Rend. Fis. Acc. Lincei
s. 9, v. 16:19-73 (2005)
«LE MIRACOLOSE VIRTUÁ DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL
VIVERE HUMANO» DI SCIPIONE VASOLO:
UN TRATTATELLO RINASCIMENTALE SULLE GEMME COME MEZZI PER
MANTENERSI IN SALUTE SENZA RICORRERE A MEDICINE
Memoria (*) di ANNIBALE MOTTANA
ABSTRACT. Ð «Le Miracolose VirtuÁ Delle Pietre Pretiose Per salute Del Vivere Humano» by Scipione Vasolo: a
Renaissance treatise on gems as means to be in good health without medical intervention. An unpublished
miscellaneous manuscript in the Corsinian Library (Corsinianus 901) contains 14 leaves written by a late 16th
century cursive hand of a treaty on precious stones («gems») referred to the authorship of Scipione Vasolo, a poorlyknown late Renaissance writer. This section of the handwritten codex is here edited for the first time, whilst the
following section, dealing with 69 decorative stones («marbles») and illustrated with 58 watercolours, is omitted,
because it is only an abridged copy of Agostino del Riccio's Istoria delle pietre (1597) probably compiled during the
17-18th century. The treaty by Vasolo (dated March 20, 1577) describes the properties attributed to 28 gems to keep
men in good health and merry, and claims their use as being much more effective than medical treatments, as these
lead men to the verge of death. This short text heavily depends upon a series of mediaeval traditions assembled by
Albert the Great that mix the graeco-roman information on stones present in Pliny the Elder, as summarized by
Solinus and Isidore, with prejudices on their medical and magical effects. These can be traced back to alexandrine
Greek tradition (Evax), as made available to latin-speaking medieval Europe by Marbode's poem on stones, and
after some contamination with Arab traditions (e.g., Avicenna). Little original matter can be credited to Vasolo, but
his strong feelings against medicines prepared by physicians and full belief on the medical properties of stone. Thus,
his short treaty is more a literary piece of work than a scientific one. As such, it should be considered to belong to the
tradition of Lithotherapy viz. Crystallotherapy, a pseudo-scientific subject, rather than contributing to Gemmology
i.e., entering the main scientific stream of research activity that ultimately led to modern Mineralogy.
KEY
WORDS:
Crystallotherapy; Gems; Gemmology; Lithotherapy; Medicine; Precious Stones.
RIASSUNTO. Ð Un manoscritto miscellaneo conservato nella biblioteca corsiniana (Corsiniano 901) contiene una
prima sezione di 14 carte, scritte in un corsivo riferibile alla fine del Cinquecento e datata 20 marzo 1577, che eÁ un
breve trattato sulle pietre preziose («gioie») attribuito a Scipione Vasolo, un letterato poco noto del tardo
Rinascimento. Il testo eÁ qui edito per la prima volta. Il trattatello descrive 28 gemme utili a mantenersi in buona
salute fisica e mentale, ed eÁ in dichiarata polemica con i medici e con i loro trattamenti farmacologici basati sulle erbe.
Le descrizioni delle gemme riguardano ben poco le loro caratteristiche fisiche, quanto piuttosto e quasi esclusivamente
le loro facoltaÁ terapeutiche e magiche, secondo una tradizione che risale, tramite Alberto Magno e, prima di lui, alla
traduzione in versi del lapidario di Evace effettuata da Marbodo, alla dottrina greco-alessandrina. Non mancano
accenni ad Avicenna e quindi alla dottrina greco-ellenistica reinterpretata dagli Arabi e da questi trasmessa all'Europa
latina del tardo Medio Evo. La derivazione dalla scienza greco-romana di Plinio, compendiata da Solino ed Isidoro, eÁ
subordinata e di seconda mano. Parecchie delle gemme descritte (7 su 28) sono favolose, percioÁ il trattatello mal
s'inserisce nella contemporanea ricerca sulle pietre preziose da cui trarraÁ origine la moderna Gemmologia scientifica e
rappresenta piuttosto un momento intermedio nella tradizione che porta alla moderna, pseudoscientifica Litoterapia
o Cristalloterapia. La seconda parte del manoscritto miscellaneo, inedita, eÁ un'epitome della Istoria delle pietre di
Agostino del Riccio (1597) compilata probabilmente nel Seicento. Essa contiene le descrizioni di 69 pietre
ornamentali («marmi»); 58 di esse sono anche raffigurate a colori in tavole acquerellate a piena pagina.
(*) Presentata nella seduta del 10 dicembre 2004.
20
A. MOTTANA
INTRODUZIONE
La biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana custodisce, con
segnatura 45.C.27 (Cors. 901), un manoscritto intitolato Gioie e pietre, la cui esistenza
eÁ venuta alla luce(1) in occasione della mostra Il trionfo sul tempo. Manoscritti illustrati
dell'Accademia Nazionale dei Lincei (Roma, Palazzo Fontana di Trevi, 27 novembre 2002
- 26 gennaio 2003) curata da A. Cadei (2002). La prima descrizione del codice si deve a
L.L. (Lorenzo Lazzarini), al quale va anche il merito di aver riconosciuto che il
manoscritto attuale eÁ miscellaneo e consiste di due parti distinte: una prima sulle pietre
preziose (le «gioie»), che eÁ datata 20 marzo 1577 ed eÁ priva di illustrazioni, ed una
seconda, che descrive numerose rocce ornamentali (le «pietre») ed eÁ fitta di illustrazioni a
colori e che fu aggiunta in seguito, a suo parere nell'Ottocento (p. 272). Il Lazzarini ritiene
questa seconda sezione la parte piuÁ interessante del manoscritto per la presenza delle
tavole acquerellate, anche se talora esse sono prive di verosimiglianza o mal riuscite. Egli
ne pubblica due esempi («Africano», p. 271 e «Verde antico», p. 272), ma non
approfondisce l'analisi del testo al di laÁ da una pagina di sommario commento.
Analogamente, egli non va oltre ad una pagina nel descrivere la prima sezione: riporta
solamente i nomi delle ventotto pietre preziose che vi sono descritte e alcuni brevi esempi
del contenuto. Infine, non entra in nessun dettaglio ne sull'autore (o sugli autori), ne sulle
finalitaÁ che egli (essi) si prefisse (prefissero) nell'opera, ne inquadra il volumetto nella
storia della Scienza facendo riferimenti alle conoscenze litologiche e mineralogiche
dell'autore (o degli autori) rispetto a quelle del tempo.
Il mio lavoro ha per scopo non solo la pubblicazione integrale di un testo rimasto
sepolto per secoli tra i fondi di un'antica, importante biblioteca, e cosõÁ finora del tutto
ignoto alla Scienza, ma anche di eseguirne la valutazione ed eventuale valorizzazione
critiche della descrizione delle pietre preziose, con riferimento a quella fase pre-scientifica
di sviluppo della conoscenza dei minerali che porteraÁ, circa tre secoli dopo,
all'individuazione della Gemmologia come disciplina scientifica moderna di tutto
rispetto, ancorche piuttosto anomala e sicuramente marginale rispetto alle Scienze
maggiori (Mottana, 2004). Per questo motivo ± ed anche per una preferenza culturale
mia propria ± mi limiteroÁ a prendere in considerazione, qui, solo la prima sezione del
manoscritto corsiniano, che eÁ sicuramente cinquecentesca e riferibile a chi se ne proclama
autore: il capitano Scipione Vasolo di Pavia(2).
(1) Il volume non era del tutto sprofondato nell'oblio e nella polvere, poiche eÁ citato da Raniero Gnoli,
anche se solo marginalmente, nella bibliografia del suo fondamentale trattato sui «marmora romana» (19882: p.
272), cosõÁ: ``Riccio, A. del, ms senza indicazione di autore e titolo, rilegato insieme al volume Le miracolose virtuÁ
delle pietre, Biblioteca Corsiniana, ms. 45-G, 27''. Questa concisa segnalazione eÁ ripresa da Caterina Napoleone
(1988: p. 112, nota 16) che, correttamente, riconosce che il testo della Corsiniana eÁ una versione ridotta
dell'originale edito da Paola Barocchi (1979). Dunque, il codice era noto, anche se non ne eÁ citato l'autore della
sezione sulle pietre preziose. Viceversa, lo Gnoli dimostra di aver riconosciuto immediatamente che la sezione
sulle pietre ornamentali eÁ tratta dall'opera di A. del Riccio, anche se il nome di questi non vi compare mai.
(2) Non ho compiuto ricerche sull'autore, se non alcune ± piuttosto superficiali ± da cui risulta che, nella
gran massa dei letterati del Cinquecento, egli eÁ una figura del tutto evanescente. Il suo nome compare, scritto
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
21
TrascureroÁ, invece, la sezione successiva, relativa alle pietre ornamentali. Secondo il
Lazzarini (2002: p. 272), l'allora da lui non identificato elaboratore di questa era
apparentemente inteso a «trasformare l'opera di del Riccio in un manuale utile agli
eruditi del tempo» e precisamente agli amatori di pietre e marmi antichi dell'inizio
dell'Ottocento, in un momento in cui era venuto all'attenzione degli studiosi il trattato
Istoria delle pietre del frate domenicano Agostino del Riccio (Firenze, 1541-1598), rimasto
inedito(3). Di fatto, il Lazzarini, forse per la sua scarsa dimestichezza con l'originale, non
si avvide che la seconda sezione era ne piuÁ ne meno che un'epitome dell'opera del
suddetto autore, che doveva essere giaÁ abbastanza nota nel Seicento ai cultori della
materia, ma poteva effettivamente risultare loro di difficile comprensione proprio per
essere privo di un'idonea iconografia.
DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO
Il codice in questione figura presente in toto nella Biblioteca Corsiniana fin dal suo
primo catalogo (1738), vale a dire dal momento stesso in cui la raccolta libraria fu
trasferita dal Palazzo Pamphili a Piazza Navona alla sua sede attuale nel vecchio Palazzo
Riario alla Lungara, per l'occasione rinnovato ed adattato da Ferdinando Fuga a residenza
del cardinale Neri Corsini, nipote di papa Clemente XII che, giaÁ da semplice monsignore,
era stato l'iniziatore di quella raccolta libraria che il nipote arricchõÁ e trasformoÁ nella
Biblioteca Corsiniana aperta al pubblico.
Si tratta un manoscritto cartaceo composto di 65 carte di formato 150 6 215 mm, con
una legatura in cartone rivestito di pelle verde con riquadri e scritte dorati e con impresso
sul dorso, in maiuscoletto e sempre in oro, il titolo: Gioie e pietre. La legatura ± che
sembra essere ottocentesca e quindi posteriore alla cucitura, che deve essere invece
cosõÁ, tanto in questo manoscritto quanto in un suo trattatello a stampa del 1573; eÁ, invece, «Scipione Vasolli» in
un altro suo piuÁ breve scritto a stampa del 1556. Inoltre, un altro suo trattatello manoscritto sulle virtuÁ delle
pietre preziose, dedicato a NicoloÁ Bernardo di San Cervino, principe di Bisignano, era conservato nella
Biblioteca Casanatese di Roma (Narducci, 1869: p. 124, n. 1). Che egli fosse di Pavia e avesse il grado di capitano
sono due sue orgogliose affermazioni di cittadinanza e di stato sociale di cui va preso atto, ma che io non ho
cercato di verificare perche non hanno nulla a che fare con la sua pretesa di essere un esperto di gemme. Ulteriori
informazioni sono reperibili in Gerini (1829: pp. 134-137) e Vasoli (1983: pp. 467-489).
(3) La prima edizione della Istoria delle pietre di Agostino del Riccio, la cui stesura era stata completata nel
1597, si deve a Paola Barocchi (1979) ed eÁ una riproduzione anastatica del codice miscellaneo 230 della
Biblioteca Riccardiana di Firenze. Un'edizione piuÁ completa si deve a Raniero Gnoli e Antonia Sironi (1996).
Questa fu condotta collazionando tre manoscritti: il suddetto Riccardiano 230 (A) che eÁ ± appunto ± tardo
cinquecentesco; una sua copia settecentesca contenuta nelle carte di Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783)
conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (Targioni 54: B) e, infine, una sua copia parziale, fatta
eseguire nella prima metaÁ del Seicento da Cassiano dal Pozzo (1589-1657), che eÁ conservata nella Biblioteca
Nazionale di Napoli (ms. V E, IO: N). EÁ sorprendente che lo Gnoli non abbia utilizzato per questa sua edizione il
manoscritto della Corsiniana da lui stesso riconosciuto un decennio prima (Gnoli, 1988), che eÁ per lo meno
seicentesco. Tutte le citazioni dalla Istoria delle pietre che seguiranno si riferiscono all'edizione 1996, che eÁ
corredata da numerosi commenti dei due curatori e da un indice analitico, compilato inizialmente dal Targioni
Tozzetti, ma opportunamente aggiornato.
22
A. MOTTANA
almeno dell'inizio del Settecento, se non eÁ addirittura seicentesca ± presenta vari piccoli
danni sia sul dorso sia sui piatti. Le carte(4) mostrano diffuse corrosioni da inchiostro, che
trapassa dal fronte al retro di ciascuna o viceversa, e che si rendono visibili come virgole
scure, talvolta sovrapponendosi al testo della facciata retrostante e rendendo difficile su di
questa la distinzione tra «i» ed «e».
La sezione riguardante le pietre preziose comprende 14 carte, ed inoltre tre carte
d'apertura probabilmente non coeve col testo. La primissima carta del codice, infatti, non
numerata se non con un sottile numero 1 romano in alto a destra e sicuramente posteriore
al testo gemmologico, eÁ il frontespizio (fig. 1), scritto sul solo recto. Contiene il numero
d'ordine del codice secondo il catalogo corsiniano del 1738, il titolo, la dedica, il nome
dell'autore e l'indicazione della consistenza: 65 carte, appunto, comprensive, quindi,
anche della successiva sezione concernente le pietre ornamentali(5). Il tutto eÁ scontornato
da un semplice fregio geometrico. Le parole sono scritte in colore nero, prevalentemente,
ma con le iniziali maiuscole ed in rosso, ed interamente in rosso e maiuscolo sono il nome
e il titolo della dedicataria: Felice Orsini, viceregina di Sicilia(6). Alcuni semplici fregi in
rosso separano i quattro blocchi grafici relativi a codice, titolo, dedica ed autore. Segue
una carta (numerata di nuovo con 1 in alto a destra sul recto) scritta su entrambe le
facciate. Oltre che esservi ripetuta la dedica, essa contiene una fiorita captatio
benevolentiae, su cui ritorneremo perche vi sono contenute le motivazioni, cortigiane in
parte, ma anche di preferenza culturale, che hanno indotto l'autore alla redazione del
(4) Mi riferisco sempre e solo alla sezione iniziale del codice, quella d'interesse gemmologico.
(5) Caduta, sull'incontestabile evidenza documentaria del catalogo 1738, l'ipotesi che questa parte sia stata
compilata nel primo Ottocento (Lazzarini, 2002: p. 272), eÁ possibile proporre, in alternativa, che essa sia stata
predisposta nel Seicento per Cassiano dal Pozzo, notissimo cultore di materie naturalistiche e amatore di
antichitaÁ, in un periodo vicino a quello (prima del 1649) in cui egli fece trascrivere il codice Riccardiano 230 di
Agostino del Riccio anche per quella parte che si trova ora a Napoli. Per chiarire a se stesso il contenuto del testo
fiorentino, egli puoÁ aver voluto che nella sua copia fossero rappresentati anche i «marmora romana», che gli
erano familiari per la sua lunga residenza a Roma e che, se fino ad allora erano giaÁ noti agli studiosi sotto forma di
collezioni di frammenti, non erano mai stati descritti in forma grafica stampata e, tanto meno, illustrati. Questa
ipotesi ± che richiederaÁ altri studi per essere suffragata ± ben si adatta al carattere di uno studioso barocco che
spese gran parte del suo tempo e del suo patrimonio a costituirsi un «museo cartaceo» (Solinas, 2000), vale a dire
una raccolta di figurazioni a colori di oggetti che gli era impossibile acquistare, ma di cui voleva in ogni caso poter
disporre e avvalersi per i suoi studi. Si notino, in particolare, le affinitaÁ stilistiche tra le due raffigurazioni ad
acquerello di «Marmo Africano» che sono riportate a colori, rispettivamente, dal Lazzarini (2002: p. 271) e dalla
Napoleone (1989: p. 99).
(6) La dedica a questa gentildonna, del ramo abruzzese degli Orsini (?-1596), era tempestiva. Si trattava,
infatti, della moglie di Marcantonio II Colonna (1535-84), primo principe di Paliano (1561), capitano generale
delle fanterie spagnole in Italia durante la guerra di Siena (1553-55), contestabile di Napoli e ammiraglio della
flotta pontificia alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), che era stato nominato vicere di Sicilia con mandato
triennale rinnovabile proprio all'inizio dello stesso anno 1577 e che tale rimarraÁ fino al 1583. Ne esiste un ritratto,
eseguito probabilmente da Scipione Pulzone (o da un suo allievo), nella sala del trono annessa alla Galleria
Colonna di Roma (n. 150) a fianco di quello del marito, pure opera del Pulzone. Nel 1582 Marcantonio Colonna
fece iniziare a Palermo la costruzione di una nuova porta urbica all'inizio del rettilineo che collega il mare col
CaÂssaro (l'attuale Palazzo dei Normanni) e la dedicoÁ alla moglie (Porta Felice), forse per rabbonirla dopo la
scoperta di una sua impresa lasciva terminata in modo criminale.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
23
trattato: esse sono importanti a chiarire l'ambiente culturale e le convinzioni del suo
autore. Segue un'altra carta introduttiva, anch'essa numerata con 1 in alto a destra, in cui
sul recto sono indicati luogo e data della redazione e, in basso a destra, il titolo, il nome e
la cittadinanza dell'autore. Sul verso, non numerato, un elegante sonetto vergato con
inchiostro nero, ma con le lettere iniziali d'ogni verso in maiuscolo ed in rosso, riformula
le lodi dell'Orsini, il cui nome di battesimo ± secondo un uso del tempo ± eÁ inserito
integralmente (evidenziato in rosso e in lettere maiuscole) nel penultimo verso.
Il vero trattato sulle pietre preziose inizia al recto della carta numerata con 2 (sempre
in alto a destra e solo sul recto) e continua senza alcuna interruzione fino al verso della
carta 14. Comincia di nuovo col titolo (in cui, peroÁ, la specifica «preziose» eÁ omessa) e con
l'indicazione dell'autore (col suo grado militare e la cittaÁ d'origine), quindi entra
direttamente in argomento. Prima peroÁ di descrivere e discutere il contenuto del testo,
occorre precisare le caratteristiche grafiche del manoscritto.
Su ciascuna facciata delle carte la scrittura, che si dipana senza interruzioni in modo di
occupare tutto lo specchio (95 6 156 mm), eÁ distribuita su righe equidistanti accuratamente
tracciate col righello e ben visibili. Esse sono o 17 o 18 per facciata, secondo un rapporto
numerico 9:4 che probabilmente non ha alcun significato perche si trova sia sul recto sia sul
verso delle carte, ma senza ne un ordine ne un'alternanza regolare apparente. La regolaritaÁ
del ductus e l'equidistanza della scrittura si modificano un po' verso la fine del manoscritto,
allorche i titoli dei capitoli concernenti le singole pietre, in luogo di essere scritti al centro di
una riga giaÁ delineata lasciando una riga vuota sopra e sotto (oppure almeno una riga al di
sotto, che serve in ogni modo a meglio evidenziare il cambiamento d'argomento (7)), sono
scritti a cavallo di due righe, senza alterarne la regolaritaÁ dell'equidistanza, ma risultando cosõÁ
in posizione asimmetrica rispetto alla normale sequenza.
La scrittura del testo sulle pietre preziose eÁ un corsivo tipicamente tardo-cinquecentesco con molte reminiscenze della scrittura cancelleresca, soprattutto nelle maiuscole
che identificano la maggior parte dei sostantivi (ma non tutti, e senza una sistematicitaÁ
apparente). La prima lettera di ciascun titolo e quella all'inizio di ciascun capoverso d'ogni
capitolo, anche interno, sono sempre evidenziate: sia perche in rosso, sia perche sono
scritte in un carattere capitale maiuscolo diritto molto geometrico. I singoli capoversi
contengono spesso piuÁ frasi, collegate da un & o da un «et» oppure separate da un punto
e virgola, e sono di solito terminati da una piccola croce in luogo del punto. L'ortografia eÁ
antiquata ± ovviamente ± e spesso incerta. EÁ costante l'uso della «u» tanto per «u» quanto
per «v» all'interno della parola, e della «v» in luogo della «u» all'inizio di parola(8). L'uso
della lettera singola «û» in luogo della doppia «ss» eÁ casuale: in una stessa pagina si
possono avere entrambe.
(7) In un solo caso (c. 12r: Oftalmia) mancano tutte e due le righe vuote che isolano ed evidenziano il titolo.
Un caso a se stante eÁ anche quello della primissima pietra descritta: il diamante. Il titolo del capoverso si limita al
solo nome, centrato, ma sulla stessa linea del testo che lo introduce, ed evidenziato da una riga lasciata in bianco
al di sotto. Queste piccole alterazioni nel ductus non modificano l'impressione d'accuratezza ed eleganza formale
che daÁ, nel suo insieme, questa parte del manoscritto.
(8) Nella trascrizione si eÁ sempre seguita la norma ortografica moderna.
24
A. MOTTANA
Le abbreviazioni sono varie, ma nel complesso piuttosto poche: a) un apostrofo
sostituisce la vocale finale in parole che ne precedono un'altra che inizia con vocale, anche
in posizioni che l'uso moderno tende a rifiutare; b) soppressione della «n» sostituita da un
marcato accento acuto sopra la vocale che precede, oppure da uno svolazzo orizzontale
sopra la consonante precedente; c) abbreviazione all'interno, spesso con uno svolazzo, per
parole di largo uso, soprattutto se poste in fine di riga (e.g., qeÄsti, qelli, qale); d)
troncamento di parole lunghe ed ovvie, con la loro terminazione aggiunta in piccolo
nell'interlinea superiore (e.g. Ill.ma, Sig.ra). Tutte queste forme d'abbreviazione sono
spesso casuali e sempre facili da sciogliere(9) grazie al contesto.
La divisione delle parole alla fine di una riga eÁ costantemente secondo sillabe. Quando
il testo ha una parola troppo lunga che dovrebbe debordare dal margine destro dello
specchio di scrittura, pur di mantenerne la geometria squadrata essa eÁ interrotta con un
segno «=» al termine della sillaba opportuna e poi ripresa senz'altro nesso nella riga
successiva, al margine di sinistra. Viceversa, se la parola piuÁ prossima alla fine di una riga eÁ
corta abbastanza, ma lascia uno spazio troppo esiguo per la sillaba iniziale della parola che
segue, eÁ inserito un segno serpentino (j) in modo di colmare il vuoto, ed eÁ calibrato in
modo da mantenere la perfetta squadratura del margine destro.
In genere, l'amanuense mostra sempre molta cura nel mantenere perfetta la
squadratura del suo scritto nello specchio. Tuttavia, ci sono eccezioni: in tre casi egli
segue l'uso ± comune nei manoscritti, ma presente anche negli stampati dell'epoca ± di
sottoscrivere nel margine destro in basso della pagina l'inizio del testo che segue (c. 3v:
greti, a terminazione di se=greti; c. 10v: Mal caduco), in un caso anche abbreviandola (c.
11v: La psona). Si tratta sempre di un rinvio dal verso di una carta al recto di una carta
nuova, forse per una pratica ricorrente di alzarsi dallo scrittoio per andare a prendere un
foglio successivo dalla risma giaÁ piegata e tagliata.
Altra cosa sono le correzioni. Ve ne sono di tre tipi: a) errori di cui il copista si eÁ
accorto immediatamente (e.g. inizi di parola sbagliati) e che immediatamente risolve
semplicemente cassando le lettere sbagliate con una riga orizzontale, b) dittografie: la
seconda parola eÁ cassata, in questo caso da tre righe orizzontali parallele, c) omissioni
testuali. Le omissioni brevi sono semplicemente inserite nell'interlinea superiore, in corpo
minore (e.g. che, et). A quelle lunghe, invece, eÁ riservato un trattamento particolare. Si
tratta di due soli casi: c1) nella c. 5r, tra la quarta e la quinta riga, sono inserite nel margine
di sinistra, in un corpo leggermente minore, le parole «gl'occhi da» mancanti nella quarta
riga, che sono poi collegate con la parola d'inizio della quinta riga («le Caterate») tramite
un breve tratto ondulato; c2) nella c. 13r, la frase mancante alla quattordicesima riga era
piuttosto lunga, cosicche l'amanuense risolve il problema in altro modo: aggiunge tutto
cioÁ che doveva, ma riducendo il corpo di molto e applicando tutte le abbreviazioni
possibili; inoltre, non bastandogli questi artifizi a concludere prima del margine destro e
non volendo introdurre inchiostro in questo, fa scendere l'ultima parola della frase
aggiuntiva («Agosto») nell'interlinea inferiore.
(9) CosõÁ eÁ stato fatto nella trascrizione.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
25
EÁ da notare che, nei due casi or ora descritti, la scrittura del testo inserito si presenta
notevolmente diversa dal resto dello scritto: non si tratta piuÁ di un corsivo ampio e
scorrevole, inclinato e ricco di legature, ma di un semicorsivo, quasi un tondo, piuÁ piccolo,
stretto e piuttosto spigoloso. EÁ una mano diversa, un'integrazione posteriore, che quasi
certamente corrisponde al momento in cui al manoscritto gemmologico tardocinquecentesco fu aggiunta la sezione sulle pietre ornamentali. Anzi, queste parole
aggiuntive ben si accordano, nella scrittura, non solo con la seconda sezione del volume,
ma anche con la sua introduzione, costituendo quindi un ragionevole indizio che
anch'essa fu aggiunta al momento della realizzazione dell'intero volume, all'inizio del
Settecento, probabilmente trascrivendo l'introduzione e la dedica originali, ma dando
cosõÁ una spiegazione dell'alto numero di carte (65) indicato sul frontespizio.
Concluso quindi l'esame formale del manoscritto, posso ora passare alla sua
trascrizione ed all'esame del contenuto. Preciso di avere usato, in questa trascrizione, il
carattere tondo laÁ dove il codice ha il semicorsivo e il carattere corsivo (italico) laÁ dove
esso ha il corsivo.
La trascrizione del trattatello eseguita secondo le modalitaÁ precisate qui sopra eÁ
riportata in Appendice. Dato che si tratta di uno scritto perfettamente leggibile sotto
l'aspetto sia linguistico sia letterario, non mi eÁ parso necessario darne altra spiegazione che
non sia quella strettamente tecnica, vale a dire relativa al significato assunto da ciascuna
gemma tanto nel contesto storico dell'epoca quanto nella sua corrispondenza attuale.
Tutto cioÁ saraÁ sviluppato nel capitolo seguente. Occorre peroÁ che chiarisca che l'analisi
che seguiraÁ potraÁ apparire esauriente solo se si effettueraÁ la lettura del manoscritto per
pezzi distinti, vale a dire separatamente, uno dopo l'altro, per i singoli capoversi in cui lo
stesso Vasolo suddivide il suo manoscritto. A prima vista si nota, infatti, che il trattatello,
essendo di compilazione, eÁ stato concepito per sezioni separate, ciascuna delle quali non
anticipa ne si lega con quelle seguenti. In altre parole: non si evince dal testo un filo
conduttore unico, se non quello di lodare le pietre per le loro virtuÁ e di gettare discredito
sulle medicine.
Nasce quindi spontanea una domanda: «ma se questo trattatello eÁ un'opera
occasionale, d'intento ottativo e di tipo letterario, che bisogno c'eÁ di effettuarne
un'edizione a stampa e corredarla di un commento su basi strettamente scientifiche?
Non eÁ meglio lasciarlo nell'ombra in cui eÁ rimasto per secoli?».
La mia risposta eÁ che una pubblicazione eÁ opportuna, non perche ne potraÁ risultare
un contributo fondamentale alla Scienza, ma perche anche un piccolo brandello che
permetta di capire quale fosse lo stato in passato della ricerca e della valutazione delle
gemme puoÁ risultare utile al fine ultimo dello studio su come si sono sviluppate le scienze
mineralogiche. Il Rinascimento, sotto questo aspetto, eÁ un periodo tra i meno studiati
(certo molto meno del Medioevo e in particolare del Trecento, quando sono stati scritti i
lapidari italiani piuÁ significativi) e quindi ogni opera rinascimentale contribuisce a farlo
comprendere.
26
A. MOTTANA
ANALISI DEL TESTO
Struttura.
Il trattatello comincia con una dedica (di cui si eÁ detto: fig. 2) e con una breve introduzione
in cui se ne precisano le finalitaÁ: anzitutto, rendere bene accetto l'autore a Felice Orsini(10) e,
tramite lei, alle altre signore titolate (verso le quali egli afferma di avere sempre mostrato una
gran buona disposizione d'animo(11)); in secondo luogo, sconsigliare a lei e a tutte l'uso delle
medicine, tramite le quali i medici portano gli uomini in pericolo di morte, sostituendole con le
pietre, che hanno facoltaÁ utili non solo a conservare la salute e a procurare una lunga vita, ma
anche a sollevare lo spirito rincuorandolo dalla tristezza indotta dal dolore fisico. Non manca,
infine, un invito piuttosto esplicito e diretto a favorire i poveri ed afflitti «virtuosi», tra cui, in
modo particolare anche se in forma allusiva, l'autore stesso. Seguono data e firma.
Segue poi un sonetto in onore dell'Orsini, di cui si lodano le qualitaÁ personali,
confrontandole abilmente sia con le gemme, sia con le perle, sia con l'oro.
Dopo una ripresa del titolo e una seconda motivazione, in parte nuova anche nei contenuti,
perche l'autore non solo vi propone di nuovo il suo convincimento sull'utilitaÁ delle pietre
preziose, ma afferma anche che esse sono molto piuÁ efficaci delle erbe(12) e delle parole(13) a
portare salute e letizia, inizia la descrizione delle facoltaÁ («virtuÁ») di 28 pietre, talora definite
preziose, talora non definite tali e tuttavia rare e degne di considerazione proprio per la
capacitaÁ che possiedono di mantenere chi le porta in buona salute. Nell'ordine, e secondo la
scrittura usata dal Vasolo, esse sono: diamante, rubino, zaffiro, smeraldo, elitropia, giacinto,
granata, spinella, agata, grisolito, amathista, sardonio, berillo, torchina, smeragdo, iris, galasia,
ambra, dragonite, aquilina, orite, calcidonio, celidonio, largate, oftalmia, silonite, alettorio e
lapislazoro (tab. I)(14). L'esposizione eÁ, nella maggior parte dei casi, piuttosto concisa e un po'
(10) La dama, oltre che come viceregina, eÁ gratificata dal titolo «Col.A». Non capisco se esso significhi
«colendissima» oppure «colonnella», ma non penso che cioÁ abbia importanza: certo non per le gemme.
(11) L'affermazione apparirebbe, a prima vista, un po' gratuita e solo cortigiana ed insinuante, se non fossimo a
conoscenza che egli era stato autore, qualche anno prima (Vasolo, 1573), di un altro trattatello dal titolo La gloriosa
eccellenza delle donne, e d'amore che s'inserisce in senso buono nell'atteggiamento genericamente antifemminista
diffuso nell'Italia del Cinquecento (Dialeti, 2003; cf. Zonta, 1913). In quell'opera il Vasolo difendeva, al tempo stesso, il
genere femminile e l'amore, il ruolo delle donne nella societaÁ, la loro moralitaÁ e la loro integritaÁ intellettuale. In
sostanza, egli cercava di mostrare come donna ed amore non siano in conflitto tra loro, ma anzi si armonizzino e si
esprimeva come grande estimatore di entrambi. Sembrava, anzi, ritenere, rifacendosi alla tradizione neo-platonica, che
le donne siano un veicolo al raggiungimento della perfezione da parte dell'uomo tramite appunto il loro amore. Inoltre
(ma l'articolo della Dialeti non ne fa cenno), ancor prima (1556) un tale Scipione Vasolli, che identifico con lui, aveva
pubblicato insieme, in un unico volumetto a stampa, due altri suoi brevi scritti in lode delle donne. In questo suo
trattato sulle gemme l'autore sembra, quindi, richiamarsi al credito che riteneva di aver acquisito presso le donne di
garbo e ad una di loro si appella in modo particolare.
(12) Si riferisce, ovviamente, alle erbe medicinali, che all'epoca erano la base d'ogni farmacopea (Matthioli, 1544,
1568). EÁ, infatti, alla metaÁ del Cinquecento che cominciano a sorgere in Italia gli orti botanici (Pisa ca. 1543, Padova
1545, Firenze 1550, ecc.), naturale sviluppo dei medievali giardini dei semplici e aventi come scopo primario di far
crescere e maturare per i principi le nuove erbe salutari che erano allora importate da tutto il mondo.
(13) Intendo che il Vasolo alluda, con questo termine, alle varie suasorie piuÁ o meno religiose o filosofiche con le
quali si cercava di alleviare le sofferenze fisiche del malato trasferendone l'attenzione ad una futura felicitaÁ superiore.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
27
TABELLA I. ± Indice e nomi antichi e moderni delle pietre citate nel testo.
Scipione
VASOLO
(1577)
Në
Agata
Alettorio
Amathista
Ambra
9
27
11
18
Aquilina
Berillo
Calcidonio
Celidonio
Cristallo,
cristallo di
rocca
Diamante
ALBERTO MAGNO MARBODO
Attuale nome specifico VarietaÁ gemma
(ca. 1254 - 1262)
(ca. 1061 - 1081) (2004)
(o semipreziosa)
Agathes
Alecterius
Amethystus
Suetinus [= succinus]
(eliciam = electrum;
lubra = lambra;
gagates, kacabre)
20
Echites
(aquileus, erodialis)
13
Beryllus
22
Chalcedonius
23
Celidonius
16 bis Crystallus
1
Dragonite
Elitropia
Galasia
19
5
17
Giacinto
6
Granata
7
Grisolito
10
Iris
16
Lapislazoro 28
Largate
Oftalmia
Orite
Rubino
24
25
21
2
Sardonio
12
Silonite
Smeragdo
Smeraldo
Spinella
Torchina
Zaffiro
26
15
4
8
14
3
Adamas
(diamant)
Draconites
Eliotropia
Gelosia
Achates
Allectorius
Ametistus
Gagates
Quarzo
[organico]
Quarzo
[resina fossile]
[lignite picea]
Agata
±
Ametista
[Ambra]
[Giaietto]
Echites
[organico]
±
Berrilus
Calcedon
Chelidonius
Cristallus
Berillo
Quarzo
[geode]
Quarzo
Goshenite
Diaspro
±
Cristallo di rocca
Adamas
Diamante
±
Eliotropia
Gelatia
[organico]
Quarzo
Corindone (?)
±
Eliotropio
Zaffiro incolore
(leucozaffiro)
Giacinto
Hyacinthus
Iacinctus
(aquaticus, saphirinus)
Granatus
(granatus)
Chrysolitus
Iris
Zemech
(lapis lasurii; saphirus)
Gagatronica
Ophthalmus
Oristes
Carbunculus (anthrax,
rubinus)
Sardinus (sardonyx)
Celontes
Smaragdus
Balagius
Turchois
Saphirus
(sirites, sirtites)
Zircone
Granato
(varie specie)
Crisolitus
Iris
Sapphirus
Forsterite
Quarzo
[roccia a lazurite]
Gagatromeo
Optallius
Orites
Carbunculus
(anthrax)
Sardus (sardonix),
onix, sardius
Chelonites
Smaragdus
Smaragdus
?
Opale
?
Corindone
Sapphirus
(syrtites)
Granato rosso
(piropo: rubino del
Capo; almandino)
Peridoto (crisolito)
Iride
Lapislazzuli
Opale arlecchino
Rubino
Quarzo
Sarda (?)
[organico]
Berillo
Berillo
Spinello
Turchese
Corindone
[madreperla?]
Smeraldo
Smeraldo
Spinello rosso
±
Zaffiro
28
A. MOTTANA
monotona: comincia con un qualche accenno sull'aspetto esteriore della pietra, seguito dalla
virtuÁ singola o dalle molteplici virtuÁ che le sono attribuite; segue un aneddoto o un esempio,
ma solo per le pietre piuÁ importanti.
Senza alcuna soluzione di continuitaÁ dopo il passo sul lapislazzuli segue, infine, un
brano conclusivo, in cui l'autore ribadisce le sue convinzioni e i suoi pregiudizi contro
medici e medicine (fig. 3).
Fonti dichiarate.
Il Vasolo cita, come suoi ispiratori, quattro personaggi illustri e un nome collettivo (c.
10v: «Antiqui Filosofi»). TrascureroÁ quest'ultimo, perche troppo generico, quasi di
comodo(15), per passare a verificare quanto, delle informazioni che vuol trasmettere a
Felice Orsini, egli effettivamente tragga dagli autori che l'hanno preceduto e che egli
afferma essere le sue fonti.
Richiamo l'attenzione sul fatto che, a questo proposito, il Cinquecento eÁ un secolo
importantissimo per il rinnovamento e lo sviluppo della Gemmologia, poiche vide
arrivare in Europa un'enorme quantitaÁ di gemme, non tutte nuove, forse ± poiche i
circuiti commerciali di beni di lusso di questo tipo erano stati aperti fin dalla piuÁ remota
antichitaÁ (16) ± eppure sicuramente in una quantitaÁ e di una varietaÁ tali da essere del tutto
inusitate per l'Europa d'allora. Rimando, per questo, ad altro mio lavoro (Mottana, in
preparazione), non senza aver fatto osservare che giaÁ tempo fa, in un brevissimo brano in
un contesto del tutto diverso (Mottana, 1999: p. 194, n. 89), accennavo alla sequenza
temporale di testi letterari attraverso la quale sono penetrate in Italia le sempre maggiori
informazioni sulle gemme che gli intraprendenti mercanti soprattutto toscani e veneti
avevano raccolto nel periodo compreso tra il tardo Medio Evo (1282: Restoro d'Arezzo,
prima nostra fonte scritta in volgare(17)) e l'inizio del Barocco(18) (1597: Agostino del
(14) In realtaÁ, nel trattatello si accenna a 31 pietre preziose. Oltre alle 28 descritte singolarmente, tra cui un
doppione (smeraldo, c. 5r, e smeragdo, c. 6v) da togliere dal numero, sono citati il quarzo (cristallo, cristallo di
rocca, c. 9r), il corallo (c. 13v) e due diversi tipi di sostanza vegetale fossile (c. 9v): una chiara (resina) che
corrisponde all'ambra e una nera (lignite) che eÁ il nostro giaietto.
(15) Sempre che il Vasolo non faccia riferimento alla Turba philosophorum, un testo alchemico medievale,
anonimo, che era stato pubblicato a stampa per la prima volta solo pochi anni prima (1572). In questo testo,
frammezzo ad una congerie di astrusitaÁ, sono contenute informazioni su mitiche proprietaÁ magico-mediche
attribuite alle pietre preziose (Ruska, 1931): esse si erano sviluppate probabilmente in India in un periodo
indefinito, ma in ogni caso precedente al X secolo AD, quando ne era stata redatto il rimaneggiamento in arabo
dal quale, nel XII secolo, era poi derivata l'anonima traduzione latina (Plessner, 1975).
(16) Il lapislazzuli di Sar-i-Sang in Badakhshan (Afghanistan), la cui prima coltivazione si stima risalire al VII
millennio a.C., era giaÁ da tempo trasportato per via carovaniera in Sumeria (Iraq) dove eÁ stato ritrovato nello strato
archeologico denominato Uruk III, databile a poco prima del 3300 a.C. (Bob'ilev [Wobylew], 2000: pp. 86-89).
(17) Intendo fonte letteraria, perche importanti informazioni su nomi, provenienze e valore delle gemme si
hanno in numerosi documenti mercantili di molto tempo prima, anche se, per lo piuÁ, non in italiano, ma in un
grossolano latino (e.g., Genova 1253, cf. Byrne, 1935).
(18) Mi rendo conto di commettere un abuso, quando trasferisco nomi concepiti dalla Storia dell'Arte, come
Rinascimento e Barocco, ad un campo del tutto diverso quale la Storia della Scienza, ma non so offrire
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
29
Riccio). Fu proprio con l'inizio del Barocco che i dati disponibili sulle gemme e su altre
sostanze solide naturali cominciarono ad essere riesaminati in forma critica e ad essere
trasferiti dall'ambito medico-magico a quello della Scienza dei minerali, allora in via di
formazione.
I quattro autori cui il Vasolo asserisce di fare riferimento e ai quali attribuisce il titolo
onorifico di «Philosofi» (c. 9v), sono Alberto Magno, Aronne, Avicenna ed Evace. Il
primo eÁ menzionato nel testo per ben tre volte, mentre i tre ultimi lo sono una sola
volta(19).
Quanto ad Aronne («Aaron»: c. 9v), il pensiero del Vasolo sicuramente non va al
presunto inventore di pratiche alchimiche ricordato nelle tradizioni arabe (e.g., Ibn anNadim, KitaÅb al-fihrist, in Berthelot, 1893: v. 3, p. 27), ma al biblico fratello di MoseÂ, che eÁ
citato dalla Bibbia nel passo in cui viene descritto il pettorale (rationale) che Dio aveva
dato incarico di confezionare come simbolo dell'unitaÁ religiosa e nazionale delle dodici
tribuÁ di Israele e, quindi, come importante componente della veste cerimoniale che
competeva ad Aronne nella sua qualifica di sommo sacerdote (Esodo, 28, 17-20: cf.
Gilmore, 1968). Un riferimento alla tradizione biblica non poteva certo mancare in uno
scritto compilato a Roma durante la Controriforma(20), ma, di fatto, eÁ come se non ci
fosse, perche non vi eÁ nulla ne nella Bibbia, presa nella sua formulazione letterale, e
neppure nelle sue interpretazioni allegoriche, tanto medievali quanto contemporanee al
Vasolo, che si presti alle finalitaÁ mediche conclamate dal trattatello(21).
PiuÁ concreto e specifico eÁ il riferimento ad Avicenna (c. 10r), anche se volutamente
reso oscuro dal Vasolo per ragioni di «rispetto». Avicenna (o meglio: AbuÅ `AlõÅ al-Husayn
b. `Abd AllaÅh ibn SinaÅ: AfsÏanaÅ, ca. 980 ± HamadhaÅn, 1037) fu, infatti, uno dei massimi
un'alternativa valida. Anche altri, di fronte a questo problema, hanno adottato la mia stessa soluzione: p. es., tra
tutti, discutendo dello sviluppo della lingua letteraria anche in campo scientifico, l'Altieri Biagi (1985: p. 94).
Intendo, quindi, i due termini nel doppio significato cronologico e culturale introdotto dal Burckhardt (1855,
1860) e, in particolare, secondo le rivisitazioni effettuate, rispettivamente, da Kerrigan e Braden (1989) e dal
Kurz (1960). Alla stessa stregua, quando uso i termini Controriforma e Manierismo mi riferisco all'atteggiamento
culturale tra il repressivo e il ripetitivo che a Roma predominava nella seconda metaÁ del Cinquecento, ma che
ancora puoÁ essere fatto rientrare nell'atmosfera artistico-culturale del Rinascimento, sia pure nella sua fase tarda
tendente a degenerare (quindi, all'incirca, 1540-1590: cf. Weisbach, 1919).
(19) Escludo senza esitazione da ogni considerazione ulteriore il quinto nome di persona presente nel
trattatello: Alcide, cioeÁ Ercole (= Eracle, figlio di Anfitrione e di Alcmena e nipote di Alceo). Non solo si tratta di
un mito, ma egli eÁ citato solo come testimonio della virtuÁ d'una pietra, la largate (c. 12r), che eÁ essa stessa favolosa
e il cui nome fu probabimente inventato proprio dal Vasolo, perche non ha un riscontro diretto in nessun altro
lapidario.
(20) La descrizione dettagliata delle dodici pietre del rationale saraÁ, infatti, di lõÁ a pochi anni, l'oggetto di una
ponderosa dissertazione, con una discettazione complessa sul loro significato allegorico, scritta da un archiatra
pontificio molto ben introdotto negli ambienti di Santa Romana Chiesa (Bacci, 1587). Alcuni anni prima un
prelato francese (Rueus, 1547) aveva discettato sul significato delle gemme descritte nell'Apocalisse, e il suo
studio fu poi ripreso ancora dal suddetto medico e poligrafo in un piuÁ esteso scritto che peroÁ apparve postumo
(Baccius, 1603).
(21) Il nome «Aaron» eÁ, peroÁ, presente nel libro di Alberto Magno (II, II.1), che il Vasolo considera la sua
fonte principale.
30
A. MOTTANA
studiosi di farmacologia di lingua araba e, in particolare, fu l'autore del piuÁ influente
trattato di medicina del Medioevo: il Canon medicinae (al-QanuÅn fõÅ'l-t,ibb) che, nelle sue
due traduzioni latine, prima quella letterale di Gherardo da Cremona (1114-1187) e poi
quella rielaborata con una serie di aggiornamenti da Andrea Alpago (m. 1520), rimase in
uso come testo fondamentale nelle universitaÁ europee fino ad oltre la metaÁ del Seicento.
Nel Canone di Avicenna(22) e nell'altra sua quasi sterminata produzione scientifica eÁ peroÁ
improbabile se non impossibile rintracciare il riferimento all'ambra. Egli indubbiamente
la prese in considerazione, probabilmente laÁ dove descrive il modo di curare le malattie
femminili, ma rintracciare proprio dove e come richiederebbe un tempo troppo lungo in
proporzione al risultato, tanto piuÁ che ± con ogni probabilitaÁ ± la spiegazione che ne diede
Avicenna fu dal Vasolo o largamente fraintesa o volutamente purgata, per le suddette sue
ragioni di «degno rispetto» (vedi oltre).
La terza fonte d'informazioni del Vasolo («Evax»: c. 9v) eÁ anch'essa riferita in un
modo piuttosto impreciso, ma eÁ meno problematica. Nella tradizione lapidaria medievale,
l'opera riferita ad Evace ha avuto un'influenza duratura e tutt'altro che secondaria, anche
se la reale personalitaÁ dell'autore fu sempre sfuggente, e tale eÁ rimasta anche ora. Si volle
che si trattasse di un re arabo cultore di farmacologia che Plinio il Vecchio (Como, 23 ±
Stabia, 79) avrebbe citato nella Naturalis Historia come autore di un testo sugli effetti dei
semplici (Evax rex Arabum qui de simplicium effectis ad Neronem conscripsit: XXV, 8). Di
fatto, peroÁ, il suo nome non figura nell'enciclopedia pliniana, o meglio: non figura nelle
moderne edizioni critiche di essa (e.g., Conte et al., 1982-88), dopo che giaÁ nel Seicento fu
dimostrato (Hardouin, 1685) che quella frase eÁ un'interpolazione, forse duecentesca, nei
manoscritti che servirono per la stampa dell'editio princeps del 1469. Per altro, doveva
trattarsi di un fraintendimento ben piuÁ antico, poiche l'attribuzione ad Evace di un testo
sulle gemme dedicato a Nerone si ritrova giaÁ nella lettera dedicatoria della prima versione
di un lapidario che eÁ attribuito al mago Damigerone, perduto nella versione greca, ma
noto nella sua traduzione in latino effettuta probabilmente nel V o VI secolo AD (Barb,
1963: p. 119), anche se ci eÁ pervenuta solo in un manoscritto della fine del XI (Cavensis 3).
L'importanza concordemente attribuita ad Evace nella letteratura lapidaria si evince giaÁ
dal fatto che questo testo, che ha trovato conferma in un secondo ramo della tradizione
manoscritta(23), eÁ ora pubblicato sotto la paternitaÁ congiunta «DamigeÂron-EÂvax»
(Halleux e Schamp, 1985: pp. 190-297). Questo testo composito eÁ il principale ispiratore
del poema De lapidibus seu de gemmis scritto da Marbodo, vescovo di Rennes (Angers,
1035-1123)(24). Questo poema eÁ, di fatto, un'epitome versificata proprio del primo
(22) Ne ho consultato, piuttosto superficialmente, l'edizione giuntina (Avicenna, [1473] 1608).
(23) La tradizione, infatti, si articola in due gruppi, ciascuno con tre manoscritti principali: la version ancienne o
CPT (di cui fa parte il Cavensis 3, che eÁ il piuÁ antico in assoluto) e la version alphabeÂtique o BAM (il cui termine piuÁ
antico eÁ il Bodleianus Hutton 76, dell'inizio del XII secolo). Questo secondo gruppo differisce dal primo non tanto
per il contenuto (pur presentando un certo numero di additiones alle 60 pietre descritte dal primo), ma nella
sequenza alfabetica in cui sono descritte le gemme, che riflette una tendenza alla catalogazione erudita diffusasi in
Europa con la ripresa degli studi all'inizio del XII secolo (Halleux, 1974; Halleux e Schamp, 1985: pp. 193-204).
(24) Questo poema in esametri, scritto in data imprecisata, ma certamente prima del 1096 quando l'autore
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
31
lapidario latino che va ora sotto il nome congiunto di Damigerone ed Evace (quello che
descrive 60 pietre: vedi sopra): eÁ lo stesso Marbodo che dichiara di aver estratto il suo
poema da quell'opera ponderosa per trasformarla in un libretto di minor mole e di piuÁ
agevole consultazione (vv. 5-6: hoc opus excerpens dignum componere duxi aptum gestanti
forma breviore libellum). Il miglior riconoscimento che il contenuto scientifico-didascalico
del poema rifletteva in modo integrale quello del lapidario di Damigerone ed Evace si
ricava chiaramente proprio dal fatto che durante tutto il Medioevo il poema stesso fu
spesso indicato come l'Evax, trascurandone l'autore effettivo (Riddle, 1977: pp. 34-92).
CosõÁ fa, proprio, Alberto Magno, che eÁ la massima fonte del Vasolo.
Delle 28 gemme descritte in dettaglio dal Vasolo, 18 si ritrovano nel poema di
Marbodo (tab. I), sia pure con qualche significativa modifica nell'ortografia che lascia
pensare che il Vasolo avesse una consuetudine orale con le gemme che stava
descrivendo, piuÁ che volesse farne l'italianizzazione pedissequa derivandole da un
testo latino che aveva sotto gli occhi(25). Questa mia opinione eÁ confortata dal fatto che
le 13 residue pietre citate dal Vasolo hanno tutte nomi o italianissimi (e.g., aquilina,
granata, rubino, smeraldo, spinella) o di derivazione rinviabile ad una forma araba piuÁ
o meno italianizzata (e.g., ambra, lapislazoro, torchina) oppure sono favolose (e.g.,
dragonite) o addirittura inventate quando non pesantemente storpiate (e.g., largate). Si
tratta, dunque, di novitaÁ linguistiche introdottesi nella pratica delle gemme dopo la
composizione del poema, che Marbodo aveva scritto almeno mezzo secolo prima che
dalla Spagna cominciassero ad arrivare in Francia le traduzioni dall'arabo, quindi sulla
base, essenzialmente, della cultura di lingua latina trasmessasi durante l'alto Medioevo.
cessoÁ di comporre poesie laiche perche era stato nominato vescovo, e probabilmente nel periodo compreso tra
1061 e 1081 quando era maestro di scuola ad Angers, fu talmente diffuso durante tutto il basso Medioevo da
essere citato non solo come l'Evax, dalla parola con cui inizia (v. 1), ma anche come il Lapidarius per
antonomasia. Il suo ruolo nella tradizione lapidaria e gemmologica eÁ attestato dal grandissimo numero di
manoscritti che ci sono pervenuti (almeno 125: Riddle, 1977: pp. 131-135) ed inoltre dal fatto che ebbe
traduzioni nei volgari europei piuÁ svariati: francese antico, anzitutto, e poi normanno, provenzale, castigliano,
fiorentino, irlandese, danese e ebraico (Zettersten, 1968: p. 12). Durante il Rinascimento il poema di Marbodo
decadde peroÁ d'importanza, soprattutto dopo la ripresa umanistica del grande trattato di Plinio, tanto che la sua
prima edizione a stampa eÁ solo del 1511 (Wiemann, 1983).
(25) Esiste un volgarizzamento italiano, anzi fiorentino, del testo di «Evace» (in altre parole: del poema di
Marbodo, vedi sopra), in prosa ed incompleto, perche contiene solo 23 delle 60 pietre ivi descritte, dopo averle
elencate tutte nell'indice. Esso eÁ attribuito a Zucchero Bencivenni, un notaio molto attivo all'inizio del Trecento
nella traduzione di testi scientifici. Il codice miscellaneo che lo contiene, dell'inizio del XVII secolo (Narducci,
1869: p. 122), eÁ conservato nella Biblioteca Vaticana (Vaticanus reginensis 1316). EÁ, quindi, localizzato in Roma,
ma eÁ improbabile che fosse conosciuto dal Vasolo ± non foss'altro se non perche colei che ve lo portoÁ, la regina
Cristina di Svezia, costituõÁ la sua raccolta oltre tre quarti di secolo piuÁ tardi. Tuttavia, l'ortografia dei nomi delle
pietre citate eÁ praticamente la stessa. Non credo che il Vasolo conoscesse L'Intelligenza, un poemetto della fine
del Duecento contenente ben 42 stanze (16-58) che sono la traduzione in un ottimo fiorentino di quasi tutto il
poema di Marbodo (59 delle 60 pietre): la riscoperta del codice Magliabechiano VII 1035 che la contiene eÁ solo
della metaÁ dell'Ottocento. Non sono in grado di valutare, invece, se il Vasolo potesse conoscere il
volgarizzamento di un testo in prosa attribuito a Marbodo (Finzi, 1890) che rappresenta un'epitome del suo
poema (Riddle, 1977: pp. 122-125).
32
A. MOTTANA
Questa si basava non solamente sul lapidario di Damigerone ed Evace (che peroÁ era
stato interpolato in qualche punto con nozioni tratte da Dioscoride e da alcuni autori
arabi primitivi, tradotti da Costantino Africano a beneficio della nascente scuola
salernitana: cf. Halleux, 1974: p. 346), ma anche sul libro XXXVII del Naturalis historia
di Plinio. Questo trattato non fu mai perso nella tradizione manoscritta, ma fu sempre
piuttosto raro a causa delle sue dimensioni ed era stato, percioÁ, per lo piuÁ sostituito da
tarde epitomi quali sono i Collectanea rerum memorabilium di Solino (Roma, III-IV
secolo AD) e gli Etymologiarum libri sive origines di Isidoro (Cartagena, ca. 570 ±
Siviglia, 636), il cui libro XVI eÁ interamente dedicato a pietre e metalli(26). Non
trascureroÁ, inoltre, di aggiungere al confronto alcuni testi della tarda latinitaÁ che
possono aver influito sul trasmettere informazioni mediche sulle pietre, ma considero il
loro contributo del tutto occasionale e certamente minore: Marbodo eÁ esplicito
nell'asseverare (v. 5) che il suo poema eÁ l'epitome in versi dall'Evax, cioeÁ dal lapidario
di Damigerone ed Evace.
Il trattatello del Vasolo rispecchia in buona misura l'impostazione data da Marbodo
al suo poema per cioÁ che concerne i contenuti. In questo campo, dunque, egli non
innova in nulla, ma si fa portavoce di una lunga tradizione. Come, infatti, ha
esaurientemente dimostrato e affermato il Riddle (1977: p. X), il poema di Marbodo
divenne estremamente popolare durante il Medioevo proprio perche fu visto come una
guida pratica alla medicina, basata sui poteri misteriosi delle pietre e non sui farmaci
prescritti dai dulcamara dell'epoca: atteggiamento, questo, che eÁ proprio quello assunto
dal Vasolo.
In ogni caso, la fonte principale del Vasolo, ed anche quella che ci permetteraÁ le
verifiche piuÁ sicure, non eÁ Marbodo, ma Alberto Magno (Lauingen, ca. 1193/1206 ±
Colonia, 1280), il massimo cultore medievale di Mineralogia, anzi il primo a riprendere gli
studi in questo campo quindici secoli dopo Teofrasto (Ereso, ca. 371 ± Atene, ca. 287
a.C.) e a stenderne un trattato che aveva una certa base di scientificitaÁ (Halleux, 1985: p.
VII). Vasolo lo cita tre volte (per ambra, oftalmia e smeragdo), ma potrebbe citarlo molte
volte di piuÁ, se lo volesse, poiche ± in effetti ± sono frequenti i dati che, dimostrabilmente,
egli trae dal De mineralibus. Il libro II, trattato II, di questo libro eÁ interamente dedicato ai
poteri e alla descrizione delle pietre preziose (Wyckoff, 1967: pp. 55-126), elencate
secondo l'ordine alfabetico del nome latino, secondo un uso invalso durante tutto il
Medioevo ad imitazione di Isidoro. CioÁ che risulta chiaro, peroÁ, eÁ che la dipendenza del
Vasolo da Alberto non riguarda ne l'ordine espositivo ne le proprietaÁ fisiche, ma la
descrizione delle facoltaÁ delle singole gemme che hanno attinenza con la Medicina, anche
se in vari casi egli si discosta dalla fonte o non la recepisce se non in parte. Essendo mutati
i tempi, o forse piuttosto perche non riteneva vantaggioso seguire un criterio rigoroso
nell'illustrare la materia alla sua viceregale dedicataria, egli evita di copiare il rigido ordine
alfabetico di Alberto e segue piuttosto un metodo misto, che rispecchia in parte quello di
(26) Nel riferirmi agli autori che il Vasolo usa come fonti, riporteroÁ solo la prima volta il nome dell'opera, per
poi citare di essa solo il libro (con numero latino) e il paragrafo (con numero in arabo) o, nel caso, il verso.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
33
Plinio, in parte quello di Marbodo, e in parte ± perfino ± un criterio di valutazione
economica (prima di tutti: diamante, rubino, zaffiro e smeraldo, cioeÁ le quattro gemme
fondamentali) che eÁ non solo tipico del suo tempo (cf. Cellini, [1568] 2002: p. 43), ma che
si mantiene pari pari anche ora.
EÁ, dunque, solo nel contenuto, vale a dire nelle facoltaÁ terapeutiche che egli attribuisce
alle pietre preziose, comunque descritte, che si conferma la buona conoscenza che il
Vasolo doveva avere dell'opera di Alberto Magno, pur commista con talune nozioni che
gli venivano da Marbodo ed altri e che ± anticipiamolo ora, rispetto all'esame analitico che
seguiraÁ ± erano anche basate su opinioni e pregiudizi suoi personali oppure provenienti da
altre fonti non identificate(27).
Lessico.
Prima di approfondire l'esame del materiale descritto dal Vasolo, che avraÁ come conseguenza anche l'identificazione delle singole gemme in termini scientifici moderni, desidero
commentare brevemente i nomi delle pietre preziose da lui usati, non perche io voglia
intromettermi in questioni di carattere linguistico senza essere un filologo, ma perche cioÁ mi
consente di meglio collocare il contenuto dell'operetta nel quadro evolutivo delle ancora
scarse (ed in gran parte erronee se non del tutto infondate) conoscenze gemmologiche e
mineralogiche del lungo periodo che intercorre tra Medioevo e Barocco. SaraÁ, infatti, solo in
quest'epoca, nella seconda metaÁ del Seicento, che cominceraÁ ad individuarsi la Mineralogia
come Scienza moderna, e cioÁ saraÁ possibile grazie appunto alla ripresa della tradizione antica
effettuatasi durante il primo Rinascimento e alla sua rimeditazione alla luce anche delle
nuove esperienze effettuate durante il tardo Rinascimento.
Se verifichiamo i nomi di pietre usati dal Vasolo confrontandoli con quelli attestati
precedentemente nella lingua italiana(28), non notiamo differenze sostanziali per molti di
(27) Oppure non identificabili, perche potrebbero essere convinzioni popolari tramandatesi in maniera casuale
e per tradizione orale. Per l'identificazione delle possibili fonti alternative piuÁ antiche mi sono basato su un criterio
empirico: ho verificato il contenuto, oltre che di Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XXXVII: Conte et al., 1988), di
alcuni altri autori che da lui dipendono come Solino, Isidoro, Beda e Rabano Mauro: tutti nella Patrologia latina del
Migne (1844-64) che eÁ ora disponibile in rete. Per quelli piuÁ antichi mi sono avvalso anche della traduzione
commentata della Bianco (1992). Non riportati da questa, inoltre, ho compulsato attentamente il Physiologus (von
Steiger e Homburger, 1964; Zambon, 1975) e i Cyranides (Kaimakis, 1976), che considero importanti trasmettitori
della dottrina magico-medica alessandrina. Per il periodo tra Marbodo e Alberto, ho compulsato direttamente i
trattati di Ildegarda (nella Patrologia latina, c.s.) e dello Pseudo-Aristotele (Ruska, 1912): solo per una verifica, peroÁ,
poiche la parte principale delle informazioni era giaÁ stata compilata dalla Friess (1980). Per il periodo successivo, mi
sono limitato ad opere edite: Leonardi (1502), Agricola (1546) e Dolce (1565). Il problema del significato magico,
mistico e medico delle gemme ha visto affannarsi numerosi, importanti esperti di scienza e civiltaÁ medievale, spesso
di estrazione e di indirizzo divergente. Cito, tra tutti, il Thorndike (1923-62) e il BaltrusÏaitis (19933), agli
approfonditi ed estesissimi studi dei quali mi sono sempre riferito, anche se spesso non li ho citati puntigliosamente.
(28) Mi avvalgo per questo del DELI, Dizionario etimologico della lingua italiana, di Cortelazzo e Zolli
(1979-88, 19917), non senza averlo fatto precedere (come giaÁ in un caso precedente: Mottana, 1999: p. 140, n. 9)
da un accuratissimo esame in rete della banca dati del TLIO (CNR - Opera del Vocabolario Italiano - Tesoro
della Lingua Italiana delle Origini), purtroppo limitato sia nell'avanzamento (fino alla lettera D) sia nel periodo
34
A. MOTTANA
loro, ma solo notevoli incertezze nella grafia che non ne compromettono in ogni caso
l'identificazione e/o la collocazione nel tempo. Delle 31 gemme citate, infatti, tutte meno
tre erano state giaÁ menzionate e descritte da qualche scrittore precedente(29).
L'innovazione di gran lunga piuÁ cospicua eÁ la «largate» (c. 12r), il cui nome,
probabilmente, eÁ un'invenzione del Vasolo originatosi per un suo fraintendimento di
una fonte scritta, come appare anche dall'incongruo uso che egli fa, nel titolo del
capoverso che descrive la pietra, di tre «l» una dopo l'altra. Gli altri due nomi che, pur
essendo di gemme tuttora accettate, non trovano riscontro nelle fonti citate dal Vasolo
sono lapislazoro e spinella. Non si tratta di minerali nuovi, perche entrambi erano noti ai
greci e ai romani antichi, ma piuttosto nomi del tutto nuovi, diversissimi dai loro
corrispondenti classici. Il motivo per cui essi erano stati introdotti nel lessico sta nel
fatto che era progredita la capacitaÁ di differenziare tra minerali d'aspetto simile
riconoscendoli diversi nelle loro proprietaÁ fisiche: un cambiamento di paradigma,
secondo la terminologia di Kuhn (1962).
EÁ cosõÁ che, dal complesso dei minerali azzurri per i quali greci e romani disponevano
del nome ky*anoQ / cyanos, si differenzioÁ prima la «torchina» (= turchese), giaÁ nota ad
Alberto, poi il lapislazoro (o lapislazzuli, come si usa ora e come giaÁ usava Zucchero
Bencivenni all'inizio del XIV secolo), poi l'azzurrite (nel XIX secolo, per una
semplificazione introdotta da F.S. Beudant del nome del sale «azzurro di rame» prodotto
sinteticamente, cf. Clark, 1993: p. 52). Questa innovazione del lessico richiese, dunque,
almeno 500 anni per essere accettata da tutti. Analogamente, tra l'insieme di minerali rossi
chiamati a>nuraj / carbunculus dagli antichi, furono identificati con procedure appropriate
e diverse tra loro prima il granato, poi il rubino e infine lo spinello (Harden, 1960), di volta
in volta comportando innovazioni lessicali che, anche per questi materiali, si protrassero su
quasi mezzo millennio(30). A cioÁ contribuirono sicuramente le scoperte scientifiche
arabe(31), almeno nella fase iniziale di rinascita della Scienza in Europa (il «rinascimento
preso in esame, che va dalle origini della lingua alla morte del Boccaccio. Non ho avuto modo, invece, di
esaminare il LEI, Lessico etimologico italiano, ora in preparazione a Monaco di Baviera da parte di Max Pfister.
Molto utile, inoltre, si eÁ rivelato il trattato della Goltz (1972).
(29) In particolare, 17 dei nomi sono riferibili al volgarizzamento in prosa del poema di Marbodo eseguito
da Zucchero Bencivenni (Narducci, 1869: pp. 310-311) e trovano conferma nel poemetto L'intelligenza che, a
parere di molti, sarebbe l'immediato derivato di questo (Petronio, 1951: p. 38).
(30) In realtaÁ, l'innovazione lessicale non puoÁ dirsi ancora conclusa: granato eÁ ora il nome di un gruppo che
comprende almeno 20 specie chimicamente distinte, anche se strutturalmente simili, ciascuna delle quali ha un
suo nome. Parimenti, spinello eÁ anche il nome di un gruppo comprendente 23 specie, di cui lo spinello p.d. eÁ il
denominatore comune perche eÁ stata la prima specie identificata. La sola semplificazione che oltre 400 anni di
ricerca mineralogica ha portato al lessico riguarda il «rubino»: non eÁ una specie a se stante, ma semplicemente
una varietaÁ rossa della specie corindone (un minerale relativamente comune, anche se non comunissimo) che
deve il suo colore alla presenza di cromo nella struttura, in quantitaÁ tale, peroÁ da non ingenerare una distinzione
precisa nel chimismo.
(31) Per citare solo un esempio, relativo appunto ai minerali rossi: le prime misure di peso specifico
notevolmente precise effettuate prima da al-KindõÅ (Ya'quÅb ibn Ishaq: ca. 796 ± 873) e poi da al-BõÅruÅnõÅ (AbuÅ 'lRayhaÅn Muhammad ibn Ahmad: ca. 973 ± 1048), inventore di una «bilancia della saggezza» capace di
determinazioni alla seconda decimale (Mieli, 1938: p. 101), avevano distinto in forma quantitativa e quindi su
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
35
del XII secolo» di Haskins, 1927). Non eÁ un caso, infatti, se nel lessico mineralogico
odierno (e ancor piuÁ nei numerosi sinonimi abbandonati) parecchi nomi sono di
derivazione araba (e.g., azzurrite) o mista latino-araba (e.g., lapislazzuli) oppure richiamano
nel nome una provenienza dall'oriente (e.g., turchese).
ANALISI
DELLE SINGOLE PIETRE
AnalizzeroÁ le pietre (preziose o semi-preziose che siano) nell'ordine in cui le elenca il
Vasolo, essenzialmente perche cosõÁ vengono evitate ripetizioni. Nella tabella I, invece, le
stesse pietre sono elencate secondo l'ordine alfabetico, facendo seguire a ciascuna il
numero d'ordine in cui eÁ descritta nel testo, cosõÁ da renderne facile il reperimento e quindi
la consultazione di questa sezione.
Nell'analisi cercheroÁ di seguire un'esposizione omogenea, se non costante:
anzitutto una succinta parafrasi in termini moderni del detto del Vasolo, poi
l'identificazione della pietra (ove possibile) e infine l'identificazione delle fonti tra
quelle dichiarate da lui, in primo luogo, ma anche tra quelle non dichiarate e
contemporanee, prima di doversi arrendere ed ammettere che egli daÁ il contributo
di un qualcosa di inedito o di nuovo.
1. Diamante. EÁ descritto come trasparente, duro, potente e incombustibile(32): tutti
caratteri ripresi dalla tradizione (Marbodo(33): fulgentem, durities, nulloque domabilis
igne, vv. 26-29; Alberto Magno: II, II.1) che, per quanto propri del diamante vero, non
sono abbastanza diagnostici per fare escludere la possibilitaÁ che altre gemme incolori,
trasparenti e quasi altrettanto dure (come corindone e zircone) venissero allora
gabellate per diamante. In piuÁ, il diamante eÁ anche qualificato come «forte»: termine
questo che non si ritrova in Marbodo (a meno che non lo si faccia corrispondere al suo
ferrum contemnens: v. 29), ma eÁ presente nel De mineralibus di Alberto, laÁ dove si
riferisce la falsa credenza che il diamante possa essere martellato sull'incudine senza
rompersi, ed anzi vada ad incastrandosi profondamente nel ferro di essa. Il Vasolo
passa poi a due raccomandazioni di tipo magico, che ricava in parte proprio da
una base scientificamente inoppugnabile che, anche se simili nel colore, i tre minerali sono troppo diversi per
poter essere riportati ad un'unica specie. CioÁ era perfettamente noto a quel grande precursore della migliore
Gemmologia come fu at-TõÅfaÅsÏõÅ (Shihab al-Din Abul Abbas Ahmad ibn Yusuf: TõÅfaÅsÏ, 1184 ± Cairo, 1253), il cui
libro, peroÁ, divenne noto in Europa solo nel XVIII secolo.
(32) Che il diamante ad alta temperatura in aria volatizzi interamente eÁ una scoperta sperimentale di
Giuseppe Averani e Cipriano Targioni posteriore al Vasolo di oltre un secolo (1694). Essi si avvalsero, per
bruciare la gemma, del calore solare concentrato da uno specchio ustorio. La dimostrazione sperimentale che
si tratta di carbonio puro si deve a Louis-Bernard Guyton de Marveau (1799), dopo che giaÁ Smithson
Tennant (1797) aveva verificato che la sua combustione comportava un consumo equivalente doppio
d'ossigeno.
(33) In questa e nelle future citazioni uso il termine latino presente nella fonte che eÁ il piuÁ possibile
corrispondente a quello ripreso dal Vasolo, quindi indipendentemente dal suo essere astratto o concreto, dal
genere o caso.
36
A. MOTTANA
Alberto: il diamante va portato a sinistra (legato al braccio(34), oppure, meglio,
incastonato in un anello, visto che eÁ piuttosto piccolo(35)) per essere efficace contro
i nemici e contro le bestie feroci. Di suo il Vasolo aggiunge che, contro gli animali
feroci, sono senz'altro piuÁ efficaci tre diamanti cuciti nel cappello, specie se combinati
con un altro portato al petto. A queste credenze di stampo magico egli fa seguire varie
prescrizioni di carattere medico che non trovano riscontro ne in Marbodo ne in
Alberto: un diamante privo di punta (anzi ± meglio ± cosõÁ spuntato da apparire tondo),
se ingerito, scaccia il veleno (Marbodo ha «atra venena fugat», v. 46, ma non precisa la
forma che la pietra deve avere) e fa recuperare la buona digestione; addirittura, se
inghiottito regolarmente ogni autunno, migliora sensibilmente lo stato di salute,
allontanando la morte per «etisia» (che qui non eÁ la tubercolosi, ma uno stato di
profonda debolezza dovuta a carenze alimentari) perche costringe le tenie a staccarsi
dall'intestino in cui sono annidate. Qui il Vasolo ritiene opportuno chiamare a
testimoni dei mercanti che ne fecero la prova su se medesimi in oriente, su consiglio
di una vecchia mora. Precisa, anche, che il diamante deve essere inghiottito intero,
poiche se eÁ polverizzato diventa esso stesso un veleno micidiale per l'uomo: nozione
corretta, questa, poiche l'attrito dei frammenti a spigoli vivi lacererebbe stomaco ed
intestino, ma nozione antica e, poco tempo prima, confermata dalle esperienze della
scuola medico-chimica di Paracelso (Multhauf, 1954). Stranamente, il Vasolo non
riferisce due altre «virtuÁ» attribuite al diamante da Alberto, che le aveva mutuate
probabilmente da Plinio (XXXVII, 61): di proteggere dalle dispute e dall'insania e di
allontanare fantasmi e incubi notturni. Non trasmette neppure la convinzione (che
Alberto doverosamente riporta, probabilmente per una confusione con «aimant» - il
nome francese antico del magnete, ma che considera egli stesso infondata) che il
diamante attrarrebbe il ferro: all'epoca del Vasolo doveva essere giaÁ completamente
acquisito che non ci sono rapporti di sorta tra la nera calamita e la gemma limpida e
trasparente.
Dall'esame del testo, appare evidente che le fonti dichiarate non sono le uniche da cui
il Vasolo trasse le sue informazioni, ed in particolare non sono neppure le fonti principali
delle sue indicazioni di carattere medico, che ± per sua stessa affermazione ± sono quelle
piuÁ importanti del trattatello e la ragione stessa della sua composizione. In parte, queste
(34) Nelle superstizioni medievali relative alle facoltaÁ delle pietre, non era indifferente se esse erano
portate legate in metallo in un gioiello, oppure cucite sull'abito oppure sospese semplicemente ad un filo, a
destra o a sinistra (BaltrusÏaitis, 19933: p. 56). Il Vasolo riprende queste superstizioni da Alberto Magno (II,
III.6), ma questi, a sua volta, si rifaceva a testi piu
Á antichi, per lo piuÁ d'origine araba oppure rielaborati da
arabi a partire da testi greci in parte mistificati. Famoso, tra questi, fu il cosiddetto «Lapidario d'Aristotele»
(Liber mineralium), un apocrifo del IX secolo scritto probabilmente in Egitto e scomparso nella versione
araba, ma che ebbe una diffusione talmente vasta in Europa da conservarsi in una traduzione latina che eÁ
arrivata fino a noi ben prima che fossero rinvenuti alcuni minimi frammenti dell'originale (Ruska, 1912;
Klein-Franke, 1970).
(35) Col valore indicato dal Vasolo (un denaro, cioeÁ un ducato) si poteva acquistare, all'epoca, un diamante da
pochi grani, se prendiamo come unitaÁ di riferimento quanto indicato da Benvenuto Cellini ([1568] 2002: p. 86).
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
37
nozioni potrebbero anche essere derivate da una semplice trasmissione orale, oppure
sono riconducibili ad altra fonte, non dichiarata dal Vasolo forse proprio percheÂ
recentissima e in italiano: il trattato Delle diverse sorti delle Gemme che produce la
Natura di Lodovico Dolce (Venezia, 1508-1568), stampato nel 1565. Se prendiamo infatti
il capoverso dedicato da questi allo «Adamante, cioeÁ Diamante» (libro II, cap. VI, carte
28v - 29r), dopo una descrizione delle proprietaÁ e dei tipi derivata da Plinio (che il Vasolo
non riprende), troviamo scritto: «I Diamanti di tutte queste sorti hanno virtuÁ di scacciare
il veleno: e con tutto cio esso bevendosi eÁ mortal veleno. Resiste all'arte de' venefici, e
rimove le vane paure. Fa che si vincano le risse, e le questioni. Giova a Lunatici, e a
indemoniati. Portandosi legato al sinistro braccio, fa l'huomo vincitore. Humilia le
indomite bestie. EÁ contra le fantasme, e i terrori della notte. Fa anco chi lo porta ardito
e virtuoso ne i maneggi di qualunque cosa». Il Vasolo sostanzialmente eÁ in linea con
quanto scritto dal Dolce(36), anche se daÁ piuÁ indicazioni, in certi punti ancor piuÁ
dettagliate, che riflettono ± appunto ± credenze popolari arrivategli, forse, da una
«vecchia mora» pavese.
2. Rubino. L'unica proprietaÁ fisica ricordata dal Vasolo eÁ la durezza, che sarebbe
seconda solo a quella del diamante. Questo effettivamente eÁ il caso per il corindone, sia esso
rosso o d'altro colore. Non eÁ peroÁ vero che un riscaldamento lo rammollisca: il punto di
fusione del corindone eÁ talmente elevato (2050 ëC) da renderlo inattaccabile al miglior
fuoco che poteva essere prodotto all'epoca! NeÂ, d'altra parte, sono stati osservati
cambiamenti di colore riscaldando rubini al rosso. CioÁ che effettivamente avviene eÁ che,
riscaldando il corindone naturale, si incentiva la latente partizione secondo la base e quindi
si indebolisce la compattezza dell'insieme. Durezza e partizione sono due proprietaÁ, assieme
alla densitaÁ, che permettono di distinguere il rubino dal granato e dallo spinello: una
distinzione giaÁ operata dagli Arabi nel IX secolo e rimasta ignota a Marbodo (che del
carbunculus riporta solo la nozione inesatta del preteso rifulgere anche al buio, forse
confondendolo con l'antracite), ma non piuÁ ad Alberto, che scrive due secoli dopo, quando
la Scienza araba aveva penetrato la societaÁ europea e soprattutto l'universitaÁ di Parigi, dove
lui stesso aveva insegnato. Egli, quindi, non solo puoÁ citare i nomi latino e greco della pietra,
ma anche usare il neologismo rubinus che descrive come limpido, rosso e duro (II, II.3).
PeroÁ tramanda anche pregiudizi antichi quando sostiene (con sicumera, perche afferma
d'averlo visto!) che brilla al buio come un carbone, se eÁ di buona qualitaÁ, mentre ancora
brilla contro un fondo scuro, ma solo quando eÁ spruzzato con acqua, se eÁ di qualitaÁ
(36) Il trattato del Dolce eÁ un volgare plagio perche traduce alla lettera lo Speculum lapidum del Leonardi
(Pesaro, fl. 1480-1510) pubblicato a Venezia nel 1502, senza citarne l'autore ed anzi cercando di farsi passare lui
stesso per tale. Tuttavia, questa traduzione eÁ molto importante nella storia della lingua, giacche ha il vantaggio di
offrirci il piuÁ completo spettro di terminologia gemmologica italiana del Cinquecento, molto piuÁ ampio di quello
riportato nella traduzione anonima del De natura fossilium di Giorgio Agricola pubblicata a Venezia nel 1550. In
effetti, il Leonardi si era impegnato a collazionare tutto lo scibile sulle gemme esistente alla sua epoca, mentre
l'Agricola citava le gemme in un modo piuttosto riassuntivo, riconducendole all'interno del piuÁ vasto quadro del
regno minerale.
38
A. MOTTANA
inferiore. Alla fine, tuttavia, Alberto accetta come genuini solo tre degli undici tipi di
carbunculus citati da Marbodo(37): balagius, granatus e rubinus, confermando cosõÁ che alla
sua epoca, mentre col nome di carbunculus si intendevano ancora, genericamente, tutte le
pietre rosse, giaÁ si distinguevano nettamente tra loro le tre specie piuÁ significative. Alberto
asserisce anche che, secondo la voce comune, il carbunculus ha in se piuÁ «virtuÁ» di tutte le
altre pietre, e come principale cita quella di dissipare i veleni presenti nell'aria e nel vapore.
Il Vasolo non ricava ne da Marbodo ne da Alberto Magno le «infinite» facoltaÁ fantastiche
che attribuisce al rubino, tra cui che, portato alla mano destra, conforterebbe l'uomo e lo
renderebbe amato da tutti pur senza sforzo da parte sua; e poi, che giovarebbe contro
l'idiozia(38) e per la vista, se portato oltre che al dito anche al petto. Di nuovo, non tutte le
facoltaÁ elencate dal Vasolo si trovano nelle fonti dichiarate da lui, ma piuttosto nel Dolce.
Nel trattato di questi, alla voce «Carbonchio» (II, VI, carte 35r-35v) con la quale egli traduce
il carbunculus del Leonardi, dopo una descrizione dei tipi e delle provenienze e dopo una
precisa suddivisione nei tipi principali (Robino, Balasso, Spinella, Granata) ± tutte
informazioni che il Vasolo non riprende ± si legge che «le forze del carbonchio sono di
sgombrar l'aere pestilente e velenoso, acchetar la lussuria ... accorda le liti degli amici».
Ancora una volta, queste brevi parole servono di completamento, ma non bastano a
spiegare tutto cioÁ che il Vasolo riporta, anche se in questo caso non si tratta di ricette
mediche, ma di virtuÁ magiche attribuite alla pietra.
3. Zaffiro. Di questa gemma il Vasolo non daÁ nessuna proprietaÁ fisica e neppure una
descrizione esteriore, ma solo una lista di «virtuÁ» piuÁ o meno fantasiose: farebbe star
lontani dalla guerra e vivere in pace, tranquilli, sani ed allegri; indurrebbe tutti alla castitaÁ
e, in particolare, favorirebbe purezza e devozione verso Dio nelle persone sposate. Non
sono facoltaÁ di rilevanza farmaceutica, quanto piuttosto relative allo stato d'animo, cioeÁ
alla tranquillitaÁ psichica. Marbodo, invece, si dilungava (vv. 103-128) in una descrizione
molto piuÁ ampia sia dell'aspetto, sia delle origini, sia delle «virtuÁ» del sapphirus, che il
lapidario di Damigerone ed Evace, che eÁ la sua fonte, considerava la pietra con le maggiori
«virtuÁ», sia se portata addosso sia se sciolta nel latte sia se usata come talismano (Halleux e
Schamp, 1985: p. 250). Marbodo, in realtaÁ, non lascia mai chiaramente intendere se la sua
lista di facoltaÁ si riferisca al lapislazzuli (come nell'antichitaÁ: cf. Plinio XXXVII, 119) oppure
al corindone azzurro (come ora), che in qualche modo doveva essergli noto. Alberto,
invece, eÁ ancora piuÁ vago, poiche cerca di conciliare le proprietaÁ che trovava descritte
dagli antichi per il loro zaffiro di provenienza orientale (sicuramente il lapislazzuli, quindi,
che egli pone in relazione anche con la pietra che Isidoro chiamava sirtites) con quelle che
poteva verificare nella pietra azzurra (il primo zaffiro europeo) che era stata da poco
(37) Che qui egli chiama Evace e che cita male, perche il poema menziona non 11, ma 12 pietre rosse.
(38) Il Vasolo chiama questa malattia del cervello, che egli definisce «umida» con un indiretto richiamo alle
teorie galeniche (ma che si eÁ perpetuato nel linguaggio comune fino ad oggi: «hai l'acqua nel cervello!»), col
nome «Mazzucco», che io non ho riscontrato in nessun vocabolario. Per conseguenza, ne ho chiesto
informazioni a conoscitori del dialetto pavese: «mazuÁc» eÁ il termine bonario con cui si chiama ora uno zuccone,
uno sciocco, un tardo di mente.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
39
scoperta in una miniera sotterranea dell'Alvernia (in hypodromo apud thodanum
provinciae regionem et civitatem: II, II.17(39)). EÁ Alberto che afferma che lo zaffiro libera
l'uomo dal sospetto (II, III.6), lo induce alla castitaÁ reffreddando i calori interni e
aiutandolo a rifiutare amori illegittimi, ed inoltre lo rende pacifico e devoto. Egli mutua
queste ultime facoltaÁ, che hanno una valenza quasi religiosa, probabilmente dal lapidario
di Ildegarda, badessa di Bingen (Bockelheim, 1098 - Bingen, 1179)(40), la quale peroÁ
precisa che la pietra eÁ efficace solo se il portatore non eÁ un peccatore incallito, ma solo un
lapsus (6). Le affermazioni di Alberto sono seguite quasi alla lettera non solo dal Vasolo,
ma anche dal Dolce (II, VI.60).
4 (+ 15). Smeraldo. Il trattatello riserva a questa pietra un trattamento strano, esitante e
unico, come se il Vasolo non sapesse che pesci pigliare di fronte a notizie discordanti che
trovava nelle sue fonti su un argomento per lui sconosciuto. Alla voce «smeraldo» (c. 5r),
comunica poche informazioni sull'aspetto fisico della gemma, tutte corrette e rispondenti
alle descrizioni di Plinio (XXXVII, 62) e di Solino, per quanto vaghe esse siano: lo smeraldo eÁ
verde vivace, accattivante alla vista, rasserenante lo spirito disponendo alla giovialitaÁ ed eÁ
utile per le malattie degli occhi. PiuÁ oltre, alla voce «smeragdo» (c. 8v), aggiunge invece
altre notizie estratte dalla tradizione magica, come il suo trovarsi nel nido dei grifoni e il suo
(39) L'affermazione eÁ molto imprecisa: la regione e cittaÁ chiamate thodanum sono un errore, forse
dell'amanuense, per podium (= Puy), mentre provinciae indicherebbe la Provenza, nel cui effimero marchesato
d'allora rientrava anche una parte dell'Alvernia. Quindi il passo si deve leggere: «in uno scavo in galleria presso la
cittaÁ e regione di Puy in Provenza». La localitaÁ esatta potrebbe essere Le Puy de Notre Dame oppure, piuÁ
probabilmente, Le Puy en Velay, com'eÁ precisato in un lapidario anglo-normanno in prosa compilato verso la
fine del XIII secolo combinando quello di Marbodo con informazioni di vari autori (Studer e Evans, 1924: pp.
140-141). Numerosi riferimenti ai safilii de Podio, diversi e ben distinti anche per valore dai safilii orientali (sic!),
si trovano in un documento genovese del 1253, stilato quando fu data in pegno e poi dispersa l'ingente collezione
di gemme degli imperatori svevi (Byrne, 1935: p. 180, n. 1). Le rocce dell'Alvernia in cui si trovano tuttora
granuli di corindoni azzurri sono tufi, piroclastiti e argilliti pirometamorfosate dal contatto delle lave basaltiche
che hanno formato i puys. La localitaÁ d'estrazione piuÁ importante di questi zaffiri era, in passato, il Riou
Pezzouliou, nel Velay vicino ad Espaly, nelle cui sabbie e ghiaie furono trovati corindoni verdi e azzurri
arrotondati e corrosi fino a 3 cm di lato, associati a zirconi (Faujas de Saint-Fond, 1778). In una localitaÁ vicina
(Manet, nel Cantal) nel Settecento furono rinvenuti cristalli addirittura di 5 cm, ma macchiati di bianco e non
interamente azzurri. Altre localitaÁ in cui si trovano, tuttora, rari zaffiri sono il Ravin de ThynieÁres, vicino a
Baulieu nel Puy de DoÃme, e Pontvieux vicino a Singles.
(40) Questa monaca tedesca eÁ, se non la fondatrice, certo la maggiore rappresentante e la garante presso la
chiesa del suo tempo di quella pratica medica che va ora sotto il nome di Cristalloterapia o Litoterapia (Creutz,
1931) e alla quale non si attribuisce piuÁ nessun fondamento scientifico, ma che tuttora gode di una fiducia
superstiziosa da parte di molti, anche se eÁ meno diffusa di quanto non sia la credenza negli oroscopi. Il suo Liber
de lapidibus (quarto libro della raccolta di scritti intitolata Physica, databile ca. 1150) eÁ interamente dedicato ad
analizzare le facoltaÁ medicamentose di 25 pietre: da smeraldo a calce, in un ordine che a me sembra casuale.
Contiene una serie di suggerimenti e ricette che non sono presenti nel lapidario di Marbodo ed inoltre quasi per
ogni pietra e conseguente ricetta eÁ suggerito anche un idoneo scongiuro. Tutto cioÁ rappresenta un'innovazione
rispetto alla tradizione greco-romana di cui si fa tramite Marbodo, che si limitava agli amuleti e ai talismani, e ci
fornisce informazioni che, seppure poco interessanti la Mineralogia, sono importanti per cercare di capire
l'ancora ben poco studiata psicologia germanica, spesso fosca e sempre nebulosa.
40
A. MOTTANA
favorire lo sviluppo mentale e psichico di chi lo porta. In questo secondo contesto il Vasolo
ci fornisce due informazioni di diversa fondatezza: descrive lo «smeragdo» come pietra
piana, limpida e lucente, come effettivamente eÁ (41), ma, per converso, gli attribuisce un
odore di «foino», vale a dire sgradevolmente acre(42), quando invece questa gemma non
emette nessun odore. Le informazioni sullo «smeragdo» che derivano da Marbodo sono
quelle che riguardano i grifoni (v. 141), la forma a tavola appiattita (strata superficies: v.
145) e il favorire la memoria e le capacitaÁ divinatorie (v. 151). Tutte sono confermate da
Alberto (II, II.17), che ne aggiunge una sua sulla presunta propensione della pietra a
ostacolare la lascivia, richiamando il caso che sarebbe accaduto a un re d'Ungheria suo
contemporaneo: lo smeraldo che portava al dito si ruppe in tre pezzi mentre aveva un
rapporto con la moglie(43). Il Vasolo non recepisce questa curiosa notizia, per i «degni
rispetti» che il decoro verso Felice Orsini gl'impone (cf. c. 5v). Stranamente, peroÁ, non
recepisce neppure varie altre «virtuÁ» sanitarie attribuite da Marbodo allo smeraldo come
quelle di curare la terzana e l'epilessia (vv. 154-156), tutte confermate da Alberto, che ne
aggiungeva altre ancora, rifacendosi probabilmente ad Ildegarda ed allo PseudoAristotele, come quella di essere utile, inghiottito in forma di polvere, a placare tutte le
malattie dell'apparato digerente. Vasolo non riferisce neppure la proprietaÁ riportata da
Marbodo (vv. 159-160) che lo smeraldo si sciolga nel vino e nell'olio impartendo ai due
liquidi un colore verde brillante, forse perche non eÁ confermata da Alberto. Essa eÁ
comunque falsa, se applicata allo smeraldo vero; diventa invece vera se questa
informazione, che eÁ rintracciabile perfino in Plinio (XXXVII, 71), va riferita alla malachite
(Meadows, 1954: p. 51), una pietra verde brillante di consistenza piuttosto morbida che
era anch'essa inclusa tra gli smeraldi dagli antichi e che effettivamente si scioglie nei liquidi,
oltre che avere proprietaÁ antisettiche che la rendono utile per la cura degli occhi. Inoltre, la
malachite puoÁ a volte emanare un odore acuto, poiche in un ambiente secco tende a
disidratarsi e a trasformarsi in azzurrite.
5. Elitropia. Non eÁ, propriamente, un minerale (e quindi una gemma), ma una pietra
dura: eÁ una varietaÁ di diaspro il cui calcedonio, prevalentemente di color verde brillante
per la presenza di minutissime inclusioni di celadonite, eÁ qua e laÁ picchiettato di un bel
rosso carminio dove le inclusioni sono di ematite (c. 5). Contrariamente a quanto afferma
il Vasolo, il diaspro eliotropio non eÁ trasparente, ma traslucente, e solo quando eÁ sottile.
Dopo la succinta descrizione dei caratteri esteriori, il Vasolo passa ad attribuire alla pietra
le facoltaÁ magico-terapeutiche: portata al mignolo sinistro (incastonata in un anello ben
(41) Nel taglio a tavola lo smeraldo grezzo eÁ tagliato su due piani paralleli ad una faccia del prisma in modo
di sfruttarne il piuÁ possibile l'ampiezza (che eÁ proporzionale al peso), assottigliandolo poi quel tanto che basta
per evidenziarne la purezza e trasparenza. Da notare che Plinio (XXXVII, 64) parlava piuttosto di un taglio
concavo e piano-concavo.
(42) Ho interpretato il termine usato dal Vasolo come un altro suo regionalismo: a Pavia l'odore «de fuõÁn»
indica ora sia quello di selvatico della faina, sia quello emanato dallo scolo delle acque di un letamaio.
(43) L'asserzione del santo vescovo domenicano lascia perplessi: quando mai il rapporto coniugale eÁ stato
considerato impuro dalla chiesa?
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
41
aderente al palmo della mano(44)) protegge dal freddo e dalle malattie da questo
provocate, ravviva gli umori del corpo, aguzza l'ingegno a schivare gli eventuali inganni
(unica «virtuÁ», questa, che il Vasolo deduce da Marbodo, v. 433) e, nel corso di viaggi
nottetempo, evita di incorrere in infortuni corporali. L'eliotropio avrebbe anche «virtuÁ»
piuÁ intime, che peroÁ il Vasolo evita di precisare per il rispetto che porta alla sua
dedicataria, ma di cui esplicita almeno quella di rappacificare moglie e marito, se in lite
tra loro(45). Il suo consiglio, quindi, eÁ di portarlo sempre, per poter godere di una vita
lunga, sana e fortunata.
Sorprende, in questo lungo capoverso, che non siano citate due eccezionali facoltaÁ
attribuite all'eliotropio tanto da Marbodo (vv. 423-424) quanto da Alberto (II, II.5): di
oscurare il sole (vale a dire di provocarne un'eclisse, come giaÁ creduto da Plinio: XXXVII,
165) e di far bollire l'acqua in cui eÁ immerso. Si tratta, probabilmente, di due omissioni
volute poiche sono facoltaÁ che non hanno conseguenze mediche. Se questo eÁ davvero il
motivo dell'omissione, appare allora ancor piuÁ strano che il Vasolo non citi due altre
facoltaÁ su cui le sue fonti concordano: di far cessare le perdite di sangue e di rendere
invisibili (Marbodo, v. 432, 438; Alberto, II, II.5). La prima eÁ sicuramente di tipo medico
ed avrebbe, quindi, dovuto interessare la viceregina, soprattutto se non eÁ corretto in
venena, come invece ora si propende (Wyckoff, 1967: p. 89, n. 4), il venerea del secondo
autore che eÁ riportato da alcuni manoscritti: perdite di sangue provocate da veleni sono,
infatti, di gran lunga meno frequenti di quelle dovute a malattie dell'apparato genitale
maschile. In Vasolo, qui, dunque, sembra ancora una volta prevalere la pruderie (i «degni
rispetti»: c. 5v) sul suo intento di esaltare le facoltaÁ curative delle pietre. Oppure egli, nella
sua polemica contro le pozioni derivate dalle erbe, non vuole riferire una simile proprietaÁ
perche dovrebbe allora riferire anche la seconda delle due facoltaÁ suddette, dato che eÁ
presente in entrambe le sue fonti: la pietra acquisirebbe questa sua eccezionale facoltaÁ,
che eÁ di rendere invisibile chi la porta a tutti coloro che gli stanno vicini (subtrahit humanis
oculis quemcumque gerentem), solo quando eÁ stata prima strofinata con l'erba che porta il
suo stesso nome: una boragine selvatica (Heliotropium europaeum L.)(46).
6. Giacinto. Il moderno giacinto eÁ uno zircone rosso cupo, ma per il Vasolo il colore
della gemma sarebbe un giallo-oro carico, simile a quello di un buon vino bianco forte
come la vernaccia(47). Questa tinta, in effetti, eÁ riscontrata anche nello zircone attuale, ma
(44) Interpreto cosõÁ la descrizione del Vasolo, ma ammetto di non essere ferrato in materia di
chiromanzia.
(45) Importante suggerimento, visto il comportamento maritale di Marcantonio Colonna! ChissaÁ se Felice
Orsini ne fece poi uso in occasione della vicenda, che sarebbe boccaccesca se non avesse avuto esito cruento, del
tradimento del marito con una dama di Palermo e del successivo procurato annegamento del marito di questa!
(46) EÁ ben strano che il Vasolo non si sia ricordato della conferma di cioÁ che ne daÁ Dante (Inferno, XXIV. 93):
sta questo forse ad indicare che la sua cultura era limitata, oppure eÁ un indice della scarsa fortuna del nostro
massimo poeta nella seconda metaÁ del Cinquecento?
(47) Esiste anche una vernaccia di colore rosso rubino, coltivata soprattutto nelle Marche in provincia di
Macerata, ma il Vasolo eÁ tassativo nell'affermare che il «vero» giacinto ha il colore dell'oro. L'uso del vino
42
A. MOTTANA
eÁ troppo rara per rendere la pietra di interesse gemmologico. La facoltaÁ che
contraddistinguerebbe il giacinto eÁ di proteggere dalla peste e dagli inganni, se tocca la
carne; se invece eÁ portato al braccio sinistro salverebbe dalla cancrena, mentre portato a
destra, tanto al dito quanto al braccio, procaccerebbe amore da parte degli altri. Le
proprietaÁ indicate dal Vasolo non corrispondono a quelle riportate dalle sue fonti. Per
Marbodo, infatti, i giacinti sono di tre colori (v. 215): rispettivamente, rosso come il
melograno (granati), giallo come il limone (citrini) e verde-azzurro come il mare (veneti), il
primo dei quali eÁ il piuÁ bello e ricercato da chi s'intende di gemme (v. 218: granatos prefert
gemmarum quisque peritus). Tutte le varietaÁ di giacinto scaccerebbero tristezza e sospetti e
favorirebbero cosõÁ i viaggi in terra straniera anche dove c'eÁ pestilenza, poiche chi le
indossa saprebbe sempre farsi rispettare e apprezzare, sia che le porti al collo come
ciondolo (collo) sia al dito (digito) incastonato in un anello (vv. 229-232). Ancor maggiore
eÁ la differenza tra il Vasolo ed Alberto, il quale (II, II.8) riduce le varietaÁ a due: celestino
pallida (aquaticus) e azzurro chiara (saphirinus), anche se accenna all'esistenza di una terza
varietaÁ (flavus) su cui non si sofferma(48). Alberto, invece, conferma le credenze sulle
facoltaÁ magico-mediche del giacinto giaÁ riferite da Marbodo (vv. 225-228), tra cui quella,
antica perche risale a Solino, di essere rinfrescante se tenuto in bocca, ma le attribuisce
all'autoritaÁ del trattato De physicis ligaturis, un testo arabo del VIII secolo scritto da Costa
ben Luca (propriamente Qus,taÅ ibn LuÅquÅ al-Ba'albeki al-Shami, un cristiano siro morto nel
912) parzialmente tradotto in latino da Costantino Africano (Cartagine, ca. 1010 Montecassino, 1087) e da lui rielaborato nel De gradibus: fu questo uno dei primi testi
scientifici di origine araba a entrare nel giro della scienza europea per il tramite della
scuola di Medicina che si stava formando a Salerno(49).
7. Granata. Marbodo non parla di questa pietra rossa, ma Alberto sõÁ (II, II.7)(50) e la
considera analoga al giacinto per aspetto, ma diversa per natura e di poco valore, proprio
come il Vasolo. Tutto cioÁ che segue, nel testo di questi, non trova riscontro nelle sue fonti
dichiarate e in altre non dichiarate fonti contemporanee. Si tratta o di facoltaÁ generiche
(far passare il mal di testa e la sonnolenza) oppure di precetti non medici e quasi dozzinali
(impedire la fermentazione estiva del vino nelle botti e curare la malinconia serale
come figurante eÁ molto inconsueto, anzi unico, nel topos letterario relativo ai colori (Barasch, 1963; cf. Peri,
2004).
(48) Il significato di questo aggettivo, che in molti manoscritti eÁ scritto blavus, ha dato origine a lunghe
contese tra i filologi: i piuÁ emendano, dove eÁ il caso, il termine in flavus (= giallo carico), ma altri mantengono il
blavus dei manoscritti considerandolo un germanismo dell'autore (da blau = azzurro scuro: Bromehead, 194749).
(49) Alberto qui sbaglia: Costantino, nel De gradibus (in Beccaria, 1956), parla di tre tipi di giacinto (rosso,
citrino e verde) negli stessi termini di Marbodo. La bipartizione proposta da Alberto deriva senz'altro da un'altra
fonte, cosõÁ come il possibile giacinto blu, se non si tratta di un suo errore d'identificazione.
(50) Alberto Magno non eÁ il primo a citare il granato come pietra a se stante, anzi: afferma lui stesso che egli
trae l'indicazione da «Aristotele», vale a dire dal giaÁ citato testo apocrifo arabo sui minerali compilato nel IX
secolo (Ruska, 1912). Marbodo, pur non citando il granato come pietra a se stante, giaÁ parlava di una varietaÁ di
giacinto dal colore del melograno (vedi sopra).
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
43
bevendo un brodo o un vino in cui siano disseminati dei granatini). Possono benissimo
essere farina del sacco del Vasolo o riflettere tradizioni popolari da lui comunque recepite.
In questo caso, peroÁ, aprono uno spiraglio su quello che doveva essere il suo livello di
credulitaÁ e di acume, e non solamente in campo scientifico!
8. Spinella. EÁ descritta come pietra di colore rosso piuÁ chiaro del rubino e come capace
di calmare un collerico e indurlo a operare in modo razionale: poche parole, poiche il
nome non compare nelle fonti del Vasolo, essendo attestato per la prima volta nel De
natura fossilium di Giorgio Agricola (Glauchau, 1494 - Chemnitz, 1555), pubblicato nel
1546 e tradotto in italiano giaÁ nel 1550. Tuttavia Alberto, primo tra gli scrittori medievali
di minerali, aveva descritto (II, II.2) il balascio (balagius) in termini molto simili, pur senza
affatto definirne le facoltaÁ e quindi non offrendo nessun appiglio al Vasolo. Il «rubino
balascio» (notissimo quello detto «del Principe Nero» inserito nella corona reale inglese)
non eÁ altro se non la varietaÁ rosso chiara e trasparente dello spinello (Clark, 1993: p. 54).
9. Agata. L'agata attuale eÁ una varietaÁ di calcedonio colorata a bande, di qualsivoglia
tinta, ma per il Vasolo, che si rifaÁ a Marbodo (v. 53) e ad Alberto Magno (II, II.1), eÁ nera,
traslucida e venata di bianco: corrisponde quindi al nostro onice. Non una parola sulle
numerose varietaÁ distinte da Plinio sulla base delle alternanze di colore (XXXVII, 139) neÂ
relativamente alle figurazioni individuate dagli antichi (XXXVII, 5), come pure fa Marbodo (v.
55), e neppure sul suo uso nella glittica, che la faceva considerare la pietra piuÁ idonea a
incidere intagli e cammei (vv. 55-60). Non ne riprende neppure le varie facoltaÁ terapeutiche
indicate dalle sue fonti, forse perche sono troppe e troppo diverse, ma si limita ad enunciarne
due del tutto nuove: che mantiene lucido il cervello di chi ha bevuto piuÁ del giusto, e che
protegge dalle vertigini e dalla morte improvvisa. Non ho rintracciato la fonte di queste
facoltaÁ: deve peroÁ trattarsi ± almeno per quanto riguarda la prima ± di un convincimento ben
radicato nel Vasolo, tanto che torna a ripeterlo nel capitolo sull'ametista.
10. Grisolito. Crisolito eÁ attualmente un sinonimo di «peridoto», una gemma che, a
sua volta, eÁ una varietaÁ dell'olivina forsterite contenente una piccola quantitaÁ di ferro che
la colora di verde: verde oliva, appunto! Il Vasolo la descrive correttamente, l'aggettivo
«gaio» riferendo, probabilmente, la bella sensazione di luminositaÁ che la combinazione di
trasparenza con lucentezza conferisce ai migliori esemplari di peridoto di qualitaÁ gemma
che - ora come allora - provengono da Zabargad, un'isola del Mar Rosso presso la costa
egiziana. La facoltaÁ di proteggere dal cadere in una depressione tale che puoÁ portare
perfino a follia, se eÁ portata come anello o come ciondolo a contatto con la pelle, eÁ una di
quelle attribuite a questa pietra anche da Alberto (II, II.3), che afferma di riprenderla dal
trattato sulle legature di Costa ben Luca (vedi sopra). Alberto non ritiene opportuno
riferire un'altra facoltaÁ ben piuÁ strana che, secondo Marbodo (vv. 189-190), la pietra
avrebbe se portata al braccio sinistro, purche forata e inserita in un bracciale intrecciato di
peli d'asino: quella di scacciare i demoni notturni! Non lo fa neppure il Vasolo, con cioÁ
dimostrando di non voler ne dar credito ne prestare la sua voce a certe forme di magia che
puoÁ passare per nera.
44
A. MOTTANA
11. Amathista. Il Vasolo correttamente la descrive come di colore rosso-violaceo e
trasparente, richiamandone subito la tradizionale facoltaÁ di preservare dall'ubriachezza e
ribadendo che essa l'avrebbe in comune con l'agata (q.v.). Aggiunge, inoltre, che, portata
a destra incastonata in un anello d'oro, preserva dal morso dei cani rabbiosi e dei serpenti.
La prima facoltaÁ eÁ tradizionale e deriva, probabilmente, dall'etimologia popolare del
nome greco, essendo reperibile in tutta la letteratura sulle pietre fin da Teofrasto (v. 30, cf.
Mottana e Napolitano, 1997: p. 181) e da Plinio (XXXVII, 124). La confermano, tra gli
altri, Marbodo (v. 245) e Alberto (II, II.1)(51), le due fonti dichiarate del Vasolo. Quanto
alla sua efficacia contro il morso, ho riscontrato solo un'analogia in due affermazioni
contenute nel lapidario di Ildegarda: l'ametista servirebbe contro le morsicature dei ragni,
mentre le vipere e serpenti in genere ne avrebbero ripugnanza.
12. Sardonio. La breve descrizione del Vasolo prende spunti, senza un criterio
riconoscibile, da quelle di Marbodo e Alberto relative a ben tre pietre, tutte varietaÁ
semipreziose di quarzo (sardonyx, onyx/onycha e sardius/sardinus)(52). Afferma infatti che
eÁ nero (sia pure di un «certo» nero, quindi sfumando alquanto il termine) come l'onice di
Alberto (II, II.13) e la sardonice di Marbodo (v. 163: albus in his nigro), mentre la sarda
(Marbodo, v. 180: rubei solet esse coloris) e la sardonice (Marbodo, v. 163: rubens
superreminte albo) hanno sempre tinte prevalentemente sul rosso, talvolta molto scuro,
anche quando presentano struttura a bande alterne. Asserisce, inoltre, che eÁ
trasparente(53) e questa eÁ una proprietaÁ che Alberto (II, II.16) attribuisce solo al suo
sardinus (sarda). Le facoltaÁ che il Vasolo attribuisce al sardonio non sono le stesse delle
sue fonti, che sono tutte piuttosto caute poiche all'onice erano tradizionalmente attribuite
facoltaÁ decisamente negative (forse per il suo colore, giaÁ allora considerato funebre) che
risultavano moderate in una certa misura solo quando era in coesistenza con l'altra pietra.
Le uniche facoltaÁ citate dal Vasolo che ho rintracciato per pietre affini si trovano nel
trattato di Ildegarda e sono quella di calmare le pulsioni veneree, per la sardonice (5), e di
alleviare il mal di capo e la sorditaÁ, per la sarda (7).
13. Berillo. Descritta incolore come l'acqua, trasparente e mediamente lucente, questa
pietra eÁ quasi certamente la varietaÁ di berillo che si chiama ora «goshenite», raramente
usata come gemma proprio perche priva di una particolare distinzione cromatica. Il
Vasolo le attribuisce la facoltaÁ di incentivare l'accortezza di chi la porta in modo da
acquistare la simpatia dei suoi oppositori e vincerli nelle dispute, doti queste mutuate da
(51) In questo contesto (contra ebrietatem) Alberto cita come sua fonte anche un Aaron. Il Riddle (1977: p.
107) ritiene che sia il suo modo di citare il lapidario di Damigerone, mentre la Wyckoff (1967: p. 74, n. 16) pensa
piuttosto ad un errato richiamo al lapidario dello pseudo-Aristotele, che Alberto effettivamente cita piuÁ oltre (II,
III.6), assieme a Diascorides (= Dioscoride), la
Á dove precisa che per essere efficace l'ametista deve essere applicata
o appesa sopra l'ombelico dell'ubriaco.
(52) Vi sono notevoli oscillazioni ortografiche tra Marbodo e Alberto, e ne presenta alcune perfino
quest'ultimo.
(53) Traslucente, in realtaÁ, ma questo eÁ un errore semantico comune.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
45
Marbodo (vv. 198-199) che l'estende anche ai rapporti di coppia, e da Alberto (II, II.2).
Quest'ultimo non si pronuncia personalmente sugli effetti che puoÁ avere la pietra nei
problemi matrimoniali, ma cita i gioiellieri come testimoni del suo favorevole influsso, pur
senza sostenere (come il Vasolo) che la gemma va montata ad anello assieme a lapislazzuli
per essere efficace. Stranamente, il Vasolo non mutua le pur numerose facoltaÁ
terapeutiche che il berillo avrebbe secondo le sue fonti, ne altre importanti proprietaÁ
fisiche come quella di poter contenere inclusioni fluide e di accendere il fuoco, se esposto
al sole molato a forma di sfera (Alberto: II, II.2(54)).
14. Torchina. Questa pietra eÁ sconosciuta a Marbodo, benche ci siano prove
archeologiche che le miniere di turchese del Sinai erano giaÁ sfruttate dagli Egizi nel
3400-3300 a.C. (Cerny, 1955: p. 202), ma eÁ nota ad Alberto Magno (II, II.18), che ne
segnala il vivace colore azzurro e afferma che protegge la vista ed evita gli incidenti. Il
Vasolo sa, inoltre, che viene dall'oriente e precisa che ha la facoltaÁ di salvaguardare chi la
porta dalle cadute da cavallo, garantendogli tanto di non storpiarsi quanto di non affogare
nel guadare fiumi impetuosi.
16. Iris. Correttamente il Vasolo mette in evidenza la somiglianza tra questa pietra e il
quarzo (cristallo di rocca: 16bis), come d'altra parte avevano fatto, prima di lui, tanto
Marbodo (v. 610: chrystallo similem) quanto Alberto (II, II.8), che inoltre riprendono
entrambi le notizie di Plinio (XXXVII, 136-137) sul contorno esagonale dei cristalli e sulla
dispersione della luce nei colori dell'arcobaleno, da cui trae il nome della gemma. La
dipendenza del Vasolo dalle sue fonti eÁ qui confermata soprattutto dal fatto che,
contrariamente ad altre pietre, egli ne cita il luogo d'origine: il Mar Maggiore, cioeÁ
l'Oceano Indiano, di cui il Mar Rosso, da loro indicato, eÁ una diramazione. Stranamente,
peroÁ, egli non riferisce che numerosi cristalli di quarzo iridescente erano stati trovati anche
nelle rocce della valle del Reno presso Treviri (Alberto: II, II.8), ne accenna all'ipotesi
avanzata da questo autore sull'origine delle forme esagonali per una compressione reciproca
dei cristalli esercitatasi su forme inizialmente tonde(55). Nelle fonti non c'eÁ traccia di azione
terapeutica, ma eÁ probabilmente sulla base dei fenomeni ottici descritti da esse che il Vasolo
puoÁ proporre che la sua applicazione faccia bene alla vista.
17. Galasia. Il nome eÁ storpiato, rispetto alle fonti, ma l'accostamento con la grandine
non permette di dubitare che la pietra descritta del Vasolo sia la stessa cosa della gelatia di
Marbodo (v. 525) e della gelosia di Alberto (II, II.7). Anche la descrizione coincide in tutti
i particolari, ed eÁ quindi riconducibile alla fonte prima: la chalazias di Plinio (XXXVII,189),
(54) Il primo a parlare di questo comportamento fisico del berillo sembra sia stato il venerabile Beda
(Monkton, 673 ± Jarrow, 735), per il quale il riscaldamento sarebbe talmente forte da bruciare la mano di chi
tiene sollevata la gemma.
(55) Alberto fa un confronto con le cellette esagonali dei favi per affermare che, come queste sono esagonali
perche le api le posano strettamente accostate, cosõÁ i cristalli di quarzo assumono contorni esagonali percheÂ
crescono compressi in forma di concrescimenti paralleli.
46
A. MOTTANA
che sembra essere stata un corindone incolore e durissimo del tutto inattaccabile al
fuoco(56). Questa insensibilitaÁ alle sollecitazioni esterne, di qualsiasi natura esse siano, eÁ
certamente il motivo che ha suggerito agli autori di indicare la pietra come un efficace
moderatore delle imperiose volontaÁ di chi la porta.
18. Ambra. Di nuovo il Vasolo mescola sotto lo stesso nome due informazioni
differenti che gli arrivano dalle sue fonti. Di fatto, l'unica fonte che parla dell'ambra
p.d. eÁ Alberto Magno (II, II.17) che, pur conoscendola bene essendo tedesco,
preferisce riferirsi ad essa con termini classici come succinus ed electrum, purtroppo
corrotti in suetinus ed eliciam dagli amanuensi (Wyckoff, 1967: p. 121). Alberto,
tuttavia, non esita a riferire anche i termini d'origine araba (lubra o lambra) che
evidentemente, al suo tempo, stavano conquistando una sempre maggiore popolaritaÁ.
Per Alberto l'ambra eÁ giallo-pallida, trasparente e capace di attrarre foglie e paglia allo
stesso modo con cui la calamita attrae il ferro. Quest'ultima nozione non passa al
Vasolo, come non passa neppure l'asserita facoltaÁ della gemma di mantenere casti
coloro che la portano. Purtroppo il testo di Alberto eÁ confuso: tra l'altro egli afferma
anche che l'ambra, bruciata, allontana i serpenti e aiuta le donne a sgravarsi, nozione,
quest'ultima che mette in sovrapposizione l'ambra con il gagate, cui vengono attribuite
le stesse «virtuÁ» ed in piuÁ quella di favorire le mestruazioni e di verificare la verginitaÁ di
una fanciulla provocandole la contenzione dell'orina. Sono forse queste le facoltaÁ di cui
parlava anche Avicenna e che il Vasolo «per degni rispetti» non trascrive? Dal capitolo
sul gagates scritto da Alberto (II, II.7) il Vasolo ricavava come informazione ulteriore
che questa pietra si presenta sotto due varietaÁ: una nera e una pallida. La prima
proviene dalla Bretagna(57) e la seconda dalla Libia(58), ed entrambe sono raccolte
sulle spiagge dove le deposita il mare. L'ambra gialla, quella vera (II, II.17), era data
come efficace contro l'idropisia e la caduta dei denti, mentre a quella nera Alberto non
attribuisce, invece, nessuna facoltaÁ se non quella che i suoi fumi accelererebbero gli
attacchi epilettici e accecherebbero i malati (II, III.6). Marbodo, invece, che la descrive
da sola come gagates (vv. 268-283), tanto nero quanto pallido, le attribuisce tutte le
facoltaÁ sopra riportate ed altre ancora sempre legate alle malattie femminili. Non ho
rintracciato l'origine della credenza, riportata dal Vasolo, che il tocco con l'ambra nera
obbliga la servituÁ di casa a dire la veritaÁ.
(56) La descrizione di Plinio ha indotto un commentatore moderno (cf. Wyckoff, 1967: p. 94) all'ipotesi che
questo eÁ stato il primitivo nome greco del diamante, sostituito poi dall'attuale (che originariamente e fino a Platone
aveva il significato di acciaio) per effetto di una migliore conoscenza dei diamanti indiani e della loro capacitaÁ di
scalfire, molto superiore a quella dell'acciaio stesso. Il trapasso di significato risalirebbe, quindi, al IV-III secolo a.C.
(57) PiuÁ propriamente, dalla Gran Bretagna: la localitaÁ tipica eÁ Whitby, sulla costa dello Yorkshire bagnata
dal Mare d'Irlanda, dove fino all'inizio del Novecento eÁ esistita una fiorente attivitaÁ di raccolta del giaietto sulle
spiagge e di lavorazione semi-industriale del grezzo per ricavare gioielli da lutto.
(58) Intende con cioÁ la sponda africana del Mediterraneo. Non esiste ambra in Libia, ma eÁ possibile che le
correnti marine abbiano trasportato fin su questa costa pezzi dell'ambra siciliana (simetite). Questa deriva dallo
smantellamento fluviale di rocce arenacee mesozoiche che affiorano al centro dell'isola.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
47
19. Dragonite. Questa escrescenza ossea nella testa dei serpenti eÁ descritta, tra le fonti
del Vasolo, solo da Alberto Magno (II, II.4), che in parte la riprende da Plinio (XXXVII,
158) e in parte offre una sua testimonianza personale su un caso accaduto in Svevia. Il
Vasolo sostanzialmente conferma le facoltaÁ attribuite da Alberto alla pietra di vincere il
nemico e di proteggere dal veleno; poi aggiunge di suo una novitaÁ, anche se non essenziale
dal punto di vista medico, che per altro eÁ reperibile in letteratura anche per la bufonites, la
pietra che verrebbe estratta dal cranio del rospo (Thorndike, 1923: II, p. 70) e che
costituirebbe il migliore antidoto per il veleno delle serpi: che il miglior periodo per
estrarla a forza dalla testa del serpente(59) eÁ quando il sole eÁ nella costellazione del leone
(luglio-agosto).
20. Aquilina. Con questo termine, usato solo da lui(60), il Vasolo italianizza il nome
di una pietra che ricavava da Marbodo (vv. 363-382) e che trovava confermata da
Alberto (II, II.5). Essi, peroÁ, sono concordi nell'attribuirla, erroneamente, all'echites,
mentre Plinio chiaramente distingueva tale pietra, il cui nome deriva dalla vipera,
dall'aetites, il cui nome deriva invece dall'aquila (XXXVII, 187). L'echite di Plinio eÁ una
specie poco chiara; la sua aetite eÁ invece una geode, forse di agata, contenente un
cristallo sciolto che la fa risuonare quando eÁ scossa (X, 12; XXXVI, 149-151): per questa
sua conformazione era ritenuta propizia alle gestanti(61). Questa eÁ appunto la pietra
descritta dal Vasolo e il colore rosso scuro, che egli le attribuisce, conferma ancora una
volta (se ce ne fosse ancora bisogno) che egli non si basa solo sul testo di Alberto Magno,
che non ne parla, ma trae materiale anche da Marbodo, rielaborandone il testo laÁ dove
questi si faceva trasportare dall'estro poetico. Il v. 379, infatti, recita: puniceum lapis hic
memoratur habere colorem, dove l'appellativo puniceum sta per Woinikiko*Q, rosso cupo
(come la porpora prodotta dai Fenici), ed eÁ un aggettivo troppo raro in latino per non
porre sull'avviso che il testo di Marbodo eÁ solo la trasposizione in poesia di un trattato sõÁ
in latino, ma ricalcato e tradotto in epoca tarda (V secolo) da un testo greco forse del I
secolo AD (Halleux, 1974: p. 329). I vantaggi che il Vasolo indica per chi porta
l'aquilina sono molteplici: concilia l'amore tra moglie e marito, allontana nelle donne
gravide il pericolo o semplicemente l'avviso d'aborto, porta sollievo a chi soffre
d'epilessia, impedisce a chi eÁ stato avvelenato di inghiottire il boccone mortale, protegge
dalla tempesta e dai fulmini. Sono tutte facoltaÁ presenti nell'echites di Marbodo (vv.
365-378) e confermate da Alberto. EÁ di Alberto la storia che le aquile pongano la pietra
nel loro nido affinche le uova non si rompano, o meglio: non potendo egli verificare
(59) Non accenna peroÁ al fatto che il serpente deve essere ancora vivo, al momento dell'estrazione, come
invece vogliono Alberto e Plinio.
(60) L'aveva esemplato, probabilmente, dal Dolce (1565: c. 43) che aveva tradotto con «aquiloio» (e anche
«ethice», «aquilea» e «pietra pregna») il nome della pietra che il Leonardi aveva descritto come ethites. In altro
luogo, inoltre, il Dolce (1565: c. 33) chiamava «aquilino» una pietra estratta da un pesce.
(61) Il Riddle (1977: p. 63, n. 1) riferisce che esiste un antico amuleto ostetrico in cui una mano del XVIII
secolo ha iscritto il nome aetites (= eaglestone = pietra aquilina). Non ho potuto verificare il lavoro che egli cita a
supporto della sua affermazione (Drake, 1940).
48
A. MOTTANA
questa credenza per le aquile (anzi, parendogli palesemente falsa, perche gli urti
favorirebbero la rottura), Alberto indica che pietre simili si trovano nei nidi delle
cicogne e pensa che abbiano lo stesso effetto. Il Vasolo non recepisce quest'ultima
notizia e la sostituisce con un'altra, assente nelle due fonti: che esposta alla luce in
controsole l'aquilina emette raggi di fuoco. Non ho trovato riscontro di questa
affermazione ne nel Dolce ne nell'Agricola, epperoÁ eÁ plausibile: una pietra rossa
abbastanza sottile da essere quasi trasparente lascia senz'altro passare luce rossa
rifrangendola in varie direzioni a seconda dell'angolo visuale.
21. Orite. Dei tre tipi di orites descritti tanto da Marbodo (vv. 579-590) quanto da
Alberto (II, II.13), il Vasolo recepisce solo il secondo, quello verde con macchie bianche
(Marbodo, v. 584: qui viret, et maculas habet albas), cui attribuisce inoltre di essere
trasparente, senza peroÁ riportare nessuna delle facoltaÁ descritte dalle sue fonti e proponendo
di suo facoltaÁ non ben determinate come quella di proteggere l'uomo dal mortale pericolo
d'infettarsi, in particolare di peste. Troppo poco, tutto cioÁ, per identificare la pietra che, sulla
base dell'etimologia greca (di montagna [scil. pietra]) e dell'aspetto esterno, potrebbe essere
stata, all'origine, una qualsiasi roccia metagabbrica o metaporfirica.
22. Calcidonio. La descrizione che il Vasolo fa del calcedonio diverge profondamente
da quelle di Marbodo (vv. 129-134) e di Alberto (II, II.3), che lo descrivono entrambi
come grigio pallido (hebeti pallore refulgens: v. 129). Corrisponde piuttosto a quella del
diaspro, in particolare del diaspro di Sicilia, rosso da chiaro a scuro in massa, ma
frequentemente a macchie, venato, fiorito, radicellato e brecciato con vene di
ricementazione piuÁ chiare. Questi diaspri (di «cava nova», come quelli estratti a
Giuliana e Bisacquino: cf. Montana e Gagliardo Briuccia, 1998) all'epoca del Vasolo
erano talmente diffusi a Roma e in Italia che se ne potevano comunemente fare
decorazioni di grandi dimensioni, addirittura interi rivestimenti di cappelle. Il Vasolo
non segue le sue fonti neppure nella descrizione del modo di portarlo e nelle facoltaÁ
connesse, che formula in modo generico. Molto probabilmente egli trasse le sue
informazioni da un qualche lapidario cristiano che confondeva il calcedonio con la
chelidonia(62) e si rifaceva, per questo, a Isidoro (XVI, 9.6), in cui quest'ultima pietra eÁ
descritta come una gemma purpurea, ma bicolore, perche contiene zone scure. Questa
scelta appare ovvia, se si pensa che il calcedonio eÁ una delle dodici gemme del rationale,
quindi doveva essere descritta rispettando rigorosamente il dettato tradizionale della
chiesa: ragioni di prudenza da parte del Vasolo, nel clima della Controriforma, quindi, e
non «degni rispetti», almeno in questo caso!
(62) Nella congerie di pietre piuÁ o meno ben descritte dagli autori antichi le commistioni di nomi e di
argomenti erano tutt'altro che rare. Nel caso in questione, poi, perfino il Riddle, che antico non eÁ, si perde e, nel
riferire le varie fonti di Marbodo, mischia le informazioni che trova sul calcedonio con quelle che invece
riguardano il chelidonio (1977: p. 97).
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
49
23. Celidonio. Questa gemma (come giaÁ la dragonite) eÁ data come estratta dal corpo di
un essere vivente, in questo caso una rondine. Il Vasolo trae da le sue informazioni
soprattutto da Alberto (II, II.3), che eÁ piuttosto conciso, mentre Marbodo si dilunga
alquanto, ma in particolari di colore (vv. 249-267). Entrambi gli autori concordano
nell'affermare che, di solito, nel corpo della rondine si trovano due pietre, una nera e una
piuÁ chiara, ma entrambi la dicono rossiccia (rufus), mentre il Vasolo usa un termine ormai
diventato raro che corrisponde a un grigio cinereo. Nessuna delle due fonti, inoltre,
precisa che la pietra si trova nella rondine solo a luglio. Anche il modo di portarla e il
risultato che se ne consegue non trovano nessun riscontro nelle fonti e sono
probabilmente da riferire a credenze popolari trasmesse oralmente.
24. Largate. Il nome non ha riscontro in nessun lapidario precedente ed eÁ,
probabilmente, un'invenzione dal Vasolo. In alternativa, forse, egli doveva disporre
di una copia del trattato di Alberto Magno con un titolo alterato dall'amanuense,
perche qui (II, II.7) eÁ descritta ± esattamente nei termini da lui usati e perfino col
riferimento ad Alcide (vedi nota 19) ± la gagatronica, una pietra che Marbodo invece
chiama gagatromeum (v. 395). Questa pietra, se anche non fosse favolosa, non eÁ
identificabile. L'unica lieve differenza di contenuto tra il Vasolo e le sue fonti sta nella
conclusione sulle facoltaÁ attribuitele: per loro, fin tanto che Ercole se la portoÁ addosso,
fu vittorioso; per il Vasolo, che privilegia le funzioni medicamentose, egli si mantenne
anche sano.
25. OftaÂlmia. Per descrivere questa pietra, il Vasolo non solo espressamente indica che
usa come sua unica fonte Alberto Magno (II, II.13), ma va fino alle estreme conseguenze:
la sua descrizione ne eÁ una traduzione fedele, fatto piuttosto inconsueto rispetto al suo uso
normale di combinare tra loro le sue due fonti principali selezionando da ciascuna quante
piuÁ implicazioni mediche poteva. Forse cioÁ eÁ dovuto al fatto che le stesse facoltaÁ e quasi gli
stessi vocaboli sono presenti anche nel testo di Marbodo (vv. 622-626), che risulta quindi
altrettanto oscuro di quello di Alberto. Solo il confronto diretto con la descrizione che ne
daÁ Plinio (XXXVII, 80-82) permette, infatti, di riconoscere in questa pietra l'opale, nella
varietaÁ detta «arlecchino» per il suo gioco di colori. Le difficoltaÁ di comprensione
derivano probabilmente dal fatto che i due autori medievali sono concordi nel distribuire
le caratteristiche fisiche dell'opale descritto da Plinio su tre pietre distinte (hyena,
ophtalmus e pantherus, nell'ortografia di Alberto), a ciascuna delle quali attribuiscono
poi facoltaÁ lievemente diverse. Il Vasolo sceglie, fra le tre descrizioni, quella della pietra
che ha la facoltaÁ medica piuÁ spiccata (di attenuare l'acutezza visiva del prossimo al punto
di rendere invisibile chi la porta, se il suo potere eÁ rafforzato con l'avvolgerla in una foglia
d'alloro), ma non rinuncia a segnalarla anche come «guida delli ladri», attribuendo il
determinativo non a Marbodo, che ne eÁ l'autore (v. 626), ma a generici «felosofi» e cosõÁ
generalizzandolo.
26. Silonite. La descrizione che il Vasolo fa di questa pietra, che asserisce provenire
da un organismo vivente, la tartaruga marina indiana, non ha nessun riscontro con la
50
A. MOTTANA
silenites delle sue fonti, che la dicono o simile a un diaspro verdastro (Marbodo, v. 384)
oppure l'identificano con la madreperla (Alberto, II, II.17). Non accenna neppure alla
presunta curiosa sua proprietaÁ di cambiare d'aspetto con le fasi della luna, che essi
concordemente le attribuiscono. La pietra descritta dal Vasolo eÁ, piuttosto, la
chelonites di Marbodo (vv. 533-544), malamente ripresa col nome di celontes da
Alberto (II, II.3) e, come quella, descritta come rossa con riflessi variopinti. Per quanto
riguarda il modo e il tempo d'estrarla dal rettile, il Vasolo ricava le sue informazioni da
altre fonti, e cosõÁ eÁ per le facoltaÁ che le attribuisce fuorche una: di conservare la
memoria. Questa facoltaÁ intellettiva, e l'identica prescrizione di tenere la pietra sotto la
lingua per renderla operativa, non eÁ peroÁ estesa da lui fino alla capacitaÁ di prevedere il
futuro, come voleva Marbodo (vv. 535-536: quem si sub lingua loto quis gesserit ore
posse magi credunt hunc divinare futura) ed anche Alberto, che peroÁ l'attribuisce alla
sua silenites (II, II.17), e la descrive con molti ulteriori dettagli tanto fantasiosi da
apparire fantastici.
27. Alettorio. Anche questa pietra eÁ d'origine animale, ma in un contesto piuÁ
verificabile, poiche in passato i capponi non erano certo altrettanto difficili da trovare
sulle tavole da pranzo quanto lo sono ora. Il Vasolo la descrive come di piccole
dimensioni, tonda, luccicante e limpida come il quarzo, esattamente come Marbodo (v.
79: crystallo similis, vel aquae, cum limpida paret), e suggerisce di estrarla dal ventricolo di
un cappone di almeno cinque anni d'etaÁ per accentuarne l'efficacia. Per confronto:
Marbodo suggeriva un minimo di tre (v. 75) e Alberto di quattro (II, II.1), anche se poi
aggiunge che alcuni arrivavano a proporre un minimo di nove anni. Marbodo prosegue
attribuendo all'alettorio la facoltaÁ di esaltare la potenza fisica, tanto nel pugilato, come
soleva Milone da Crotone (v. 83), quanto nel gioco sessuale, come usava fare la moglie di
Commodo(63) (v. 90), mentre Alberto preferisce limitarsi a quest'ultima, pur accennando
che ha anche altri poteri come quello di sviluppare la capacitaÁ oratoria. Il Vasolo, ligio alle
sue finalitaÁ terapeutiche, la consiglia all'uomo anziano che abbia una moglie giovane, ma
prescrive che egli deve portare al collo, in modo che tocchi la carne, una pietra che sia
stata tratta da un cappone macellato in luna crescente o di marzo o d'agosto: insomma,
per non fare brutta figura e per la sua stessa sicurezza, non essendo probabilmente del
tutto convinto dell'efficacia, pone una serie di condizioni che potrebbero giustificare
l'eventuale insuccesso della cura.
28. Lapislazoro. L'elencazione del Vasolo si conclude con una pietra che non poteva
trovare tra le sue fonti dichiarate, benche qualche accenno su di essa si trovi in Alberto
(63) Il riferimento a Milone eÁ tratto da Solino (1. 76-77). Quello a Commodo, invece, eÁ incerto. Non eÁ
nella Vita Commodi di cui eÁ autore Elio Lampridio. EÁ improbabile che sia nella < Rvmaikh* i$ stori*a di Cassio
Dione (autore bene informato e incline a divulgare particolari intimi), che manca del libro LXXII relativo a
questo imperatore e di cui conosciamo solo un'epitome bizantina. PuoÁ forse essere rintracciata tra gli scoli ad
Erodiano.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
51
(alla voce zemech: II, II.20, dove figura indicato anche un lapis lasurii, ma solo come
sinonimo(64)) ed anche se, in entrambe, vi sia qualche cenno particolare, che eÁ peroÁ
trasferito alla descrizione dello zaffiro (q.v.). La descrizione che il Vasolo daÁ del
lapislazzuli eÁ per certi versi molto precisa (colore azzurro e presenza di inclusioni di
pirite), per altri errata (non eÁ trasparente e neanche traslucente). Passa poi subito a
proporre la sua utilizzazione: bisogna farne una collana che abbia i vaghi alterni con
corallo(65) e che abbia un pendaglio di giacinto, meglio se accompagnata con due
braccialetti, per sfruttarne appieno l'importante facoltaÁ sanitaria: di guarire dalla peste e
di sfebbrare. Aggiunge, inoltre, che se si unisce alla collana anche qualche vago
d'ambra(66), si cura il mal di cuore. Infine, bere vino in un vaso di lapislazzuli farebbe
bene al cuore, mentre usare lo stesso vaso per sciogliere erba betonica in acqua da bere
farebbe passare il mal di testa. Sono tutte prescrizioni introvabili nelle fonti, frutto quindi
dell'inventiva del Vasolo o dei suoi informatori.
DISCUSSIONE
CominceroÁ questa parte conclusiva della mia analisi con una citazione: «Quando si
utilizza come fonte documentaria un testo letterario non si deve mai dimenticare la sua
letterarietaÁ. Altrimenti anche lo studioso piuÁ acuto rischia di non vedere cose che per il
lettore del passato erano addirittura ovvie» (Peri, 2004: p. 36). Questa eÁ la situazione in
cui mi trovo nel momento di passare all'esame dei pregi e dei difetti di questo testo e
quindi alla sua valorizzazione.
Non vi eÁ dubbio che, pur se indotto da motivi cortigiani e di utilitaÁ personale, nello
scrivere questo breve trattato Scipione Vasolo intendeva sviluppare un argomento che
egli riteneva rigorosamente scientifico oltre che socialmente utile. Tuttavia, egli voleva
anche raggiungere il risultato di comporre un'opera letterariamente gradevole, cosõÁ da
(64) Lo stesso Vasolo sembra essere piuttosto incerto su come scrivere il nome: «lapislazoro» nel titolo e
«lapis lazaro» all'inizio del capoverso di testo, entrambi chiaramente con accento piano. Il termine lapislazzuli
compare in italiano giaÁ all'inizio del XIV secolo (volgarizzamento di Zucchero Bencivenni), ma non divenne il
nome definitivo di questo materiale prima del XVII secolo, in campo gemmologico, e fino al XIX, in campo
artistico, dove gli era preferito quello di «azzurro ultramarino», che ne evidenziava l'uso come pigmento
colorante, soprattutto negli affreschi (Cennini, [ca. 1390] 2003). Il Dolce (1565), che eÁ contemporaneo del
Vasolo, scrive «lazolo» (c. 51) o, latinamente, «lapislazoli» (c. 65), ma afferma di preferire «zumelazoli» (c. 65) o
perfino «zumemalazoli» (c. 51): sembra, cioeÁ, ritenere preferibile la derivazione completa dall'arabo (cf. lo
zemech di Alberto, alla voce zaffiro) alla contaminazione linguistica latino + arabo, forse percependo che anche
azzurro eÁ parola d'origine araba, ancorche consolidata nella lingua italiana. Nella letteratura mineralogica
posteriori diventeraÁ stabilmente lapislazzuli per sintonia con la forma Lazuli lapis prescelta da A.B. de Boot
(1609, 16362: pp. 273-292). Egli ne daÁ un'estesa descrizione, non solo del materiale naturale, ma anche del
preparato artificiale corrispondente.
(65) Da molti il corallo eÁ considerato una gemma o almeno un materiale semiprezioso al quale in passato si
attribuivano «virtuÁ» particolari (tipico l'uso di farne collanine per i bambini). Il Vasolo non ci si sofferma, ma eÁ la
trentunesima pietra di cui parla.
(66) Il Vasolo aggiunge anche «musco», ma io non vedo come sia possibile inserire tra i giunti di una collana
un vegetale cosõÁ soffice e poco tenace se non in modo molto instabile.
52
A. MOTTANA
non correre il rischio di annoiare l'Orsini dalla cui benevolenza s'aspettava un beneficio.
Questa sua intenzione spiega perche il manoscritto si presenti curato sotto l'aspetto tanto
grafico quanto stilistico, mentre sono da imputare alla difficoltaÁ della materia trattata (e,
in una certa misura, anche alla eccessiva cautela del suo autore nel non eccedere dai
«degni rispetti») vari squilibri presenti. Il maggiore tra tutti eÁ, senza dubbio, la mancanza
di un criterio espositivo sistematico: se al diamante il Vasolo dedicava 52 righe di
scrittura(67) ed una trattazione ragionevolmente sistematica (prima le proprietaÁ fisiche
che lo caratterizzano, poi il valore venale, poi le facoltaÁ, cominciando da quelle di
rilevanza psicologica per arrivare a quelle relative alla salute corporea ed infine un
aneddoto(68)) e questo era piuÁ che giustificato dal fatto che si tratta della piuÁ importante
delle gemme, allora come oggi, ebbene, non c'eÁ ragione che al rubino e allo smeraldo,
indiscutibilmente la seconda e terza gemma in ordine d'importanza commerciale,
scientifica e culturale siano dedicate solo 17 e, rispettivamente, 6(69) righe. Con un tale
criterio, essi sono fatti passare in secondo piano rispetto non tanto al lapislazzuli (22 1/3
righe), che come pietra ha una tradizione millenaria anche se porta un nome nuovo,
quanto addirittura all'aquilina (26 1/2 righe), che non ha neppure un'origine sicura,
trattandosi di un oggetto che per caso si trova nei nidi! Eppure eÁ proprio a questa pietra
che il Vasolo sembra dedicare gran cura, al punto da precisarne il comportamento ottico,
come non fa per nessun'altra.
Siamo, quindi, in presenza non di un trattato concepito e condotto su basi scientifiche,
ma, piuttosto, di un'opera letteraria che vuole ammantarsi di scientificitaÁ e che per questo
cerca di inserirsi nel genere didattico-didascalico, ben noto fin dall'antichitaÁ tanto greca
(e.g., Nicandro e Arato) quanto latina (e.g., Lucrezio e Manilio). Questo tipo di genere
letterario era tornato ad essere attuale all'epoca della Controriforma non tanto per motivi
artistici, quanto piuttosto per la sempre maggiore tensione scientifica che pervadeva le
persone colte, quella stessa tensione che porteraÁ, all'inizio del Barocco, alle prime
pubblicazioni scientifiche d'impostazione e di contenuto moderni (Altieri Biagi, 1968;
cf. Rossi, 1997). Quel genere letterario, se da un lato poteva creare all'autore problemi con
una gerarchia ecclesiastica ottusamente assestata su posizioni aristoteliche(70), dall'altro
(67) Nel manoscritto originale (che eÁ di volume circa doppio della trascrizione qui riportata).
(68) Mi sembra una specie di criterio a summis ad ima, ancorche applicato alle pietre preziose e quindi a un
soggetto nuovo (cf. Peri, 2004: pp. 280-285). Se cosõÁ eÁ, rientra anch'esso in un canone letterario seguito durante
tutto l'evo antico e moderno, oltre che inserirsi in un topos ben definibile (vedi oltre).
(69) Sedici righe in tutto, se aggiungiamo le 10 dedicate allo «smeragdo».
(70) Contrariamente a quanto abitualmente si ritiene, la chiesa cristiana non era aristotelica dalle origini
(Agostino eÁ stato considerato da molti un filosofo platonizzante). Lo divenne solo nel Duecento, dopo un
periodo di furiosa opposizione concretatasi, tra l'altro, in scomuniche e anatemi come quelli di Parigi del 1210,
1250 e 1277 che avevano messo a rischio persino pensatori ortodossi e poi santificati come Alberto Magno e
Tommaso d'Aquino (Grabmann, 1941; Bianchi, 1990). Tre secoli di aristotelismo, peroÁ, una volta che questa
dottrina era stata finalmente accettata, anzi imposta, avevano sclerotizzato la gerarchia su posizioni tali da vedere
con fastidio ogni modifica e perfino una modesta novitaÁ. Ne faranno le spese non tanto gli studiosi operanti
nell'alveo della «scienza normale» (Kuhn, 1962), che allora si rifaceva all'aristotelismo, quanto quelli ritornati al
platonismo delle origini e, soprattutto, quelli realmente innovativi, quale che sia il settore in cui essi hanno
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
53
risultava incomprimibile in un uomo formatosi nello spirito del Rinascimento: vi fu, infatti,
un certo numero di ricercatori particolarmente dotati, ma non altrettanto cauti
nell'esprimere i loro ritrovati, che dovettero affrontare difficoltaÁ di tutto rilievo, in qualsiasi
paese e sotto qualsiasi regime essi operavano, ma soprattutto in quelli dove prevaleva una
concezione mal compresa del rispetto dovuto alla religione come veritaÁ rivelata(71).
Il Vasolo opera in un settore poco praticato rifacendosi ad uno dei piuÁ prestigiosi
propugnatori dell'aristotelismo: Alberto Magno, dottore della chiesa universale e quindi
inattaccabile sotto l'aspetto tanto dottrinale quanto scientifico. Egli se ne fa schermo e
fonte, quindi, ma eÁ, nel complesso, un ben modesto scienziato, quasi indegno di questo
nome, perfino se visto come uno dei tanti cultori della «scienza normale» (Kuhn, 1962):
quel modo di fare ricerca che richiede poca fatica, compromette poco, ma produce anche
poco(72). EÁ, essenzialmente, un compilatore ed un divulgatore privo di un'intuizione
personale che valesse la pena di sottoporre, allora come ora, ad acribia critica e, meno
ancora, suscitasse la curiositaÁ di farne una verifica coi metodi sperimentali. Egli si
caratterizza per avere una forte convinzione su un argomento marginale, ma non
innovativo, poiche l'uso delle pietre a scopo medicinale era una consuetudine accettata
ormai da secoli; raccoglie informazioni da fonti antiche, scelte tra quelle di indubbio
prestigio, ma ± al tempo stesso ± tali da non procurargli guai, perche loro stesse ben
accette dalla gerarchia ecclesiastica; le integra con parsimonia e cautela con alcune idee
nuove o, se non proprio nuove, certamente non innovatrici perche provenienti da una
tradizione consolidata, anche se rimasta confinata all'immaginario popolare e non ancora
trasferita all'ambiente letterario; aggiunge di suo un metodo espositivo di un certo buon
gusto (non tale, comunque, da farne un letterato rimasto nella memoria degli altri) e
confeziona cosõÁ un trattatello che ha pretese scientifiche, svolge l'utile compito didascalico
di mettere sull'avviso i malati contro le pozioni dei medici e, last but not least nelle
intenzioni dell'autore, arreca un beneficio a chi l'ha scritto(73).
Sarebbe vano cercare di inserire il Vasolo in un genere letterario importante, ma non eÁ
del tutto fuori luogo ammettere che la sua opera rientra in un topos(74) che non solo ha
intrattenuto una relazione, per cosõÁ dire trasversale (cf. Peri, 2004: p. 307), con materie
ricercato: fisico (come Galileo Galilei) o psichico-morale (come Giordano Bruno). Occorreranno piuÁ di tre secoli
affinche la gerarchia si decida a chiedere scusa a Galileo e sembra che non sia maturato ancora il tempo in cui
presentare al Bruno le scuse che gli sono dovute.
(71) Casi come quelli di Tommaso Moro e di Michele Serveto in ambito protestante possono bilanciare, ma
certamente non giustificare quelli di Galileo e del Bruno.
(72) Questo eÁ il giudizio del Kuhn (1962), che peroÁ avvisa anche che la scienza normale non eÁ inutile, percheÂ
dopo un periodo piuÁ o meno lungo di ricerca condotta per piccoli o piccolissimi passi la conoscenza nel suo
complesso si eÁ sviluppata a tal punto da trovare in se stessa le motivazioni che fanno scattare un cataclisma che la
fa porta a progredire di colpo: un cambiamento di «paradigma» (Kuhn, 1962).
(73) Questa mia affermazione potrebbe sembrare una malignitaÁ gratuita, ma non lo eÁ: eÁ, piuttosto, una
supposizione che suscita in me il fatto che un altro libretto simile a questo fu predisposto dal Vasolo e dedicato
ad un altro benefattore (vedi nota 6).
(74) Per chiarirmi le idee su questo concetto, che eÁ letterario e non scientifico, sono ricorso alla lettura
dell'affascinante volume del Peri (2004).
54
A. MOTTANA
apparentemente del tutto difformi come la medicina e l'alchimia, ma che ha anzi saputo
mantenersi nel tempo, con una lunga tradizione che non si eÁ affatto esaurita al momento
attuale. EÁ il topos della vis naturalis delle pietre, originatosi probabilmente ad Alessandria in
epoca ellenistica sotto l'influsso di dottrine provenienti dall'oriente, probabilmente indiane
(Finot, 1896). Mentre, infatti, nella mente greca classica, che aveva una spiccata propensione
a razionalizzare, i materiali litoidi erano concepiti come una sostanza bruta possibile
apportatrice di un bene (soprattutto metalli utili, ma anche grezzi per applicazioni varie,
in Aristotele e Teofrasto, cf. Mottana e Napolitano, 1997; Mottana, 2001) e solo piuÁ tardi, in
epoca ellenistica, essi acquisirono importanza anche come sostanze utili alla salute
(preparazione di farmaci: cf. Nicandro, Dioscoride), nell'Alessandria greco-romana si
sviluppoÁ, accanto alla farmacopea fondata scientificamente e portata all'acme da Galeno,
una fiorente scuola di pensiero che vide nelle singole pietre altrettanti oggetti impregnati
dalle potenze superiori (dei, astri, ecc.) di facoltaÁ di vario tipo, che l'uomo savio deve scoprire
e valorizzare per il suo e il comune bene.
Nacque cosõÁ la Litoterapia, che per procacciare la guarigione dalle malattie si avvaleva
non degli ancora sconosciuti reattivi chimici contenuti nel materiale(75), ma del materiale
in toto che li contiene, inteso come depositario di una misteriosa forza vitale (FuÈhner,
1902; BaltrusÏaitis, 19933). Ecco che allora la pietra preziosa, bella per definizione oltre
che per aspetto, divenne la massima depositaria di un potere magico che per meglio
svilupparsi non si limita all'azione sua propria (per se), ma richiede trattamenti particolari
conosciuti solo da pochi specialisti (legature, incisioni, ecc.), da considerare astrologi e
maghi, piuÁ che scienziati. EÁ questa la sostanza della Litoterapia, da cui presto si sviluppoÁ
la Cristalloterapia, in cui a ciascuna gemma viene associata una serie di funzioni
particolari, tra cui appunto una di farmaco specifico da usarsi o per se, oppure ± di
nuovo ± dopo un trattamento glittico o magico opportuno.
I maggiori rappresentanti antichi di questo topos sono gli Orphei lithica, un poema
scritto probabilmente in Asia minore nel II secolo AD (Wirbelauer, 1937: p. 2) oppure
nel IV (Barb, 1963: p. 117), i Cyranides, composti tra il 227 ed il 400 AD (Kaimakis, 1976)
e il lapidario di Socrate e Dionisio, del IV secolo AD (Halleux e Schamp, 1985; cf. Bianco,
1992). A questi fa seguito, buon ultimo perche ne possediamo solo la traduzione in latino
del V-VI secolo AD, anche se si crede che sia stato composto, almeno nella sua parte
iniziale, o nel I secolo AD (Halleux, 1974: p. 329) oppure nel III secolo AD (Halleux e
Schamp, 1985: p. 226), il lapidario del mago Damigerone che, pur essendo una «dull and
stupid compilation» (Barb, 1963: p. 119), reclamizzato dall'indebito abbinamento con il
mitico Evace saraÁ versificato da Marbodo e riceveraÁ cosõÁ un'ulteriore spinta per un lungo
successo di pubblico che lo porteraÁ ad influire piuÁ a lungo degli altri. Neppure Alberto
(75) Il libro V del De materia medica di Dioscoride eÁ fondamentale al riguardo (Gazzaniga, 1993). L'autore
classifica le pietre sulla base dell'effetto farmacologico delle pozioni preparate con esse, cosõÁ come gli risultava
dalla sua esperienza diretta di medico militare, quindi in forma strettamente statistico-sperimentale, senza
tuttavia aver nessuna idea del percheÂ. Solo duemila anni dopo il Riddle (1985) chiariraÁ, a beneficio degli studiosi
di Storia della Scienza, che la classificazione di Dioscoride riflette l'azione iatrochimica dei cationi di metalli base
contenuti nelle pietre descritte e, in misura minore, dal modo in cui erano preparate le pozioni.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
55
Magno, probabilmente la mente piuÁ scientifica di tutto il Medioevo latino, sapraÁ sottrarsi
alla sua influenza ± anzi, egli arricchiraÁ il topos di nuovi elementi mutuati dalla letteratura
mineralogica araba che, se per certi versi portoÁ uno sviluppo alla conoscenza delle
proprietaÁ fisiche delle gemme, introdusse purtroppo anche una nuova serie di fantasie
alchemiche. Probabilmente Alberto non pote sottrarsi alla tradizione anche perche la
chiesa aveva giaÁ riconosciuto validitaÁ alla Cristalloterapia avallando il trattatello di
Ildegarda, ma eÁ certo che furono la sua fama e il suo prestigio i fondamenti su cui si
basoÁ l'intera letteratura cristalloterapica fino al Leonardi, al Dolce e al Vasolo.
Torniamo, quindi, al nostro autore ed alle sue conclusioni. Egli insiste, in chiusura
del suo scritto, sull'opportunitaÁ di portare addosso le pietre per mantenersi in salute e di
non tenerle chiuse nelle casseforti, dando cosõÁ la possibilitaÁ ai medici di avvelenare
l'uomo con medicine innaturali e dannose. Il Vasolo, certo, non aveva tutti i torti a
diffidare dei medici del suo tempo(76), e non aveva neppure del tutto torto a diffidare
dei farmaci basati sui semplici tradizionali oppure su erbe nuove di cui non si
conoscevano appieno le proprietaÁ. Al tempo stesso, peroÁ, egli dimostra di non
possedere alcun acume, poiche la Cristalloterapia da lui sostenuta era una
pseudoscienza, priva di qualsiasi possibilitaÁ di influire sulla salute umana se non per
certi aspetti psicologici. I cristalli sono un placebo e da loro puoÁ venire un beneficio solo
indotto da una irrazionale fiducia. Per questo il loro uso farmaceutico avrebbe dovuto
finire molto prima (ma non finõÁ allora e non finiraÁ forse in breve, tanto eÁ vero che la
Cristalloterapia eÁ praticata tuttora, seppure da una piccola schiera di creduloni). Il suo
contributo alla Gemmologia, peroÁ, benche piccolo, non eÁ irrilevante: essa ha
contribuito a far studiare le pietre preziose per se, ma per conseguenza ha sviluppato
anche il loro studio come fonti di polveri utili da introdurre nei farmaci.
Al Vasolo si puoÁ concedere il merito di aver tentato di diffondere un interesse per le
gemme diverso da quello della sola tesaurizzazione, ed inoltre quello di aver diffuso la
nuova nomenclatura tramite il suo uso letterario in un topos di sicura attrazione al suo
tempo. Egli eÁ la prima testimonianza in italiano di alcuni nomi di gemma che si
tramanderanno fino ad ora, anche se cioÁ non gli eÁ riconosciuto nei testi specializzati
(cf. Goltz, 1972; Friess, 1980). Tuttavia, il suo ruolo scientifico in campo mineralogico eÁ
del tutto trascurabile: non fornisce informazioni nuove (come Giorgio Agricola, il cui
contributo peroÁ restoÁ allora limitato a un ristretto numero di lettori perche troppo
specialistico) ne contribuisce alla loro diffusione (come, invece, riuscõÁ a fare il suo
contemporaneo Lodovico Dolce, anche se agendo in modo tutt'altro che scrupoloso).
Egli, anzi, continua a perpetuare notizie infondate o del tutto inventate.
Pur tuttavia, a Scipione Vasolo spetta di diritto una minima citazione tra i lontani
(76) Ma si sbagliava riguardo alla Medicina nel suo complesso, che in quell'epoca si era giaÁ avviata ad un
sicuro progresso grazie agli studi, finalmente scientifici, di un Andrea Vesalio (Brussels, 1514 - Zante, 1564), di
un Ambrogio Pare (Bourg-Hersent, 1510 - Parigi, 1590) e di altri. CioÁ di cui aveva ragione di diffidare era,
piuttosto, della capacitaÁ dei medici di preparare idonei farmaci, poiche tutto cioÁ che essi erano in grado di fare
erano, di fatto, decotti di erbe talvolta malamente addizionati di polveri minerali di cui non erano in grado di
prevedere l'effetto.
56
A. MOTTANA
precursori della Scienza moderna delle gemme, di quella Gemmologia che faraÁ ancora a
lungo fatica a liberarsi del suo fardello di inconsistenti pregiudizi, di implicazioni
grossolanamente mercantili e di mirabolanti quanto false tradizioni(77) e che riusciraÁ,
infine, a raggiungere lo stadio scientifico solo nel XIX secolo.
RINGRAZIAMENTI
Sono stato indotto a studiare questo testo non tanto dalla sua importanza, che eÁ minima, quanto piuttosto da
una doverosa necessitaÁ di completare le mie informazioni sullo stato delle conoscenze gemmologiche in Italia
durante il Rinascimento, compito che mi ero assunto come contributo alla sessione di storia della scienza
organizzata a Firenze, il 26 agosto 2004, nel quadro del 32ë Congresso Geologico Internazionale, il secondo
tenutosi in Italia dopo quello memorabile di Bologna del 1881. Ringrazio, quindi, il collega Giovanni Battista Vai
che mi ha spronato a far sentire la voce della ricerca italiana in un consesso internazionale e che mi ha
tenacemente sostenuto nei momenti di sconforto, per lo piuÁ dovuti all'intreccio di impegni verificatisi nel
periodo della preparazione del mio lavoro. Ringrazio anche l'amico e collega Massimo Peri, il cui libro mi ha
aperto gli occhi su tante possibili interazioni tra scienza della materia e letteratura. Ho ricevuto aiuto in varie
forme, ognuna estrememente utile perche mi ha portato il contributo di uno specialista di un settore a me
lontano, da parte del Prof. Domenico Faccenna, del Dott. Marco Guardo, dell'Avv. Carlo Fiammenghi e del Sig.
Giampiero Borzacchi. Due colleghi hanno letto questo scritto prima della presentazione e lo hanno rivisto in
forma critica suggerendo significativi miglioramenti. Le Dott.sse Gianna Benigni e M. Elvira Pistoresi hanno
curato la pubblicazione di questo testo inconsueto con la consueta, sempre attenta competenza. A tutti il mio
grazie di cuore, restando inteso che io sono l'unico responsabile degli errori e delle omissioni che questa Memoria
dovesse ancora contenere.
BIBLIOGRAFIA
AGRICOLA G., 1546. De ortu et causis subterraneorum lib. V. De natura eorum quae effluunt ex terra lib. IIII. De
natura fossilium lib. X. De ueteribus et novis metallis lib. II. Bermannus sive De re metallica dialogus.
Interpretatio germanica uocum rei metallicae, addito indice foecundissimo. [Per Hieronymum Frobenium
et Nic. Episcopium], Basileae, 487 pp. (trad. it. di M. Tramezzino: De la generatione de le cose, che sotto terra
sono, e le cause de' loro effetti e nature. Lib. V. De la natura di quelle cose, che da la terra scorrono. Lib. IIII. De
la natura de le cose fossili, e che sotto la terra si cauano. Lib. X. De le minere antiche e moderne. Lib. II. Il
Bermanno, o de le cose metallice, dialogo. Sybilla, Vinegia, MDL, n.n.+ 468 pp.).
ALTIERI BIAGI M.L., 1968. Scienziati del Seicento. Rizzoli, Milano, 741 pp.
ALTIERI BIAGI M.L., 1985. Linguistica essenziale. Garzanti, Milano, 390 pp.
AVICENNAE, 1473. Canon medicinae libri V. Philippus de Lavagnia Mediolani (non vidi, sed vidi: Avicennae Liber
canonis in medicina ex Gerardi Cremonensis versione & Andreae Alpagi Bellunensis castigatione. A Ioanne
Costaeo & Ioanne Paulo Mongio annotationibus iampridem illustratus. Nunc vero ab eodem Costaeo
recognitus & novis alicubi observationibus adauctus. Quibus principum philosophorum ac medicorum
consensus dissensusque indicantur. Vita ipsius Avicennae ex Sorsano Arabe eius discipulo a Nicolao Massa
Latine scripta & figuris quibusdam ex priori nostra editione sumptis. apud Juntas, Venetiis, 1608).
BACCI A., 1587. Le XII pietre pretiose, le quali per ordine di Dio nella santa legge, adornavano i vestimenti del
sommo sacerdote. Aggiuntevi il diamante, la margarite, e l'oro, poste da S. Giovanni nell'Apocalisse, in figura
(77) In realtaÁ, lo studio delle pietre non si eÁ ancora liberato del tutto di questo suo vizio d'origine: uno
spoglio informatico della letteratura a stampa mi dimostra che i trattati di Litoterapia e Cristalloterapia
costituiscono un buon terzo di tutte le pubblicazioni descrittive relative ai materiali litoidi (quindi
Mineralogia e Petrografia, ma non Petrologia e Giacimentologia) apparse nell'ultimo decennio.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
57
della celeste Gierusalemme: con un sommario dell'altre pietre pretiose. Discorso dell'alicorno, et delle sue
singolarissime virtuÁ. Et della gran bestia detta alce da gli antichi. Appresso Giouanni Martinelli, nella
stamparia di Vincenzo Accolti, in Borgo novo, Roma, 130 pp. (rist.: Le 12 pietre preziose: le quali per ordine
di Dio nella santa legge adornavano il manto del gran sacerdote: secondo la interpretazione di S. Ieronimo e S.
Epifanio arcivescovo di Cipri. Philobyblon, Milano 1992, 53 pp.).
BACCIUS A., 1603. De gemmis et lapidibus pretiosis, eorumq; viribus & usu tractatus, italica lingua conscriptus;
nunc vero non solum in latinum sermonem conversus verum etiam utilissimis annotationibus &
observationibus auctior redditus. A Wolfango Gabelchovero, medicinae doctore & phisico Calvvensi
ordinario. Cui accessit disputatio, de generatione auri in locis subterraneis, illiusq. temperamento. Ex
officina Matthiae Beckeri, impensis Nicolai Steinii, Francofurti, 231 pp.
BALTRUsÏAITIS J., 1993. Le Moyen Age fantastique: antiquiteÂs et exotismes dans l'art Gothique. Flammarion, Paris,
319 pp. (3a ed. ital. tradotta da F. Zuliani e F. Bovoli, con un'introduzione di M. Oldoni, dal titolo: Il
Medioevo fantastico. AntichitaÁ ed esotismi nell'arte gotica. Adelphi, Milano 1993, 376 pp.).
BARASCH M., 1963. The colour scale in Renaissance thought. In: M. LAZAR (ed.), Romanica et Occidentalia: EÂtudes
deÂdieÂes aÁ la meÂmoire de Hiram PeÂri (Pflaum). Magnes Press, Universite heÂbraõÈque, Jerusalem: 74-87.
BARB A.A., 1963. The survival of magic arts. In: A. MOMIGLIANO (ed.), The conflict between paganism and
christianity in the fourth century. Clarendon Press, Oxford: 100-125.
BECCARIA A., 1956. I codici di medicina del periodo presalernitano (secoli IX, X e XI). Edizioni di storia e
letteratura, Roma, 500 pp.
BERTHELOT M., 1893. La chimie au moyen aÃge (3 voll.). Imprimerie nationale, Paris (rist.: Zeller, OsnabruÈck
1962).
BIANCHI L., 1990. Il vescovo e i filosofi: la condanna parigina del 1277 e l'evoluzione dell'aristotelismo scolastico
(Quodlibet, 6). Lubrina, Bergamo, 280 pp.
BIANCO L., 1992. Le pietre mirabili. Magia e scienza nei lapidari greci. Sellerio, Palermo, 261 pp.
BOB'ILEV V.V. (BoBylEw B.B.), 2000. Gemmologia storica. Gemmocronologia (Istori~eskaq gemmologiq`
Gemmoxronologiq). BELGIN, Mosca, 179 pp.
BOOT A.B. DE, 1609. Gemmarum et lapidum historia, qua non solum ortus, natura, vis & precium, sed etiam
modus quo ex iis olea, salia, tincturae, essentiae, arcana & magisteria arte chymica confici possint, ostenditur.
Typis Wechelianis apud Claudium Marnium & heredes Ioannis Aubrii, Hanouiae, 288 pp. (2a ed. 1636, a
cura di A. Toll, ex officina Joannis Maire, Lugduni Batavorum, 576 pp.).
BROMEHEAD C.E.N., 1947-49. Flavus or blavus: a difficulty in understanding early descriptions of minerals.
Mineralogical Magazine, 28: 104-107.
BURCKHARDT J., 1855. Die Cicerone: Eine Anleitung zum Genuss der Kunstwerke Italiens. Schweighauser, Basel,
XVI + 1044 pp. (trad. ital.: Il Cicerone: guida al godimento delle opere d'arte in Italia. Sansoni, Firenze 1963,
XXXII + 1231 pp.).
BURCKHARDT J., 1860. Die Cultur der Renaissance in Italien: Ein Versuch. Schweighauser, Basel, 576 pp. (trad.
ital.: La civiltaÁ del Rinascimento in Italia. Sansoni, Firenze 1961, 499 pp.).
BYRNE E.H., 1935. Some mediaeval gems and relative values. Speculum, 10: 177-187.
CADEI A. (a cura di), 2002. Il trionfo sul tempo. Manoscritti illustrati dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Franco
Cosimo Panini Editore, Modena, 368 pp.
CELLINI B., 2002. Dell'oreficeria (dal manoscritto originale del 1568, a cura di A. Capitanio). Nino Aragno,
Torino, XXVI + 208 pp.
CENNINI C., 2003. Il libro dell'arte (a cura di F. Frezzato). Neri Pozza, Vicenza, 345 pp.
CERNY J., 1955. The Inscriptions of Sinai. Part II: Translations and Commentary (from the manuscripts by Alan H.
Gardiner and T. Eric Peet edited and completed by J.C.). Egypt Exploration Fund, London, XI + 242 pp.
CLARK A.M., 1993. Hey's mineral index. Mineral species, varieties and synonyms. Chapman & Hall, London, XI +
852 pp.
CONTE G.B., BARCHIESI A., RANUCCI G. (curatori), 1982-88. Gaio Plinio Secondo. Storia naturale (5 voll.).
Prefazione di I. Calvino. Saggio introduttivo di G.B. Conte. Nota bibliografica di A. Barchiesi, C. Frugoni,
G. Ranucci. Traduzioni e note di A. Aragosti, A. Barchiesi, A. Borghini, U. Capitani, R. Centi, F.E.
Consolino, A. Corso, M. Corsaro, P. Cosci, A.M. Cotrozzi, M. Fantuzzi, I. Garofalo, E. Giannarelli, F.
58
A. MOTTANA
Lechi, A. Marcone, R. Mugellesi, A. Perutelli, G. Ranucci e G. Rosati. Testo originale a fronte. Giulio
Einaudi, Torino, LXXIV + 5060 (complessive) pp.
CORTELAZZO M., ZOLLI P., 1979-88. Dizionario etimologico della lingua italiana (5 voll.). Zanichelli, Bologna,
1470 (complessive) pp. [7a ed. 1991].
CREUTZ R., 1931. Hildegard von Bingen und Marbode von Rennes uÈber die Heilkraft der Edelsteine. Studien und
Mitteilungen zur Geschichte des Benediktiner-Ordens und seiner Zweige, N.F. 18: 291-307.
DEL RICCIO A., 1979. Istoria delle pietre. Riproduzione anast. del Ms. 230 della Biblioteca Riccardiana (del 1597,
a cura di P. Barocchi). SPES, Firenze, 280 pp.
DEL RICCIO A., 1996. Istoria delle pietre (a cura di R. Gnoli e A. Sironi). Umberto Allemandi, Torino, 256 pp.
DIALETI A., 2003. ``Defenders'' and ``Enemies'' of women in early modern Italian Querelle des femmes. Social and
cultural categories or empty rhetoric? Paper presented at Gender and Power in the New Europe, the 5th
European Feminist Research Conference, August 20-24, 2003, Lund University, Sweden; www.5thfeminist.lu.se/filer/paper_248.pdf.
DOLCE L., 1565. Libri tre nei quali si tratta delle diverse sorti delle Gemme che produce la Natura, delle qualitaÁ,
grandezza, bellezza e virtuÁ loro. Appresso G. Battista, M. Sessa et Fratelli, Venetia, 99 pp.
DRAKE T.G.H., 1940. The eagle stone, an antique obstetrical amulet. Bulletin of the history of medicine, 8:
128-130.
FAUJAS DE SAINT-FOND B., 1778. Recherches sur les volcans eÂteints di Vivarais et du Velay; avec un discours sur les
volcans bruÃlans, des meÂmoires analytiques sur les schorls, la zeÂolite, le basalte, la pouzzolane, les laves & les
diffeÂrentes substances qui s'y trouvent engageÂes, &c. J. Cuchet, Grenoble - Nyon, Paris, XVIII + 460 pp.
FINOT L., 1896. Les lapidaires indiens. Librairie EÂmile Bouillon, Paris, LII + 277 pp.
FINZI V., 1890. Di una inedita traduzione in prosa italiana del poema ``De Lapidibus Pretiosis'' attribuito a
Marbodo vescovo di Rennes. Il Propugnatore, n.s., 3, 1: 199-224.
FRIESS G., 1980. Edelsteine im Mittelalter. Wandel und KontinuitaÈt in ihrer Bedeutung durch zwoÈlf Jahrhunderte
(in Aberglauben, Medizin, Theologie und Goldschmiedekunst). Gerstenberg Verlag, Hildesheim, 206 pp.
FuÈHNER H., 1902. Lithotherapie. Historische Studien uÈber die medizinische Verwendung der Edelsteine. Goeller,
Strassburg, 120 pp. (ristampa 1950, Haug, Ulm/Donau, 150 pp).
GAZZANIGA V., 1993. I farmaci nell'antichitaÁ: da Ippocrate a Dioscoride. Medicina nei secoli, 5: 19-38.
GERINI E., 1829. Memorie storiche di illustri autori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana (2 voll.).
Massa.
GILMORE E.L., 1968. Gemstones of the first biblical breastplate. Lapidary Journal, 22: 1130-1134.
GNOLI R., 1971. Marmora romana. Edizioni dell'Elefante, Roma, IV + 249 pp. (2a ed. riveduta e ampliata: ibidem.
1988, 289 pp.).
GOLTZ D., 1972. Studien zur Geschichte der Mineralnamen in Pharmazie, Chemie und Medizin von den AnfaÈngen
bis Paracelsus. Franz Steiner Verlag, Wiesbaden, X + 455 pp.
GRABMANN M., 1941. I divieti ecclesiastici di Aristotele sotto Innocenzo III e Gregorio IX. Herder, Roma, VIII +
133 pp.
HALLEUX R., 1974. DamigeÂron, Evax et Marbode. L'heÂritage alexandrin dans les lapidaires meÂdieÂvaux. Studi
medievali, s. 3, 15: 327-347.
HALLEUX R., SCHAMP J., 1985. Les lapidaires grecs. Lapidaire orphique. KeÂrygmes. Lapidaires d'OrpheÂe, Socrate et
Denis. Lapidaire nautique. DamigeÂron-Evax (traduction latine). (Text eÂtabli et traduit par R.H. et J. S.). Les
Belles Lettres, Paris, XXXIV + 349 pp.
HARDEN A.R., 1960. The carbuncle in medieval literature. Romance notes, 2: 58-62.
HARDOUIN J., 1685. C. Plinii Secundi Historia naturalis (2 voll.). Societatis Iesu, Parisii.
HASKINS C.H., 1927. The renaissance of the 12th century. Harvard University Press, Cambridge, Mass. (7a ed.,
1979; traduzione di P. Marziale Bertole: La rinascita del dodicesimo secolo. Il Mulino, Bologna 1972, 19822).
KAIMAKIS D., 1976. Die Kyraniden (BeitraÈge zur klassischen Philologie, 76). Hain, Meisenheim am Glan, 330 pp.
KERRIGAN W., BRADEN G., 1989. The idea of the Renaissance. Johns Hopkins University Press, BaltimoreLondon, XIII + 360 pp.
KLEIN-FRANKE F., 1970. The knowledge of Aristotle's lapidary during the Latin Middle Ages. Ambix, 17: 137142.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
59
KUHN T.S., 1962. The structure of scientific revolutions. Chicago University Press, Chicago, 172 pp. (trad. a cura
di A. Carugo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee della scienza, con aggiunto il
Poscritto 1969. Einaudi, Torino 1978, 251 pp.)
KURZ O., 1960. Barocco, storia di una parola. Lettere italiane, 12: 414-444.
L.L. [LAZZARINI L.], 2002. Scheda N. 117: Capitan Scipione Vasolo da Pavia, Le Miracolose VirtuÁ delle Pietre.
In: A. CADEI (a cura di): Il trionfo sul tempo. Manoscritti illustrati dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
Franco Cosimo Panini Editore, Modena: 271-272.
LEONARDI C., 1502. Speculum lapidum clarissimi artium et medicinae doctoris C. L. pisaurensis physici. Per
Joannem Baptistam Sessam, Venetiis, LCVI ff.
MATTHIOLI P.A., 1544. Di Pedacio Dioscoride, Anazarbeo libri cinque Della historia, et materia medicinale
tradotti in volgare Italiana. Per NicoloÁ de Bascarini da Pavone di Brescia, Venetia, 707 pp.
MATTHIOLI P.A., 1568. I discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli sanese, medico cesareo, et del serenissimo
principe Ferdinando archiduca d'Austria &c. nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia
medicinale. Hora di nuovo dal suo istesso autore ricorretti, & in piuÁ di mille luoghi aumentati. Con le figure
grandi tutte di nuovo rifatte, & tirate dalle naturali & vive piante, & animali, & in numero molto maggiore
che le altre per avanti stampate. Con due tavole copiosissime spettanti l'una aÁ cioÁ, che in tutta l'opera si
contiene, & l'altra alla cura di tutte le infirmitaÁ del corpo humano (5 voll.). Appresso Vincenzo Valgrisi, in
Venetia, 1527 pp. + n.n. (ristampa in facsimile 1970 a cura di R. Peliti con nota introduttiva di F. Barberi.
Roma, Julia).
MEADOWS J.W., 1954. Pliny on smaragdus. Class. Rev., 59: 50-51.
MIELI A., 1938. La science arabe et son roÃle dans l'eÂvolution scientifique mondiale (avec quelques additions de H.P.-J. Renaud, M. Meyerhof, J. Ruska). E.J. Brill, Leiden, XIX + 368 pp. (reÂimpression anastatique, 1966,
augmenteÂe d'une bibliographie avec index analytique par A. Mazaheri. Brill, Leiden, XIX + 467 pp.).
MIGNE I.P., 1844-64. Patrologiae cursus completus, Series latina, Continuatio mediaevalis accurante I. P. M. (221
voll.). Garnier, Parisiis (ristampa 1953-71, Turnhout, Brepols).
MONTANA G., GAGLIARDO BRIUCCIA V., 1998. I marmi e i diaspri del barocco siciliano. Flaccovio, Palermo, 131
pp.
MOTTANA A., 1999. Oggetti e concetti inerenti le Scienze Mineralogiche ne La composizione del mondo con le sue
cascioni di Restoro d'Arezzo (anno 1282). Rend. Fis. Acc. Lincei, s. 9, v. 10: 133-229.
MOTTANA A., 2001. Mineralogical data and ideas in the works of Theophrastus of Eresus. In: J.E. FELL, P.D.
NICOLAOU, G.D. XYDOUS (eds.), 5th International Mining History Congress (12-15 September 2000). Book
of Proceedings, Milos Island, Greece: 592-602.
MOTTANA A., in preparazione. Italian Gemology during Renaissance: A preliminary approach to the establishment
of a modern Mineralogy. Paper presented at the 32nd International Geological Congress, Florence.
MOTTANA A., NAPOLITANO M., 1997. Il libro ``Sulle pietre'' di Teofrasto. Prima traduzione italiana con un
vocabolario dei termini mineralogici. Rend. Fis. Acc. Lincei, s. 9, v. 8: 151-234.
MULTHAUF R., 1954. Medical chemistry and the ``Paracelsians''. Bulletin of the history of medicine, 28: 101-126.
NAPOLEONE C., 1988. Il collezionismo di marmi e pietre colorate dal sec. XVI al sec. XIX. In: G: BORGHINI (a cura
di), Marmi antichi. De Luca Edizioni d'Arte, Roma: 99-115.
NAPOLEONE C., 1989. Osservazioni sul Natural History of fossils V. Quaderni puteani, 1: 95-102.
NARDUCCI E., 1869. Intorno a tre inediti volgarizzamenti del buon secolo della lingua contenuti in un codice
vaticano. Seguita da un inedito volgarizzamento fatto da Zucchero Bencivenni d'un antico lapidario attribuito
ad Evace. Il propugnatore, 2 [1]: 121-146; 307-326.
PERI M., 2004. Ma il quarto dov'eÁ? Indagine sul topos delle bellezze femminili. Edizioni ETS, Pisa, 577 pp.
PETRONIO G., 1951. Poemetti del Duecento. Il Tesoretto / Il Fiore / L'Intelligenza. Unione Tipografico Editrice
Torinese, Torino, 457 pp.
Èberlieferung:
PLESSNER M., 1975. Vorsokratische Philosophie und griechische Alchemie in arabisch-lateinischer U
Studien zu Text und Inhalt der Turba philosophorum (Nach dem Manuskript ediert von F. Klein-Franke).
Franz Steiner Verlag, Wiesbaden, XII + 142 pp.
RIDDLE J.M., 1977. Marbode of Rennes' (1035-1123) De lapidibus considered as a medical treatise with text,
commentary and C.W. King's translation together with text and translation of Marbode's minor works on
60
A. MOTTANA
stones (Sudhoff Archiv Zeitschrift fur Wissenschaftsgeschichte, Beiheft 20). Franz Steiner Verlag,
Wiesbaden, XII + 144 pp.
RIDDLE J.M., 1985. Dioscorides on pharmacy and medicine. University of Texas Press, Austin, XXVIII + 298 pp.
ROSSI P., 1997. La nascita della scienza moderna in Europa. Editori Laterza, Roma-Bari, XXI + 413 pp.
RUEUS F., 1547. De gemmis aliquot, iis presertim quarum divus Ioannes Apostolus in sua Apocalypsi meminit. De
alijs quoque quarum usus hoc haevi apud omnes percrebuit, libri duo. Ex officina Christiani Wecheli, Parisiis,
183 pp.
RUSKA J., 1912. Das Steinbuch des Aristoteles mit literargeschichtlichen Untersuchungen nach der arabischen
Handschrift der BibliotheÁque nationale herausgegeben und uÈbersetzt. Winter, Heidelberg, VI + 208 pp.
RUSKA J., 1931. Turba philosophorum: Ein Beitrag zur Geschichte der Alchemie. Springer, Berlin, X + 368 pp.
SOLINAS F., 2000. I segreti di un collezionista: le straordinarie raccolte di Cassiano dal Pozzo (1588-1657). Roma,
Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, 29 settembre-26 novembre 2000. Ed. De Luca, Roma,
233 pp.
STEIGER C. VON, HOMBURGER O., 1964. Physiologus bernensis. Faksimile Ausgabe des Codex Bongarsianus 318
der Burgerbibliothek Bern Wissenschaftlicher Kommentar von C.S. und O.H. Alkuin-Verlag, Basel, 119
pp.
STUDER P., EVANS J., 1924. Anglo-Norman lapidaries. Champion, Paris, X + 404 pp. (rist. Slatkine, GeneÁve
1976).
THORNDIKE L., 1923-62. A history of magic and experimental science (8 voll.). Voll. 1-2: MacMillan, New York
1923-28; voll. 3-6: Columbia University Press, New York 1935-41; voll. 7-8: Columbia University Press,
New York 1958-62.
VASOLI C., 1983. Immagini umanistiche. Morano, Napoli, 624 pp.
VASOLLI S., 1556. Conturbatione d'helicona, dell'eccellenza delle donne degnamente rischiarata. Dialogo di
Scipione Vasolli, con la inventione della trionfante torre dell'eccellenza delle donne dal divino Platone,
fabricata, et in Athene al tempio di Minerva consacrata del medesmo autore. Giovanni Antonio Castiglione,
Milano, 32 pp.
VASOLO S., 1573. La gloriosa eccellenza delle donne, e d'amore. Giorgio Marescotti, Fiorenza, 102 pp.
WEISBACH W., 1919. Der Manierismus. Zeitschrift fuÈr bildende Kunst, 30: 161-183.
WIEMANN W., 1983. Cuspinians Kommentar des liber lapidum Marbods: Kritischer Text und deutsche
Èbersetzung von Cod. 5195 (sowie der editio princeps von 1511). Dissertazione all'UniversitaÁ di
U
Heidelberg, XXVII + 467 pp.
WIRBELAUER K.-W., 1937. Antike Lapidarien. Triltsch, WuÈrzburg, 48 pp.
WYCKOFF D. (translated by), 1967. Albertus Magnus. Book of minerals. Clarendon Press, Oxford, 309 pp.
ZAMBON F. (a cura di), 1975. Il fisiologo. Adelphi, Milano, 116 pp.
ZETTERSTEN A. (ed.), 1968. A middle English lapidary. Acta Univ. Lundensis, s. I: Theologica, juridica,
humaniora, CWK Gleerup, Lund, 50 pp.
ZONTA G. (a cura di), 1913. Trattati del Cinquecento sulla donna. Laterza, Bari, 409 pp.
______________
Pervenuta il 12 ottobre 2004,
in forma definitiva il 25 novembre 2004.
Dipartimento di Scienze Geologiche
UniversitaÁ degli Studi Roma Tre
Largo S. Leonardo Murialdo, 1 - 00146 ROMA
[email protected]
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
Fig. 1. ± Il frontespizio del codice 901 «Gioie e pietre» della Biblioteca Corsiniana.
61
62
A. MOTTANA
Fig. 2. ± La prima pagina, sicuramente cinquecentesca, del trattato sulle pietre preziose di Scipione Vasolo.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
TESTO
Cod. 901
Le Miracolose Virtu' Delle Pietre
Pretiose Per salute Del Vivere
Humano.
Col Mantenersi Allegro, e Senza Peri=
colo di Sorte Alcuna di Male
All' Ill.ma & Ecc.ma Sig.ra la Sig.ra
FELICE VRSINA
Col. A
VICE REG.A Di SICILIA
Opera del Capitan Scipione Vasolo
Da Pavia.
Ms. di Cart: 65
63
64
A. MOTTANA
Ill.Ma & Ecc.Ma Sig.a la Sig.a
FELICE ORSINA C.A
Albergo di Gratie, e Nido di
VirtuÁ.
Eccovi Magnanima Signora con quanta humiltaÁ io laÁ Supplico di voler' accettar questo
bellissimo Thesoro delle VirtuÁ Pretiose delle Gioie, Orientali, e co'l suo Prudentiûimo
procedere favorirme appresso de tutte l'altre Titolate Signore, che conoscendo la bontaÁ
dell'Animo mio mostrato verso di loro, nell'haver trovato le sodette VirtuÁ delle Gioie, le
quali sono di tanta propietaÁ, & utile alli corpi humani, che operano Salute, e longa Vita;
co'l smorzar il Dolore, dal cuore,
[1v] e Generare Alegrezza, nell'Animo afflitto dove molti Gran Fhilosofi n'hanno
trattato, per Beneficio Generale, accioche li Medici non habbino da mettere con le lor
Medicine gli huomini al pericolo della Morte. Per tanto si puo vedere il fidelissimo
Amore, e servituÁ ch'io le porto in dichiarargli con la VeritaÁ queste tali abondantiûime
VirtuÁ, le cui sono dalla Candidezza Delle Benignissime Signore aiutate di meglio
risplendere, come si vede ordinariamente Regnar in Quella con tanta belliûima Gratia,
che eÁ dal Cielo Eletta, la Principal', e Magnanima Signora, in favorire li poveri, et afflitti
Virtuosi, e pregando l'Onnipotente DIO, che all'Ill.ma Ecc.za Vostra duoni quanto
desidera. Humilmente m'offero e raccomando.
[1r]
[1] Da Roma aÁ xx di Marzo M.D.LXXVII. D. V. Ill.ma Ecc.za
Il Cap.no
[1v]
Alla Medema.
Gemma non usci, mai dell'Oriente
Si Luminosa si pregiata, e Bella,
Ch'al Sol non fusse qual minuta stella,
Appreûo aÁ questa Perla, Alma, e fulgente.
Che non pur gli occhi, ma l'humana mente
Ralegra anchor di chi s'affissa in Ella
Et hor quest'Alma invita al ciel, hor quella
Lungi partendo, lor dalla vil gente.
PeroÁ quel'ornamento, e quel fin'oro,
Dove eÁ legata, ben le si conviene:
Per che fuûi perfetto il suo lavoro.
Quest'eÁ la Perla colma d'ogni bene,
l'alta FELICE di VirtuÁ il Thesoro,
che di Natura ogni Ecc.za ottiene.
Divot.mo Servo
Scipione Vasolo, da Pavia.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
[2r]
65
Le Miracolose VirtuÁ Delle Pietre
Per salute Del Vivere Humano.
Co'l mantenersi Allegro e Senza
Periculo di Sorte alcuna
di Male.
o
Opera del Cap. Scipione Vasolo da Pavia.
Havendo la Natura conceûo le tante virtuÁ nell'Herbe, nelle Parole, e nelle Pietre per
Beneficio nostro, io truovo, esser cosa piuÁ di utile le Pietre Pretiose, che l'Herbe, e le Parole,
perche si vede alle volte finir l'Herbe, e le Parole secrete scordarsi, ma le Pietre Pretiose
sempre si mantengono in tutte le stagioni dell'Anno, e coloro che si amalano, senza li
Medici, si ponno sanare, et allegramente vivere con Gioia, come hora, per ordine io
MostraroÁ, dicendo In
[2v] prima del
Diamante.
Questa Pietra del Diamante, e la piuÁ forte, e risplendente che si truova, fra tutte l'altre
Gemme, e chi la portaraÁ con l'esser' al peso d'un danaro, e quanto piuÁ e meglio, e portandosi
dalla man del cuore, haÁ virtuÁ, al manco per via Indiretta da Invelir l'Animo de Nemici, e piu
da moderar la furia della subita voluntaÁ d'infinito pericolo.
Havendone nel Capello tre, e se piu fussero meglio saria, con haverne una al petto, che
fussi evidente, gli Animali Feroci non potranno aÁ chi le porta offendere.
E s'alcuna persona fussi stata Venenata nelle vivande, subito ha d'Ingiuttir uno de questi
Diamanti, per che non sia In punta, et essendo tondo e megliore, nel sanar ogni sorte di
Veneno
[3r] c'havesse tolto, e questo eÁ un Remedio senza dolor' alcuno, e quest'eÁ al contrario di
quando si pi(78) piglia spolverigiato, il quale amazza l'huomo e per tal causa eÁ stato
prohibito.
Pigliandolo sano ha la VirtuÁ, che s'eÁ detto disopra epoi la persona lo ricupera nella
digestione, eÁ rimane nella prima bontaÁ, e virtuÁ di prima.
Tant'eÁ potente e'l Diamante, eÁ duro, che manco il fuoco lo puo offendere, come si vede,
che tutte le altre Pietre sono offese dal fuoco.
Di piu gli sono una sorte di Vermi li quali sono della qualitaÁ della Vipera, e sempre
stanno attaccati alli grassetti delli budelli, et di quelli si notriscono ne mai si spiccano non per
medicamenti alcuni che solamente d'Ingiurie(79), come ho detto un pezzetto de Diamante
senza taglio ho punta per che, e Rimedio mirabile, massimamete de questi vermi li quali
causano tante sorte dolori
[3v] et mali non conosciuti dalli Medici, che infiniti se ne moiano, e molti diventano Etici e
se alcuno guarisce, la causa eÁ per che questi vermi, non hanno piuÁ da magnare del cibo loro
(78) Cassato con una riga orizzontale.
(79) Oppure «Ingiustie»?
66
A. MOTTANA
per esser consumato il grasso, e finito per causa dell'astinenza oÁ vero per tante Medicine, che
gli sono date, pensando i Medici, che sia una sorte de Mali et eÁ un'altra sorte.
Dunque per esser lieto, e sicuro la persona, non mai potraÁ far' errore di sorte alcuna ad
ingiottir all'Autunno un bel pezzo di Diamante, per che n'acquisteraÁ gran salute.
Questo Medicamento, eÁ stato espremetato In Oriente da certi Mercanti li quali fureno
avvelenati. dove una vecchia mora gli fece ingiottire, un pezzo di Diamante per huomo, et in
questo modo si liberorno della Morte e molti altri se(80)=
[4r] greti questa vecchia mostroÁ aÁ questi sudetti Mercanti.
Le Virtu del' Rubino.
Questa Pietra eÁ la seconda di durezza la qual molto perde aÁ gettarla nel fuoco, cosa che
non faÁ il Diamante, e le VirtuÁ di questa sono infinite aÁ chi la porta nella man destra eÁ facile
ad esser' Amato dalle persone, e ravviva il cuore perli gran travagli sopragiunti, e libera
l'huomo di non pigliar passioni di cuore, ne mal, chi si dimanda Mazzucco, qual eÁ un veneno
humido ficcato, nel Celebro, qual daÁ gravezza alla testa che molti di questo male si ne
moiano. PeroÁ eÁ tal pietra di grand' utile portarla, atteso che faÁ gran giovamento alla vista.
Portando il Rubino in dito, oÁ al petto la per=
[4v] sona non puo esser' suggetta aÁ questo Male et haÁ unaltra virtuÁ anchora che dispone
talmente insieme, le persone congiunte che difficilmete puo nasciere fraÁ loro discordia, anzi
Pace, et Amore.
Le Virtu del' Zaffiro.
Chi non vuole star' in guerra ma vivere in Pace, e lieto, haÁ da portar questa pretiosa
Pietra la qual fa vivire l'huomo senza suspetto di cosa alcuna e campare sano, et allegro, et
dispone aÁ far opere, che tornino in allegrezza d'Animo, et anchora aÁ mantener la CastitaÁ.
PeroÁ si truova, che anticamente li Sig.ri sposavano la Donna, co'l Zaffiro per haver tante
virtuÁ da Inchinar' gli Animi alla PuritaÁ, et divotione verso Dio, ancora:
HaÁ la ProprietaÁ di far campare assai allegramente.
[5r]
Le VirtuÁ del Smeraldo.
Tanto rallegra, e conforta il cuore il Smeraldo di si risplendente, et vivo verde, che libera
[gl' occhi da- -](81) le Caterate, et dalli varole, e mantiene la vista sempre sana, e dispone le
persone ad Amor di se stesso co'l star sempre giocondo, e Gioviale, e di viver senza
malanconia.
(80) A pieÁ di pagina a destra: «greti», che riprende l'inizio della pagina seguente.
(81) Inserito nel margine di sinistra, in grafia piuÁ minuta e in tondo.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
67
Le VirtuÁ della Elitropia.
Quest'e una Pietra Verde con alcune gocciole di sangue, et eÁ trasparente, e chi la porta nel
dito stanco del cuore, dove sono le linee del Sole, mai non potraÁ morire di freddo, manco di
Cataro alcuno saraÁ offeso, e fa tutti li spiriti del Corpo unir in allegrezza, e faÁ che l'huomo si
aver =
[5v] tisca subito degli Inganni, che gli sono orditi.
DipiuÁ s'eÂl Marito, con la Moglie, fusse indiscordia, lo fa subito pacificar l'Ira, e con
tranquilitaÁ vivere.
La Notte per li viaggi periculosi eÁ cosa buona portarla in Anello, perche libera l'huomo da
molti fortunei Corporali.
DipiuÁ mantiene La SanitaÁ, nel dar lunga vita: peroÁ conviene portarla ordinariamente,
perche questa eÁ una Pretiosa Pietra, laqual haÁ molte virtuÁ occulte, che per degni rispetti non
si dicono.
Le VirtuÁ dello Giacinto.
Il vero Giacinto eÁ del color della vernaccia qual habbi la vivacita Risplendente dell'oro, e
questa Pietra tocandola, che tocchi la carne, haÁ questa Miracolosa proprietaÁ, che la
[6r] Peste non possa offendere colui, che la porta, et anco che persona non possa inganarlo.
Portandola ancora legata al Braccio stanco non puo esser da putrefatione alcuna offeso, et
incita le persone ad Amarlo, quel che lui porta in dito oÁ al braccio destro, [haÁ tale
ppieta](82).
Le Virtu della Granata.
Questa Pietra per la grande abondantia non eÁ fatta molto stima, et e Risplendente, e di
alcune VirtuÁ bonissime e necessarõÂa aÁ portarla per che leva la gravezza della testa e manco
lassa dormir la persona piuÁ dell'ordinario che la Natura comporta.
Chi mette questa Pietra dentro d'una Botte di Vino, il qual sia fatto sen'za Acqua non
potraÁ mai guastarsi, ne deventar' forte, et infiniti l'hanno fatto, perche simpre se gli guastava il
[6v] vino nell'estate e con queste Granatini lo conservavano.
Di piu sana l'humor Melanconico, col pigliarne nel tramutar' del sole in Brodo oÁ, ver vino
oÁ in alcuna sorte di conserva senza pestarla, per che eÁ medicamento assai volte esprementato.
Le VirtuÁ della Spinella.
Questa Pietra haÁ il color' piuÁ chiaro assai, che `l Rubino, vale contra la colera, eÁ colui che
l'haÁ in dito subito si ravvedi degli errori, e si rimette, e scaccia l'humor Melanconico, e
fortifica la mente al bene operare.
(82) ProprietaÁ (la precisazione eÁ inserita in linea, ma in tondo e apparentemente da diversa mano).
68
A. MOTTANA
Le VirtuÁ dell' Agata.
[7r] L'Agatha eÁ Pietra Nera e Trasparente, qualeÁ vergata di Bianco, et eÁ buona per color, che
temon' il vino, per che tenendola in dito, e bevendo piuÁ dell'ordinario potraÁ haver tempo di
salvarsi con honore, e col star sempre in cervello, et con dar savie risposte alli concorrenti.
Di piu, ancora portandone al braccio stanco legata che tocchi la carne, vale contra la
vertigine, et anco l'huomo si asicura della Morte subitanea.
Le Virtu del Grisolito.
Tal Pietra haÁ del Trasparente, et eÁ un Verde Gaio, il quale eÁ d'un grandissimo
giovamento per coloro, che la portano in Anello nella man Sinistra, oÁ vero al collo, pur
che tocchi la Carne, perche guarisce la persona del Ma =
[7v] ligno humor Malanconico, e non lassa far sorte alcuna de Pazzia, anzi la(83) faÁ che la
persona diventi savio, e si risguarda dalle cose, che sono nocive al corpo, et all'honore co'l
cercar di procedere talmente, che possa dar di se alle persone bonissimo assaggio.
Le VirtuÁ dell'Amathista.
L'Amathista eÁ Pietra Paonazza, et e Trasparente, e buonissima, per coloro, che temono il
vino, perche tenendola in dito e bevendo piuÁ dell'ordinario potraÁ haver tempo da salvarsi con
honore, come haÁ l'Agata ancora.
E chi la porta legata in Oro nella man destra li cani Rabiosi non lo pono offendere e
meno puo esser da nissuna serpe morsicato.
Le VirtuÁ del Sardonio.
[8r] Il Color di questa Pietra eÁ un certo Nero Trasparente, et eÁ buona aÁ guarir la persona
dalla Vertigine, et altre virtuÁ ancora, che portandosi addosso giova alla sorditaÁ, e Pacifica
assai il Calor Venereo, e faÁ la persona Antiveder dalli pericoli, che gli ponno accadere nel
voler seguitar' le sfrenate voglie, che gli sopraiongono, oÁ dal molto desiderio della cosa
Amata oÁ per accidente di star troppo ocioso.
Le VirtuÁ del Berillo.
Il color suo eÁ Trasparente, com'Acqua, non troppo viva. et chi la portaraÁ legata in dito,
con lapis lazoro saraÁ nelle sue lite fortunato e col suo procedere faraÁ, che li suoi Nimici
diventeranno piacevoli, e di piuÁ la persona si mantiene audace e savia.
(83) Cassato con una riga orizzontale.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
[8v]
69
Le VirtuÁ della Torchina.
Quando questa Pietra eÁ vera Orientale, haÁ per proprietaÁ, che a portarla in dito, e che sia
stata donata la persona che sia aÁ Cavallo, e per cascate che ponno occorrere non si puo far
male e fugge gran pericoli di stroppiarsi e libera altrui dalli spaventi, che s'haÁ da(84) nel
passar fiumi pericolosi.
Le VirtuÁ del Smeragdo.
E' Mondissimo, e stralucente, et odora di foino, et eÁ Pietra piana et si truova nel Nido
degli Ucelli Griffoni eÁ fa poi aÁ chi la porta bonissima memoria, eÁ svelgiato nel procedere con
cresciere, et aumentar le sue facultaÁ.
Alberto Magno dice, che faÁ predire le cose future et che conforta, e sano conserva coloro, che
[9r] lo portano col far benissimo Intendere.
Se alcuno se'l mettera sotto la lingua subito profitizaraÁ cose di grandissima Importanza.
Le Virtu dell'Iris.
Questa Pietra eÁ Bianca come Cristallo, e si truova in cert'Indie del Mar' Maggiore, et
assomiglia al Cristallo di Rocca, dove ordinarla aÁ modo quadrato, oÁ ver'ovato, col metterla
all'incontro del Sole subito per la reverberatione faÁ apparere a modo di un'Arco Baleno,
sopra di quel Muro vicino, et toccandosi gli occhi fa utile alla vista.
La Virtu della Galasia.
Ha questa Pietra la forma, et il colore della Gragnola, et eÁ dura come Diamante, e se questa
[9v] Pietra, e poi posta in un' fortissimo fuoco non mai si scaldaraÁ e la cagion di questo, e
come dice Alberto Magno, Aaron et Evax Philosofi dicono(85), che portandosi questa Pietra
al dito oÁ al braccio stanco, mitiga l'Ira, et le volontaÁ che nascono dalla libidine, con altre
passioni Melanconiche prodotte per troppo desiderare gusti di danno alla persona.
Le VirtuÁ dell'Ambra.
La vera Ambra si truova in Libia, et ancora in Bertagna, la quale e di dua colori cio eÁ
Nera, et eÁ buona saper la veritaÁ della ServituÁ che la persona si tiene in Casa con toccarle un
poco la carne.
Et se ne truova d'un altra sorte, la quale eÁ di color palido, et eÁ buona nel curar la Idroposia,
[10r] e chi alla notte se ne tiene una in bocca quando se vaÁ aÁ dormire fortifica li denti quando
(84) Cassato con una riga orizzontale.
(85) Cassato con linea orizzontale.
70
A. MOTTANA
per discesa si trovano deboli, e scarnati, dove non eÁ piuÁ pericolo, che cascano. Basta, che sono
infinite VirtuÁ. Ma per degni rispetti non si scrivono et Avicenna ancora lui ne parla di molte
qualita, che la Natura gl'ha concessa.
Le VirtuÁ dell' Dragonite.
Questa Pietra eÁ cosi detta perche si cava dalla testa del Dragone, e se fusse altempo
quando il Sole eÁ in Leone, ha la virtuÁ ch'essendo portata nel dito, eÁ buona per ottener vittoria
contra gli Nimici, e di piuÁ vale ancora contra ogni veneno, e quegli, che la portaranno legata
al braccio sinistro, vincera tutti gli inimici per forti, che siano, perche questo e uno segreto
[10v] occulto della Natura.
Le VirtuÁ dell' Aquilina.
Tal Pietra si truova nel lito del Mare Oceano et l'Aquile naturalm.te se ne tengono una
nel nido loro, la qual eÁ d'un color rosso scuro, et ancora, come dice Alberto Magno se ne
truova di questa maniera in persia co' l'haver dentro medemamente un'altra Pietra la quale
suona quando si muove.
Li Antiqui Filosofi dicono, che quando questa Pietra si porta legata al braccio sinistro
concilia Amore fra Marito, e Moglie e fa grand'utile alle Donne Gravide, che non si
disperdono, e meno non le lassa cadere in pericolo, ne spaverntarsi, et ancora, eÁ di
grandissimo giovamento per quelli che patiscono dil (86)
[11r] mal Caduco.
Di piuÁ se fusse veneno nel cibo la detta Pietra prohibisse, che non si possa ingiotire, e
levandosi subito la Pietra subito magnia, e beve secondo l'ordinario suo.
E' ancora questa Pietra pur, che sia Rossa, e Risplendente Miracolosa contra la Tempesta,
e contra le Saette, le quali non ponno offendere colui, che la tiene addosso, Gia si vede s'haÁ
virtuÁ grande, che se la si metteraÁ all'incontro del sole gettaraÁ fuora Raggi di fuoco, dove si
puoÁ comprendere esser pietra di molto giovamento alla persona.
La VirtuÁ del Orite.
E' questa Pietra di color verde, e Trasparente con alcune Macchie bianche, la qual portan=
[11v] disi addosso libera l'huomo da diversi pericoli di Morte et anco non lassa la persona
infettarsi di mali Cattivi, e meno di Peste.
Le VirtuÁ del Calcidonio.
Questa Pietra e bianca Rossiggiante fosca, & assai scura, con diverse sorti di vene, e le
(86) A pieÁ di pagina a destra in corpo piccolo: «Mal caduco», che richiama l'inizio della pagina seguente.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
71
rosse sono meglio, et portate al collo, che tocchi la carne, oÁ ver' albraccio diffende la persona
d'ogni Inganno, et d'ogni fantasma, et indebolisce co'l gardare li proprij Nimici e di PiuÁ
conserva le VirtuÁ e forza del Corpo.
Le VirtuÁ del Celidonio.
Il Celidonio si truova nel mese di Luglio nel corpo della Rondine, la qual eÁ di color nero,
e beretinaccio, e chi la porta al collo fa esser(87)
[12r] la persona Grata, et anco solicita nel portar Amore alle cose di Casa.
Praticando in luoco, dove fusse persona Impestata, e mettendosela sotto la lingua di nulla
puo esser offeso, et avvertire, che molte volte se ne trovano dua de queste Pietre, et una piuÁ
nera dell'altra.
Le VirtuÁ dell' Largate
Questa eÁ una Pietra di Color Diverso, o vario come la pelle d'una Capriola, e giaÁ come si
truova per l'Historie, che Alcide, fin tanto che porto questa Pietra addosso sempre ottenne
vittoria contra degli Nimici, e che sempre si mantenne sano.
Le VirtuÁ dell'Oftalmia
Alberto Magno dice, che non si nomina il
[12v] color di questa Pietra: per che sta di tanti colori, che non se potria dir' la veritaÁ, e
quando eÁ guardata la piglia la vista alli circonstanti, e per questo ha la virtuÁ [^che](88) in volta
d'una foglia di Alloro fa andar' invisibile, et anco li felosofi la dimandano Guida delli Ladri.
Le VirtuÁ del Silonite.
La Nascie questa Pietra nel corpo delle Testugine di Mare, la qual' eÁ d'un color purpureo,
con alcune vene rosse, e verde conviene occider, la Testugine in Luna crescente, et esser
presto di cavarla avanti, che la testugine si raffredda: perche si consuma in Aere, et
portandola; la persona haÁ virtuÁ da far star le persone Melanconiche allegre, et anco di farsi
ben voler, da persona Maligna: peroÁ con questi
[13r] tali, quando la persona parla aÁ Luna crescente, s'ha da tener mentre, che si parla,
questa pietra sotto la lingua, e piuÁ ancora, se la persona ha da far alcuna cosa sempre sta in
memoria, et altrimenti subito si scorda.
Le VirtuÁ del' Alettorio.
Tal Pietra si truova nel ventricolo del Gallo, e volendo haver virtuÁ conviene haver al
manco cinque anni, e se piuÁ saria di miglior bontaÁ, et eÁ Rilucente come un Christallo, et eÁ
(87) A pieÁ di pagina nel margine destro: «la psona» cioeÁ «la persona», come all'inizio della pagina seguente.
(88) Inserito nell'interlinea in alto con un segno di richiamo sulla linea stessa.
72
A. MOTTANA
come un fava, et eÁ buona per li vecchi c'hanno la Moglie giovane, portandola al collo che
tocchi la carne. [et s'haÁ da uccidere a luna cresciente oÁ di Marzo oÁ diAgosto](89)
Di piuÁ fa l'huomo Animoso; grato aÁ tutti, & costante, et eÁ quando la persona tiene si gran
sete l'o ammorza co'l tenerla sotto la lingua.
[13v]
Le VirtuÁ del Lapislazoro.
Lapis lazaro eÁ una Pietra Azzurra con gocciole d'Oro e Trasparente, la qual facendone
una corona accompagnata da coralli fini, e che siano della Medema grossezza, et in fondo
della corona attaccargli un Giacinto legato in maniera, che possa toccare la Carne, e portarne
ancora, un paro di Braccialetti, eÁ di grandissimo utile, perche libera la persona dalla Peste.
Non lassa radicar la Febre addosso della persona, sia di che sorte febre si voglia, et
essendo aÁ questa corona alcuni bottoncini d'Ambra, e di Musco [ ^eÁ](90) di grandissimo utile
al cuore.
Chi havesse una Tazza di Lapislazoro per bere il vino e miracolosa cosa nel rallegrar il
cuore, e manco non lassa venir' male aÁ gli occhi, et uno
[14r] chavesse gran dolor di testa haÁ da fargli star dentro tant'Acqua di Bethonica tutta la
Notte alla serena, e poi all'Aurora beverla, purche non passi la quantitaÁ di sette oncie, et
bevuto veder da dormigli appresso; per che subito svegliato il dolor della testa passa, che la
persona non se n'accorge, & rimane tutto allegro, e Sano.
Veramente eÁ cosa Necessaria per la salute saper le virtuÁ di queste sopranominate
Pietre Preziose, e di portarle, e non lasciarle nelle casse Rinchiuse; per che li Medigi
non haveranno causa da Turbarvi con le loro medicine, le quali sono dalla Natura
tant'abborite.
E Voi Ill.Ma et Ecc.ma Signora, come la perla candida e Risplendente, nominata dalli
filosofi eÁ il fior delle Gioie pretiose, cosõÁ quella eÁ Lei stessa Iddea delle virtuÁ, dove da Lei si
nutriscono, et
[14v] io(91) mi sento premere dell'Alta, et incredibile Grandezza sua, qual m'abbaglia tanto
l'Alma, ch'io non posso sodisfar, ne anco aÁ me stesso sforzandomi con l'Ale dell'Ingegno
volar piuÁ Alto, che la grave soma mia non pate; Ma la debolezza humana, Magnanima
Signora non puote ascendere tant'alto: essa eÁ troppo gran soggietto alla mia debil penna, peroÁ
ÐÐ (92) le Divine qualitaÁ della
quella gradisca, questo picciolo segno della servituÁ mia verso verso
ÐÐ
Saggia Anima di Lei, che Infusa in si bel Manto la fa quasi, come celeste Dea adorare da tutte
le genti, che la vedono, e con questo daroÁ fine per un'altra volta.
(89) Frase aggiuntiva in linea (meno l'ultima parola, che eÁ sottoscritta nell'interlinea), ma in altra grafia e in
corpo minore.
(90) Inserito nell'interlinea in alto con un segno di richiamo sulla linea stessa.
(91) Cassato con linea orizzontale continua.
(92) Cassato con una tripla linea orizzontale continua.
Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ...
«LE MIRACOLOSE VIRTU
Fig. 3. ± L'explicit del trattato sulle pietre preziose, al verso della carta 14.
73