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Studi archeologici a Pompei

2008, Domus Pompeiana – Una casa a Pompei. Mostra nel Museo d’arte Amos Anderson. Helsinki, Finlandia, 1 Marzo – 25 Maggio 2008

DUna฀casa฀a฀Pompei omus฀Pompeiana Mostra฀Nel฀Museo d’Arte฀Amos฀Anderson, Helsinki, Finlandia, 29 Febbraio – 25 Maggio 2008 A฀cura฀di Paavo Castrén Autori฀dei฀testi James Andrews Ria Berg Paavo Castrén Nina Heiska Heikki Häyhä Pasi Kaarto Ulla Knuutinen Ilkka Kuivalainen Helsinki Casa editrice Otava Michael MacKinnon Hanne Mannerheimo Leena Pietilä-Castrén Anne Räsänen Antero Tammisto Eeva-Maria Viitanen Helena Wassholm Sommario LA MOSTRA È ORGANIZZATA SOTTO IL PATROCINIO DELL’AMBASCIATA D’ITALIA E DELL’UNIVERSITÀ DI HELSINKI A cura di Paavo Castrén Coordinamento editoriale Eeva-Maria Viitanen, Antero Tammisto e Liisa Steffa Coordinamento illustrazioni Maija Holappa, Mika Seppälä e Eeva-Maria Viitanen Prefazione (Paavo Castrén) 9 ฀I฀Pompei฀e฀i฀pompeiani 1. Storia di Pompei (Paavo Castrén) 11 13. Studi archeologici a Pompei (Eeva-Maria Viitanen) 165 3. Notizie su Marco Lucrezio (Paavo Castrén) 27 14. La documentazione topografica della Casa di Marco Lucrezio (Nina Heiska) 175 II฀ I฀La฀Domus฀romana฀e฀la฀ ฀ ฀Casa฀di฀Marco฀Lucrezio 4. Vitruvio e la casa ideale romana (Paavo Castrén) 31 Progetto grafico Anni Nykänen (EVTEK) 5. Applicazioni pratiche della casa ideale di Vitruvio (Eeva-Maria Viitanen) 39 © 2008 Autori e Casa Editrice Otava Stampato presso: Otavan Kirjapaino Oy Keuruu 2008 ISBN 978-951-1-22419-8 IV฀Cosa฀si฀studia฀a฀Pompei?฀ 2. Pompei in epoche successive (Paavo Castrén) 19 Traduzione Annamaria Potenti Impresso su carta Edixion 140g 12. 2003–2006 ritrovamenti archeologici (Ria Berg) 151 6. Storia edilizia e architettura della Casa di Marco Lucrezio (Eeva-Maria Viitanen e James Andrews) 51 III฀Vita฀della฀Casa฀ ฀ di฀Marco฀Lucrezio 7. Pitture e pavimenti della Casa di Marco Lucrezio (Antero Tammisto e Ilkka Kuivalainen) 73 8. Mobili e arredi della casa romana (Ria Berg) 105 9. Le sculture del giardino (Ilkka Kuivalainen) 127 10. Le statuette di terracotta (Leena Pietilä-Castrén) 139 15. Il modelling informatico tridimensionale dei resti (Pasi Kaarto) 183 16. Gli studi sui pigmenti delle pitture parietali(Ulla Knuutinen e Hanne Mannerheimo) 187 17. Ricomposizione dei frammenti di affresco (Heikki Häyhä) 195 18. Ricostruzione delle pitture parietali del triclinio (Anne Räsänen e Helena Wassholm) 199 ฀V฀ Catalogo 19. Reperti dagli scavi del 1847 205 Reperti dagli scavi del progetto EPUH (2003–2006) 208 (Ria Berg, Ilkka Kuivalainen, Leena Pietilä-Castrén e Antero Tammisto) VI฀autori฀allestimento.฀ ฀ ringraziamenti 11. I pranzi luculliani di Marco Lucrezio (Michael MacKinnon) 147 5 13.฀Studi฀archeologici฀a฀Pompei Eeva-Maria Viitanen L a ricerca archeologica ha avuto fin dall’inizio una posizione di primo piano nei lavori del progetto EPUH. Obiettivo principale del nostro gruppo di otto ricercatori è analizzare e documentare le strutture visibili ed eseguire scavi al di sotto delle superfici pavimentali e del terreno dell’anno 79 a.C. A questo lavoro è connesso come parte essenziale lo studio dei reperti trovati da noi, e dei reperti degli scavi precedenti (v. capp. 8–12). Lo studio delle pitture parietali e delle decorazioni pavimentali completa per sua parte le notizie archeologiche (v. cap. 7). Essenziale per la documentazione è inoltre una precisa mappatura, che fornisce la colonna vertebrale visiva del lavoro (v. cap. 14). Risultato di tutto questo lavoro è, da una parte, una visione della storia abitativa ed edilizia dell’isolato, e dall’altra un’idea della relazione in cui si trovano gli avvenimenti di quell’isolato rispetto allo sviluppo complessivo di Pompei. Quanto segue ha lo scopo di esporre la storia degli studi archeologici a Pompei, come pure i metodi di lavoro adottati sul campo nell’ambito del progetto. Agli scavi di Pompei fu dato ufficialmente inizio nell’anno 1748, e quasi senza interruzioni essi proseguirono a partire dal 1755. In questo momento, della superficie di circa 66 ettari della città sono stati scavati i due terzi circa. I fini e i metodi della ricerca archeologica sono cambiati moltissimo rispetto ai primi scavi. I primi scavi di Pompei vennero eseguiti sotto i re borbonici che dominavano il Meridione, ed ebbero luogo in diversi punti della città, concentrandosi principalmente su edifici pubblici. Nei primi cento anni di scavi, Ercolano e Pompei non vennero in realtà studiate come vestigia del passato da cui trarre ulteriori notizie delle città dell’antichità, dei loro abitanti e della loro vita. Scopo dei Borboni era raccogliere, per loro propria gloria, collezioni il più possibile grandiose di oggetti antichi e innanzitutto di arte antica. In pratica gli scavi venivano fatti per cercare oggetti preziosi ed eccezionali; ma molto presto ci furono tra coloro che partecipavano agli scavi anche persone che ne capirono l’importanza come apportatori di nuovo sapere. Gli฀scavi฀dell’isolato฀di฀Marco฀ Lucrezio฀nell’ Ottocento A Pompei gli scavi proseguirono più o meno nello stesso modo fino agli anni Sessanta dell’Ottocen- 13.1. Scavi nell’area del pavimento dell’atrium nel 2003. 165 13.3. Apertura visibile nel pavimento dell’ambiente (21), dove c’è stata una parete divisoria. Sotto la parete demolita si vede un pavimento di malta più antico, marrone rossiccio. 13.2. Mappa del 1852: la parte nord-ovest dell’isolato disegnata da Edward Falkener. to. Il lavoro non era particolarmente sistematico, benché spesso si seguisse il tracciato delle strade, cercandovi promettenti ingressi verso case possibilmente ricche. Scopo principale continuava ad essere il ritrovamento di oggetti preziosi e innanzitutto di bei dipinti parietali. In questo modo venne trovata anche la Casa di Marco Lucrezio, primo sito di studio del nostro progetto. La strada che la costeggia sul lato ovest, che oggi si chiama Via Stabiana, venne portata alla luce nel 1846, e in quell’occasione vennero scoperti i bei dipinti a sfondo azzurro dell’ingresso. In base a quei dipinti la Casa venne prescelta ad essere scoperta completamente l’anno successivo. Le belle pitture 166 apparivano promettenti riguardo al ritrovamento di oggetti. L’eccezione costituita da questo scavo rispetto all’uso corrente sta nel fatto che ad esso assisteva l’architetto e antiquario inglese Edward Falkener. Nel corso dei lavori egli prese appunti e fece disegni, che pubblicò alcuni anni dopo. In quel periodo non si permetteva molto agli estranei di raccogliere documentazione che avrebbero poi potuto pubblicare. (Fig. 13.2.) Il rapporto di Falkener è preziosissimo per i nostri studi, perché completa in molti modi i diari di scavo dell’epoca giunti fino a noi. È vero che di quegli scavi fu presa nota anche da parte degli Italiani che li eseguivano, ma l’informazione che se ne ricava è in molti sensi piuttosto scarsa. Il più delle volte gli oggetti trovati sono menzionati, ma il luogo del ritrovamento resta spesso poco chiaro, perché gli oggetti trovati in vani diversi vengono elencati insieme, e così via. Falkener riporta spesso più precisamente l’ubicazione del ritrovamento di molti oggetti nei diversi vani. Inoltre descrive con una certa precisione anche i contenuti e l’ubicazione delle pitture parietali. Nella sua descrizione ci sono anche notizie dei cambiamenti apportati alle strutture della casa durante gli scavi e subito dopo. Nel vano (21) c’era ad esempio una parete divisoria a struttura leggera, che durante gli scavi si dovette abbattere. Se ne trovò il luogo durante la pulitura del pavimento di quell’ambiente nel 2002 (Fig. 13.3). Cosa eccezionale – e secondo Falkener merito suo – fu anche il fatto che le sculture trovate nel giardino della Casa vennero lasciate all’ammirazione dei visitatori nella loro sede originaria, e non vennero portate a Napoli, al museo. Nello scavo si era proceduto secondo gli usi del tempo, asportando gli strati di pietrisco di pomice vulcanica e di cenere compatta che ricoprivano le strutture, con progressivi tagli verticali, partendo dalla porta della casa e procedendo nell’interno vano per vano. Il lavoro veniva arrestato quando si raggiungeva la superficie di un pavimento o quella del terreno, e non si toccavano 167 13.4. I solchi dei carri sullo strato di pomice grigia, negli scavi della parte nord dell’isolato. 13.5. Strati creatisi nella distruzione provocata dall’eruzione del 79 d.C. nella Casa dei Casti Amanti: in primo piano una parete crollata e sul bordo superiore strati quasi orizzontali e chiari di cenere vulcanica, sotto i quali pietrisco di pomice. 168 gli strati sottostanti. La strada che passa ad ovest dell’isolato era stata portata alla luce già nell’ottobre del 1846, ma i veri e propri scavi riguardanti la Casa vennero iniziati il 18 marzo 1847. Entro l’inizio di aprile era stato probabilmente già scoperto il lato nord dell’aula centrale e si era arrivati al vano (15) e al suo pavimento. In aprile–maggio furono portati alla luce il giardino e gli ambienti che lo fiancheggiano sul lato sud, ma si procedette anche a nord, verso la cucina (14). In luglio fu probabilmente scoperta la piccola Casa 1–2 situata nell’angolo nord-occidentale dell’isolato, e i lavori continuarono ad avanzare sul lato nord della Casa. I lavori nell’area della Casa 24 furono sospesi all’inizio di settembre del 1847, e dopo di questo l’area dell’isolato rimase perlopiù tranquilla fino al 1870, eccettuati alcuni interventi minori nei locali fiancheggianti la strada che la costeggia ad ovest. Nell’anno 1847 vennero organizzati nella Casa alcuni “scavi spettacolo”: quando agli scavi erano in arrivo visitatori di alto rango, per far loro piacere si scavavano punti da cui ci si aspettavano bei reperti, o dove addirittura si erano messi, ricoperti da strati di terra, degli oggetti trovati altrove o trovati sul luogo in precedenza. A questi spettacoli non assistettero evidentemente personaggi di tale importanza da essere menzionati per nome nei diari. Un personaggio del genere, e cioè il papa Pio IX, visitò la Casa solo nel 1849 (v. cap. 2). I lavori venivano svolti da operai con i loro carri e i loro caposquadra, e forse sono stati loro a lasciare quelle tracce che nel vicolo a nord dell’isolato appaiono come i resti di solchi da carro: sulla superficie della strada era stato lasciato uno strato di pomice alto circa 20 centimetri, e su di esso passavano due solchi da terreno duro, lungo i quali era facile condurre i carri. (Fig. 13.4.) La maggiore differenza tra gli scavi di Pompei e la maggior parte degli altri è il fatto che Pompei non è ricoperta da strati di terra, ma da strati di materiale prodotto da attività vulcanica. Questi strati – almeno in teoria – non contengono molte informazioni sui diversi periodi del sito da scavare, e quindi gli scavi più antichi furono più che altro “lavori di rimozione”: le case venivano letteralmente liberate a colpi di badile degli strati morbidi e mobili che le ricoprivano. Più tardi si è iniziato ad eseguire gli scavi in senso orizzontale, partendo dalla superficie del terreno e procedendo poi strato dopo strato verso il basso. In questo modo, specialmente a Pompei, si ottengono maggiori informazioni sui piani superiori degli edifici distrutti dall’eruzione, ed anche su ciò che fecero gli abitanti negli ultimi momenti. Il pietrisco di pomice ricoprì alla fine la città di uno strato alto alcuni metri, ciò che provocò il crollo della maggior parte dei tetti. Le persone rimaste nella città avrebbero potuto camminare su quello strato, e infatti la maggior parte delle vittime rilevate si erano trovate proprio alcuni metri più in alto rispetto al livello del terreno e a quello dei pavimenti. Le più grandi distruzioni, nella fase finale dell’eruzione, furono provocate dal flusso piroclastico, cioè dal vortice di ceneri, pietra e gas vulcanici, che venne giù dal monte ad una velocità di circa ottanta chilometri orari, spazzò via al suo passaggio le ultime pareti che ancora arrivavano a sorpassare lo strato di pomice, e uccise le ultime persone rimaste. Sappiamo anche che dopo l’eruzione venne fatta nella città opera di salvataggio, e forse avvennero anche saccheggi nelle case. L’attenta osservazione degli strati vulcanici rivela che in certi punti qualcuno è passato nei secoli successivi all’eruzione, perché in quei punti si è rotto l’ordine netto dei vari strati. (Fig. 13.5.) I Borboni furono detronizzati negli anni Sessanta dell’Ottocento, e venne fondato lo Stato italiano. A capo degli scavi venne allora nominato Giuseppe Fiorelli, che apportò molti cambiamenti nell’organizzazione e nell’attuazione degli scavi. Del nostro isolato, la maggior parte venne porta- ta alla luce al tempo di Fiorelli, e cioè negli anni 1870 e 1871. Egli stabilì nuovi obiettivi sia per la precisione della documentazione che per le pubblicazioni, che sotto di lui vennero fatte con regolarità. Nelle pubblicazioni si cercò di presentare degli insieme unitari, per cui i reperti e le strutture venivano descritti insieme e non separatamente come prima. Fiorelli scavò più sistematicamente che in passato, cercando di studiare sempre tutto l’isolato e non solo parti di esso. Tra le sue innovazioni ci fu anche quella di cominciare a scavare orizzontalmente andando poi dall’alto al basso. Questo rese possibile scoprire subito i vuoti lasciati dai cadaveri, che poterono essere riempiti di gesso. Lo stesso metodo è stato usato anche per riempire vuoti di altro genere, lasciati principalmente da oggetti di legno nel decomporsi, e riconoscere così gli oggetti. Gli obiettivi che Fiorelli si proponeva erano in realtà già molto simili a quelli di oggi: egli capiva che con l’aiuto dell’archeologia si ottengono molte informazioni che non vengono offerte dalle fonti scritte, e che le basi di quell’informazione sono uno scavo accurato e la documentazione dei reperti. Nuovi฀metodi฀e฀nuova฀precisione Alla fine dell’Ottocento gli scavi, riguardo agli obiettivi che si proponevano, erano già abbastanza vicini alla ricerca archeologica attuale. Ci sono comunque stati grandi progressi nella precisione del lavoro e nella registrazione dei risultati. Si è capito che senza una diligente documentazione scritta e illustrata, i risultati degli scavi non si trasmettono agli altri ricercatori, per cui il tempo (e il denaro) impiegati nel lavoro si possono in pratica considerare perduti. Fino ai lavori sul campo degli ultimi tempi, è stato difficile studiare l’area dei vecchi scavi di Pompei, perché erano reperibili solo poche informazioni di base pubblicate. Ora ci si propone quindi di studiare nuovamente queste aree, 169 25 24 1 2 3 4 5 10 N 30 m 5 13.6. Ambienti studiati e aree di scavo anno per anno: 2002 in giallo, 2003 in azzurro, 2004 in verde, 2005 in arancione e 2006 in rosso. ss. bu doc. N 0 e innanzitutto di mettere insieme materiale di base affidabile su cui possa fondarsi tutto il resto della ricerca. Per mezzo degli scavi si vuole anche fornire nuova informazione sulle fasi più antiche di Pompei. Nello stesso tempo si fanno ricerche d’archivio per rintracciare tutti i vecchi documenti. Il nostro studio rappresenta una di queste rinnovate ricerche. La parte principale del lavoro consiste nell’analisi e documentazione delle strutture visibili. Oltre a questo, facciamo piccoli scavi nei punti in cui speriamo di trovare indicazioni circa l’uso più antico dell’area. Gli scavi at- 170 tuali si accentrano proprio sugli strati sottostanti alla superficie dei pavimenti e del terreno. I lavori sul campo in ambito EPUH sono stati eseguiti per complessivi quattro mesi e mezzo nel corso di cinque anni (2002–2006), e inoltre sia a Helsinki che a Pompei si è lavorato sul materiale raccolto. Abbiamo analizzato le strutture di 45 ambienti, e scavato in 12 punti nella Casa di Marco Lucrezio, in quelle vicine e nella strada sul lato nord dell’isolato. (Fig. 13.6.) L’analisi delle strutture si basa su metodi di ricerca archeologici relativi all’edilizia, creati proprio recentemente e basati sui metodi di scavo. Ci si propone di suddividere ciò che si deve studiare, ad esempio una parete, in unità più piccole in base ai materiali e alle tecniche. Nello stesso tempo si cerca di ricostruire, se solo è possibile, l’ordine in cui queste unità sono state edificate. Ciascuna unità viene descritta a parole su un modulo, l’insieme viene fotografato e se ne fa una mappa in cui sono visibili i confini delle unità e i codici. Durante i lavori sul campo, o più spesso dopo, le descrizioni delle diverse unità vengono riunite a formare una descrizione di tutta la struttura. Dalla descrizione complessiva delle pareti, dei pavimenti e delle altre strutture si forma poi la descrizione dell’ambiente, e da qui in avanti si procede nello stesso modo, fino ad avere riunito un intero isolato (v. cap. 6). L’idea di base è che ogni unità a sé stante rappresenta un’attività umana nel tempo, e se si riesce a chiarire il loro ordine, si chiarisce contemporaneamente che cosa è accaduto all’edificio. La maggior parte del lavoro è tutta una routine, moduli su moduli da riempire uno dopo l’altro. Nella Casa di Marco Lucrezio ci sono 35 ambienti, e in ciascuno di essi ci sono da studiare almeno quattro pareti e un pavimento; cioè almeno 175 strutture visibili da descrivere. Oltre a queste, in molti ambienti ci sono anche altre strutture, come ad esempio i pozzi, le fognature, i serbatoi dell’ac- qua, il piano di cottura nella cucina, le vasche, le fontane. Il materiale prodotto è enorme, e il modellarlo fino a raggiungere la forma finale di un risultato di ricerca richiede molto tempo, pazienza e precisione. L’accurata analisi delle strutture è comunque la spina dorsale del lavoro, perché senza lo studio delle strutture sarebbe difficile arrivare a delle conclusioni sui risultati degli scavi. Nella figura 13.7 c’è la parete orientale dell’ambiente (12) della Casa di Marco Lucrezio suddivisa nelle unità in essa rilevate. Nella parte inferiore della parete ci sono grandi blocchi rettangolari tagliati nella pietra calcarea di colore chiaro, che costituiscono i pilastri portanti della parete. Intorno a questi sono stati sovrapposti, a formare la struttura della parete, pezzi di pietra calcarea più piccoli, e gli interstizi sono stati riempiti di argilla mista a malta. Si tratti di una tecnica di costruzione che potrebbe risalire ai secoli III e II a.C., ed è una delle più antiche usate a Pompei. Tra i pilastri verticali c’è un’apertura i cui margini sono stati coperti con un sottile strato d’intonaco. Qui c’è stata una porta, che più tardi è stata chiusa. La parte superiore della parete è formata da un nucleo interno di muro a getto, la cui superficie esterna è ricoperta con pezzi di pietra irregolari, che sono principalmente pezzi di lava scura. In un qualche periodo la vecchia parete è probabilmente crollata o è stata demolita, e la parte superiore è stata sostituita da una nuova struttura. Nello stesso tempo è stato inserito nella parete un grosso blocco di pietra orizzontale. Probabilmente nell’ultimo periodo, quando il vano potrebbe essere stato usato come una specie di ripostiglio, la parete è stata ricoperta da uno strato di intonaco non pitturato e dalla superficie scabra. Ciò che ne resta ricopre quasi tutta la superficie della parete di chiazze più chiare o più scure. Nella parete si possono dunque distinguere due fasi principali: nella prima, essa fungeva da parete divisoria tra due vani e aveva una porta verso est. 13.7. La parete est dell’ambiente (12) e le unità edilizie rilevate. Nella seconda fase, la porta venne chiusa e forse si fece nello stesso tempo la nuova parte superiore. Questa parte superiore potrebbe anche essere una struttura più tarda, nel qual caso rappresenterebbe una terza fase di costruzione. A queste fasi non si possono dare datazioni molto certe in base alle sole strutture, perché specialmente la tecnica edilizia della parte superiore venne usata a Pompei per lunghissimo tempo. 171 parte inferore della parete est livello del pavimento fossa del IV sec. a.C. fondamento della parete sud non scavata fossa per rifiuti del I sec. d.C. 0 50 cm 13.8. Sezione dell’area di scavo sottostante la parete est dell’ambiente (12). In grigio, in alto. Le strutture inferiori della parete; sotto di queste la fossa più antica segnata in rosso. Con sfumature di marrone gli strati di cenere vulcanica. Nella mappa piccola, la situazione vista dall’alto; in verde il punto della sezione. Lo scavo è l’altro nostro principale campo di lavoro. Poiché il nostro gruppo è piccolo e il lavoro è tanto – e il tempo sul campo, in genere, è solo di quattro settimane circa – occorre considerare attentamente dove situare i saggi e a quali domande si cercano risposte. Gli scavi non si fanno dunque mai su un’area scelta a caso, ma si fondano sempre sull’obiettivo di ottenere risposte per importanti questioni di ricerca. In base alle analisi delle strutture si possono delineare fasi importanti a cui si vuole dare una datazione più precisa, per mezzo ad esempio di oggetti rimasti sotto terra quando 172 furono fatte le fondamenta delle pareti. In questo caso l’area dello scavo viene stabilita in un punto che si trova accanto alla struttura da datare, e poi si spera di ottenere come risultato l’informazione desiderata. Però non sempre ciò avviene, perché attività successive hanno spesso mischiato tra loro strati e strutture precedenti, o addirittura li hanno distrutti completamente. Inoltre le strutture che si scoprono possono essere tali da non poter essere tolte per continuare lo scavo, come ad esempio i canali delle fognature fatti sotto i pavimenti con la stessa massa – in pratica cemento – usata per il muro a getto. Dopo alcuni anni di esperienza, possiamo infatti dire che in quasi tutti i siti aperti si trovano fosse di rifiuti e canali di scolo che vanno verso la strada passando sotto i pavimenti dei vani d’ingresso. Strati e strutture più antichi particolarmente interessanti può capitare di trovarli accanto alle pareti, dove le fosse di rifiuti non sono arrivate. (Fig. 13.1.) Sotto la parete est dell’ambiente (12) si decise ad esempio nel 2004 di situare un’area di scavo, proprio perché nell’analisi strutturale si era potuta riconoscere una parete possibilmente più antica – strutture di pietra calcarea nella sua parte inferiore – e si voleva dare a quelle strutture una datazione più precisa. Nello scavo, venne fuori al centro dell’ambiente una fossa di rifiuti di epoca tarda (v. cap. 12), ma proprio accanto alla parete si trovò un’altra fossa, più piccola, che si vede nel disegno del margine est dell’area (Fig. 13.8.) Questa fossa arrivava sotto le strutture di pietra calcarea, e in base ai reperti si situava probabilmente nel IV–III secolo a.C. La parete fu dunque costruita in epoca successiva a questa, e si è perciò avuta la conferma della datazione cui già si era pensato in base alla tecnica di costruzione usata. Ambedue le fosse furono tagliate negli strati vulcanici formatisi prima degli insediamenti del VI secolo a.C. Studiando quegli strati si possono effettuare rilevamenti di ciò che in passato è avvenuto nell’area, e utilizzarli nella ricostituzione delle forme del terreno (v. cap. 6). Negli scavi osserviamo gli stessi principi che nell’analisi degli edifici: ogni strato di terra con caratteristiche proprie viene separato come singola unità. Le diversità riguardano il più delle volte la composizione del materiale che costituisce il suolo: quanto è fino o grosso, quali sono le sue sfumature di colore, quali o quanti reperti vi si trovano. Gli strati spessi o ampiamente estesi possono qualche volta venire artificialmente separati in parti più sottili o più piccole, per poter controllare se nei ritrovamenti di quello strato si rilevano diversità. Ogni strato separato viene scavato come un insieme a sé stante, e viene descritto sia a parole sul modulo che con disegni e foto. I reperti vengono presi in consegna unità per unità, e in tutte le fasi del loro trattamento sono sempre accompagnati dall’informazione del luogo di ritrovamento. Riguardo agli strati di terreno e alle strutture che vi sono connesse, le descrizioni e le illustrazioni sono particolarmente importanti, perché gli strati si disgregano nello scavo, e senza un’accurata rappresentazione, di essi non resta in pratica nient’altro che i reperti. Il trattamento e l’analisi dei reperti sono l’ultima fase del processo, e di questo si parla più ampiamente nel cap. 12. Tutte le fasi di lavoro della ricerca archeologica più attuale sono molto lente. Nell’ambito del progetto EPUH, di ambienti si è riusciti ad analizzarne e illustrarne, in quattro settimane di lavoro sul campo, 11 in media, e le aree di scavo sono state per la maggior parte molto piccole (complessivamente 42 mq). Se prendiamo a confronto il fatto che l’intera Casa e l’angolo nord-ovest dell’isolato, 1100 mq circa, vennero portati alla luce negli anni 1846–1847 in sette mesi circa, non abbiamo ottenuto molto. Ma il nostro studio costituisce un prezioso lavoro di base che in passato non è stato fatto, e che in avvenire farà da fondamento al lavoro di altri ricercatori. L’obiettivo è quello di mettere a disposizione della comunità scientifica, in modo rapido e sicuro, il materiale relativo alle nostre ricerche. La pubblicazione è in preparazione, e ci si propone di fornire, oltre al libro stampato, database e foto da poter usare facilmente tramite Internet per mezzo di un archivio digitale. Insieme alle informazioni di tutti gli altri progetti che studiano gli isolati di Pompei, il materiale raccolto dai Finlandesi costituisce una banca dati che non è esistita in passato su Pompei. 173