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LA STORIA, GLI STORICI
A CURA DI FABRIZIO D’AVENIA
ATTI DELLA TAVOLA ROTONDA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
PALERMO, 29 NOVEMBRE 2000
MEDITERRANEA. RICERCHE STORICHE
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Studi e ricerche – Mediterranea. Ricerche storiche
Fabrizio D’Avenia
La storia, gli storici. – Palermo: Associazione Mediterranea, 2012.
Studi e ricerche – Mediterranea. Ricerche storiche
ISBN 978-88-96661-19-2 (online)
1. Storiografia
2. Revisionismo
3. Manuali
Edizione elettronica
a cura della redazione di “Mediterranea-ricerche storiche” on line
su www.mediterranearicerchestoriche.it
Copyright©Associazione no profit “Mediterranea”- Palermo
2012
Edizione elettronica dell’edizione cartacea:
© 2004, Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Lettere e Filosofia
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INDICE
Presentazione di Orazio Cancila .......................................................... 5
“La storia agli storici” di Fabrizio D’Avenia ...................................................... 6
Interventi
Orazio Cancila ....................................................................................36
Salvatore Lupo ............................................................................................. 41
Paolo Viola .................................................................................................... 46
Giorgio Cavadi .............................................................................................. 52
Enrico Guarneri ............................................................................................ 56
Carlo D’Arpa ................................................................................................. 59
Marco Assennato .......................................................................................... 64
Federico Martino ........................................................................................... 67
Francesco Renda........................................................................................... 72
A distanza di quattro anni, gli atti del seminario tenutosi
nell’aula magna della Facoltà di Lettere e Filosofia nell’ormai
lontano novembre 2000, che oggi si pubblicano, forse sarebbero
scarsamente comprensibili senza l’ampia e articolata introduzione
di Fabrizio D’Avenia, il quale, con una analisi paziente e molto ben
documentata, è riuscito a ricostruire felicemente il contesto politico
e storiografico in cui il dibattito di allora deve necessariamente
collocarsi. Essa costituisce quindi una premessa indispensabile
alla successiva lettura degli interventi.
L’introduzione di D’Avenia, tuttavia, non si limita soltanto alla
puntuale verifica storiografica delle diverse posizioni e alla corretta
focalizzazione dei nodi problematici che sono alla base del
seminario di allora, ma segue lo sviluppo del dibattito sin quasi ai
nostri
giorni,
dimostrandone
così
anche
la
sua
attualità.
Certamente, rispetto ad allora, la situazione appare oggi alquanto
modificata. Sicuramente è più rasserenata, e perciò l’odierna
pubblicazione degli atti ha anche una sua valenza storica, di
documento cioè di un momento storico particolare che è auspicabile
venga definitivamente superato.
Orazio Cancila
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Orazio Cancila
Ordinario di Storia moderna, Facoltà di Lettere e Filosofia
(Università di Palermo)
Non intendo nascondermi dietro un dito e perciò dichiaro subito
che l’occasione di questo incontro è data dalla mozione sulla scelta
dei libri di testo presentata recentemente da An alla Regione Lazio e
riproposta
successivamente
inaccettabile,
che
dimostra
all’ARS.
inoltre
È
una
assoluta
mozione
rozza,
ignoranza
dei
meccanismi che regolano la materia e sui quali gradirei che
intervenissero proprio i docenti dei licei presenti a questo nostro
incontro. Alla libertà dei docenti, delle famiglie, degli stessi studenti,
presenti nei Consigli di classe che si occupano delle adozioni, si
vuole sostituire il controllo di un gruppo di tecnici (studiosi) indicati
dagli Atenei siciliani. C’è da chiedersi attraverso quali meccanismi
sarebbero poi indicati questi esperti che andrebbero a far parte
dell’Osservatorio che si intende istituire. E sarebbero davvero i più
esperti?
Non
sarebbe
inopportuno
che
gli
Atenei
siciliani
rispondessero assieme “No, grazie”. Altrimenti rischiamo davvero di
riproporre manuali scolastici di regime e la storia si trasformerebbe
– come spesso è accaduto nei regimi totalitari del nostro secolo – in
uno strumento di potere nelle mani del gruppo dirigente. E allora
non potremmo chiamarla più storia ma propaganda politica.
Ecco
perché
come
democratici,
come
cittadini
di
questa
repubblica, come storici, noi esprimiamo la ferma contrarietà al
contenuto della mozione. E tuttavia come storici abbiamo anche il
dovere di interrogarci sul perché di questa presa di posizione da
parte di An, che non condividiamo ma che è ormai un fatto, un
evento, un dato con il quale ci auguriamo che gli storici che
ricostruiranno il nostro tempo non siano costretti a fare i conti.
Non è inopportuno allora definire preliminarmente che cosa
intendiamo per storia. Storia – per convinzione ormai pressoché
unanimemente accettata – è la scienza che ci aiuta a comprendere il
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presente attraverso lo studio del passato, attraverso le risposte
che può darci il passato. Diversamente dall’antiquario che
raccoglie tutti i dati (o se volete tutti i pezzi) che trova, spinto
soprattutto dalla curiosità, lo storico ha un progetto e interroga il
passato muovendo dal suo presente, spinto all’indagine dagli
stimoli che gli offre il presente, la realtà in cui vive. La storia –
secondo la celebre definizione di Marc Bloch – è infatti
comprensione del presente in cui viviamo attraverso il passato e
contemporaneamente comprensione del passato attraverso il
presente. Non esiste un passato in sé come tale, ma soltanto un
passato del presente in cui vive lo storico.
Si
comprende
allora
perché
ogni
epoca
trova
sempre
insoddisfacente la storiografia della generazione precedente e
riscrive (dico riscrive) la storia, esprime cioè una sua storiografia.
Lo fa perché cerca nella storia il passato del suo presente. La
storia che si scriveva nell’Ottocento (o in qualsiasi altra epoca) è
una storia diversa da quella che scriviamo noi, che sarà a sua
volta diversa da quella che scriveranno i nostri posteri. E si
comprende ancora perché (l’esempio può apparire forse banale)
dopo la monumentale Storia di Roma scritta dal Mommsen a
metà Ottocento, gli storici continuino ancora a scrivere storie di
Roma e altre ne saranno scritte “sin che il sole risplenderà sulle
sciagure umane”. Non perché Mommsen ci abbia lasciato una
storia falsa, nel senso che le vicende che egli narra non sono mai
accadute o sono accadute in maniera diversa. No, ma perché le
domande che il grande storico si poneva erano le domande degli
uomini dell’Ottocento, non le nostre di uomini che viviamo ormai
nel Duemila. Noi viviamo un altro presente, non dico migliore o
peggiore, ma sicuramente diverso, e abbiamo perciò altri
problemi, altri interessi, e conseguentemente abbiamo altre
domande da rivolgere al passato.
Lo storico nel suo lavoro si muove su due piani, che non sono
diacronicamente distinti: quello della ricostruzione degli eventi e
l’altro
della
interpretazione.
Non
c’è
dubbio
che
storici
professionalmente onesti, che dispongono delle stesse fonti,
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dovranno pervenire a ricostruzioni dei fatti e degli eventi non
discordanti, e perciò in tal senso può parlarsi di oggettività della
storia. Ricostruzioni non di parte quindi, ma parziali tuttavia,
perché – come scriveva Droysen – l’indagine più approfondita non
può che contenere se non un’immagine frammentaria del passato.
Tutti gli storici seri sanno che la realtà storica non è l’intera realtà.
Ma è indubbio che non possono esserci diverse realtà storiche, una
per Tizio, l’altra per Caio. La realtà storica è una e una sola, ma è
tuttavia aperta a ulteriori verifiche, correzioni, arricchimenti, per
effetto di ulteriori ricerche e approfondimenti che portano alla luce
elementi nuovi, trascurati nelle ricostruzioni precedenti. Elementi
nuovi che molto spesso sono il frutto di una nuova, diversa,
sensibilità della storiografia, di un modo nuovo di interrogare il
passato, perché nuovi sono molto spesso i problemi che ogni
generazione si pone. Penso, ad esempio, alla storia delle donne, che
soltanto da qualche decennio è studiata e approfondita. In passato
le donne – tranne alcune eroine tipo Giovanna d’Arco o Anita
Garibaldi – non interessavano la storiografia. La storia era fatta
dagli uomini e solo gli uomini erano oggetto di storia. Il movimento
femminista degli anni Settanta-Ottanta ha modificato notevolmente
la nostra visione della donna e si è cominciato sempre più ad
indagare sul ruolo che essa ha avuto nelle società del passato. Oggi
disponiamo di ricerche estremamente interessanti sulla donna e
sono già state scritte anche alcune storie delle donne. E perciò un
manuale di storia che ignori i risultati della più recente storiografia
sull’argomento non può considerarsi certamente aggiornato.
La ricostruzione dei fatti e degli avvenimenti non è però disgiunta
dalla loro interpretazione. Ed è proprio l’interpretazione che diverge
da storico a storico. Ogni storico porta nel lavoro di interpretazione
tutto se stesso, la sua vicenda umana, i suoi interessi scientifici, la
sua sensibilità, la sua capacità di creare collegamenti e individuare
nessi, la sua capacità di critica della documentazione utilizzata: in
una parola porta la sua cultura. Ecco perché è possibile che gli
stessi fatti possano dar luogo a interpretazioni divergenti, tutte
legittime se gli autori non si sono lasciati fuorviare da elementi
esterni, come potrebbero essere l’ideologia o lo spirito di parte.
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Ovviamente
interpretazione
legittima
non
significa
necessariamente interpretazione corretta, condivisibile da tutti.
Non tutte le interpretazioni hanno infatti lo stesso grado di
attendibilità. La validità di un testo si misura non soltanto dalla
correttezza della ricostruzione dei fatti ma anche dal grado di
attendibilità delle interpretazioni.
Ora è anche possibile che – come vuole An – tra i manuali di
storia in uso nei licei ci siano testi di autori che distorcono la
verità storica, autori che per motivi di parte falsificano i dati
oppure omettono deliberatamente di trattare aspetti significativi
del processo storico, o si lasciano andare a interpretazioni
tendenziose. Certamente, un manuale non è una enciclopedia e
perciò l’autore ha il diritto di fare le sue scelte e di disporre la
materia come gli aggrada, a patto però che il quadro d’insieme
non ne risulti falsato. In ogni caso l’alterazione e la distorsione
dei dati non possono e non devono assolutamente giustificarsi,
così
come
non
può
giustificarsi
la
tendenziosità
delle
interpretazioni: gli autori dei manuali che vi ricorrono non
possono considerarsi degli storici, ma dei falsari. Le associazioni
culturali, i singoli cittadini, la stampa, aggiungo anche i partiti,
hanno il dovere di aiutarci a individuarli, ma l’ultima parola sulla
faziosità dei libri di testo – consentitemelo – deve essere lasciata
alla libera scelta dei Consigli di classe, non alle direttive di
organismi estranei al mondo della scuola.
Recentemente nella polemica è intervenuto su “Repubblica” il
collega Cozzo con una lettera che il quotidiano ha intitolato – se
non ricordo male – “né con i docenti né con An”. Cozzo sosteneva
che la scelta dei libri di testo spetta agli utenti, ossia agli
studenti. Questo in fondo è ciò che avviene già nelle Università.
Parecchi di noi accettano da decenni programmi alternativi,
purché concordati entro una certa data. Per quanto riguarda i
manuali, gli studenti sono liberissimi di scegliere come credono,
anche se il docente non rinunzia a consigliarne qualcuno tra i più
nuovi e aggiornati. Personalmente ne escludo soltanto un paio,
dopo avere dedicato all’esame dei manuali in uso nelle scuole
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alcune lezioni all’inizio del corso, in modo che la scelta dello
studente sia consapevole. Non so però se il sistema possa estendersi
anche alla scuola secondaria. Credo di no.
Ma sull’intero argomento gradirei conoscere il parere dei colleghi,
soprattutto dei colleghi delle scuole secondarie, i più direttamente
interessati.
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