogni caso può avere l’intento di tranquillizzare la
madre timorosa di avere un feto malato, evitando l’aborto:
ma la distinzione non si pone neanche sul piano teorico, in
quanto anche la diagnosi preimpianto consente alla coppia
di procedere con maggiore serenità nei successivi trattamenti
e nella gravidanza e, ove la donna accetti l’impianto dell’embrione malato, a preparare la coppia, che eserciti il diritto,
all’eventualità della perdita spontanea del feto o della nascita
di un figlio malato da sottoporre a trattamenti sanitari.
1023
Procreazione assistita (dir. civ.)
nella precedente formula adottata dal testo unificato Bianchi, l’informazione riguardava solo il numero degli embrioni e poteva essere fornita soltanto prima della loro fecondazione (« il numero
degli embrioni che si intende produrre e trasferire
in utero ») e dopo il trasferimento in utero (« il
numero degli embrioni prodotti e conseguentemente trasferiti »): si trattava di una formula rigorosa che non sembrava consentire alcuna deroga
all’obbligo di impiantare tutti gli embrioni prodotti (obbligo che a sua volta si deduceva dal
secondo e dal terzo comma dello stesso art. 13 del
progetto, che contenevano le disposizioni poi riprodotte nei primi commi dell’art. 14, oggetto di
valutazione della Corte costituzionale).
Il testo della redazione definitiva della disposizione, nella misura in cui prevede che l’informazione abbia quale oggetto lo stato di salute
degli embrioni — e quale collocazione temporale
la fase tra la fecondazione degli embrioni e l’impianto — appare invece legittimare la possibilità di
accedere alla diagnosi genetica preimpianto, anche
al fine di consentire (quantomeno alla donna) il
rifiuto, anche parziale, del successivo trattamento
(rifiuto incoercibile e non sanzionabile, secondo
un’opinione già diffusa in sede parlamentare).
In quest’ultimo senso sembrano deporre, dopo
un irrigidimento iniziale, sia le soluzioni adottate
dall’Autorità governativa in sede di redazione
delle Linee guida, sia la prassi giurisprudenziale
legittimata dall’intervento della Corte costituzionale.
Nella prima versione delle Linee guida, adottate con d.m. 21 luglio 2004, si era preferita l’interpretazione più rigorosa degli art. 13 e 14 della
legge, disponendo non solo che « È proibita ogni
diagnosi preimpianto a finalità eugenetica », ma
anche che « Ogni indagine relativa allo stato di
salute degli embrioni creati in vitro [...] dovrà
essere di tipo osservazionale »: il regolamento ministeriale pertanto si proponeva di coordinare il
diritto della coppia alla conoscenza dello stato di
salute dell’embrione con il divieto di adozione di
tecniche di selezione eugenetica consentendo l’osservazione dell’embrione al microscopio e negando il prelievo e l’analisi di materiale genetico.
La soluzione adottata dalle Linee guida —
reputata coerente con il dato normativo dalla sentenza del TAR Lazio n. 3452 del 2005 (34), poi
annullata in sede di gravame — è stata successivamente considerata illegittima dallo stesso Tribu(34) TAR Lazio 7 aprile 2005, n. 3452, in Foro it., 2005,
III, 518 ss.
1024
nale amministrativo (35), il quale ha ritenuto ingiustificata la limitazione della indagine diagnostica alla sola tecnica osservazionale: secondo il
giudice amministrativo, che ha disposto l’annullamento parziale del decreto, tale limite si pone in
contrasto con l’art. 13, che consente senza altre
specificazioni la ricerca per finalità terapeutiche e
diagnostiche finalizzate alla tutela della salute e
allo sviluppo dell’embrione. Il giudice sembra accogliere l’idea che la ricerca dello stato di salute
dell’embrione, di cui all’art. 14 comma 5, consente
le indagini genetiche preimpianto, in quanto le
stesse rientrerebbero nella deroga dell’art. 13
comma 2: interpretazione che assegnerebbe al divieto di diagnosi preimpianto a finalità eugenetica
una portata ristretta, in quanto riferita al solo caso
in cui l’indagine si proponga una selezione sistematica volta a far nascere soggetti rispondenti a
determinati canoni prefissati (36). Alla luce di tali
rilievi potevano essere interpretate le nuove Linee
guida emanate con d.m. 11 aprile 2008, le quali si
limitavano a tenere ferma la regola per cui è
proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica, senza disporre alcunché sulle diagnosi
preimpianto finalizzate all’adempimento dell’obbligo di informazione della coppia (37).
Anche la più recente giurisprudenza ha preferito interpretare le norme nel senso della liceità
della diagnosi genetica preimpianto: un’analisi articolata e convincente si trova in una sentenza del
Tribunale di Cagliari del 2007 (38) (alle quali
aderiscono le successive ordinanze del Tribunale
di Firenze) (39), dove si ammette la diagnosi ge(35) TAR Lazio 21 gennaio 2008, n. 398, in N. giur. civ.,
2008, I, 489 ss., con nota di S. PENASA; in Fam. dir., 2008, 499
ss., con nota di A. FIGONE; e in Foro amm. T.A.R., 2008,
1042, con nota di R. FERRARA. Sulla sentenza A. CORDIANO,
Procreazione medicalmente assistita e diagnosi preimpianto: a
proposito di una recente decisione del Tar del Lazio, in
Familia, 2008, n. 3, 21 ss.
(36) Così S. BANCHETTI, Procreazione medicalmente assistita, diagnosi preimpianto e (fantasmi dell’) eugenetica, in
Giur. it., 2006, 1169 ss.; VILLANI, Procreazione assistita, cit.,
338 s.; M. DOGLIOTTI, Procreazione assistita: le linee guida del
2008, in Fam. dir., 2008, 749 ss. In senso opposto, per la
finalità eugenetica di ogni diagnosi preimpianto, si era pronunziato il TAR Lazio 7 aprile 2005, n. 3452, cit.
(37) Ne deriva l’ammissibilità di tale tecnica: così CASSANI e SESTA, op. cit., 3710. Per una diversa valutazione cfr.:
A. NICOLUSSI, Lo sviluppo della persona umana come valore
costituzionale e il cosiddetto biodiritto, in Eur. dir. priv., 2009,
41 e nt. 87.
(38) Trib. Cagliari 24 settembre 2007, in Giust. civ.,
2008, I, 217 s., con nota di G. BALLARANI.
(39) Il riferimento è alla giurisprudenza edita: Trib.
Firenze 17 dicembre 2007, in Rass. dir. civ., 2008, 829 ss.,
con nota di G. BALDINI; Trib. Firenze 26 agosto 2008 e Trib.
Firenze 12 luglio 2008, in Foro it., 2008, I, 3354 ss. Nello
Procreazione assistita (dir. civ.)
netica preimpianto, ai sensi dell’art. 14 comma 5,
solo se ricorrono le seguenti condizioni: sia stata
richiesta dalla coppia che accede alla terapia, abbia ad oggetto gli embrioni destinati all’impianto
nel grembo materno, sia strumentale all’accertamento di eventuali malattie (e non quindi di altre
caratteristiche genetiche) e sia finalizzata a garantire un’adeguata informazione sulla salute degli
embrioni da impiantare. Con una motivazione di
carattere sistematico, il giudice sardo ha rilevato
che il timore di possibili strumentalizzazioni eugenetiche non ha condotto il legislatore a un divieto
generalizzato della diagnosi preimpianto, ma piuttosto a una disciplina articolata a secondo del
conflitto di interessi rilevante: in relazione al conflitto con l’interesse collettivo alla ricerca scientifica, ha disposto per un verso il divieto assoluto di
selezione di embrioni a scopo eugenetico, punito
con una pesante sanzione penale e, per altro verso,
la limitazione della ricerca scientifica sugli embrioni esclusivamente agli interventi volti alla tutela della salute e allo sviluppo dello specifico
embrione sottoposto a trattamento; in relazione al
conflitto con le esigenze procreative, ha previsto il
divieto di accesso alla fecondazione assistita delle
coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche, mentre ha riconosciuto alle coppie sterili
che accedano alla fecondazione assistita il diritto
di conoscere lo stato di salute degli embrioni da
impiantare (da attuarsi proprio attraverso la diagnosi genetica).
Nel senso della legittimità della diagnosi genetica preimpianto va tendenzialmente considerata
anche la posizione della prima sentenza della
Corte costituzionale (40), la quale ha considerato
ammissibili le ordinanze fiorentine, che avevano
posto la questione di costituzionalità della norma
che limitava il numero di embrioni da fecondare
ed impiantare, in quanto il limite legislativo non
consentiva la fecondazione di un numero di embrioni sufficientemente alto da essere sottoposto
alla diagnosi preimpianto: va rilevato che solo a
seguito di tale decisione la diagnosi preimpianto è
divenuta concretamente utilizzabile dagli operastesso senso Trib. Bologna 29 giugno 2009, in Giur. merito,
2009, 3000, con nota di G. CASABURI.
(40) C. cost. 8 maggio 2009, n. 151, cit.; sulla portata
della sentenza della Corte costituzionale v.: U. SALANITRO,
Principi e regole, contrasti e silenzi: gli equilibri legislativi e gli
interventi giudiziari in tema di procreazione assistita, in Fam.
pers. succ., 2010, 85 ss.; M. SESTA, La procreazione medicalmente assistita tra legge, Corte costituzionale, giurisprudenza
di merito e prassi mediche, in Fam. dir., 2010, 839 ss.; in
prospettiva opposta cfr. S. LA ROSA, La diagnosi genetica
preimpianto: un problema aperto, in Fam. dir., 2011, 839 ss.
tori sanitari per effettuare interventi di selezione
degli embrioni nel caso di malattie genetiche, in
quanto è possibile fecondare un numero di embrioni sufficiente ad utilizzare la tecnica secondo
un protocollo medico adeguato.
La soluzione accolta dalla giurisprudenza ha
trovato autorevole conferma nella sentenza della
Corte di Strasburgo del 28 agosto 2012 (41): sentenza che ha condannato lo Stato italiano al risarcimento del danno per la lesione del diritto alla
vita privata e familiare, di una coppia portatrice
sana di una malattia genetica, causata dalle scelte,
imputate al legislatore, di riservare l’accesso alla
procreazione assistita soltanto alle coppie sterili e
di vietare la diagnosi genetica preimpianto. Dovendosi basare sulla prospettazione delle parti, le
quali erano concordi nel ritenere la vigenza nel
nostro ordinamento di un divieto di diagnosi genetica preimpianto, la Corte di Strasburgo ha
evidenziato l’incongruenza del divieto con la possibilità di ricorrere legittimamente alla diagnosi
prenatale in vista dell’interruzione di gravidanza.
L’interesse della sentenza europea si manifesta
ugualmente, poiché la decisione ha offerto una
chiara copertura costituzionale all’interpretazione
accolta dalla prevalente giurisprudenza di merito:
secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, la
disciplina dell’art. 8 CEDU, come interpretata dalla
Corte di Strasburgo, rileva nel nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 117 comma 1 cost., perché
costituisce norma interposta al fine di valutare la
costituzionalità della disposizione italiana. In questo caso, essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, non è stato necessario
sottoporre la questione alla Corte costituzionale e
i giudici — così come gli operatori — sono considerati vincolati a ritenere ammissibile, anzi doverosa su richiesta della coppia, la diagnosi genetica preimpianto (42).
Prospettiva confermata dalla Corte costituzionale, nella più recente sentenza n. 96 del 2015, la
quale, nel dichiarare incostituzionale il divieto di
(41) C. eur. dir. uomo, sez. II, 28 agosto 2012, Costa e
Pavan c. Italia, ricorso n. 54270/10, in N. giur. civ., 2013, I,
66 ss., con nota di C. PARDINI; la sentenza è stata confermata
dalla Grande Chambre l’11 febbraio 2013.
(42) In tal senso, tra gli altri, G. BALDINI, Procreazione
medicalmente assistita e diagnosi genetica di pre-impianto:
una questione ancora aperta?, in Vita not., 2012, 1513 ss.; G.
FERRANDO, Le diagnosi preimpianto, dunque, sono ammissibili, in N. giur. civ., 2013, II, 20 ss.; M. SEGNI, Troppi dubbi
sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2013, 521 ss. In
giurisprudenza trae conferma dalla decisione della Corte di
Strasburgo per affermare la legittimità della diagnosi genetica Trib. Cagliari 7 novembre 2012, in N. giur. civ., 2013, I,
67, 72 ss., con nota di C. PARDINI.
1025
Procreazione assistita (dir. civ.)
accesso alla procreazione assistita alle coppie fertili
affette da malattie trasmissibili geneticamente, ha
esplicitamente presupposto la liceità della diagnosi
genetica preimpianto, quale tecnica idonea a consentire alla coppia di individuare gli embrioni sani
da impiantare.
Appare perciò sorprendente la regola indicata
nelle Linee guida vigenti, approvate il 1° luglio
2015, in cui, dopo avere confermato il principio
per cui è proibita ogni diagnosi preimpianto a
finalità eugenetica, prescrive — distaccandosi dal
dato normativo — che « le indagini relative allo
stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai
sensi dell’art. 14 comma 5, dovranno sempre essere volte alla tutela della salute e dello sviluppo di
ciascun embrione »: regola che sembra essere in
contrasto con i descritti orientamenti giurisprudenziali e che, limitando il diritto della coppia
all’informazione sullo stato di salute degli embrioni, pone (ancora una volta) gravi problemi di
legittimità.
Sulla questione è intervenuta ancora una volta
la Corte costituzionale, con la sentenza n. 229 del
2015, che ha dichiarato l’incostituzionalità della
norma che vieta la selezione eugenetica nella parte
in cui sia riferita alla condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento
nell’utero di embrioni che siano risultati affetti da
malattie genetiche dalla diagnosi preimpianto.
La Corte costituzionale avrebbe potuto rigettare la questione di costituzionalità, adottando
l’interpretazione costituzionalmente orientata, già
accolta dal cosiddetto “diritto vivente”, nel senso
di escludere dal divieto di selezione eugenetica la
condotta selettiva del medico funzionale a diagnosticare le malattie genetiche degli embrioni in vista
dell’impianto nell’utero della donna.
Si può ritenere che la Corte abbia preferito
dichiarare l’incostituzionalità della norma, ammettendo pertanto la riconducibilità di tale comportamento nell’ambito della selezione eugenetica: la
scelta — per quanto contrastante con i principi
praticati dalla Corte, rigorosi nel dichiarare inammissibili i ricorsi nel caso in cui sia possibile
un’interpretazione costituzionalmente orientate —
può risultare opportuna, anche alla luce della rilevanza penale della materia, al fine di garantire
agli operatori quella certezza del diritto che una
sentenza interpretativa di rigetto non avrebbe potuto offrire. Al contempo, la scelta si rivela indovinata nella misura in cui, delimitando espressamente il divieto di selezione eugenetica, fa venire
definitivamente meno la fondatezza di eventuali
tentativi — come quello, appena illustrato, avve-
1026
nuto in sede di Linee guida — di utilizzare il
divieto di selezione eugenetica per limitare le aperture giurisprudenziali.
Si può tuttavia dare una diversa interpretazione della sentenza della Corte, ossia ritenere che
la condotta assimilabile alla selezione eugenetica
sussista soltanto quando l’accesso alla procreazione assistita sia stata chiesta da una coppia fertile
la cui malattia genetica sia stata accertata da apposite strutture pubbliche e non anche nel caso in
cui la coppia abbia avuto accesso alla procreazione
assistita in quanto sterile e abbia “occasionalmente” chiesto l’effettuazione della diagnosi
preimpianto al fine di impiantare solo embrioni
sani, facendo ricadere tra i soprannumerari quelli
malati. In tal senso depone la motivazione della
stessa sentenza della Corte, che giustifica la decisione quale diretta conseguenza del precedente
con il quale è stato riconosciuto il diritto alla
procreazione assistita alle coppie fertili; nello
stesso senso depone la coerenza con gli orientamenti giurisprudenziali illustrati, ed in particolare
con la giurisprudenza del Tribunale di Cagliari,
che ammettevano già la legittimità della diagnosi
preimpianto per le coppie sterili, giustificando al
contempo con preoccupazioni eugenetiche il divieto legislativo di accesso alle coppie fertili.
L’adozione di tale linea interpretativa appare
coerente con l’esigenza di non introdurre un limite
al diritto di informazione della coppia sterile, imponendo, secondo il dettato della Corte, che l’accertamento della malattia genetica dell’embrione
sia effettuato presso apposite strutture pubbliche.
Nella misura in cui si qualifica la condotta selettiva
del medico, che decide quale embrione impiantare
(scartando quelli malati) come « selezione eugenetica », ne discenderebbe che il mancato ricorso a
tali « apposite strutture pubbliche » per l’individuazione della malattia, costituirebbe presupposto
sufficiente per escludere l’applicazione dell’esimente riconosciuta dalla sentenza de qua e per la
riconduzione dell’attività medica nella fattispecie
di reato: per cui, in mancanza di una regolamentazione amministrativa che individui le strutture
pubbliche autorizzate ad accertare la malattia genetica dell’embrione, il principio introdotto dalla
Corte non rappresenterebbe un’apertura, quanto
piuttosto una forte limitazione, che inciderebbe
gravemente sulle prassi attualmente considerate
legittime per le coppie sterili.
7. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa. — Il divieto, posto dall’art. 4
comma 3 l. n. 40 del 2004, di ricorrere alle tecni-
Procreazione assistita (dir. civ.)
che di procreazione assistita di tipo eterologo —
fecondazione dell’embrione con gameti maschili
e/o femminili provenienti da donatore esterno alla
coppia — è stato sin dall’origine messo in discussione, in quanto in contrasto con la soluzione
applicata sino a quel momento: infatti, in base alla
normativa secondaria allora vigente, la fecondazione eterologa, interdetta nelle strutture sanitarie
pubbliche, non trovava ostacoli, ed era anzi per
taluni aspetti regolamentata, se effettuata presso le
strutture sanitarie private.
Il divieto, che si è ritenuto limitato alla fase
della fecondazione dell’embrione (e non a quella
del successivo impianto) (43), è subito apparso
ineffettuale, in quanto la tecnica eterologa è ammessa nella maggioranza dei Paesi europei: a tutela
del nato da tecniche fecondative vietate in Italia,
ma consentite all’estero, si giustificava pertanto la
previsione dell’art. 9 l. n. 40 del 2004, che preclude al coniuge o al convivente, il cui consenso sia
ricavabile anche da atti concludenti, di agire per il
disconoscimento di paternità o di impugnare il
riconoscimento per difetto di veridicità.
In dottrina si è posto da subito il problema se
il divieto di fecondazione eterologa fosse conforme al dato costituzionale (44): problema particolarmente avvertito, in quanto il divieto aveva
precluso l’accesso alla procreazione proprio a
quelle coppie che soffrono le forme più gravi di
sterilità, sollevando il dubbio della lesione del loro
diritto alla salute. L’orientamento allora prevalente, prendendo spunto dalle opinioni espresse in
sede di lavori preparatori, aveva individuato diversi argomenti a sostegno del divieto (45): in ogni
(43) In tal senso: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La
legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 184; E. DOLCINI, Responsabilità del medico e reati in materia di procreazione assistita.
Ambiguità e rigori della legge n. 40 del 2004, in Riv. trim. dir.
proc. pen., 2009, 27 ss.
(44) Lo hanno escluso, tra gli altri: M.R. MARELLA,
Esercizi di biopolitica, in Riv. crit. dir. priv., 2004, 7; G.
FERRANDO, La nuova legge in materia di procreazione medicalmente assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 2004,
813 s.; CASSANI e SESTA, Procreazione medicalmente assistita,
cit., 3697 ss., 3717 ss.
(45) Tra i quali: il rischio eugenetico derivante da abusi
nella scelta del donatore; il timore di scompensi psichici
derivanti dalla mancanza del rapporto biologico tra il figlio e
almeno uno dei genitori; la lesione del diritto alla conoscenza
delle proprie origini. Al riguardo si vedano: C. CASINI, M.
CASINI e DI PIETRO, op. cit., 74 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 65 ss.; L. VIOLINI, Tra
scienza e diritto: riflessioni sulla fecondazione medicalmente
assistita, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit.,
472 ss.; A. LOIODICE, La tutela dei soggetti coinvolti nella
procreazione medicalmente assistita, ivi, 334 s.; VILLANI, La
procreazione assistita, cit., 119 ss.; M. SESTA, Dalla libertà ai
divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medical-
caso, si era autorevolmente escluso che la scelta
del divieto, pur non essendo la migliore disciplina
possibile, fosse considerata « irrimediabilmente irragionevole ed incostituzionale » (46).
Non è mancato in dottrina il dubbio sulla
conformità del divieto della fecondazione eterologa anche con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (47): dubbio che ha
trovato un significativo riscontro nella sentenza
della Prima Camera della Corte di Strasburgo del
1° aprile 2010 (48), nella controversia che ha visto
opporre due coppie di coniugi alla Repubblica
austriaca (49). In questa sentenza, è stato messo in
rilievo che — una volta ricondotto l’interesse all’accesso alla procreazione assistita nell’ambito del
diritto al rispetto della vita privata e familiare —
sono considerati discriminatori, ai sensi dell’art. 14
della Convenzione, i limiti che non fossero giustificati da finalità oggettive e ragionevoli e dal rispetto del criterio di proporzionalità tra i mezzi
impiegati e gli obiettivi perseguiti, nella misura in
cui ponevano i soggetti infertili che avevano necessità della fecondazione eterologa in vitro in una
posizione ingiustificatamente diversa rispetto agli
altri soggetti infertili che potevano ricorrere a
tecniche consentite (50).
mente assistita?, in Corr. giur., 2005, 1405 ss.; CORTI, La
procreazione assistita, cit., 512 ss.
(46) Così MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 285
ss. Nello stesso senso: VIOLINI, op. cit., 472 ss.; A. NICOLUSSI,
Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in Riv.
AIC, 2012, n. 1; A. NICOLUSSI e A. RENDA, Fecondazione
eterologa: il pendolo fra Corte costituzionale e Corte EDU, in
Eur. dir. priv., 2013, 213 ss., 226 ss. In giurisprudenza, nello
stesso senso l’ordinanza del Trib. Milano 23 novembre 2009,
in N. giur. civ., 2010, I, 774 ss., con nota di B. LIBERALI.
(47) Hanno ipotizzato sin dall’inizio che il divieto contrasti con l’art. 8 CEDU: FERRANDO, op. ult. cit., 813 s.; B.
MASTROPIETRO, Procreazione assistita: considerazioni critiche
su una legge controversa, in Dir. fam., 2005, 1408. In senso
diverso C. CAMPIGLIO, Procreazione assistita: regole italiane ed
internazionali a confronto, in Riv. dir. intern. priv. proc.,
2004, 538 ss., 552 s., per la quale il contrasto non sarebbe
stato con l’art. 8, ma piuttosto con l’art. 12 CEDU.
(48) C. eur. dir. uomo, sez. I, 1° aprile 2010, S.H. e altri
c. Austria, ricorso n. 57813/00, in Fam. dir., 2010, 977 ss.,
con nota di U. SALANITRO.
(49) Le due coppie erano affette da condizioni di sterilità che non potevano essere superate se non accedendo alle
tecniche di fecondazione eterologa: in particolare, l’una
avendo necessità di ricorrere alla donazione di ovociti, l’altra
alla donazione di sperma con fecondazione in vitro. Le loro
esigenze non hanno potuto trovare accoglimento nell’ordinamento austriaco, dove vige il divieto della fecondazione
eterologa in vitro, sia con gameti maschili, sia con ovociti
femminili, essendo ammessa soltanto la fecondazione eterologa in vivo con gameti maschili.
(50) Le motivazioni del divieto devono essere oggettive,
poiché quelle di carattere morale o di consenso sociale non
1027
Procreazione assistita (dir. civ.)
La decisione della Grande Camera del 3 novembre 2011 (51) è stata, tuttavia, di segno diverso
rispetto a quella della Prima Sezione della stessa
Corte: secondo l’autorevole consesso, infatti, i divieti della fecondazione eterologa disposti dalla legislazione austriaca, mancando un consenso radicato a livello europeo sulla questione, non sono in
contrasto con il margine di apprezzamento che
consente agli Stati membri della Convenzione di
limitare la tutela dei diritti fondamentali ed in particolare del diritto alla vita privata e familiare di cui
all’art. 8 CEDU (§ 97) (52). Al riguardo, secondo la
Grande Camera, non importa che il legislatore
avrebbe potuto adottare una differente soluzione
con un più corretto bilanciamento degli interessi
rilevanti, poiché è sufficiente che un bilanciamento
di tali interessi sia stato effettuato e che il risultato
non sia irragionevole (§ 106) (53).
sono ritenute sufficienti a vietare una determinata tecnica o
a precludere la stessa a determinate categorie di soggetti: in
tal senso si riprendono le argomentazioni già formulate dalla
sentenza della Grande Camera della Corte, 4 dicembre 2007,
Dickson c. UK.
(51) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 3 novembre
2011, S.H. e altri c. Austria, in Foro it., 2012, IV, 209 ss., con
nota di E. NICOSIA.
(52) Sono tre i passaggi argomentativi della Corte che
assumono rilevanza anche al fine di valutare la successiva
sentenza della Corte costituzionale italiana. In primo luogo,
la Corte ha ribadito che l’interesse alla procreazione eterologa è una componente essenziale del diritto alla vita privata
e familiare (§ 80 ss.), negando la correttezza (§ 85 ss.) della
tesi della Prima Camera, secondo la quale tale interesse
sarebbe stato tutelato soltanto in quegli ordinamenti che
avessero in linea di principio riconosciuto l’ammissibilità
della procreazione artificiale. In secondo luogo la Corte, pur
ammettendo la sussistenza di una chiara tendenza nella
legislazione degli Stati membri a favore della liceità della
fecondazione eterologa, ha negato che l’evoluzione sia decisiva, in quanto, per la sua accentuata dinamicità, non rispecchia principi consolidati (§ 96): per cui, ogni qualvolta
emergano questioni etiche e morali, ha riconosciuto un
margine particolarmente ampio agli Stati membri di fissare il
corretto bilanciamento di interessi (§ 97), ribadendo tuttavia
che i motivi basati su considerazioni morali o di accettabilità
sociale non sono sufficienti a giustificare il divieto assoluto di
una tecnica procreativa, consentendo al più una puntuale
regolazione (§ 100). In terzo luogo, sono stati indicati quali
motivi siano di natura oggettiva e quali di natura morale o
sociale: ma mentre è sicura la natura oggettiva del rischio per
la salute della donna donatrice di ovuli, non è chiaro quale
sia la rilevanza degli altri interessi richiamati, ad esempio di
quelli volti ad evitare una duplicazione della figura materna,
alla tutela della dignità umana, alla protezione del benessere
del bambino, alla delimitazione del rischio di abusi eugenetici (al riguardo, cfr. i passaggi argomentativi della parte
finale del § 104 e della parte centrale del § 113 della sentenza
della Grande Camera).
(53) In particolare, sulla donazione di ovociti, la
Grande Camera ha rilevato che il rischio di selezione eugenetica e i pericoli per la salute e la dignità della donna
donatrice sono circoscritti dall’obbligo di ricorrere a medici
1028
Una soluzione diversa ha adottato la citata
sentenza della Corte costituzionale n. 162 del
2014, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità
dell’art. 4 comma 3 e dell’art. 12 comma 1 l. n. 40
del 2004, con cui è stato disposto il divieto di
fecondazione eterologa, in quanto in contrasto con
gli art. 2, 3, 29, 31 e 32 della Costituzione, restando assorbito il profilo di censura attinente
all’art. 117 cost., in coordinato disposto con gli art.
8 e 14 CEDU.
Secondo la sentenza, il divieto di fecondazione
eterologa, nella sua assolutezza, ha costituito un
limite incidente su due differenti diritti della persona umana, costituzionalmente rilevanti: la libertà di autodeterminazione e il diritto alla salute.
La scelta di ricorrere alla procreazione eterologa
viene, infatti, ricondotta nell’ambito della libertà
di autodeterminazione nella vita privata e familiare, seguendo un modello parallelo a quello già
accolto dalla Corte di Strasburgo: concernendo la
sfera più intima e intangibile della persona umana,
anche se riguardante una coppia assolutamente
sterile, la volontà di avere un figlio attraverso la
fecondazione eterologa viene considerata incoercibile e non limitabile da un divieto assoluto, ove
non leda altri interessi costituzionalmente tutelati
(§ 6). La fecondazione eterologa viene altresì considerata, secondo le valutazioni riservate alla
scienza medica, una terapia per le patologie psichiche derivanti dalla sterilità: ne consegue che il
divieto, investendo le coppie la cui patologia è più
grave, limita il diritto fondamentale alla salute,
specializzati e vincolati da un codice etico, nonché dal
divieto di commercio dei gameti; la stessa Corte osserva
inoltre che la Repubblica austriaca avrebbe potuto assumere
ulteriori misure per ridurre i rischi paventati e consentire la
donazione di ovociti. Ciononostante, la scelta del divieto,
quale misura di contrasto rispetto a tali rischi, non è ritenuta
censurabile: anche perché l’altro argomento a sostegno del
divieto, la frammentazione della figura materna e la costituzione di una parentela estranea a rapporti di sangue, non è
considerato superabile in base all’argomento della Prima
Camera — secondo la quale rapporti familiari atipici sono
già conosciuti dallo stesso ordinamento austriaco, nel quale
è ammessa l’adozione — non essendo il rapporto adottivo
assimilabile a quello discendente dalla fecondazione eterologa (§ 105). Alla medesima soluzione, seppure in base ad
una valutazione parzialmente diversa, si è pervenuti in relazione al divieto di donazione di sperma funzionale alla
fecondazione in vitro, che pure appare essere fondato soltanto su motivazioni di ordine morale o sociale: secondo la
Grande Camera, infatti, tale divieto costituisce uno dei
risultati di un complessivo bilanciamento di interessi che ha
prodotto una più ampia regolamentazione della materia,
essendo consentiti dalla legge, in quanto pratiche che trovano ampia accettazione nel tessuto sociale austriaco, sia la
fecondazione eterologa in vivo, sia il riconoscimento dei
rapporti di parentela ogni qualvolta la fecondazione eterologa venga effettuata all’estero (§ 113 s.).
Procreazione assistita (dir. civ.)
occorrendo perciò che sia giustificato dalla tutela
d’interessi di pari rango (§ 7).
Riconosciuto che il divieto limita diritti costituzionalmente rilevanti, la sentenza ha rilevato
l’irrazionalità del bilanciamento d’interessi effettuato dal legislatore italiano. Per un verso, ha
negato — « alla luce delle notorie risultanze della
scienza medica » — che sussistano rischi per la
salute dei donanti e dei donatari, eccedenti la
normale alea insita in qualsiasi pratica terapeutica,
purché l’intervento sia eseguito all’interno di strutture autorizzate e controllate e in applicazione dei
protocolli medici (§ 9). Per altro verso, ha costatato che il diritto del nato da procreazione eterologa alla certezza del rapporto genitoriale e alla
conoscenza delle proprie origini è altrimenti garantito dall’ordinamento: garanzia che discende
direttamente dalle regole sui rapporti genitoriali
con la coppia che ha espresso il consenso alla
procreazione assistita e dalla negazione di rapporti
con il donatore (art. 8 e 9 l. n. 40 del 2004) (§ 11),
nonché, seppure indirettamente, dalle regole e
dalla giurisprudenza in materia di adozione, applicabile in via analogica per consentire in particolari
circostanze l’accesso ai dati del donatore (§ 12).
Particolarmente impegnativo, infine, è stato lo
sforzo della sentenza di negare rilevanza al « vuoto
normativo » che sarebbe determinato dalla dichiarazione d’incostituzionalità del divieto: rilevanza
che è stata respinta in quanto, ove ricorra una
violazione di diritti fondamentali, non sarebbe
comunque giustificabile il mantenimento della
norma incostituzionale per l’inerzia del legislatore,
sussistendo piuttosto un dovere-potere della Corte
di dichiararne l’illegittimità, restando al legislatore
il compito di eliminare le eventuali lacune. Ma
nella sentenza si è addirittura negata la sussistenza
stessa delle lacune, assumendo: che valgono « in
via diretta » le regole poste dalla l. n. 40 del 2004,
sia per i requisiti soggettivi, sia per la disciplina del
consenso e del trattamento (§ 11); che si applica
alla donazione dei gameti, quantomeno in via analogica, la disciplina del d. lg. 6 novembre 2007, n.
191, in materia di donazione di tessuti e cellule
umane, nella parte in cui regola la gratuità e la
volontarietà della donazione, le modalità del consenso, l’anonimato del donatore, la tutela sanitaria,
ecc. (§ 12); che si possa rimettere a un aggiornamento delle Linee guida la determinazione del
numero massimo di donazioni (§ 12).
La pronunzia della Corte costituzionale appare
complessivamente condivisibile, poiché si pone in
stretta continuità con la giurisprudenza della
Corte di Strasburgo, pur pervenendo a una solu-
zione di segno opposto (54): soluzione che si
giustifica non solo per la diversità di ruolo delle
due Corti, ma per la consapevole valutazione della
divergenza delle fattispecie sottoposte al loro giudizio (55).
Va ricordato, infatti, che la Grande Camera
aveva rilevato che il divieto assoluto della fecondazione eterologa potesse essere giustificato solo
da interessi di tipo oggettivo (quali il rischio per la
salute delle donatrici), ritenendo che interessi di
tipo soggettivo o convinzioni etico morali, potevano consentire, a condizione che fossero largamente condivisi nella società interessata, soltanto
una regolazione della pratica. Non discostandosi
da tale impianto argomentativo, la sentenza della
Corte costituzionale ha messo in luce che, a differenza di quanto previsto da quello austriaco, nell’ordinamento italiano il divieto di fecondazione
eterologa si configura quale divieto assoluto, giustificabile solo ove ritenuto l’unico mezzo di tutela
di altri interessi di rango costituzionale (§ 6).
Neanche in sede di bilanciamento d’interessi,
si può ravvisare discontinuità tra le argomentazioni delle Corti: la Corte europea, infatti, attribuendo rilevanza all’interesse alla tutela della salute delle donatrici, ha ammesso che siffatta valutazione, condotta per il tempo in cui le coppie
austriache intendevano accedere alla pratica, restava soggetta all’evoluzione della scienza medica;
mentre la Corte nazionale ha escluso che l’interesse alla salute delle donatrici costituisca una
ragione ostativa alla fecondazione eterologa, assumendo che i rischi non debbano essere considerati
elevati alla luce delle notorie risultanze della
scienza medica.
Avendo la Corte di Strasburgo riconosciuto
che l’interesse della coppia alla procreazione eterologa fosse riconducibile al diritto alla vita privata
(54) Avevamo argomentato la possibilità di una pronunzia d’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, pur coerente con le argomentazioni della Grande
Camera, in U. SALANITRO, Il dialogo tra Corte di Strasburgo e
Corte costituzionale in materia di fecondazione eterologa, in
N. giur. civ., 2012, II, 636 ss.
(55) In effetti, la Corte costituzionale, omettendo di
valutare la conformità del divieto con l’art. 117 cost., ha
potuto esprimere le proprie argomentazioni senza metterle a
confronto con quelle della Grande Camera: in tal modo ha
seguito un percorso apparentemente più lineare, perché non
ha dovuto sostenere sino in fondo lo sforzo di spiegare la
diversità degli esiti. Tuttavia, il dialogo tacito con la Corte di
Strasburgo emerge chiaramente, come si mostrerà nel testo,
e consente di giustificare una soluzione che altrimenti, in
base ai soli parametri interni, potrebbe esporsi a rilievi di
arbitrarietà, denunziati in particolare da C. CASTRONOVO,
Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. dir. priv., 2014, 1117 ss.
1029
Procreazione assistita (dir. civ.)
e familiare, al pari dell’interesse alla procreazione
omologa, la Corte costituzionale non ha avuto
altra scelta che far propria, e giustificare con i
parametri interni, questa valutazione: per cui il
nostro Giudice ha concentrato la riflessione sulla
verifica della sussistenza d’interessi contrapposti
di tipo oggettivo. Al riguardo, è stata esclusa la
rilevanza di quelli concernenti il diritto del minore
alla ricerca delle proprie origini e alla certezza
dell’identità familiare, in quanto, come già rilevato, la Corte ha ritenuto che tali interessi trovino
già tutela nella disciplina degli art. 8 e 9 l. n. 40 del
2004 e nell’applicazione analogica delle regole in
materia di adozione sull’accesso ai dati genetici.
Venuto meno il divieto, la fecondazione eterologa è stata oggetto di successivi interventi regolativi, che hanno consentito l’immediata applicazione della tecnica (56).
In primo luogo, la Conferenza delle Regioni ha
approvato il 4 settembre 2014 un documento programmatico rivolto a regolare la pratica della fecondazione assistita nei centri autorizzati, attraverso successivi provvedimenti regionali (57). Il
documento, accanto a norme tecniche volte a garantire la qualità sanitaria dei gameti, selezionando
i donatori, ha posto alcune regole di portata più
impegnativa: è stato sancito che con le cellule
riproduttive di ciascun donatore non si può, salvo
casi eccezionali, determinare più di dieci nascite; è
stato altresì previsto che, fermo il divieto di selezione eugenetica e di scelta delle caratteristiche
fenotipiche dell’embrione, la struttura sanitaria
« deve ragionevolmente assicurare la compatibilità
delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con la coppia ricevente »; è stato infine
disposto l’anonimato del donatore, non superabile
per alcuna ragione né della coppia ricevente, né
dal nato, consentendo soltanto, attraverso la tracciabilità della donazione, l’accesso ai dati sanitari
da parte del personale medico. Le scelte della
Conferenza delle Regioni sembrano avere trovato
un primo riscontro normativo nella cosiddetta
legge di stabilità 2015, che ha istituito un registro
nazionale, funzionale a garantire la tracciabilità dei
gameti, assicurando l’anonimato dei donatori, e il
conteggio delle nascite derivanti dai gameti di ogni
singolo donatore (art. 1 comma 298 l. 23 dicembre
2014, n. 190).
(56) Ammette l’immediata applicazione della tecnica di
fecondazione eterologa sulla base della dichiarazione di
incostituzionalità del divieto, Trib. Bologna 14 agosto 2014,
in Foro it., 2014, I, 2934 ss., con nota di G. CASABURI.
(57) Il documento è pubblicato in Dir. fam. pers., 2014,
1728 ss.
1030
La legittimità della fecondazione eterologa è
stata infine riconosciuta dalle Linee guida vigenti,
approvate il 1° luglio 2015, dove si è confermato il
divieto per le coppie di scegliere particolari caratteristiche fenotipiche del donatore, rinviando alla
direttiva della Commissione europea 8 febbraio
2006, n. 2006/17/CE (e ai successivi recepimenti e
aggiornamenti) per le regole sugli screening per
patologie infettive.
8. I limiti di accesso per le coppie fertili. —
L’inquadramento della procreazione medicalmente assistita tra gli interventi terapeutici per la
soluzione dei problemi riproduttivi derivanti da
sterilità o infertilità della coppia ha avuto la funzione di circoscrivere l’accesso alle tecniche, impedendolo alle coppie fertili, anche se portatrici di
malattie trasmissibili ai figli (58): al riguardo va
rilevato che la regola è stata formulata in positivo,
evitando di disporre un divieto, ponendo piuttosto
in risalto la finalità del ricorso alla procreazione
assistita (art. 1) e richiedendo una documentazione medica delle condizioni di sterilità o d’infertilità della coppia (59).
Individuato il fondamento del limite normativo nell’interesse a evitare il rischio di sistematicità della selezione embrionaria, ne discende l’ammissibilità di un’interpretazione della disciplina,
volta a comprendere nella nozione d’infertilità
quelle malattie, di tipo infettivo, che ostacolano la
procreazione perché rendono pericoloso il rapporto sessuale (60). Tale interpretazione è stata
testualmente accolta in sede di Linee guida sin dal
2008, con riferimento alle malattie virali da HIV,
HBV o HCV, ma si può reputare che in base al
medesimo criterio si possa estendere, in via inter(58) In tal senso, tra gli altri: G. BALDINI, Libertà procreativa e fecondazione artificiale. Riflessioni a margine delle
prime applicazioni giurisprudenziali, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2006, 77 ss.; D. CARUSI, Non solo procreazione
assistita: il principio di pari dignità e la costituzione minacciata, in Pol. dir., 2007, 419 s.
(59) In riferimento alla documentazione medica, va precisato che, allo stato delle conoscenze mediche, non è sempre individuabile la causa di sterilità o di infertilità: pertanto
al fine di procedere alla procreazione medicalmente assistita
si distingue l’ipotesi in cui la causa ostativa sia stata accertata, nella quale occorre una certificazione con atto medico,
dall’ipotesi in cui la patologia resta inspiegata, nella quale è
sufficiente che l’atto medico documenti l’epifenomeno (art.
4 comma 1). Nelle Linee guida si definisce sterilità (o
infertilità), oltre ai casi di patologia riconosciuta, l’assenza di
concepimento dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali
non protetti in coppia eterosessuale: definizione che sembra
rinviare, più che a un accertamento medico, alla responsabilità della coppia.
(60) In senso diverso G. DI ROSA, Dai principi alle
regole. Appunti di biodiritto, Torino, Giappichelli, 2013, 92.
Procreazione assistita (dir. civ.)
pretativa, l’ammissione alla procreazione assistita
di altre coppie nelle quali uno dei partner è affetto
da altre malattie trasmissibili alla prole.
L’individuazione di un interesse meritevole,
che si ponga a giustificazione del limite all’accesso,
non appare risolutiva, perché occorre verificare se
sia congruo il bilanciamento costituzionale degli
interessi in conflitto (61).
Il limite legislativo è stato considerato in contrasto con il diritto alla vita privata e familiare
riconosciuto dall’art. 8 CEDU dalla sentenza della
Corte di Strasburgo del 28 agosto 2012 (62), secondo la quale la richiesta della coppia fertile di
accedere alla procreazione assistita non può essere
respinta, in quanto l’opposta soluzione sarebbe
incoerente con la regola, posta dall’ordinamento
italiano, che consente alle donne di interrompere
la gravidanza ogni qualvolta il figlio è affetto da
una malattia genetica: al riguardo, va rilevato che il
Giudice europeo ha ritenuto che la disciplina
nazionale, non consentendo l’accesso alla procreazione assistita delle coppie fertili, non era proporzionata agli obiettivi che l’ordinamento italiano si
sarebbe prefisso (rischio di derive eugenetiche,
tutela dell’embrione, lesione della dignità e della
libertà di coscienza delle professioni mediche)
nella misura in cui il raggiungimento di tali obiettivi sarebbe comunque frustrato dalla possibilità di
ricorrere legittimamente, previa diagnosi prenatale, ad interventi di interruzione di gravidanza.
Successivamente, la Corte costituzionale, con
la sentenza n. 96 del 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della l. n.
40 del 2004 nella parte in cui non consentono il
ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, rispondenti ai
criteri di gravità di cui all’art. 6 comma 1 lett. b l.
22 maggio 1978, n. 194 sull’interruzione di gravidanza, accertate da apposite strutture pubbliche.
La decisione, pur essendo fondata sulla violazione degli art. 3 e 32 cost. — restando assorbita la
violazione dell’art. 117 cost. — ripercorre in
primo luogo lo schema della sentenza della Corte
(61) Dubitano della costituzionalità del divieto all’accesso delle coppie portatrici di malattie genetiche, anche alla
luce dell’eventuale ammissibilità della diagnosi preimpianto
per le coppie sterili: MODUGNO, La fecondazione assistita, cit.,
273 s.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 60 ss., 200 s.;
MASTROPIETRO, Procreazione assistita, cit., 1389 ss.; BALDINI,
Libertà procreativa, cit., 81. Sostiene che la soluzione sarebbe in contrasto con i principi della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, CAMPIGLIO, Procreazione assistita, cit.,
534 ss.
(62) Costa e Pavan c. Italia, cit.
di Strasburgo, sottolineando l’antinomia tra la regola che non consente l’accesso alla procreazione
assistita delle coppie fertili affette da gravi patologie trasmissibili e la norma che autorizza le stesse
coppie a perseguire l’obiettivo di procreare un
figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui esse sono portatrici attraverso l’interruzione di gravidanza, anche reiterata, ogni qualvolta
dalle indagini prenatali si accertino anomalie o
malformazioni del feto che determinano un grave
pericolo per la salute fisica e psichica della donna.
Nel successivo passaggio argomentativo, la
Consulta si distacca invece dalle argomentazioni
del Giudice europeo, rilevando che la norma censurata sarebbe altresì illegittima poiché non consente alla donna di acquisire un’informazione sulla
salute dell’embrione che le permetterebbe di evitare di assumere successivamente una decisione,
quella abortiva, ben più pregiudizievole per la sua
salute: l’attenzione viene perciò spostata dalla lesione del diritto alla vita privata e familiare (valorizzato dalla Corte di Strasburgo) alla violazione
del diritto alla salute della donna, la quale non
sarebbe bilanciata dall’esigenza di tutela del nascituro, poiché questi resterebbe comunque esposto
all’aborto.
Nell’ultimo passaggio argomentativo, il Giudice costituzionale — nel riaffermare il dovere di
accertare l’illegittimità delle disposizioni che si
pongono in contrasto con i parametri costituzionali, anche ove si determinino lacune — ha deciso
che l’accesso alla procreazione assistita debba essere consentito soltanto alle coppie che presentino
patologie trasmissibili che, se riscontrate sul nascituro, avrebbero reso lecita l’interruzione di gravidanza anche dopo i novanta giorni di gestazione,
rinviando alla discrezionalità del legislatore per
l’« auspicabile individuazione » (con aggiornamenti periodici) di siffatte patologie, delle correlative procedure di accertamento e delle forme di
autorizzazione e controllo delle strutture abilitate.
La sentenza della Consulta, per quanto condivisibile nella soluzione, può essere sottoposta a
critiche da diversi versanti (v., in altra prospettiva,
FAMIGLIA: BIOETICA E DIRITTO).
Da un lato, la prima argomentazione della
Corte, al pari di quella della sentenza europea, non
convince perché, nel nostro ordinamento, neanche
la disciplina dell’interruzione di gravidanza può
essere considerata funzionale alla selezione dei
nascituri, perché espressamente posta esclusiva-
1031
Procreazione assistita (dir. civ.)
mente a tutela della salute della donna (63). Critica
che può essere respinta, se si assume che entrambe
le Corti hanno adottato un approccio rivolto non
tanto all’esame delle astratte finalità delle discipline sottoposte a valutazione, quanto piuttosto
del loro funzionamento concreto, per cui non
rileva la circostanza che la disciplina dell’interruzione di gravidanza non sia finalizzata alla selezione dei malati, quanto piuttosto che non si possa
escludere che essa sia strutturata in modo tale da
consentire legittimamente alla coppia portatrice di
malattie genetiche l’utilizzo selettivo, per quanto
strumentale, dell’aborto terapeutico.
Dall’altro lato, va invece evidenziato che in
questa sentenza la Consulta sembra abbandonare
l’impostazione più avanzata che aveva caratterizzato la decisione sulla fecondazione eterologa, fondata sul diritto all’autodeterminazione procreativa
e sulla configurazione della procreazione assistita
quale terapia per la salute psichica della coppia,
preferendo arretrare sul collaudato schema della
contrapposizione tra diritto alla salute della donna
e diritto alla vita dell’embrione.
Sullo stesso versante, va messo in dubbio che la
soluzione adottata sia convincente, se si prende sul
serio la comparazione tra interruzione di gravidanza e procreazione assistita. Sarebbe stato in
linea con la ratio decidendi della sentenza della
Corte di Strasburgo, la quale fonda la propria
decisione sull’incongruenza tra limiti alla procreazione assistita e libertà di accesso alla diagnosi
prenatale, l’accoglimento di un criterio flessibile,
tale da consentire l’accesso a tutte le donne che
sarebbero state ammesse alla diagnosi prenatale:
non solo quindi le coppie affette da patologie
trasmissibili, ma tutte le coppie che, al fine di
essere rassicurate sulla salute dell’embrione, potessero sottoporsi a test prenatali. È possibile che la
Consulta abbia evitato tale soluzione in quanto
avrebbe prodotto l’effetto di una sostanziale liberalizzazione della procreazione assistita, che sarebbe in tal modo consentita anche alle coppie
fertili che non presentino un rilevante grado di
rischio di essere portatrici di malattie genetiche
invalidanti: ma la liberalizzazione non avrebbe
comportato, se adeguatamente gestita, il rischio
che la procreazione assistita potesse essere utilizzata quale strumento eugenetico positivo (64) in
quanto, in ogni caso, il diritto di informazione dei
(63) Cfr., tra altri, DI ROSA, Dai principi alle regole, cit.,
87.
(64) Rischio messo in rilievo da G. FERRANDO, La riscrittura costituzionale e giurisprudenziale della legge sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2011, 519, la quale non
1032
genitori sulle caratteristiche genetiche sarebbe rimasto limitato, dal disposto normativo, ai soli
profili attinenti alla salute dell’embrione (ex art. 14
comma 5 l. n. 40 del 2004). L’adozione dell’opzione più liberale, d’altra parte, si sarebbe potuta
difendere rilevando che la soluzione accolta, apparentemente più ragionevole, è in realtà in contrasto con i principi di gradualità e di proporzionalità, richiamati dalla Corte di Strasburgo, in
quanto finisce per produrre il paradossale risultato
di proteggere l’embrione più di quanto l’ordinamento tuteli il feto. Va poi osservato che la sentenza introduce un limite rigoroso nella misura in
cui impone che le gravi malattie geneticamente
trasmissibili che consentono l’accesso alla procreazione assistita siano previamente verificate da apposite strutture pubbliche: occorre pertanto chiedersi chi sia competente ad individuare tali strutture in via amministrativa e se, in caso di omissione, il giudice possa e in che termini sostituirsi
all’autorità amministrativa (65).
Sulla questione dell’applicabilità della procreazione assistita alle coppie fertili mancano indicazioni nelle Linee guida del 1° luglio 2015 (ed
ancora in vigore) (66), le quali sono state emanate
senza tenere conto né della sentenza della Corte
costituzionale pubblicata qualche settimana
prima, né della giurisprudenza della Corte di Strasburgo: scelta a dir poco singolare, che appare in
linea con il tentativo di restringere l’ambito di
applicazione della diagnosi genetica preimpianto e
del conseguente diritto della donna di rifiutare
l’impianto degli embrioni malati.
La disciplina a tutela del diritto delle coppie
fertili di accedere alla procreazione assistita è stata
infine adeguata, anche sotto il profilo penale, con
la sentenza della Corte costituzionale n. 229 del
2015, che ha dichiarato l’incostituzionalità della
norma che vietava la condotta selettiva del sanitario se volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero di embrioni afflitti da malattie
prende neanche in esame la possibilità che si acceda alla
soluzione auspicata nel testo.
(65) Al riguardo, v. Trib. Milano 18 aprile 2017, in Foro
it., 2018, I, 1779 ss., con nota di G. CASABURI, secondo la
quale qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi
nell’obiettiva impossibilità di erogare la prestazione sanitaria
tempestivamente in forma diretta, dispone che sia erogata in
forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie.
(66) Nonostante l’art. 7 comma 3 l. n. 40 del 2004
preveda che le Linee guida siano aggiornate periodicamente,
almeno ogni tre anni, non risultano al momento iniziative
volte ad aggiornare le (ultime) Linee guida emanate nel
2015.
Procreazione assistita (dir. civ.)
genetiche accertate da apposite strutture pubbliche.
L’intervento appare coerente con l’idea che
l’accesso alle coppie fertili abbia consentito l’applicazione della procreazione assistita quale tecnica sistematica di selezione embrionaria, richiedendo pertanto un intervento correttivo anche
della norma penale che vieta la selezione eugenetica.
9. I requisiti soggettivi. — La disciplina sulla
fecondazione assistita riconosce il diritto ad accedere all’esperienza procreativa alle persone sterili
alle medesime condizioni consentite alle persone
fertili dalla procreazione naturale (67): la coppia
deve essere pertanto di sesso diverso, in età potenzialmente fertile ed entrambi i soggetti devono
essere viventi al momento della fecondazione. Gli
altri requisiti — che la coppia sia coniugata o
convivente e che entrambi i partner siano maggiorenni — corrispondono piuttosto all’esigenza, a
tutela sia dei figli, sia degli stessi partner, di escludere dall’accesso alle pratiche assistite chi non
abbia una piena maturità psicofisica e non intenda
impegnarsi in un progetto di vita in comune nell’interesse del figlio.
I requisiti soggettivi costituiscono il presupposto per l’accesso alla pratica e devono sussistere in
ogni fase della terapia sino alla fecondazione (68):
si pone pertanto il problema, di rilevanza generale,
se dopo che l’embrione sia stato fecondato possa
essere consentito l’impianto in assenza degli stessi.
La risposta è certamente positiva nel caso in cui i
requisiti sussistessero al momento della fecondazione: non sembra vi siano ostacoli all’impianto,
anche se il partner sia nel frattempo morto, non sia
più in età potenzialmente fertile, abbia cambiato
sesso ovvero la coppia abbia divorziato o non sia
più convivente (69). Le istanze di tutela dell’embrione fecondato, considerato soggetto di diritto
(art. 1), e la carenza di un apparato sanzionatorio
specifico appaiono ragioni sufficienti per ammet(67) Fortemente critica verso l’impostazione normativa
è MARELLA, Esercizi di biopolitica, cit., 3 ss.
(68) Un problema delicato che si pone è se il medico
debba accertare la sussistenza dei requisiti solo al momento
del consenso o (anche) prima dell’applicazione della tecnica:
la soluzione più rigorosa, conforme al dato letterale e alla
funzione della norma, si presenta problematica nella concreta applicazione, anche alla luce della gravità delle sanzioni
amministrative previste nei confronti del medico e della
struttura sanitaria.
(69) In tal senso B. CHECCHINI, Accertamento e attribuzione della paternità, Padova, Cedam, 2008, 237 ss.; dubita
della soluzione prospettata nel testo, per ragioni di opportunità, CORTI, La procreazione assistita, cit., 547 s.
tere l’accesso all’impianto e la successiva applicazione della disciplina della filiazione (70).
Vigente il divieto di fecondazione eterologa,
non sarebbe stato necessario limitare l’accesso
della donna singola alle pratiche di fecondazione;
va comunque osservato che, una volta ammessa la
fecondazione eterologa, il limite per la donna sola,
accolto da una parte degli ordinamenti europei,
resta comunque congruo con l’interesse generale
di riconoscere a colui che nasce da procreazione
assistita le medesime opportunità di chi è stato
concepito naturalmente, sia con riferimento al diritto di essere mantenuto, educato ed istruito, sia
in relazione ai diritti successori (71).
La medesima finalità — di tutela del nascituro
al diritto alla doppia genitorialità potenziale — è
alla base del divieto di fecondazione post mortem:
ne deriva che se la struttura sanitaria fosse a
conoscenza del decesso dell’uomo che ha fornito i
gameti, anche dopo l’espressione del consenso,
dovrebbe sospendere il trattamento fecondativo.
Una volta avvenuta la fecondazione, il decesso
dell’uomo che ha espresso il consenso non consente alla struttura sanitaria di rifiutare l’impianto
nell’utero della donna dell’embrione in vitro (72):
(70) In tal senso, tra gli altri, v.: C. CASINI, M. CASINI e DI
PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 186 ss.;
GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 198; FACCIOLI,
Procreazione medicalmente assistita, cit., 1063; DI ROSA, Dai
principi alle regole, cit., 46 s.
(71) Pertanto, una diversa soluzione non solo sarebbe
stata incongrua con la disciplina ordinaria dell’adozione, ma
avrebbe anche posto dubbi di conformità costituzionale in
relazione ai commi 1 e 4 dell’art. 30 cost.: favorevole alla
soluzione legislativa SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 46 ss. Criticano invece la scelta normativa, sollevando dubbi di costituzionalità: FERRANDO, La
nuova legge in materia di procreazione medicalmente assistita,
cit., 814 s.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 504; MARELLA, op. cit., 3 ss.; S. RODOTÀ, Perché laico, Roma-Bari,
Laterza, 2010, 80 s. Ma nel senso della legittimità costituzionale della disciplina: MODUGNO, La fecondazione assistita,
cit., 278 ss.; VIOLINI, Tra scienza e diritto, cit., 470.
(72) Nello stesso senso: G. OPPO, Procreazione assistita e
sorte del nascituro, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 22; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 179
ss.; SESTA, La filiazione, cit., 360 s.; T. AULETTA, Luci, ombre,
silenzi nella disciplina di costituzione del rapporto genitoriale
nella fecondazione assistita, in Ann. Catania, V, 2005, 495;
CORTI, op. cit., 512; A. D’ALOIA e P. TORRETTA, La procreazione come diritto della persona, in Trattato di biodiritto
diretto da S. RODOTÀ e P. ZATTI, Il governo del corpo, II,
Milano, Giuffrè, 2011, 1341 ss., 1353. In giurisprudenza,
Trib. Lecce 24 giugno 2019, in Giustiziacivile.com, 10 dicembre 2019, con nota di D. GIUNCHEDI; Trib. Bologna 25
agosto 2018, in Foro it., 2019, I, 1430 ss.; TAR Lazio 21
gennaio 2008, n. 398, cit. In senso opposto era la regola nel
testo unificato Bolognesi, dove — all’art. 14 comma 1 lett. c
— si vietava anche il trasferimento in utero dell’embrione
dopo la morte di uno dei componenti della coppia. La
1033
Procreazione assistita (dir. civ.)
ne derivano complessi problemi in relazione allo
status del figlio, soprattutto nell’ipotesi in cui l’impianto non avvenga immediatamente (anche per le
presumibili condizioni psicofisiche della donna
dopo il lutto).
Il venir meno del divieto di fecondazione eterologa ha ampliato la rilevanza del limite alle
coppie in cui almeno uno dei partner non sia più
in età potenzialmente fertile, il quale non riguarda
più soltanto il caso in cui i gameti siano stati
crioconservati quando il partner non era sterile (73): adesso tale limite pone un ostacolo all’accesso di tali coppie alla procreazione assistita
di tipo eterologo, ostacolo che va giustificato con
l’interesse del figlio ad essere procreato da genitori
che siano astrattamente in grado di assolvere alla
propria responsabilità genitoriale. La norma non
indica un’età a partire dalla quale non sarebbe
ammesso l’accesso alla procreazione, rimettendo la
valutazione alla discrezionalità tecnica del medico:
conseguentemente, al fine di evitare che tale valutazione non sia esercitata con la dovuta serenità, si
è escluso che la violazione della norma fosse soggetta a sanzione. La regola è riferita alla fase della
fecondazione: una volta fecondato l’embrione, se
non impiantato subito, la coppia non dovrebbe
avere specifici limiti temporali per l’accesso all’impianto e alla successiva gravidanza (74), a meno
che il medico non opponga motivi di ordine sanitario (ex art. 6 comma 4 l. n. 40 del 2004).
Nella misura in cui è venuto a cadere il divieto
di fecondazione eterologa per le coppie di sesso
diverso, si pone il problema se non sia discriminatorio mantenere il divieto di accesso alla tecnica
per le coppie dello stesso sesso.
Secondo la giurisprudenza europea, infatti,
non è ammissibile una discriminazione fondata
sugli orientamenti sessuali (75) e tale argomento
ha assunto una rilevanza specifica nella misura in
soluzione negativa, che non consentiva l’impianto, ha trovato accoglimento in Trib. Bologna 21 maggio 2014, in Foro
it., 2014, I, 2935 ss., con nota di G. CASABURI, in un caso in
cui la donna ha chiesto l’impianto sedici anni dopo la morte
del coniuge; anche in Trib. Roma 19 novembre 2018, ivi,
2019, I, 692 ss., per un caso in cui erano addotte a fondamento della richiesta di impianto dichiarazioni dell’uomo
non univoche e non espresse ai sensi della disciplina vigente
(trattavasi di una delega e di una disposizione testamentaria).
(73) C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 105 ss.
(74) Dubita di tale soluzione VILLANI, Procreazione assistita, cit., 291.
(75) Il richiamo alla giurisprudenza europea non poteva
essere considerato risolutivo sino a che riguardava ordinamenti che consentono di instaurare un rapporto genitoriale
(mediante l’adozione) anche al singolo e in cui la questione
verteva sulla rilevanza discriminatoria del diniego alla richiesta di adozione da parte di una singola persona omosessuale:
1034
cui la Corte di Strasburgo ha reputato non solo —
come è ormai consolidato — che il diritto alla
procreazione artificiale rientri nella sfera di rispetto della vita familiare, ma anche che la coppia
omosessuale sia titolare del diritto alla vita familiare al pari della coppia eterosessuale (76). Ne
discende che nella misura in cui alla coppia convivente eterosessuale è riconosciuto il diritto ad
accedere alla procreazione assistita, non vi dovrebbero essere ostacoli ad ammettere che tale diritto
sia attribuito dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo — e conseguentemente dalla Carta costituzionale — anche alla coppia omosessuale (77):
in tal senso depone in maniera chiara la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in
materia di adozione speciale del partner del genitore, la quale ha considerato discriminatorio il
divieto di adozione del convivente omosessuale in
quegli ordinamenti che ammettono l’adozione del
convivente (ancorché non coniugato) di sesso diverso dal genitore (78).
Istanze non raccolte dalla Corte costituzionale
nella sentenza n. 221 del 2019, che ha dichiarato la
legittimità del divieto di accesso alle tecniche per
la coppia dello stesso sesso (79). La Corte ha
negato che le regole in tema di adozione — e in
particolare l’estensione dell’adozione ai casi particolari alle coppie omosessuali — possano assuC. eur. dir. uomo, Grande Camera, 22 gennaio 2008, E.B. c.
Francia, ricorso n. 43546/02.
(76) C. eur. dir. uomo, sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e
Kopf c. Austria, ricorso n. 30141/04, § 92-95.
(77) Cfr. M. SEGNI, Matrimonio omosessuale: novità dall’Europa, in Fam. dir., 2014, 673 ss., 676 ss.
(78) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 19 febbraio
2013, X e altri c. Austria, ricorso n. 19010/07; C. eur. dir.
uomo 16 gennaio 2018, Nedescu c. Romania, ricorso n.
70035/10.
(79) C. cost. 23 ottobre 2019, n. 221, cit., 3782 ss., per
la quale l’impostazione normativa è strutturata su due idee
fondanti: in primo luogo, la procreazione assistita ha una
funzione terapeutica, per cui non rappresenta una tecnica
alternativa rispetto al desiderio di genitorialità; in secondo
luogo, l’accesso alla procreazione assistita deve riprodurre la
famiglia ad instar naturae quale luogo astrattamente idoneo
per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. I precedenti
della Corte costituzionale — nella misura in cui predicano
l’estensione dell’accesso alle tecniche alle coppie portatrici
di malattie genetiche e la possibilità, per le coppie che non
abbiano altra scelta, di fare ricorso alla fecondazione eterologa — non si discosterebbero da questi assi fondamentali,
in quanto si limiterebbero a valorizzare la funzione terapeutica della procreazione assistita, mantenendo fermo il requisito dell’accesso alla famiglia ad instar naturae. Mentre ammettere l’accesso alle coppie same-sex « esigerebbe la diretta
sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale », proprio
di tali principi guida, « con potenziali effetti di ricaduta
sull’intera platea delle ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive ».
Procreazione assistita (dir. civ.)
mere alcun rilievo rispetto all’accesso delle coppie
omosessuali alla procreazione assistita (80), smentendo il precedente accostamento utilizzato dalla
Corte di Strasburgo nelle sue aperture alla fecondazione eterologa, che era in qualche modo fatto
proprio dal precedente n. 162 del 2014 della Corte
costituzionale.
L’esigenza di maturità che deve stare alla base
della delicata scelta di accedere alla fecondazione
artificiale costituisce il fondamento della norma
che prescrive il raggiungimento della maggiore età
per entrambi i partner della coppia. Non si ravvisano ragioni per consentire, in contrasto con il
dato letterale, l’accesso alla tecnica della coppia,
coniugata, in cui uno dei soggetti è un minore
emancipato (81): le ragioni specifiche che consentono l’estensione della capacità al minore in questa
ipotesi, normalmente connesse alla responsabilità
genitoriale, non si riflettono sulle diverse motivazioni intese a rafforzare la consapevolezza e
la maturità dell’accesso alla procreazione assistita (82). La soluzione, per altro verso, appare
coerente con l’intento normativo di indirizzare le
aspirazioni genitoriali verso la disciplina dell’adozione, preclusa al minorenne in virtù del disposto
dell’art. 6 comma 3 l. 4 maggio 1983, n. 184.
Di portata innovativa è la regola che consente
l’accesso alla procreazione assistita, oltre alle cop(80) La disciplina dell’adozione, infatti, è posta nell’interesse del minore a soddisfare il bisogno di essere accolto in
una famiglia ed è, comunque, sottoposta a una valutazione di
idoneità in concreto: valutazione in concreto che occorre
anche nel caso di adozione in casi particolari, dove i requisiti
in astratto per la costituzione del rapporto adottivo sono
meno rigorosi rispetto all’adozione ordinaria. La procreazione assistita, invece, è volta a realizzare le aspirazioni
genitoriali, dando un figlio a chi non lo ha: per cui si
considera ammissibile, nella prospettiva del relatore, che il
legislatore si preoccupi di garantire al bambino non ancora
nato (rectius, non ancora concepito) quelle che, secondo le
sue valutazioni e alla luce degli apprezzamenti della comunità sociale, appaiono le migliori condizioni di partenza,
almeno in astratto. In un ordinamento come quello italiano,
che ammette l’accesso alla procreazione assistita per le coppie conviventi di sesso diverso, persistono tuttavia ragionevoli perplessità sulla persuasività delle giustificazioni, che
appaiono essere sostanzialmente di ordine etico e morale,
del divieto di accesso nei confronti di coppie dello stesso
sesso, anche ove si ammettano ampi margini di apprezzamento agli ordinamenti nazionali.
(81) Nello stesso senso: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 103 ss.; CORTI, La
procreazione assistita, cit., 505 s. In senso diverso VILLANI, La
procreazione assistita, cit., 70 s.
(82) Sul punto v. FACCIOLI, Procreazione medicalmente
assistita, cit., 1061; CASSANI e SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 3700 s. Ma cfr. GAZZONI, Osservazioni
non solo giuridiche, cit., 197, per il quale la scelta sarebbe
piuttosto coerente con il principio di gradualità.
pie unite in matrimonio, anche alle coppie conviventi (v. CONVIVENZA E CONTRATTO DI CONVIVENZA):
in una disciplina caratterizzata dal rigore delle
limitazioni di principio, l’apertura alle coppie conviventi risultava essere per taluni versi sorprendente, anche perché in contrasto con la diversa
scelta compiuta in materia di adozione (ed in
controtendenza al dichiarato intento normativo di
favorire tale istituto rispetto alla procreazione assistita) (83). La norma — riconoscendo alla coppia
convivente un diritto paritario rispetto alla coppia
coniugata in circostanze in cui tale parificazione
non era sollecitata da specifiche ragioni di fatto —
è sembrato che si ponesse su una linea particolarmente avanzata dell’incerto processo di riconoscimento di modelli familiari alternativi a quello coniugale, assumendo una rilevanza innovativa anche sul piano sistematico (84).
Proprio perché parificata con la coppia coniugata, si è ritenuto che la coppia convivente debba
essere caratterizzata dal requisito della stabilità (85), sostenendo che tale requisito non sarebbe
stato inserito nel testo normativo soltanto perché
non si intendeva sollecitare l’adozione diffusa di
strumenti di controllo della stabilità della coppia
(cosiddetti registri delle coppie conviventi) (86):
argomento non probante, soprattutto se si considera che nel nostro ordinamento è già richiesta ad
altri fini la dimostrazione della continuità e della
stabilità della convivenza per periodi determinati e
che nel caso in specie si sarebbe potuto estendere
il contenuto dell’autocertificazione, prevista per
dimostrare i requisiti soggettivi dal comma 3 dell’art. 12 della legge de qua.
Si deve piuttosto ammettere — anche se tale
soluzione riduce la portata sistematica dell’innovazione (87) — che, nel caso in specie, il requisito
della convivenza esprima, non tanto una volontà
normativa intesa a richiedere la sussistenza di un
(83) Cfr. C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 96 ss.;
M. COSTANTINO, L’identità del bambino e del concepito. Voglie individuali di anonimato e di rifiuto, in Riv. dir. civ.,
2008, 767 ss.
(84) Cfr. M. SEGNI, Conviventi e procreazione assistita, in
Riv. dir. civ., 2007, 7 ss.; F. PROSPERI, La famiglia nell’ordinamento giuridico, in Dir. fam., 2008, 790 ss.
(85) Così GAZZONI, op. cit., 197; FACCIOLI, op. ult. cit.,
1062 s.; SEGNI, op. ult. cit., 10 ss. Il requisito della stabilità
della convivenza era espressamente richiesto dall’art. 5 del
testo unificato Bolognesi ed è tuttora rilevante per il codice
di deontologia medica.
(86) SEGNI, op. ult. cit., 10 s.
(87) Cfr. CARUSI, Non solo procreazione assistita, cit.,
419, per il quale la mancanza del requisito della stabilità
« non è spiegabile se non nella chiave di un involuto e anche
schizofrenico atteggiamento di nostalgia per la centralità
della famiglia fondata sul matrimonio ».
1035
Procreazione assistita (dir. civ.)
ambiente familiare potenzialmente idoneo alla crescita del nascituro, quanto piuttosto la necessità di
una duplice assunzione di responsabilità genitoriale che traspaia dalla dichiarazione di un progetto di vita in comune (88): una diversa soluzione, volta ad integrare il silenzio del legislatore
con ulteriori requisiti non specificamente delimitati, renderebbe impraticabile l’esercizio del diritto di autocertificazione, pur espressamente riconosciuto, con ingiustificabili rischi per la coppia di
subire sanzioni anche penali.
In questa prospettiva si giustifica anche il fatto
che il dato normativo non attribuisca alcuna rilevanza alla circostanza che la coppia coniugata sia
separata al momento dell’espressione del consenso
o si separi in un momento successivo, anche prima
della fecondazione (89): in un modello normativo
che non si preoccupa di qualificare la situazione di
convivenza, non appare fondata, a fronte della
duplice assunzione di responsabilità genitoriale e
della relativa infrequenza della fattispecie di una
coppia separata che acceda alla procreazione assistita, un’interpretazione restrittiva del requisito
dello stato coniugale (90).
Occorre chiedersi se tali conclusioni debbano
essere tenute ferme anche dopo l’approvazione
della l. 20 maggio 2016, n. 76, che ha regolato nel
nostro ordinamento la convivenza di fatto. La
questione non appare di agevole soluzione, perché
attiene al rapporto tra la disciplina generale della
convivenza e i precedenti riconoscimenti in sede
legislativa e giurisprudenziale: dal punto di vista
testuale, la disciplina generale sembra applicabile
alle vicende richiamate nella seconda parte della
stessa legge; da un punto di vista sistematico ap(88) AULETTA, Luci, ombre, silenzi, cit., 486.
(89) Ammette l’impianto sulla base della volontà della
donna, nonostante la separazione tra i coniugi dopo la
fecondazione dell’embrione, negando la revocabilità del
consenso, Trib. Santa Maria Capua Vetere 27 gennaio 2021,
in Dir. fam., 2021, I, 704 ss. Ad una diversa soluzione, prima
dell’entrata in vigore della legge, era pervenuto il Tribunale
di Bologna in due diverse decisioni, una del 9 maggio 2000,
in Familia, 2001, 468 ss., con nota di I. CORTI, e l’altra del 26
giugno 2000, in Fam. dir., 2000, 614 con nota di G. CASSANO,
con riferimento a due distinte coppie che, dopo la fecondazione dell’embrione, si sono separate: in entrambi i casi il
giudice, per negare l’ammissibilità dell’impianto in assenza
del consenso del marito, ha fondato la sua decisione sulla
rilevanza del principio di doppia genitorialità.
(90) Reputano invece che la norma sia interpretabile nel
senso della non riferibilità ai coniugi separati, in quanto non
definibili “coppia”: DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 132; CORTI, La procreazione assistita, cit., 506 s.;
nello stesso senso E. QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina della procreazione assistita, in Dir. giur., 2004, 226, che
argomenta dal riferimento contestuale ai conviventi, e GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 198.
1036
pare singolare che la disciplina generale sui requisiti non sia applicabile anche alle regole disposte
antecedentemente per analoghe ragioni di tutela.
Né si potrebbe trarre argomento dalla eventuale
restrizione della fattispecie in relazione alle convivenze tutelate, peraltro tutta da dimostrare; piuttosto, si potrebbe attingere dall’idea che l’accesso
alla procreazione assistita delle coppie conviventi
non abbia una funzione di salvaguardia dei componenti della coppia rispetto all’altro soggetto o ai
terzi, ma risponda a una ratio specifica, che abbiamo individuato nella volontà di garantire una
duplice assunzione di responsabilità.
10. La rilevanza del consenso. — La coppia
che intenda accedere alla terapia per la procreazione medicalmente assistita deve esprimere il proprio consenso sia prima dell’inizio della terapia, sia
prima dell’inizio di ogni fase di applicazione delle
singole tecniche.
Al fine di consentire l’espressione di siffatta
volontà, il medico è tenuto, di volta in volta, a
informare entrambi i componenti della coppia sui
metodi terapeutici, sui possibili effetti collaterali
sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione
delle tecniche procreative, sulle probabilità di successo e sui rischi derivanti dalle stesse tecniche,
nonché sulla possibilità di ricorrere alle procedure
di adozione o affidamento in alternativa alla procreazione medicalmente assistita (91).
A queste informazioni, che sono di carattere
strettamente terapeutico e sono riconducibili a
quelle previste dall’art. 1 comma 3 l. l. 22 dicembre 2017, n. 219, per l’espressione del consenso
medico, la disciplina della procreazione assistita
ne aggiunge altre, attribuendo allo stesso medico
— con soluzione considerata inopportuna dalla
dottrina (92) — il dovere di informare la coppia
sui problemi bioetici, nonché sulle conseguenze
giuridiche per la coppia e per il nascituro derivanti
dall’applicazione della terapia.
Una volta ricevute le informazioni, la coppia
deve esprimere congiuntamente per iscritto la volontà di accedere alla terapia e a ciascuna delle
singole fasi, e il documento deve essere controfirmato dal medico, secondo modalità definite con
un decreto interministeriale. Al fine di consentire a
ciascun partner un tempo di riflessione è previsto
(91) Si può dubitare che tale ultima informazione rientri
nel dovere di indicare le possibili alternative al trattamento
medico: l’imputazione dell’obbligo al medico di fornire siffatta informazione è sancita dal d. interm. 16 dicembre 2004.
(92) L. ROSSI CARLEO, Le informazioni per il consenso alla
procreazione assistita, in Familia, 2004, 707 s., 711 s.
Procreazione assistita (dir. civ.)
che tra la manifestazione di volontà e l’applicazione di ogni singola tecnica debba intercorrere un
termine di almeno sette giorni, durante il quale il
consenso dell’uomo o della donna può essere revocato, impedendo l’ulteriore prosecuzione della
terapia. Una volta fecondato l’ovulo, non è più
consentita la revoca del consenso: la disposizione
va intesa nel senso che non occorre uno specifico
consenso da parte di entrambi i componenti della
coppia per le successive fasi di applicazione delle
tecniche di procreazione assistita, quali ad esempio l’impianto in utero dell’embrione (93).
Ai sensi del comma 4 dell’art. 6 l. n. 40 del
2004, il medico può rifiutarsi di procedere al
trattamento, anche ove fosse già iniziato, soltanto
per motivi di ordine medico-sanitario: il rifiuto
deve essere formulato per iscritto e deve essere
motivato.
Dell’articolata disciplina del consenso informato, considerata espressamente quale normativa
di principio (art. 4), sono state fornite diverse
chiavi di lettura.
In una prima prospettiva, la disciplina speciale
è stata ricondotta nell’alveo del principio generale
del consenso informato ai trattamenti sanitari, del
quale costituirebbe una integrazione (94): adottata
questa interpretazione, si è posto il dubbio se sia
coerente con il principio costituzionale l’irrevocabilità del consenso medico dopo la fecondazione
dell’embrione.
Secondo un orientamento, la norma porrebbe
soltanto un limite al diritto di revoca, in deroga
all’art. 5 comma 3 della Convenzione sui diritti
dell’uomo e la biomedicina (Oviedo, 4 aprile
1997) che dispone la libera revocabilità del consenso, deroga peraltro ammissibile ai sensi dell’art.
26 della stessa Convenzione (95). In questa prospettiva si è affermato che l’impianto dell’embrione dopo la fecondazione sarebbe un obbligo
giuridicamente rilevante, anche se non coercibile
contro la volontà della donna (96), dal quale trarre
indicazioni sistematiche rispetto all’interpretazione del quadro normativo, senza che in senso
opposto assuma rilievo la circostanza che dalla
violazione dello stesso non derivi alcuna sanzione (97).
Secondo altro orientamento, la norma configurerebbe un trattamento medico obbligatorio, lesivo della dignità della persona e del diritto all’inviolabilità dell’integrità fisica (98). In questa
prospettiva, si sostiene che la stessa vada disapplicata o interpretata in senso antiletterale, sotto due
diversi versanti: per un verso, dalla pretesa illiceità
costituzionale della norma si è desunta la revocabilità del consenso anche dopo la fecondazione
dell’embrione, seppure soltanto da parte della
donna, traendo anche argomento dalla incoerenza
della diversa soluzione rispetto alla disciplina dell’interruzione di gravidanza (99); per altro verso, si
estende il potere del medico, ai sensi del comma 4,
di rifiutare la terapia, sostenendo che le ragioni di
ordine sanitario che debbono motivare il rifiuto
vanno intese in senso ampio, estese al profilo
psicologico, in modo da consentire al medico di
rifiutare il trattamento qualora esso debba essere
eseguito contro la volontà della donna (100).
I dubbi di costituzionalità della disciplina di
revoca del consenso andrebbero, a nostro avviso,
valorizzati al fine di accogliere una diversa prospettiva, secondo la quale la disposizione dell’art.
6 sul consenso informato non si riferisce tanto al
consenso alla terapia (del quale produrrebbe comunque gli effetti), ma è specificamente rivolta
alla responsabilizzazione di entrambi i componenti della coppia sui rischi e sulle conseguenze
dell’applicazione delle tecniche di procreazione
assistita, anche nell’ipotesi in cui tali rischi o conseguenze, ad esempio di ordine sanitario o psicologico, riguarderebbero soltanto il destinatario
dell’applicazione della singola tecnica.
In tal senso depone tutta la struttura della
norma, la quale prevede che l’informazione debba
(93) In tal senso Trib. Santa Maria Capua Vetere 11
ottobre 2020 e 27 gennaio 2021, in N. giur. civ., 2021, I, 586
ss., con nota di R. VILLANI, a favore della donna che intendeva impiantare l’embrione, nonostante la revoca del consenso da parte del marito dopo la fecondazione.
(94) Dottrina prevalente: C. CASINI, M. CASINI e DI
PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 112 ss.; VILLANI,
La procreazione assistita, cit., 78 ss.; DOGLIOTTI e FIGONE,
Procreazione assistita, cit., 160; MASTROPIETRO, Procreazione
assistita, cit., 1402 ss.; VILLANACCI, Il concepito nell’ordinamento giuridico. Soggettività e statuto, Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, 2005, 123 ss.
(95) VIOLINI, Tra scienza e diritto, cit., 470 s.; NICOLUSSI,
Lo sviluppo della persona umana, cit., 52 nt. 103.
(96) In tal senso C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op.
cit., 127 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 93 ss.; NICOLUSSI, op. ult. cit., 52 e nt. 104.
(97) NICOLUSSI, lc. ult. cit.; C. CASINI, M. CASINI e DI
PIETRO, op. cit., 139 s.; OPPO, Procreazione assistita, cit., 330.
(98) Così: MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 264
ss.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 83 ss.; SESTA, Dalla
libertà ai divieti, cit., 1408; MASTROPIETRO, op. cit., 1402 ss.;
A. MARTINI, Il consenso informato nella legge 19 febbraio
2004, n. 40, in Vita not., 2005, 1784 ss.; VILLANACCI, op. cit.,
123 ss.; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit.,
1065 s.; CARUSI, Non solo procreazione assistita, cit., 424 s.
(99) Con varie argomentazioni, v. tra gli altri: VILLANI,
op. ult. cit., 82 ss.; MASTROPIETRO, op. cit., 1402 ss.; VILLANACCI, op. cit., 123 ss.
(100) MODUGNO, op. cit., 267.
1037
Procreazione assistita (dir. civ.)
essere fornita, anche per ogni singola fase, a entrambi i partner, i quali devono esprimere congiuntamente il consenso alla tecnica.
L’esigenza di responsabilizzare la coppia ha un
duplice scopo: quello di rendere consapevoli entrambi i componenti della coppia dei rischi che
corre ciascuno di essi a causa della scelta di accedere ad una tecnica non incoraggiata dall’ordinamento; quello di esprimere congiuntamente una
volontà che è considerata produttiva di effetti
nella costituzione del rapporto di filiazione.
La rilevanza che assume quest’ultimo profilo,
sulle conseguenze giuridiche della procreazione
assistita, è testimoniata dal collegamento posto tra
l’espressione del consenso e la disciplina dell’art. 8
l. n. 40 del 2004 (101).
In questa prospettiva, la dichiarazione della
coppia, pur producendo anche l’effetto del consenso al trattamento sanitario, non sarebbe soggetta, limitatamente a questo profilo, alla disciplina dell’art. 6 (102). La fattispecie del consenso
informato al trattamento sanitario resterebbe, infatti, autonomamente regolata dall’art. 1 l. n. 219
del 2017, con risultati applicativi più congrui: al
medico non sarebbe specificamente imputabile la
responsabilità per i danni derivanti dal trattamento — anche se non ha rispettato le specifiche
forme e gli specifici contenuti previsti dall’art. 6 e
non ha ottenuto il consenso dalla coppia — purché abbia fornito le informazioni rilevanti, dal
punto di vista del trattamento sanitario, al singolo
destinatario dell’intervento, ottenendone il consenso.
La disposizione dell’art. 6, se intesa in tal
senso, è compatibile con i principi, poiché i limiti
alla revocabilità riguarderebbero soltanto l’espressione della volontà di assumere la responsabilità
genitoriale: il diritto del destinatario del trattamento sanitario (la donna, nel caso dell’impianto
dell’embrione in utero) alla revoca del consenso —
anzi, ad esprimere il consenso al successivo impianto — resterebbe pertanto integro ed illimitato
anche dopo la fecondazione dell’embrione (103).
(101) In questo senso la dottrina più autorevole: ROSSI
CARLEO, Le informazioni per il consenso, cit., 706, 714 s.; M.
D’AURIA, Informazione e consensi nella procreazione assistita,
in Familia, 2005, 1005, 1030 ss.; L. BOZZI, Il consenso al
trattamento di fecondazione assistita tra autodeterminazione
procreativa e responsabilità genitoriale, in Eur. dir. priv.,
2008, 241.
(102) Cfr. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche,
cit., 176, per il quale la regola dell’art. 6 è posta a tutela del
concepito, mentre la regola sul consenso medico è posta a
tutela del paziente.
(103) Ma non quello dell’uomo, il quale sarebbe irrile-
1038
Sez. II. – LA
FILIAZIONE DA PROCREAZIONE ASSISTITA.
11. Profili generali. — Il problema della costituzione del rapporto di filiazione è stato avvertito
sin dagli albori dell’applicazione delle tecniche di
procreazione artificiale.
Prima dell’approvazione della legge, l’orientamento prevalente ha considerato il silenzio del
legislatore quale tecnica di rinvio, applicando più
o meno meccanicamente la disciplina della filiazione in generale (104); l’orientamento più consapevole ha riconosciuto la sussistenza di una lacuna, ammettendo il ricorso all’analogia per risolvere i vari problemi in base ad argomentazioni che
fondavano l’assunzione della responsabilità genitoriale sull’espressione del consenso alla procreazione (105).
vante: in senso diverso Trib. Bologna 21 maggio 2014, cit.,
che ritiene il consenso dell’uomo revocabile anche dopo la
fecondazione, seppure in relazione alla peculiare ipotesi in
cui la richiesta di impianto dell’embrione sia effettuata dalla
donna sedici anni dopo la morte del coniuge.
(104) Era la tesi data per presupposta nelle prime riflessioni (ad esempio, V. SGROI, Riflessi della fecondazione
artificiale sul rapporto di filiazione legittima, in Giust. civ.,
1956, I, 1612 ss.) e poi condivisa dalla maggioranza degli
studiosi: A. GORASSINI, Procreazione (diritto civile), in questa
Enciclopedia, XXXVI, 1987, 964 ss.; S. PATTI, Verità e stato
giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, I, 237 ss.; R.
CLARIZIA, Procreazione artificiale e tutela del minore, Milano,
Giuffrè, 1988, 123 ss.; M. CALOGERO, La procreazione artificiale, Milano, Giuffrè, 1989, 117 ss.; L. LENTI, La procreazione artificiale. Genoma della persona e attribuzione della
paternità, Padova, Cedam, 1993; P. VERCELLONE, Procreazione artificiale, in D. disc. priv., sez. civ., XV, 1997, 313 ss.;
G. MILAN, Aspetti giuridici della procreazione assistita, Padova, Cedam, 1997, 167 ss.; E. DEL PRATO, La scelta come
strumento tecnico di filiazione? in Familia, 2001, 1035 ss.
In giurisprudenza ha consentito il disconoscimento della
paternità del nato da fecondazione eterologa al coniuge
consenziente, in applicazione diretta della disciplina generale della filiazione, Trib. Cremona 17 febbraio 1994, in N.
giur. civ., 1994, I, 541 ss., con nota di G. FERRANDO; cfr. pure
l’ordinanza di remissione alla Corte costituzionale del Trib.
Napoli 2 aprile 1997, in Fam. dir., 1997, I, 261 ss., con nota
di M. DOGLIOTTI. Allo stesso risultato, ma in applicazione
analogica della disciplina generale della filiazione, sono pervenuti: Trib. Roma 30 aprile 1956, in Giust. civ., 1956, I,
1612 ss., con nota di V. SGROI, e in Giur. it., 1957, I, 2, 217
ss., con nota di A. TRABUCCHI; App. Brescia 10 maggio 1995,
in Fam. dir., 1996, 34 ss., con nota di M. DOGLIOTTI. In
applicazione delle regole della filiazione ha reputato sussistere il reato di alterazione di stato nel caso di nato da
fecondazione eterologa denunziato come figlio legittimo di
una coppia di coniugi, tra i quali, in fase di separazione, era
sorta controversia sull’affidamento dello stesso, Trib. Rimini
24 marzo 1995, in Fam. dir., 1996, 39 ss., con nota di M.
DOGLIOTTI, dove si invita l’ufficio del pubblico ministero ad
avviare l’azione penale e ad esperire la procedura di nomina
del curatore speciale per la promozione dell’azione di disconoscimento.
(105) Va ricordato il pensiero di A. TRABUCCHI, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur. it., 1957, I, 2,
Procreazione assistita (dir. civ.)
In quest’ultimo senso si è orientata la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, la quale
ha escluso l’applicazione della disciplina generale
della filiazione, negando il disconoscimento del
nato da fecondazione eterologa al coniuge che
aveva espresso il consenso alla procreazione artificiale (106): a seguito del consolidamento di questo indirizzo giurisprudenziale, è stato approvato il
disegno di legge che ne ha recepito sostanzialmente la soluzione, ma che al contempo ha posto
diversi limiti all’accesso alle tecniche procreative,
compreso il divieto di fecondazione eterologa.
La scelta del legislatore di riconoscere il rapporto di filiazione con i coniugi o con i conviventi
che hanno espresso il consenso alla fecondazione
eterologa, si configura la più idonea alla tutela
dell’interesse del minore (107): ma al tempo stesso
denota che il divieto di fecondazione eterologa è
stato espressione di un giudizio di valore più
attenuato rispetto a quello che ha ispirato altri
divieti — ad esempio, alla maternità surrogata —
la cui violazione non consente, allo stato, la costituzione del rapporto filiale con la coppia che ha
espresso la volontà di accoglimento (108). Il rico217 ss. L’illustre studioso, negata la sussistenza di un rapporto di filiazione tra il nato da fecondazione eterologa e il
donatore, ha ritenuto inapplicabile la disciplina del disconoscimento di paternità al coniuge che aveva dato il consenso;
al contempo, però, ha considerato applicabile la disciplina
generale della filiazione nel caso di fecondazione omologa e
nel caso di maternità surrogata. L’opinione del Trabucchi è
stata accolta da una parte della dottrina già prima dell’approvazione della legge: v., tra gli altri, C.M. BIANCA, Disconoscimento del figlio nato da procreazione assistita: la parola
della cassazione, in Giust. civ., 1999, I, 1328 s.; G. FERRANDO,
Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, Cedam, 1999,
359 ss.
A conclusioni solo in parte analoghe e con un diverso
iter interpretativo è pervenuto T. AULETTA, Fecondazione
artificiale: problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 51 s.
(106) C. cost. 26 settembre 1998, n. 347, in Giust. civ.,
1998, I, 2409 ss., con nota di A. MORELLI; Cass. 16 marzo
1999, n. 2315, in Resp. civ. prev., 1999, 10 ss., con note di A.
GUARNERI e G. CASSANO. Nella successiva giurisprudenza di
merito v. Trib. Napoli 24 giugno 1999, in Giust. civ., 1999,
I, 2507 ss., con nota di A. MORELLI. Tra i commenti al
revirement giurisprudenziale si segnalano: R. SCHLESINGER,
L’inseminazione eterologa: la cassazione esclude il disconoscimento di paternità, in Corr. giur., 1999, 401 ss.; S. PATTI,
Inseminazione eterologa e venire contra factum proprium, in
N. giur. civ., 2000, II, 13 ss.; S. PATTI, M. SESTA, G. FERRANDO
e L. BALESTRA, Venire contra factum proprium: principio
antico per nuovi problemi della filiazione, ivi, 347 ss.
(107) Così FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 325; cfr. CARUSI, Non solo procreazione assistita,
cit., 413 ss., 421 s., il quale rileva che la scelta diversa, in
presenza di legislazioni straniere che non avrebbero consentito l’individuazione del donatore di gameti, avrebbe esposto
il nato al rischio della “mancanza totale” della figura paterna.
(108) Si aggiunga che la regola del consenso si pone in
chiaro contrasto con il sistema generale accolto dall’ordina-
noscimento del rapporto di filiazione tra il procreato e il donatore di gameti, in forza della disciplina generale della filiazione (109), avrebbe infatti
reso in larga misura inattuabile la pratica della
procreazione artificiale eterologa, in quanto il donatore di gameti non sarebbe risultato disponibile
a correre il rischio di instaurare un rapporto di
filiazione con il nato da fecondazione artificiale.
La rilevata contraddizione è adesso venuta
meno a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa: una
volta che la tecnica terapeutica è stata ammessa,
diventa addirittura indispensabile per la sua funzionalità che sia negato ogni rapporto parentale tra
il procreato e il donatore di gameti.
Considerazione che va tenuta ferma — anche a
costo di sacrificare la coerenza con il principio di
essenzialità della doppia figura genitoriale che
emerge dalla disciplina regolativa dei requisiti soggettivi di accesso alla procreazione assistita —
negando la sussistenza del rapporto di filiazione
con il donatore anche nel caso in cui si accerti che
la fecondazione eterologa sia avvenuta senza il
consenso del coniuge o del convivente della puerpera: poiché la diversa soluzione, pur salvaguardando le potenzialità di sostegno (quantomeno
economico) per il nato da procreazione artificiale (110), rischierebbe di porre ostacoli insormontabili al riconoscimento dei legittimi diritti
all’autodeterminazione nella vita privata e familiare e alla salute delle coppie sterili, così come
riconosciuti dalla Corte costituzionale (111).
È irrilevante, invece, ai nostri fini la recente
modifica dell’art. 231 c.c., a norma del quale « il
marito è padre del figlio concepito o nato durante
il matrimonio »: la formula non intende, come
mento, nel quale l’interesse del minore a vivere in un ambiente familiare a lui congeniale non è tutelato, se non
nell’ambito di procedure giudiziarie complesse, come l’affidamento o l’adozione, dove si devono esprimere valutazioni
in concreto sulla inadeguatezza dei genitori originari e sulla
idoneità della famiglia disponibile all’accoglimento.
(109) Riconoscimento che, salva la prevalenza dello
stato di figlio legittimo, avrebbe tratto fondamento dall’applicazione dei principi che reggono la filiazione naturale:
AULETTA, Fecondazione artificiale, cit., 49 s.; LENTI, La procreazione artificiale, cit., 288 ss.; DEL PRATO, La scelta, cit.,
1035 ss.
(110) Negavano che l’ordinamento riconosca un interesse del minore a nascere in una famiglia in cui siano
presenti entrambi i genitori, prima dell’approvazione della l.
n. 40 del 2004, FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 331 ss.; P. ZATTI, Familia, familiae - Declinazione
di un’idea, pt. II. Valori e figure della convivenza e della
filiazione, in Familia, 2002, 337 ss.
(111) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit.
1039
Procreazione assistita (dir. civ.)
pure autorevolmente sostenuto (112), far venire
meno l’essenzialità del requisito del concepimento
nel matrimonio per inglobare nella disciplina generale la fattispecie della filiazione da procreazione assistita, in quanto l’innovazione, inglobando in un unico articolo anche la regola già
posta dall’art. 233 c.c., si configura quale mera
conseguenza del venir meno della differenziazione
tra le discipline sul disconoscimento di paternità a
seguito dell’abrogazione degli art. 233 e 235
c.c. (113): peraltro, non solo non è vero che la
nascita nel matrimonio assuma un rilievo esclusivo
in relazione alla costituzione del rapporto da filiazione assistita, ma per contro appare decisiva, in
alcune circostanze, la fecondazione dell’embrione
(pur se avvenuta in vitro, in un momento precedente all’impianto) e, in altre circostanze, l’espressione del consenso della coppia alla fecondazione
assistita.
12. La costituzione dello status. — Secondo il
disposto dell’art. 8 l. n. 40 del 2004, i nati da
fecondazione assistita hanno lo stato di figli della
coppia che ha espresso il consenso ai sensi dell’art.
6 della stessa legge.
La disposizione è riferita soltanto alle ipotesi in
cui è consentito l’accesso alla procreazione medicalmente assistita, perché il consenso può essere
espresso ai sensi del citato art. 6 soltanto se la
coppia possieda i requisiti di legge e intenda accedere alle terapie ammissibili (114): per cui, nella
versione originaria, la disposizione era applicabile
alla sola fecondazione omologa, essendo vietata la
fecondazione eterologa.
Dopo la pronunzia della Corte costituzionale,
che ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa (115), la disciplina dell’art. 8
(112) In tal senso C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit.;
nello stesso senso la sentenza del Trib. Roma 20 ottobre
2014, in Dir. fam., 2014, 1565 ss., nella quale si trae argomento dalla riforma per risolvere il conflitto in caso di
scambio di embrioni, senza accorgersi di una importante
svista nella lettura del nuovo testo normativo.
(113) Lo rileva CASTRONOVO, Fecondazione eterologa,
cit., 1124.
(114) In tal senso CORTI, La procreazione assistita, cit.,
533. Ma in senso opposto è la dottrina prevalente: C. CASINI,
M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit.,
156 s.; OPPO, Procreazione assistita, cit., 19; VILLANI, La
procreazione assistita, cit., 104 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 131 s.; DOGLIOTTI e FIGONE,
Procreazione assistita, cit., 182; M. MORETTI, La procreazione
medicalmente assistita, in Il diritto di famiglia. Trattato diretto da G. BONILINI e G. CATTANEO, continuato da G.
BONILINI, III. Filiazione e adozione, Torino, Utet, 2007, 276
s.; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1068 s.
(115) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit.
1040
si applica anche alla fattispecie della fecondazione
eterologa, che rientra tra le tecniche ammesse: a
seguito dell’estensione, la disposizione assume una
nuova rilevanza sistematica, confermando quelle
tesi che, all’entrata in vigore della legge, ne predicavano la centralità (116).
Se è sempre rimasta minoritaria la tesi dottrinale secondo la quale la regola dell’art. 8, sostituendosi alla disciplina generale della filiazione, ha
posto un sistema autonomo di costituzione del
rapporto di filiazione da procreazione assistita basato sulla dichiarazione del consenso ai sensi dell’art. 6 (117), non ci è apparsa convincente neanche la tesi di segno opposto, secondo la quale
l’enunciato legislativo non avrebbe alcuna rilevanza effettiva, in quanto i presupposti per la
costituzione del rapporto andrebbero individuati
direttamente nella disciplina generale del codice
civile (118). Più congrua è sembrata, piuttosto —
e la tesi appare ancora più appropriata dopo la
sentenza che legittima la fecondazione eterologa
— un’interpretazione volta a integrare la disciplina
generale del codice civile con le regole speciali che
si propongono di anticipare e rafforzare la tutela
del nato da procreazione assistita.
Elemento innovativo rispetto alla disciplina generale della filiazione è la rilevanza che, secondo
il dato legislativo, assume l’atto di consenso,
espresso per iscritto dalla coppia congiuntamente
con il medico responsabile e conservato presso la
struttura, sullo status del nato da procreazione
assistita.
Nel caso di coppia coniugata, la rilevanza può
apparire modesta, poiché la disciplina della filiazione nel matrimonio non sembra avere bisogno
d’integrazione. Si possono tuttavia ipotizzare due
effetti direttamente connessi all’atto di consenso:
in primo luogo, dopo tale atto, non rileva l’eventuale volontà della madre di non essere nominata
nella dichiarazione di nascita (cfr. art. 9 comma 2),
sancendo in tal modo (anche in caso di fecondazione eterologa) la costituzione automatica del
rapporto filiale con entrambi i coniugi; in secondo
luogo, il consenso espresso in costanza di matrimonio, e non revocato, permette la costituzione
automatica del rapporto di filiazione anche nel
caso in cui il concepimento (recte, la fecondazione
(116) Si consenta il rinvio a U. SALANITRO, La disciplina
della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in
Familia, 2004, I, 494 ss.
(117) QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina, cit.,
228; AULETTA, Luci, ombre, silenzi, cit., 491 s.
(118) SESTA, La filiazione, cit., 365 ss.; A. RENDA, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive
evolutive, Torino, Giappichelli, 2008, 161 ss.
Procreazione assistita (dir. civ.)
dell’embrione) sia avvenuto dopo lo scioglimento
del matrimonio stesso (119).
Nel caso di coppia convivente la norma può
assumere una portata più incisiva, ogni qualvolta si
ritenga che la dichiarazione di consenso non solamente osti all’eventuale espressione della volontà
della madre di non essere nominata nella dichiarazione di nascita (cfr. art. 9 comma 2), ma consenta all’ufficiale di stato civile (pure in caso di
fecondazione eterologa) di costituire automaticamente il rapporto di filiazione con entrambi i
conviventi, anche ove manchi una formale dichiarazione di riconoscimento ex art. 250 c.c. (120).
13. Le azioni di stato. — Ai sensi del comma
1 dell’art. 9, nel caso di ricorso a fecondazione
eterologa, il coniuge o il convivente, che abbia
espresso il consenso, anche per atti concludenti,
non può esercitare l’azione di disconoscimento
della paternità, né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (v. FILIAZIONE:
AZIONI DI STATO).
Appare manifesta la ratio della norma nel senso
di impedire che il coniuge o il convivente, che si
sia pentito del consenso a suo tempo manifestato,
possa fare venire meno il rapporto di filiazione,
denunziando la mancanza del rapporto genetico
con il nato dall’atto di fecondazione eterologa: la
norma ha introdotto espressamente la regola alla
quale la dottrina e la giurisprudenza erano già
pervenute in via interpretativa (rectius, attraverso
l’integrazione del diritto scritto).
Nel giudizio di disconoscimento o d’impugnazione del riconoscimento, il soggetto convenuto
può eccepire l’irrilevanza della mancanza del rapporto genetico tra il nato e il coniuge o il convivente della madre, dimostrando che il figlio è nato
da procreazione assistita e producendo l’atto di
consenso ex art. 6 l. n. 40 del 2004 ovvero dimostrando che il consenso è intervenuto per fatti
concludenti.
Il dato testuale richiama la disciplina dell’art.
235 c.c., superata dalla novella. Nella versione
originaria, l’esercizio dell’azione di disconoscimento da parte del coniuge che aveva espresso il
consenso non era ammissibile soltanto nelle ipo(119) C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 151 ss.;
MORETTI, La procreazione medicalmente assistita, cit., 272 ss.
(120) In tal senso, tra gli altri: G. OPPO, Diritto di
famiglia e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, I, 331;
C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 154 ss. In senso
opposto, tra gli altri, SESTA, Procreazione medicalmente assistita, in Enc. giur., Aggiornamento, 2005, 7 s., il quale
argomenta dal mancato coordinamento della disciplina con
la normativa regolamentare dell’ordinamento di stato civile.
tesi di mancata coabitazione e d’impotenza, per
cui si poneva il problema se sussistesse il diritto di
disconoscimento del figlio in caso di adulterio o di
occultamento della gravidanza, nonostante la mancanza di una regola analoga a tutela del convivente (121).
Esigenze di coerenza inducono ad ammettere il
disconoscimento quando il nato ha un patrimonio
genetico diverso da quello dell’embrione artificialmente fecondato (122): la soluzione, alla luce delle
modifiche della disciplina generale del disconoscimento, va accolta anche se non sia stato previamente dimostrato l’adulterio o l’occultamento
della gravidanza (123). In effetti, la regola posta
dall’art. 9 comma 1, essendo prevista soltanto per
il caso in cui il nato sia stato effettivamente concepito a seguito dell’applicazione di tecniche di
procreazione medicalmente assistita, non è applicabile qualora si dimostri che l’intervento di fecondazione artificiale, per il quale è stato espresso
il consenso, non è stato portato a compimento o
non ha avuto altrimenti successo (124).
Questione diversa è se l’azione di disconosci(121) Nell’art. 11 comma 2 del testo unificato n. 414/A
licenziato l’8 luglio 1998 dalla Commissione affari sociali
della Camera dei deputati, nella XIII legislatura (rel. M.
Bolognesi), era invece esplicitamente ammesso il ricorso
all’azione di cui all’art. 263 quando si fosse provata siffatta
circostanza.
(122) In tal senso: SALANITRO, La disciplina della filiazione, cit., 501; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita,
cit., 1071 s.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 534; SESTA,
La filiazione, cit., 369. Nello stesso senso, già in relazione alla
proposta di legge, si era espresso PATTI, Inseminazione eterologa, cit., 15. Cfr. App. Milano 10 agosto 2015, in ilfamiliarista.it, 31 gennaio 2017, che nega l’impugnazione del
riconoscimento per difetto di veridicità proposta da un terzo
e volta a fare valere la difformità tra dichiarazione di riconoscimento e la verità biologica.
(123) La disposizione dell’art. 9 presuppone, infatti, il
richiamo di un sistema normativo, quello originario della
riforma del diritto di famiglia, in cui gli accertamenti genetici
potevano essere disposti solo se in via preliminare si fosse
accertata la sussistenza di uno dei presupposti stabiliti dalla
legge per il disconoscimento: sistema normativo superato,
dopo la sentenza della C. cost. 6 luglio 2006, n. 266, in Fam.
dir., 2006, 461 ss., con nota di E. BOLONDI, dalla recente
novella legislativa del d. lg. 28 dicembre 2013, n. 154.
(124) Una volta dimostrato l’insuccesso della procreazione artificiale, si può dunque accedere in via ordinaria alle
azioni di disconoscimento della paternità e all’impugnazione
del riconoscimento per difetto di veridicità: C. CASINI, M.
CASINI e DI PIETRO, op. cit., 150 s.; VILLANACCI, op. cit., 78 s.
In tal senso era esplicito il testo unificato n. 414/A, cit., per
il quale, una volta dimostrato l’adulterio o l’occultamento
della gravidanza, « è ammessa la presentazione di ogni prova
volta a dimostrare che il concepimento non è avvenuto a
seguito della tecnica di procreazione medicalmente assistita » (art. 11 comma 2). Cfr. PATTI, Inseminazione eterologa,
cit., 15, il quale dà notizia di un caso, verificatosi in Francia,
in cui il bambino non sarebbe nato in seguito alla pratica di
1041
Procreazione assistita (dir. civ.)
mento possa essere fatta valere dal figlio (125), in
quanto soggetto che non abbia espresso il consenso alla procreazione assistita: la risposta negativa sembra imporsi se si reputa che il consenso, in
caso di procreazione assistita, costituisca il fondamento del rapporto di filiazione, in alternativa alla
derivazione genetica, come si deduce dall’art. 8 l.
n. 40 del 2004; una risposta positiva potrebbe
essere ricavata attribuendo invece al consenso (ex
art. 9) la limitata rilevanza di negare il diritto al
ripensamento della coppia dopo la fecondazione
dell’embrione. In giurisprudenza è stata autorevolmente accolta la seconda opzione, ammettendo,
seppure in un obiter dictum, la legittimazione del
figlio ad agire per il disconoscimento del genitore
che ha espresso il consenso (126): ma il dubbio,
che tale soluzione valga anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, deve essere preso seriamente in
considerazione, nella misura in cui la stessa Corte
costituzionale ha sostenuto l’estensione della regola dell’art. 8, che fonda sul consenso il rapporto
di filiazione, anche alla fecondazione eterologa (127). La diversa soluzione, che nega al figlio
la legittimazione di agire per il disconoscimento,
non trova più argomento invece nel principio della
bigenitorialità, il quale sembra avere perduto la
precedente rilevanza pervasiva nella misura in cui
anche a chi è procreato senza consenso (da fecondazione eterologa) si nega il rapporto di filiazione
anche con il donatore (128): tanto più che in
questo caso sarebbe lo stesso figlio, agendo per il
disconoscimento, ad esprimere la volontà di rinunzia al sostegno della figura paterna.
La regola che limita il disconoscimento o l’impugnazione del riconoscimento presuppone che
sia stato costituito il rapporto di filiazione del nato
con la coppia coniugata o convivente (129).
fecondazione eterologa che aveva costituito oggetto del consenso.
(125) Lo ha negato SESTA, Procreazione medicalmente
assistita, cit., 7.
(126) Cass. 11 luglio 2012, n. 11644, in N. giur. civ.,
2013, I, 51 ss., con nota di C. COSSU.
(127) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit.
(128) Avevano valorizzato l’argomento della bigenitorialità: SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 7; C.
CAMPIGLIO, La procreazione medicalmente assistita nel quadro
internazionale e transnazionale, in Trattato di biodiritto diretto da RODOTÀ e ZATTI, Il governo del corpo, II, cit., 1497
ss., 1508.
(129) Nella prospettiva delineata nel testo, la costituzione del rapporto filiale, anche in caso di fecondazione
eterologa, può avvenire non solo in forza della disciplina
generale della filiazione, ma anche mediante la produzione
all’ufficiale giudiziale dell’atto di consenso, ai sensi dell’art. 6
e 8 l. n. 40 del 2004. Non sembra invece che il consenso
1042
Nell’ipotesi in cui dall’atto di nascita non si
evinca lo status di figlio della coppia che ha
espresso il consenso alla fecondazione eterologa,
appare coerente, con la ratio di tutela del nato da
procreazione assistita, che la dimostrazione del
consenso possa essere fatta valere, anche in sede di
reclamo dello stato di figlio ovvero in sede di
dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, senza che assuma alcun rilievo, nei confronti
del genitore che non ha fornito i suoi gameti, la
mancanza di conformità genetica. In relazione ad
entrambe le azioni di stato, si pone il dubbio se il
rapporto di filiazione possa costituirsi anche qualora manchino i requisiti soggettivi di cui all’art. 5:
sulla questione manca una disciplina specifica e
l’interprete è chiamato ad integrare l’ordinamento.
14. La procreazione post mortem. — La possibilità di utilizzo di tecniche di fecondazione in
vitro e di crioconservazione pone in discussione la
rilevanza dei limiti temporali che consentono di
operare alle regole del codice civile in materia di
filiazione, poiché non si può tenere ferma la presunzione che il concepimento sia contestuale all’inizio della gravidanza.
Il venire meno dei limiti temporali si presenta
problematicamente complesso ogni qualvolta la
terapia procreativa riguarda una coppia in cui uno
dei partner sia deceduto, anche per l’incidenza
dell’eventuale nascita sulla vicenda successoria.
Appare pertanto auspicabile una disciplina specifica, volta a contemperare le esigenze del nascituro
con quelle della certezza dei diritti dei soggetti
chiamati alla successione.
Il dato comparato non appare di particolare
ausilio, perché riguarda ordinamenti che ammettono l’accesso alla procreazione assistita di donne
singole, presupponendo l’irrilevanza del modello
di doppia genitorialità (130).
Come già rilevato, è legittimo che l’embrione
ricavabile da atti concludenti, ex art. 9 della stessa legge, sia
direttamente rilevante di fronte all’ufficiale di stato civile:
OPPO, Procreazione assistita, cit., 19 s.; una diversa soluzione,
nell’interesse del nascituro, mi era sembrata più convincente
in sede di primo commento: SALANITRO, La disciplina della
filiazione, cit., 496 s.; in quello stesso senso QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina, cit., 229; C. CASINI, M. CASINI
e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 162 ss.;
DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 191.
(130) Il riferimento è alla disciplina inglese, nella quale
si nega radicalmente la paternità dell’uomo il cui seme, o
l’embrione generato con il suo seme, sia stato utilizzato dopo
la morte (art. 27.6, b, Human fertilisation and embryology
Act, 1990), nonché alla disciplina spagnola, in cui è negato il
rapporto di filiazione se l’impianto non è già avvenuto al
momento della morte del marito, salvo che questi non abbia
espresso il consenso e la fecondazione sia avvenuta in un
Procreazione assistita (dir. civ.)
fecondato da una coppia che ha espresso il consenso sia impiantato nell’utero della donna anche
dopo la morte del coniuge o del convivente: sorge
tuttavia il problema se si instaura il rapporto di
filiazione con il defunto e se tale rapporto possa
avere rilevanza successoria.
Nel caso di coppia coniugata, l’applicazione
della disciplina generale in materia di filiazione
consente una presunzione di legittimità nel caso di
nascita entro i trecento giorni dalla morte del
padre, nonché, se la nascita è avvenuta dopo i
trecento giorni, la possibilità di provare il concepimento durante il matrimonio. La disciplina si
presenta sufficientemente elastica da consentirne
l’applicazione anche nella fattispecie de qua, consentendo l’instaurarsi del rapporto di filiazione e
di successione una volta che si dimostri che il
consenso sia stato espresso e la fecondazione dell’embrione sia avvenuta prima del decesso (131).
Anche nel caso di coppia convivente il rapporto di
filiazione naturale, e la conseguente vicenda successoria, può fondarsi sulla sussistenza del consenso e sulla precedenza della fecondazione alla
morte dell’uomo (132).
Più problematica appare la soluzione nel caso
in cui uno dei partner, dopo avere espresso il
consenso alla fecondazione, muoia e successivamente la struttura sanitaria, ad esempio perché
non informata del decesso, proceda ugualmente
alla fecondazione dell’embrione, in violazione del
divieto posto dall’art. 5.
In tal caso, non appare possibile fondare il
periodo circoscritto dopo la morte (art. 9 l. 22 novembre
1988, n. 35).
Una disciplina di maggior tutela nei confronti del concepito è prevista nell’ordinamento greco, dove si reputa
figlio legittimo quello nato a seguito di inseminazione post
mortem a seguito di specifica autorizzazione (autorizzazione
che può essere concessa solo previo consenso notarile del
marito in caso di rischio di decesso e che impone l’impianto
entro due anni dal decesso: art. 1457 c.c.), ma in ogni caso
si consente la dimostrazione del rapporto di paternità, con
prova a carico di chi la invoca, anche qualora l’inseminazione sia avvenuta post mortem e manchi l’autorizzazione.
(131) Aveva già prospettato la possibilità di un’interpretazione evolutiva degli art. 234 e 462 c.c. per riconoscere lo
status di figlio legittimo e i diritti successori al nato da
procreazione post mortem — con riferimento ad embrioni
fecondati prima della morte del partner, ma ancora da
impiantare — l’ordinanza del Trib. Palermo 8 gennaio 1999,
in N. giur. civ., 1999, I, 221 ss., commentata da E. PALMERINI
con postilla di F.D. BUSNELLI, e in Foro it., 1999, I, 1653 ss.,
con nota di L. NIVARRA.
(132) Nello stesso senso QUADRI, Osservazioni sulla
nuova disciplina, cit., 231; VILLANACCI, op. cit., 167 ss.; A.
SCHUSTER, Quale riconoscimento per la fecondazione post
mortem? Commento a Astrue v. Capoto, in Quad. cost.,
2012, 886 ss.
rapporto di filiazione e la capacità di succedere
direttamente sulla disciplina del codice civile: la
quale non appare congrua nel caso di fecondazione artificiale, poiché si può avere la certezza che
la fecondazione, fattispecie in astratto equiparabile al concepimento, sia avvenuta dopo la morte
del soggetto che ha espresso il consenso e ciononostante è possibile dimostrare che ricorra con il
de cuius quel rapporto di consanguineità, in caso
di fecondazione omologa, che si pone a fondamento del sistema generale della filiazione.
In questa situazione è piuttosto la valenza generale che assume nel sistema l’art. 8 l. n. 40 del
2004 — almeno a seguito della dichiarazione di
incostituzionalità del divieto di eterologa e della
conseguente ricomprensione della fattispecie al
suo interno (133) — a determinare la costituzione
dello status. Prospettiva sostenuta di recente anche
in giurisprudenza nella già richiamata sentenza
della Cassazione n. 13000 del 2019, che ha ammesso la costituzione del rapporto di filiazione del
nato da una pratica vietata di fecondazione post
mortem (134). In quel caso i giudici hanno affermato che il consenso non sarebbe considerato
dalla legge solo per la sua valenza di consenso
informato al trattamento medico-chirurgico, bensì
anche come consapevole assunzione della responsabilità genitoriale, e come tale dovrebbe essere
riferito anche al minore generato tramite fecondazione assistita post mortem: formazione dell’embrione alla quale si era fatto ricorso dopo il decesso del marito e, di conseguenza, in violazione
dell’art. 5 l. n. 40 del 2004.
Altro dubbio si pone con riferimento alla rilevanza successoria, sia perché la costituzione dello
stato di figlio comporta l’assunzione del rapporto
parentale con la famiglia paterna, sia perché va
superata, almeno nei rapporti tra padre e figlio
concepito artificialmente, la regola per cui si succede solo se l’embrione è stato concepito prima
della morte del de cuius. È questa una di quelle
ipotesi in cui il consenso può assumere un valore
autonomo, non solo nel caso di fecondazione
omologa, ma anche di quella eterologa, consentendo l’instaurazione del rapporto di filiazione, e
della vicenda successoria, pure nel caso in cui
l’embrione sia stato fecondato dopo la morte del
genitore che ha espresso la sua volontà (ai sensi
dell’art. 8), perché l’interesse del nascituro appare
(133) Norma di cui era già stata sottolineato l’inedita
rilevanza, e ipotizzata la possibile dirompenza, all’indomani
dell’approvazione della legge: SALANITRO, La disciplina della
filiazione, cit., 495 nt. 9.
(134) Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, cit., 748 ss.
1043
Procreazione assistita (dir. civ.)
prevalente rispetto alle eventuali pretese successorie pregiudicate (135).
Un problema del tutto diverso si pone nel caso
di fecondazione post mortem omologa senza consenso del coniuge o del convivente. In astratto
l’interprete può intendere il silenzio del legislatore
in due diversi sensi: per un verso, quale tecnica
normativa volta a escludere l’attribuzione di un
rapporto di filiazione con il coniuge o il convivente
che non abbia espresso il consenso (136), mentre
resterebbe applicabile la regola della filiazione con
la madre partoriente (137); per altro verso, qualora
si accolga una prospettiva di svalutazione della
rilevanza del consenso, quale indice della sussistenza di una lacuna, da colmare in via analogica (138).
15. La procreazione da coppia dello stesso
sesso. — Occorre un’argomentazione articolata
anche nel caso in cui la donna che abbia espresso
il consenso alla fecondazione eterologa, convivente omosessuale della madre, reclami il rapporto
di genitorialità. La soluzione negativa, fondata su
una valutazione a priori dell’interesse del minore,
non sembra che possa essere tenuta ferma alla luce
dei principi desumibili dalla giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo (139), la quale
(135) In tal senso v.: OPPO, Procreazione assistita, cit.,
22; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 183 ss.; MORETTI,
La procreazione medicalmente assistita, cit., 272 ss. In senso
diverso negavano, quando tale distinzione era rilevante, che
si costituisse un rapporto di filiazione legittima, ammettendo
soltanto il rapporto di filiazione naturale (per essere avvenuto il concepimento dopo lo scioglimento del matrimonio)
con entrambi i genitori: SESTA, Procreazione medicalmente
assistita, cit., 9; ID., La filiazione, cit., 2011, 369 s.; anche
QUADRI, op. cit., 230 s.; VILLANACCI, op. cit., 70.
(136) In tal senso era già la posizione di AULETTA,
Fecondazione artificiale, cit., 26, il quale ammetteva il rapporto di filiazione legittima solo nel caso di consenso
espresso dal coniuge della madre; ora ribadita in AULETTA,
Luci, ombre, silenzi, cit., 496.
(137) Nel senso della rilevanza della sola filiazione naturale con la madre: VILLANI, La procreazione assistita, cit.,
183 ss.; SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 9; ID.,
La filiazione, cit., 370.
(138) Se si riconoscesse la sussistenza di una lacuna,
occorrerebbe individuare il percorso attraverso il quale l’interprete possa assumere compiti integrativi del sistema normativo: individuazione non agevole in quanto all’interesse di
dare una paternità a un soggetto che non può per definizione
averne altre, si contrappongono gli interessi degli altri chiamati alla successione a non essere pregiudicati da un atto
compiuto senza il consenso del de cuius (o addirittura contro
la sua esplicita volontà).
(139) Nel senso della riferibilità del diritto alla vita
familiare anche alla coppia omosessuale è la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. eur. dir. uomo,
sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria, cit.; più di
recente, C. eur. dir. uomo 16 gennaio 2018, Nedescu c.
1044
considera discriminatorio negare il diritto all’adozione speciale al convivente omosessuale del genitore, negli ordinamenti che ammettono tale diritto
per il convivente di sesso diverso (140): per cui, in
un ordinamento come il nostro, che consente al
partner convivente di sesso diverso, che abbia
espresso il consenso ex art. 9 l. n. 40 del 2004, di
reclamare il rapporto di filiazione con il nascituro
da fecondazione eterologa, non si configurano ragioni per negarlo al partner dello stesso sesso che
abbia espresso il medesimo consenso. Su questo
specifico problema, non occorre dichiarare l’incostituzionalità della regola che nega l’accesso alla
fecondazione delle coppie di sesso diverso, poiché
tale regola non può essere estesa alla diversa fase
del riconoscimento del rapporto filiale, con un
soggetto già nato per volontà della coppia omosessuale, e che non avrebbe altra potenzialità di
accesso a una duplice figura genitoriale: allo stesso
modo, la formula generica dell’art. 29 d.P.R. 3
novembre 2000, n. 396 — che fa riferimento ai
genitori, senza distinguere in questa sede tra padre
e madre — potrebbe consentire al giudice, senza
sollevare questione di costituzionalità, di accogliere l’azione di reclamo e di ordinare direttamente all’Ufficiale di stato civile la trascrizione del
secondo rapporto genitoriale.
Indici in questo senso sembrano emergere recentemente dalla già richiamata ordinanza della
Corte costituzionale n. 32 del 2021, riguardante il
caso di una donna che chiedeva di essere dichiarata genitore di due bambine, con le quali non
aveva legami genetici, essendo nate in Italia da
fecondazione eterologa praticata all’estero, in
forza del consenso alla procreazione medicalmente
assistita prestato insieme alla madre biologica (141).
Nel giudizio di merito (142), accertato l’interesse delle minori a conservare il rapporto con la
donna, il Tribunale pur non ritenendo possibile
interpretare il diritto vigente nel senso che il principio del consenso si applichi anche alle coppie
omoaffettive, aveva riconosciuto un vulnus di tutela, determinato anche dall’impraticabilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, conseguente al rifiuto insuperabile della madre bioloRomania, cit.), seguita dalla nostra Suprema Corte (Cass. 15
marzo 2012, n. 4184, in Giust. civ., 2012, I, 1707 ss., con
nota di F. CHIOVINI e M. WINKLER).
(140) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 19 febbraio
2013, X e altri c. Austria, cit.
(141) C. cost. 9 marzo 2021, n. 32, cit., 362 ss.
(142) Trib. Padova 9 dicembre 2019, pubblicata sulla
G.U. 8 luglio 2020, n. 28.
Procreazione assistita (dir. civ.)
gica di acconsentire all’adozione della ex convivente (art. 46 l. n. 184 del 1983).
Secondo il Giudice delle leggi i nati a seguito
di PMA eterologa praticata da due donne verserebbero in una condizione deteriore rispetto a quella
di tutti gli altri nati, destinati a restare incardinati
nel rapporto con un solo genitore, proprio perché
non riconoscibili dall’altra persona che ha condiviso il progetto procreativo. La loro condizione
rivelerebbe caratteri in parte assimilabili a quella
che contraddistingueva i cosiddetti figli incestuosi,
ai quali era precluso il riconoscimento e lo stesso
accertamento per via giudiziale dello status.
Tuttavia, al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore la Corte ha ritenuto di non
poter porre rimedio, sia per rispetto della discrezionalità legislativa in una materia così eticamente
sensibile, sia per evitare il rischio di generare
disarmonie nel sistema, quali quelle che sarebbero
potute sorgere per effetto di un intervento mirato
a risolvere il problema specificamente sottoposto
alla sua attenzione.
In compenso il Giudice delle leggi ha indicato
due possibili strade al legislatore: una riscrittura
delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero l’introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla
filiazione.
Al riguardo, si può osservare che l’adozione, in
nessuna delle sue forme, si configura quale strumento funzionale alla pianificazione di una nuova
vita: non è tale l’adozione piena, pensata per dare
una famiglia a un minore, che è già nato e ha
subito lo stato di abbandono, essendo caratterizzata da una disciplina per cui la nuova famiglia si
sostituisce in toto agli eventuali rapporti genitoriali
e parentali precedenti (v. ADOZIONE DEI MINORI);
non lo è l’adozione in casi particolari, anch’essa
rivolta ad un minore già nato e che ha vissuto
carenze familiari, in cui la disciplina tende a integrare il nuovo genitore nella rete parentale preesistente (v. ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI).
L’idea che la disciplina della filiazione nella
procreazione assistita possa essere modellata sulla
disciplina dell’adozione ha avuto successo solo
perché, da un punto di vista fattuale, l’adozione ha
rappresentato il modello tradizionale di costituzione del rapporto genitoriale in assenza di legame
genetico, dal quale si sono tratti argomenti per
sostenere l’ammissibilità della controversa figura
della fecondazione eterologa. Ma la similitudine
resta sul piano del fatto e non può essere efficacemente trasposta in diritto. Se si osserva dal
punto di vista dell’ordinamento, lo strumento dell’adozione non è idoneo a disciplinare il rapporto
con il minore la cui nascita è stata pianificata dai
genitori intenzionali. L’inadeguatezza emerge in
particolare nel caso in cui il genitore intenzionale
muoia o diventi incapace prima della nascita o
della costituzione del rapporto o, comunque, rinunci per una qualsiasi ragione alla procedura: la
scelta di consentire la costituzione del rapporto
solamente con lo strumento dell’adozione, essendo riservata all’iniziativa dell’adottante, impedisce al minore e al suo rappresentante legale di
pretendere il rispetto di quegli obblighi di tipo
patrimoniale che sono connessi con la figura genitoriale (143).
Non è quindi risolutiva, in questo quadro,
l’eventuale applicazione degli effetti dell’adozione
piena, piuttosto che dell’adozione in casi particolari, rispetto al rischio che il rapporto non si
costituisca perché il genitore intenzionale non persegua il suo intento originario: con la singolare
conseguenza che l’interesse del minore all’irrevocabilità del consenso, imposto dall’art. 6 l. n. 40
del 2004, non avrebbe alcun rilievo e la volontà
originaria del genitore non sarebbe vincolante,
proprio nel caso in cui questi non abbia rispettato
i requisiti legali per accedere alle tecniche procreative. La scelta di negare la costituzione del rapporto filiale, per sanzionare il comportamento dei
genitori, lede soprattutto l’interesse del minore a
conseguire i vantaggi patrimoniali corrispondenti
(salvo a non richiamare la regola, distonica rispetto all’idea di orientarsi verso l’adozione piena,
dell’art. 279 c.c.): il genitore che non rispetta la
legge sulla procreazione assistita può, sino al momento della dichiarazione di adozione, rimeditare
sulla volontà di assumere la responsabilità genitoriale compiuta al momento del consenso alla fecondazione assistita.
In ogni caso, in attesa dell’eventuale intervento
del legislatore, non sembra possibile tenere ancora
fermo l’orientamento che applica sistematicamente la tesi estensiva della lett. d dell’art. 44 l. n.
184 del 1983, per soddisfare l’interesse del figlio a
conservare il rapporto con il genitore intenzio(143) U. SALANITRO, L’adozione e i suoi confini. Per una
disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in
N. giur. civ., 2021, II, 944 ss.; in una prospettiva diversa ma
concorde nel ritenere “in nessun caso” idonea l’adozione cfr.
E. BILOTTI, La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti
previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito del legislatore dopo il
giudizio della Corte costituzionale sarebbe anzitutto ‘‘troppo
poco’’ nella prospettiva di una tutela piena del generato, ivi,
922.
1045
Procreazione assistita (dir. civ.)
nale (144). Le decisioni della Corte costituzionale
in materia di surrogazione di maternità e di procreazione da coppia omosessuale del 9 marzo 2021
(n. 32 e n. 33), pur dichiarando inammissibili le
questioni di costituzionalità, sono intervenute in
modo tale da costringere la cultura giuridica a
prendere atto dell’impossibilità di tenere ferma la
soluzione oggi prevalente: è stato sancito infatti
che l’applicazione dell’adozione in casi particolari
ai rapporti tra genitori intenzionali e minori, per
come oggi è regolata, non è conforme alla Costituzione.
Al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del
minore dovrebbe piuttosto porsi rimedio, già de
iure condito, argomentando dal disposto dell’art. 9
l. n. 40 del 2004, nel senso che si applichi anche
per l’ipotesi del nato da fecondazione eterologa in
una coppia omosessuale, secondo il modello già
applicato per il nato da fecondazione post mortem.
Se si adottasse questa soluzione anche per il
nato da fecondazione eterologa in una coppia
omosessuale, si salvaguarderebbe l’interesse del
minore alla doppia figura genitoriale sin dalla sua
nascita e si supererebbero le criticità rispetto alla
morte e al ripensamento del genitore intenzionale:
eventi di fronte ai quali il genitore biologico potrebbe agire nell’interesse del minore ai sensi dell’art. 273 c.c., facendo valere gli effetti ultrattivi
del consenso espresso dal partner.
Ma tale orientamento, prevalente nella giurisprudenza di merito (145), è stato ancora di recente respinto sia dalla Corte di cassazione (146),
(144) Solo, ad esempio, per la completezza delle questioni trattate, v. Trib. minorenni Roma 31 luglio 2014, in
Dir. fam. pers., 2014, 1550 ss., con nota di R. CARRANO e M.
PONZANI, e ivi, 2015, 176 ss., anche con nota di N. CIPRIANI;
Trib. minorenni Milano 28 marzo 2007, in Famiglia e minori,
2007, 83; App. Roma 23 dicembre 2015, n. 7127, in DeJure;
Tribunale per i minorenni Roma 22 ottobre 2015, ivi; Trib.
minorenni Roma 23 dicembre 2015 e 31 dicembre 2015, in
N. giur. civ., 2016, I, 969 ss., con nota di M. FARINA; App.
Torino 27 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, 1910 ss.; App.
Milano 1° dicembre 2015, in Fam. dir., 2016, 271, con nota
di F. TOMMASEO; App. Napoli 4 luglio 2018, in Foro it., 2018,
I, 2883 ss.
(145) App. Cagliari, 16 aprile 2021, in Foro it., 2021, I,
2055 ss.; App. Perugia 18 novembre 2019, ivi, 2020, I, 1, 31
ss.; Trib. Bologna 6 luglio 2018, ivi, 2018, I, 2883 ss.; Trib.
Pistoia 5 luglio 2018, in Dir. fam., 2019, I, 210 ss.; Trib.
Rimini 25 gennaio 2020; App. Firenze 19 aprile 2019; Trib.
Rovereto 12 aprile 2019; Trib. La Spezia 4 aprile 2019
(inedite); Trib. Genova 8 novembre 2018, in www.personaedanno.it; Trib. Bologna 3 luglio 2018; App. Trento 16
gennaio 2020, Trib. Milano 11 gennaio 2019; Trib. Cagliari
28 aprile 2020 in www.articolo29.it.
(146) Già Cass. 3 aprile 2020, n. 7668, cit., 1041 ss.;
Cass. 22 aprile 2020, n. 8029, cit. La soluzione negativa è
stata confermata anche dopo l’intervento più recente della
1046
sia dalla stessa Corte costituzionale: quest’ultima
ha ritenuto infatti che il presupposto naturalistico
della diversità di sesso dei genitori per accedere
alle tecniche fosse rilevante anche per determinare
lo status (147).
Si potrebbe ritenere tuttavia che un ulteriore
mutamento di prospettiva possa desumersi dal
richiamo, contenuto nella pronuncia n. 32 del
2021 della Corte costituzionale, al proprio precedente n. 347 del 1998, legittimando una soluzione
opposta a quella accolta finora dalla giurisprudenza delle corti superiori (148): precedente con
cui il Giudice delle leggi, sul presupposto dell’estraneità della fattispecie generazione assistita
alla disciplina codicistica, dichiarò inammissibile
la questione se l’art. 235 c.c. fosse incostituzionale
nella parte in cui permetteva al marito di esercitare
l’azione di disconoscimento della paternità nonostante avesse consentito alla fecondazione eterologa della moglie (149). La Corte costituzionale,
anche in quell’occasione, lamentava la mancata
tutela, a causa dell’assenza di una disposizione
apposita, della « persona nata a seguito di fecondazione assistita [...] non solo in relazione ai diritti
e ai doveri previsti per la sua formazione [...], ma
ancor prima [...] ai suoi diritti nei confronti di chi
si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità ». Diritti a cui il
legislatore avrebbe dovuto garantire protezione,
spettando innanzitutto a lui individuare « un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni
costituzionali coinvolti », per quanto al giudice si
riconoscesse il potere di ricercare — « nell’attuale
situazione di carenza legislativa » — l’interpretazione più idonea ad assicurare tutela ai beni costituzionalmente interessati.
Corte costituzionale: Cass. 13 luglio 2022, n. 22179; Cass. 4
aprile 2022, n. 10844; Cass. 7 marzo 2022, n. 7413; Cass. 25
febbraio 2022, n. 6383; Cass. 23 agosto 2021, n. 23321.
(147) C. cost. 4 novembre 2020, n. 230, per la quale: « è
pur vero che [...] la genitorialità del nato a seguito del
ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita
[...] è legata anche al “consenso” prestato, e alla “responsabilità” conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che
hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa [...]
Ma occorre pur sempre che quelle coinvolte nel progetto di
genitorialità così condiviso siano coppie “di sesso diverso”,
atteso che le coppie dello stesso sesso non possono accedere,
in Italia, alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ».
(148) Cfr. G. FERRANDO, Il diritto dei figli di due mamme
o di due papà ad avere due genitori. Un primo commento alle
sentenze della Corte costituzionale n. 32 e 33 del 2021, in
www.giustiziainsieme.it, 14 aprile 2021; E. BILOTTI, La Corte
costituzionale e la doppia maternità, in N. leggi civ., 2021,
430 ss.
(149) C. cost. 26 settembre 1998, n. 347, cit., 51 ss.
Procreazione assistita (dir. civ.)
Il richiamo al precedente del 1998 sembra
essere non solo indicativo della soluzione auspicata dalla Corte, ma anche ostativo alla legittimità
della soluzione contraria all’accertamento della
doppia maternità, avvalorando la tesi di chi riconosce effetti al consenso anche in caso di violazione dei divieti di accesso alle tecniche.
Ugo A. Salanitro
FONTI. — Art. 2, 3, 29, 30, 31, 117 cost.; art. 8, 14 CEDU;
art. 231 ss. c.c.; l. 19 febbraio 2004, n. 40.
LETTERATURA. — AA.VV., Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 a cura di P.
STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, Milano, Giuffrè, 2004;
AA.VV., Procreazione assistita: problemi e prospettive (Atti del
Convegno dei Lincei, Roma, 31 gennaio 2005), Fasano
(Brindisi), Schena, 2005, 350 ss.; AA.VV., In vita, in vitro, in
potenza: lo sguardo del diritto sull’embrione (Atti del Convegno di Genova, 10 maggio 2010) a cura di D. CARUSI e S.
CASTIGNONE, Torino, Giappichelli, 2011; AA.VV., Procreazione assistita e tutela della persona (Atti del Convegno di
Roma, 30 maggio 2010) a cura di A. BARENGHI, Padova,
Cedam, 2011; AA.VV., Trattato di biodiritto diretto da S.
RODOTÀ e P. ZATTI, Il governo del corpo, II, Milano, Giuffrè,
2011; AA.VV., Il divieto di donazione dei gameti Tra Corte
costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo a cura di
M. D’AMICO e B. LIBERALI, Franco Angeli, Milano, 2012;
AA.VV., Chiamati al mondo. Vite nascenti ed autodeterminazione procreativa (Atti del Convegno di Genova, 24 maggio
2013) a cura di D. CARUSI, Torino, Giappichelli, 2015;
AA.VV., Quale diritto di famiglia per la società del XXI secolo?
a cura di U. SALANITRO, Pacini, Pisa, 2020; T. AULETTA,
Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 1 ss.; ID., Luci, ombre, silenzi nella disciplina di
costituzione del rapporto genitoriale nella fecondazione assistita, in Ann. Catania, V, 2005, 481 ss.; G. BALDINI, Libertà
procreativa e fecondazione artificiale. Riflessioni a margine
delle prime applicazioni giurisprudenziali, Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, 2006; L. BALESTRA, La legge sulla procreazione medicalmente assistita alla luce dell’esperienza francese, in Familia, 2004, 1097 ss.; G. BALLARANI, La soggettività
del concepito e le incoerenze della Suprema Corte, in Dir. fam.,
2013, 1488 ss.; E. BILOTTI, La tutela dei nati a seguito di
violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito
del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale sarebbe anzitutto ‘‘troppo poco’’ nella prospettiva di una tutela
piena del generato, in N. giur. civ., 2021, II, 919 ss.; L. BOZZI,
Il consenso al trattamento di fecondazione assistita tra autodeterminazione procreativa e responsabilità genitoriale, in
Eur. dir. priv., 2008, 241 ss.; F.D. BUSNELLI, Procreazione
artificiale e filiazione adottiva, in Familia, 2003, I, 1 ss.; ID.,
L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ., 2004, I, 333 ss.; C.
CAMPIGLIO, Procreazione assistita: regole italiane ed internazionali a confronto, in Riv. dir. intern. priv. proc., 2004, 531
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pari dignità e la costituzione minacciata, in Pol. dir., 2007, 413
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febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di procreazione
medicalmente assistita”. Commentario, Torino, Giappichelli,
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europea dei diritti dell’uomo, in N. giur. civ., 2011, II, 14 ss.;
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di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una
possibilità tecnica, in Riv. AIC, 2012, n. 1; ID., Famiglia e
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e A. RENDA, Fecondazione eterologa: il pendolo fra Corte
costituzionale e Corte EDU, ivi, 2013, 213 ss., 226 ss.; G.
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civ., 2005, I, 331 ss.; S. PATTI, Verità e stato giuridico della
persona, ivi, 1988, I, 237 ss.; ID., Inseminazione eterologa e
venire contra factum proprium, in N. giur. civ., 2000, II, 13
ss.; S. PATTI, M. SESTA, G. FERRANDO e L. BALESTRA, Venire
contra factum proprium: principio antico per nuovi problemi
della filiazione, ivi, 2000, II, 347 ss.; E. QUADRI, Osservazioni
sulla nuova disciplina della procreazione assistita, in Dir. giur.,
2004, 224 ss.; L. ROSSI CARLEO, Le informazioni per il consenso alla procreazione assistita, in Familia, 2004, 705 ss.; U.
SALANITRO, La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2004, I, 489 ss.; ID., Principi
e regole, contrasti e silenzi: gli equilibri legislativi e gli interventi giudiziari in tema di procreazione assistita, in Fam. pers.
succ., 2010, 85 ss.; ID., Il dialogo tra Corte di Strasburgo e
Corte costituzionale in materia di fecondazione eterologa, in
N. giur. civ., 2012, II, 636 ss.; ID., Spigolature in tema di
diritti del concepito e accesso alla procreazione assistita, in
Giust. civ., 2015, 853 ss.; ID., I requisiti soggettivi per la
procreazione assistita: limiti ai diritti fondamentali e ruolo
dell’interprete, in N. giur. civ., 2016, II, 1360 ss.; ID., Norme
in materia di procreazione medicalmente assistita, in Commentario del codice civile diretto da E. GABRIELLI, Della
famiglia, III. Leggi complementari a cura di G. DI ROSA,
Torino, Utet, 2018, 1655 ss.; ID., Azioni di stato, interesse del
minore e ricerca della verità, in Familia, 2019, 525 ss.; ID., A
strange loop. La procreazione assistita nel canone della Corte
1047
Procreazione assistita (dir. civ.)
costituzionale, in N. leggi civ., 2020, 212 ss.; ID., L’adozione e
i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in N. giur. civ., 2021, II, 944 ss.; F.
SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, Giuffrè,
2004; P. SCHLESINGER, Il concepito e l’inizio della persona, in
Riv. dir. civ., 2008, I, 247 ss.; G. SCIANCALEPORE, La procreazione medicalmente assistita, in Il diritto di famiglia nella
dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico diretto da G. AUTORINO STANZIONE, IV, Torino, Utet, 2006, 255
ss.; M. SEGNI, Conviventi e procreazione assistita, in Riv. dir.
civ., 2007, 7 ss.; ID., Troppi dubbi sulla procreazione assistita,
in Fam. dir., 2013, 521 ss.; R. SENIGAGLIA, Genitorialità tra
biologia e volontà, tra fatto e diritto, essere e dover essere, in
Eur. dir. priv., 2017, 953 ss.; M. SESTA, La procreazione
medicalmente assistita tra legge, Corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi mediche, in Fam. dir., 2010, 839
ss.; R. VILLANI, La “nuova” procreazione medicalmente assistita, in Trattato di diritto di famiglia. Le riforme diretto da P.
ZATTI, II. Il nuovo diritto della filiazione a cura di L. LENTI e
M. MANTOVANI, Milano, Giuffrè, 2019; P. ZATTI, Quale statuto per l’embrione?, in Riv. crit. dir. priv., 1990, 446 ss.; ID.,
La tutela della vita prenatale: i limiti del diritto, in N. giur.
civ., 2001, II, 149 ss.; ID., Familia, familiae - Declinazione di
un’idea, pt. II. Valori e figure della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002, 337 ss.; ID., Le problème des limites
à la procréation assistée dans les lois des principaux pays
européens, in Droit et Cultures, 2006, 133 ss.
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. — 2. Interesse superiore del
minore e margine di apprezzamento degli Stati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. — 3. L’orientamento della giurisprudenza italiana sul riconoscimento della
filiazione in caso di nascita all’estero mediante fecondazione
assistita. — 4. Segue: gli ostacoli al riconoscimento della filiazione
in caso di nascita in Italia. — 5. La valutazione dell’interesse
superiore del minore in sede di riconoscimento del rapporto di
filiazione. — 6. Il bilanciamento tra interesse del minore e tutela
della gestante nei casi di ricorso alla maternità surrogata. — 7. Il
rimedio dell’adozione del figlio nato all’estero a seguito del
ricorso a tecniche di procreazione non consentite.
PMA, ma anche la definizione dei rapporti familiari.
Ha acquisito rilevanza la dimensione “sociale”
della famiglia, sganciata dai rapporti genetici,
comprensiva delle unioni fra persone dello stesso
sesso, nella quale ha rilievo fondamentale l’instaurazione di rapporti affettivi stabili (1).
In molti casi questa realtà si scontra con le
restrizioni a determinate tecniche di PMA imposte
dalla normativa nazionale di alcuni Stati, favorite
da una opinione pubblica ancorata alla tradizione.
Per questo motivo numerose coppie si rivolgono a
strutture presenti in Paesi che consentono il ricorso alla PMA in modo più ampio. Si è così
sviluppato il fenomeno del cosiddetto “turismo
procreativo” (2). In molti casi si tratta di persone
di diversa cittadinanza o residenza, che possono
giovarsi di una legislazione più permissiva in vigore all’estero.
Allorché la coppia o uno dei partner che abbiano ottenuto la certificazione o un provvedimento di attribuzione della filiazione si ritrasferiscano nello Stato di origine, il riconoscimento di
tale status è indispensabile ai fini della acquisizione
della responsabilità genitoriale e della trasmissione
della propria nazionalità al bambino oppure, in
caso di patologia del rapporto di coppia, l’emanazione di provvedimenti quali l’affidamento e il
diritto di visita. Uno sguardo d’insieme sulla normativa in vigore nei novanta Stati che partecipano
alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale
privato dimostra una notevole eterogeneità delle
soluzioni riguardanti il riconoscimento delle decisioni straniere e l’attribuzione dello status di figlio
in presenza di elementi di estraneità, sia per ciò
che concerne i criteri che individuano quale legge
deve regolare lo stabilimento della filiazione (3),
1. Considerazioni introduttive. — Il ricorso
alla procreazione medicalmente assistita (d’ora in
poi PMA) ha registrato un incremento esponenziale
a partire dall’inizio del nuovo secolo, dovuto allo
sviluppo delle tecniche riproduttive. Vi ha contribuito l’insorgenza di problemi di infertilità, soprattutto nei Paesi industrializzati, e il desiderio di
genitorialità di coppie omosessuali. Il fenomeno
ha impegnato istituzioni internazionali e imposto
agli Stati l’introduzione o, secondo i casi, la riformulazione di leggi in materia. Se un tempo la
genitorialità era una condizione riservata alle coppie coniugate eterosessuali geneticamente legate al
bambino, con l’unica eccezione dell’adozione, nell’ultimo decennio è emersa a livello internazionale
una visione evolutiva che ha riguardato non soltanto le modalità e le condizioni di accesso alla
(1) La letteratura sul tema è sterminata. Nella prospettiva del diritto internazionale privato ed europeo e dell’interesse dei minori ci limitiamo a citare G.M. RUOTOLO, Il
diritto internazionale privato delle « nuove » famiglie nel
contesto europeo, in Questione giustizia, 2019, n. 2. Sui diritti
dei minori alla luce degli sviluppi della nozione di famiglia e
della prassi del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti
dell’uomo v. G. VAN BUEREN, The International Law on the
Rights of the Child, The Hague-Boston-London, Martinus
Nijhoff, 2009, 68 ss.
(2) Il reperimento di dati certi è assai difficile, ma lo
sviluppo del fenomeno del “turismo procreativo” è dimostrato dall’addensarsi di una cospicua giurisprudenza nel
primo decennio di questo secolo, agevolato dalla facilità e
dalla riduzione dei costi dei viaggi fino al 2019. La pandemia
e, a livello europeo, lo scoppio nel 2022 della guerra in
Ucraina hanno reso più complicato lo spostamento di coppie
oltre i confini del proprio Paese per sottoporsi a trattamenti
medici finalizzati alla riproduzione.
(3) Non è facile operare una ricostruzione completa dei
criteri di collegamento utilizzati dai diversi ordinamenti
PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (diritto internazionale privato)
1048
COMITATO SCIENTIFICO
STEFANIA BARIATTI - MARTA CARTABIA - CLAUDIO CONSOLO - GIOVANNI D’AMICO
RICCARDO DEL PUNTA - FABRIZIO DI MARZIO - MASSIMO DONINI
BERNARDO GIORGIO MATTARELLA - LAURA MOSCATI - FRANCESCO RICCOBONO
pubblicazione fuori commercio
Isbn 9788828831945