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Procreazione medicalmente assistita (voce)

2022, Enciclopedia del diritto, I Tematici II, Famiglia

SOMMARIO: 1. Le questioni interpretative. — 2. Il quadro normativo. —3. Lo statuto soggettivo del concepito. — Sez. I. L’accesso alla tecnica: 4. Una terapia per la sterilità. — 5. L’applicazione della tecnica. — 6. La diagnosi genetica preimpianto. — 7. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa. — 8. I limiti di accesso per le coppie fertili. — 9. I requisiti soggettivi. — 10. La rilevanza del consenso. — Sez. II. La filiazione da procreazione assistita: 11. Profili generali. — 12. La costituzione dello status.— 13. Le azioni di stato. — 14. La procreazione post mortem. —15. La procreazione da coppia dello stesso sesso.

ENCICLOPEDIA DEL DIRITTO Estratto da I TEMATICI, IV-2022 FAMIGLIA, diretto da Francesco Macario Ugo A. Salanitro PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (DIRITTO CIVILE) P PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (diritto civile) SOMMARIO: 1. Le questioni interpretative. — 2. Il quadro normativo. — 3. Lo statuto soggettivo del concepito. — Sez. I. L’accesso alla tecnica: 4. Una terapia per la sterilità. — 5. L’applicazione della tecnica. — 6. La diagnosi genetica preimpianto. — 7. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa. — 8. I limiti di accesso per le coppie fertili. — 9. I requisiti soggettivi. — 10. La rilevanza del consenso. — Sez. II. La filiazione da procreazione assistita: 11. Profili generali. — 12. La costituzione dello status. — 13. Le azioni di stato. — 14. La procreazione post mortem. — 15. La procreazione da coppia dello stesso sesso. 1. Le questioni interpretative. — Il tema della filiazione da procreazione assistita, dietro l’apparente unitarietà delle riflessioni dottrinali, nasconde almeno tre diversi tipi di problema. Innanzitutto, il problema dell’estensione e della legittimità costituzionale dei limiti di accesso contenuti nella disciplina speciale della fecondazione assistita; poi, il problema della costituzione del rapporto di filiazione in Italia nel caso in cui l’embrione sia stato fecondato in contrasto con siffatti limiti; infine, il problema del riconoscimento in Italia dell’atto che registra la costituzione di un rapporto filiale in altro ordinamento a seguito di una condotta vietata in Italia. Sul primo tipo di problema, che attiene all’interpretazione dei limiti e dei requisiti posti dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40, pesano gli argomenti utilizzati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità della fecondazione eterologa (1): riconoscendo il diritto della coppia all’autodeterminazione, nonché alla salvaguardia della salute psichica dai danni derivanti dal desiderio frustrato della procreazione, ha messo potenzialmente in crisi la (1) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, in Corr. giur., 2014, 1062, con nota di G. FERRANDO, e in Eur. dir. priv., 2014, 1105, con nota di C. CASTRONOVO. legittimità di tutti i requisiti soggettivi di accesso alla fecondazione assistita (2), nonché il divieto di maternità surrogata almeno nella sua versione solidale (3). La tenuta del sistema legislativo dei requisiti soggettivi sembra, almeno in questa fase, garantita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 221 del 2019, che ha dichiarato la legittimità del divieto di accesso alle tecniche per la coppia dello stesso sesso, traendo argomento dalla natura terapeutica del diritto alla procreazione assistita e negando conseguentemente ogni intento discriminatorio nella mancata estensione a coppie fisiologicamente sterili (4). Quest’ultima decisione, nei termini in cui è stata formulata, sembra porsi quale momento conclusivo di un processo di smantellamento dei vincoli meno giustificabili della disciplina vigente, che è stato perseguito, seppure con equilibrio e cautela, dalla stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 151 del 2009, sui limiti al numero di embrione oggetto di fecondazione e di impianto (5), e nelle sentenze n. 96 del 2015 (6) e n. 229 del 2015 (7), sugli impedimenti all’accesso delle coppie fertili suscettibili di trasmettere malattie genetiche. (2) U. SALANITRO, I requisiti soggettivi per la procreazione assistita: limiti ai diritti fondamentali e ruolo dell’interprete, in N. giur. civ., 2016, II, 1360 ss. (3) A.G. GRASSO, Maternità surrogata altruistica e tecniche di costituzione dello status, Torino, Giappichelli, 2022, 31 ss. (4) C. cost. 23 ottobre 2019, n. 221, in Foro it., 2019, I, 3782, con nota di G. CASABURI. Per una lettura critica si consenta il richiamo a U. SALANITRO, A strange loop. La procreazione assistita nel canone della Corte costituzionale, in N. leggi civ., 2020, 212 ss., dove si mette in evidenza il tentativo di obliare il diritto all’autodeterminazione. (5) C. cost. 8 maggio 2009, n. 151, in Foro it., 2009, I, 2301 ss. (6) C. cost. 14 maggio 2015, n. 96, in Corr. giur., 2016, 186 ss., con nota di M.A. IANNICELLI. (7) C. cost. 11 novembre 2015, n. 229, in Dir. fam., 2016, I, n. 1, 36 ss., e (s.m.) in Foro it., 2015, I, 3749 ss., con nota di G. CASABURI. 1015 Procreazione assistita (dir. civ.) Sul secondo tipo di problema è emblematica la disciplina originaria della fecondazione eterologa, che ammetteva la costituzione dello stato di figlio nato da fecondazione eterologa, allora vietata, in base al consenso espresso dalla coppia. Una soluzione nel senso dell’ammissibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli art. 8 e 9 l. n. 40 del 2004, volta ad assicurare il diritto del minore alla duplice figura genitoriale, si trova in numerose pronunce di merito aventi ad oggetto casi di nascita in Italia conseguenti al ricorso all’estero alla fecondazione eterologa da parte di coppie omosessuali, con le quali i giudici hanno consentito il riconoscimento della genitorialità in capo ad entrambe le “madri”, considerando irrilevante la violazione dei requisiti previsti dalla legge. Di contrario avviso si è mostrata la giurisprudenza di legittimità che, vigente il divieto per le persone dello stesso sesso di ricorrere alle tecniche riproduttive — argomentando anche dalla sentenza n. 221 del 2019 della Consulta, che ne aveva riconosciuto la legittimità — ha respinto la domanda di rettificazione dell’atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l’inserimento del nome della madre intenzionale accanto a quello della madre biologica (8). La questione è adesso in profonda evoluzione a seguito dell’ordinanza n. 32 del 2021, ove la Corte costituzionale ha riconosciuto un vulnus di tutela nella condizione dei nati a seguito di fecondazione eterologa praticata da due donne, i quali verserebbero in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, data anche l’insufficienza del ricorso all’adozione in casi particolari per riconoscere il rapporto con il genitore intenzionale non genetico (9). In giurisprudenza va ricordata, inoltre, per la consapevole trattazione, la sentenza di legittimità n. 13000 del 2019 (10), che ammette la costituzione del rapporto di filiazione del nato da una pratica vietata di fecondazione post mortem, chiudendo un dibattito già emerso nella giurisprudenza di merito. Il terzo tipo di problema occupa da qualche tempo il centro della scena nella riflessione della dottrina civilistica, pur essendo, in effetti, un tema di diritto internazionale privato, concernente la rilevanza nell’ordinamento italiano del certificato (8) Cass. 3 aprile 2020, n. 7668, in Corr. giur., 2020, 1041, con nota di A.G. GRASSO; Cass. 22 aprile 2020, n. 8029. (9) C. cost., ordinanza, 9 marzo 2021, n. 32, in Giur. it., 2021, 311, con nota di C. FAVILLI. (10) Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, in N. giur. civ., 2019, 1282 ss., con nota di M. FACCIOLI. 1016 o della sentenza di altro ordinamento che accerta la costituzione del rapporto filiale per pratiche non ammesse dalla nostra legislazione: sullo stesso si rinvia, per competenza disciplinare, a PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO). 2. Il quadro normativo. — Il superamento di alcune delle regole più restrittive, considerate in contrasto con il vincolo costituzionale e internazionale, non impone tuttavia di rimettere in discussione l’intero impianto legislativo. Va, infatti, confermata l’idea, che ha permeato la legge, di ammettere il ricorso alle tecniche mediche riproduttive ogni qualvolta esse consentano alle persone sterili di essere equiparate a quelle fertili, salvo che una diversa soluzione non si imponga al fine di salvaguardare interessi altrettanto meritevoli; mentre al di fuori di questo specifico ambito, si pongono delicate questioni di definizione dei limiti entro i quali la procreazione medicalmente assistita possa essere utilizzata quale modello alternativo alla procreazione naturale, in modo da disarticolare la rilevanza dell’interesse genitoriale ad evitare la trasmissione di malattie incurabili da interessi eugenetici in contrasto con la dignità dell’uomo. Sono questi i cardini entro i quali si collocano le scelte degli ordinamenti dei Paesi europei di consentire e regolare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita in un ampio spettro di modelli tra loro alternativi, alcuni più liberali, altri più restrittivi (v. FAMIGLIA: EVOLUZIONE DEI MODELLI SOCIALI E LEGALI). Cardini che assumono rilievo anche nell’analisi della legislazione italiana, la quale è apparsa sin dalle prime letture caratterizzata dall’accoglimento di un modello limitativo: la legge, fortemente contestata e sottoposta a referendum abrogativo, non si è limitata a regolare le tecniche di procreazione assistita, ma è intervenuta anche sui limiti alla ricerca scientifica nel trattamento degli embrioni (11). Va tuttavia evidenziato che la contrapposizione tra le istanze favorevoli all’interesse alla procreazione e alla ricerca scientifica e quelle più restrittive permeate da valutazioni etiche e morali ha (11) Anche del tema della ricerca clinica o sperimentale sull’embrione è stata investita la Corte costituzionale, che con la pronuncia 13 aprile 2016, n. 84, in Foro it., 2016, I, 1509 ss., pur rilevando che il bilanciamento contenuto nella legge tra libertà di ricerca scientifica e limiti al trattamento degli embrioni non sia obbligato, ha comunque ritenuto non censurabile la scelta del legislatore di prediligere la tutela dell’embrione sulle contrapposte esigenze della ricerca scientifica. Procreazione assistita (dir. civ.) prodotto una legislazione che — collocandosi nel solco delle scelte di regolamentazione di temi di forte impatto etico (in primis, la normativa sull’interruzione di gravidanza) — si è rivelata, ad un attento esame, di rigore incerto: a fronte di enunciati di principio di apparente rigidità, le singole regole si sono presentate come il frutto di compromessi, più o meno ragionevoli, volti a riconoscere spazi di tutela e di libertà che sarebbero stati altrimenti preclusi (si pensi all’art. 9 l. n. 40 del 2004 o alla salvezza della disciplina dell’interruzione della gravidanza). Si deve peraltro segnalare che la normativa de qua non è stata caratterizzata soltanto dalla contrapposizione tra la rigidità dei principi e il carattere compromissorio delle regole: non meno rilevante è stata la mancata disciplina di taluni profili tutt’altro che marginali (si pensi alla diagnosi preimpianto o ai requisiti per l’impianto di embrioni fecondati), per i quali si è posto il problema se i silenzi del diritto scritto costituissero lacune da colmare in via analogica (sviluppando la portata dei principi) ovvero tecniche volte a riconoscere spazi di libertà (traendo argomento anche dalla tendenziale tassatività delle sanzioni penali o amministrative). L’incertezza e la lacunosità del dato legislativo trova, in effetti, una precisa conferma nell’analisi dei lavori preparatori. Al riguardo, va evidenziato che il testo unificato votato a maggioranza dalla XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati nel maggio 2001, con Relazione di D. Bianchi (d’ora in poi: testo unificato Bianchi), molto restrittivo e coerente nel suo rigore, è stato significativamente modificato dalla votazione in Aula, introducendo proprio quelle disposizioni che hanno in larga misura prodotto lacune e contraddizioni. Il testo approvato in prima lettura dall’Aula della Camera dei deputati — e poi modificato solo per aspetti formali al Senato — si presenta quindi come soluzione di compromesso — successivamente blindata da una maggioranza trasversale — nella quale appare frutto di una scelta consapevole lo iato tra l’apparente rigidezza dei principi e la relativa elasticità delle soluzioni applicative. Il successivo dibattito parlamentare non appare perciò utile per l’interpretazione delle disposizioni vigenti, se non nella misura in cui non sono state consentite altre variazioni che avrebbero reso meno incerte, o più esplicite, determinate scelte normative: ma dalla mancata approvazione di determinati emendamenti, a differenza di quanto sostenuto da altri interpreti, non si pos- sono trarre indicazioni per sciogliere l’incertezza in senso opposto. 3. Lo statuto soggettivo del concepito. — Espressione emblematica di una soluzione di compromesso, aperta ad una molteplicità di chiavi di lettura, è la formula adottata dall’art. 1 l. n. 40 del 2004, secondo la quale la disciplina sulla procreazione assistita « assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito »: formula che, nella parte in cui qualifica il concepito quale soggetto titolare di diritti, ha richiamato l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza, dando vita ad un dibattito in cui le opzioni ideologiche hanno sovente fatto premio sui profili tecnici. Il dibattito si è indirizzato in questi termini, perché la formula legislativa è stata considerata conforme alla volontà di equiparare l’interesse alla tutela dell’embrione e/o del concepito con gli interessi della donna o della ricerca scientifica. Volontà che, in effetti, è sottesa a quelle letture rivolte non soltanto a un’interpretazione delle norme costituzionali intesa a rafforzare la posizione degli interessi alla tutela della vita prenatale rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti, ma a trarre anche argomenti nello stesso senso dalla estensione della nozione di persona o di soggetto al concepito o all’embrione, anticipando la rilevanza della disciplina civilistica della capacità giuridica al momento della fecondazione: secondo questi interpreti, infatti, l’anticipazione della capacità giuridica alla vita prenatale assumerebbe rilievo nel bilanciamento costituzionale degli interessi, riconoscendo al concepito la titolarità dei diritti della personalità e comportando conseguentemente, per la prevalenza del diritto alla vita su ogni altro interesse, l’incostituzionalità della disciplina dell’aborto. È in questa cornice che va inquadrata la reazione di altra parte della dottrina e della giurisprudenza, la quale ha criticato la formula legislativa, in quanto giudicata in contrasto con il sistema del diritto civile che, limitando la capacità giuridica ai soggetti già nati (art. 1 c.c.), escluderebbe la soggettività dell’embrione, riconoscendo piuttosto che il concepito possa rivestire soltanto il ruolo di oggetto di tutela dell’ordinamento: desumendo in tal modo, dal contrasto della volontà legislativa con il sistema, la sua irrilevanza anche rispetto al bilanciamento costituzionale d’interessi. Il singolare intreccio tra temi di rilevanza civilistica e temi di rilevanza costituzionale impone una rimeditazione dell’intera questione (cfr. FAMI- 1017 Procreazione assistita (dir. civ.) GLIA: BIOETICA E DIRITTO), che proceda alla disarticolazione delle questioni rilevanti. Va preliminarmente osservato che la collocazione della disposizione nella legge speciale induce a ritenere che con il termine « concepito » si intenda anche l’embrione in vitro non impiantato (12); al contempo va rilevato che il riferimento al concepito, piuttosto che all’embrione, depone nel senso di una valenza generale del richiamo, da estendersi ad ogni forma di vita umana prenatale (13). Ciò posto, va sin da subito messo in rilievo che l’idea che il concepito sia soggetto di diritti non è stata riconosciuta per la prima volta dalla disposizione in oggetto, poiché risale piuttosto alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1975 (14), con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p. « nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa essere interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno o pericolo, grave, medicalmente accertato [...] e non altrimenti evitabile, per la salute della madre »: proprio in questa sentenza, che ha aperto la strada alla legittimità dell’interruzione di gravidanza, si è indicato il collegamento tra il riconoscimento dei diritti fondamentali e la tutela del concepito. Il fondamento costituzionale della tutela del concepito è stato individuato, infatti, non solo nell’art. 31 comma 2 cost., il quale impone espressamente la tutela della maternità, ma anche nell’art. 2 cost., « che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito ». Va tuttavia sottolineato che la qualificazione in termini soggettivi della tutela del concepito non ha determinato la legittimità costituzionale della norma penale punitiva dell’aborto, in quanto nella sentenza si è osservato che l’interesse del concepito può entrare in collisione con altri beni tutelati a livello costituzionale e che necessitano anch’essi di adeguata protezione: nel procedere al bilanciamento di interessi, la Corte ha negato che sussista equivalenza tra il diritto alla (12) F. MODUGNO, La fecondazione assistita alla luce dei principi della giurisprudenza costituzionale, in Procreazione assistita: problemi e prospettive (Atti del Convegno dei Lincei, Roma, 31 gennaio 2005), Fasano (Brindisi), Schena, 2005, 238 s. (13) In senso opposto, per la limitazione al solo embrione in vitro, R. VILLANI, Procreazione assistita, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. ZATTI, VII. Aggiornamenti (gennaio 2003 - giugno 2006), Milano, Giuffrè, 2006, 262 ss. (14) C. cost. 18 febbraio 1975, n. 27, in Giur. it., 1975, I, 1416 ss. 1018 vita o alla salute della madre e la salvaguardia dell’embrione, in quanto la prima « è già persona », mentre il secondo « persona deve ancora diventare ». Il ricorso al concetto di « persona » ha consentito di esprimere, con formula sintetica, la differenza di valore, sul piano della tutela costituzionale, tra gli interessi della madre e quelli del concepito: ma non vi è ragione di attribuire a tale il richiamo, se non in senso improprio, uno specifico riferimento alla disciplina civilistica della capacità giuridica o al concetto di « persona » quale soggetto di diritto. È alla luce di tali precedenti che va valutata l’incidenza dell’art. 1 l. n. 40 del 2004, della cui portata innovativa sul bilanciamento costituzionale d’interessi sembra lecito dubitare, quantomeno in relazione al conflitto regolato dalla normativa sull’interruzione della gravidanza (15). Al contrario, va rilevato che il dato legislativo trasmette la precisa volontà di non modificare gli equilibri consolidati dalla giurisprudenza costituzionale: volontà desumibile non tanto, o non solo, dal mancato riferimento letterale al concetto di « persona » e dal ricorso alla figura meno evocativa di « soggetto » (16), quanto piuttosto dalla scelta, avvenuta nel corso del dibattito in Aula alla Camera dei deputati, di introdurre l’esplicita salvezza della legge sull’interruzione di gravidanza nei commi 1 e 4 dell’art. 14 e di abrogare il comma 2 dell’art. 2 del testo unificato Bianchi, nel quale si prevedeva che « nell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la presente legge assicura il diritto a nascere del concepito ». Sgombrato il campo dal problema delle conseguenze sulla disciplina dell’interruzione di gravidanza, occorre chiedersi se la qualificazione del concepito come soggetto di diritto assuma una (15) Lo escludono non solo coloro che negano rilevanza alla soggettività (per tutti N. LIPARI, Legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 203), ma anche chi autorevolmente aderisce alla concezione soggettiva prospettata dalla norma: F.D. BUSNELLI, L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ., 2004, I, 563 ss.; M. SESTA, La filiazione, in Trattato di diritto privato diretto da BESSONE, IV. Il diritto di famiglia, t. 4. Filiazione, adozione, alimenti a cura di T. AULETTA, Torino, Giappichelli, 2011, 340. (16) Così MODUGNO, op. cit., 246 ss., il quale reputa che il ricorso al concetto di « soggetto » indichi un livello di tutela minore rispetto a quello riconosciuto attraverso il concetto di « persona »: il discorso assume una rilevanza specifica nella misura in cui si ritenga che la qualificazione del concepito come persona, in sede di legislazione ordinaria, avrebbe inciso sull’applicazione dell’art. 2 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte di Strasburgo 8 luglio 2004, Vo c. France, secondo la quale tale diritto spetta solo alle « persone » e non a qualsiasi essere umano. Procreazione assistita (dir. civ.) specifica rilevanza nell’ambito della disciplina sulla procreazione assistita, consentendo di giustificare i limiti che la legge impone al diritto della coppia di accedere alle tecniche procreative a tutela della propria salute psicofisica, nonché al diritto di praticare la ricerca scientifica. In realtà, la questione potrebbe essere disarticolata. Si può dubitare che il riferimento alla figura del « soggetto di diritti » sia conducente — già sul piano concettuale — con riguardo a quelle norme che pongono limiti alla creazione di nuovi embrioni, sia nelle pratiche di fecondazione assistita (ad esempio, divieto di accesso alle tecniche per i soggetti fertili o carenti dei requisiti soggettivi, divieto di fecondazione eterologa, divieto di produzione di embrioni soprannumerari, ecc.), sia nella ricerca scientifica (ad esempio, divieto di creazione di embrioni per la ricerca): come dimostra la circostanza che in materia di fecondazione eterologa la Corte costituzionale ha bilanciato i diritti attuali della coppia con i diritti (potenziali) all’identità genitoriale o alle informazioni sulla propria origine. Il richiamo sarebbe piuttosto congruo quando è posto a fondamento di quelle regole che proteggono gli embrioni già formati (divieto di sperimentazione sugli embrioni, obbligo d’impianto degli embrioni già formati, divieto di soppressione e crioconservazione, divieto di clonazione): ma anche in questi casi può essere negato che la formula dell’art. 1 l. n. 40 del 2004 sia in grado di modificare il bilanciamento d’interessi sancito in generale dalla Corte costituzionale, come dimostra l’argomentazione della citata pronuncia n. 151 del 2009. Pure questa sentenza si è espressa, infatti, per la prevalenza dell’interesse alla salute della donna rispetto a quello della vita o della salute dell’embrione, dichiarando l’illegittimità costituzionale dei commi secondo e terzo dell’art. 14 della legge de qua, perché lesivi della salute della donna: anche se non è stato ripreso l’argomento della comparazione tra chi “è già persona” e chi “persona deve diventare”, la definizione del concepito come soggetto di diritto non ha impedito alla Corte di posporne gli interessi rispetto a quelli della salute della donna. Occorre adesso chiedersi se la qualificazione del concepito quale soggetto di diritti possa, su un altro piano rispetto al bilanciamento costituzionale d’interessi, esprimere regole diverse da quelle desumibili da una eventuale disciplina che fosse formulata in termini meramente oggettivi. Una risposta negativa sembra trarsi dalla motivazione della sentenza della Consulta n. 48 del 2005 (17), che ha ammesso il referendum abrogativo dell’intero art. 1, dove si rileva che la disposizione, sotto questo aspetto, presenterebbe « un contenuto meramente enunciativo, dovendosi ricavare la tutela di tutti i soggetti coinvolti e, quindi, anche del concepito, dal complesso delle altre disposizioni della legge »: risposta negativa che in linea di massima si condivide, anche se non può essere sottaciuto che la qualificazione soggettiva, per la sua portata generale, non può non incidere sull’interpretazione delle altre disposizioni di legge, le quali, in mancanza di interessi rilevanti di segno diverso, devono essere intese in senso favorevole alla sopravvivenza e all’impianto degli embrioni già fecondati. In conformità con tale principio le norme che vietavano la fecondazione eterologa e che tuttora limitano i requisiti soggettivi per l’accesso alle pratiche terapeutiche vanno considerate applicabili soltanto alla fase della fecondazione dell’embrione e non sono da intendere quali preclusive al successivo impianto (18). La configurazione dell’embrione quale soggetto di diritto potrebbe assumere inoltre un’autonoma rilevanza, con specifico riferimento alla materia della procreazione assistita, nella misura in cui si reputi che, anche in assenza di una previsione specifica, la tutela dell’embrione possa consentire spazi di autonomia nell’esercizio di determinate scelte. In tale prospettiva, si può ammettere che sia rimessa ad un soggetto terzo (i “genitori” o un curatore) l’espressione del consenso all’accoglimento dell’embrione presso altra coppia: la mancanza di una regolamentazione analitica — non essendo stata accolta, nel testo approvato in via definitiva, la proposta di disciplina dell’art. 16 del già citato testo unificato Bianchi — non appare preclusiva, perché le lacune possono essere colmate attraverso il ricorso in via analogica alle norme e ai principi che disciplinano la fecondazione eterologa, secondo il modello accolto dalla Corte costituzionale. Sez. I. – L’ACCESSO ALLA TECNICA. 4. Una terapia per la sterilità. — Tra le patologie che assumono rilievo nelle società industrializzate vi sono certamente quelle connesse al ciclo (17) C. cost. 28 gennaio 2005, n. 48, in Giur. it., 2005, 2018 ss., con nota di R. SCIATTA. (18) In tal senso C. CASINI, M. CASINI e M.L. DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”. Commentario, Torino, Giappichelli, 2004, 184 s. 1019 Procreazione assistita (dir. civ.) riproduttivo, indicate dal legislatore con l’endiadi « sterilità e infertilità » (19): la distinzione non sembra sia stata assunta nel suo significato tecnico dal legislatore, il quale piuttosto ha utilizzato l’endiadi in senso genericamente comprensivo della sussistenza di ostacoli psicofisici alla procreazione, in modo tale da non escludere i casi di ridotta fertilità (20). A fronte della consistenza del fenomeno, la disciplina in esame adotta una pluralità di strumenti di intervento, tra i quali la procreazione medicalmente assistita assume un carattere residuale. Il dato normativo tende in primo luogo a promuovere, attraverso specifici finanziamenti, una maggiore conoscenza delle cause delle patologie della riproduzione, al fine di individuare e porre in atto adeguate misure preventive e terapeutiche (art. 2). Oltre all’approccio preventivo — in cui assumono specifica importanza le campagne di informazione (art. 2 comma 1) e l’attribuzione di una nuova competenza ai consultori familiari (art. 3) — e a quello strettamente terapeutico inteso a rimuovere le condizioni di sterilità, la consapevolezza della complessità del superamento degli stati patologici ha sollecitato un intervento normativo articolato finalizzato a superare i problemi riproduttivi mediante il ricorso alla procreazione assistita. Occorre ricordare che, nell’impostazione normativa, l’accesso alle pratiche di procreazione medicalmente assistita è reso più difficile da due diversi versanti: per un verso, si incoraggia la coppia sterile, attraverso momenti informativi (art. 3 comma 1, ultimo alinea; art. 6 comma 1), al ricorso alle procedure dell’adozione o dell’affidamento, tentando di dissuaderla dall’accesso alla procreazione assistita; per altro verso, si impone al medico curante di accertare, prima di intervenire con tecniche di procreazione assistita, che non vi siano « altri metodi terapeutici » efficaci per ri(19) Secondo i testi specialistici settoriali, per sterilità si intende l’incapacità biologica da parte di un uomo o di una donna di contribuire al concepimento, mentre per infertilità si intende l’incapacità di portare a termine una gravidanza da una donna in grado di concepire; secondo altra distinzione tecnica la sterilità si riferisce ad una condizione più grave della infertilità e riguarda la coppia e non il singolo componente. Entrambe le distinzioni sono richiamate dalle Linee guida, le quali esplicitamente affermano di utilizzare i termini legislativi quali sinonimi. (20) In senso diverso, per l’esclusione delle ipotesi di coppie ipofertili: SESTA, La filiazione, cit., 341; da ultimo la tesi esposta nel testo sembra contrastata anche dalla sentenza della C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit., che richiama, quale presupposto per l’applicazione della fecondazione eterologa, una sterilità o infertilità di carattere assoluto. 1020 muovere le patologie che impediscono la procreazione (art. 1 comma 2; art. 4 comma 1). L’idea di considerare l’adozione quale strumento alternativo alla procreazione medicalmente assistita, non condivisa dalla dottrina prevalente (21), muove da un approccio di tipo solidaristico volto a coniugare la soddisfazione delle esigenze di genitorialità con l’interesse del minore in stato di abbandono ad essere accolto in un nuovo nucleo familiare (22); approccio che richiederebbe tuttavia scelte di semplificazione della disciplina dell’adozione e che non appare efficacemente estensibile, per la precarietà che lo caratterizza, all’istituto dell’affidamento (salvo a non intendere la norma nel senso che sia riferita solo all’affidamento preadottivo). Va osservato piuttosto che uno sviluppo coerente di tale impostazione avrebbe potuto condurre alla previsione di una disciplina dei requisiti di accesso all’adozione coincidente o più ampia rispetto a quella dei requisiti di accesso alla procreazione assistita (23); scelta che il legislatore italiano non ha perseguito, come dimostra in particolare l’esclusione delle coppie conviventi, ammesse alla procreazione assistita, dalle procedure di adozione. L’imposizione al medico dell’obbligo di accertare l’impossibilità di rimuovere le cause che impediscono la procreazione naturale non può essere intesa in senso letterale (24), in quanto comporterebbe la singolare conseguenza, lesiva dell’interesse della coppia sterile, di uno sforzo diagnostico e terapeutico protratto nel tempo tale da non consentire un tempestivo ed efficace intervento di procreazione assistita. La norma va interpretata, secondo una lettura costituzionalmente orientata, come una direttiva di residualità tendenziale, la quale in ogni caso tiene integro il potere di valu(21) Cfr. R. VILLANI, La procreazione assistita. La nuova legge 19 febbraio 2004, n. 40, Torino, Giappichelli, 2004, 229 ss.; F. NADDEO, Accesso alle tecniche, in Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 a cura di P. STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, Milano, Giuffrè, 2004, 63 ss.; M. DOGLIOTTI e A. FIGONE, Procreazione assistita. Fonti, orientamenti, linee di tendenza, Milano, Giuffrè, 2004, 102; I. CORTI, La procreazione assistita, in Il nuovo diritto di famiglia. Trattato diretto da G. FERRANDO, III. Filiazione e adozione, Bologna, Zanichelli, 2007, 500 s. (22) In tema F.D. BUSNELLI, Procreazione artificiale e filiazione adottiva, in Familia, 2003, I, 1 ss.; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Riflessioni sul rapporto tra adozione e procreazione medicalmente assistita, in Dir. fam., 2005, I, 217 ss. (23) Lo rileva F. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Dir. fam., 2005, 177 s. (24) Cfr. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 59 s.; M. FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, in D. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, III, 2007, 1060. Procreazione assistita (dir. civ.) tazione e di scelta del medico, per cui va escluso l’accesso alla pratica procreativa assistita e va piuttosto perseguito il tentativo di curare direttamente la patologia solo qualora vi siano alte probabilità di successo di interventi terapeutici intesi a risolvere le condizioni di sterilità in tempi ragionevoli. Una diversa soluzione non appare giustificata sotto il profilo del bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 151 del 2009, anche perché va reso evidente che, nella disciplina italiana, la procreazione medicalmente assistita, ancorché residuale, è considerata espressamente anch’essa un metodo terapeutico, come si desume dalla lettera del comma 2 dell’art. 1 l. n. 40 del 2004, dove si usa la formula « altri metodi terapeutici ». Formula alla quale ha dato rilevanza la sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014, già richiamata all’inizio della nostra trattazione, che ha qualificato la procreazione medicalmente assistita quale pratica terapeutica per le patologie psichiche legate alla sterilità: traendo argomento, per la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, dall’incidenza negativa di tale divieto sul diritto alla salute psichica della coppia, la cui lesione sarebbe conseguente all’impossibilità di accedere alla filiazione. Le tecniche di procreazione assistita vanno comunque applicate in base al criterio di gradualità (25), volto ad evitare l’uso delle modalità più invasive ogni qualvolta si possa reputare adeguato un intervento meno gravoso, sul piano fisico o psicologico, per il paziente (art. 2 lett. a): ad esempio, in forza di tale criterio si dovrebbe tendenzialmente escludere il ricorso alla fecondazione in vitro qualora si consideri altrettanto efficace l’uso delle tecniche procreative in vivo, nonché ad un escludere la fecondazione eterologa se non nei casi in cui sia inefficace quella omologa. 5. L’applicazione della tecnica. — Nella formulazione originaria della legge è stato previsto l’obbligo del medico di produrre un numero di embrioni non superiore a quello strettamente necessario, in ogni caso non superiore a tre, e di procedere a un unico e contestuale impianto in utero (art. 14 comma 2); inoltre è stato sancito che (25) Secondo le Linee guida, nella definizione di gradualità, « il medico deve tenere conto dell’età della donna, delle problematiche specifiche della coppia, delle presumibili cause dell’infertilità e della sterilità di coppia, dei rischi inerenti le singole tecniche, sia per la donna che per il concepito, nel rispetto dei principi etici della coppia stessa ed in osservanza del dato della legge ». l’impianto può essere rinviato soltanto nel caso in cui sopraggiunga una causa di forza maggiore attinente allo stato di salute della donna imprevedibile al momento della fecondazione; solo in tal caso è stata ammessa la crioconservazione degli embrioni sino al momento in cui è cessata la causa di forza maggiore ed è ridiventato possibile l’impianto (art. 14 comma 3). Nella sentenza n. 151 del 2009, la Corte costituzionale muove dall’idea che il limite massimo di produzione di tre embrioni non consenta di adottare in ogni circostanza la terapia idonea ad ottenere un risultato positivo in termini procreativi: la regola posta dal legislatore non terrebbe infatti conto della circostanza che le possibilità di successo degli interventi di assistenza alla procreazione possono variare considerevolmente da persona a persona, in quanto dipendono dalle caratteristiche degli embrioni e dalle condizioni soggettive delle donne (tra le quali un ruolo rilevante assume l’età, il cui avanzamento riduce la probabilità della gravidanza). La Consulta ha reputato pertanto che il limite numerico, aumentando il rischio d’insuccesso del prodotto di ogni ciclo di fecondazione, imponga la moltiplicazione dei cicli di stimolazione ovarica, con conseguente pericolo d’insorgenza di numerose patologie; al contempo ha ritenuto che l’obbligo di contestuale impianto di tutti gli embrioni fecondati determini il rischio opposto di gravidanze plurime, con altri pericoli per la salute della donna, e degli stessi feti, che potrebbero determinare l’esigenza di ricorrere a pratiche abortive. Le previsioni normative, che stabiliscono il numero massimo di produzione di embrioni e l’obbligo di contestuale impianto, limitano pertanto in modo ingiustificato, secondo la prospettiva della Corte, la valutazione discrezionale del medico rispetto ad ogni singolo caso sottoposto al trattamento: tale valutazione, infatti, in presenza di siffatte disposizioni, non può essere effettuata secondo le più aggiornate ed accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, in modo tale da ridurre al minimo il rischio per la salute della donna e del feto. Si reputa pertanto che siano violati i limiti alla discrezionalità legislativa i quali, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, anche precedente, sarebbero sottoposti alla prevalenza dei principi di autonomia e di responsabilità della professione medica nella scelta delle tecniche applicabili in base all’evoluzione delle acquisizioni scientifiche e sperimentali. La disposizione del comma 2 dell’art. 14 è stata pertanto considerata in violazione dell’art. 3 — 1021 Procreazione assistita (dir. civ.) poiché il legislatore avrebbe riservato, in contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, il medesimo trattamento alle diverse ipotesi in cui possono versare le coppie che accedono alla procreazione assistita — e dell’art. 32 della Costituzione, per il conseguente pregiudizio alla salute della donna e, eventualmente, del feto. La norma è ritenuta costituzionalmente illegittima limitatamente alla frase « a un unico e contemporaneo impianto e comunque non superiore a tre »: attraverso tale operazione di ortopedia legislativa, resta salvo il principio per cui le tecniche di produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario, rimettendo integralmente alla discrezionalità medica la determinazione, di volta in volta, del limite massimo. Nella valutazione della Consulta, pertanto, il bilanciamento d’interessi colloca la salute della donna in una posizione prevalente, di integrale tutela, coerentemente con i principi affermati nei precedenti in materia di interruzione di gravidanza; solo una volta soddisfatta tale esigenza di tutela, infatti, si tiene fermo il limite al potere del medico nella produzione di embrioni soprannumerari, da esercitare in modo da tenere conto del valore della dignità della vita umana prenatale (26). Se la portata della caducazione parziale del comma 2 si presenta chiara già dalla lettura del dispositivo, occorre una valutazione più analitica, che tenga conto anche della parte motiva, per intendere la rilevanza della dichiarazione d’incostituzionalità del comma 3 « nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare appena possibile, come stabilisce tale norma, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna ». Il dispositivo si presenta ambiguo, ma l’intento della Corte è chiaramente (26) Si dimostra pertanto che, anche nella prospettazione della Corte, l’introduzione, a livello di legislazione ordinaria, della norma che promuove a « soggetto » il concepito non è idonea a modificare il criterio gerarchico di bilanciamento tra gli interessi di chi è nato e gli interessi di chi ancora deve nascere. Va tuttavia sottolineato che, nella stessa sentenza, si giustifica il venire meno dell’obbligo di contestuale impianto e la conseguente deroga al divieto di crioconservazione, non solo facendo riferimento al diritto alla salute della donna, ma assumendo la rilevanza, quantomeno eventuale, anche dell’interesse di evitare rischi alla salute del feto conseguenti alla possibilità di gravidanze plurime: se ne deduce che, nell’intenzione della Corte, l’interesse ad un sicuro e sano sviluppo del feto assume una sua autonoma rilevanza (a prescindere dalla correttezza della qualifica in termini di diritto) e risulta essere prevalente rispetto al contrapposto interesse di assicurare chance di nascita a tutti gli embrioni prodotti. 1022 enunciato nella motivazione, dove si assume che, una volta dichiarata l’incostituzionalità del secondo comma nella parte che pone l’obbligo di contestuale impianto di tutti gli embrioni fecondati, si è prodotta una deroga al principio generale di divieto della crioconservazione, disposto dal comma 1 dell’art. 13, in quanto, quale « logica conseguenza » della caducazione dell’obbligo, si determina « la necessità del ricorso alla tecnica di congelamento con riguardo agli embrioni prodotti, ma non impiantati per scelta medica ». La dichiarazione d’incostituzionalità del comma 3 pertanto andrebbe intesa nel senso che accanto alla deroga prevista originariamente, di carattere eccezionale, sussiste un’altra deroga, di carattere generale, per cui l’impianto degli embrioni prodotti andrebbe in ogni caso gestito con modalità e tempistica che, pur limitando al minimo i tempi di crioconservazione, siano idonee a non arrecare pregiudizio alla salute della donna: in applicazione di tale criterio, il medico può disporre un numero variabile di cicli successivi di impianto con una quantità variabile di embrioni da impiantare per ogni ciclo, in modo da aumentare le possibilità di successo e da ridurre al contempo il rischio di gravidanze plurime. Conseguentemente, gli embrioni prodotti possono essere sottoposti a processi di congelamento, di durata variabile nel tempo, e possono essere impiantati anche uno alla volta. Resta da risolvere il problema della sorte degli embrioni residui: secondo la scelta adottata dalle Linee guida del 2004 gli embrioni non utilizzati si sarebbero dovuti lasciare nella coltura sino all’estinzione (e tale pratica si supponeva lecita, perché non ricadente nel divieto di soppressione o crioconservazione dell’embrione); una diversa scelta, volta a ricondurre tale ipotesi nella regola generale tendente alla crioconservazione tendenzialmente perpetua degli embrioni non utilizzati (27), sembra desumibile dalle Linee guida successive (a partire dal 2008) e ha trovato copertura costituzionale nella decisione della Corte costituzionale n. 229 del 2015, quale tecnica di tutela, allo stato adeguata, della dignità dell’embrione. 6. La diagnosi genetica preimpianto. — In un ordinamento che ammette l’interruzione di gravidanza ogni qualvolta il rischio di malattia genetica del feto pregiudichi le condizioni psichiche della (27) Aveva già sostenuto tale soluzione Ri. CHIEPPA, Conclusioni, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 536. Procreazione assistita (dir. civ.) donna, è pienamente coerente con il sistema dei valori che si consenta, in sede di fecondazione in vitro, la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni, in modo da permettere alla coppia di conoscere quali siano le condizioni di salute dell’embrione, anche per accedere con maggiore serenità ai successivi trattamenti e alla gravidanza. Il problema dell’ammissibilità della diagnosi genetica preimpianto si è rivelato uno dei più controversi nell’interpretazione della disciplina vigente: se è vero che già nella Risoluzione del Parlamento europeo del 16 marzo 1989 (28) si negava il diritto di ricorrere alla fecondazione in vitro per la selezione degli embrioni e conseguentemente si chiedeva agli Stati membri di vietare qualsiasi forma di esame genetico al di fuori del corpo materno, va tuttavia costatato che il divieto di diagnosi preimpianto, pur essendo stato presente nel dibattito politico, non è espressamente disposto e non sembra che possa essere desunto dalle regole disposte nel comma 2 e nella lett. b del comma 3 dell’art. 13 l. n. 40 del 2004 (29). La regola del comma 2 dell’art. 13 limita la ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione alle ipotesi in cui si perseguono finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso; la regola del comma 3 lett. b dello stesso articolo pone un divieto specifico alle forme di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti, ovvero agli interventi che, attraverso tecniche di selezione, manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti a predeterminarne caratteristiche genetiche, escludendo dal divieto gli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche indicati nel comma 2 dello stesso articolo. Si può dubitare, per entrambe le norme, che esse vietino la diagnosi genetica preimpianto, attraverso due distinti percorsi argomentativi. Per un verso, può sostenersi che la diagnosi genetica dell’embrione da impiantare rientri tra gli interventi aventi finalità diagnostiche, perché ri(28) Doc. A 2-327/88, in G.U.C.E. 17 aprile 1989, n. C 96, 165 ss. (29) Si tenga presenta a tal proposito che nella Relazione al testo unificato Bolognesi, che nell’art. 16 già conteneva le regole poste dai primi tre commi dell’art. 13 del testo ora vigente, si dichiarava senza tentennamenti la sussistenza in Commissione di « ampie sintonie » sul testo da approvare, con riferimenti ad alcuni aspetti, tra i quali viene indicata la necessità di « prevedere indagini genetiche per prevenire malformazioni e malattie », sottolineando al contempo come « nessun intervento è ammesso relativamente al sesso del nascituro e alla selezione delle sue caratteristiche ». volti alla tutela della salute e dello sviluppo dello stesso embrione (30). Per altro verso, si può avanzare il dubbio che le disposizioni dell’art. 13 si riferiscano al conflitto tra interesse collettivo alla ricerca scientifica e interesse collettivo alla tutela dell’embrione e siano pertanto volte a vietare pratiche selettive o manipolative di tipo sperimentale (31), ma non interferiscano con processi diagnostici non sperimentali nell’ambito di pratiche mediche consolidate in relazione al singolo trattamento fecondativo (32). La riferibilità di tali disposizioni alla fase procreativa — oltre a produrre effetti rilevanti anche per gli interventi sulla donna in gravidanza, ponendo in discussione la legittimità anche della diagnosi prenatale (33), in contrasto con la volontà del legislatore di non modificare l’equilibrio storicamente determinatosi nell’applicazione della legge sull’interruzione di gravidanza — risulterebbe incoerente anche con le misure eccessive della sanzione penale. A sostegno della legittimità della diagnosi preimpianto, inoltre, risulta decisiva la disposizione, anch’essa introdotta nella discussione finale in Aula, che consente alla coppia di esercitare il diritto di informazione (oltre che sul numero) sullo stato di salute degli embrioni prodotti prima del trasferimento nell’utero. La disposizione contenuta nel comma 5 dell’art. 13 è particolarmente rilevante in quanto, (30) In tal senso: F. SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, Giuffrè, 2004, 96 ss.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 63 s., 200, 211; GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 200; P. BECCHI, La legge sulla procreazione medicalmente assistita al vaglio della corte costituzionale, in Sociologia del diritto, 2006, 115 s.; L. D’AVACK, L’evasiva ordinanza n. 369 della Corte costituzionale del 9 novembre 2006 in merito alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, in Dir. fam., 2007, 27 ss. (31) In tal senso sono anche C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 218, i quali però sostengono il carattere sperimentale della diagnosi preimpianto. (32) C. CASSANI e M. SESTA, Procreazione medicalmente assistita, in Codice della famiglia a cura di M. SESTA, II, Milano, Giuffrè, 2009, 3744 ss. (33) In senso diverso, hanno sostenuto C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 206 s., che la diagnosi prenatale consentirebbe, seppure in casi limitati, la predisposizione di interventi curativi durante la gravidanza o subito dopo il parto ed in ogni caso può avere l’intento di tranquillizzare la madre timorosa di avere un feto malato, evitando l’aborto: ma la distinzione non si pone neanche sul piano teorico, in quanto anche la diagnosi preimpianto consente alla coppia di procedere con maggiore serenità nei successivi trattamenti e nella gravidanza e, ove la donna accetti l’impianto dell’embrione malato, a preparare la coppia, che eserciti il diritto, all’eventualità della perdita spontanea del feto o della nascita di un figlio malato da sottoporre a trattamenti sanitari. 1023 Procreazione assistita (dir. civ.) nella precedente formula adottata dal testo unificato Bianchi, l’informazione riguardava solo il numero degli embrioni e poteva essere fornita soltanto prima della loro fecondazione (« il numero degli embrioni che si intende produrre e trasferire in utero ») e dopo il trasferimento in utero (« il numero degli embrioni prodotti e conseguentemente trasferiti »): si trattava di una formula rigorosa che non sembrava consentire alcuna deroga all’obbligo di impiantare tutti gli embrioni prodotti (obbligo che a sua volta si deduceva dal secondo e dal terzo comma dello stesso art. 13 del progetto, che contenevano le disposizioni poi riprodotte nei primi commi dell’art. 14, oggetto di valutazione della Corte costituzionale). Il testo della redazione definitiva della disposizione, nella misura in cui prevede che l’informazione abbia quale oggetto lo stato di salute degli embrioni — e quale collocazione temporale la fase tra la fecondazione degli embrioni e l’impianto — appare invece legittimare la possibilità di accedere alla diagnosi genetica preimpianto, anche al fine di consentire (quantomeno alla donna) il rifiuto, anche parziale, del successivo trattamento (rifiuto incoercibile e non sanzionabile, secondo un’opinione già diffusa in sede parlamentare). In quest’ultimo senso sembrano deporre, dopo un irrigidimento iniziale, sia le soluzioni adottate dall’Autorità governativa in sede di redazione delle Linee guida, sia la prassi giurisprudenziale legittimata dall’intervento della Corte costituzionale. Nella prima versione delle Linee guida, adottate con d.m. 21 luglio 2004, si era preferita l’interpretazione più rigorosa degli art. 13 e 14 della legge, disponendo non solo che « È proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica », ma anche che « Ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro [...] dovrà essere di tipo osservazionale »: il regolamento ministeriale pertanto si proponeva di coordinare il diritto della coppia alla conoscenza dello stato di salute dell’embrione con il divieto di adozione di tecniche di selezione eugenetica consentendo l’osservazione dell’embrione al microscopio e negando il prelievo e l’analisi di materiale genetico. La soluzione adottata dalle Linee guida — reputata coerente con il dato normativo dalla sentenza del TAR Lazio n. 3452 del 2005 (34), poi annullata in sede di gravame — è stata successivamente considerata illegittima dallo stesso Tribu(34) TAR Lazio 7 aprile 2005, n. 3452, in Foro it., 2005, III, 518 ss. 1024 nale amministrativo (35), il quale ha ritenuto ingiustificata la limitazione della indagine diagnostica alla sola tecnica osservazionale: secondo il giudice amministrativo, che ha disposto l’annullamento parziale del decreto, tale limite si pone in contrasto con l’art. 13, che consente senza altre specificazioni la ricerca per finalità terapeutiche e diagnostiche finalizzate alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione. Il giudice sembra accogliere l’idea che la ricerca dello stato di salute dell’embrione, di cui all’art. 14 comma 5, consente le indagini genetiche preimpianto, in quanto le stesse rientrerebbero nella deroga dell’art. 13 comma 2: interpretazione che assegnerebbe al divieto di diagnosi preimpianto a finalità eugenetica una portata ristretta, in quanto riferita al solo caso in cui l’indagine si proponga una selezione sistematica volta a far nascere soggetti rispondenti a determinati canoni prefissati (36). Alla luce di tali rilievi potevano essere interpretate le nuove Linee guida emanate con d.m. 11 aprile 2008, le quali si limitavano a tenere ferma la regola per cui è proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica, senza disporre alcunché sulle diagnosi preimpianto finalizzate all’adempimento dell’obbligo di informazione della coppia (37). Anche la più recente giurisprudenza ha preferito interpretare le norme nel senso della liceità della diagnosi genetica preimpianto: un’analisi articolata e convincente si trova in una sentenza del Tribunale di Cagliari del 2007 (38) (alle quali aderiscono le successive ordinanze del Tribunale di Firenze) (39), dove si ammette la diagnosi ge(35) TAR Lazio 21 gennaio 2008, n. 398, in N. giur. civ., 2008, I, 489 ss., con nota di S. PENASA; in Fam. dir., 2008, 499 ss., con nota di A. FIGONE; e in Foro amm. T.A.R., 2008, 1042, con nota di R. FERRARA. Sulla sentenza A. CORDIANO, Procreazione medicalmente assistita e diagnosi preimpianto: a proposito di una recente decisione del Tar del Lazio, in Familia, 2008, n. 3, 21 ss. (36) Così S. BANCHETTI, Procreazione medicalmente assistita, diagnosi preimpianto e (fantasmi dell’) eugenetica, in Giur. it., 2006, 1169 ss.; VILLANI, Procreazione assistita, cit., 338 s.; M. DOGLIOTTI, Procreazione assistita: le linee guida del 2008, in Fam. dir., 2008, 749 ss. In senso opposto, per la finalità eugenetica di ogni diagnosi preimpianto, si era pronunziato il TAR Lazio 7 aprile 2005, n. 3452, cit. (37) Ne deriva l’ammissibilità di tale tecnica: così CASSANI e SESTA, op. cit., 3710. Per una diversa valutazione cfr.: A. NICOLUSSI, Lo sviluppo della persona umana come valore costituzionale e il cosiddetto biodiritto, in Eur. dir. priv., 2009, 41 e nt. 87. (38) Trib. Cagliari 24 settembre 2007, in Giust. civ., 2008, I, 217 s., con nota di G. BALLARANI. (39) Il riferimento è alla giurisprudenza edita: Trib. Firenze 17 dicembre 2007, in Rass. dir. civ., 2008, 829 ss., con nota di G. BALDINI; Trib. Firenze 26 agosto 2008 e Trib. Firenze 12 luglio 2008, in Foro it., 2008, I, 3354 ss. Nello Procreazione assistita (dir. civ.) netica preimpianto, ai sensi dell’art. 14 comma 5, solo se ricorrono le seguenti condizioni: sia stata richiesta dalla coppia che accede alla terapia, abbia ad oggetto gli embrioni destinati all’impianto nel grembo materno, sia strumentale all’accertamento di eventuali malattie (e non quindi di altre caratteristiche genetiche) e sia finalizzata a garantire un’adeguata informazione sulla salute degli embrioni da impiantare. Con una motivazione di carattere sistematico, il giudice sardo ha rilevato che il timore di possibili strumentalizzazioni eugenetiche non ha condotto il legislatore a un divieto generalizzato della diagnosi preimpianto, ma piuttosto a una disciplina articolata a secondo del conflitto di interessi rilevante: in relazione al conflitto con l’interesse collettivo alla ricerca scientifica, ha disposto per un verso il divieto assoluto di selezione di embrioni a scopo eugenetico, punito con una pesante sanzione penale e, per altro verso, la limitazione della ricerca scientifica sugli embrioni esclusivamente agli interventi volti alla tutela della salute e allo sviluppo dello specifico embrione sottoposto a trattamento; in relazione al conflitto con le esigenze procreative, ha previsto il divieto di accesso alla fecondazione assistita delle coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche, mentre ha riconosciuto alle coppie sterili che accedano alla fecondazione assistita il diritto di conoscere lo stato di salute degli embrioni da impiantare (da attuarsi proprio attraverso la diagnosi genetica). Nel senso della legittimità della diagnosi genetica preimpianto va tendenzialmente considerata anche la posizione della prima sentenza della Corte costituzionale (40), la quale ha considerato ammissibili le ordinanze fiorentine, che avevano posto la questione di costituzionalità della norma che limitava il numero di embrioni da fecondare ed impiantare, in quanto il limite legislativo non consentiva la fecondazione di un numero di embrioni sufficientemente alto da essere sottoposto alla diagnosi preimpianto: va rilevato che solo a seguito di tale decisione la diagnosi preimpianto è divenuta concretamente utilizzabile dagli operastesso senso Trib. Bologna 29 giugno 2009, in Giur. merito, 2009, 3000, con nota di G. CASABURI. (40) C. cost. 8 maggio 2009, n. 151, cit.; sulla portata della sentenza della Corte costituzionale v.: U. SALANITRO, Principi e regole, contrasti e silenzi: gli equilibri legislativi e gli interventi giudiziari in tema di procreazione assistita, in Fam. pers. succ., 2010, 85 ss.; M. SESTA, La procreazione medicalmente assistita tra legge, Corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi mediche, in Fam. dir., 2010, 839 ss.; in prospettiva opposta cfr. S. LA ROSA, La diagnosi genetica preimpianto: un problema aperto, in Fam. dir., 2011, 839 ss. tori sanitari per effettuare interventi di selezione degli embrioni nel caso di malattie genetiche, in quanto è possibile fecondare un numero di embrioni sufficiente ad utilizzare la tecnica secondo un protocollo medico adeguato. La soluzione accolta dalla giurisprudenza ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte di Strasburgo del 28 agosto 2012 (41): sentenza che ha condannato lo Stato italiano al risarcimento del danno per la lesione del diritto alla vita privata e familiare, di una coppia portatrice sana di una malattia genetica, causata dalle scelte, imputate al legislatore, di riservare l’accesso alla procreazione assistita soltanto alle coppie sterili e di vietare la diagnosi genetica preimpianto. Dovendosi basare sulla prospettazione delle parti, le quali erano concordi nel ritenere la vigenza nel nostro ordinamento di un divieto di diagnosi genetica preimpianto, la Corte di Strasburgo ha evidenziato l’incongruenza del divieto con la possibilità di ricorrere legittimamente alla diagnosi prenatale in vista dell’interruzione di gravidanza. L’interesse della sentenza europea si manifesta ugualmente, poiché la decisione ha offerto una chiara copertura costituzionale all’interpretazione accolta dalla prevalente giurisprudenza di merito: secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, la disciplina dell’art. 8 CEDU, come interpretata dalla Corte di Strasburgo, rileva nel nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 117 comma 1 cost., perché costituisce norma interposta al fine di valutare la costituzionalità della disposizione italiana. In questo caso, essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata, non è stato necessario sottoporre la questione alla Corte costituzionale e i giudici — così come gli operatori — sono considerati vincolati a ritenere ammissibile, anzi doverosa su richiesta della coppia, la diagnosi genetica preimpianto (42). Prospettiva confermata dalla Corte costituzionale, nella più recente sentenza n. 96 del 2015, la quale, nel dichiarare incostituzionale il divieto di (41) C. eur. dir. uomo, sez. II, 28 agosto 2012, Costa e Pavan c. Italia, ricorso n. 54270/10, in N. giur. civ., 2013, I, 66 ss., con nota di C. PARDINI; la sentenza è stata confermata dalla Grande Chambre l’11 febbraio 2013. (42) In tal senso, tra gli altri, G. BALDINI, Procreazione medicalmente assistita e diagnosi genetica di pre-impianto: una questione ancora aperta?, in Vita not., 2012, 1513 ss.; G. FERRANDO, Le diagnosi preimpianto, dunque, sono ammissibili, in N. giur. civ., 2013, II, 20 ss.; M. SEGNI, Troppi dubbi sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2013, 521 ss. In giurisprudenza trae conferma dalla decisione della Corte di Strasburgo per affermare la legittimità della diagnosi genetica Trib. Cagliari 7 novembre 2012, in N. giur. civ., 2013, I, 67, 72 ss., con nota di C. PARDINI. 1025 Procreazione assistita (dir. civ.) accesso alla procreazione assistita alle coppie fertili affette da malattie trasmissibili geneticamente, ha esplicitamente presupposto la liceità della diagnosi genetica preimpianto, quale tecnica idonea a consentire alla coppia di individuare gli embrioni sani da impiantare. Appare perciò sorprendente la regola indicata nelle Linee guida vigenti, approvate il 1° luglio 2015, in cui, dopo avere confermato il principio per cui è proibita ogni diagnosi preimpianto a finalità eugenetica, prescrive — distaccandosi dal dato normativo — che « le indagini relative allo stato di salute degli embrioni creati in vitro, ai sensi dell’art. 14 comma 5, dovranno sempre essere volte alla tutela della salute e dello sviluppo di ciascun embrione »: regola che sembra essere in contrasto con i descritti orientamenti giurisprudenziali e che, limitando il diritto della coppia all’informazione sullo stato di salute degli embrioni, pone (ancora una volta) gravi problemi di legittimità. Sulla questione è intervenuta ancora una volta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 229 del 2015, che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che vieta la selezione eugenetica nella parte in cui sia riferita alla condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero di embrioni che siano risultati affetti da malattie genetiche dalla diagnosi preimpianto. La Corte costituzionale avrebbe potuto rigettare la questione di costituzionalità, adottando l’interpretazione costituzionalmente orientata, già accolta dal cosiddetto “diritto vivente”, nel senso di escludere dal divieto di selezione eugenetica la condotta selettiva del medico funzionale a diagnosticare le malattie genetiche degli embrioni in vista dell’impianto nell’utero della donna. Si può ritenere che la Corte abbia preferito dichiarare l’incostituzionalità della norma, ammettendo pertanto la riconducibilità di tale comportamento nell’ambito della selezione eugenetica: la scelta — per quanto contrastante con i principi praticati dalla Corte, rigorosi nel dichiarare inammissibili i ricorsi nel caso in cui sia possibile un’interpretazione costituzionalmente orientate — può risultare opportuna, anche alla luce della rilevanza penale della materia, al fine di garantire agli operatori quella certezza del diritto che una sentenza interpretativa di rigetto non avrebbe potuto offrire. Al contempo, la scelta si rivela indovinata nella misura in cui, delimitando espressamente il divieto di selezione eugenetica, fa venire definitivamente meno la fondatezza di eventuali tentativi — come quello, appena illustrato, avve- 1026 nuto in sede di Linee guida — di utilizzare il divieto di selezione eugenetica per limitare le aperture giurisprudenziali. Si può tuttavia dare una diversa interpretazione della sentenza della Corte, ossia ritenere che la condotta assimilabile alla selezione eugenetica sussista soltanto quando l’accesso alla procreazione assistita sia stata chiesta da una coppia fertile la cui malattia genetica sia stata accertata da apposite strutture pubbliche e non anche nel caso in cui la coppia abbia avuto accesso alla procreazione assistita in quanto sterile e abbia “occasionalmente” chiesto l’effettuazione della diagnosi preimpianto al fine di impiantare solo embrioni sani, facendo ricadere tra i soprannumerari quelli malati. In tal senso depone la motivazione della stessa sentenza della Corte, che giustifica la decisione quale diretta conseguenza del precedente con il quale è stato riconosciuto il diritto alla procreazione assistita alle coppie fertili; nello stesso senso depone la coerenza con gli orientamenti giurisprudenziali illustrati, ed in particolare con la giurisprudenza del Tribunale di Cagliari, che ammettevano già la legittimità della diagnosi preimpianto per le coppie sterili, giustificando al contempo con preoccupazioni eugenetiche il divieto legislativo di accesso alle coppie fertili. L’adozione di tale linea interpretativa appare coerente con l’esigenza di non introdurre un limite al diritto di informazione della coppia sterile, imponendo, secondo il dettato della Corte, che l’accertamento della malattia genetica dell’embrione sia effettuato presso apposite strutture pubbliche. Nella misura in cui si qualifica la condotta selettiva del medico, che decide quale embrione impiantare (scartando quelli malati) come « selezione eugenetica », ne discenderebbe che il mancato ricorso a tali « apposite strutture pubbliche » per l’individuazione della malattia, costituirebbe presupposto sufficiente per escludere l’applicazione dell’esimente riconosciuta dalla sentenza de qua e per la riconduzione dell’attività medica nella fattispecie di reato: per cui, in mancanza di una regolamentazione amministrativa che individui le strutture pubbliche autorizzate ad accertare la malattia genetica dell’embrione, il principio introdotto dalla Corte non rappresenterebbe un’apertura, quanto piuttosto una forte limitazione, che inciderebbe gravemente sulle prassi attualmente considerate legittime per le coppie sterili. 7. L’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa. — Il divieto, posto dall’art. 4 comma 3 l. n. 40 del 2004, di ricorrere alle tecni- Procreazione assistita (dir. civ.) che di procreazione assistita di tipo eterologo — fecondazione dell’embrione con gameti maschili e/o femminili provenienti da donatore esterno alla coppia — è stato sin dall’origine messo in discussione, in quanto in contrasto con la soluzione applicata sino a quel momento: infatti, in base alla normativa secondaria allora vigente, la fecondazione eterologa, interdetta nelle strutture sanitarie pubbliche, non trovava ostacoli, ed era anzi per taluni aspetti regolamentata, se effettuata presso le strutture sanitarie private. Il divieto, che si è ritenuto limitato alla fase della fecondazione dell’embrione (e non a quella del successivo impianto) (43), è subito apparso ineffettuale, in quanto la tecnica eterologa è ammessa nella maggioranza dei Paesi europei: a tutela del nato da tecniche fecondative vietate in Italia, ma consentite all’estero, si giustificava pertanto la previsione dell’art. 9 l. n. 40 del 2004, che preclude al coniuge o al convivente, il cui consenso sia ricavabile anche da atti concludenti, di agire per il disconoscimento di paternità o di impugnare il riconoscimento per difetto di veridicità. In dottrina si è posto da subito il problema se il divieto di fecondazione eterologa fosse conforme al dato costituzionale (44): problema particolarmente avvertito, in quanto il divieto aveva precluso l’accesso alla procreazione proprio a quelle coppie che soffrono le forme più gravi di sterilità, sollevando il dubbio della lesione del loro diritto alla salute. L’orientamento allora prevalente, prendendo spunto dalle opinioni espresse in sede di lavori preparatori, aveva individuato diversi argomenti a sostegno del divieto (45): in ogni (43) In tal senso: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 184; E. DOLCINI, Responsabilità del medico e reati in materia di procreazione assistita. Ambiguità e rigori della legge n. 40 del 2004, in Riv. trim. dir. proc. pen., 2009, 27 ss. (44) Lo hanno escluso, tra gli altri: M.R. MARELLA, Esercizi di biopolitica, in Riv. crit. dir. priv., 2004, 7; G. FERRANDO, La nuova legge in materia di procreazione medicalmente assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 2004, 813 s.; CASSANI e SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 3697 ss., 3717 ss. (45) Tra i quali: il rischio eugenetico derivante da abusi nella scelta del donatore; il timore di scompensi psichici derivanti dalla mancanza del rapporto biologico tra il figlio e almeno uno dei genitori; la lesione del diritto alla conoscenza delle proprie origini. Al riguardo si vedano: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 74 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 65 ss.; L. VIOLINI, Tra scienza e diritto: riflessioni sulla fecondazione medicalmente assistita, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 472 ss.; A. LOIODICE, La tutela dei soggetti coinvolti nella procreazione medicalmente assistita, ivi, 334 s.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 119 ss.; M. SESTA, Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la legge sulla procreazione medical- caso, si era autorevolmente escluso che la scelta del divieto, pur non essendo la migliore disciplina possibile, fosse considerata « irrimediabilmente irragionevole ed incostituzionale » (46). Non è mancato in dottrina il dubbio sulla conformità del divieto della fecondazione eterologa anche con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (47): dubbio che ha trovato un significativo riscontro nella sentenza della Prima Camera della Corte di Strasburgo del 1° aprile 2010 (48), nella controversia che ha visto opporre due coppie di coniugi alla Repubblica austriaca (49). In questa sentenza, è stato messo in rilievo che — una volta ricondotto l’interesse all’accesso alla procreazione assistita nell’ambito del diritto al rispetto della vita privata e familiare — sono considerati discriminatori, ai sensi dell’art. 14 della Convenzione, i limiti che non fossero giustificati da finalità oggettive e ragionevoli e dal rispetto del criterio di proporzionalità tra i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti, nella misura in cui ponevano i soggetti infertili che avevano necessità della fecondazione eterologa in vitro in una posizione ingiustificatamente diversa rispetto agli altri soggetti infertili che potevano ricorrere a tecniche consentite (50). mente assistita?, in Corr. giur., 2005, 1405 ss.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 512 ss. (46) Così MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 285 ss. Nello stesso senso: VIOLINI, op. cit., 472 ss.; A. NICOLUSSI, Fecondazione eterologa e diritto di conoscere le proprie origini. Per un’analisi giuridica di una possibilità tecnica, in Riv. AIC, 2012, n. 1; A. NICOLUSSI e A. RENDA, Fecondazione eterologa: il pendolo fra Corte costituzionale e Corte EDU, in Eur. dir. priv., 2013, 213 ss., 226 ss. In giurisprudenza, nello stesso senso l’ordinanza del Trib. Milano 23 novembre 2009, in N. giur. civ., 2010, I, 774 ss., con nota di B. LIBERALI. (47) Hanno ipotizzato sin dall’inizio che il divieto contrasti con l’art. 8 CEDU: FERRANDO, op. ult. cit., 813 s.; B. MASTROPIETRO, Procreazione assistita: considerazioni critiche su una legge controversa, in Dir. fam., 2005, 1408. In senso diverso C. CAMPIGLIO, Procreazione assistita: regole italiane ed internazionali a confronto, in Riv. dir. intern. priv. proc., 2004, 538 ss., 552 s., per la quale il contrasto non sarebbe stato con l’art. 8, ma piuttosto con l’art. 12 CEDU. (48) C. eur. dir. uomo, sez. I, 1° aprile 2010, S.H. e altri c. Austria, ricorso n. 57813/00, in Fam. dir., 2010, 977 ss., con nota di U. SALANITRO. (49) Le due coppie erano affette da condizioni di sterilità che non potevano essere superate se non accedendo alle tecniche di fecondazione eterologa: in particolare, l’una avendo necessità di ricorrere alla donazione di ovociti, l’altra alla donazione di sperma con fecondazione in vitro. Le loro esigenze non hanno potuto trovare accoglimento nell’ordinamento austriaco, dove vige il divieto della fecondazione eterologa in vitro, sia con gameti maschili, sia con ovociti femminili, essendo ammessa soltanto la fecondazione eterologa in vivo con gameti maschili. (50) Le motivazioni del divieto devono essere oggettive, poiché quelle di carattere morale o di consenso sociale non 1027 Procreazione assistita (dir. civ.) La decisione della Grande Camera del 3 novembre 2011 (51) è stata, tuttavia, di segno diverso rispetto a quella della Prima Sezione della stessa Corte: secondo l’autorevole consesso, infatti, i divieti della fecondazione eterologa disposti dalla legislazione austriaca, mancando un consenso radicato a livello europeo sulla questione, non sono in contrasto con il margine di apprezzamento che consente agli Stati membri della Convenzione di limitare la tutela dei diritti fondamentali ed in particolare del diritto alla vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU (§ 97) (52). Al riguardo, secondo la Grande Camera, non importa che il legislatore avrebbe potuto adottare una differente soluzione con un più corretto bilanciamento degli interessi rilevanti, poiché è sufficiente che un bilanciamento di tali interessi sia stato effettuato e che il risultato non sia irragionevole (§ 106) (53). sono ritenute sufficienti a vietare una determinata tecnica o a precludere la stessa a determinate categorie di soggetti: in tal senso si riprendono le argomentazioni già formulate dalla sentenza della Grande Camera della Corte, 4 dicembre 2007, Dickson c. UK. (51) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 3 novembre 2011, S.H. e altri c. Austria, in Foro it., 2012, IV, 209 ss., con nota di E. NICOSIA. (52) Sono tre i passaggi argomentativi della Corte che assumono rilevanza anche al fine di valutare la successiva sentenza della Corte costituzionale italiana. In primo luogo, la Corte ha ribadito che l’interesse alla procreazione eterologa è una componente essenziale del diritto alla vita privata e familiare (§ 80 ss.), negando la correttezza (§ 85 ss.) della tesi della Prima Camera, secondo la quale tale interesse sarebbe stato tutelato soltanto in quegli ordinamenti che avessero in linea di principio riconosciuto l’ammissibilità della procreazione artificiale. In secondo luogo la Corte, pur ammettendo la sussistenza di una chiara tendenza nella legislazione degli Stati membri a favore della liceità della fecondazione eterologa, ha negato che l’evoluzione sia decisiva, in quanto, per la sua accentuata dinamicità, non rispecchia principi consolidati (§ 96): per cui, ogni qualvolta emergano questioni etiche e morali, ha riconosciuto un margine particolarmente ampio agli Stati membri di fissare il corretto bilanciamento di interessi (§ 97), ribadendo tuttavia che i motivi basati su considerazioni morali o di accettabilità sociale non sono sufficienti a giustificare il divieto assoluto di una tecnica procreativa, consentendo al più una puntuale regolazione (§ 100). In terzo luogo, sono stati indicati quali motivi siano di natura oggettiva e quali di natura morale o sociale: ma mentre è sicura la natura oggettiva del rischio per la salute della donna donatrice di ovuli, non è chiaro quale sia la rilevanza degli altri interessi richiamati, ad esempio di quelli volti ad evitare una duplicazione della figura materna, alla tutela della dignità umana, alla protezione del benessere del bambino, alla delimitazione del rischio di abusi eugenetici (al riguardo, cfr. i passaggi argomentativi della parte finale del § 104 e della parte centrale del § 113 della sentenza della Grande Camera). (53) In particolare, sulla donazione di ovociti, la Grande Camera ha rilevato che il rischio di selezione eugenetica e i pericoli per la salute e la dignità della donna donatrice sono circoscritti dall’obbligo di ricorrere a medici 1028 Una soluzione diversa ha adottato la citata sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 4 comma 3 e dell’art. 12 comma 1 l. n. 40 del 2004, con cui è stato disposto il divieto di fecondazione eterologa, in quanto in contrasto con gli art. 2, 3, 29, 31 e 32 della Costituzione, restando assorbito il profilo di censura attinente all’art. 117 cost., in coordinato disposto con gli art. 8 e 14 CEDU. Secondo la sentenza, il divieto di fecondazione eterologa, nella sua assolutezza, ha costituito un limite incidente su due differenti diritti della persona umana, costituzionalmente rilevanti: la libertà di autodeterminazione e il diritto alla salute. La scelta di ricorrere alla procreazione eterologa viene, infatti, ricondotta nell’ambito della libertà di autodeterminazione nella vita privata e familiare, seguendo un modello parallelo a quello già accolto dalla Corte di Strasburgo: concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, anche se riguardante una coppia assolutamente sterile, la volontà di avere un figlio attraverso la fecondazione eterologa viene considerata incoercibile e non limitabile da un divieto assoluto, ove non leda altri interessi costituzionalmente tutelati (§ 6). La fecondazione eterologa viene altresì considerata, secondo le valutazioni riservate alla scienza medica, una terapia per le patologie psichiche derivanti dalla sterilità: ne consegue che il divieto, investendo le coppie la cui patologia è più grave, limita il diritto fondamentale alla salute, specializzati e vincolati da un codice etico, nonché dal divieto di commercio dei gameti; la stessa Corte osserva inoltre che la Repubblica austriaca avrebbe potuto assumere ulteriori misure per ridurre i rischi paventati e consentire la donazione di ovociti. Ciononostante, la scelta del divieto, quale misura di contrasto rispetto a tali rischi, non è ritenuta censurabile: anche perché l’altro argomento a sostegno del divieto, la frammentazione della figura materna e la costituzione di una parentela estranea a rapporti di sangue, non è considerato superabile in base all’argomento della Prima Camera — secondo la quale rapporti familiari atipici sono già conosciuti dallo stesso ordinamento austriaco, nel quale è ammessa l’adozione — non essendo il rapporto adottivo assimilabile a quello discendente dalla fecondazione eterologa (§ 105). Alla medesima soluzione, seppure in base ad una valutazione parzialmente diversa, si è pervenuti in relazione al divieto di donazione di sperma funzionale alla fecondazione in vitro, che pure appare essere fondato soltanto su motivazioni di ordine morale o sociale: secondo la Grande Camera, infatti, tale divieto costituisce uno dei risultati di un complessivo bilanciamento di interessi che ha prodotto una più ampia regolamentazione della materia, essendo consentiti dalla legge, in quanto pratiche che trovano ampia accettazione nel tessuto sociale austriaco, sia la fecondazione eterologa in vivo, sia il riconoscimento dei rapporti di parentela ogni qualvolta la fecondazione eterologa venga effettuata all’estero (§ 113 s.). Procreazione assistita (dir. civ.) occorrendo perciò che sia giustificato dalla tutela d’interessi di pari rango (§ 7). Riconosciuto che il divieto limita diritti costituzionalmente rilevanti, la sentenza ha rilevato l’irrazionalità del bilanciamento d’interessi effettuato dal legislatore italiano. Per un verso, ha negato — « alla luce delle notorie risultanze della scienza medica » — che sussistano rischi per la salute dei donanti e dei donatari, eccedenti la normale alea insita in qualsiasi pratica terapeutica, purché l’intervento sia eseguito all’interno di strutture autorizzate e controllate e in applicazione dei protocolli medici (§ 9). Per altro verso, ha costatato che il diritto del nato da procreazione eterologa alla certezza del rapporto genitoriale e alla conoscenza delle proprie origini è altrimenti garantito dall’ordinamento: garanzia che discende direttamente dalle regole sui rapporti genitoriali con la coppia che ha espresso il consenso alla procreazione assistita e dalla negazione di rapporti con il donatore (art. 8 e 9 l. n. 40 del 2004) (§ 11), nonché, seppure indirettamente, dalle regole e dalla giurisprudenza in materia di adozione, applicabile in via analogica per consentire in particolari circostanze l’accesso ai dati del donatore (§ 12). Particolarmente impegnativo, infine, è stato lo sforzo della sentenza di negare rilevanza al « vuoto normativo » che sarebbe determinato dalla dichiarazione d’incostituzionalità del divieto: rilevanza che è stata respinta in quanto, ove ricorra una violazione di diritti fondamentali, non sarebbe comunque giustificabile il mantenimento della norma incostituzionale per l’inerzia del legislatore, sussistendo piuttosto un dovere-potere della Corte di dichiararne l’illegittimità, restando al legislatore il compito di eliminare le eventuali lacune. Ma nella sentenza si è addirittura negata la sussistenza stessa delle lacune, assumendo: che valgono « in via diretta » le regole poste dalla l. n. 40 del 2004, sia per i requisiti soggettivi, sia per la disciplina del consenso e del trattamento (§ 11); che si applica alla donazione dei gameti, quantomeno in via analogica, la disciplina del d. lg. 6 novembre 2007, n. 191, in materia di donazione di tessuti e cellule umane, nella parte in cui regola la gratuità e la volontarietà della donazione, le modalità del consenso, l’anonimato del donatore, la tutela sanitaria, ecc. (§ 12); che si possa rimettere a un aggiornamento delle Linee guida la determinazione del numero massimo di donazioni (§ 12). La pronunzia della Corte costituzionale appare complessivamente condivisibile, poiché si pone in stretta continuità con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, pur pervenendo a una solu- zione di segno opposto (54): soluzione che si giustifica non solo per la diversità di ruolo delle due Corti, ma per la consapevole valutazione della divergenza delle fattispecie sottoposte al loro giudizio (55). Va ricordato, infatti, che la Grande Camera aveva rilevato che il divieto assoluto della fecondazione eterologa potesse essere giustificato solo da interessi di tipo oggettivo (quali il rischio per la salute delle donatrici), ritenendo che interessi di tipo soggettivo o convinzioni etico morali, potevano consentire, a condizione che fossero largamente condivisi nella società interessata, soltanto una regolazione della pratica. Non discostandosi da tale impianto argomentativo, la sentenza della Corte costituzionale ha messo in luce che, a differenza di quanto previsto da quello austriaco, nell’ordinamento italiano il divieto di fecondazione eterologa si configura quale divieto assoluto, giustificabile solo ove ritenuto l’unico mezzo di tutela di altri interessi di rango costituzionale (§ 6). Neanche in sede di bilanciamento d’interessi, si può ravvisare discontinuità tra le argomentazioni delle Corti: la Corte europea, infatti, attribuendo rilevanza all’interesse alla tutela della salute delle donatrici, ha ammesso che siffatta valutazione, condotta per il tempo in cui le coppie austriache intendevano accedere alla pratica, restava soggetta all’evoluzione della scienza medica; mentre la Corte nazionale ha escluso che l’interesse alla salute delle donatrici costituisca una ragione ostativa alla fecondazione eterologa, assumendo che i rischi non debbano essere considerati elevati alla luce delle notorie risultanze della scienza medica. Avendo la Corte di Strasburgo riconosciuto che l’interesse della coppia alla procreazione eterologa fosse riconducibile al diritto alla vita privata (54) Avevamo argomentato la possibilità di una pronunzia d’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, pur coerente con le argomentazioni della Grande Camera, in U. SALANITRO, Il dialogo tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale in materia di fecondazione eterologa, in N. giur. civ., 2012, II, 636 ss. (55) In effetti, la Corte costituzionale, omettendo di valutare la conformità del divieto con l’art. 117 cost., ha potuto esprimere le proprie argomentazioni senza metterle a confronto con quelle della Grande Camera: in tal modo ha seguito un percorso apparentemente più lineare, perché non ha dovuto sostenere sino in fondo lo sforzo di spiegare la diversità degli esiti. Tuttavia, il dialogo tacito con la Corte di Strasburgo emerge chiaramente, come si mostrerà nel testo, e consente di giustificare una soluzione che altrimenti, in base ai soli parametri interni, potrebbe esporsi a rilievi di arbitrarietà, denunziati in particolare da C. CASTRONOVO, Fecondazione eterologa: il passo (falso) della Corte costituzionale, in Eur. dir. priv., 2014, 1117 ss. 1029 Procreazione assistita (dir. civ.) e familiare, al pari dell’interesse alla procreazione omologa, la Corte costituzionale non ha avuto altra scelta che far propria, e giustificare con i parametri interni, questa valutazione: per cui il nostro Giudice ha concentrato la riflessione sulla verifica della sussistenza d’interessi contrapposti di tipo oggettivo. Al riguardo, è stata esclusa la rilevanza di quelli concernenti il diritto del minore alla ricerca delle proprie origini e alla certezza dell’identità familiare, in quanto, come già rilevato, la Corte ha ritenuto che tali interessi trovino già tutela nella disciplina degli art. 8 e 9 l. n. 40 del 2004 e nell’applicazione analogica delle regole in materia di adozione sull’accesso ai dati genetici. Venuto meno il divieto, la fecondazione eterologa è stata oggetto di successivi interventi regolativi, che hanno consentito l’immediata applicazione della tecnica (56). In primo luogo, la Conferenza delle Regioni ha approvato il 4 settembre 2014 un documento programmatico rivolto a regolare la pratica della fecondazione assistita nei centri autorizzati, attraverso successivi provvedimenti regionali (57). Il documento, accanto a norme tecniche volte a garantire la qualità sanitaria dei gameti, selezionando i donatori, ha posto alcune regole di portata più impegnativa: è stato sancito che con le cellule riproduttive di ciascun donatore non si può, salvo casi eccezionali, determinare più di dieci nascite; è stato altresì previsto che, fermo il divieto di selezione eugenetica e di scelta delle caratteristiche fenotipiche dell’embrione, la struttura sanitaria « deve ragionevolmente assicurare la compatibilità delle principali caratteristiche fenotipiche del donatore con la coppia ricevente »; è stato infine disposto l’anonimato del donatore, non superabile per alcuna ragione né della coppia ricevente, né dal nato, consentendo soltanto, attraverso la tracciabilità della donazione, l’accesso ai dati sanitari da parte del personale medico. Le scelte della Conferenza delle Regioni sembrano avere trovato un primo riscontro normativo nella cosiddetta legge di stabilità 2015, che ha istituito un registro nazionale, funzionale a garantire la tracciabilità dei gameti, assicurando l’anonimato dei donatori, e il conteggio delle nascite derivanti dai gameti di ogni singolo donatore (art. 1 comma 298 l. 23 dicembre 2014, n. 190). (56) Ammette l’immediata applicazione della tecnica di fecondazione eterologa sulla base della dichiarazione di incostituzionalità del divieto, Trib. Bologna 14 agosto 2014, in Foro it., 2014, I, 2934 ss., con nota di G. CASABURI. (57) Il documento è pubblicato in Dir. fam. pers., 2014, 1728 ss. 1030 La legittimità della fecondazione eterologa è stata infine riconosciuta dalle Linee guida vigenti, approvate il 1° luglio 2015, dove si è confermato il divieto per le coppie di scegliere particolari caratteristiche fenotipiche del donatore, rinviando alla direttiva della Commissione europea 8 febbraio 2006, n. 2006/17/CE (e ai successivi recepimenti e aggiornamenti) per le regole sugli screening per patologie infettive. 8. I limiti di accesso per le coppie fertili. — L’inquadramento della procreazione medicalmente assistita tra gli interventi terapeutici per la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti da sterilità o infertilità della coppia ha avuto la funzione di circoscrivere l’accesso alle tecniche, impedendolo alle coppie fertili, anche se portatrici di malattie trasmissibili ai figli (58): al riguardo va rilevato che la regola è stata formulata in positivo, evitando di disporre un divieto, ponendo piuttosto in risalto la finalità del ricorso alla procreazione assistita (art. 1) e richiedendo una documentazione medica delle condizioni di sterilità o d’infertilità della coppia (59). Individuato il fondamento del limite normativo nell’interesse a evitare il rischio di sistematicità della selezione embrionaria, ne discende l’ammissibilità di un’interpretazione della disciplina, volta a comprendere nella nozione d’infertilità quelle malattie, di tipo infettivo, che ostacolano la procreazione perché rendono pericoloso il rapporto sessuale (60). Tale interpretazione è stata testualmente accolta in sede di Linee guida sin dal 2008, con riferimento alle malattie virali da HIV, HBV o HCV, ma si può reputare che in base al medesimo criterio si possa estendere, in via inter(58) In tal senso, tra gli altri: G. BALDINI, Libertà procreativa e fecondazione artificiale. Riflessioni a margine delle prime applicazioni giurisprudenziali, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2006, 77 ss.; D. CARUSI, Non solo procreazione assistita: il principio di pari dignità e la costituzione minacciata, in Pol. dir., 2007, 419 s. (59) In riferimento alla documentazione medica, va precisato che, allo stato delle conoscenze mediche, non è sempre individuabile la causa di sterilità o di infertilità: pertanto al fine di procedere alla procreazione medicalmente assistita si distingue l’ipotesi in cui la causa ostativa sia stata accertata, nella quale occorre una certificazione con atto medico, dall’ipotesi in cui la patologia resta inspiegata, nella quale è sufficiente che l’atto medico documenti l’epifenomeno (art. 4 comma 1). Nelle Linee guida si definisce sterilità (o infertilità), oltre ai casi di patologia riconosciuta, l’assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali non protetti in coppia eterosessuale: definizione che sembra rinviare, più che a un accertamento medico, alla responsabilità della coppia. (60) In senso diverso G. DI ROSA, Dai principi alle regole. Appunti di biodiritto, Torino, Giappichelli, 2013, 92. Procreazione assistita (dir. civ.) pretativa, l’ammissione alla procreazione assistita di altre coppie nelle quali uno dei partner è affetto da altre malattie trasmissibili alla prole. L’individuazione di un interesse meritevole, che si ponga a giustificazione del limite all’accesso, non appare risolutiva, perché occorre verificare se sia congruo il bilanciamento costituzionale degli interessi in conflitto (61). Il limite legislativo è stato considerato in contrasto con il diritto alla vita privata e familiare riconosciuto dall’art. 8 CEDU dalla sentenza della Corte di Strasburgo del 28 agosto 2012 (62), secondo la quale la richiesta della coppia fertile di accedere alla procreazione assistita non può essere respinta, in quanto l’opposta soluzione sarebbe incoerente con la regola, posta dall’ordinamento italiano, che consente alle donne di interrompere la gravidanza ogni qualvolta il figlio è affetto da una malattia genetica: al riguardo, va rilevato che il Giudice europeo ha ritenuto che la disciplina nazionale, non consentendo l’accesso alla procreazione assistita delle coppie fertili, non era proporzionata agli obiettivi che l’ordinamento italiano si sarebbe prefisso (rischio di derive eugenetiche, tutela dell’embrione, lesione della dignità e della libertà di coscienza delle professioni mediche) nella misura in cui il raggiungimento di tali obiettivi sarebbe comunque frustrato dalla possibilità di ricorrere legittimamente, previa diagnosi prenatale, ad interventi di interruzione di gravidanza. Successivamente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 96 del 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni della l. n. 40 del 2004 nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6 comma 1 lett. b l. 22 maggio 1978, n. 194 sull’interruzione di gravidanza, accertate da apposite strutture pubbliche. La decisione, pur essendo fondata sulla violazione degli art. 3 e 32 cost. — restando assorbita la violazione dell’art. 117 cost. — ripercorre in primo luogo lo schema della sentenza della Corte (61) Dubitano della costituzionalità del divieto all’accesso delle coppie portatrici di malattie genetiche, anche alla luce dell’eventuale ammissibilità della diagnosi preimpianto per le coppie sterili: MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 273 s.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 60 ss., 200 s.; MASTROPIETRO, Procreazione assistita, cit., 1389 ss.; BALDINI, Libertà procreativa, cit., 81. Sostiene che la soluzione sarebbe in contrasto con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, CAMPIGLIO, Procreazione assistita, cit., 534 ss. (62) Costa e Pavan c. Italia, cit. di Strasburgo, sottolineando l’antinomia tra la regola che non consente l’accesso alla procreazione assistita delle coppie fertili affette da gravi patologie trasmissibili e la norma che autorizza le stesse coppie a perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui esse sono portatrici attraverso l’interruzione di gravidanza, anche reiterata, ogni qualvolta dalle indagini prenatali si accertino anomalie o malformazioni del feto che determinano un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna. Nel successivo passaggio argomentativo, la Consulta si distacca invece dalle argomentazioni del Giudice europeo, rilevando che la norma censurata sarebbe altresì illegittima poiché non consente alla donna di acquisire un’informazione sulla salute dell’embrione che le permetterebbe di evitare di assumere successivamente una decisione, quella abortiva, ben più pregiudizievole per la sua salute: l’attenzione viene perciò spostata dalla lesione del diritto alla vita privata e familiare (valorizzato dalla Corte di Strasburgo) alla violazione del diritto alla salute della donna, la quale non sarebbe bilanciata dall’esigenza di tutela del nascituro, poiché questi resterebbe comunque esposto all’aborto. Nell’ultimo passaggio argomentativo, il Giudice costituzionale — nel riaffermare il dovere di accertare l’illegittimità delle disposizioni che si pongono in contrasto con i parametri costituzionali, anche ove si determinino lacune — ha deciso che l’accesso alla procreazione assistita debba essere consentito soltanto alle coppie che presentino patologie trasmissibili che, se riscontrate sul nascituro, avrebbero reso lecita l’interruzione di gravidanza anche dopo i novanta giorni di gestazione, rinviando alla discrezionalità del legislatore per l’« auspicabile individuazione » (con aggiornamenti periodici) di siffatte patologie, delle correlative procedure di accertamento e delle forme di autorizzazione e controllo delle strutture abilitate. La sentenza della Consulta, per quanto condivisibile nella soluzione, può essere sottoposta a critiche da diversi versanti (v., in altra prospettiva, FAMIGLIA: BIOETICA E DIRITTO). Da un lato, la prima argomentazione della Corte, al pari di quella della sentenza europea, non convince perché, nel nostro ordinamento, neanche la disciplina dell’interruzione di gravidanza può essere considerata funzionale alla selezione dei nascituri, perché espressamente posta esclusiva- 1031 Procreazione assistita (dir. civ.) mente a tutela della salute della donna (63). Critica che può essere respinta, se si assume che entrambe le Corti hanno adottato un approccio rivolto non tanto all’esame delle astratte finalità delle discipline sottoposte a valutazione, quanto piuttosto del loro funzionamento concreto, per cui non rileva la circostanza che la disciplina dell’interruzione di gravidanza non sia finalizzata alla selezione dei malati, quanto piuttosto che non si possa escludere che essa sia strutturata in modo tale da consentire legittimamente alla coppia portatrice di malattie genetiche l’utilizzo selettivo, per quanto strumentale, dell’aborto terapeutico. Dall’altro lato, va invece evidenziato che in questa sentenza la Consulta sembra abbandonare l’impostazione più avanzata che aveva caratterizzato la decisione sulla fecondazione eterologa, fondata sul diritto all’autodeterminazione procreativa e sulla configurazione della procreazione assistita quale terapia per la salute psichica della coppia, preferendo arretrare sul collaudato schema della contrapposizione tra diritto alla salute della donna e diritto alla vita dell’embrione. Sullo stesso versante, va messo in dubbio che la soluzione adottata sia convincente, se si prende sul serio la comparazione tra interruzione di gravidanza e procreazione assistita. Sarebbe stato in linea con la ratio decidendi della sentenza della Corte di Strasburgo, la quale fonda la propria decisione sull’incongruenza tra limiti alla procreazione assistita e libertà di accesso alla diagnosi prenatale, l’accoglimento di un criterio flessibile, tale da consentire l’accesso a tutte le donne che sarebbero state ammesse alla diagnosi prenatale: non solo quindi le coppie affette da patologie trasmissibili, ma tutte le coppie che, al fine di essere rassicurate sulla salute dell’embrione, potessero sottoporsi a test prenatali. È possibile che la Consulta abbia evitato tale soluzione in quanto avrebbe prodotto l’effetto di una sostanziale liberalizzazione della procreazione assistita, che sarebbe in tal modo consentita anche alle coppie fertili che non presentino un rilevante grado di rischio di essere portatrici di malattie genetiche invalidanti: ma la liberalizzazione non avrebbe comportato, se adeguatamente gestita, il rischio che la procreazione assistita potesse essere utilizzata quale strumento eugenetico positivo (64) in quanto, in ogni caso, il diritto di informazione dei (63) Cfr., tra altri, DI ROSA, Dai principi alle regole, cit., 87. (64) Rischio messo in rilievo da G. FERRANDO, La riscrittura costituzionale e giurisprudenziale della legge sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2011, 519, la quale non 1032 genitori sulle caratteristiche genetiche sarebbe rimasto limitato, dal disposto normativo, ai soli profili attinenti alla salute dell’embrione (ex art. 14 comma 5 l. n. 40 del 2004). L’adozione dell’opzione più liberale, d’altra parte, si sarebbe potuta difendere rilevando che la soluzione accolta, apparentemente più ragionevole, è in realtà in contrasto con i principi di gradualità e di proporzionalità, richiamati dalla Corte di Strasburgo, in quanto finisce per produrre il paradossale risultato di proteggere l’embrione più di quanto l’ordinamento tuteli il feto. Va poi osservato che la sentenza introduce un limite rigoroso nella misura in cui impone che le gravi malattie geneticamente trasmissibili che consentono l’accesso alla procreazione assistita siano previamente verificate da apposite strutture pubbliche: occorre pertanto chiedersi chi sia competente ad individuare tali strutture in via amministrativa e se, in caso di omissione, il giudice possa e in che termini sostituirsi all’autorità amministrativa (65). Sulla questione dell’applicabilità della procreazione assistita alle coppie fertili mancano indicazioni nelle Linee guida del 1° luglio 2015 (ed ancora in vigore) (66), le quali sono state emanate senza tenere conto né della sentenza della Corte costituzionale pubblicata qualche settimana prima, né della giurisprudenza della Corte di Strasburgo: scelta a dir poco singolare, che appare in linea con il tentativo di restringere l’ambito di applicazione della diagnosi genetica preimpianto e del conseguente diritto della donna di rifiutare l’impianto degli embrioni malati. La disciplina a tutela del diritto delle coppie fertili di accedere alla procreazione assistita è stata infine adeguata, anche sotto il profilo penale, con la sentenza della Corte costituzionale n. 229 del 2015, che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che vietava la condotta selettiva del sanitario se volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell’utero di embrioni afflitti da malattie prende neanche in esame la possibilità che si acceda alla soluzione auspicata nel testo. (65) Al riguardo, v. Trib. Milano 18 aprile 2017, in Foro it., 2018, I, 1779 ss., con nota di G. CASABURI, secondo la quale qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell’obiettiva impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, dispone che sia erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie. (66) Nonostante l’art. 7 comma 3 l. n. 40 del 2004 preveda che le Linee guida siano aggiornate periodicamente, almeno ogni tre anni, non risultano al momento iniziative volte ad aggiornare le (ultime) Linee guida emanate nel 2015. Procreazione assistita (dir. civ.) genetiche accertate da apposite strutture pubbliche. L’intervento appare coerente con l’idea che l’accesso alle coppie fertili abbia consentito l’applicazione della procreazione assistita quale tecnica sistematica di selezione embrionaria, richiedendo pertanto un intervento correttivo anche della norma penale che vieta la selezione eugenetica. 9. I requisiti soggettivi. — La disciplina sulla fecondazione assistita riconosce il diritto ad accedere all’esperienza procreativa alle persone sterili alle medesime condizioni consentite alle persone fertili dalla procreazione naturale (67): la coppia deve essere pertanto di sesso diverso, in età potenzialmente fertile ed entrambi i soggetti devono essere viventi al momento della fecondazione. Gli altri requisiti — che la coppia sia coniugata o convivente e che entrambi i partner siano maggiorenni — corrispondono piuttosto all’esigenza, a tutela sia dei figli, sia degli stessi partner, di escludere dall’accesso alle pratiche assistite chi non abbia una piena maturità psicofisica e non intenda impegnarsi in un progetto di vita in comune nell’interesse del figlio. I requisiti soggettivi costituiscono il presupposto per l’accesso alla pratica e devono sussistere in ogni fase della terapia sino alla fecondazione (68): si pone pertanto il problema, di rilevanza generale, se dopo che l’embrione sia stato fecondato possa essere consentito l’impianto in assenza degli stessi. La risposta è certamente positiva nel caso in cui i requisiti sussistessero al momento della fecondazione: non sembra vi siano ostacoli all’impianto, anche se il partner sia nel frattempo morto, non sia più in età potenzialmente fertile, abbia cambiato sesso ovvero la coppia abbia divorziato o non sia più convivente (69). Le istanze di tutela dell’embrione fecondato, considerato soggetto di diritto (art. 1), e la carenza di un apparato sanzionatorio specifico appaiono ragioni sufficienti per ammet(67) Fortemente critica verso l’impostazione normativa è MARELLA, Esercizi di biopolitica, cit., 3 ss. (68) Un problema delicato che si pone è se il medico debba accertare la sussistenza dei requisiti solo al momento del consenso o (anche) prima dell’applicazione della tecnica: la soluzione più rigorosa, conforme al dato letterale e alla funzione della norma, si presenta problematica nella concreta applicazione, anche alla luce della gravità delle sanzioni amministrative previste nei confronti del medico e della struttura sanitaria. (69) In tal senso B. CHECCHINI, Accertamento e attribuzione della paternità, Padova, Cedam, 2008, 237 ss.; dubita della soluzione prospettata nel testo, per ragioni di opportunità, CORTI, La procreazione assistita, cit., 547 s. tere l’accesso all’impianto e la successiva applicazione della disciplina della filiazione (70). Vigente il divieto di fecondazione eterologa, non sarebbe stato necessario limitare l’accesso della donna singola alle pratiche di fecondazione; va comunque osservato che, una volta ammessa la fecondazione eterologa, il limite per la donna sola, accolto da una parte degli ordinamenti europei, resta comunque congruo con l’interesse generale di riconoscere a colui che nasce da procreazione assistita le medesime opportunità di chi è stato concepito naturalmente, sia con riferimento al diritto di essere mantenuto, educato ed istruito, sia in relazione ai diritti successori (71). La medesima finalità — di tutela del nascituro al diritto alla doppia genitorialità potenziale — è alla base del divieto di fecondazione post mortem: ne deriva che se la struttura sanitaria fosse a conoscenza del decesso dell’uomo che ha fornito i gameti, anche dopo l’espressione del consenso, dovrebbe sospendere il trattamento fecondativo. Una volta avvenuta la fecondazione, il decesso dell’uomo che ha espresso il consenso non consente alla struttura sanitaria di rifiutare l’impianto nell’utero della donna dell’embrione in vitro (72): (70) In tal senso, tra gli altri, v.: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 186 ss.; GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 198; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1063; DI ROSA, Dai principi alle regole, cit., 46 s. (71) Pertanto, una diversa soluzione non solo sarebbe stata incongrua con la disciplina ordinaria dell’adozione, ma avrebbe anche posto dubbi di conformità costituzionale in relazione ai commi 1 e 4 dell’art. 30 cost.: favorevole alla soluzione legislativa SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 46 ss. Criticano invece la scelta normativa, sollevando dubbi di costituzionalità: FERRANDO, La nuova legge in materia di procreazione medicalmente assistita, cit., 814 s.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 504; MARELLA, op. cit., 3 ss.; S. RODOTÀ, Perché laico, Roma-Bari, Laterza, 2010, 80 s. Ma nel senso della legittimità costituzionale della disciplina: MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 278 ss.; VIOLINI, Tra scienza e diritto, cit., 470. (72) Nello stesso senso: G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 22; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 179 ss.; SESTA, La filiazione, cit., 360 s.; T. AULETTA, Luci, ombre, silenzi nella disciplina di costituzione del rapporto genitoriale nella fecondazione assistita, in Ann. Catania, V, 2005, 495; CORTI, op. cit., 512; A. D’ALOIA e P. TORRETTA, La procreazione come diritto della persona, in Trattato di biodiritto diretto da S. RODOTÀ e P. ZATTI, Il governo del corpo, II, Milano, Giuffrè, 2011, 1341 ss., 1353. In giurisprudenza, Trib. Lecce 24 giugno 2019, in Giustiziacivile.com, 10 dicembre 2019, con nota di D. GIUNCHEDI; Trib. Bologna 25 agosto 2018, in Foro it., 2019, I, 1430 ss.; TAR Lazio 21 gennaio 2008, n. 398, cit. In senso opposto era la regola nel testo unificato Bolognesi, dove — all’art. 14 comma 1 lett. c — si vietava anche il trasferimento in utero dell’embrione dopo la morte di uno dei componenti della coppia. La 1033 Procreazione assistita (dir. civ.) ne derivano complessi problemi in relazione allo status del figlio, soprattutto nell’ipotesi in cui l’impianto non avvenga immediatamente (anche per le presumibili condizioni psicofisiche della donna dopo il lutto). Il venir meno del divieto di fecondazione eterologa ha ampliato la rilevanza del limite alle coppie in cui almeno uno dei partner non sia più in età potenzialmente fertile, il quale non riguarda più soltanto il caso in cui i gameti siano stati crioconservati quando il partner non era sterile (73): adesso tale limite pone un ostacolo all’accesso di tali coppie alla procreazione assistita di tipo eterologo, ostacolo che va giustificato con l’interesse del figlio ad essere procreato da genitori che siano astrattamente in grado di assolvere alla propria responsabilità genitoriale. La norma non indica un’età a partire dalla quale non sarebbe ammesso l’accesso alla procreazione, rimettendo la valutazione alla discrezionalità tecnica del medico: conseguentemente, al fine di evitare che tale valutazione non sia esercitata con la dovuta serenità, si è escluso che la violazione della norma fosse soggetta a sanzione. La regola è riferita alla fase della fecondazione: una volta fecondato l’embrione, se non impiantato subito, la coppia non dovrebbe avere specifici limiti temporali per l’accesso all’impianto e alla successiva gravidanza (74), a meno che il medico non opponga motivi di ordine sanitario (ex art. 6 comma 4 l. n. 40 del 2004). Nella misura in cui è venuto a cadere il divieto di fecondazione eterologa per le coppie di sesso diverso, si pone il problema se non sia discriminatorio mantenere il divieto di accesso alla tecnica per le coppie dello stesso sesso. Secondo la giurisprudenza europea, infatti, non è ammissibile una discriminazione fondata sugli orientamenti sessuali (75) e tale argomento ha assunto una rilevanza specifica nella misura in soluzione negativa, che non consentiva l’impianto, ha trovato accoglimento in Trib. Bologna 21 maggio 2014, in Foro it., 2014, I, 2935 ss., con nota di G. CASABURI, in un caso in cui la donna ha chiesto l’impianto sedici anni dopo la morte del coniuge; anche in Trib. Roma 19 novembre 2018, ivi, 2019, I, 692 ss., per un caso in cui erano addotte a fondamento della richiesta di impianto dichiarazioni dell’uomo non univoche e non espresse ai sensi della disciplina vigente (trattavasi di una delega e di una disposizione testamentaria). (73) C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 105 ss. (74) Dubita di tale soluzione VILLANI, Procreazione assistita, cit., 291. (75) Il richiamo alla giurisprudenza europea non poteva essere considerato risolutivo sino a che riguardava ordinamenti che consentono di instaurare un rapporto genitoriale (mediante l’adozione) anche al singolo e in cui la questione verteva sulla rilevanza discriminatoria del diniego alla richiesta di adozione da parte di una singola persona omosessuale: 1034 cui la Corte di Strasburgo ha reputato non solo — come è ormai consolidato — che il diritto alla procreazione artificiale rientri nella sfera di rispetto della vita familiare, ma anche che la coppia omosessuale sia titolare del diritto alla vita familiare al pari della coppia eterosessuale (76). Ne discende che nella misura in cui alla coppia convivente eterosessuale è riconosciuto il diritto ad accedere alla procreazione assistita, non vi dovrebbero essere ostacoli ad ammettere che tale diritto sia attribuito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo — e conseguentemente dalla Carta costituzionale — anche alla coppia omosessuale (77): in tal senso depone in maniera chiara la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di adozione speciale del partner del genitore, la quale ha considerato discriminatorio il divieto di adozione del convivente omosessuale in quegli ordinamenti che ammettono l’adozione del convivente (ancorché non coniugato) di sesso diverso dal genitore (78). Istanze non raccolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 221 del 2019, che ha dichiarato la legittimità del divieto di accesso alle tecniche per la coppia dello stesso sesso (79). La Corte ha negato che le regole in tema di adozione — e in particolare l’estensione dell’adozione ai casi particolari alle coppie omosessuali — possano assuC. eur. dir. uomo, Grande Camera, 22 gennaio 2008, E.B. c. Francia, ricorso n. 43546/02. (76) C. eur. dir. uomo, sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria, ricorso n. 30141/04, § 92-95. (77) Cfr. M. SEGNI, Matrimonio omosessuale: novità dall’Europa, in Fam. dir., 2014, 673 ss., 676 ss. (78) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria, ricorso n. 19010/07; C. eur. dir. uomo 16 gennaio 2018, Nedescu c. Romania, ricorso n. 70035/10. (79) C. cost. 23 ottobre 2019, n. 221, cit., 3782 ss., per la quale l’impostazione normativa è strutturata su due idee fondanti: in primo luogo, la procreazione assistita ha una funzione terapeutica, per cui non rappresenta una tecnica alternativa rispetto al desiderio di genitorialità; in secondo luogo, l’accesso alla procreazione assistita deve riprodurre la famiglia ad instar naturae quale luogo astrattamente idoneo per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. I precedenti della Corte costituzionale — nella misura in cui predicano l’estensione dell’accesso alle tecniche alle coppie portatrici di malattie genetiche e la possibilità, per le coppie che non abbiano altra scelta, di fare ricorso alla fecondazione eterologa — non si discosterebbero da questi assi fondamentali, in quanto si limiterebbero a valorizzare la funzione terapeutica della procreazione assistita, mantenendo fermo il requisito dell’accesso alla famiglia ad instar naturae. Mentre ammettere l’accesso alle coppie same-sex « esigerebbe la diretta sconfessione, sul piano della tenuta costituzionale », proprio di tali principi guida, « con potenziali effetti di ricaduta sull’intera platea delle ulteriori posizioni soggettive attualmente escluse dalle pratiche riproduttive ». Procreazione assistita (dir. civ.) mere alcun rilievo rispetto all’accesso delle coppie omosessuali alla procreazione assistita (80), smentendo il precedente accostamento utilizzato dalla Corte di Strasburgo nelle sue aperture alla fecondazione eterologa, che era in qualche modo fatto proprio dal precedente n. 162 del 2014 della Corte costituzionale. L’esigenza di maturità che deve stare alla base della delicata scelta di accedere alla fecondazione artificiale costituisce il fondamento della norma che prescrive il raggiungimento della maggiore età per entrambi i partner della coppia. Non si ravvisano ragioni per consentire, in contrasto con il dato letterale, l’accesso alla tecnica della coppia, coniugata, in cui uno dei soggetti è un minore emancipato (81): le ragioni specifiche che consentono l’estensione della capacità al minore in questa ipotesi, normalmente connesse alla responsabilità genitoriale, non si riflettono sulle diverse motivazioni intese a rafforzare la consapevolezza e la maturità dell’accesso alla procreazione assistita (82). La soluzione, per altro verso, appare coerente con l’intento normativo di indirizzare le aspirazioni genitoriali verso la disciplina dell’adozione, preclusa al minorenne in virtù del disposto dell’art. 6 comma 3 l. 4 maggio 1983, n. 184. Di portata innovativa è la regola che consente l’accesso alla procreazione assistita, oltre alle cop(80) La disciplina dell’adozione, infatti, è posta nell’interesse del minore a soddisfare il bisogno di essere accolto in una famiglia ed è, comunque, sottoposta a una valutazione di idoneità in concreto: valutazione in concreto che occorre anche nel caso di adozione in casi particolari, dove i requisiti in astratto per la costituzione del rapporto adottivo sono meno rigorosi rispetto all’adozione ordinaria. La procreazione assistita, invece, è volta a realizzare le aspirazioni genitoriali, dando un figlio a chi non lo ha: per cui si considera ammissibile, nella prospettiva del relatore, che il legislatore si preoccupi di garantire al bambino non ancora nato (rectius, non ancora concepito) quelle che, secondo le sue valutazioni e alla luce degli apprezzamenti della comunità sociale, appaiono le migliori condizioni di partenza, almeno in astratto. In un ordinamento come quello italiano, che ammette l’accesso alla procreazione assistita per le coppie conviventi di sesso diverso, persistono tuttavia ragionevoli perplessità sulla persuasività delle giustificazioni, che appaiono essere sostanzialmente di ordine etico e morale, del divieto di accesso nei confronti di coppie dello stesso sesso, anche ove si ammettano ampi margini di apprezzamento agli ordinamenti nazionali. (81) Nello stesso senso: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 103 ss.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 505 s. In senso diverso VILLANI, La procreazione assistita, cit., 70 s. (82) Sul punto v. FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1061; CASSANI e SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 3700 s. Ma cfr. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 197, per il quale la scelta sarebbe piuttosto coerente con il principio di gradualità. pie unite in matrimonio, anche alle coppie conviventi (v. CONVIVENZA E CONTRATTO DI CONVIVENZA): in una disciplina caratterizzata dal rigore delle limitazioni di principio, l’apertura alle coppie conviventi risultava essere per taluni versi sorprendente, anche perché in contrasto con la diversa scelta compiuta in materia di adozione (ed in controtendenza al dichiarato intento normativo di favorire tale istituto rispetto alla procreazione assistita) (83). La norma — riconoscendo alla coppia convivente un diritto paritario rispetto alla coppia coniugata in circostanze in cui tale parificazione non era sollecitata da specifiche ragioni di fatto — è sembrato che si ponesse su una linea particolarmente avanzata dell’incerto processo di riconoscimento di modelli familiari alternativi a quello coniugale, assumendo una rilevanza innovativa anche sul piano sistematico (84). Proprio perché parificata con la coppia coniugata, si è ritenuto che la coppia convivente debba essere caratterizzata dal requisito della stabilità (85), sostenendo che tale requisito non sarebbe stato inserito nel testo normativo soltanto perché non si intendeva sollecitare l’adozione diffusa di strumenti di controllo della stabilità della coppia (cosiddetti registri delle coppie conviventi) (86): argomento non probante, soprattutto se si considera che nel nostro ordinamento è già richiesta ad altri fini la dimostrazione della continuità e della stabilità della convivenza per periodi determinati e che nel caso in specie si sarebbe potuto estendere il contenuto dell’autocertificazione, prevista per dimostrare i requisiti soggettivi dal comma 3 dell’art. 12 della legge de qua. Si deve piuttosto ammettere — anche se tale soluzione riduce la portata sistematica dell’innovazione (87) — che, nel caso in specie, il requisito della convivenza esprima, non tanto una volontà normativa intesa a richiedere la sussistenza di un (83) Cfr. C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 96 ss.; M. COSTANTINO, L’identità del bambino e del concepito. Voglie individuali di anonimato e di rifiuto, in Riv. dir. civ., 2008, 767 ss. (84) Cfr. M. SEGNI, Conviventi e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2007, 7 ss.; F. PROSPERI, La famiglia nell’ordinamento giuridico, in Dir. fam., 2008, 790 ss. (85) Così GAZZONI, op. cit., 197; FACCIOLI, op. ult. cit., 1062 s.; SEGNI, op. ult. cit., 10 ss. Il requisito della stabilità della convivenza era espressamente richiesto dall’art. 5 del testo unificato Bolognesi ed è tuttora rilevante per il codice di deontologia medica. (86) SEGNI, op. ult. cit., 10 s. (87) Cfr. CARUSI, Non solo procreazione assistita, cit., 419, per il quale la mancanza del requisito della stabilità « non è spiegabile se non nella chiave di un involuto e anche schizofrenico atteggiamento di nostalgia per la centralità della famiglia fondata sul matrimonio ». 1035 Procreazione assistita (dir. civ.) ambiente familiare potenzialmente idoneo alla crescita del nascituro, quanto piuttosto la necessità di una duplice assunzione di responsabilità genitoriale che traspaia dalla dichiarazione di un progetto di vita in comune (88): una diversa soluzione, volta ad integrare il silenzio del legislatore con ulteriori requisiti non specificamente delimitati, renderebbe impraticabile l’esercizio del diritto di autocertificazione, pur espressamente riconosciuto, con ingiustificabili rischi per la coppia di subire sanzioni anche penali. In questa prospettiva si giustifica anche il fatto che il dato normativo non attribuisca alcuna rilevanza alla circostanza che la coppia coniugata sia separata al momento dell’espressione del consenso o si separi in un momento successivo, anche prima della fecondazione (89): in un modello normativo che non si preoccupa di qualificare la situazione di convivenza, non appare fondata, a fronte della duplice assunzione di responsabilità genitoriale e della relativa infrequenza della fattispecie di una coppia separata che acceda alla procreazione assistita, un’interpretazione restrittiva del requisito dello stato coniugale (90). Occorre chiedersi se tali conclusioni debbano essere tenute ferme anche dopo l’approvazione della l. 20 maggio 2016, n. 76, che ha regolato nel nostro ordinamento la convivenza di fatto. La questione non appare di agevole soluzione, perché attiene al rapporto tra la disciplina generale della convivenza e i precedenti riconoscimenti in sede legislativa e giurisprudenziale: dal punto di vista testuale, la disciplina generale sembra applicabile alle vicende richiamate nella seconda parte della stessa legge; da un punto di vista sistematico ap(88) AULETTA, Luci, ombre, silenzi, cit., 486. (89) Ammette l’impianto sulla base della volontà della donna, nonostante la separazione tra i coniugi dopo la fecondazione dell’embrione, negando la revocabilità del consenso, Trib. Santa Maria Capua Vetere 27 gennaio 2021, in Dir. fam., 2021, I, 704 ss. Ad una diversa soluzione, prima dell’entrata in vigore della legge, era pervenuto il Tribunale di Bologna in due diverse decisioni, una del 9 maggio 2000, in Familia, 2001, 468 ss., con nota di I. CORTI, e l’altra del 26 giugno 2000, in Fam. dir., 2000, 614 con nota di G. CASSANO, con riferimento a due distinte coppie che, dopo la fecondazione dell’embrione, si sono separate: in entrambi i casi il giudice, per negare l’ammissibilità dell’impianto in assenza del consenso del marito, ha fondato la sua decisione sulla rilevanza del principio di doppia genitorialità. (90) Reputano invece che la norma sia interpretabile nel senso della non riferibilità ai coniugi separati, in quanto non definibili “coppia”: DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 132; CORTI, La procreazione assistita, cit., 506 s.; nello stesso senso E. QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina della procreazione assistita, in Dir. giur., 2004, 226, che argomenta dal riferimento contestuale ai conviventi, e GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 198. 1036 pare singolare che la disciplina generale sui requisiti non sia applicabile anche alle regole disposte antecedentemente per analoghe ragioni di tutela. Né si potrebbe trarre argomento dalla eventuale restrizione della fattispecie in relazione alle convivenze tutelate, peraltro tutta da dimostrare; piuttosto, si potrebbe attingere dall’idea che l’accesso alla procreazione assistita delle coppie conviventi non abbia una funzione di salvaguardia dei componenti della coppia rispetto all’altro soggetto o ai terzi, ma risponda a una ratio specifica, che abbiamo individuato nella volontà di garantire una duplice assunzione di responsabilità. 10. La rilevanza del consenso. — La coppia che intenda accedere alla terapia per la procreazione medicalmente assistita deve esprimere il proprio consenso sia prima dell’inizio della terapia, sia prima dell’inizio di ogni fase di applicazione delle singole tecniche. Al fine di consentire l’espressione di siffatta volontà, il medico è tenuto, di volta in volta, a informare entrambi i componenti della coppia sui metodi terapeutici, sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all’applicazione delle tecniche procreative, sulle probabilità di successo e sui rischi derivanti dalle stesse tecniche, nonché sulla possibilità di ricorrere alle procedure di adozione o affidamento in alternativa alla procreazione medicalmente assistita (91). A queste informazioni, che sono di carattere strettamente terapeutico e sono riconducibili a quelle previste dall’art. 1 comma 3 l. l. 22 dicembre 2017, n. 219, per l’espressione del consenso medico, la disciplina della procreazione assistita ne aggiunge altre, attribuendo allo stesso medico — con soluzione considerata inopportuna dalla dottrina (92) — il dovere di informare la coppia sui problemi bioetici, nonché sulle conseguenze giuridiche per la coppia e per il nascituro derivanti dall’applicazione della terapia. Una volta ricevute le informazioni, la coppia deve esprimere congiuntamente per iscritto la volontà di accedere alla terapia e a ciascuna delle singole fasi, e il documento deve essere controfirmato dal medico, secondo modalità definite con un decreto interministeriale. Al fine di consentire a ciascun partner un tempo di riflessione è previsto (91) Si può dubitare che tale ultima informazione rientri nel dovere di indicare le possibili alternative al trattamento medico: l’imputazione dell’obbligo al medico di fornire siffatta informazione è sancita dal d. interm. 16 dicembre 2004. (92) L. ROSSI CARLEO, Le informazioni per il consenso alla procreazione assistita, in Familia, 2004, 707 s., 711 s. Procreazione assistita (dir. civ.) che tra la manifestazione di volontà e l’applicazione di ogni singola tecnica debba intercorrere un termine di almeno sette giorni, durante il quale il consenso dell’uomo o della donna può essere revocato, impedendo l’ulteriore prosecuzione della terapia. Una volta fecondato l’ovulo, non è più consentita la revoca del consenso: la disposizione va intesa nel senso che non occorre uno specifico consenso da parte di entrambi i componenti della coppia per le successive fasi di applicazione delle tecniche di procreazione assistita, quali ad esempio l’impianto in utero dell’embrione (93). Ai sensi del comma 4 dell’art. 6 l. n. 40 del 2004, il medico può rifiutarsi di procedere al trattamento, anche ove fosse già iniziato, soltanto per motivi di ordine medico-sanitario: il rifiuto deve essere formulato per iscritto e deve essere motivato. Dell’articolata disciplina del consenso informato, considerata espressamente quale normativa di principio (art. 4), sono state fornite diverse chiavi di lettura. In una prima prospettiva, la disciplina speciale è stata ricondotta nell’alveo del principio generale del consenso informato ai trattamenti sanitari, del quale costituirebbe una integrazione (94): adottata questa interpretazione, si è posto il dubbio se sia coerente con il principio costituzionale l’irrevocabilità del consenso medico dopo la fecondazione dell’embrione. Secondo un orientamento, la norma porrebbe soltanto un limite al diritto di revoca, in deroga all’art. 5 comma 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Oviedo, 4 aprile 1997) che dispone la libera revocabilità del consenso, deroga peraltro ammissibile ai sensi dell’art. 26 della stessa Convenzione (95). In questa prospettiva si è affermato che l’impianto dell’embrione dopo la fecondazione sarebbe un obbligo giuridicamente rilevante, anche se non coercibile contro la volontà della donna (96), dal quale trarre indicazioni sistematiche rispetto all’interpretazione del quadro normativo, senza che in senso opposto assuma rilievo la circostanza che dalla violazione dello stesso non derivi alcuna sanzione (97). Secondo altro orientamento, la norma configurerebbe un trattamento medico obbligatorio, lesivo della dignità della persona e del diritto all’inviolabilità dell’integrità fisica (98). In questa prospettiva, si sostiene che la stessa vada disapplicata o interpretata in senso antiletterale, sotto due diversi versanti: per un verso, dalla pretesa illiceità costituzionale della norma si è desunta la revocabilità del consenso anche dopo la fecondazione dell’embrione, seppure soltanto da parte della donna, traendo anche argomento dalla incoerenza della diversa soluzione rispetto alla disciplina dell’interruzione di gravidanza (99); per altro verso, si estende il potere del medico, ai sensi del comma 4, di rifiutare la terapia, sostenendo che le ragioni di ordine sanitario che debbono motivare il rifiuto vanno intese in senso ampio, estese al profilo psicologico, in modo da consentire al medico di rifiutare il trattamento qualora esso debba essere eseguito contro la volontà della donna (100). I dubbi di costituzionalità della disciplina di revoca del consenso andrebbero, a nostro avviso, valorizzati al fine di accogliere una diversa prospettiva, secondo la quale la disposizione dell’art. 6 sul consenso informato non si riferisce tanto al consenso alla terapia (del quale produrrebbe comunque gli effetti), ma è specificamente rivolta alla responsabilizzazione di entrambi i componenti della coppia sui rischi e sulle conseguenze dell’applicazione delle tecniche di procreazione assistita, anche nell’ipotesi in cui tali rischi o conseguenze, ad esempio di ordine sanitario o psicologico, riguarderebbero soltanto il destinatario dell’applicazione della singola tecnica. In tal senso depone tutta la struttura della norma, la quale prevede che l’informazione debba (93) In tal senso Trib. Santa Maria Capua Vetere 11 ottobre 2020 e 27 gennaio 2021, in N. giur. civ., 2021, I, 586 ss., con nota di R. VILLANI, a favore della donna che intendeva impiantare l’embrione, nonostante la revoca del consenso da parte del marito dopo la fecondazione. (94) Dottrina prevalente: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 112 ss.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 78 ss.; DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 160; MASTROPIETRO, Procreazione assistita, cit., 1402 ss.; VILLANACCI, Il concepito nell’ordinamento giuridico. Soggettività e statuto, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2005, 123 ss. (95) VIOLINI, Tra scienza e diritto, cit., 470 s.; NICOLUSSI, Lo sviluppo della persona umana, cit., 52 nt. 103. (96) In tal senso C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 127 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 93 ss.; NICOLUSSI, op. ult. cit., 52 e nt. 104. (97) NICOLUSSI, lc. ult. cit.; C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 139 s.; OPPO, Procreazione assistita, cit., 330. (98) Così: MODUGNO, La fecondazione assistita, cit., 264 ss.; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 83 ss.; SESTA, Dalla libertà ai divieti, cit., 1408; MASTROPIETRO, op. cit., 1402 ss.; A. MARTINI, Il consenso informato nella legge 19 febbraio 2004, n. 40, in Vita not., 2005, 1784 ss.; VILLANACCI, op. cit., 123 ss.; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1065 s.; CARUSI, Non solo procreazione assistita, cit., 424 s. (99) Con varie argomentazioni, v. tra gli altri: VILLANI, op. ult. cit., 82 ss.; MASTROPIETRO, op. cit., 1402 ss.; VILLANACCI, op. cit., 123 ss. (100) MODUGNO, op. cit., 267. 1037 Procreazione assistita (dir. civ.) essere fornita, anche per ogni singola fase, a entrambi i partner, i quali devono esprimere congiuntamente il consenso alla tecnica. L’esigenza di responsabilizzare la coppia ha un duplice scopo: quello di rendere consapevoli entrambi i componenti della coppia dei rischi che corre ciascuno di essi a causa della scelta di accedere ad una tecnica non incoraggiata dall’ordinamento; quello di esprimere congiuntamente una volontà che è considerata produttiva di effetti nella costituzione del rapporto di filiazione. La rilevanza che assume quest’ultimo profilo, sulle conseguenze giuridiche della procreazione assistita, è testimoniata dal collegamento posto tra l’espressione del consenso e la disciplina dell’art. 8 l. n. 40 del 2004 (101). In questa prospettiva, la dichiarazione della coppia, pur producendo anche l’effetto del consenso al trattamento sanitario, non sarebbe soggetta, limitatamente a questo profilo, alla disciplina dell’art. 6 (102). La fattispecie del consenso informato al trattamento sanitario resterebbe, infatti, autonomamente regolata dall’art. 1 l. n. 219 del 2017, con risultati applicativi più congrui: al medico non sarebbe specificamente imputabile la responsabilità per i danni derivanti dal trattamento — anche se non ha rispettato le specifiche forme e gli specifici contenuti previsti dall’art. 6 e non ha ottenuto il consenso dalla coppia — purché abbia fornito le informazioni rilevanti, dal punto di vista del trattamento sanitario, al singolo destinatario dell’intervento, ottenendone il consenso. La disposizione dell’art. 6, se intesa in tal senso, è compatibile con i principi, poiché i limiti alla revocabilità riguarderebbero soltanto l’espressione della volontà di assumere la responsabilità genitoriale: il diritto del destinatario del trattamento sanitario (la donna, nel caso dell’impianto dell’embrione in utero) alla revoca del consenso — anzi, ad esprimere il consenso al successivo impianto — resterebbe pertanto integro ed illimitato anche dopo la fecondazione dell’embrione (103). (101) In questo senso la dottrina più autorevole: ROSSI CARLEO, Le informazioni per il consenso, cit., 706, 714 s.; M. D’AURIA, Informazione e consensi nella procreazione assistita, in Familia, 2005, 1005, 1030 ss.; L. BOZZI, Il consenso al trattamento di fecondazione assistita tra autodeterminazione procreativa e responsabilità genitoriale, in Eur. dir. priv., 2008, 241. (102) Cfr. GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche, cit., 176, per il quale la regola dell’art. 6 è posta a tutela del concepito, mentre la regola sul consenso medico è posta a tutela del paziente. (103) Ma non quello dell’uomo, il quale sarebbe irrile- 1038 Sez. II. – LA FILIAZIONE DA PROCREAZIONE ASSISTITA. 11. Profili generali. — Il problema della costituzione del rapporto di filiazione è stato avvertito sin dagli albori dell’applicazione delle tecniche di procreazione artificiale. Prima dell’approvazione della legge, l’orientamento prevalente ha considerato il silenzio del legislatore quale tecnica di rinvio, applicando più o meno meccanicamente la disciplina della filiazione in generale (104); l’orientamento più consapevole ha riconosciuto la sussistenza di una lacuna, ammettendo il ricorso all’analogia per risolvere i vari problemi in base ad argomentazioni che fondavano l’assunzione della responsabilità genitoriale sull’espressione del consenso alla procreazione (105). vante: in senso diverso Trib. Bologna 21 maggio 2014, cit., che ritiene il consenso dell’uomo revocabile anche dopo la fecondazione, seppure in relazione alla peculiare ipotesi in cui la richiesta di impianto dell’embrione sia effettuata dalla donna sedici anni dopo la morte del coniuge. (104) Era la tesi data per presupposta nelle prime riflessioni (ad esempio, V. SGROI, Riflessi della fecondazione artificiale sul rapporto di filiazione legittima, in Giust. civ., 1956, I, 1612 ss.) e poi condivisa dalla maggioranza degli studiosi: A. GORASSINI, Procreazione (diritto civile), in questa Enciclopedia, XXXVI, 1987, 964 ss.; S. PATTI, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. civ., 1988, I, 237 ss.; R. CLARIZIA, Procreazione artificiale e tutela del minore, Milano, Giuffrè, 1988, 123 ss.; M. CALOGERO, La procreazione artificiale, Milano, Giuffrè, 1989, 117 ss.; L. LENTI, La procreazione artificiale. Genoma della persona e attribuzione della paternità, Padova, Cedam, 1993; P. VERCELLONE, Procreazione artificiale, in D. disc. priv., sez. civ., XV, 1997, 313 ss.; G. MILAN, Aspetti giuridici della procreazione assistita, Padova, Cedam, 1997, 167 ss.; E. DEL PRATO, La scelta come strumento tecnico di filiazione? in Familia, 2001, 1035 ss. In giurisprudenza ha consentito il disconoscimento della paternità del nato da fecondazione eterologa al coniuge consenziente, in applicazione diretta della disciplina generale della filiazione, Trib. Cremona 17 febbraio 1994, in N. giur. civ., 1994, I, 541 ss., con nota di G. FERRANDO; cfr. pure l’ordinanza di remissione alla Corte costituzionale del Trib. Napoli 2 aprile 1997, in Fam. dir., 1997, I, 261 ss., con nota di M. DOGLIOTTI. Allo stesso risultato, ma in applicazione analogica della disciplina generale della filiazione, sono pervenuti: Trib. Roma 30 aprile 1956, in Giust. civ., 1956, I, 1612 ss., con nota di V. SGROI, e in Giur. it., 1957, I, 2, 217 ss., con nota di A. TRABUCCHI; App. Brescia 10 maggio 1995, in Fam. dir., 1996, 34 ss., con nota di M. DOGLIOTTI. In applicazione delle regole della filiazione ha reputato sussistere il reato di alterazione di stato nel caso di nato da fecondazione eterologa denunziato come figlio legittimo di una coppia di coniugi, tra i quali, in fase di separazione, era sorta controversia sull’affidamento dello stesso, Trib. Rimini 24 marzo 1995, in Fam. dir., 1996, 39 ss., con nota di M. DOGLIOTTI, dove si invita l’ufficio del pubblico ministero ad avviare l’azione penale e ad esperire la procedura di nomina del curatore speciale per la promozione dell’azione di disconoscimento. (105) Va ricordato il pensiero di A. TRABUCCHI, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur. it., 1957, I, 2, Procreazione assistita (dir. civ.) In quest’ultimo senso si è orientata la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, la quale ha escluso l’applicazione della disciplina generale della filiazione, negando il disconoscimento del nato da fecondazione eterologa al coniuge che aveva espresso il consenso alla procreazione artificiale (106): a seguito del consolidamento di questo indirizzo giurisprudenziale, è stato approvato il disegno di legge che ne ha recepito sostanzialmente la soluzione, ma che al contempo ha posto diversi limiti all’accesso alle tecniche procreative, compreso il divieto di fecondazione eterologa. La scelta del legislatore di riconoscere il rapporto di filiazione con i coniugi o con i conviventi che hanno espresso il consenso alla fecondazione eterologa, si configura la più idonea alla tutela dell’interesse del minore (107): ma al tempo stesso denota che il divieto di fecondazione eterologa è stato espressione di un giudizio di valore più attenuato rispetto a quello che ha ispirato altri divieti — ad esempio, alla maternità surrogata — la cui violazione non consente, allo stato, la costituzione del rapporto filiale con la coppia che ha espresso la volontà di accoglimento (108). Il rico217 ss. L’illustre studioso, negata la sussistenza di un rapporto di filiazione tra il nato da fecondazione eterologa e il donatore, ha ritenuto inapplicabile la disciplina del disconoscimento di paternità al coniuge che aveva dato il consenso; al contempo, però, ha considerato applicabile la disciplina generale della filiazione nel caso di fecondazione omologa e nel caso di maternità surrogata. L’opinione del Trabucchi è stata accolta da una parte della dottrina già prima dell’approvazione della legge: v., tra gli altri, C.M. BIANCA, Disconoscimento del figlio nato da procreazione assistita: la parola della cassazione, in Giust. civ., 1999, I, 1328 s.; G. FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, Cedam, 1999, 359 ss. A conclusioni solo in parte analoghe e con un diverso iter interpretativo è pervenuto T. AULETTA, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 51 s. (106) C. cost. 26 settembre 1998, n. 347, in Giust. civ., 1998, I, 2409 ss., con nota di A. MORELLI; Cass. 16 marzo 1999, n. 2315, in Resp. civ. prev., 1999, 10 ss., con note di A. GUARNERI e G. CASSANO. Nella successiva giurisprudenza di merito v. Trib. Napoli 24 giugno 1999, in Giust. civ., 1999, I, 2507 ss., con nota di A. MORELLI. Tra i commenti al revirement giurisprudenziale si segnalano: R. SCHLESINGER, L’inseminazione eterologa: la cassazione esclude il disconoscimento di paternità, in Corr. giur., 1999, 401 ss.; S. PATTI, Inseminazione eterologa e venire contra factum proprium, in N. giur. civ., 2000, II, 13 ss.; S. PATTI, M. SESTA, G. FERRANDO e L. BALESTRA, Venire contra factum proprium: principio antico per nuovi problemi della filiazione, ivi, 347 ss. (107) Così FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 325; cfr. CARUSI, Non solo procreazione assistita, cit., 413 ss., 421 s., il quale rileva che la scelta diversa, in presenza di legislazioni straniere che non avrebbero consentito l’individuazione del donatore di gameti, avrebbe esposto il nato al rischio della “mancanza totale” della figura paterna. (108) Si aggiunga che la regola del consenso si pone in chiaro contrasto con il sistema generale accolto dall’ordina- noscimento del rapporto di filiazione tra il procreato e il donatore di gameti, in forza della disciplina generale della filiazione (109), avrebbe infatti reso in larga misura inattuabile la pratica della procreazione artificiale eterologa, in quanto il donatore di gameti non sarebbe risultato disponibile a correre il rischio di instaurare un rapporto di filiazione con il nato da fecondazione artificiale. La rilevata contraddizione è adesso venuta meno a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa: una volta che la tecnica terapeutica è stata ammessa, diventa addirittura indispensabile per la sua funzionalità che sia negato ogni rapporto parentale tra il procreato e il donatore di gameti. Considerazione che va tenuta ferma — anche a costo di sacrificare la coerenza con il principio di essenzialità della doppia figura genitoriale che emerge dalla disciplina regolativa dei requisiti soggettivi di accesso alla procreazione assistita — negando la sussistenza del rapporto di filiazione con il donatore anche nel caso in cui si accerti che la fecondazione eterologa sia avvenuta senza il consenso del coniuge o del convivente della puerpera: poiché la diversa soluzione, pur salvaguardando le potenzialità di sostegno (quantomeno economico) per il nato da procreazione artificiale (110), rischierebbe di porre ostacoli insormontabili al riconoscimento dei legittimi diritti all’autodeterminazione nella vita privata e familiare e alla salute delle coppie sterili, così come riconosciuti dalla Corte costituzionale (111). È irrilevante, invece, ai nostri fini la recente modifica dell’art. 231 c.c., a norma del quale « il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio »: la formula non intende, come mento, nel quale l’interesse del minore a vivere in un ambiente familiare a lui congeniale non è tutelato, se non nell’ambito di procedure giudiziarie complesse, come l’affidamento o l’adozione, dove si devono esprimere valutazioni in concreto sulla inadeguatezza dei genitori originari e sulla idoneità della famiglia disponibile all’accoglimento. (109) Riconoscimento che, salva la prevalenza dello stato di figlio legittimo, avrebbe tratto fondamento dall’applicazione dei principi che reggono la filiazione naturale: AULETTA, Fecondazione artificiale, cit., 49 s.; LENTI, La procreazione artificiale, cit., 288 ss.; DEL PRATO, La scelta, cit., 1035 ss. (110) Negavano che l’ordinamento riconosca un interesse del minore a nascere in una famiglia in cui siano presenti entrambi i genitori, prima dell’approvazione della l. n. 40 del 2004, FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 331 ss.; P. ZATTI, Familia, familiae - Declinazione di un’idea, pt. II. Valori e figure della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002, 337 ss. (111) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit. 1039 Procreazione assistita (dir. civ.) pure autorevolmente sostenuto (112), far venire meno l’essenzialità del requisito del concepimento nel matrimonio per inglobare nella disciplina generale la fattispecie della filiazione da procreazione assistita, in quanto l’innovazione, inglobando in un unico articolo anche la regola già posta dall’art. 233 c.c., si configura quale mera conseguenza del venir meno della differenziazione tra le discipline sul disconoscimento di paternità a seguito dell’abrogazione degli art. 233 e 235 c.c. (113): peraltro, non solo non è vero che la nascita nel matrimonio assuma un rilievo esclusivo in relazione alla costituzione del rapporto da filiazione assistita, ma per contro appare decisiva, in alcune circostanze, la fecondazione dell’embrione (pur se avvenuta in vitro, in un momento precedente all’impianto) e, in altre circostanze, l’espressione del consenso della coppia alla fecondazione assistita. 12. La costituzione dello status. — Secondo il disposto dell’art. 8 l. n. 40 del 2004, i nati da fecondazione assistita hanno lo stato di figli della coppia che ha espresso il consenso ai sensi dell’art. 6 della stessa legge. La disposizione è riferita soltanto alle ipotesi in cui è consentito l’accesso alla procreazione medicalmente assistita, perché il consenso può essere espresso ai sensi del citato art. 6 soltanto se la coppia possieda i requisiti di legge e intenda accedere alle terapie ammissibili (114): per cui, nella versione originaria, la disposizione era applicabile alla sola fecondazione omologa, essendo vietata la fecondazione eterologa. Dopo la pronunzia della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa (115), la disciplina dell’art. 8 (112) In tal senso C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit.; nello stesso senso la sentenza del Trib. Roma 20 ottobre 2014, in Dir. fam., 2014, 1565 ss., nella quale si trae argomento dalla riforma per risolvere il conflitto in caso di scambio di embrioni, senza accorgersi di una importante svista nella lettura del nuovo testo normativo. (113) Lo rileva CASTRONOVO, Fecondazione eterologa, cit., 1124. (114) In tal senso CORTI, La procreazione assistita, cit., 533. Ma in senso opposto è la dottrina prevalente: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 156 s.; OPPO, Procreazione assistita, cit., 19; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 104 ss.; SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 131 s.; DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 182; M. MORETTI, La procreazione medicalmente assistita, in Il diritto di famiglia. Trattato diretto da G. BONILINI e G. CATTANEO, continuato da G. BONILINI, III. Filiazione e adozione, Torino, Utet, 2007, 276 s.; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1068 s. (115) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit. 1040 si applica anche alla fattispecie della fecondazione eterologa, che rientra tra le tecniche ammesse: a seguito dell’estensione, la disposizione assume una nuova rilevanza sistematica, confermando quelle tesi che, all’entrata in vigore della legge, ne predicavano la centralità (116). Se è sempre rimasta minoritaria la tesi dottrinale secondo la quale la regola dell’art. 8, sostituendosi alla disciplina generale della filiazione, ha posto un sistema autonomo di costituzione del rapporto di filiazione da procreazione assistita basato sulla dichiarazione del consenso ai sensi dell’art. 6 (117), non ci è apparsa convincente neanche la tesi di segno opposto, secondo la quale l’enunciato legislativo non avrebbe alcuna rilevanza effettiva, in quanto i presupposti per la costituzione del rapporto andrebbero individuati direttamente nella disciplina generale del codice civile (118). Più congrua è sembrata, piuttosto — e la tesi appare ancora più appropriata dopo la sentenza che legittima la fecondazione eterologa — un’interpretazione volta a integrare la disciplina generale del codice civile con le regole speciali che si propongono di anticipare e rafforzare la tutela del nato da procreazione assistita. Elemento innovativo rispetto alla disciplina generale della filiazione è la rilevanza che, secondo il dato legislativo, assume l’atto di consenso, espresso per iscritto dalla coppia congiuntamente con il medico responsabile e conservato presso la struttura, sullo status del nato da procreazione assistita. Nel caso di coppia coniugata, la rilevanza può apparire modesta, poiché la disciplina della filiazione nel matrimonio non sembra avere bisogno d’integrazione. Si possono tuttavia ipotizzare due effetti direttamente connessi all’atto di consenso: in primo luogo, dopo tale atto, non rileva l’eventuale volontà della madre di non essere nominata nella dichiarazione di nascita (cfr. art. 9 comma 2), sancendo in tal modo (anche in caso di fecondazione eterologa) la costituzione automatica del rapporto filiale con entrambi i coniugi; in secondo luogo, il consenso espresso in costanza di matrimonio, e non revocato, permette la costituzione automatica del rapporto di filiazione anche nel caso in cui il concepimento (recte, la fecondazione (116) Si consenta il rinvio a U. SALANITRO, La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2004, I, 494 ss. (117) QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina, cit., 228; AULETTA, Luci, ombre, silenzi, cit., 491 s. (118) SESTA, La filiazione, cit., 365 ss.; A. RENDA, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, Giappichelli, 2008, 161 ss. Procreazione assistita (dir. civ.) dell’embrione) sia avvenuto dopo lo scioglimento del matrimonio stesso (119). Nel caso di coppia convivente la norma può assumere una portata più incisiva, ogni qualvolta si ritenga che la dichiarazione di consenso non solamente osti all’eventuale espressione della volontà della madre di non essere nominata nella dichiarazione di nascita (cfr. art. 9 comma 2), ma consenta all’ufficiale di stato civile (pure in caso di fecondazione eterologa) di costituire automaticamente il rapporto di filiazione con entrambi i conviventi, anche ove manchi una formale dichiarazione di riconoscimento ex art. 250 c.c. (120). 13. Le azioni di stato. — Ai sensi del comma 1 dell’art. 9, nel caso di ricorso a fecondazione eterologa, il coniuge o il convivente, che abbia espresso il consenso, anche per atti concludenti, non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (v. FILIAZIONE: AZIONI DI STATO). Appare manifesta la ratio della norma nel senso di impedire che il coniuge o il convivente, che si sia pentito del consenso a suo tempo manifestato, possa fare venire meno il rapporto di filiazione, denunziando la mancanza del rapporto genetico con il nato dall’atto di fecondazione eterologa: la norma ha introdotto espressamente la regola alla quale la dottrina e la giurisprudenza erano già pervenute in via interpretativa (rectius, attraverso l’integrazione del diritto scritto). Nel giudizio di disconoscimento o d’impugnazione del riconoscimento, il soggetto convenuto può eccepire l’irrilevanza della mancanza del rapporto genetico tra il nato e il coniuge o il convivente della madre, dimostrando che il figlio è nato da procreazione assistita e producendo l’atto di consenso ex art. 6 l. n. 40 del 2004 ovvero dimostrando che il consenso è intervenuto per fatti concludenti. Il dato testuale richiama la disciplina dell’art. 235 c.c., superata dalla novella. Nella versione originaria, l’esercizio dell’azione di disconoscimento da parte del coniuge che aveva espresso il consenso non era ammissibile soltanto nelle ipo(119) C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 151 ss.; MORETTI, La procreazione medicalmente assistita, cit., 272 ss. (120) In tal senso, tra gli altri: G. OPPO, Diritto di famiglia e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2005, I, 331; C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 154 ss. In senso opposto, tra gli altri, SESTA, Procreazione medicalmente assistita, in Enc. giur., Aggiornamento, 2005, 7 s., il quale argomenta dal mancato coordinamento della disciplina con la normativa regolamentare dell’ordinamento di stato civile. tesi di mancata coabitazione e d’impotenza, per cui si poneva il problema se sussistesse il diritto di disconoscimento del figlio in caso di adulterio o di occultamento della gravidanza, nonostante la mancanza di una regola analoga a tutela del convivente (121). Esigenze di coerenza inducono ad ammettere il disconoscimento quando il nato ha un patrimonio genetico diverso da quello dell’embrione artificialmente fecondato (122): la soluzione, alla luce delle modifiche della disciplina generale del disconoscimento, va accolta anche se non sia stato previamente dimostrato l’adulterio o l’occultamento della gravidanza (123). In effetti, la regola posta dall’art. 9 comma 1, essendo prevista soltanto per il caso in cui il nato sia stato effettivamente concepito a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita, non è applicabile qualora si dimostri che l’intervento di fecondazione artificiale, per il quale è stato espresso il consenso, non è stato portato a compimento o non ha avuto altrimenti successo (124). Questione diversa è se l’azione di disconosci(121) Nell’art. 11 comma 2 del testo unificato n. 414/A licenziato l’8 luglio 1998 dalla Commissione affari sociali della Camera dei deputati, nella XIII legislatura (rel. M. Bolognesi), era invece esplicitamente ammesso il ricorso all’azione di cui all’art. 263 quando si fosse provata siffatta circostanza. (122) In tal senso: SALANITRO, La disciplina della filiazione, cit., 501; FACCIOLI, Procreazione medicalmente assistita, cit., 1071 s.; CORTI, La procreazione assistita, cit., 534; SESTA, La filiazione, cit., 369. Nello stesso senso, già in relazione alla proposta di legge, si era espresso PATTI, Inseminazione eterologa, cit., 15. Cfr. App. Milano 10 agosto 2015, in ilfamiliarista.it, 31 gennaio 2017, che nega l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità proposta da un terzo e volta a fare valere la difformità tra dichiarazione di riconoscimento e la verità biologica. (123) La disposizione dell’art. 9 presuppone, infatti, il richiamo di un sistema normativo, quello originario della riforma del diritto di famiglia, in cui gli accertamenti genetici potevano essere disposti solo se in via preliminare si fosse accertata la sussistenza di uno dei presupposti stabiliti dalla legge per il disconoscimento: sistema normativo superato, dopo la sentenza della C. cost. 6 luglio 2006, n. 266, in Fam. dir., 2006, 461 ss., con nota di E. BOLONDI, dalla recente novella legislativa del d. lg. 28 dicembre 2013, n. 154. (124) Una volta dimostrato l’insuccesso della procreazione artificiale, si può dunque accedere in via ordinaria alle azioni di disconoscimento della paternità e all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, op. cit., 150 s.; VILLANACCI, op. cit., 78 s. In tal senso era esplicito il testo unificato n. 414/A, cit., per il quale, una volta dimostrato l’adulterio o l’occultamento della gravidanza, « è ammessa la presentazione di ogni prova volta a dimostrare che il concepimento non è avvenuto a seguito della tecnica di procreazione medicalmente assistita » (art. 11 comma 2). Cfr. PATTI, Inseminazione eterologa, cit., 15, il quale dà notizia di un caso, verificatosi in Francia, in cui il bambino non sarebbe nato in seguito alla pratica di 1041 Procreazione assistita (dir. civ.) mento possa essere fatta valere dal figlio (125), in quanto soggetto che non abbia espresso il consenso alla procreazione assistita: la risposta negativa sembra imporsi se si reputa che il consenso, in caso di procreazione assistita, costituisca il fondamento del rapporto di filiazione, in alternativa alla derivazione genetica, come si deduce dall’art. 8 l. n. 40 del 2004; una risposta positiva potrebbe essere ricavata attribuendo invece al consenso (ex art. 9) la limitata rilevanza di negare il diritto al ripensamento della coppia dopo la fecondazione dell’embrione. In giurisprudenza è stata autorevolmente accolta la seconda opzione, ammettendo, seppure in un obiter dictum, la legittimazione del figlio ad agire per il disconoscimento del genitore che ha espresso il consenso (126): ma il dubbio, che tale soluzione valga anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, deve essere preso seriamente in considerazione, nella misura in cui la stessa Corte costituzionale ha sostenuto l’estensione della regola dell’art. 8, che fonda sul consenso il rapporto di filiazione, anche alla fecondazione eterologa (127). La diversa soluzione, che nega al figlio la legittimazione di agire per il disconoscimento, non trova più argomento invece nel principio della bigenitorialità, il quale sembra avere perduto la precedente rilevanza pervasiva nella misura in cui anche a chi è procreato senza consenso (da fecondazione eterologa) si nega il rapporto di filiazione anche con il donatore (128): tanto più che in questo caso sarebbe lo stesso figlio, agendo per il disconoscimento, ad esprimere la volontà di rinunzia al sostegno della figura paterna. La regola che limita il disconoscimento o l’impugnazione del riconoscimento presuppone che sia stato costituito il rapporto di filiazione del nato con la coppia coniugata o convivente (129). fecondazione eterologa che aveva costituito oggetto del consenso. (125) Lo ha negato SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 7. (126) Cass. 11 luglio 2012, n. 11644, in N. giur. civ., 2013, I, 51 ss., con nota di C. COSSU. (127) C. cost. 10 giugno 2014, n. 162, cit. (128) Avevano valorizzato l’argomento della bigenitorialità: SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 7; C. CAMPIGLIO, La procreazione medicalmente assistita nel quadro internazionale e transnazionale, in Trattato di biodiritto diretto da RODOTÀ e ZATTI, Il governo del corpo, II, cit., 1497 ss., 1508. (129) Nella prospettiva delineata nel testo, la costituzione del rapporto filiale, anche in caso di fecondazione eterologa, può avvenire non solo in forza della disciplina generale della filiazione, ma anche mediante la produzione all’ufficiale giudiziale dell’atto di consenso, ai sensi dell’art. 6 e 8 l. n. 40 del 2004. Non sembra invece che il consenso 1042 Nell’ipotesi in cui dall’atto di nascita non si evinca lo status di figlio della coppia che ha espresso il consenso alla fecondazione eterologa, appare coerente, con la ratio di tutela del nato da procreazione assistita, che la dimostrazione del consenso possa essere fatta valere, anche in sede di reclamo dello stato di figlio ovvero in sede di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, senza che assuma alcun rilievo, nei confronti del genitore che non ha fornito i suoi gameti, la mancanza di conformità genetica. In relazione ad entrambe le azioni di stato, si pone il dubbio se il rapporto di filiazione possa costituirsi anche qualora manchino i requisiti soggettivi di cui all’art. 5: sulla questione manca una disciplina specifica e l’interprete è chiamato ad integrare l’ordinamento. 14. La procreazione post mortem. — La possibilità di utilizzo di tecniche di fecondazione in vitro e di crioconservazione pone in discussione la rilevanza dei limiti temporali che consentono di operare alle regole del codice civile in materia di filiazione, poiché non si può tenere ferma la presunzione che il concepimento sia contestuale all’inizio della gravidanza. Il venire meno dei limiti temporali si presenta problematicamente complesso ogni qualvolta la terapia procreativa riguarda una coppia in cui uno dei partner sia deceduto, anche per l’incidenza dell’eventuale nascita sulla vicenda successoria. Appare pertanto auspicabile una disciplina specifica, volta a contemperare le esigenze del nascituro con quelle della certezza dei diritti dei soggetti chiamati alla successione. Il dato comparato non appare di particolare ausilio, perché riguarda ordinamenti che ammettono l’accesso alla procreazione assistita di donne singole, presupponendo l’irrilevanza del modello di doppia genitorialità (130). Come già rilevato, è legittimo che l’embrione ricavabile da atti concludenti, ex art. 9 della stessa legge, sia direttamente rilevante di fronte all’ufficiale di stato civile: OPPO, Procreazione assistita, cit., 19 s.; una diversa soluzione, nell’interesse del nascituro, mi era sembrata più convincente in sede di primo commento: SALANITRO, La disciplina della filiazione, cit., 496 s.; in quello stesso senso QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina, cit., 229; C. CASINI, M. CASINI e DI PIETRO, La legge 19 febbraio 2004, n. 40, cit., 162 ss.; DOGLIOTTI e FIGONE, Procreazione assistita, cit., 191. (130) Il riferimento è alla disciplina inglese, nella quale si nega radicalmente la paternità dell’uomo il cui seme, o l’embrione generato con il suo seme, sia stato utilizzato dopo la morte (art. 27.6, b, Human fertilisation and embryology Act, 1990), nonché alla disciplina spagnola, in cui è negato il rapporto di filiazione se l’impianto non è già avvenuto al momento della morte del marito, salvo che questi non abbia espresso il consenso e la fecondazione sia avvenuta in un Procreazione assistita (dir. civ.) fecondato da una coppia che ha espresso il consenso sia impiantato nell’utero della donna anche dopo la morte del coniuge o del convivente: sorge tuttavia il problema se si instaura il rapporto di filiazione con il defunto e se tale rapporto possa avere rilevanza successoria. Nel caso di coppia coniugata, l’applicazione della disciplina generale in materia di filiazione consente una presunzione di legittimità nel caso di nascita entro i trecento giorni dalla morte del padre, nonché, se la nascita è avvenuta dopo i trecento giorni, la possibilità di provare il concepimento durante il matrimonio. La disciplina si presenta sufficientemente elastica da consentirne l’applicazione anche nella fattispecie de qua, consentendo l’instaurarsi del rapporto di filiazione e di successione una volta che si dimostri che il consenso sia stato espresso e la fecondazione dell’embrione sia avvenuta prima del decesso (131). Anche nel caso di coppia convivente il rapporto di filiazione naturale, e la conseguente vicenda successoria, può fondarsi sulla sussistenza del consenso e sulla precedenza della fecondazione alla morte dell’uomo (132). Più problematica appare la soluzione nel caso in cui uno dei partner, dopo avere espresso il consenso alla fecondazione, muoia e successivamente la struttura sanitaria, ad esempio perché non informata del decesso, proceda ugualmente alla fecondazione dell’embrione, in violazione del divieto posto dall’art. 5. In tal caso, non appare possibile fondare il periodo circoscritto dopo la morte (art. 9 l. 22 novembre 1988, n. 35). Una disciplina di maggior tutela nei confronti del concepito è prevista nell’ordinamento greco, dove si reputa figlio legittimo quello nato a seguito di inseminazione post mortem a seguito di specifica autorizzazione (autorizzazione che può essere concessa solo previo consenso notarile del marito in caso di rischio di decesso e che impone l’impianto entro due anni dal decesso: art. 1457 c.c.), ma in ogni caso si consente la dimostrazione del rapporto di paternità, con prova a carico di chi la invoca, anche qualora l’inseminazione sia avvenuta post mortem e manchi l’autorizzazione. (131) Aveva già prospettato la possibilità di un’interpretazione evolutiva degli art. 234 e 462 c.c. per riconoscere lo status di figlio legittimo e i diritti successori al nato da procreazione post mortem — con riferimento ad embrioni fecondati prima della morte del partner, ma ancora da impiantare — l’ordinanza del Trib. Palermo 8 gennaio 1999, in N. giur. civ., 1999, I, 221 ss., commentata da E. PALMERINI con postilla di F.D. BUSNELLI, e in Foro it., 1999, I, 1653 ss., con nota di L. NIVARRA. (132) Nello stesso senso QUADRI, Osservazioni sulla nuova disciplina, cit., 231; VILLANACCI, op. cit., 167 ss.; A. SCHUSTER, Quale riconoscimento per la fecondazione post mortem? Commento a Astrue v. Capoto, in Quad. cost., 2012, 886 ss. rapporto di filiazione e la capacità di succedere direttamente sulla disciplina del codice civile: la quale non appare congrua nel caso di fecondazione artificiale, poiché si può avere la certezza che la fecondazione, fattispecie in astratto equiparabile al concepimento, sia avvenuta dopo la morte del soggetto che ha espresso il consenso e ciononostante è possibile dimostrare che ricorra con il de cuius quel rapporto di consanguineità, in caso di fecondazione omologa, che si pone a fondamento del sistema generale della filiazione. In questa situazione è piuttosto la valenza generale che assume nel sistema l’art. 8 l. n. 40 del 2004 — almeno a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del divieto di eterologa e della conseguente ricomprensione della fattispecie al suo interno (133) — a determinare la costituzione dello status. Prospettiva sostenuta di recente anche in giurisprudenza nella già richiamata sentenza della Cassazione n. 13000 del 2019, che ha ammesso la costituzione del rapporto di filiazione del nato da una pratica vietata di fecondazione post mortem (134). In quel caso i giudici hanno affermato che il consenso non sarebbe considerato dalla legge solo per la sua valenza di consenso informato al trattamento medico-chirurgico, bensì anche come consapevole assunzione della responsabilità genitoriale, e come tale dovrebbe essere riferito anche al minore generato tramite fecondazione assistita post mortem: formazione dell’embrione alla quale si era fatto ricorso dopo il decesso del marito e, di conseguenza, in violazione dell’art. 5 l. n. 40 del 2004. Altro dubbio si pone con riferimento alla rilevanza successoria, sia perché la costituzione dello stato di figlio comporta l’assunzione del rapporto parentale con la famiglia paterna, sia perché va superata, almeno nei rapporti tra padre e figlio concepito artificialmente, la regola per cui si succede solo se l’embrione è stato concepito prima della morte del de cuius. È questa una di quelle ipotesi in cui il consenso può assumere un valore autonomo, non solo nel caso di fecondazione omologa, ma anche di quella eterologa, consentendo l’instaurazione del rapporto di filiazione, e della vicenda successoria, pure nel caso in cui l’embrione sia stato fecondato dopo la morte del genitore che ha espresso la sua volontà (ai sensi dell’art. 8), perché l’interesse del nascituro appare (133) Norma di cui era già stata sottolineato l’inedita rilevanza, e ipotizzata la possibile dirompenza, all’indomani dell’approvazione della legge: SALANITRO, La disciplina della filiazione, cit., 495 nt. 9. (134) Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, cit., 748 ss. 1043 Procreazione assistita (dir. civ.) prevalente rispetto alle eventuali pretese successorie pregiudicate (135). Un problema del tutto diverso si pone nel caso di fecondazione post mortem omologa senza consenso del coniuge o del convivente. In astratto l’interprete può intendere il silenzio del legislatore in due diversi sensi: per un verso, quale tecnica normativa volta a escludere l’attribuzione di un rapporto di filiazione con il coniuge o il convivente che non abbia espresso il consenso (136), mentre resterebbe applicabile la regola della filiazione con la madre partoriente (137); per altro verso, qualora si accolga una prospettiva di svalutazione della rilevanza del consenso, quale indice della sussistenza di una lacuna, da colmare in via analogica (138). 15. La procreazione da coppia dello stesso sesso. — Occorre un’argomentazione articolata anche nel caso in cui la donna che abbia espresso il consenso alla fecondazione eterologa, convivente omosessuale della madre, reclami il rapporto di genitorialità. La soluzione negativa, fondata su una valutazione a priori dell’interesse del minore, non sembra che possa essere tenuta ferma alla luce dei principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (139), la quale (135) In tal senso v.: OPPO, Procreazione assistita, cit., 22; VILLANI, La procreazione assistita, cit., 183 ss.; MORETTI, La procreazione medicalmente assistita, cit., 272 ss. In senso diverso negavano, quando tale distinzione era rilevante, che si costituisse un rapporto di filiazione legittima, ammettendo soltanto il rapporto di filiazione naturale (per essere avvenuto il concepimento dopo lo scioglimento del matrimonio) con entrambi i genitori: SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 9; ID., La filiazione, cit., 2011, 369 s.; anche QUADRI, op. cit., 230 s.; VILLANACCI, op. cit., 70. (136) In tal senso era già la posizione di AULETTA, Fecondazione artificiale, cit., 26, il quale ammetteva il rapporto di filiazione legittima solo nel caso di consenso espresso dal coniuge della madre; ora ribadita in AULETTA, Luci, ombre, silenzi, cit., 496. (137) Nel senso della rilevanza della sola filiazione naturale con la madre: VILLANI, La procreazione assistita, cit., 183 ss.; SESTA, Procreazione medicalmente assistita, cit., 9; ID., La filiazione, cit., 370. (138) Se si riconoscesse la sussistenza di una lacuna, occorrerebbe individuare il percorso attraverso il quale l’interprete possa assumere compiti integrativi del sistema normativo: individuazione non agevole in quanto all’interesse di dare una paternità a un soggetto che non può per definizione averne altre, si contrappongono gli interessi degli altri chiamati alla successione a non essere pregiudicati da un atto compiuto senza il consenso del de cuius (o addirittura contro la sua esplicita volontà). (139) Nel senso della riferibilità del diritto alla vita familiare anche alla coppia omosessuale è la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (C. eur. dir. uomo, sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria, cit.; più di recente, C. eur. dir. uomo 16 gennaio 2018, Nedescu c. 1044 considera discriminatorio negare il diritto all’adozione speciale al convivente omosessuale del genitore, negli ordinamenti che ammettono tale diritto per il convivente di sesso diverso (140): per cui, in un ordinamento come il nostro, che consente al partner convivente di sesso diverso, che abbia espresso il consenso ex art. 9 l. n. 40 del 2004, di reclamare il rapporto di filiazione con il nascituro da fecondazione eterologa, non si configurano ragioni per negarlo al partner dello stesso sesso che abbia espresso il medesimo consenso. Su questo specifico problema, non occorre dichiarare l’incostituzionalità della regola che nega l’accesso alla fecondazione delle coppie di sesso diverso, poiché tale regola non può essere estesa alla diversa fase del riconoscimento del rapporto filiale, con un soggetto già nato per volontà della coppia omosessuale, e che non avrebbe altra potenzialità di accesso a una duplice figura genitoriale: allo stesso modo, la formula generica dell’art. 29 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 — che fa riferimento ai genitori, senza distinguere in questa sede tra padre e madre — potrebbe consentire al giudice, senza sollevare questione di costituzionalità, di accogliere l’azione di reclamo e di ordinare direttamente all’Ufficiale di stato civile la trascrizione del secondo rapporto genitoriale. Indici in questo senso sembrano emergere recentemente dalla già richiamata ordinanza della Corte costituzionale n. 32 del 2021, riguardante il caso di una donna che chiedeva di essere dichiarata genitore di due bambine, con le quali non aveva legami genetici, essendo nate in Italia da fecondazione eterologa praticata all’estero, in forza del consenso alla procreazione medicalmente assistita prestato insieme alla madre biologica (141). Nel giudizio di merito (142), accertato l’interesse delle minori a conservare il rapporto con la donna, il Tribunale pur non ritenendo possibile interpretare il diritto vigente nel senso che il principio del consenso si applichi anche alle coppie omoaffettive, aveva riconosciuto un vulnus di tutela, determinato anche dall’impraticabilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, conseguente al rifiuto insuperabile della madre bioloRomania, cit.), seguita dalla nostra Suprema Corte (Cass. 15 marzo 2012, n. 4184, in Giust. civ., 2012, I, 1707 ss., con nota di F. CHIOVINI e M. WINKLER). (140) C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria, cit. (141) C. cost. 9 marzo 2021, n. 32, cit., 362 ss. (142) Trib. Padova 9 dicembre 2019, pubblicata sulla G.U. 8 luglio 2020, n. 28. Procreazione assistita (dir. civ.) gica di acconsentire all’adozione della ex convivente (art. 46 l. n. 184 del 1983). Secondo il Giudice delle leggi i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne verserebbero in una condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati, destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha condiviso il progetto procreativo. La loro condizione rivelerebbe caratteri in parte assimilabili a quella che contraddistingueva i cosiddetti figli incestuosi, ai quali era precluso il riconoscimento e lo stesso accertamento per via giudiziale dello status. Tuttavia, al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore la Corte ha ritenuto di non poter porre rimedio, sia per rispetto della discrezionalità legislativa in una materia così eticamente sensibile, sia per evitare il rischio di generare disarmonie nel sistema, quali quelle che sarebbero potute sorgere per effetto di un intervento mirato a risolvere il problema specificamente sottoposto alla sua attenzione. In compenso il Giudice delle leggi ha indicato due possibili strade al legislatore: una riscrittura delle previsioni in materia di riconoscimento, ovvero l’introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione. Al riguardo, si può osservare che l’adozione, in nessuna delle sue forme, si configura quale strumento funzionale alla pianificazione di una nuova vita: non è tale l’adozione piena, pensata per dare una famiglia a un minore, che è già nato e ha subito lo stato di abbandono, essendo caratterizzata da una disciplina per cui la nuova famiglia si sostituisce in toto agli eventuali rapporti genitoriali e parentali precedenti (v. ADOZIONE DEI MINORI); non lo è l’adozione in casi particolari, anch’essa rivolta ad un minore già nato e che ha vissuto carenze familiari, in cui la disciplina tende a integrare il nuovo genitore nella rete parentale preesistente (v. ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI). L’idea che la disciplina della filiazione nella procreazione assistita possa essere modellata sulla disciplina dell’adozione ha avuto successo solo perché, da un punto di vista fattuale, l’adozione ha rappresentato il modello tradizionale di costituzione del rapporto genitoriale in assenza di legame genetico, dal quale si sono tratti argomenti per sostenere l’ammissibilità della controversa figura della fecondazione eterologa. Ma la similitudine resta sul piano del fatto e non può essere efficacemente trasposta in diritto. Se si osserva dal punto di vista dell’ordinamento, lo strumento dell’adozione non è idoneo a disciplinare il rapporto con il minore la cui nascita è stata pianificata dai genitori intenzionali. L’inadeguatezza emerge in particolare nel caso in cui il genitore intenzionale muoia o diventi incapace prima della nascita o della costituzione del rapporto o, comunque, rinunci per una qualsiasi ragione alla procedura: la scelta di consentire la costituzione del rapporto solamente con lo strumento dell’adozione, essendo riservata all’iniziativa dell’adottante, impedisce al minore e al suo rappresentante legale di pretendere il rispetto di quegli obblighi di tipo patrimoniale che sono connessi con la figura genitoriale (143). Non è quindi risolutiva, in questo quadro, l’eventuale applicazione degli effetti dell’adozione piena, piuttosto che dell’adozione in casi particolari, rispetto al rischio che il rapporto non si costituisca perché il genitore intenzionale non persegua il suo intento originario: con la singolare conseguenza che l’interesse del minore all’irrevocabilità del consenso, imposto dall’art. 6 l. n. 40 del 2004, non avrebbe alcun rilievo e la volontà originaria del genitore non sarebbe vincolante, proprio nel caso in cui questi non abbia rispettato i requisiti legali per accedere alle tecniche procreative. La scelta di negare la costituzione del rapporto filiale, per sanzionare il comportamento dei genitori, lede soprattutto l’interesse del minore a conseguire i vantaggi patrimoniali corrispondenti (salvo a non richiamare la regola, distonica rispetto all’idea di orientarsi verso l’adozione piena, dell’art. 279 c.c.): il genitore che non rispetta la legge sulla procreazione assistita può, sino al momento della dichiarazione di adozione, rimeditare sulla volontà di assumere la responsabilità genitoriale compiuta al momento del consenso alla fecondazione assistita. In ogni caso, in attesa dell’eventuale intervento del legislatore, non sembra possibile tenere ancora fermo l’orientamento che applica sistematicamente la tesi estensiva della lett. d dell’art. 44 l. n. 184 del 1983, per soddisfare l’interesse del figlio a conservare il rapporto con il genitore intenzio(143) U. SALANITRO, L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in N. giur. civ., 2021, II, 944 ss.; in una prospettiva diversa ma concorde nel ritenere “in nessun caso” idonea l’adozione cfr. E. BILOTTI, La tutela dei nati a seguito di violazione dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004. Il compito del legislatore dopo il giudizio della Corte costituzionale sarebbe anzitutto ‘‘troppo poco’’ nella prospettiva di una tutela piena del generato, ivi, 922. 1045 Procreazione assistita (dir. civ.) nale (144). Le decisioni della Corte costituzionale in materia di surrogazione di maternità e di procreazione da coppia omosessuale del 9 marzo 2021 (n. 32 e n. 33), pur dichiarando inammissibili le questioni di costituzionalità, sono intervenute in modo tale da costringere la cultura giuridica a prendere atto dell’impossibilità di tenere ferma la soluzione oggi prevalente: è stato sancito infatti che l’applicazione dell’adozione in casi particolari ai rapporti tra genitori intenzionali e minori, per come oggi è regolata, non è conforme alla Costituzione. Al riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore dovrebbe piuttosto porsi rimedio, già de iure condito, argomentando dal disposto dell’art. 9 l. n. 40 del 2004, nel senso che si applichi anche per l’ipotesi del nato da fecondazione eterologa in una coppia omosessuale, secondo il modello già applicato per il nato da fecondazione post mortem. Se si adottasse questa soluzione anche per il nato da fecondazione eterologa in una coppia omosessuale, si salvaguarderebbe l’interesse del minore alla doppia figura genitoriale sin dalla sua nascita e si supererebbero le criticità rispetto alla morte e al ripensamento del genitore intenzionale: eventi di fronte ai quali il genitore biologico potrebbe agire nell’interesse del minore ai sensi dell’art. 273 c.c., facendo valere gli effetti ultrattivi del consenso espresso dal partner. Ma tale orientamento, prevalente nella giurisprudenza di merito (145), è stato ancora di recente respinto sia dalla Corte di cassazione (146), (144) Solo, ad esempio, per la completezza delle questioni trattate, v. Trib. minorenni Roma 31 luglio 2014, in Dir. fam. pers., 2014, 1550 ss., con nota di R. CARRANO e M. PONZANI, e ivi, 2015, 176 ss., anche con nota di N. CIPRIANI; Trib. minorenni Milano 28 marzo 2007, in Famiglia e minori, 2007, 83; App. Roma 23 dicembre 2015, n. 7127, in DeJure; Tribunale per i minorenni Roma 22 ottobre 2015, ivi; Trib. minorenni Roma 23 dicembre 2015 e 31 dicembre 2015, in N. giur. civ., 2016, I, 969 ss., con nota di M. FARINA; App. Torino 27 maggio 2016, in Foro it., 2016, I, 1910 ss.; App. Milano 1° dicembre 2015, in Fam. dir., 2016, 271, con nota di F. TOMMASEO; App. Napoli 4 luglio 2018, in Foro it., 2018, I, 2883 ss. (145) App. Cagliari, 16 aprile 2021, in Foro it., 2021, I, 2055 ss.; App. Perugia 18 novembre 2019, ivi, 2020, I, 1, 31 ss.; Trib. Bologna 6 luglio 2018, ivi, 2018, I, 2883 ss.; Trib. Pistoia 5 luglio 2018, in Dir. fam., 2019, I, 210 ss.; Trib. Rimini 25 gennaio 2020; App. Firenze 19 aprile 2019; Trib. Rovereto 12 aprile 2019; Trib. La Spezia 4 aprile 2019 (inedite); Trib. Genova 8 novembre 2018, in www.personaedanno.it; Trib. Bologna 3 luglio 2018; App. Trento 16 gennaio 2020, Trib. Milano 11 gennaio 2019; Trib. Cagliari 28 aprile 2020 in www.articolo29.it. (146) Già Cass. 3 aprile 2020, n. 7668, cit., 1041 ss.; Cass. 22 aprile 2020, n. 8029, cit. La soluzione negativa è stata confermata anche dopo l’intervento più recente della 1046 sia dalla stessa Corte costituzionale: quest’ultima ha ritenuto infatti che il presupposto naturalistico della diversità di sesso dei genitori per accedere alle tecniche fosse rilevante anche per determinare lo status (147). Si potrebbe ritenere tuttavia che un ulteriore mutamento di prospettiva possa desumersi dal richiamo, contenuto nella pronuncia n. 32 del 2021 della Corte costituzionale, al proprio precedente n. 347 del 1998, legittimando una soluzione opposta a quella accolta finora dalla giurisprudenza delle corti superiori (148): precedente con cui il Giudice delle leggi, sul presupposto dell’estraneità della fattispecie generazione assistita alla disciplina codicistica, dichiarò inammissibile la questione se l’art. 235 c.c. fosse incostituzionale nella parte in cui permetteva al marito di esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nonostante avesse consentito alla fecondazione eterologa della moglie (149). La Corte costituzionale, anche in quell’occasione, lamentava la mancata tutela, a causa dell’assenza di una disposizione apposita, della « persona nata a seguito di fecondazione assistita [...] non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione [...], ma ancor prima [...] ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità ». Diritti a cui il legislatore avrebbe dovuto garantire protezione, spettando innanzitutto a lui individuare « un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti », per quanto al giudice si riconoscesse il potere di ricercare — « nell’attuale situazione di carenza legislativa » — l’interpretazione più idonea ad assicurare tutela ai beni costituzionalmente interessati. Corte costituzionale: Cass. 13 luglio 2022, n. 22179; Cass. 4 aprile 2022, n. 10844; Cass. 7 marzo 2022, n. 7413; Cass. 25 febbraio 2022, n. 6383; Cass. 23 agosto 2021, n. 23321. (147) C. cost. 4 novembre 2020, n. 230, per la quale: « è pur vero che [...] la genitorialità del nato a seguito del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita [...] è legata anche al “consenso” prestato, e alla “responsabilità” conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa [...] Ma occorre pur sempre che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie “di sesso diverso”, atteso che le coppie dello stesso sesso non possono accedere, in Italia, alle tecniche di procreazione medicalmente assistita ». (148) Cfr. G. FERRANDO, Il diritto dei figli di due mamme o di due papà ad avere due genitori. Un primo commento alle sentenze della Corte costituzionale n. 32 e 33 del 2021, in www.giustiziainsieme.it, 14 aprile 2021; E. BILOTTI, La Corte costituzionale e la doppia maternità, in N. leggi civ., 2021, 430 ss. (149) C. cost. 26 settembre 1998, n. 347, cit., 51 ss. Procreazione assistita (dir. civ.) Il richiamo al precedente del 1998 sembra essere non solo indicativo della soluzione auspicata dalla Corte, ma anche ostativo alla legittimità della soluzione contraria all’accertamento della doppia maternità, avvalorando la tesi di chi riconosce effetti al consenso anche in caso di violazione dei divieti di accesso alle tecniche. Ugo A. Salanitro FONTI. — Art. 2, 3, 29, 30, 31, 117 cost.; art. 8, 14 CEDU; art. 231 ss. c.c.; l. 19 febbraio 2004, n. 40. LETTERATURA. — AA.VV., Procreazione assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40 a cura di P. STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, Milano, Giuffrè, 2004; AA.VV., Procreazione assistita: problemi e prospettive (Atti del Convegno dei Lincei, Roma, 31 gennaio 2005), Fasano (Brindisi), Schena, 2005, 350 ss.; AA.VV., In vita, in vitro, in potenza: lo sguardo del diritto sull’embrione (Atti del Convegno di Genova, 10 maggio 2010) a cura di D. CARUSI e S. CASTIGNONE, Torino, Giappichelli, 2011; AA.VV., Procreazione assistita e tutela della persona (Atti del Convegno di Roma, 30 maggio 2010) a cura di A. BARENGHI, Padova, Cedam, 2011; AA.VV., Trattato di biodiritto diretto da S. RODOTÀ e P. ZATTI, Il governo del corpo, II, Milano, Giuffrè, 2011; AA.VV., Il divieto di donazione dei gameti Tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo a cura di M. D’AMICO e B. LIBERALI, Franco Angeli, Milano, 2012; AA.VV., Chiamati al mondo. Vite nascenti ed autodeterminazione procreativa (Atti del Convegno di Genova, 24 maggio 2013) a cura di D. CARUSI, Torino, Giappichelli, 2015; AA.VV., Quale diritto di famiglia per la società del XXI secolo? a cura di U. SALANITRO, Pacini, Pisa, 2020; T. AULETTA, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 1 ss.; ID., Luci, ombre, silenzi nella disciplina di costituzione del rapporto genitoriale nella fecondazione assistita, in Ann. Catania, V, 2005, 481 ss.; G. 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SALANITRO, La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2004, I, 489 ss.; ID., Principi e regole, contrasti e silenzi: gli equilibri legislativi e gli interventi giudiziari in tema di procreazione assistita, in Fam. pers. succ., 2010, 85 ss.; ID., Il dialogo tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale in materia di fecondazione eterologa, in N. giur. civ., 2012, II, 636 ss.; ID., Spigolature in tema di diritti del concepito e accesso alla procreazione assistita, in Giust. civ., 2015, 853 ss.; ID., I requisiti soggettivi per la procreazione assistita: limiti ai diritti fondamentali e ruolo dell’interprete, in N. giur. civ., 2016, II, 1360 ss.; ID., Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, in Commentario del codice civile diretto da E. GABRIELLI, Della famiglia, III. Leggi complementari a cura di G. DI ROSA, Torino, Utet, 2018, 1655 ss.; ID., Azioni di stato, interesse del minore e ricerca della verità, in Familia, 2019, 525 ss.; ID., A strange loop. La procreazione assistita nel canone della Corte 1047 Procreazione assistita (dir. civ.) costituzionale, in N. leggi civ., 2020, 212 ss.; ID., L’adozione e i suoi confini. Per una disciplina della filiazione da procreazione assistita illecita, in N. giur. civ., 2021, II, 944 ss.; F. SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita. Commento alla legge 19 febbraio 2004, n. 40, Milano, Giuffrè, 2004; P. SCHLESINGER, Il concepito e l’inizio della persona, in Riv. dir. civ., 2008, I, 247 ss.; G. SCIANCALEPORE, La procreazione medicalmente assistita, in Il diritto di famiglia nella dottrina e nella giurisprudenza. Trattato teorico-pratico diretto da G. AUTORINO STANZIONE, IV, Torino, Utet, 2006, 255 ss.; M. SEGNI, Conviventi e procreazione assistita, in Riv. dir. civ., 2007, 7 ss.; ID., Troppi dubbi sulla procreazione assistita, in Fam. dir., 2013, 521 ss.; R. SENIGAGLIA, Genitorialità tra biologia e volontà, tra fatto e diritto, essere e dover essere, in Eur. dir. priv., 2017, 953 ss.; M. SESTA, La procreazione medicalmente assistita tra legge, Corte costituzionale, giurisprudenza di merito e prassi mediche, in Fam. dir., 2010, 839 ss.; R. VILLANI, La “nuova” procreazione medicalmente assistita, in Trattato di diritto di famiglia. Le riforme diretto da P. ZATTI, II. Il nuovo diritto della filiazione a cura di L. LENTI e M. MANTOVANI, Milano, Giuffrè, 2019; P. ZATTI, Quale statuto per l’embrione?, in Riv. crit. dir. priv., 1990, 446 ss.; ID., La tutela della vita prenatale: i limiti del diritto, in N. giur. civ., 2001, II, 149 ss.; ID., Familia, familiae - Declinazione di un’idea, pt. II. Valori e figure della convivenza e della filiazione, in Familia, 2002, 337 ss.; ID., Le problème des limites à la procréation assistée dans les lois des principaux pays européens, in Droit et Cultures, 2006, 133 ss. SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. — 2. Interesse superiore del minore e margine di apprezzamento degli Stati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. — 3. L’orientamento della giurisprudenza italiana sul riconoscimento della filiazione in caso di nascita all’estero mediante fecondazione assistita. — 4. Segue: gli ostacoli al riconoscimento della filiazione in caso di nascita in Italia. — 5. La valutazione dell’interesse superiore del minore in sede di riconoscimento del rapporto di filiazione. — 6. Il bilanciamento tra interesse del minore e tutela della gestante nei casi di ricorso alla maternità surrogata. — 7. Il rimedio dell’adozione del figlio nato all’estero a seguito del ricorso a tecniche di procreazione non consentite. PMA, ma anche la definizione dei rapporti familiari. Ha acquisito rilevanza la dimensione “sociale” della famiglia, sganciata dai rapporti genetici, comprensiva delle unioni fra persone dello stesso sesso, nella quale ha rilievo fondamentale l’instaurazione di rapporti affettivi stabili (1). In molti casi questa realtà si scontra con le restrizioni a determinate tecniche di PMA imposte dalla normativa nazionale di alcuni Stati, favorite da una opinione pubblica ancorata alla tradizione. Per questo motivo numerose coppie si rivolgono a strutture presenti in Paesi che consentono il ricorso alla PMA in modo più ampio. Si è così sviluppato il fenomeno del cosiddetto “turismo procreativo” (2). In molti casi si tratta di persone di diversa cittadinanza o residenza, che possono giovarsi di una legislazione più permissiva in vigore all’estero. Allorché la coppia o uno dei partner che abbiano ottenuto la certificazione o un provvedimento di attribuzione della filiazione si ritrasferiscano nello Stato di origine, il riconoscimento di tale status è indispensabile ai fini della acquisizione della responsabilità genitoriale e della trasmissione della propria nazionalità al bambino oppure, in caso di patologia del rapporto di coppia, l’emanazione di provvedimenti quali l’affidamento e il diritto di visita. Uno sguardo d’insieme sulla normativa in vigore nei novanta Stati che partecipano alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato dimostra una notevole eterogeneità delle soluzioni riguardanti il riconoscimento delle decisioni straniere e l’attribuzione dello status di figlio in presenza di elementi di estraneità, sia per ciò che concerne i criteri che individuano quale legge deve regolare lo stabilimento della filiazione (3), 1. Considerazioni introduttive. — Il ricorso alla procreazione medicalmente assistita (d’ora in poi PMA) ha registrato un incremento esponenziale a partire dall’inizio del nuovo secolo, dovuto allo sviluppo delle tecniche riproduttive. Vi ha contribuito l’insorgenza di problemi di infertilità, soprattutto nei Paesi industrializzati, e il desiderio di genitorialità di coppie omosessuali. Il fenomeno ha impegnato istituzioni internazionali e imposto agli Stati l’introduzione o, secondo i casi, la riformulazione di leggi in materia. Se un tempo la genitorialità era una condizione riservata alle coppie coniugate eterosessuali geneticamente legate al bambino, con l’unica eccezione dell’adozione, nell’ultimo decennio è emersa a livello internazionale una visione evolutiva che ha riguardato non soltanto le modalità e le condizioni di accesso alla (1) La letteratura sul tema è sterminata. Nella prospettiva del diritto internazionale privato ed europeo e dell’interesse dei minori ci limitiamo a citare G.M. RUOTOLO, Il diritto internazionale privato delle « nuove » famiglie nel contesto europeo, in Questione giustizia, 2019, n. 2. Sui diritti dei minori alla luce degli sviluppi della nozione di famiglia e della prassi del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo v. G. VAN BUEREN, The International Law on the Rights of the Child, The Hague-Boston-London, Martinus Nijhoff, 2009, 68 ss. (2) Il reperimento di dati certi è assai difficile, ma lo sviluppo del fenomeno del “turismo procreativo” è dimostrato dall’addensarsi di una cospicua giurisprudenza nel primo decennio di questo secolo, agevolato dalla facilità e dalla riduzione dei costi dei viaggi fino al 2019. La pandemia e, a livello europeo, lo scoppio nel 2022 della guerra in Ucraina hanno reso più complicato lo spostamento di coppie oltre i confini del proprio Paese per sottoporsi a trattamenti medici finalizzati alla riproduzione. (3) Non è facile operare una ricostruzione completa dei criteri di collegamento utilizzati dai diversi ordinamenti PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA (diritto internazionale privato) 1048 COMITATO SCIENTIFICO STEFANIA BARIATTI - MARTA CARTABIA - CLAUDIO CONSOLO - GIOVANNI D’AMICO RICCARDO DEL PUNTA - FABRIZIO DI MARZIO - MASSIMO DONINI BERNARDO GIORGIO MATTARELLA - LAURA MOSCATI - FRANCESCO RICCOBONO pubblicazione fuori commercio Isbn 9788828831945