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MOTTANA Vasolo_ RLS2005-01-02gems as medicines during Renaissance_

Ð «Le Miracolose Virtu Á Delle Pietre Pretiose Per salute Del Vivere Humano» by Scipione Vasolo: a Renaissance treatise on gems as means to be in good health without medical intervention. An unpublished miscellaneous manuscript in the Corsinian Library (Corsinianus 901) contains 14 leaves written by a late 16th century cursive hand of a treaty on precious stones («gems») referred to the authorship of Scipione Vasolo, a poorlyknown late Renaissance writer. This section of the handwritten codex is here edited for the first time, whilst the following section, dealing with 69 decorative stones («marbles») and illustrated with 58 watercolours, is omitted, because it is only an abridged copy of Agostino del Riccio's Istoria delle pietre (1597) probably compiled during the 17-18th century. The treaty by Vasolo (dated March 20, 1577) describes the properties attributed to 28 gems to keep men in good health and merry, and claims their use as being much more effective than medical treatments, as these lead men to the verge of death. This short text heavily depends upon a series of mediaeval traditions assembled by Albert the Great that mix the graeco-roman information on stones present in Pliny the Elder, as summarized by Solinus and Isidore, with prejudices on their medical and magical effects. These can be traced back to alexandrine Greek tradition (Evax), as made available to latin-speaking medieval Europe by Marbode's poem on stones, and after some contamination with Arab traditions (e.g., Avicenna). Little original matter can be credited to Vasolo, but his strong feelings against medicines prepared by physicians and full belief on the medical properties of stone. Thus, his short treaty is more a literary piece of work than a scientific one. As such, it should be considered to belong to the tradition of Lithotherapy viz. Crystallotherapy, a pseudo-scientific subject, rather than contributing to Gemmology i.e., entering the main scientific stream of research activity that ultimately led to modern Mineralogy.

Rend. Fis. Acc. Lincei s. 9, v. 16:19-73 (2005) «LE MIRACOLOSE VIRTUÁ DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» DI SCIPIONE VASOLO: UN TRATTATELLO RINASCIMENTALE SULLE GEMME COME MEZZI PER MANTENERSI IN SALUTE SENZA RICORRERE A MEDICINE Memoria (*) di ANNIBALE MOTTANA ABSTRACT. Ð «Le Miracolose VirtuÁ Delle Pietre Pretiose Per salute Del Vivere Humano» by Scipione Vasolo: a Renaissance treatise on gems as means to be in good health without medical intervention. An unpublished miscellaneous manuscript in the Corsinian Library (Corsinianus 901) contains 14 leaves written by a late 16th century cursive hand of a treaty on precious stones («gems») referred to the authorship of Scipione Vasolo, a poorlyknown late Renaissance writer. This section of the handwritten codex is here edited for the first time, whilst the following section, dealing with 69 decorative stones («marbles») and illustrated with 58 watercolours, is omitted, because it is only an abridged copy of Agostino del Riccio's Istoria delle pietre (1597) probably compiled during the 17-18th century. The treaty by Vasolo (dated March 20, 1577) describes the properties attributed to 28 gems to keep men in good health and merry, and claims their use as being much more effective than medical treatments, as these lead men to the verge of death. This short text heavily depends upon a series of mediaeval traditions assembled by Albert the Great that mix the graeco-roman information on stones present in Pliny the Elder, as summarized by Solinus and Isidore, with prejudices on their medical and magical effects. These can be traced back to alexandrine Greek tradition (Evax), as made available to latin-speaking medieval Europe by Marbode's poem on stones, and after some contamination with Arab traditions (e.g., Avicenna). Little original matter can be credited to Vasolo, but his strong feelings against medicines prepared by physicians and full belief on the medical properties of stone. Thus, his short treaty is more a literary piece of work than a scientific one. As such, it should be considered to belong to the tradition of Lithotherapy viz. Crystallotherapy, a pseudo-scientific subject, rather than contributing to Gemmology i.e., entering the main scientific stream of research activity that ultimately led to modern Mineralogy. KEY WORDS: Crystallotherapy; Gems; Gemmology; Lithotherapy; Medicine; Precious Stones. RIASSUNTO. Ð Un manoscritto miscellaneo conservato nella biblioteca corsiniana (Corsiniano 901) contiene una prima sezione di 14 carte, scritte in un corsivo riferibile alla fine del Cinquecento e datata 20 marzo 1577, che eÁ un breve trattato sulle pietre preziose («gioie») attribuito a Scipione Vasolo, un letterato poco noto del tardo Rinascimento. Il testo eÁ qui edito per la prima volta. Il trattatello descrive 28 gemme utili a mantenersi in buona salute fisica e mentale, ed eÁ in dichiarata polemica con i medici e con i loro trattamenti farmacologici basati sulle erbe. Le descrizioni delle gemme riguardano ben poco le loro caratteristiche fisiche, quanto piuttosto e quasi esclusivamente le loro facoltaÁ terapeutiche e magiche, secondo una tradizione che risale, tramite Alberto Magno e, prima di lui, alla traduzione in versi del lapidario di Evace effettuata da Marbodo, alla dottrina greco-alessandrina. Non mancano accenni ad Avicenna e quindi alla dottrina greco-ellenistica reinterpretata dagli Arabi e da questi trasmessa all'Europa latina del tardo Medio Evo. La derivazione dalla scienza greco-romana di Plinio, compendiata da Solino ed Isidoro, eÁ subordinata e di seconda mano. Parecchie delle gemme descritte (7 su 28) sono favolose, percioÁ il trattatello mal s'inserisce nella contemporanea ricerca sulle pietre preziose da cui trarraÁ origine la moderna Gemmologia scientifica e rappresenta piuttosto un momento intermedio nella tradizione che porta alla moderna, pseudoscientifica Litoterapia o Cristalloterapia. La seconda parte del manoscritto miscellaneo, inedita, eÁ un'epitome della Istoria delle pietre di Agostino del Riccio (1597) compilata probabilmente nel Seicento. Essa contiene le descrizioni di 69 pietre ornamentali («marmi»); 58 di esse sono anche raffigurate a colori in tavole acquerellate a piena pagina. (*) Presentata nella seduta del 10 dicembre 2004. 20 A. MOTTANA INTRODUZIONE La biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana custodisce, con segnatura 45.C.27 (Cors. 901), un manoscritto intitolato Gioie e pietre, la cui esistenza eÁ venuta alla luce(1) in occasione della mostra Il trionfo sul tempo. Manoscritti illustrati dell'Accademia Nazionale dei Lincei (Roma, Palazzo Fontana di Trevi, 27 novembre 2002 - 26 gennaio 2003) curata da A. Cadei (2002). La prima descrizione del codice si deve a L.L. (Lorenzo Lazzarini), al quale va anche il merito di aver riconosciuto che il manoscritto attuale eÁ miscellaneo e consiste di due parti distinte: una prima sulle pietre preziose (le «gioie»), che eÁ datata 20 marzo 1577 ed eÁ priva di illustrazioni, ed una seconda, che descrive numerose rocce ornamentali (le «pietre») ed eÁ fitta di illustrazioni a colori e che fu aggiunta in seguito, a suo parere nell'Ottocento (p. 272). Il Lazzarini ritiene questa seconda sezione la parte piuÁ interessante del manoscritto per la presenza delle tavole acquerellate, anche se talora esse sono prive di verosimiglianza o mal riuscite. Egli ne pubblica due esempi («Africano», p. 271 e «Verde antico», p. 272), ma non approfondisce l'analisi del testo al di laÁ da una pagina di sommario commento. Analogamente, egli non va oltre ad una pagina nel descrivere la prima sezione: riporta solamente i nomi delle ventotto pietre preziose che vi sono descritte e alcuni brevi esempi del contenuto. Infine, non entra in nessun dettaglio ne sull'autore (o sugli autori), ne sulle finalitaÁ che egli (essi) si prefisse (prefissero) nell'opera, ne inquadra il volumetto nella storia della Scienza facendo riferimenti alle conoscenze litologiche e mineralogiche dell'autore (o degli autori) rispetto a quelle del tempo. Il mio lavoro ha per scopo non solo la pubblicazione integrale di un testo rimasto sepolto per secoli tra i fondi di un'antica, importante biblioteca, e cosõÁ finora del tutto ignoto alla Scienza, ma anche di eseguirne la valutazione ed eventuale valorizzazione critiche della descrizione delle pietre preziose, con riferimento a quella fase pre-scientifica di sviluppo della conoscenza dei minerali che porteraÁ, circa tre secoli dopo, all'individuazione della Gemmologia come disciplina scientifica moderna di tutto rispetto, ancorche piuttosto anomala e sicuramente marginale rispetto alle Scienze maggiori (Mottana, 2004). Per questo motivo ± ed anche per una preferenza culturale mia propria ± mi limiteroÁ a prendere in considerazione, qui, solo la prima sezione del manoscritto corsiniano, che eÁ sicuramente cinquecentesca e riferibile a chi se ne proclama autore: il capitano Scipione Vasolo di Pavia(2). (1) Il volume non era del tutto sprofondato nell'oblio e nella polvere, poiche eÁ citato da Raniero Gnoli, anche se solo marginalmente, nella bibliografia del suo fondamentale trattato sui «marmora romana» (19882: p. 272), cosõÁ: ``Riccio, A. del, ms senza indicazione di autore e titolo, rilegato insieme al volume Le miracolose virtuÁ delle pietre, Biblioteca Corsiniana, ms. 45-G, 27''. Questa concisa segnalazione eÁ ripresa da Caterina Napoleone (1988: p. 112, nota 16) che, correttamente, riconosce che il testo della Corsiniana eÁ una versione ridotta dell'originale edito da Paola Barocchi (1979). Dunque, il codice era noto, anche se non ne eÁ citato l'autore della sezione sulle pietre preziose. Viceversa, lo Gnoli dimostra di aver riconosciuto immediatamente che la sezione sulle pietre ornamentali eÁ tratta dall'opera di A. del Riccio, anche se il nome di questi non vi compare mai. (2) Non ho compiuto ricerche sull'autore, se non alcune ± piuttosto superficiali ± da cui risulta che, nella gran massa dei letterati del Cinquecento, egli eÁ una figura del tutto evanescente. Il suo nome compare, scritto Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 21 TrascureroÁ, invece, la sezione successiva, relativa alle pietre ornamentali. Secondo il Lazzarini (2002: p. 272), l'allora da lui non identificato elaboratore di questa era apparentemente inteso a «trasformare l'opera di del Riccio in un manuale utile agli eruditi del tempo» e precisamente agli amatori di pietre e marmi antichi dell'inizio dell'Ottocento, in un momento in cui era venuto all'attenzione degli studiosi il trattato Istoria delle pietre del frate domenicano Agostino del Riccio (Firenze, 1541-1598), rimasto inedito(3). Di fatto, il Lazzarini, forse per la sua scarsa dimestichezza con l'originale, non si avvide che la seconda sezione era ne piuÁ ne meno che un'epitome dell'opera del suddetto autore, che doveva essere giaÁ abbastanza nota nel Seicento ai cultori della materia, ma poteva effettivamente risultare loro di difficile comprensione proprio per essere privo di un'idonea iconografia. DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO Il codice in questione figura presente in toto nella Biblioteca Corsiniana fin dal suo primo catalogo (1738), vale a dire dal momento stesso in cui la raccolta libraria fu trasferita dal Palazzo Pamphili a Piazza Navona alla sua sede attuale nel vecchio Palazzo Riario alla Lungara, per l'occasione rinnovato ed adattato da Ferdinando Fuga a residenza del cardinale Neri Corsini, nipote di papa Clemente XII che, giaÁ da semplice monsignore, era stato l'iniziatore di quella raccolta libraria che il nipote arricchõÁ e trasformoÁ nella Biblioteca Corsiniana aperta al pubblico. Si tratta un manoscritto cartaceo composto di 65 carte di formato 150 6 215 mm, con una legatura in cartone rivestito di pelle verde con riquadri e scritte dorati e con impresso sul dorso, in maiuscoletto e sempre in oro, il titolo: Gioie e pietre. La legatura ± che sembra essere ottocentesca e quindi posteriore alla cucitura, che deve essere invece cosõÁ, tanto in questo manoscritto quanto in un suo trattatello a stampa del 1573; eÁ, invece, «Scipione Vasolli» in un altro suo piuÁ breve scritto a stampa del 1556. Inoltre, un altro suo trattatello manoscritto sulle virtuÁ delle pietre preziose, dedicato a NicoloÁ Bernardo di San Cervino, principe di Bisignano, era conservato nella Biblioteca Casanatese di Roma (Narducci, 1869: p. 124, n. 1). Che egli fosse di Pavia e avesse il grado di capitano sono due sue orgogliose affermazioni di cittadinanza e di stato sociale di cui va preso atto, ma che io non ho cercato di verificare perche non hanno nulla a che fare con la sua pretesa di essere un esperto di gemme. Ulteriori informazioni sono reperibili in Gerini (1829: pp. 134-137) e Vasoli (1983: pp. 467-489). (3) La prima edizione della Istoria delle pietre di Agostino del Riccio, la cui stesura era stata completata nel 1597, si deve a Paola Barocchi (1979) ed eÁ una riproduzione anastatica del codice miscellaneo 230 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. Un'edizione piuÁ completa si deve a Raniero Gnoli e Antonia Sironi (1996). Questa fu condotta collazionando tre manoscritti: il suddetto Riccardiano 230 (A) che eÁ ± appunto ± tardo cinquecentesco; una sua copia settecentesca contenuta nelle carte di Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783) conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (Targioni 54: B) e, infine, una sua copia parziale, fatta eseguire nella prima metaÁ del Seicento da Cassiano dal Pozzo (1589-1657), che eÁ conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli (ms. V E, IO: N). EÁ sorprendente che lo Gnoli non abbia utilizzato per questa sua edizione il manoscritto della Corsiniana da lui stesso riconosciuto un decennio prima (Gnoli, 1988), che eÁ per lo meno seicentesco. Tutte le citazioni dalla Istoria delle pietre che seguiranno si riferiscono all'edizione 1996, che eÁ corredata da numerosi commenti dei due curatori e da un indice analitico, compilato inizialmente dal Targioni Tozzetti, ma opportunamente aggiornato. 22 A. MOTTANA almeno dell'inizio del Settecento, se non eÁ addirittura seicentesca ± presenta vari piccoli danni sia sul dorso sia sui piatti. Le carte(4) mostrano diffuse corrosioni da inchiostro, che trapassa dal fronte al retro di ciascuna o viceversa, e che si rendono visibili come virgole scure, talvolta sovrapponendosi al testo della facciata retrostante e rendendo difficile su di questa la distinzione tra «i» ed «e». La sezione riguardante le pietre preziose comprende 14 carte, ed inoltre tre carte d'apertura probabilmente non coeve col testo. La primissima carta del codice, infatti, non numerata se non con un sottile numero 1 romano in alto a destra e sicuramente posteriore al testo gemmologico, eÁ il frontespizio (fig. 1), scritto sul solo recto. Contiene il numero d'ordine del codice secondo il catalogo corsiniano del 1738, il titolo, la dedica, il nome dell'autore e l'indicazione della consistenza: 65 carte, appunto, comprensive, quindi, anche della successiva sezione concernente le pietre ornamentali(5). Il tutto eÁ scontornato da un semplice fregio geometrico. Le parole sono scritte in colore nero, prevalentemente, ma con le iniziali maiuscole ed in rosso, ed interamente in rosso e maiuscolo sono il nome e il titolo della dedicataria: Felice Orsini, viceregina di Sicilia(6). Alcuni semplici fregi in rosso separano i quattro blocchi grafici relativi a codice, titolo, dedica ed autore. Segue una carta (numerata di nuovo con 1 in alto a destra sul recto) scritta su entrambe le facciate. Oltre che esservi ripetuta la dedica, essa contiene una fiorita captatio benevolentiae, su cui ritorneremo perche vi sono contenute le motivazioni, cortigiane in parte, ma anche di preferenza culturale, che hanno indotto l'autore alla redazione del (4) Mi riferisco sempre e solo alla sezione iniziale del codice, quella d'interesse gemmologico. (5) Caduta, sull'incontestabile evidenza documentaria del catalogo 1738, l'ipotesi che questa parte sia stata compilata nel primo Ottocento (Lazzarini, 2002: p. 272), eÁ possibile proporre, in alternativa, che essa sia stata predisposta nel Seicento per Cassiano dal Pozzo, notissimo cultore di materie naturalistiche e amatore di antichitaÁ, in un periodo vicino a quello (prima del 1649) in cui egli fece trascrivere il codice Riccardiano 230 di Agostino del Riccio anche per quella parte che si trova ora a Napoli. Per chiarire a se stesso il contenuto del testo fiorentino, egli puoÁ aver voluto che nella sua copia fossero rappresentati anche i «marmora romana», che gli erano familiari per la sua lunga residenza a Roma e che, se fino ad allora erano giaÁ noti agli studiosi sotto forma di collezioni di frammenti, non erano mai stati descritti in forma grafica stampata e, tanto meno, illustrati. Questa ipotesi ± che richiederaÁ altri studi per essere suffragata ± ben si adatta al carattere di uno studioso barocco che spese gran parte del suo tempo e del suo patrimonio a costituirsi un «museo cartaceo» (Solinas, 2000), vale a dire una raccolta di figurazioni a colori di oggetti che gli era impossibile acquistare, ma di cui voleva in ogni caso poter disporre e avvalersi per i suoi studi. Si notino, in particolare, le affinitaÁ stilistiche tra le due raffigurazioni ad acquerello di «Marmo Africano» che sono riportate a colori, rispettivamente, dal Lazzarini (2002: p. 271) e dalla Napoleone (1989: p. 99). (6) La dedica a questa gentildonna, del ramo abruzzese degli Orsini (?-1596), era tempestiva. Si trattava, infatti, della moglie di Marcantonio II Colonna (1535-84), primo principe di Paliano (1561), capitano generale delle fanterie spagnole in Italia durante la guerra di Siena (1553-55), contestabile di Napoli e ammiraglio della flotta pontificia alla battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), che era stato nominato vicere di Sicilia con mandato triennale rinnovabile proprio all'inizio dello stesso anno 1577 e che tale rimarraÁ fino al 1583. Ne esiste un ritratto, eseguito probabilmente da Scipione Pulzone (o da un suo allievo), nella sala del trono annessa alla Galleria Colonna di Roma (n. 150) a fianco di quello del marito, pure opera del Pulzone. Nel 1582 Marcantonio Colonna fece iniziare a Palermo la costruzione di una nuova porta urbica all'inizio del rettilineo che collega il mare col CaÂssaro (l'attuale Palazzo dei Normanni) e la dedicoÁ alla moglie (Porta Felice), forse per rabbonirla dopo la scoperta di una sua impresa lasciva terminata in modo criminale. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 23 trattato: esse sono importanti a chiarire l'ambiente culturale e le convinzioni del suo autore. Segue un'altra carta introduttiva, anch'essa numerata con 1 in alto a destra, in cui sul recto sono indicati luogo e data della redazione e, in basso a destra, il titolo, il nome e la cittadinanza dell'autore. Sul verso, non numerato, un elegante sonetto vergato con inchiostro nero, ma con le lettere iniziali d'ogni verso in maiuscolo ed in rosso, riformula le lodi dell'Orsini, il cui nome di battesimo ± secondo un uso del tempo ± eÁ inserito integralmente (evidenziato in rosso e in lettere maiuscole) nel penultimo verso. Il vero trattato sulle pietre preziose inizia al recto della carta numerata con 2 (sempre in alto a destra e solo sul recto) e continua senza alcuna interruzione fino al verso della carta 14. Comincia di nuovo col titolo (in cui, peroÁ, la specifica «preziose» eÁ omessa) e con l'indicazione dell'autore (col suo grado militare e la cittaÁ d'origine), quindi entra direttamente in argomento. Prima peroÁ di descrivere e discutere il contenuto del testo, occorre precisare le caratteristiche grafiche del manoscritto. Su ciascuna facciata delle carte la scrittura, che si dipana senza interruzioni in modo di occupare tutto lo specchio (95 6 156 mm), eÁ distribuita su righe equidistanti accuratamente tracciate col righello e ben visibili. Esse sono o 17 o 18 per facciata, secondo un rapporto numerico 9:4 che probabilmente non ha alcun significato perche si trova sia sul recto sia sul verso delle carte, ma senza ne un ordine ne un'alternanza regolare apparente. La regolaritaÁ del ductus e l'equidistanza della scrittura si modificano un po' verso la fine del manoscritto, allorche i titoli dei capitoli concernenti le singole pietre, in luogo di essere scritti al centro di una riga giaÁ delineata lasciando una riga vuota sopra e sotto (oppure almeno una riga al di sotto, che serve in ogni modo a meglio evidenziare il cambiamento d'argomento (7)), sono scritti a cavallo di due righe, senza alterarne la regolaritaÁ dell'equidistanza, ma risultando cosõÁ in posizione asimmetrica rispetto alla normale sequenza. La scrittura del testo sulle pietre preziose eÁ un corsivo tipicamente tardo-cinquecentesco con molte reminiscenze della scrittura cancelleresca, soprattutto nelle maiuscole che identificano la maggior parte dei sostantivi (ma non tutti, e senza una sistematicitaÁ apparente). La prima lettera di ciascun titolo e quella all'inizio di ciascun capoverso d'ogni capitolo, anche interno, sono sempre evidenziate: sia perche in rosso, sia perche sono scritte in un carattere capitale maiuscolo diritto molto geometrico. I singoli capoversi contengono spesso piuÁ frasi, collegate da un & o da un «et» oppure separate da un punto e virgola, e sono di solito terminati da una piccola croce in luogo del punto. L'ortografia eÁ antiquata ± ovviamente ± e spesso incerta. EÁ costante l'uso della «u» tanto per «u» quanto per «v» all'interno della parola, e della «v» in luogo della «u» all'inizio di parola(8). L'uso della lettera singola «û» in luogo della doppia «ss» eÁ casuale: in una stessa pagina si possono avere entrambe. (7) In un solo caso (c. 12r: Oftalmia) mancano tutte e due le righe vuote che isolano ed evidenziano il titolo. Un caso a se stante eÁ anche quello della primissima pietra descritta: il diamante. Il titolo del capoverso si limita al solo nome, centrato, ma sulla stessa linea del testo che lo introduce, ed evidenziato da una riga lasciata in bianco al di sotto. Queste piccole alterazioni nel ductus non modificano l'impressione d'accuratezza ed eleganza formale che daÁ, nel suo insieme, questa parte del manoscritto. (8) Nella trascrizione si eÁ sempre seguita la norma ortografica moderna. 24 A. MOTTANA Le abbreviazioni sono varie, ma nel complesso piuttosto poche: a) un apostrofo sostituisce la vocale finale in parole che ne precedono un'altra che inizia con vocale, anche in posizioni che l'uso moderno tende a rifiutare; b) soppressione della «n» sostituita da un marcato accento acuto sopra la vocale che precede, oppure da uno svolazzo orizzontale sopra la consonante precedente; c) abbreviazione all'interno, spesso con uno svolazzo, per parole di largo uso, soprattutto se poste in fine di riga (e.g., qeÄsti, qelli, qale); d) troncamento di parole lunghe ed ovvie, con la loro terminazione aggiunta in piccolo nell'interlinea superiore (e.g. Ill.ma, Sig.ra). Tutte queste forme d'abbreviazione sono spesso casuali e sempre facili da sciogliere(9) grazie al contesto. La divisione delle parole alla fine di una riga eÁ costantemente secondo sillabe. Quando il testo ha una parola troppo lunga che dovrebbe debordare dal margine destro dello specchio di scrittura, pur di mantenerne la geometria squadrata essa eÁ interrotta con un segno «=» al termine della sillaba opportuna e poi ripresa senz'altro nesso nella riga successiva, al margine di sinistra. Viceversa, se la parola piuÁ prossima alla fine di una riga eÁ corta abbastanza, ma lascia uno spazio troppo esiguo per la sillaba iniziale della parola che segue, eÁ inserito un segno serpentino (j) in modo di colmare il vuoto, ed eÁ calibrato in modo da mantenere la perfetta squadratura del margine destro. In genere, l'amanuense mostra sempre molta cura nel mantenere perfetta la squadratura del suo scritto nello specchio. Tuttavia, ci sono eccezioni: in tre casi egli segue l'uso ± comune nei manoscritti, ma presente anche negli stampati dell'epoca ± di sottoscrivere nel margine destro in basso della pagina l'inizio del testo che segue (c. 3v: greti, a terminazione di se=greti; c. 10v: Mal caduco), in un caso anche abbreviandola (c. 11v: La psona). Si tratta sempre di un rinvio dal verso di una carta al recto di una carta nuova, forse per una pratica ricorrente di alzarsi dallo scrittoio per andare a prendere un foglio successivo dalla risma giaÁ piegata e tagliata. Altra cosa sono le correzioni. Ve ne sono di tre tipi: a) errori di cui il copista si eÁ accorto immediatamente (e.g. inizi di parola sbagliati) e che immediatamente risolve semplicemente cassando le lettere sbagliate con una riga orizzontale, b) dittografie: la seconda parola eÁ cassata, in questo caso da tre righe orizzontali parallele, c) omissioni testuali. Le omissioni brevi sono semplicemente inserite nell'interlinea superiore, in corpo minore (e.g. che, et). A quelle lunghe, invece, eÁ riservato un trattamento particolare. Si tratta di due soli casi: c1) nella c. 5r, tra la quarta e la quinta riga, sono inserite nel margine di sinistra, in un corpo leggermente minore, le parole «gl'occhi da» mancanti nella quarta riga, che sono poi collegate con la parola d'inizio della quinta riga («le Caterate») tramite un breve tratto ondulato; c2) nella c. 13r, la frase mancante alla quattordicesima riga era piuttosto lunga, cosicche l'amanuense risolve il problema in altro modo: aggiunge tutto cioÁ che doveva, ma riducendo il corpo di molto e applicando tutte le abbreviazioni possibili; inoltre, non bastandogli questi artifizi a concludere prima del margine destro e non volendo introdurre inchiostro in questo, fa scendere l'ultima parola della frase aggiuntiva («Agosto») nell'interlinea inferiore. (9) CosõÁ eÁ stato fatto nella trascrizione. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 25 EÁ da notare che, nei due casi or ora descritti, la scrittura del testo inserito si presenta notevolmente diversa dal resto dello scritto: non si tratta piuÁ di un corsivo ampio e scorrevole, inclinato e ricco di legature, ma di un semicorsivo, quasi un tondo, piuÁ piccolo, stretto e piuttosto spigoloso. EÁ una mano diversa, un'integrazione posteriore, che quasi certamente corrisponde al momento in cui al manoscritto gemmologico tardocinquecentesco fu aggiunta la sezione sulle pietre ornamentali. Anzi, queste parole aggiuntive ben si accordano, nella scrittura, non solo con la seconda sezione del volume, ma anche con la sua introduzione, costituendo quindi un ragionevole indizio che anch'essa fu aggiunta al momento della realizzazione dell'intero volume, all'inizio del Settecento, probabilmente trascrivendo l'introduzione e la dedica originali, ma dando cosõÁ una spiegazione dell'alto numero di carte (65) indicato sul frontespizio. Concluso quindi l'esame formale del manoscritto, posso ora passare alla sua trascrizione ed all'esame del contenuto. Preciso di avere usato, in questa trascrizione, il carattere tondo laÁ dove il codice ha il semicorsivo e il carattere corsivo (italico) laÁ dove esso ha il corsivo. La trascrizione del trattatello eseguita secondo le modalitaÁ precisate qui sopra eÁ riportata in Appendice. Dato che si tratta di uno scritto perfettamente leggibile sotto l'aspetto sia linguistico sia letterario, non mi eÁ parso necessario darne altra spiegazione che non sia quella strettamente tecnica, vale a dire relativa al significato assunto da ciascuna gemma tanto nel contesto storico dell'epoca quanto nella sua corrispondenza attuale. Tutto cioÁ saraÁ sviluppato nel capitolo seguente. Occorre peroÁ che chiarisca che l'analisi che seguiraÁ potraÁ apparire esauriente solo se si effettueraÁ la lettura del manoscritto per pezzi distinti, vale a dire separatamente, uno dopo l'altro, per i singoli capoversi in cui lo stesso Vasolo suddivide il suo manoscritto. A prima vista si nota, infatti, che il trattatello, essendo di compilazione, eÁ stato concepito per sezioni separate, ciascuna delle quali non anticipa ne si lega con quelle seguenti. In altre parole: non si evince dal testo un filo conduttore unico, se non quello di lodare le pietre per le loro virtuÁ e di gettare discredito sulle medicine. Nasce quindi spontanea una domanda: «ma se questo trattatello eÁ un'opera occasionale, d'intento ottativo e di tipo letterario, che bisogno c'eÁ di effettuarne un'edizione a stampa e corredarla di un commento su basi strettamente scientifiche? Non eÁ meglio lasciarlo nell'ombra in cui eÁ rimasto per secoli?». La mia risposta eÁ che una pubblicazione eÁ opportuna, non perche ne potraÁ risultare un contributo fondamentale alla Scienza, ma perche anche un piccolo brandello che permetta di capire quale fosse lo stato in passato della ricerca e della valutazione delle gemme puoÁ risultare utile al fine ultimo dello studio su come si sono sviluppate le scienze mineralogiche. Il Rinascimento, sotto questo aspetto, eÁ un periodo tra i meno studiati (certo molto meno del Medioevo e in particolare del Trecento, quando sono stati scritti i lapidari italiani piuÁ significativi) e quindi ogni opera rinascimentale contribuisce a farlo comprendere. 26 A. MOTTANA ANALISI DEL TESTO Struttura. Il trattatello comincia con una dedica (di cui si eÁ detto: fig. 2) e con una breve introduzione in cui se ne precisano le finalitaÁ: anzitutto, rendere bene accetto l'autore a Felice Orsini(10) e, tramite lei, alle altre signore titolate (verso le quali egli afferma di avere sempre mostrato una gran buona disposizione d'animo(11)); in secondo luogo, sconsigliare a lei e a tutte l'uso delle medicine, tramite le quali i medici portano gli uomini in pericolo di morte, sostituendole con le pietre, che hanno facoltaÁ utili non solo a conservare la salute e a procurare una lunga vita, ma anche a sollevare lo spirito rincuorandolo dalla tristezza indotta dal dolore fisico. Non manca, infine, un invito piuttosto esplicito e diretto a favorire i poveri ed afflitti «virtuosi», tra cui, in modo particolare anche se in forma allusiva, l'autore stesso. Seguono data e firma. Segue poi un sonetto in onore dell'Orsini, di cui si lodano le qualitaÁ personali, confrontandole abilmente sia con le gemme, sia con le perle, sia con l'oro. Dopo una ripresa del titolo e una seconda motivazione, in parte nuova anche nei contenuti, perche l'autore non solo vi propone di nuovo il suo convincimento sull'utilitaÁ delle pietre preziose, ma afferma anche che esse sono molto piuÁ efficaci delle erbe(12) e delle parole(13) a portare salute e letizia, inizia la descrizione delle facoltaÁ («virtuÁ») di 28 pietre, talora definite preziose, talora non definite tali e tuttavia rare e degne di considerazione proprio per la capacitaÁ che possiedono di mantenere chi le porta in buona salute. Nell'ordine, e secondo la scrittura usata dal Vasolo, esse sono: diamante, rubino, zaffiro, smeraldo, elitropia, giacinto, granata, spinella, agata, grisolito, amathista, sardonio, berillo, torchina, smeragdo, iris, galasia, ambra, dragonite, aquilina, orite, calcidonio, celidonio, largate, oftalmia, silonite, alettorio e lapislazoro (tab. I)(14). L'esposizione eÁ, nella maggior parte dei casi, piuttosto concisa e un po' (10) La dama, oltre che come viceregina, eÁ gratificata dal titolo «Col.A». Non capisco se esso significhi «colendissima» oppure «colonnella», ma non penso che cioÁ abbia importanza: certo non per le gemme. (11) L'affermazione apparirebbe, a prima vista, un po' gratuita e solo cortigiana ed insinuante, se non fossimo a conoscenza che egli era stato autore, qualche anno prima (Vasolo, 1573), di un altro trattatello dal titolo La gloriosa eccellenza delle donne, e d'amore che s'inserisce in senso buono nell'atteggiamento genericamente antifemminista diffuso nell'Italia del Cinquecento (Dialeti, 2003; cf. Zonta, 1913). In quell'opera il Vasolo difendeva, al tempo stesso, il genere femminile e l'amore, il ruolo delle donne nella societaÁ, la loro moralitaÁ e la loro integritaÁ intellettuale. In sostanza, egli cercava di mostrare come donna ed amore non siano in conflitto tra loro, ma anzi si armonizzino e si esprimeva come grande estimatore di entrambi. Sembrava, anzi, ritenere, rifacendosi alla tradizione neo-platonica, che le donne siano un veicolo al raggiungimento della perfezione da parte dell'uomo tramite appunto il loro amore. Inoltre (ma l'articolo della Dialeti non ne fa cenno), ancor prima (1556) un tale Scipione Vasolli, che identifico con lui, aveva pubblicato insieme, in un unico volumetto a stampa, due altri suoi brevi scritti in lode delle donne. In questo suo trattato sulle gemme l'autore sembra, quindi, richiamarsi al credito che riteneva di aver acquisito presso le donne di garbo e ad una di loro si appella in modo particolare. (12) Si riferisce, ovviamente, alle erbe medicinali, che all'epoca erano la base d'ogni farmacopea (Matthioli, 1544, 1568). EÁ, infatti, alla metaÁ del Cinquecento che cominciano a sorgere in Italia gli orti botanici (Pisa ca. 1543, Padova 1545, Firenze 1550, ecc.), naturale sviluppo dei medievali giardini dei semplici e aventi come scopo primario di far crescere e maturare per i principi le nuove erbe salutari che erano allora importate da tutto il mondo. (13) Intendo che il Vasolo alluda, con questo termine, alle varie suasorie piuÁ o meno religiose o filosofiche con le quali si cercava di alleviare le sofferenze fisiche del malato trasferendone l'attenzione ad una futura felicitaÁ superiore. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 27 TABELLA I. ± Indice e nomi antichi e moderni delle pietre citate nel testo. Scipione VASOLO (1577) Në Agata Alettorio Amathista Ambra 9 27 11 18 Aquilina Berillo Calcidonio Celidonio Cristallo, cristallo di rocca Diamante ALBERTO MAGNO MARBODO Attuale nome specifico VarietaÁ gemma (ca. 1254 - 1262) (ca. 1061 - 1081) (2004) (o semipreziosa) Agathes Alecterius Amethystus Suetinus [= succinus] (eliciam = electrum; lubra = lambra; gagates, kacabre) 20 Echites (aquileus, erodialis) 13 Beryllus 22 Chalcedonius 23 Celidonius 16 bis Crystallus 1 Dragonite Elitropia Galasia 19 5 17 Giacinto 6 Granata 7 Grisolito 10 Iris 16 Lapislazoro 28 Largate Oftalmia Orite Rubino 24 25 21 2 Sardonio 12 Silonite Smeragdo Smeraldo Spinella Torchina Zaffiro 26 15 4 8 14 3 Adamas (diamant) Draconites Eliotropia Gelosia Achates Allectorius Ametistus Gagates Quarzo [organico] Quarzo [resina fossile] [lignite picea] Agata ± Ametista [Ambra] [Giaietto] Echites [organico] ± Berrilus Calcedon Chelidonius Cristallus Berillo Quarzo [geode] Quarzo Goshenite Diaspro ± Cristallo di rocca Adamas Diamante ± Eliotropia Gelatia [organico] Quarzo Corindone (?) ± Eliotropio Zaffiro incolore (leucozaffiro) Giacinto Hyacinthus Iacinctus (aquaticus, saphirinus) Granatus (granatus) Chrysolitus Iris Zemech (lapis lasurii; saphirus) Gagatronica Ophthalmus Oristes Carbunculus (anthrax, rubinus) Sardinus (sardonyx) Celontes Smaragdus Balagius Turchois Saphirus (sirites, sirtites) Zircone Granato (varie specie) Crisolitus Iris Sapphirus Forsterite Quarzo [roccia a lazurite] Gagatromeo Optallius Orites Carbunculus (anthrax) Sardus (sardonix), onix, sardius Chelonites Smaragdus Smaragdus ? Opale ? Corindone Sapphirus (syrtites) Granato rosso (piropo: rubino del Capo; almandino) Peridoto (crisolito) Iride Lapislazzuli Opale arlecchino Rubino Quarzo Sarda (?) [organico] Berillo Berillo Spinello Turchese Corindone [madreperla?] Smeraldo Smeraldo Spinello rosso ± Zaffiro 28 A. MOTTANA monotona: comincia con un qualche accenno sull'aspetto esteriore della pietra, seguito dalla virtuÁ singola o dalle molteplici virtuÁ che le sono attribuite; segue un aneddoto o un esempio, ma solo per le pietre piuÁ importanti. Senza alcuna soluzione di continuitaÁ dopo il passo sul lapislazzuli segue, infine, un brano conclusivo, in cui l'autore ribadisce le sue convinzioni e i suoi pregiudizi contro medici e medicine (fig. 3). Fonti dichiarate. Il Vasolo cita, come suoi ispiratori, quattro personaggi illustri e un nome collettivo (c. 10v: «Antiqui Filosofi»). TrascureroÁ quest'ultimo, perche troppo generico, quasi di comodo(15), per passare a verificare quanto, delle informazioni che vuol trasmettere a Felice Orsini, egli effettivamente tragga dagli autori che l'hanno preceduto e che egli afferma essere le sue fonti. Richiamo l'attenzione sul fatto che, a questo proposito, il Cinquecento eÁ un secolo importantissimo per il rinnovamento e lo sviluppo della Gemmologia, poiche vide arrivare in Europa un'enorme quantitaÁ di gemme, non tutte nuove, forse ± poiche i circuiti commerciali di beni di lusso di questo tipo erano stati aperti fin dalla piuÁ remota antichitaÁ (16) ± eppure sicuramente in una quantitaÁ e di una varietaÁ tali da essere del tutto inusitate per l'Europa d'allora. Rimando, per questo, ad altro mio lavoro (Mottana, in preparazione), non senza aver fatto osservare che giaÁ tempo fa, in un brevissimo brano in un contesto del tutto diverso (Mottana, 1999: p. 194, n. 89), accennavo alla sequenza temporale di testi letterari attraverso la quale sono penetrate in Italia le sempre maggiori informazioni sulle gemme che gli intraprendenti mercanti soprattutto toscani e veneti avevano raccolto nel periodo compreso tra il tardo Medio Evo (1282: Restoro d'Arezzo, prima nostra fonte scritta in volgare(17)) e l'inizio del Barocco(18) (1597: Agostino del (14) In realtaÁ, nel trattatello si accenna a 31 pietre preziose. Oltre alle 28 descritte singolarmente, tra cui un doppione (smeraldo, c. 5r, e smeragdo, c. 6v) da togliere dal numero, sono citati il quarzo (cristallo, cristallo di rocca, c. 9r), il corallo (c. 13v) e due diversi tipi di sostanza vegetale fossile (c. 9v): una chiara (resina) che corrisponde all'ambra e una nera (lignite) che eÁ il nostro giaietto. (15) Sempre che il Vasolo non faccia riferimento alla Turba philosophorum, un testo alchemico medievale, anonimo, che era stato pubblicato a stampa per la prima volta solo pochi anni prima (1572). In questo testo, frammezzo ad una congerie di astrusitaÁ, sono contenute informazioni su mitiche proprietaÁ magico-mediche attribuite alle pietre preziose (Ruska, 1931): esse si erano sviluppate probabilmente in India in un periodo indefinito, ma in ogni caso precedente al X secolo AD, quando ne era stata redatto il rimaneggiamento in arabo dal quale, nel XII secolo, era poi derivata l'anonima traduzione latina (Plessner, 1975). (16) Il lapislazzuli di Sar-i-Sang in Badakhshan (Afghanistan), la cui prima coltivazione si stima risalire al VII millennio a.C., era giaÁ da tempo trasportato per via carovaniera in Sumeria (Iraq) dove eÁ stato ritrovato nello strato archeologico denominato Uruk III, databile a poco prima del 3300 a.C. (Bob'ilev [Wobylew], 2000: pp. 86-89). (17) Intendo fonte letteraria, perche importanti informazioni su nomi, provenienze e valore delle gemme si hanno in numerosi documenti mercantili di molto tempo prima, anche se, per lo piuÁ, non in italiano, ma in un grossolano latino (e.g., Genova 1253, cf. Byrne, 1935). (18) Mi rendo conto di commettere un abuso, quando trasferisco nomi concepiti dalla Storia dell'Arte, come Rinascimento e Barocco, ad un campo del tutto diverso quale la Storia della Scienza, ma non so offrire Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 29 Riccio). Fu proprio con l'inizio del Barocco che i dati disponibili sulle gemme e su altre sostanze solide naturali cominciarono ad essere riesaminati in forma critica e ad essere trasferiti dall'ambito medico-magico a quello della Scienza dei minerali, allora in via di formazione. I quattro autori cui il Vasolo asserisce di fare riferimento e ai quali attribuisce il titolo onorifico di «Philosofi» (c. 9v), sono Alberto Magno, Aronne, Avicenna ed Evace. Il primo eÁ menzionato nel testo per ben tre volte, mentre i tre ultimi lo sono una sola volta(19). Quanto ad Aronne («Aaron»: c. 9v), il pensiero del Vasolo sicuramente non va al presunto inventore di pratiche alchimiche ricordato nelle tradizioni arabe (e.g., Ibn anNadim, KitaÅb al-fihrist, in Berthelot, 1893: v. 3, p. 27), ma al biblico fratello di MoseÂ, che eÁ citato dalla Bibbia nel passo in cui viene descritto il pettorale (rationale) che Dio aveva dato incarico di confezionare come simbolo dell'unitaÁ religiosa e nazionale delle dodici tribuÁ di Israele e, quindi, come importante componente della veste cerimoniale che competeva ad Aronne nella sua qualifica di sommo sacerdote (Esodo, 28, 17-20: cf. Gilmore, 1968). Un riferimento alla tradizione biblica non poteva certo mancare in uno scritto compilato a Roma durante la Controriforma(20), ma, di fatto, eÁ come se non ci fosse, perche non vi eÁ nulla ne nella Bibbia, presa nella sua formulazione letterale, e neppure nelle sue interpretazioni allegoriche, tanto medievali quanto contemporanee al Vasolo, che si presti alle finalitaÁ mediche conclamate dal trattatello(21). PiuÁ concreto e specifico eÁ il riferimento ad Avicenna (c. 10r), anche se volutamente reso oscuro dal Vasolo per ragioni di «rispetto». Avicenna (o meglio: AbuÅ `AlõÅ al-Husayn b. `Abd AllaÅh ibn SinaÅ: AfsÏanaÅ, ca. 980 ± HamadhaÅn, 1037) fu, infatti, uno dei massimi un'alternativa valida. Anche altri, di fronte a questo problema, hanno adottato la mia stessa soluzione: p. es., tra tutti, discutendo dello sviluppo della lingua letteraria anche in campo scientifico, l'Altieri Biagi (1985: p. 94). Intendo, quindi, i due termini nel doppio significato cronologico e culturale introdotto dal Burckhardt (1855, 1860) e, in particolare, secondo le rivisitazioni effettuate, rispettivamente, da Kerrigan e Braden (1989) e dal Kurz (1960). Alla stessa stregua, quando uso i termini Controriforma e Manierismo mi riferisco all'atteggiamento culturale tra il repressivo e il ripetitivo che a Roma predominava nella seconda metaÁ del Cinquecento, ma che ancora puoÁ essere fatto rientrare nell'atmosfera artistico-culturale del Rinascimento, sia pure nella sua fase tarda tendente a degenerare (quindi, all'incirca, 1540-1590: cf. Weisbach, 1919). (19) Escludo senza esitazione da ogni considerazione ulteriore il quinto nome di persona presente nel trattatello: Alcide, cioeÁ Ercole (= Eracle, figlio di Anfitrione e di Alcmena e nipote di Alceo). Non solo si tratta di un mito, ma egli eÁ citato solo come testimonio della virtuÁ d'una pietra, la largate (c. 12r), che eÁ essa stessa favolosa e il cui nome fu probabimente inventato proprio dal Vasolo, perche non ha un riscontro diretto in nessun altro lapidario. (20) La descrizione dettagliata delle dodici pietre del rationale saraÁ, infatti, di lõÁ a pochi anni, l'oggetto di una ponderosa dissertazione, con una discettazione complessa sul loro significato allegorico, scritta da un archiatra pontificio molto ben introdotto negli ambienti di Santa Romana Chiesa (Bacci, 1587). Alcuni anni prima un prelato francese (Rueus, 1547) aveva discettato sul significato delle gemme descritte nell'Apocalisse, e il suo studio fu poi ripreso ancora dal suddetto medico e poligrafo in un piuÁ esteso scritto che peroÁ apparve postumo (Baccius, 1603). (21) Il nome «Aaron» eÁ, peroÁ, presente nel libro di Alberto Magno (II, II.1), che il Vasolo considera la sua fonte principale. 30 A. MOTTANA studiosi di farmacologia di lingua araba e, in particolare, fu l'autore del piuÁ influente trattato di medicina del Medioevo: il Canon medicinae (al-QanuÅn fõÅ'l-t,ibb) che, nelle sue due traduzioni latine, prima quella letterale di Gherardo da Cremona (1114-1187) e poi quella rielaborata con una serie di aggiornamenti da Andrea Alpago (m. 1520), rimase in uso come testo fondamentale nelle universitaÁ europee fino ad oltre la metaÁ del Seicento. Nel Canone di Avicenna(22) e nell'altra sua quasi sterminata produzione scientifica eÁ peroÁ improbabile se non impossibile rintracciare il riferimento all'ambra. Egli indubbiamente la prese in considerazione, probabilmente laÁ dove descrive il modo di curare le malattie femminili, ma rintracciare proprio dove e come richiederebbe un tempo troppo lungo in proporzione al risultato, tanto piuÁ che ± con ogni probabilitaÁ ± la spiegazione che ne diede Avicenna fu dal Vasolo o largamente fraintesa o volutamente purgata, per le suddette sue ragioni di «degno rispetto» (vedi oltre). La terza fonte d'informazioni del Vasolo («Evax»: c. 9v) eÁ anch'essa riferita in un modo piuttosto impreciso, ma eÁ meno problematica. Nella tradizione lapidaria medievale, l'opera riferita ad Evace ha avuto un'influenza duratura e tutt'altro che secondaria, anche se la reale personalitaÁ dell'autore fu sempre sfuggente, e tale eÁ rimasta anche ora. Si volle che si trattasse di un re arabo cultore di farmacologia che Plinio il Vecchio (Como, 23 ± Stabia, 79) avrebbe citato nella Naturalis Historia come autore di un testo sugli effetti dei semplici (Evax rex Arabum qui de simplicium effectis ad Neronem conscripsit: XXV, 8). Di fatto, peroÁ, il suo nome non figura nell'enciclopedia pliniana, o meglio: non figura nelle moderne edizioni critiche di essa (e.g., Conte et al., 1982-88), dopo che giaÁ nel Seicento fu dimostrato (Hardouin, 1685) che quella frase eÁ un'interpolazione, forse duecentesca, nei manoscritti che servirono per la stampa dell'editio princeps del 1469. Per altro, doveva trattarsi di un fraintendimento ben piuÁ antico, poiche l'attribuzione ad Evace di un testo sulle gemme dedicato a Nerone si ritrova giaÁ nella lettera dedicatoria della prima versione di un lapidario che eÁ attribuito al mago Damigerone, perduto nella versione greca, ma noto nella sua traduzione in latino effettuta probabilmente nel V o VI secolo AD (Barb, 1963: p. 119), anche se ci eÁ pervenuta solo in un manoscritto della fine del XI (Cavensis 3). L'importanza concordemente attribuita ad Evace nella letteratura lapidaria si evince giaÁ dal fatto che questo testo, che ha trovato conferma in un secondo ramo della tradizione manoscritta(23), eÁ ora pubblicato sotto la paternitaÁ congiunta «DamigeÂron-EÂvax» (Halleux e Schamp, 1985: pp. 190-297). Questo testo composito eÁ il principale ispiratore del poema De lapidibus seu de gemmis scritto da Marbodo, vescovo di Rennes (Angers, 1035-1123)(24). Questo poema eÁ, di fatto, un'epitome versificata proprio del primo (22) Ne ho consultato, piuttosto superficialmente, l'edizione giuntina (Avicenna, [1473] 1608). (23) La tradizione, infatti, si articola in due gruppi, ciascuno con tre manoscritti principali: la version ancienne o CPT (di cui fa parte il Cavensis 3, che eÁ il piuÁ antico in assoluto) e la version alphabeÂtique o BAM (il cui termine piuÁ antico eÁ il Bodleianus Hutton 76, dell'inizio del XII secolo). Questo secondo gruppo differisce dal primo non tanto per il contenuto (pur presentando un certo numero di additiones alle 60 pietre descritte dal primo), ma nella sequenza alfabetica in cui sono descritte le gemme, che riflette una tendenza alla catalogazione erudita diffusasi in Europa con la ripresa degli studi all'inizio del XII secolo (Halleux, 1974; Halleux e Schamp, 1985: pp. 193-204). (24) Questo poema in esametri, scritto in data imprecisata, ma certamente prima del 1096 quando l'autore Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 31 lapidario latino che va ora sotto il nome congiunto di Damigerone ed Evace (quello che descrive 60 pietre: vedi sopra): eÁ lo stesso Marbodo che dichiara di aver estratto il suo poema da quell'opera ponderosa per trasformarla in un libretto di minor mole e di piuÁ agevole consultazione (vv. 5-6: hoc opus excerpens dignum componere duxi aptum gestanti forma breviore libellum). Il miglior riconoscimento che il contenuto scientifico-didascalico del poema rifletteva in modo integrale quello del lapidario di Damigerone ed Evace si ricava chiaramente proprio dal fatto che durante tutto il Medioevo il poema stesso fu spesso indicato come l'Evax, trascurandone l'autore effettivo (Riddle, 1977: pp. 34-92). CosõÁ fa, proprio, Alberto Magno, che eÁ la massima fonte del Vasolo. Delle 28 gemme descritte in dettaglio dal Vasolo, 18 si ritrovano nel poema di Marbodo (tab. I), sia pure con qualche significativa modifica nell'ortografia che lascia pensare che il Vasolo avesse una consuetudine orale con le gemme che stava descrivendo, piuÁ che volesse farne l'italianizzazione pedissequa derivandole da un testo latino che aveva sotto gli occhi(25). Questa mia opinione eÁ confortata dal fatto che le 13 residue pietre citate dal Vasolo hanno tutte nomi o italianissimi (e.g., aquilina, granata, rubino, smeraldo, spinella) o di derivazione rinviabile ad una forma araba piuÁ o meno italianizzata (e.g., ambra, lapislazoro, torchina) oppure sono favolose (e.g., dragonite) o addirittura inventate quando non pesantemente storpiate (e.g., largate). Si tratta, dunque, di novitaÁ linguistiche introdottesi nella pratica delle gemme dopo la composizione del poema, che Marbodo aveva scritto almeno mezzo secolo prima che dalla Spagna cominciassero ad arrivare in Francia le traduzioni dall'arabo, quindi sulla base, essenzialmente, della cultura di lingua latina trasmessasi durante l'alto Medioevo. cessoÁ di comporre poesie laiche perche era stato nominato vescovo, e probabilmente nel periodo compreso tra 1061 e 1081 quando era maestro di scuola ad Angers, fu talmente diffuso durante tutto il basso Medioevo da essere citato non solo come l'Evax, dalla parola con cui inizia (v. 1), ma anche come il Lapidarius per antonomasia. Il suo ruolo nella tradizione lapidaria e gemmologica eÁ attestato dal grandissimo numero di manoscritti che ci sono pervenuti (almeno 125: Riddle, 1977: pp. 131-135) ed inoltre dal fatto che ebbe traduzioni nei volgari europei piuÁ svariati: francese antico, anzitutto, e poi normanno, provenzale, castigliano, fiorentino, irlandese, danese e ebraico (Zettersten, 1968: p. 12). Durante il Rinascimento il poema di Marbodo decadde peroÁ d'importanza, soprattutto dopo la ripresa umanistica del grande trattato di Plinio, tanto che la sua prima edizione a stampa eÁ solo del 1511 (Wiemann, 1983). (25) Esiste un volgarizzamento italiano, anzi fiorentino, del testo di «Evace» (in altre parole: del poema di Marbodo, vedi sopra), in prosa ed incompleto, perche contiene solo 23 delle 60 pietre ivi descritte, dopo averle elencate tutte nell'indice. Esso eÁ attribuito a Zucchero Bencivenni, un notaio molto attivo all'inizio del Trecento nella traduzione di testi scientifici. Il codice miscellaneo che lo contiene, dell'inizio del XVII secolo (Narducci, 1869: p. 122), eÁ conservato nella Biblioteca Vaticana (Vaticanus reginensis 1316). EÁ, quindi, localizzato in Roma, ma eÁ improbabile che fosse conosciuto dal Vasolo ± non foss'altro se non perche colei che ve lo portoÁ, la regina Cristina di Svezia, costituõÁ la sua raccolta oltre tre quarti di secolo piuÁ tardi. Tuttavia, l'ortografia dei nomi delle pietre citate eÁ praticamente la stessa. Non credo che il Vasolo conoscesse L'Intelligenza, un poemetto della fine del Duecento contenente ben 42 stanze (16-58) che sono la traduzione in un ottimo fiorentino di quasi tutto il poema di Marbodo (59 delle 60 pietre): la riscoperta del codice Magliabechiano VII 1035 che la contiene eÁ solo della metaÁ dell'Ottocento. Non sono in grado di valutare, invece, se il Vasolo potesse conoscere il volgarizzamento di un testo in prosa attribuito a Marbodo (Finzi, 1890) che rappresenta un'epitome del suo poema (Riddle, 1977: pp. 122-125). 32 A. MOTTANA Questa si basava non solamente sul lapidario di Damigerone ed Evace (che peroÁ era stato interpolato in qualche punto con nozioni tratte da Dioscoride e da alcuni autori arabi primitivi, tradotti da Costantino Africano a beneficio della nascente scuola salernitana: cf. Halleux, 1974: p. 346), ma anche sul libro XXXVII del Naturalis historia di Plinio. Questo trattato non fu mai perso nella tradizione manoscritta, ma fu sempre piuttosto raro a causa delle sue dimensioni ed era stato, percioÁ, per lo piuÁ sostituito da tarde epitomi quali sono i Collectanea rerum memorabilium di Solino (Roma, III-IV secolo AD) e gli Etymologiarum libri sive origines di Isidoro (Cartagena, ca. 570 ± Siviglia, 636), il cui libro XVI eÁ interamente dedicato a pietre e metalli(26). Non trascureroÁ, inoltre, di aggiungere al confronto alcuni testi della tarda latinitaÁ che possono aver influito sul trasmettere informazioni mediche sulle pietre, ma considero il loro contributo del tutto occasionale e certamente minore: Marbodo eÁ esplicito nell'asseverare (v. 5) che il suo poema eÁ l'epitome in versi dall'Evax, cioeÁ dal lapidario di Damigerone ed Evace. Il trattatello del Vasolo rispecchia in buona misura l'impostazione data da Marbodo al suo poema per cioÁ che concerne i contenuti. In questo campo, dunque, egli non innova in nulla, ma si fa portavoce di una lunga tradizione. Come, infatti, ha esaurientemente dimostrato e affermato il Riddle (1977: p. X), il poema di Marbodo divenne estremamente popolare durante il Medioevo proprio perche fu visto come una guida pratica alla medicina, basata sui poteri misteriosi delle pietre e non sui farmaci prescritti dai dulcamara dell'epoca: atteggiamento, questo, che eÁ proprio quello assunto dal Vasolo. In ogni caso, la fonte principale del Vasolo, ed anche quella che ci permetteraÁ le verifiche piuÁ sicure, non eÁ Marbodo, ma Alberto Magno (Lauingen, ca. 1193/1206 ± Colonia, 1280), il massimo cultore medievale di Mineralogia, anzi il primo a riprendere gli studi in questo campo quindici secoli dopo Teofrasto (Ereso, ca. 371 ± Atene, ca. 287 a.C.) e a stenderne un trattato che aveva una certa base di scientificitaÁ (Halleux, 1985: p. VII). Vasolo lo cita tre volte (per ambra, oftalmia e smeragdo), ma potrebbe citarlo molte volte di piuÁ, se lo volesse, poiche ± in effetti ± sono frequenti i dati che, dimostrabilmente, egli trae dal De mineralibus. Il libro II, trattato II, di questo libro eÁ interamente dedicato ai poteri e alla descrizione delle pietre preziose (Wyckoff, 1967: pp. 55-126), elencate secondo l'ordine alfabetico del nome latino, secondo un uso invalso durante tutto il Medioevo ad imitazione di Isidoro. CioÁ che risulta chiaro, peroÁ, eÁ che la dipendenza del Vasolo da Alberto non riguarda ne l'ordine espositivo ne le proprietaÁ fisiche, ma la descrizione delle facoltaÁ delle singole gemme che hanno attinenza con la Medicina, anche se in vari casi egli si discosta dalla fonte o non la recepisce se non in parte. Essendo mutati i tempi, o forse piuttosto perche non riteneva vantaggioso seguire un criterio rigoroso nell'illustrare la materia alla sua viceregale dedicataria, egli evita di copiare il rigido ordine alfabetico di Alberto e segue piuttosto un metodo misto, che rispecchia in parte quello di (26) Nel riferirmi agli autori che il Vasolo usa come fonti, riporteroÁ solo la prima volta il nome dell'opera, per poi citare di essa solo il libro (con numero latino) e il paragrafo (con numero in arabo) o, nel caso, il verso. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 33 Plinio, in parte quello di Marbodo, e in parte ± perfino ± un criterio di valutazione economica (prima di tutti: diamante, rubino, zaffiro e smeraldo, cioeÁ le quattro gemme fondamentali) che eÁ non solo tipico del suo tempo (cf. Cellini, [1568] 2002: p. 43), ma che si mantiene pari pari anche ora. EÁ, dunque, solo nel contenuto, vale a dire nelle facoltaÁ terapeutiche che egli attribuisce alle pietre preziose, comunque descritte, che si conferma la buona conoscenza che il Vasolo doveva avere dell'opera di Alberto Magno, pur commista con talune nozioni che gli venivano da Marbodo ed altri e che ± anticipiamolo ora, rispetto all'esame analitico che seguiraÁ ± erano anche basate su opinioni e pregiudizi suoi personali oppure provenienti da altre fonti non identificate(27). Lessico. Prima di approfondire l'esame del materiale descritto dal Vasolo, che avraÁ come conseguenza anche l'identificazione delle singole gemme in termini scientifici moderni, desidero commentare brevemente i nomi delle pietre preziose da lui usati, non perche io voglia intromettermi in questioni di carattere linguistico senza essere un filologo, ma perche cioÁ mi consente di meglio collocare il contenuto dell'operetta nel quadro evolutivo delle ancora scarse (ed in gran parte erronee se non del tutto infondate) conoscenze gemmologiche e mineralogiche del lungo periodo che intercorre tra Medioevo e Barocco. SaraÁ, infatti, solo in quest'epoca, nella seconda metaÁ del Seicento, che cominceraÁ ad individuarsi la Mineralogia come Scienza moderna, e cioÁ saraÁ possibile grazie appunto alla ripresa della tradizione antica effettuatasi durante il primo Rinascimento e alla sua rimeditazione alla luce anche delle nuove esperienze effettuate durante il tardo Rinascimento. Se verifichiamo i nomi di pietre usati dal Vasolo confrontandoli con quelli attestati precedentemente nella lingua italiana(28), non notiamo differenze sostanziali per molti di (27) Oppure non identificabili, perche potrebbero essere convinzioni popolari tramandatesi in maniera casuale e per tradizione orale. Per l'identificazione delle possibili fonti alternative piuÁ antiche mi sono basato su un criterio empirico: ho verificato il contenuto, oltre che di Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XXXVII: Conte et al., 1988), di alcuni altri autori che da lui dipendono come Solino, Isidoro, Beda e Rabano Mauro: tutti nella Patrologia latina del Migne (1844-64) che eÁ ora disponibile in rete. Per quelli piuÁ antichi mi sono avvalso anche della traduzione commentata della Bianco (1992). Non riportati da questa, inoltre, ho compulsato attentamente il Physiologus (von Steiger e Homburger, 1964; Zambon, 1975) e i Cyranides (Kaimakis, 1976), che considero importanti trasmettitori della dottrina magico-medica alessandrina. Per il periodo tra Marbodo e Alberto, ho compulsato direttamente i trattati di Ildegarda (nella Patrologia latina, c.s.) e dello Pseudo-Aristotele (Ruska, 1912): solo per una verifica, peroÁ, poiche la parte principale delle informazioni era giaÁ stata compilata dalla Friess (1980). Per il periodo successivo, mi sono limitato ad opere edite: Leonardi (1502), Agricola (1546) e Dolce (1565). Il problema del significato magico, mistico e medico delle gemme ha visto affannarsi numerosi, importanti esperti di scienza e civiltaÁ medievale, spesso di estrazione e di indirizzo divergente. Cito, tra tutti, il Thorndike (1923-62) e il BaltrusÏaitis (19933), agli approfonditi ed estesissimi studi dei quali mi sono sempre riferito, anche se spesso non li ho citati puntigliosamente. (28) Mi avvalgo per questo del DELI, Dizionario etimologico della lingua italiana, di Cortelazzo e Zolli (1979-88, 19917), non senza averlo fatto precedere (come giaÁ in un caso precedente: Mottana, 1999: p. 140, n. 9) da un accuratissimo esame in rete della banca dati del TLIO (CNR - Opera del Vocabolario Italiano - Tesoro della Lingua Italiana delle Origini), purtroppo limitato sia nell'avanzamento (fino alla lettera D) sia nel periodo 34 A. MOTTANA loro, ma solo notevoli incertezze nella grafia che non ne compromettono in ogni caso l'identificazione e/o la collocazione nel tempo. Delle 31 gemme citate, infatti, tutte meno tre erano state giaÁ menzionate e descritte da qualche scrittore precedente(29). L'innovazione di gran lunga piuÁ cospicua eÁ la «largate» (c. 12r), il cui nome, probabilmente, eÁ un'invenzione del Vasolo originatosi per un suo fraintendimento di una fonte scritta, come appare anche dall'incongruo uso che egli fa, nel titolo del capoverso che descrive la pietra, di tre «l» una dopo l'altra. Gli altri due nomi che, pur essendo di gemme tuttora accettate, non trovano riscontro nelle fonti citate dal Vasolo sono lapislazoro e spinella. Non si tratta di minerali nuovi, perche entrambi erano noti ai greci e ai romani antichi, ma piuttosto nomi del tutto nuovi, diversissimi dai loro corrispondenti classici. Il motivo per cui essi erano stati introdotti nel lessico sta nel fatto che era progredita la capacitaÁ di differenziare tra minerali d'aspetto simile riconoscendoli diversi nelle loro proprietaÁ fisiche: un cambiamento di paradigma, secondo la terminologia di Kuhn (1962). EÁ cosõÁ che, dal complesso dei minerali azzurri per i quali greci e romani disponevano del nome ky*anoQ / cyanos, si differenzioÁ prima la «torchina» (= turchese), giaÁ nota ad Alberto, poi il lapislazoro (o lapislazzuli, come si usa ora e come giaÁ usava Zucchero Bencivenni all'inizio del XIV secolo), poi l'azzurrite (nel XIX secolo, per una semplificazione introdotta da F.S. Beudant del nome del sale «azzurro di rame» prodotto sinteticamente, cf. Clark, 1993: p. 52). Questa innovazione del lessico richiese, dunque, almeno 500 anni per essere accettata da tutti. Analogamente, tra l'insieme di minerali rossi chiamati a>nuraj / carbunculus dagli antichi, furono identificati con procedure appropriate e diverse tra loro prima il granato, poi il rubino e infine lo spinello (Harden, 1960), di volta in volta comportando innovazioni lessicali che, anche per questi materiali, si protrassero su quasi mezzo millennio(30). A cioÁ contribuirono sicuramente le scoperte scientifiche arabe(31), almeno nella fase iniziale di rinascita della Scienza in Europa (il «rinascimento preso in esame, che va dalle origini della lingua alla morte del Boccaccio. Non ho avuto modo, invece, di esaminare il LEI, Lessico etimologico italiano, ora in preparazione a Monaco di Baviera da parte di Max Pfister. Molto utile, inoltre, si eÁ rivelato il trattato della Goltz (1972). (29) In particolare, 17 dei nomi sono riferibili al volgarizzamento in prosa del poema di Marbodo eseguito da Zucchero Bencivenni (Narducci, 1869: pp. 310-311) e trovano conferma nel poemetto L'intelligenza che, a parere di molti, sarebbe l'immediato derivato di questo (Petronio, 1951: p. 38). (30) In realtaÁ, l'innovazione lessicale non puoÁ dirsi ancora conclusa: granato eÁ ora il nome di un gruppo che comprende almeno 20 specie chimicamente distinte, anche se strutturalmente simili, ciascuna delle quali ha un suo nome. Parimenti, spinello eÁ anche il nome di un gruppo comprendente 23 specie, di cui lo spinello p.d. eÁ il denominatore comune perche eÁ stata la prima specie identificata. La sola semplificazione che oltre 400 anni di ricerca mineralogica ha portato al lessico riguarda il «rubino»: non eÁ una specie a se stante, ma semplicemente una varietaÁ rossa della specie corindone (un minerale relativamente comune, anche se non comunissimo) che deve il suo colore alla presenza di cromo nella struttura, in quantitaÁ tale, peroÁ da non ingenerare una distinzione precisa nel chimismo. (31) Per citare solo un esempio, relativo appunto ai minerali rossi: le prime misure di peso specifico notevolmente precise effettuate prima da al-KindõÅ (Ya'quÅb ibn Ishaq: ca. 796 ± 873) e poi da al-BõÅruÅnõÅ (AbuÅ 'lRayhaÅn Muhammad ibn Ahmad: ca. 973 ± 1048), inventore di una «bilancia della saggezza» capace di determinazioni alla seconda decimale (Mieli, 1938: p. 101), avevano distinto in forma quantitativa e quindi su Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 35 del XII secolo» di Haskins, 1927). Non eÁ un caso, infatti, se nel lessico mineralogico odierno (e ancor piuÁ nei numerosi sinonimi abbandonati) parecchi nomi sono di derivazione araba (e.g., azzurrite) o mista latino-araba (e.g., lapislazzuli) oppure richiamano nel nome una provenienza dall'oriente (e.g., turchese). ANALISI DELLE SINGOLE PIETRE AnalizzeroÁ le pietre (preziose o semi-preziose che siano) nell'ordine in cui le elenca il Vasolo, essenzialmente perche cosõÁ vengono evitate ripetizioni. Nella tabella I, invece, le stesse pietre sono elencate secondo l'ordine alfabetico, facendo seguire a ciascuna il numero d'ordine in cui eÁ descritta nel testo, cosõÁ da renderne facile il reperimento e quindi la consultazione di questa sezione. Nell'analisi cercheroÁ di seguire un'esposizione omogenea, se non costante: anzitutto una succinta parafrasi in termini moderni del detto del Vasolo, poi l'identificazione della pietra (ove possibile) e infine l'identificazione delle fonti tra quelle dichiarate da lui, in primo luogo, ma anche tra quelle non dichiarate e contemporanee, prima di doversi arrendere ed ammettere che egli daÁ il contributo di un qualcosa di inedito o di nuovo. 1. Diamante. EÁ descritto come trasparente, duro, potente e incombustibile(32): tutti caratteri ripresi dalla tradizione (Marbodo(33): fulgentem, durities, nulloque domabilis igne, vv. 26-29; Alberto Magno: II, II.1) che, per quanto propri del diamante vero, non sono abbastanza diagnostici per fare escludere la possibilitaÁ che altre gemme incolori, trasparenti e quasi altrettanto dure (come corindone e zircone) venissero allora gabellate per diamante. In piuÁ, il diamante eÁ anche qualificato come «forte»: termine questo che non si ritrova in Marbodo (a meno che non lo si faccia corrispondere al suo ferrum contemnens: v. 29), ma eÁ presente nel De mineralibus di Alberto, laÁ dove si riferisce la falsa credenza che il diamante possa essere martellato sull'incudine senza rompersi, ed anzi vada ad incastrandosi profondamente nel ferro di essa. Il Vasolo passa poi a due raccomandazioni di tipo magico, che ricava in parte proprio da una base scientificamente inoppugnabile che, anche se simili nel colore, i tre minerali sono troppo diversi per poter essere riportati ad un'unica specie. CioÁ era perfettamente noto a quel grande precursore della migliore Gemmologia come fu at-TõÅfaÅsÏõÅ (Shihab al-Din Abul Abbas Ahmad ibn Yusuf: TõÅfaÅsÏ, 1184 ± Cairo, 1253), il cui libro, peroÁ, divenne noto in Europa solo nel XVIII secolo. (32) Che il diamante ad alta temperatura in aria volatizzi interamente eÁ una scoperta sperimentale di Giuseppe Averani e Cipriano Targioni posteriore al Vasolo di oltre un secolo (1694). Essi si avvalsero, per bruciare la gemma, del calore solare concentrato da uno specchio ustorio. La dimostrazione sperimentale che si tratta di carbonio puro si deve a Louis-Bernard Guyton de Marveau (1799), dopo che giaÁ Smithson Tennant (1797) aveva verificato che la sua combustione comportava un consumo equivalente doppio d'ossigeno. (33) In questa e nelle future citazioni uso il termine latino presente nella fonte che eÁ il piuÁ possibile corrispondente a quello ripreso dal Vasolo, quindi indipendentemente dal suo essere astratto o concreto, dal genere o caso. 36 A. MOTTANA Alberto: il diamante va portato a sinistra (legato al braccio(34), oppure, meglio, incastonato in un anello, visto che eÁ piuttosto piccolo(35)) per essere efficace contro i nemici e contro le bestie feroci. Di suo il Vasolo aggiunge che, contro gli animali feroci, sono senz'altro piuÁ efficaci tre diamanti cuciti nel cappello, specie se combinati con un altro portato al petto. A queste credenze di stampo magico egli fa seguire varie prescrizioni di carattere medico che non trovano riscontro ne in Marbodo ne in Alberto: un diamante privo di punta (anzi ± meglio ± cosõÁ spuntato da apparire tondo), se ingerito, scaccia il veleno (Marbodo ha «atra venena fugat», v. 46, ma non precisa la forma che la pietra deve avere) e fa recuperare la buona digestione; addirittura, se inghiottito regolarmente ogni autunno, migliora sensibilmente lo stato di salute, allontanando la morte per «etisia» (che qui non eÁ la tubercolosi, ma uno stato di profonda debolezza dovuta a carenze alimentari) perche costringe le tenie a staccarsi dall'intestino in cui sono annidate. Qui il Vasolo ritiene opportuno chiamare a testimoni dei mercanti che ne fecero la prova su se medesimi in oriente, su consiglio di una vecchia mora. Precisa, anche, che il diamante deve essere inghiottito intero, poiche se eÁ polverizzato diventa esso stesso un veleno micidiale per l'uomo: nozione corretta, questa, poiche l'attrito dei frammenti a spigoli vivi lacererebbe stomaco ed intestino, ma nozione antica e, poco tempo prima, confermata dalle esperienze della scuola medico-chimica di Paracelso (Multhauf, 1954). Stranamente, il Vasolo non riferisce due altre «virtuÁ» attribuite al diamante da Alberto, che le aveva mutuate probabilmente da Plinio (XXXVII, 61): di proteggere dalle dispute e dall'insania e di allontanare fantasmi e incubi notturni. Non trasmette neppure la convinzione (che Alberto doverosamente riporta, probabilmente per una confusione con «aimant» - il nome francese antico del magnete, ma che considera egli stesso infondata) che il diamante attrarrebbe il ferro: all'epoca del Vasolo doveva essere giaÁ completamente acquisito che non ci sono rapporti di sorta tra la nera calamita e la gemma limpida e trasparente. Dall'esame del testo, appare evidente che le fonti dichiarate non sono le uniche da cui il Vasolo trasse le sue informazioni, ed in particolare non sono neppure le fonti principali delle sue indicazioni di carattere medico, che ± per sua stessa affermazione ± sono quelle piuÁ importanti del trattatello e la ragione stessa della sua composizione. In parte, queste (34) Nelle superstizioni medievali relative alle facoltaÁ delle pietre, non era indifferente se esse erano portate legate in metallo in un gioiello, oppure cucite sull'abito oppure sospese semplicemente ad un filo, a destra o a sinistra (BaltrusÏaitis, 19933: p. 56). Il Vasolo riprende queste superstizioni da Alberto Magno (II, III.6), ma questi, a sua volta, si rifaceva a testi piu Á antichi, per lo piuÁ d'origine araba oppure rielaborati da arabi a partire da testi greci in parte mistificati. Famoso, tra questi, fu il cosiddetto «Lapidario d'Aristotele» (Liber mineralium), un apocrifo del IX secolo scritto probabilmente in Egitto e scomparso nella versione araba, ma che ebbe una diffusione talmente vasta in Europa da conservarsi in una traduzione latina che eÁ arrivata fino a noi ben prima che fossero rinvenuti alcuni minimi frammenti dell'originale (Ruska, 1912; Klein-Franke, 1970). (35) Col valore indicato dal Vasolo (un denaro, cioeÁ un ducato) si poteva acquistare, all'epoca, un diamante da pochi grani, se prendiamo come unitaÁ di riferimento quanto indicato da Benvenuto Cellini ([1568] 2002: p. 86). Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 37 nozioni potrebbero anche essere derivate da una semplice trasmissione orale, oppure sono riconducibili ad altra fonte, non dichiarata dal Vasolo forse proprio perche recentissima e in italiano: il trattato Delle diverse sorti delle Gemme che produce la Natura di Lodovico Dolce (Venezia, 1508-1568), stampato nel 1565. Se prendiamo infatti il capoverso dedicato da questi allo «Adamante, cioeÁ Diamante» (libro II, cap. VI, carte 28v - 29r), dopo una descrizione delle proprietaÁ e dei tipi derivata da Plinio (che il Vasolo non riprende), troviamo scritto: «I Diamanti di tutte queste sorti hanno virtuÁ di scacciare il veleno: e con tutto cio esso bevendosi eÁ mortal veleno. Resiste all'arte de' venefici, e rimove le vane paure. Fa che si vincano le risse, e le questioni. Giova a Lunatici, e a indemoniati. Portandosi legato al sinistro braccio, fa l'huomo vincitore. Humilia le indomite bestie. EÁ contra le fantasme, e i terrori della notte. Fa anco chi lo porta ardito e virtuoso ne i maneggi di qualunque cosa». Il Vasolo sostanzialmente eÁ in linea con quanto scritto dal Dolce(36), anche se daÁ piuÁ indicazioni, in certi punti ancor piuÁ dettagliate, che riflettono ± appunto ± credenze popolari arrivategli, forse, da una «vecchia mora» pavese. 2. Rubino. L'unica proprietaÁ fisica ricordata dal Vasolo eÁ la durezza, che sarebbe seconda solo a quella del diamante. Questo effettivamente eÁ il caso per il corindone, sia esso rosso o d'altro colore. Non eÁ peroÁ vero che un riscaldamento lo rammollisca: il punto di fusione del corindone eÁ talmente elevato (2050 ëC) da renderlo inattaccabile al miglior fuoco che poteva essere prodotto all'epoca! NeÂ, d'altra parte, sono stati osservati cambiamenti di colore riscaldando rubini al rosso. CioÁ che effettivamente avviene eÁ che, riscaldando il corindone naturale, si incentiva la latente partizione secondo la base e quindi si indebolisce la compattezza dell'insieme. Durezza e partizione sono due proprietaÁ, assieme alla densitaÁ, che permettono di distinguere il rubino dal granato e dallo spinello: una distinzione giaÁ operata dagli Arabi nel IX secolo e rimasta ignota a Marbodo (che del carbunculus riporta solo la nozione inesatta del preteso rifulgere anche al buio, forse confondendolo con l'antracite), ma non piuÁ ad Alberto, che scrive due secoli dopo, quando la Scienza araba aveva penetrato la societaÁ europea e soprattutto l'universitaÁ di Parigi, dove lui stesso aveva insegnato. Egli, quindi, non solo puoÁ citare i nomi latino e greco della pietra, ma anche usare il neologismo rubinus che descrive come limpido, rosso e duro (II, II.3). PeroÁ tramanda anche pregiudizi antichi quando sostiene (con sicumera, perche afferma d'averlo visto!) che brilla al buio come un carbone, se eÁ di buona qualitaÁ, mentre ancora brilla contro un fondo scuro, ma solo quando eÁ spruzzato con acqua, se eÁ di qualitaÁ (36) Il trattato del Dolce eÁ un volgare plagio perche traduce alla lettera lo Speculum lapidum del Leonardi (Pesaro, fl. 1480-1510) pubblicato a Venezia nel 1502, senza citarne l'autore ed anzi cercando di farsi passare lui stesso per tale. Tuttavia, questa traduzione eÁ molto importante nella storia della lingua, giacche ha il vantaggio di offrirci il piuÁ completo spettro di terminologia gemmologica italiana del Cinquecento, molto piuÁ ampio di quello riportato nella traduzione anonima del De natura fossilium di Giorgio Agricola pubblicata a Venezia nel 1550. In effetti, il Leonardi si era impegnato a collazionare tutto lo scibile sulle gemme esistente alla sua epoca, mentre l'Agricola citava le gemme in un modo piuttosto riassuntivo, riconducendole all'interno del piuÁ vasto quadro del regno minerale. 38 A. MOTTANA inferiore. Alla fine, tuttavia, Alberto accetta come genuini solo tre degli undici tipi di carbunculus citati da Marbodo(37): balagius, granatus e rubinus, confermando cosõÁ che alla sua epoca, mentre col nome di carbunculus si intendevano ancora, genericamente, tutte le pietre rosse, giaÁ si distinguevano nettamente tra loro le tre specie piuÁ significative. Alberto asserisce anche che, secondo la voce comune, il carbunculus ha in se piuÁ «virtuÁ» di tutte le altre pietre, e come principale cita quella di dissipare i veleni presenti nell'aria e nel vapore. Il Vasolo non ricava ne da Marbodo ne da Alberto Magno le «infinite» facoltaÁ fantastiche che attribuisce al rubino, tra cui che, portato alla mano destra, conforterebbe l'uomo e lo renderebbe amato da tutti pur senza sforzo da parte sua; e poi, che giovarebbe contro l'idiozia(38) e per la vista, se portato oltre che al dito anche al petto. Di nuovo, non tutte le facoltaÁ elencate dal Vasolo si trovano nelle fonti dichiarate da lui, ma piuttosto nel Dolce. Nel trattato di questi, alla voce «Carbonchio» (II, VI, carte 35r-35v) con la quale egli traduce il carbunculus del Leonardi, dopo una descrizione dei tipi e delle provenienze e dopo una precisa suddivisione nei tipi principali (Robino, Balasso, Spinella, Granata) ± tutte informazioni che il Vasolo non riprende ± si legge che «le forze del carbonchio sono di sgombrar l'aere pestilente e velenoso, acchetar la lussuria ... accorda le liti degli amici». Ancora una volta, queste brevi parole servono di completamento, ma non bastano a spiegare tutto cioÁ che il Vasolo riporta, anche se in questo caso non si tratta di ricette mediche, ma di virtuÁ magiche attribuite alla pietra. 3. Zaffiro. Di questa gemma il Vasolo non daÁ nessuna proprietaÁ fisica e neppure una descrizione esteriore, ma solo una lista di «virtuÁ» piuÁ o meno fantasiose: farebbe star lontani dalla guerra e vivere in pace, tranquilli, sani ed allegri; indurrebbe tutti alla castitaÁ e, in particolare, favorirebbe purezza e devozione verso Dio nelle persone sposate. Non sono facoltaÁ di rilevanza farmaceutica, quanto piuttosto relative allo stato d'animo, cioeÁ alla tranquillitaÁ psichica. Marbodo, invece, si dilungava (vv. 103-128) in una descrizione molto piuÁ ampia sia dell'aspetto, sia delle origini, sia delle «virtuÁ» del sapphirus, che il lapidario di Damigerone ed Evace, che eÁ la sua fonte, considerava la pietra con le maggiori «virtuÁ», sia se portata addosso sia se sciolta nel latte sia se usata come talismano (Halleux e Schamp, 1985: p. 250). Marbodo, in realtaÁ, non lascia mai chiaramente intendere se la sua lista di facoltaÁ si riferisca al lapislazzuli (come nell'antichitaÁ: cf. Plinio XXXVII, 119) oppure al corindone azzurro (come ora), che in qualche modo doveva essergli noto. Alberto, invece, eÁ ancora piuÁ vago, poiche cerca di conciliare le proprietaÁ che trovava descritte dagli antichi per il loro zaffiro di provenienza orientale (sicuramente il lapislazzuli, quindi, che egli pone in relazione anche con la pietra che Isidoro chiamava sirtites) con quelle che poteva verificare nella pietra azzurra (il primo zaffiro europeo) che era stata da poco (37) Che qui egli chiama Evace e che cita male, perche il poema menziona non 11, ma 12 pietre rosse. (38) Il Vasolo chiama questa malattia del cervello, che egli definisce «umida» con un indiretto richiamo alle teorie galeniche (ma che si eÁ perpetuato nel linguaggio comune fino ad oggi: «hai l'acqua nel cervello!»), col nome «Mazzucco», che io non ho riscontrato in nessun vocabolario. Per conseguenza, ne ho chiesto informazioni a conoscitori del dialetto pavese: «mazuÁc» eÁ il termine bonario con cui si chiama ora uno zuccone, uno sciocco, un tardo di mente. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 39 scoperta in una miniera sotterranea dell'Alvernia (in hypodromo apud thodanum provinciae regionem et civitatem: II, II.17(39)). EÁ Alberto che afferma che lo zaffiro libera l'uomo dal sospetto (II, III.6), lo induce alla castitaÁ reffreddando i calori interni e aiutandolo a rifiutare amori illegittimi, ed inoltre lo rende pacifico e devoto. Egli mutua queste ultime facoltaÁ, che hanno una valenza quasi religiosa, probabilmente dal lapidario di Ildegarda, badessa di Bingen (Bockelheim, 1098 - Bingen, 1179)(40), la quale peroÁ precisa che la pietra eÁ efficace solo se il portatore non eÁ un peccatore incallito, ma solo un lapsus (6). Le affermazioni di Alberto sono seguite quasi alla lettera non solo dal Vasolo, ma anche dal Dolce (II, VI.60). 4 (+ 15). Smeraldo. Il trattatello riserva a questa pietra un trattamento strano, esitante e unico, come se il Vasolo non sapesse che pesci pigliare di fronte a notizie discordanti che trovava nelle sue fonti su un argomento per lui sconosciuto. Alla voce «smeraldo» (c. 5r), comunica poche informazioni sull'aspetto fisico della gemma, tutte corrette e rispondenti alle descrizioni di Plinio (XXXVII, 62) e di Solino, per quanto vaghe esse siano: lo smeraldo eÁ verde vivace, accattivante alla vista, rasserenante lo spirito disponendo alla giovialitaÁ ed eÁ utile per le malattie degli occhi. PiuÁ oltre, alla voce «smeragdo» (c. 8v), aggiunge invece altre notizie estratte dalla tradizione magica, come il suo trovarsi nel nido dei grifoni e il suo (39) L'affermazione eÁ molto imprecisa: la regione e cittaÁ chiamate thodanum sono un errore, forse dell'amanuense, per podium (= Puy), mentre provinciae indicherebbe la Provenza, nel cui effimero marchesato d'allora rientrava anche una parte dell'Alvernia. Quindi il passo si deve leggere: «in uno scavo in galleria presso la cittaÁ e regione di Puy in Provenza». La localitaÁ esatta potrebbe essere Le Puy de Notre Dame oppure, piuÁ probabilmente, Le Puy en Velay, com'eÁ precisato in un lapidario anglo-normanno in prosa compilato verso la fine del XIII secolo combinando quello di Marbodo con informazioni di vari autori (Studer e Evans, 1924: pp. 140-141). Numerosi riferimenti ai safilii de Podio, diversi e ben distinti anche per valore dai safilii orientali (sic!), si trovano in un documento genovese del 1253, stilato quando fu data in pegno e poi dispersa l'ingente collezione di gemme degli imperatori svevi (Byrne, 1935: p. 180, n. 1). Le rocce dell'Alvernia in cui si trovano tuttora granuli di corindoni azzurri sono tufi, piroclastiti e argilliti pirometamorfosate dal contatto delle lave basaltiche che hanno formato i puys. La localitaÁ d'estrazione piuÁ importante di questi zaffiri era, in passato, il Riou Pezzouliou, nel Velay vicino ad Espaly, nelle cui sabbie e ghiaie furono trovati corindoni verdi e azzurri arrotondati e corrosi fino a 3 cm di lato, associati a zirconi (Faujas de Saint-Fond, 1778). In una localitaÁ vicina (Manet, nel Cantal) nel Settecento furono rinvenuti cristalli addirittura di 5 cm, ma macchiati di bianco e non interamente azzurri. Altre localitaÁ in cui si trovano, tuttora, rari zaffiri sono il Ravin de ThynieÁres, vicino a Baulieu nel Puy de DoÃme, e Pontvieux vicino a Singles. (40) Questa monaca tedesca eÁ, se non la fondatrice, certo la maggiore rappresentante e la garante presso la chiesa del suo tempo di quella pratica medica che va ora sotto il nome di Cristalloterapia o Litoterapia (Creutz, 1931) e alla quale non si attribuisce piuÁ nessun fondamento scientifico, ma che tuttora gode di una fiducia superstiziosa da parte di molti, anche se eÁ meno diffusa di quanto non sia la credenza negli oroscopi. Il suo Liber de lapidibus (quarto libro della raccolta di scritti intitolata Physica, databile ca. 1150) eÁ interamente dedicato ad analizzare le facoltaÁ medicamentose di 25 pietre: da smeraldo a calce, in un ordine che a me sembra casuale. Contiene una serie di suggerimenti e ricette che non sono presenti nel lapidario di Marbodo ed inoltre quasi per ogni pietra e conseguente ricetta eÁ suggerito anche un idoneo scongiuro. Tutto cioÁ rappresenta un'innovazione rispetto alla tradizione greco-romana di cui si fa tramite Marbodo, che si limitava agli amuleti e ai talismani, e ci fornisce informazioni che, seppure poco interessanti la Mineralogia, sono importanti per cercare di capire l'ancora ben poco studiata psicologia germanica, spesso fosca e sempre nebulosa. 40 A. MOTTANA favorire lo sviluppo mentale e psichico di chi lo porta. In questo secondo contesto il Vasolo ci fornisce due informazioni di diversa fondatezza: descrive lo «smeragdo» come pietra piana, limpida e lucente, come effettivamente eÁ (41), ma, per converso, gli attribuisce un odore di «foino», vale a dire sgradevolmente acre(42), quando invece questa gemma non emette nessun odore. Le informazioni sullo «smeragdo» che derivano da Marbodo sono quelle che riguardano i grifoni (v. 141), la forma a tavola appiattita (strata superficies: v. 145) e il favorire la memoria e le capacitaÁ divinatorie (v. 151). Tutte sono confermate da Alberto (II, II.17), che ne aggiunge una sua sulla presunta propensione della pietra a ostacolare la lascivia, richiamando il caso che sarebbe accaduto a un re d'Ungheria suo contemporaneo: lo smeraldo che portava al dito si ruppe in tre pezzi mentre aveva un rapporto con la moglie(43). Il Vasolo non recepisce questa curiosa notizia, per i «degni rispetti» che il decoro verso Felice Orsini gl'impone (cf. c. 5v). Stranamente, peroÁ, non recepisce neppure varie altre «virtuÁ» sanitarie attribuite da Marbodo allo smeraldo come quelle di curare la terzana e l'epilessia (vv. 154-156), tutte confermate da Alberto, che ne aggiungeva altre ancora, rifacendosi probabilmente ad Ildegarda ed allo PseudoAristotele, come quella di essere utile, inghiottito in forma di polvere, a placare tutte le malattie dell'apparato digerente. Vasolo non riferisce neppure la proprietaÁ riportata da Marbodo (vv. 159-160) che lo smeraldo si sciolga nel vino e nell'olio impartendo ai due liquidi un colore verde brillante, forse perche non eÁ confermata da Alberto. Essa eÁ comunque falsa, se applicata allo smeraldo vero; diventa invece vera se questa informazione, che eÁ rintracciabile perfino in Plinio (XXXVII, 71), va riferita alla malachite (Meadows, 1954: p. 51), una pietra verde brillante di consistenza piuttosto morbida che era anch'essa inclusa tra gli smeraldi dagli antichi e che effettivamente si scioglie nei liquidi, oltre che avere proprietaÁ antisettiche che la rendono utile per la cura degli occhi. Inoltre, la malachite puoÁ a volte emanare un odore acuto, poiche in un ambiente secco tende a disidratarsi e a trasformarsi in azzurrite. 5. Elitropia. Non eÁ, propriamente, un minerale (e quindi una gemma), ma una pietra dura: eÁ una varietaÁ di diaspro il cui calcedonio, prevalentemente di color verde brillante per la presenza di minutissime inclusioni di celadonite, eÁ qua e laÁ picchiettato di un bel rosso carminio dove le inclusioni sono di ematite (c. 5). Contrariamente a quanto afferma il Vasolo, il diaspro eliotropio non eÁ trasparente, ma traslucente, e solo quando eÁ sottile. Dopo la succinta descrizione dei caratteri esteriori, il Vasolo passa ad attribuire alla pietra le facoltaÁ magico-terapeutiche: portata al mignolo sinistro (incastonata in un anello ben (41) Nel taglio a tavola lo smeraldo grezzo eÁ tagliato su due piani paralleli ad una faccia del prisma in modo di sfruttarne il piuÁ possibile l'ampiezza (che eÁ proporzionale al peso), assottigliandolo poi quel tanto che basta per evidenziarne la purezza e trasparenza. Da notare che Plinio (XXXVII, 64) parlava piuttosto di un taglio concavo e piano-concavo. (42) Ho interpretato il termine usato dal Vasolo come un altro suo regionalismo: a Pavia l'odore «de fuõÁn» indica ora sia quello di selvatico della faina, sia quello emanato dallo scolo delle acque di un letamaio. (43) L'asserzione del santo vescovo domenicano lascia perplessi: quando mai il rapporto coniugale eÁ stato considerato impuro dalla chiesa? Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 41 aderente al palmo della mano(44)) protegge dal freddo e dalle malattie da questo provocate, ravviva gli umori del corpo, aguzza l'ingegno a schivare gli eventuali inganni (unica «virtuÁ», questa, che il Vasolo deduce da Marbodo, v. 433) e, nel corso di viaggi nottetempo, evita di incorrere in infortuni corporali. L'eliotropio avrebbe anche «virtuÁ» piuÁ intime, che peroÁ il Vasolo evita di precisare per il rispetto che porta alla sua dedicataria, ma di cui esplicita almeno quella di rappacificare moglie e marito, se in lite tra loro(45). Il suo consiglio, quindi, eÁ di portarlo sempre, per poter godere di una vita lunga, sana e fortunata. Sorprende, in questo lungo capoverso, che non siano citate due eccezionali facoltaÁ attribuite all'eliotropio tanto da Marbodo (vv. 423-424) quanto da Alberto (II, II.5): di oscurare il sole (vale a dire di provocarne un'eclisse, come giaÁ creduto da Plinio: XXXVII, 165) e di far bollire l'acqua in cui eÁ immerso. Si tratta, probabilmente, di due omissioni volute poiche sono facoltaÁ che non hanno conseguenze mediche. Se questo eÁ davvero il motivo dell'omissione, appare allora ancor piuÁ strano che il Vasolo non citi due altre facoltaÁ su cui le sue fonti concordano: di far cessare le perdite di sangue e di rendere invisibili (Marbodo, v. 432, 438; Alberto, II, II.5). La prima eÁ sicuramente di tipo medico ed avrebbe, quindi, dovuto interessare la viceregina, soprattutto se non eÁ corretto in venena, come invece ora si propende (Wyckoff, 1967: p. 89, n. 4), il venerea del secondo autore che eÁ riportato da alcuni manoscritti: perdite di sangue provocate da veleni sono, infatti, di gran lunga meno frequenti di quelle dovute a malattie dell'apparato genitale maschile. In Vasolo, qui, dunque, sembra ancora una volta prevalere la pruderie (i «degni rispetti»: c. 5v) sul suo intento di esaltare le facoltaÁ curative delle pietre. Oppure egli, nella sua polemica contro le pozioni derivate dalle erbe, non vuole riferire una simile proprietaÁ perche dovrebbe allora riferire anche la seconda delle due facoltaÁ suddette, dato che eÁ presente in entrambe le sue fonti: la pietra acquisirebbe questa sua eccezionale facoltaÁ, che eÁ di rendere invisibile chi la porta a tutti coloro che gli stanno vicini (subtrahit humanis oculis quemcumque gerentem), solo quando eÁ stata prima strofinata con l'erba che porta il suo stesso nome: una boragine selvatica (Heliotropium europaeum L.)(46). 6. Giacinto. Il moderno giacinto eÁ uno zircone rosso cupo, ma per il Vasolo il colore della gemma sarebbe un giallo-oro carico, simile a quello di un buon vino bianco forte come la vernaccia(47). Questa tinta, in effetti, eÁ riscontrata anche nello zircone attuale, ma (44) Interpreto cosõÁ la descrizione del Vasolo, ma ammetto di non essere ferrato in materia di chiromanzia. (45) Importante suggerimento, visto il comportamento maritale di Marcantonio Colonna! ChissaÁ se Felice Orsini ne fece poi uso in occasione della vicenda, che sarebbe boccaccesca se non avesse avuto esito cruento, del tradimento del marito con una dama di Palermo e del successivo procurato annegamento del marito di questa! (46) EÁ ben strano che il Vasolo non si sia ricordato della conferma di cioÁ che ne daÁ Dante (Inferno, XXIV. 93): sta questo forse ad indicare che la sua cultura era limitata, oppure eÁ un indice della scarsa fortuna del nostro massimo poeta nella seconda metaÁ del Cinquecento? (47) Esiste anche una vernaccia di colore rosso rubino, coltivata soprattutto nelle Marche in provincia di Macerata, ma il Vasolo eÁ tassativo nell'affermare che il «vero» giacinto ha il colore dell'oro. L'uso del vino 42 A. MOTTANA eÁ troppo rara per rendere la pietra di interesse gemmologico. La facoltaÁ che contraddistinguerebbe il giacinto eÁ di proteggere dalla peste e dagli inganni, se tocca la carne; se invece eÁ portato al braccio sinistro salverebbe dalla cancrena, mentre portato a destra, tanto al dito quanto al braccio, procaccerebbe amore da parte degli altri. Le proprietaÁ indicate dal Vasolo non corrispondono a quelle riportate dalle sue fonti. Per Marbodo, infatti, i giacinti sono di tre colori (v. 215): rispettivamente, rosso come il melograno (granati), giallo come il limone (citrini) e verde-azzurro come il mare (veneti), il primo dei quali eÁ il piuÁ bello e ricercato da chi s'intende di gemme (v. 218: granatos prefert gemmarum quisque peritus). Tutte le varietaÁ di giacinto scaccerebbero tristezza e sospetti e favorirebbero cosõÁ i viaggi in terra straniera anche dove c'eÁ pestilenza, poiche chi le indossa saprebbe sempre farsi rispettare e apprezzare, sia che le porti al collo come ciondolo (collo) sia al dito (digito) incastonato in un anello (vv. 229-232). Ancor maggiore eÁ la differenza tra il Vasolo ed Alberto, il quale (II, II.8) riduce le varietaÁ a due: celestino pallida (aquaticus) e azzurro chiara (saphirinus), anche se accenna all'esistenza di una terza varietaÁ (flavus) su cui non si sofferma(48). Alberto, invece, conferma le credenze sulle facoltaÁ magico-mediche del giacinto giaÁ riferite da Marbodo (vv. 225-228), tra cui quella, antica perche risale a Solino, di essere rinfrescante se tenuto in bocca, ma le attribuisce all'autoritaÁ del trattato De physicis ligaturis, un testo arabo del VIII secolo scritto da Costa ben Luca (propriamente Qus,taÅ ibn LuÅquÅ al-Ba'albeki al-Shami, un cristiano siro morto nel 912) parzialmente tradotto in latino da Costantino Africano (Cartagine, ca. 1010 Montecassino, 1087) e da lui rielaborato nel De gradibus: fu questo uno dei primi testi scientifici di origine araba a entrare nel giro della scienza europea per il tramite della scuola di Medicina che si stava formando a Salerno(49). 7. Granata. Marbodo non parla di questa pietra rossa, ma Alberto sõÁ (II, II.7)(50) e la considera analoga al giacinto per aspetto, ma diversa per natura e di poco valore, proprio come il Vasolo. Tutto cioÁ che segue, nel testo di questi, non trova riscontro nelle sue fonti dichiarate e in altre non dichiarate fonti contemporanee. Si tratta o di facoltaÁ generiche (far passare il mal di testa e la sonnolenza) oppure di precetti non medici e quasi dozzinali (impedire la fermentazione estiva del vino nelle botti e curare la malinconia serale come figurante eÁ molto inconsueto, anzi unico, nel topos letterario relativo ai colori (Barasch, 1963; cf. Peri, 2004). (48) Il significato di questo aggettivo, che in molti manoscritti eÁ scritto blavus, ha dato origine a lunghe contese tra i filologi: i piuÁ emendano, dove eÁ il caso, il termine in flavus (= giallo carico), ma altri mantengono il blavus dei manoscritti considerandolo un germanismo dell'autore (da blau = azzurro scuro: Bromehead, 194749). (49) Alberto qui sbaglia: Costantino, nel De gradibus (in Beccaria, 1956), parla di tre tipi di giacinto (rosso, citrino e verde) negli stessi termini di Marbodo. La bipartizione proposta da Alberto deriva senz'altro da un'altra fonte, cosõÁ come il possibile giacinto blu, se non si tratta di un suo errore d'identificazione. (50) Alberto Magno non eÁ il primo a citare il granato come pietra a se stante, anzi: afferma lui stesso che egli trae l'indicazione da «Aristotele», vale a dire dal giaÁ citato testo apocrifo arabo sui minerali compilato nel IX secolo (Ruska, 1912). Marbodo, pur non citando il granato come pietra a se stante, giaÁ parlava di una varietaÁ di giacinto dal colore del melograno (vedi sopra). Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 43 bevendo un brodo o un vino in cui siano disseminati dei granatini). Possono benissimo essere farina del sacco del Vasolo o riflettere tradizioni popolari da lui comunque recepite. In questo caso, peroÁ, aprono uno spiraglio su quello che doveva essere il suo livello di credulitaÁ e di acume, e non solamente in campo scientifico! 8. Spinella. EÁ descritta come pietra di colore rosso piuÁ chiaro del rubino e come capace di calmare un collerico e indurlo a operare in modo razionale: poche parole, poiche il nome non compare nelle fonti del Vasolo, essendo attestato per la prima volta nel De natura fossilium di Giorgio Agricola (Glauchau, 1494 - Chemnitz, 1555), pubblicato nel 1546 e tradotto in italiano giaÁ nel 1550. Tuttavia Alberto, primo tra gli scrittori medievali di minerali, aveva descritto (II, II.2) il balascio (balagius) in termini molto simili, pur senza affatto definirne le facoltaÁ e quindi non offrendo nessun appiglio al Vasolo. Il «rubino balascio» (notissimo quello detto «del Principe Nero» inserito nella corona reale inglese) non eÁ altro se non la varietaÁ rosso chiara e trasparente dello spinello (Clark, 1993: p. 54). 9. Agata. L'agata attuale eÁ una varietaÁ di calcedonio colorata a bande, di qualsivoglia tinta, ma per il Vasolo, che si rifaÁ a Marbodo (v. 53) e ad Alberto Magno (II, II.1), eÁ nera, traslucida e venata di bianco: corrisponde quindi al nostro onice. Non una parola sulle numerose varietaÁ distinte da Plinio sulla base delle alternanze di colore (XXXVII, 139) ne relativamente alle figurazioni individuate dagli antichi (XXXVII, 5), come pure fa Marbodo (v. 55), e neppure sul suo uso nella glittica, che la faceva considerare la pietra piuÁ idonea a incidere intagli e cammei (vv. 55-60). Non ne riprende neppure le varie facoltaÁ terapeutiche indicate dalle sue fonti, forse perche sono troppe e troppo diverse, ma si limita ad enunciarne due del tutto nuove: che mantiene lucido il cervello di chi ha bevuto piuÁ del giusto, e che protegge dalle vertigini e dalla morte improvvisa. Non ho rintracciato la fonte di queste facoltaÁ: deve peroÁ trattarsi ± almeno per quanto riguarda la prima ± di un convincimento ben radicato nel Vasolo, tanto che torna a ripeterlo nel capitolo sull'ametista. 10. Grisolito. Crisolito eÁ attualmente un sinonimo di «peridoto», una gemma che, a sua volta, eÁ una varietaÁ dell'olivina forsterite contenente una piccola quantitaÁ di ferro che la colora di verde: verde oliva, appunto! Il Vasolo la descrive correttamente, l'aggettivo «gaio» riferendo, probabilmente, la bella sensazione di luminositaÁ che la combinazione di trasparenza con lucentezza conferisce ai migliori esemplari di peridoto di qualitaÁ gemma che - ora come allora - provengono da Zabargad, un'isola del Mar Rosso presso la costa egiziana. La facoltaÁ di proteggere dal cadere in una depressione tale che puoÁ portare perfino a follia, se eÁ portata come anello o come ciondolo a contatto con la pelle, eÁ una di quelle attribuite a questa pietra anche da Alberto (II, II.3), che afferma di riprenderla dal trattato sulle legature di Costa ben Luca (vedi sopra). Alberto non ritiene opportuno riferire un'altra facoltaÁ ben piuÁ strana che, secondo Marbodo (vv. 189-190), la pietra avrebbe se portata al braccio sinistro, purche forata e inserita in un bracciale intrecciato di peli d'asino: quella di scacciare i demoni notturni! Non lo fa neppure il Vasolo, con cioÁ dimostrando di non voler ne dar credito ne prestare la sua voce a certe forme di magia che puoÁ passare per nera. 44 A. MOTTANA 11. Amathista. Il Vasolo correttamente la descrive come di colore rosso-violaceo e trasparente, richiamandone subito la tradizionale facoltaÁ di preservare dall'ubriachezza e ribadendo che essa l'avrebbe in comune con l'agata (q.v.). Aggiunge, inoltre, che, portata a destra incastonata in un anello d'oro, preserva dal morso dei cani rabbiosi e dei serpenti. La prima facoltaÁ eÁ tradizionale e deriva, probabilmente, dall'etimologia popolare del nome greco, essendo reperibile in tutta la letteratura sulle pietre fin da Teofrasto (v. 30, cf. Mottana e Napolitano, 1997: p. 181) e da Plinio (XXXVII, 124). La confermano, tra gli altri, Marbodo (v. 245) e Alberto (II, II.1)(51), le due fonti dichiarate del Vasolo. Quanto alla sua efficacia contro il morso, ho riscontrato solo un'analogia in due affermazioni contenute nel lapidario di Ildegarda: l'ametista servirebbe contro le morsicature dei ragni, mentre le vipere e serpenti in genere ne avrebbero ripugnanza. 12. Sardonio. La breve descrizione del Vasolo prende spunti, senza un criterio riconoscibile, da quelle di Marbodo e Alberto relative a ben tre pietre, tutte varietaÁ semipreziose di quarzo (sardonyx, onyx/onycha e sardius/sardinus)(52). Afferma infatti che eÁ nero (sia pure di un «certo» nero, quindi sfumando alquanto il termine) come l'onice di Alberto (II, II.13) e la sardonice di Marbodo (v. 163: albus in his nigro), mentre la sarda (Marbodo, v. 180: rubei solet esse coloris) e la sardonice (Marbodo, v. 163: rubens superreminte albo) hanno sempre tinte prevalentemente sul rosso, talvolta molto scuro, anche quando presentano struttura a bande alterne. Asserisce, inoltre, che eÁ trasparente(53) e questa eÁ una proprietaÁ che Alberto (II, II.16) attribuisce solo al suo sardinus (sarda). Le facoltaÁ che il Vasolo attribuisce al sardonio non sono le stesse delle sue fonti, che sono tutte piuttosto caute poiche all'onice erano tradizionalmente attribuite facoltaÁ decisamente negative (forse per il suo colore, giaÁ allora considerato funebre) che risultavano moderate in una certa misura solo quando era in coesistenza con l'altra pietra. Le uniche facoltaÁ citate dal Vasolo che ho rintracciato per pietre affini si trovano nel trattato di Ildegarda e sono quella di calmare le pulsioni veneree, per la sardonice (5), e di alleviare il mal di capo e la sorditaÁ, per la sarda (7). 13. Berillo. Descritta incolore come l'acqua, trasparente e mediamente lucente, questa pietra eÁ quasi certamente la varietaÁ di berillo che si chiama ora «goshenite», raramente usata come gemma proprio perche priva di una particolare distinzione cromatica. Il Vasolo le attribuisce la facoltaÁ di incentivare l'accortezza di chi la porta in modo da acquistare la simpatia dei suoi oppositori e vincerli nelle dispute, doti queste mutuate da (51) In questo contesto (contra ebrietatem) Alberto cita come sua fonte anche un Aaron. Il Riddle (1977: p. 107) ritiene che sia il suo modo di citare il lapidario di Damigerone, mentre la Wyckoff (1967: p. 74, n. 16) pensa piuttosto ad un errato richiamo al lapidario dello pseudo-Aristotele, che Alberto effettivamente cita piuÁ oltre (II, III.6), assieme a Diascorides (= Dioscoride), la Á dove precisa che per essere efficace l'ametista deve essere applicata o appesa sopra l'ombelico dell'ubriaco. (52) Vi sono notevoli oscillazioni ortografiche tra Marbodo e Alberto, e ne presenta alcune perfino quest'ultimo. (53) Traslucente, in realtaÁ, ma questo eÁ un errore semantico comune. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 45 Marbodo (vv. 198-199) che l'estende anche ai rapporti di coppia, e da Alberto (II, II.2). Quest'ultimo non si pronuncia personalmente sugli effetti che puoÁ avere la pietra nei problemi matrimoniali, ma cita i gioiellieri come testimoni del suo favorevole influsso, pur senza sostenere (come il Vasolo) che la gemma va montata ad anello assieme a lapislazzuli per essere efficace. Stranamente, il Vasolo non mutua le pur numerose facoltaÁ terapeutiche che il berillo avrebbe secondo le sue fonti, ne altre importanti proprietaÁ fisiche come quella di poter contenere inclusioni fluide e di accendere il fuoco, se esposto al sole molato a forma di sfera (Alberto: II, II.2(54)). 14. Torchina. Questa pietra eÁ sconosciuta a Marbodo, benche ci siano prove archeologiche che le miniere di turchese del Sinai erano giaÁ sfruttate dagli Egizi nel 3400-3300 a.C. (Cerny, 1955: p. 202), ma eÁ nota ad Alberto Magno (II, II.18), che ne segnala il vivace colore azzurro e afferma che protegge la vista ed evita gli incidenti. Il Vasolo sa, inoltre, che viene dall'oriente e precisa che ha la facoltaÁ di salvaguardare chi la porta dalle cadute da cavallo, garantendogli tanto di non storpiarsi quanto di non affogare nel guadare fiumi impetuosi. 16. Iris. Correttamente il Vasolo mette in evidenza la somiglianza tra questa pietra e il quarzo (cristallo di rocca: 16bis), come d'altra parte avevano fatto, prima di lui, tanto Marbodo (v. 610: chrystallo similem) quanto Alberto (II, II.8), che inoltre riprendono entrambi le notizie di Plinio (XXXVII, 136-137) sul contorno esagonale dei cristalli e sulla dispersione della luce nei colori dell'arcobaleno, da cui trae il nome della gemma. La dipendenza del Vasolo dalle sue fonti eÁ qui confermata soprattutto dal fatto che, contrariamente ad altre pietre, egli ne cita il luogo d'origine: il Mar Maggiore, cioeÁ l'Oceano Indiano, di cui il Mar Rosso, da loro indicato, eÁ una diramazione. Stranamente, peroÁ, egli non riferisce che numerosi cristalli di quarzo iridescente erano stati trovati anche nelle rocce della valle del Reno presso Treviri (Alberto: II, II.8), ne accenna all'ipotesi avanzata da questo autore sull'origine delle forme esagonali per una compressione reciproca dei cristalli esercitatasi su forme inizialmente tonde(55). Nelle fonti non c'eÁ traccia di azione terapeutica, ma eÁ probabilmente sulla base dei fenomeni ottici descritti da esse che il Vasolo puoÁ proporre che la sua applicazione faccia bene alla vista. 17. Galasia. Il nome eÁ storpiato, rispetto alle fonti, ma l'accostamento con la grandine non permette di dubitare che la pietra descritta del Vasolo sia la stessa cosa della gelatia di Marbodo (v. 525) e della gelosia di Alberto (II, II.7). Anche la descrizione coincide in tutti i particolari, ed eÁ quindi riconducibile alla fonte prima: la chalazias di Plinio (XXXVII,189), (54) Il primo a parlare di questo comportamento fisico del berillo sembra sia stato il venerabile Beda (Monkton, 673 ± Jarrow, 735), per il quale il riscaldamento sarebbe talmente forte da bruciare la mano di chi tiene sollevata la gemma. (55) Alberto fa un confronto con le cellette esagonali dei favi per affermare che, come queste sono esagonali perche le api le posano strettamente accostate, cosõÁ i cristalli di quarzo assumono contorni esagonali perche crescono compressi in forma di concrescimenti paralleli. 46 A. MOTTANA che sembra essere stata un corindone incolore e durissimo del tutto inattaccabile al fuoco(56). Questa insensibilitaÁ alle sollecitazioni esterne, di qualsiasi natura esse siano, eÁ certamente il motivo che ha suggerito agli autori di indicare la pietra come un efficace moderatore delle imperiose volontaÁ di chi la porta. 18. Ambra. Di nuovo il Vasolo mescola sotto lo stesso nome due informazioni differenti che gli arrivano dalle sue fonti. Di fatto, l'unica fonte che parla dell'ambra p.d. eÁ Alberto Magno (II, II.17) che, pur conoscendola bene essendo tedesco, preferisce riferirsi ad essa con termini classici come succinus ed electrum, purtroppo corrotti in suetinus ed eliciam dagli amanuensi (Wyckoff, 1967: p. 121). Alberto, tuttavia, non esita a riferire anche i termini d'origine araba (lubra o lambra) che evidentemente, al suo tempo, stavano conquistando una sempre maggiore popolaritaÁ. Per Alberto l'ambra eÁ giallo-pallida, trasparente e capace di attrarre foglie e paglia allo stesso modo con cui la calamita attrae il ferro. Quest'ultima nozione non passa al Vasolo, come non passa neppure l'asserita facoltaÁ della gemma di mantenere casti coloro che la portano. Purtroppo il testo di Alberto eÁ confuso: tra l'altro egli afferma anche che l'ambra, bruciata, allontana i serpenti e aiuta le donne a sgravarsi, nozione, quest'ultima che mette in sovrapposizione l'ambra con il gagate, cui vengono attribuite le stesse «virtuÁ» ed in piuÁ quella di favorire le mestruazioni e di verificare la verginitaÁ di una fanciulla provocandole la contenzione dell'orina. Sono forse queste le facoltaÁ di cui parlava anche Avicenna e che il Vasolo «per degni rispetti» non trascrive? Dal capitolo sul gagates scritto da Alberto (II, II.7) il Vasolo ricavava come informazione ulteriore che questa pietra si presenta sotto due varietaÁ: una nera e una pallida. La prima proviene dalla Bretagna(57) e la seconda dalla Libia(58), ed entrambe sono raccolte sulle spiagge dove le deposita il mare. L'ambra gialla, quella vera (II, II.17), era data come efficace contro l'idropisia e la caduta dei denti, mentre a quella nera Alberto non attribuisce, invece, nessuna facoltaÁ se non quella che i suoi fumi accelererebbero gli attacchi epilettici e accecherebbero i malati (II, III.6). Marbodo, invece, che la descrive da sola come gagates (vv. 268-283), tanto nero quanto pallido, le attribuisce tutte le facoltaÁ sopra riportate ed altre ancora sempre legate alle malattie femminili. Non ho rintracciato l'origine della credenza, riportata dal Vasolo, che il tocco con l'ambra nera obbliga la servituÁ di casa a dire la veritaÁ. (56) La descrizione di Plinio ha indotto un commentatore moderno (cf. Wyckoff, 1967: p. 94) all'ipotesi che questo eÁ stato il primitivo nome greco del diamante, sostituito poi dall'attuale (che originariamente e fino a Platone aveva il significato di acciaio) per effetto di una migliore conoscenza dei diamanti indiani e della loro capacitaÁ di scalfire, molto superiore a quella dell'acciaio stesso. Il trapasso di significato risalirebbe, quindi, al IV-III secolo a.C. (57) PiuÁ propriamente, dalla Gran Bretagna: la localitaÁ tipica eÁ Whitby, sulla costa dello Yorkshire bagnata dal Mare d'Irlanda, dove fino all'inizio del Novecento eÁ esistita una fiorente attivitaÁ di raccolta del giaietto sulle spiagge e di lavorazione semi-industriale del grezzo per ricavare gioielli da lutto. (58) Intende con cioÁ la sponda africana del Mediterraneo. Non esiste ambra in Libia, ma eÁ possibile che le correnti marine abbiano trasportato fin su questa costa pezzi dell'ambra siciliana (simetite). Questa deriva dallo smantellamento fluviale di rocce arenacee mesozoiche che affiorano al centro dell'isola. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 47 19. Dragonite. Questa escrescenza ossea nella testa dei serpenti eÁ descritta, tra le fonti del Vasolo, solo da Alberto Magno (II, II.4), che in parte la riprende da Plinio (XXXVII, 158) e in parte offre una sua testimonianza personale su un caso accaduto in Svevia. Il Vasolo sostanzialmente conferma le facoltaÁ attribuite da Alberto alla pietra di vincere il nemico e di proteggere dal veleno; poi aggiunge di suo una novitaÁ, anche se non essenziale dal punto di vista medico, che per altro eÁ reperibile in letteratura anche per la bufonites, la pietra che verrebbe estratta dal cranio del rospo (Thorndike, 1923: II, p. 70) e che costituirebbe il migliore antidoto per il veleno delle serpi: che il miglior periodo per estrarla a forza dalla testa del serpente(59) eÁ quando il sole eÁ nella costellazione del leone (luglio-agosto). 20. Aquilina. Con questo termine, usato solo da lui(60), il Vasolo italianizza il nome di una pietra che ricavava da Marbodo (vv. 363-382) e che trovava confermata da Alberto (II, II.5). Essi, peroÁ, sono concordi nell'attribuirla, erroneamente, all'echites, mentre Plinio chiaramente distingueva tale pietra, il cui nome deriva dalla vipera, dall'aetites, il cui nome deriva invece dall'aquila (XXXVII, 187). L'echite di Plinio eÁ una specie poco chiara; la sua aetite eÁ invece una geode, forse di agata, contenente un cristallo sciolto che la fa risuonare quando eÁ scossa (X, 12; XXXVI, 149-151): per questa sua conformazione era ritenuta propizia alle gestanti(61). Questa eÁ appunto la pietra descritta dal Vasolo e il colore rosso scuro, che egli le attribuisce, conferma ancora una volta (se ce ne fosse ancora bisogno) che egli non si basa solo sul testo di Alberto Magno, che non ne parla, ma trae materiale anche da Marbodo, rielaborandone il testo laÁ dove questi si faceva trasportare dall'estro poetico. Il v. 379, infatti, recita: puniceum lapis hic memoratur habere colorem, dove l'appellativo puniceum sta per Woinikiko*Q, rosso cupo (come la porpora prodotta dai Fenici), ed eÁ un aggettivo troppo raro in latino per non porre sull'avviso che il testo di Marbodo eÁ solo la trasposizione in poesia di un trattato sõÁ in latino, ma ricalcato e tradotto in epoca tarda (V secolo) da un testo greco forse del I secolo AD (Halleux, 1974: p. 329). I vantaggi che il Vasolo indica per chi porta l'aquilina sono molteplici: concilia l'amore tra moglie e marito, allontana nelle donne gravide il pericolo o semplicemente l'avviso d'aborto, porta sollievo a chi soffre d'epilessia, impedisce a chi eÁ stato avvelenato di inghiottire il boccone mortale, protegge dalla tempesta e dai fulmini. Sono tutte facoltaÁ presenti nell'echites di Marbodo (vv. 365-378) e confermate da Alberto. EÁ di Alberto la storia che le aquile pongano la pietra nel loro nido affinche le uova non si rompano, o meglio: non potendo egli verificare (59) Non accenna peroÁ al fatto che il serpente deve essere ancora vivo, al momento dell'estrazione, come invece vogliono Alberto e Plinio. (60) L'aveva esemplato, probabilmente, dal Dolce (1565: c. 43) che aveva tradotto con «aquiloio» (e anche «ethice», «aquilea» e «pietra pregna») il nome della pietra che il Leonardi aveva descritto come ethites. In altro luogo, inoltre, il Dolce (1565: c. 33) chiamava «aquilino» una pietra estratta da un pesce. (61) Il Riddle (1977: p. 63, n. 1) riferisce che esiste un antico amuleto ostetrico in cui una mano del XVIII secolo ha iscritto il nome aetites (= eaglestone = pietra aquilina). Non ho potuto verificare il lavoro che egli cita a supporto della sua affermazione (Drake, 1940). 48 A. MOTTANA questa credenza per le aquile (anzi, parendogli palesemente falsa, perche gli urti favorirebbero la rottura), Alberto indica che pietre simili si trovano nei nidi delle cicogne e pensa che abbiano lo stesso effetto. Il Vasolo non recepisce quest'ultima notizia e la sostituisce con un'altra, assente nelle due fonti: che esposta alla luce in controsole l'aquilina emette raggi di fuoco. Non ho trovato riscontro di questa affermazione ne nel Dolce ne nell'Agricola, epperoÁ eÁ plausibile: una pietra rossa abbastanza sottile da essere quasi trasparente lascia senz'altro passare luce rossa rifrangendola in varie direzioni a seconda dell'angolo visuale. 21. Orite. Dei tre tipi di orites descritti tanto da Marbodo (vv. 579-590) quanto da Alberto (II, II.13), il Vasolo recepisce solo il secondo, quello verde con macchie bianche (Marbodo, v. 584: qui viret, et maculas habet albas), cui attribuisce inoltre di essere trasparente, senza peroÁ riportare nessuna delle facoltaÁ descritte dalle sue fonti e proponendo di suo facoltaÁ non ben determinate come quella di proteggere l'uomo dal mortale pericolo d'infettarsi, in particolare di peste. Troppo poco, tutto cioÁ, per identificare la pietra che, sulla base dell'etimologia greca (di montagna [scil. pietra]) e dell'aspetto esterno, potrebbe essere stata, all'origine, una qualsiasi roccia metagabbrica o metaporfirica. 22. Calcidonio. La descrizione che il Vasolo fa del calcedonio diverge profondamente da quelle di Marbodo (vv. 129-134) e di Alberto (II, II.3), che lo descrivono entrambi come grigio pallido (hebeti pallore refulgens: v. 129). Corrisponde piuttosto a quella del diaspro, in particolare del diaspro di Sicilia, rosso da chiaro a scuro in massa, ma frequentemente a macchie, venato, fiorito, radicellato e brecciato con vene di ricementazione piuÁ chiare. Questi diaspri (di «cava nova», come quelli estratti a Giuliana e Bisacquino: cf. Montana e Gagliardo Briuccia, 1998) all'epoca del Vasolo erano talmente diffusi a Roma e in Italia che se ne potevano comunemente fare decorazioni di grandi dimensioni, addirittura interi rivestimenti di cappelle. Il Vasolo non segue le sue fonti neppure nella descrizione del modo di portarlo e nelle facoltaÁ connesse, che formula in modo generico. Molto probabilmente egli trasse le sue informazioni da un qualche lapidario cristiano che confondeva il calcedonio con la chelidonia(62) e si rifaceva, per questo, a Isidoro (XVI, 9.6), in cui quest'ultima pietra eÁ descritta come una gemma purpurea, ma bicolore, perche contiene zone scure. Questa scelta appare ovvia, se si pensa che il calcedonio eÁ una delle dodici gemme del rationale, quindi doveva essere descritta rispettando rigorosamente il dettato tradizionale della chiesa: ragioni di prudenza da parte del Vasolo, nel clima della Controriforma, quindi, e non «degni rispetti», almeno in questo caso! (62) Nella congerie di pietre piuÁ o meno ben descritte dagli autori antichi le commistioni di nomi e di argomenti erano tutt'altro che rare. Nel caso in questione, poi, perfino il Riddle, che antico non eÁ, si perde e, nel riferire le varie fonti di Marbodo, mischia le informazioni che trova sul calcedonio con quelle che invece riguardano il chelidonio (1977: p. 97). Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 49 23. Celidonio. Questa gemma (come giaÁ la dragonite) eÁ data come estratta dal corpo di un essere vivente, in questo caso una rondine. Il Vasolo trae da le sue informazioni soprattutto da Alberto (II, II.3), che eÁ piuttosto conciso, mentre Marbodo si dilunga alquanto, ma in particolari di colore (vv. 249-267). Entrambi gli autori concordano nell'affermare che, di solito, nel corpo della rondine si trovano due pietre, una nera e una piuÁ chiara, ma entrambi la dicono rossiccia (rufus), mentre il Vasolo usa un termine ormai diventato raro che corrisponde a un grigio cinereo. Nessuna delle due fonti, inoltre, precisa che la pietra si trova nella rondine solo a luglio. Anche il modo di portarla e il risultato che se ne consegue non trovano nessun riscontro nelle fonti e sono probabilmente da riferire a credenze popolari trasmesse oralmente. 24. Largate. Il nome non ha riscontro in nessun lapidario precedente ed eÁ, probabilmente, un'invenzione dal Vasolo. In alternativa, forse, egli doveva disporre di una copia del trattato di Alberto Magno con un titolo alterato dall'amanuense, perche qui (II, II.7) eÁ descritta ± esattamente nei termini da lui usati e perfino col riferimento ad Alcide (vedi nota 19) ± la gagatronica, una pietra che Marbodo invece chiama gagatromeum (v. 395). Questa pietra, se anche non fosse favolosa, non eÁ identificabile. L'unica lieve differenza di contenuto tra il Vasolo e le sue fonti sta nella conclusione sulle facoltaÁ attribuitele: per loro, fin tanto che Ercole se la portoÁ addosso, fu vittorioso; per il Vasolo, che privilegia le funzioni medicamentose, egli si mantenne anche sano. 25. OftaÂlmia. Per descrivere questa pietra, il Vasolo non solo espressamente indica che usa come sua unica fonte Alberto Magno (II, II.13), ma va fino alle estreme conseguenze: la sua descrizione ne eÁ una traduzione fedele, fatto piuttosto inconsueto rispetto al suo uso normale di combinare tra loro le sue due fonti principali selezionando da ciascuna quante piuÁ implicazioni mediche poteva. Forse cioÁ eÁ dovuto al fatto che le stesse facoltaÁ e quasi gli stessi vocaboli sono presenti anche nel testo di Marbodo (vv. 622-626), che risulta quindi altrettanto oscuro di quello di Alberto. Solo il confronto diretto con la descrizione che ne daÁ Plinio (XXXVII, 80-82) permette, infatti, di riconoscere in questa pietra l'opale, nella varietaÁ detta «arlecchino» per il suo gioco di colori. Le difficoltaÁ di comprensione derivano probabilmente dal fatto che i due autori medievali sono concordi nel distribuire le caratteristiche fisiche dell'opale descritto da Plinio su tre pietre distinte (hyena, ophtalmus e pantherus, nell'ortografia di Alberto), a ciascuna delle quali attribuiscono poi facoltaÁ lievemente diverse. Il Vasolo sceglie, fra le tre descrizioni, quella della pietra che ha la facoltaÁ medica piuÁ spiccata (di attenuare l'acutezza visiva del prossimo al punto di rendere invisibile chi la porta, se il suo potere eÁ rafforzato con l'avvolgerla in una foglia d'alloro), ma non rinuncia a segnalarla anche come «guida delli ladri», attribuendo il determinativo non a Marbodo, che ne eÁ l'autore (v. 626), ma a generici «felosofi» e cosõÁ generalizzandolo. 26. Silonite. La descrizione che il Vasolo fa di questa pietra, che asserisce provenire da un organismo vivente, la tartaruga marina indiana, non ha nessun riscontro con la 50 A. MOTTANA silenites delle sue fonti, che la dicono o simile a un diaspro verdastro (Marbodo, v. 384) oppure l'identificano con la madreperla (Alberto, II, II.17). Non accenna neppure alla presunta curiosa sua proprietaÁ di cambiare d'aspetto con le fasi della luna, che essi concordemente le attribuiscono. La pietra descritta dal Vasolo eÁ, piuttosto, la chelonites di Marbodo (vv. 533-544), malamente ripresa col nome di celontes da Alberto (II, II.3) e, come quella, descritta come rossa con riflessi variopinti. Per quanto riguarda il modo e il tempo d'estrarla dal rettile, il Vasolo ricava le sue informazioni da altre fonti, e cosõÁ eÁ per le facoltaÁ che le attribuisce fuorche una: di conservare la memoria. Questa facoltaÁ intellettiva, e l'identica prescrizione di tenere la pietra sotto la lingua per renderla operativa, non eÁ peroÁ estesa da lui fino alla capacitaÁ di prevedere il futuro, come voleva Marbodo (vv. 535-536: quem si sub lingua loto quis gesserit ore posse magi credunt hunc divinare futura) ed anche Alberto, che peroÁ l'attribuisce alla sua silenites (II, II.17), e la descrive con molti ulteriori dettagli tanto fantasiosi da apparire fantastici. 27. Alettorio. Anche questa pietra eÁ d'origine animale, ma in un contesto piuÁ verificabile, poiche in passato i capponi non erano certo altrettanto difficili da trovare sulle tavole da pranzo quanto lo sono ora. Il Vasolo la descrive come di piccole dimensioni, tonda, luccicante e limpida come il quarzo, esattamente come Marbodo (v. 79: crystallo similis, vel aquae, cum limpida paret), e suggerisce di estrarla dal ventricolo di un cappone di almeno cinque anni d'etaÁ per accentuarne l'efficacia. Per confronto: Marbodo suggeriva un minimo di tre (v. 75) e Alberto di quattro (II, II.1), anche se poi aggiunge che alcuni arrivavano a proporre un minimo di nove anni. Marbodo prosegue attribuendo all'alettorio la facoltaÁ di esaltare la potenza fisica, tanto nel pugilato, come soleva Milone da Crotone (v. 83), quanto nel gioco sessuale, come usava fare la moglie di Commodo(63) (v. 90), mentre Alberto preferisce limitarsi a quest'ultima, pur accennando che ha anche altri poteri come quello di sviluppare la capacitaÁ oratoria. Il Vasolo, ligio alle sue finalitaÁ terapeutiche, la consiglia all'uomo anziano che abbia una moglie giovane, ma prescrive che egli deve portare al collo, in modo che tocchi la carne, una pietra che sia stata tratta da un cappone macellato in luna crescente o di marzo o d'agosto: insomma, per non fare brutta figura e per la sua stessa sicurezza, non essendo probabilmente del tutto convinto dell'efficacia, pone una serie di condizioni che potrebbero giustificare l'eventuale insuccesso della cura. 28. Lapislazoro. L'elencazione del Vasolo si conclude con una pietra che non poteva trovare tra le sue fonti dichiarate, benche qualche accenno su di essa si trovi in Alberto (63) Il riferimento a Milone eÁ tratto da Solino (1. 76-77). Quello a Commodo, invece, eÁ incerto. Non eÁ nella Vita Commodi di cui eÁ autore Elio Lampridio. EÁ improbabile che sia nella < Rvmaikh* i$ stori*a di Cassio Dione (autore bene informato e incline a divulgare particolari intimi), che manca del libro LXXII relativo a questo imperatore e di cui conosciamo solo un'epitome bizantina. PuoÁ forse essere rintracciata tra gli scoli ad Erodiano. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 51 (alla voce zemech: II, II.20, dove figura indicato anche un lapis lasurii, ma solo come sinonimo(64)) ed anche se, in entrambe, vi sia qualche cenno particolare, che eÁ peroÁ trasferito alla descrizione dello zaffiro (q.v.). La descrizione che il Vasolo daÁ del lapislazzuli eÁ per certi versi molto precisa (colore azzurro e presenza di inclusioni di pirite), per altri errata (non eÁ trasparente e neanche traslucente). Passa poi subito a proporre la sua utilizzazione: bisogna farne una collana che abbia i vaghi alterni con corallo(65) e che abbia un pendaglio di giacinto, meglio se accompagnata con due braccialetti, per sfruttarne appieno l'importante facoltaÁ sanitaria: di guarire dalla peste e di sfebbrare. Aggiunge, inoltre, che se si unisce alla collana anche qualche vago d'ambra(66), si cura il mal di cuore. Infine, bere vino in un vaso di lapislazzuli farebbe bene al cuore, mentre usare lo stesso vaso per sciogliere erba betonica in acqua da bere farebbe passare il mal di testa. Sono tutte prescrizioni introvabili nelle fonti, frutto quindi dell'inventiva del Vasolo o dei suoi informatori. DISCUSSIONE CominceroÁ questa parte conclusiva della mia analisi con una citazione: «Quando si utilizza come fonte documentaria un testo letterario non si deve mai dimenticare la sua letterarietaÁ. Altrimenti anche lo studioso piuÁ acuto rischia di non vedere cose che per il lettore del passato erano addirittura ovvie» (Peri, 2004: p. 36). Questa eÁ la situazione in cui mi trovo nel momento di passare all'esame dei pregi e dei difetti di questo testo e quindi alla sua valorizzazione. Non vi eÁ dubbio che, pur se indotto da motivi cortigiani e di utilitaÁ personale, nello scrivere questo breve trattato Scipione Vasolo intendeva sviluppare un argomento che egli riteneva rigorosamente scientifico oltre che socialmente utile. Tuttavia, egli voleva anche raggiungere il risultato di comporre un'opera letterariamente gradevole, cosõÁ da (64) Lo stesso Vasolo sembra essere piuttosto incerto su come scrivere il nome: «lapislazoro» nel titolo e «lapis lazaro» all'inizio del capoverso di testo, entrambi chiaramente con accento piano. Il termine lapislazzuli compare in italiano giaÁ all'inizio del XIV secolo (volgarizzamento di Zucchero Bencivenni), ma non divenne il nome definitivo di questo materiale prima del XVII secolo, in campo gemmologico, e fino al XIX, in campo artistico, dove gli era preferito quello di «azzurro ultramarino», che ne evidenziava l'uso come pigmento colorante, soprattutto negli affreschi (Cennini, [ca. 1390] 2003). Il Dolce (1565), che eÁ contemporaneo del Vasolo, scrive «lazolo» (c. 51) o, latinamente, «lapislazoli» (c. 65), ma afferma di preferire «zumelazoli» (c. 65) o perfino «zumemalazoli» (c. 51): sembra, cioeÁ, ritenere preferibile la derivazione completa dall'arabo (cf. lo zemech di Alberto, alla voce zaffiro) alla contaminazione linguistica latino + arabo, forse percependo che anche azzurro eÁ parola d'origine araba, ancorche consolidata nella lingua italiana. Nella letteratura mineralogica posteriori diventeraÁ stabilmente lapislazzuli per sintonia con la forma Lazuli lapis prescelta da A.B. de Boot (1609, 16362: pp. 273-292). Egli ne daÁ un'estesa descrizione, non solo del materiale naturale, ma anche del preparato artificiale corrispondente. (65) Da molti il corallo eÁ considerato una gemma o almeno un materiale semiprezioso al quale in passato si attribuivano «virtuÁ» particolari (tipico l'uso di farne collanine per i bambini). Il Vasolo non ci si sofferma, ma eÁ la trentunesima pietra di cui parla. (66) Il Vasolo aggiunge anche «musco», ma io non vedo come sia possibile inserire tra i giunti di una collana un vegetale cosõÁ soffice e poco tenace se non in modo molto instabile. 52 A. MOTTANA non correre il rischio di annoiare l'Orsini dalla cui benevolenza s'aspettava un beneficio. Questa sua intenzione spiega perche il manoscritto si presenti curato sotto l'aspetto tanto grafico quanto stilistico, mentre sono da imputare alla difficoltaÁ della materia trattata (e, in una certa misura, anche alla eccessiva cautela del suo autore nel non eccedere dai «degni rispetti») vari squilibri presenti. Il maggiore tra tutti eÁ, senza dubbio, la mancanza di un criterio espositivo sistematico: se al diamante il Vasolo dedicava 52 righe di scrittura(67) ed una trattazione ragionevolmente sistematica (prima le proprietaÁ fisiche che lo caratterizzano, poi il valore venale, poi le facoltaÁ, cominciando da quelle di rilevanza psicologica per arrivare a quelle relative alla salute corporea ed infine un aneddoto(68)) e questo era piuÁ che giustificato dal fatto che si tratta della piuÁ importante delle gemme, allora come oggi, ebbene, non c'eÁ ragione che al rubino e allo smeraldo, indiscutibilmente la seconda e terza gemma in ordine d'importanza commerciale, scientifica e culturale siano dedicate solo 17 e, rispettivamente, 6(69) righe. Con un tale criterio, essi sono fatti passare in secondo piano rispetto non tanto al lapislazzuli (22 1/3 righe), che come pietra ha una tradizione millenaria anche se porta un nome nuovo, quanto addirittura all'aquilina (26 1/2 righe), che non ha neppure un'origine sicura, trattandosi di un oggetto che per caso si trova nei nidi! Eppure eÁ proprio a questa pietra che il Vasolo sembra dedicare gran cura, al punto da precisarne il comportamento ottico, come non fa per nessun'altra. Siamo, quindi, in presenza non di un trattato concepito e condotto su basi scientifiche, ma, piuttosto, di un'opera letteraria che vuole ammantarsi di scientificitaÁ e che per questo cerca di inserirsi nel genere didattico-didascalico, ben noto fin dall'antichitaÁ tanto greca (e.g., Nicandro e Arato) quanto latina (e.g., Lucrezio e Manilio). Questo tipo di genere letterario era tornato ad essere attuale all'epoca della Controriforma non tanto per motivi artistici, quanto piuttosto per la sempre maggiore tensione scientifica che pervadeva le persone colte, quella stessa tensione che porteraÁ, all'inizio del Barocco, alle prime pubblicazioni scientifiche d'impostazione e di contenuto moderni (Altieri Biagi, 1968; cf. Rossi, 1997). Quel genere letterario, se da un lato poteva creare all'autore problemi con una gerarchia ecclesiastica ottusamente assestata su posizioni aristoteliche(70), dall'altro (67) Nel manoscritto originale (che eÁ di volume circa doppio della trascrizione qui riportata). (68) Mi sembra una specie di criterio a summis ad ima, ancorche applicato alle pietre preziose e quindi a un soggetto nuovo (cf. Peri, 2004: pp. 280-285). Se cosõÁ eÁ, rientra anch'esso in un canone letterario seguito durante tutto l'evo antico e moderno, oltre che inserirsi in un topos ben definibile (vedi oltre). (69) Sedici righe in tutto, se aggiungiamo le 10 dedicate allo «smeragdo». (70) Contrariamente a quanto abitualmente si ritiene, la chiesa cristiana non era aristotelica dalle origini (Agostino eÁ stato considerato da molti un filosofo platonizzante). Lo divenne solo nel Duecento, dopo un periodo di furiosa opposizione concretatasi, tra l'altro, in scomuniche e anatemi come quelli di Parigi del 1210, 1250 e 1277 che avevano messo a rischio persino pensatori ortodossi e poi santificati come Alberto Magno e Tommaso d'Aquino (Grabmann, 1941; Bianchi, 1990). Tre secoli di aristotelismo, peroÁ, una volta che questa dottrina era stata finalmente accettata, anzi imposta, avevano sclerotizzato la gerarchia su posizioni tali da vedere con fastidio ogni modifica e perfino una modesta novitaÁ. Ne faranno le spese non tanto gli studiosi operanti nell'alveo della «scienza normale» (Kuhn, 1962), che allora si rifaceva all'aristotelismo, quanto quelli ritornati al platonismo delle origini e, soprattutto, quelli realmente innovativi, quale che sia il settore in cui essi hanno Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 53 risultava incomprimibile in un uomo formatosi nello spirito del Rinascimento: vi fu, infatti, un certo numero di ricercatori particolarmente dotati, ma non altrettanto cauti nell'esprimere i loro ritrovati, che dovettero affrontare difficoltaÁ di tutto rilievo, in qualsiasi paese e sotto qualsiasi regime essi operavano, ma soprattutto in quelli dove prevaleva una concezione mal compresa del rispetto dovuto alla religione come veritaÁ rivelata(71). Il Vasolo opera in un settore poco praticato rifacendosi ad uno dei piuÁ prestigiosi propugnatori dell'aristotelismo: Alberto Magno, dottore della chiesa universale e quindi inattaccabile sotto l'aspetto tanto dottrinale quanto scientifico. Egli se ne fa schermo e fonte, quindi, ma eÁ, nel complesso, un ben modesto scienziato, quasi indegno di questo nome, perfino se visto come uno dei tanti cultori della «scienza normale» (Kuhn, 1962): quel modo di fare ricerca che richiede poca fatica, compromette poco, ma produce anche poco(72). EÁ, essenzialmente, un compilatore ed un divulgatore privo di un'intuizione personale che valesse la pena di sottoporre, allora come ora, ad acribia critica e, meno ancora, suscitasse la curiositaÁ di farne una verifica coi metodi sperimentali. Egli si caratterizza per avere una forte convinzione su un argomento marginale, ma non innovativo, poiche l'uso delle pietre a scopo medicinale era una consuetudine accettata ormai da secoli; raccoglie informazioni da fonti antiche, scelte tra quelle di indubbio prestigio, ma ± al tempo stesso ± tali da non procurargli guai, perche loro stesse ben accette dalla gerarchia ecclesiastica; le integra con parsimonia e cautela con alcune idee nuove o, se non proprio nuove, certamente non innovatrici perche provenienti da una tradizione consolidata, anche se rimasta confinata all'immaginario popolare e non ancora trasferita all'ambiente letterario; aggiunge di suo un metodo espositivo di un certo buon gusto (non tale, comunque, da farne un letterato rimasto nella memoria degli altri) e confeziona cosõÁ un trattatello che ha pretese scientifiche, svolge l'utile compito didascalico di mettere sull'avviso i malati contro le pozioni dei medici e, last but not least nelle intenzioni dell'autore, arreca un beneficio a chi l'ha scritto(73). Sarebbe vano cercare di inserire il Vasolo in un genere letterario importante, ma non eÁ del tutto fuori luogo ammettere che la sua opera rientra in un topos(74) che non solo ha intrattenuto una relazione, per cosõÁ dire trasversale (cf. Peri, 2004: p. 307), con materie ricercato: fisico (come Galileo Galilei) o psichico-morale (come Giordano Bruno). Occorreranno piuÁ di tre secoli affinche la gerarchia si decida a chiedere scusa a Galileo e sembra che non sia maturato ancora il tempo in cui presentare al Bruno le scuse che gli sono dovute. (71) Casi come quelli di Tommaso Moro e di Michele Serveto in ambito protestante possono bilanciare, ma certamente non giustificare quelli di Galileo e del Bruno. (72) Questo eÁ il giudizio del Kuhn (1962), che peroÁ avvisa anche che la scienza normale non eÁ inutile, perche dopo un periodo piuÁ o meno lungo di ricerca condotta per piccoli o piccolissimi passi la conoscenza nel suo complesso si eÁ sviluppata a tal punto da trovare in se stessa le motivazioni che fanno scattare un cataclisma che la fa porta a progredire di colpo: un cambiamento di «paradigma» (Kuhn, 1962). (73) Questa mia affermazione potrebbe sembrare una malignitaÁ gratuita, ma non lo eÁ: eÁ, piuttosto, una supposizione che suscita in me il fatto che un altro libretto simile a questo fu predisposto dal Vasolo e dedicato ad un altro benefattore (vedi nota 6). (74) Per chiarirmi le idee su questo concetto, che eÁ letterario e non scientifico, sono ricorso alla lettura dell'affascinante volume del Peri (2004). 54 A. MOTTANA apparentemente del tutto difformi come la medicina e l'alchimia, ma che ha anzi saputo mantenersi nel tempo, con una lunga tradizione che non si eÁ affatto esaurita al momento attuale. EÁ il topos della vis naturalis delle pietre, originatosi probabilmente ad Alessandria in epoca ellenistica sotto l'influsso di dottrine provenienti dall'oriente, probabilmente indiane (Finot, 1896). Mentre, infatti, nella mente greca classica, che aveva una spiccata propensione a razionalizzare, i materiali litoidi erano concepiti come una sostanza bruta possibile apportatrice di un bene (soprattutto metalli utili, ma anche grezzi per applicazioni varie, in Aristotele e Teofrasto, cf. Mottana e Napolitano, 1997; Mottana, 2001) e solo piuÁ tardi, in epoca ellenistica, essi acquisirono importanza anche come sostanze utili alla salute (preparazione di farmaci: cf. Nicandro, Dioscoride), nell'Alessandria greco-romana si sviluppoÁ, accanto alla farmacopea fondata scientificamente e portata all'acme da Galeno, una fiorente scuola di pensiero che vide nelle singole pietre altrettanti oggetti impregnati dalle potenze superiori (dei, astri, ecc.) di facoltaÁ di vario tipo, che l'uomo savio deve scoprire e valorizzare per il suo e il comune bene. Nacque cosõÁ la Litoterapia, che per procacciare la guarigione dalle malattie si avvaleva non degli ancora sconosciuti reattivi chimici contenuti nel materiale(75), ma del materiale in toto che li contiene, inteso come depositario di una misteriosa forza vitale (FuÈhner, 1902; BaltrusÏaitis, 19933). Ecco che allora la pietra preziosa, bella per definizione oltre che per aspetto, divenne la massima depositaria di un potere magico che per meglio svilupparsi non si limita all'azione sua propria (per se), ma richiede trattamenti particolari conosciuti solo da pochi specialisti (legature, incisioni, ecc.), da considerare astrologi e maghi, piuÁ che scienziati. EÁ questa la sostanza della Litoterapia, da cui presto si sviluppoÁ la Cristalloterapia, in cui a ciascuna gemma viene associata una serie di funzioni particolari, tra cui appunto una di farmaco specifico da usarsi o per se, oppure ± di nuovo ± dopo un trattamento glittico o magico opportuno. I maggiori rappresentanti antichi di questo topos sono gli Orphei lithica, un poema scritto probabilmente in Asia minore nel II secolo AD (Wirbelauer, 1937: p. 2) oppure nel IV (Barb, 1963: p. 117), i Cyranides, composti tra il 227 ed il 400 AD (Kaimakis, 1976) e il lapidario di Socrate e Dionisio, del IV secolo AD (Halleux e Schamp, 1985; cf. Bianco, 1992). A questi fa seguito, buon ultimo perche ne possediamo solo la traduzione in latino del V-VI secolo AD, anche se si crede che sia stato composto, almeno nella sua parte iniziale, o nel I secolo AD (Halleux, 1974: p. 329) oppure nel III secolo AD (Halleux e Schamp, 1985: p. 226), il lapidario del mago Damigerone che, pur essendo una «dull and stupid compilation» (Barb, 1963: p. 119), reclamizzato dall'indebito abbinamento con il mitico Evace saraÁ versificato da Marbodo e riceveraÁ cosõÁ un'ulteriore spinta per un lungo successo di pubblico che lo porteraÁ ad influire piuÁ a lungo degli altri. Neppure Alberto (75) Il libro V del De materia medica di Dioscoride eÁ fondamentale al riguardo (Gazzaniga, 1993). L'autore classifica le pietre sulla base dell'effetto farmacologico delle pozioni preparate con esse, cosõÁ come gli risultava dalla sua esperienza diretta di medico militare, quindi in forma strettamente statistico-sperimentale, senza tuttavia aver nessuna idea del percheÂ. Solo duemila anni dopo il Riddle (1985) chiariraÁ, a beneficio degli studiosi di Storia della Scienza, che la classificazione di Dioscoride riflette l'azione iatrochimica dei cationi di metalli base contenuti nelle pietre descritte e, in misura minore, dal modo in cui erano preparate le pozioni. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 55 Magno, probabilmente la mente piuÁ scientifica di tutto il Medioevo latino, sapraÁ sottrarsi alla sua influenza ± anzi, egli arricchiraÁ il topos di nuovi elementi mutuati dalla letteratura mineralogica araba che, se per certi versi portoÁ uno sviluppo alla conoscenza delle proprietaÁ fisiche delle gemme, introdusse purtroppo anche una nuova serie di fantasie alchemiche. Probabilmente Alberto non pote sottrarsi alla tradizione anche perche la chiesa aveva giaÁ riconosciuto validitaÁ alla Cristalloterapia avallando il trattatello di Ildegarda, ma eÁ certo che furono la sua fama e il suo prestigio i fondamenti su cui si basoÁ l'intera letteratura cristalloterapica fino al Leonardi, al Dolce e al Vasolo. Torniamo, quindi, al nostro autore ed alle sue conclusioni. Egli insiste, in chiusura del suo scritto, sull'opportunitaÁ di portare addosso le pietre per mantenersi in salute e di non tenerle chiuse nelle casseforti, dando cosõÁ la possibilitaÁ ai medici di avvelenare l'uomo con medicine innaturali e dannose. Il Vasolo, certo, non aveva tutti i torti a diffidare dei medici del suo tempo(76), e non aveva neppure del tutto torto a diffidare dei farmaci basati sui semplici tradizionali oppure su erbe nuove di cui non si conoscevano appieno le proprietaÁ. Al tempo stesso, peroÁ, egli dimostra di non possedere alcun acume, poiche la Cristalloterapia da lui sostenuta era una pseudoscienza, priva di qualsiasi possibilitaÁ di influire sulla salute umana se non per certi aspetti psicologici. I cristalli sono un placebo e da loro puoÁ venire un beneficio solo indotto da una irrazionale fiducia. Per questo il loro uso farmaceutico avrebbe dovuto finire molto prima (ma non finõÁ allora e non finiraÁ forse in breve, tanto eÁ vero che la Cristalloterapia eÁ praticata tuttora, seppure da una piccola schiera di creduloni). Il suo contributo alla Gemmologia, peroÁ, benche piccolo, non eÁ irrilevante: essa ha contribuito a far studiare le pietre preziose per se, ma per conseguenza ha sviluppato anche il loro studio come fonti di polveri utili da introdurre nei farmaci. Al Vasolo si puoÁ concedere il merito di aver tentato di diffondere un interesse per le gemme diverso da quello della sola tesaurizzazione, ed inoltre quello di aver diffuso la nuova nomenclatura tramite il suo uso letterario in un topos di sicura attrazione al suo tempo. Egli eÁ la prima testimonianza in italiano di alcuni nomi di gemma che si tramanderanno fino ad ora, anche se cioÁ non gli eÁ riconosciuto nei testi specializzati (cf. Goltz, 1972; Friess, 1980). Tuttavia, il suo ruolo scientifico in campo mineralogico eÁ del tutto trascurabile: non fornisce informazioni nuove (come Giorgio Agricola, il cui contributo peroÁ restoÁ allora limitato a un ristretto numero di lettori perche troppo specialistico) ne contribuisce alla loro diffusione (come, invece, riuscõÁ a fare il suo contemporaneo Lodovico Dolce, anche se agendo in modo tutt'altro che scrupoloso). Egli, anzi, continua a perpetuare notizie infondate o del tutto inventate. Pur tuttavia, a Scipione Vasolo spetta di diritto una minima citazione tra i lontani (76) Ma si sbagliava riguardo alla Medicina nel suo complesso, che in quell'epoca si era giaÁ avviata ad un sicuro progresso grazie agli studi, finalmente scientifici, di un Andrea Vesalio (Brussels, 1514 - Zante, 1564), di un Ambrogio Pare (Bourg-Hersent, 1510 - Parigi, 1590) e di altri. CioÁ di cui aveva ragione di diffidare era, piuttosto, della capacitaÁ dei medici di preparare idonei farmaci, poiche tutto cioÁ che essi erano in grado di fare erano, di fatto, decotti di erbe talvolta malamente addizionati di polveri minerali di cui non erano in grado di prevedere l'effetto. 56 A. MOTTANA precursori della Scienza moderna delle gemme, di quella Gemmologia che faraÁ ancora a lungo fatica a liberarsi del suo fardello di inconsistenti pregiudizi, di implicazioni grossolanamente mercantili e di mirabolanti quanto false tradizioni(77) e che riusciraÁ, infine, a raggiungere lo stadio scientifico solo nel XIX secolo. RINGRAZIAMENTI Sono stato indotto a studiare questo testo non tanto dalla sua importanza, che eÁ minima, quanto piuttosto da una doverosa necessitaÁ di completare le mie informazioni sullo stato delle conoscenze gemmologiche in Italia durante il Rinascimento, compito che mi ero assunto come contributo alla sessione di storia della scienza organizzata a Firenze, il 26 agosto 2004, nel quadro del 32ë Congresso Geologico Internazionale, il secondo tenutosi in Italia dopo quello memorabile di Bologna del 1881. Ringrazio, quindi, il collega Giovanni Battista Vai che mi ha spronato a far sentire la voce della ricerca italiana in un consesso internazionale e che mi ha tenacemente sostenuto nei momenti di sconforto, per lo piuÁ dovuti all'intreccio di impegni verificatisi nel periodo della preparazione del mio lavoro. Ringrazio anche l'amico e collega Massimo Peri, il cui libro mi ha aperto gli occhi su tante possibili interazioni tra scienza della materia e letteratura. Ho ricevuto aiuto in varie forme, ognuna estrememente utile perche mi ha portato il contributo di uno specialista di un settore a me lontano, da parte del Prof. Domenico Faccenna, del Dott. Marco Guardo, dell'Avv. Carlo Fiammenghi e del Sig. Giampiero Borzacchi. Due colleghi hanno letto questo scritto prima della presentazione e lo hanno rivisto in forma critica suggerendo significativi miglioramenti. Le Dott.sse Gianna Benigni e M. Elvira Pistoresi hanno curato la pubblicazione di questo testo inconsueto con la consueta, sempre attenta competenza. A tutti il mio grazie di cuore, restando inteso che io sono l'unico responsabile degli errori e delle omissioni che questa Memoria dovesse ancora contenere. BIBLIOGRAFIA AGRICOLA G., 1546. De ortu et causis subterraneorum lib. V. De natura eorum quae effluunt ex terra lib. IIII. De natura fossilium lib. X. De ueteribus et novis metallis lib. II. Bermannus sive De re metallica dialogus. 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Nunc vero ab eodem Costaeo recognitus & novis alicubi observationibus adauctus. Quibus principum philosophorum ac medicorum consensus dissensusque indicantur. Vita ipsius Avicennae ex Sorsano Arabe eius discipulo a Nicolao Massa Latine scripta & figuris quibusdam ex priori nostra editione sumptis. apud Juntas, Venetiis, 1608). BACCI A., 1587. Le XII pietre pretiose, le quali per ordine di Dio nella santa legge, adornavano i vestimenti del sommo sacerdote. Aggiuntevi il diamante, la margarite, e l'oro, poste da S. Giovanni nell'Apocalisse, in figura (77) In realtaÁ, lo studio delle pietre non si eÁ ancora liberato del tutto di questo suo vizio d'origine: uno spoglio informatico della letteratura a stampa mi dimostra che i trattati di Litoterapia e Cristalloterapia costituiscono un buon terzo di tutte le pubblicazioni descrittive relative ai materiali litoidi (quindi Mineralogia e Petrografia, ma non Petrologia e Giacimentologia) apparse nell'ultimo decennio. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 57 della celeste Gierusalemme: con un sommario dell'altre pietre pretiose. Discorso dell'alicorno, et delle sue singolarissime virtuÁ. Et della gran bestia detta alce da gli antichi. Appresso Giouanni Martinelli, nella stamparia di Vincenzo Accolti, in Borgo novo, Roma, 130 pp. (rist.: Le 12 pietre preziose: le quali per ordine di Dio nella santa legge adornavano il manto del gran sacerdote: secondo la interpretazione di S. Ieronimo e S. Epifanio arcivescovo di Cipri. Philobyblon, Milano 1992, 53 pp.). BACCIUS A., 1603. De gemmis et lapidibus pretiosis, eorumq; viribus & usu tractatus, italica lingua conscriptus; nunc vero non solum in latinum sermonem conversus verum etiam utilissimis annotationibus & observationibus auctior redditus. A Wolfango Gabelchovero, medicinae doctore & phisico Calvvensi ordinario. Cui accessit disputatio, de generatione auri in locis subterraneis, illiusq. temperamento. 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A VICE REG.A Di SICILIA Opera del Capitan Scipione Vasolo Da Pavia. Ms. di Cart: 65 63 64 A. MOTTANA Ill.Ma & Ecc.Ma Sig.a la Sig.a FELICE ORSINA C.A Albergo di Gratie, e Nido di VirtuÁ. Eccovi Magnanima Signora con quanta humiltaÁ io laÁ Supplico di voler' accettar questo bellissimo Thesoro delle VirtuÁ Pretiose delle Gioie, Orientali, e co'l suo Prudentiûimo procedere favorirme appresso de tutte l'altre Titolate Signore, che conoscendo la bontaÁ dell'Animo mio mostrato verso di loro, nell'haver trovato le sodette VirtuÁ delle Gioie, le quali sono di tanta propietaÁ, & utile alli corpi humani, che operano Salute, e longa Vita; co'l smorzar il Dolore, dal cuore, [1v] e Generare Alegrezza, nell'Animo afflitto dove molti Gran Fhilosofi n'hanno trattato, per Beneficio Generale, accioche li Medici non habbino da mettere con le lor Medicine gli huomini al pericolo della Morte. Per tanto si puo vedere il fidelissimo Amore, e servituÁ ch'io le porto in dichiarargli con la VeritaÁ queste tali abondantiûime VirtuÁ, le cui sono dalla Candidezza Delle Benignissime Signore aiutate di meglio risplendere, come si vede ordinariamente Regnar in Quella con tanta belliûima Gratia, che eÁ dal Cielo Eletta, la Principal', e Magnanima Signora, in favorire li poveri, et afflitti Virtuosi, e pregando l'Onnipotente DIO, che all'Ill.ma Ecc.za Vostra duoni quanto desidera. Humilmente m'offero e raccomando. [1r] [1] Da Roma aÁ xx di Marzo M.D.LXXVII. D. V. Ill.ma Ecc.za Il Cap.no [1v] Alla Medema. Gemma non usci, mai dell'Oriente Si Luminosa si pregiata, e Bella, Ch'al Sol non fusse qual minuta stella, Appreûo aÁ questa Perla, Alma, e fulgente. Che non pur gli occhi, ma l'humana mente Ralegra anchor di chi s'affissa in Ella Et hor quest'Alma invita al ciel, hor quella Lungi partendo, lor dalla vil gente. PeroÁ quel'ornamento, e quel fin'oro, Dove eÁ legata, ben le si conviene: Per che fuûi perfetto il suo lavoro. Quest'eÁ la Perla colma d'ogni bene, l'alta FELICE di VirtuÁ il Thesoro, che di Natura ogni Ecc.za ottiene. Divot.mo Servo Scipione Vasolo, da Pavia. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU [2r] 65 Le Miracolose VirtuÁ Delle Pietre Per salute Del Vivere Humano. Co'l mantenersi Allegro e Senza Periculo di Sorte alcuna di Male. o Opera del Cap. Scipione Vasolo da Pavia. Havendo la Natura conceûo le tante virtuÁ nell'Herbe, nelle Parole, e nelle Pietre per Beneficio nostro, io truovo, esser cosa piuÁ di utile le Pietre Pretiose, che l'Herbe, e le Parole, perche si vede alle volte finir l'Herbe, e le Parole secrete scordarsi, ma le Pietre Pretiose sempre si mantengono in tutte le stagioni dell'Anno, e coloro che si amalano, senza li Medici, si ponno sanare, et allegramente vivere con Gioia, come hora, per ordine io MostraroÁ, dicendo In [2v] prima del Diamante. Questa Pietra del Diamante, e la piuÁ forte, e risplendente che si truova, fra tutte l'altre Gemme, e chi la portaraÁ con l'esser' al peso d'un danaro, e quanto piuÁ e meglio, e portandosi dalla man del cuore, haÁ virtuÁ, al manco per via Indiretta da Invelir l'Animo de Nemici, e piu da moderar la furia della subita voluntaÁ d'infinito pericolo. Havendone nel Capello tre, e se piu fussero meglio saria, con haverne una al petto, che fussi evidente, gli Animali Feroci non potranno aÁ chi le porta offendere. E s'alcuna persona fussi stata Venenata nelle vivande, subito ha d'Ingiuttir uno de questi Diamanti, per che non sia In punta, et essendo tondo e megliore, nel sanar ogni sorte di Veneno [3r] c'havesse tolto, e questo eÁ un Remedio senza dolor' alcuno, e quest'eÁ al contrario di quando si pi(78) piglia spolverigiato, il quale amazza l'huomo e per tal causa eÁ stato prohibito. Pigliandolo sano ha la VirtuÁ, che s'eÁ detto disopra epoi la persona lo ricupera nella digestione, eÁ rimane nella prima bontaÁ, e virtuÁ di prima. Tant'eÁ potente e'l Diamante, eÁ duro, che manco il fuoco lo puo offendere, come si vede, che tutte le altre Pietre sono offese dal fuoco. Di piu gli sono una sorte di Vermi li quali sono della qualitaÁ della Vipera, e sempre stanno attaccati alli grassetti delli budelli, et di quelli si notriscono ne mai si spiccano non per medicamenti alcuni che solamente d'Ingiurie(79), come ho detto un pezzetto de Diamante senza taglio ho punta per che, e Rimedio mirabile, massimamete de questi vermi li quali causano tante sorte dolori [3v] et mali non conosciuti dalli Medici, che infiniti se ne moiano, e molti diventano Etici e se alcuno guarisce, la causa eÁ per che questi vermi, non hanno piuÁ da magnare del cibo loro (78) Cassato con una riga orizzontale. (79) Oppure «Ingiustie»? 66 A. MOTTANA per esser consumato il grasso, e finito per causa dell'astinenza oÁ vero per tante Medicine, che gli sono date, pensando i Medici, che sia una sorte de Mali et eÁ un'altra sorte. Dunque per esser lieto, e sicuro la persona, non mai potraÁ far' errore di sorte alcuna ad ingiottir all'Autunno un bel pezzo di Diamante, per che n'acquisteraÁ gran salute. Questo Medicamento, eÁ stato espremetato In Oriente da certi Mercanti li quali fureno avvelenati. dove una vecchia mora gli fece ingiottire, un pezzo di Diamante per huomo, et in questo modo si liberorno della Morte e molti altri se(80)= [4r] greti questa vecchia mostroÁ aÁ questi sudetti Mercanti. Le Virtu del' Rubino. Questa Pietra eÁ la seconda di durezza la qual molto perde aÁ gettarla nel fuoco, cosa che non faÁ il Diamante, e le VirtuÁ di questa sono infinite aÁ chi la porta nella man destra eÁ facile ad esser' Amato dalle persone, e ravviva il cuore perli gran travagli sopragiunti, e libera l'huomo di non pigliar passioni di cuore, ne mal, chi si dimanda Mazzucco, qual eÁ un veneno humido ficcato, nel Celebro, qual daÁ gravezza alla testa che molti di questo male si ne moiano. PeroÁ eÁ tal pietra di grand' utile portarla, atteso che faÁ gran giovamento alla vista. Portando il Rubino in dito, oÁ al petto la per= [4v] sona non puo esser' suggetta aÁ questo Male et haÁ unaltra virtuÁ anchora che dispone talmente insieme, le persone congiunte che difficilmete puo nasciere fraÁ loro discordia, anzi Pace, et Amore. Le Virtu del' Zaffiro. Chi non vuole star' in guerra ma vivere in Pace, e lieto, haÁ da portar questa pretiosa Pietra la qual fa vivire l'huomo senza suspetto di cosa alcuna e campare sano, et allegro, et dispone aÁ far opere, che tornino in allegrezza d'Animo, et anchora aÁ mantener la CastitaÁ. PeroÁ si truova, che anticamente li Sig.ri sposavano la Donna, co'l Zaffiro per haver tante virtuÁ da Inchinar' gli Animi alla PuritaÁ, et divotione verso Dio, ancora: HaÁ la ProprietaÁ di far campare assai allegramente. [5r] Le VirtuÁ del Smeraldo. Tanto rallegra, e conforta il cuore il Smeraldo di si risplendente, et vivo verde, che libera [gl' occhi da- -](81) le Caterate, et dalli varole, e mantiene la vista sempre sana, e dispone le persone ad Amor di se stesso co'l star sempre giocondo, e Gioviale, e di viver senza malanconia. (80) A pieÁ di pagina a destra: «greti», che riprende l'inizio della pagina seguente. (81) Inserito nel margine di sinistra, in grafia piuÁ minuta e in tondo. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 67 Le VirtuÁ della Elitropia. Quest'e una Pietra Verde con alcune gocciole di sangue, et eÁ trasparente, e chi la porta nel dito stanco del cuore, dove sono le linee del Sole, mai non potraÁ morire di freddo, manco di Cataro alcuno saraÁ offeso, e fa tutti li spiriti del Corpo unir in allegrezza, e faÁ che l'huomo si aver = [5v] tisca subito degli Inganni, che gli sono orditi. DipiuÁ s'eÂl Marito, con la Moglie, fusse indiscordia, lo fa subito pacificar l'Ira, e con tranquilitaÁ vivere. La Notte per li viaggi periculosi eÁ cosa buona portarla in Anello, perche libera l'huomo da molti fortunei Corporali. DipiuÁ mantiene La SanitaÁ, nel dar lunga vita: peroÁ conviene portarla ordinariamente, perche questa eÁ una Pretiosa Pietra, laqual haÁ molte virtuÁ occulte, che per degni rispetti non si dicono. Le VirtuÁ dello Giacinto. Il vero Giacinto eÁ del color della vernaccia qual habbi la vivacita Risplendente dell'oro, e questa Pietra tocandola, che tocchi la carne, haÁ questa Miracolosa proprietaÁ, che la [6r] Peste non possa offendere colui, che la porta, et anco che persona non possa inganarlo. Portandola ancora legata al Braccio stanco non puo esser da putrefatione alcuna offeso, et incita le persone ad Amarlo, quel che lui porta in dito oÁ al braccio destro, [haÁ tale ppieta](82). Le Virtu della Granata. Questa Pietra per la grande abondantia non eÁ fatta molto stima, et e Risplendente, e di alcune VirtuÁ bonissime e necessarõÂa aÁ portarla per che leva la gravezza della testa e manco lassa dormir la persona piuÁ dell'ordinario che la Natura comporta. Chi mette questa Pietra dentro d'una Botte di Vino, il qual sia fatto sen'za Acqua non potraÁ mai guastarsi, ne deventar' forte, et infiniti l'hanno fatto, perche simpre se gli guastava il [6v] vino nell'estate e con queste Granatini lo conservavano. Di piu sana l'humor Melanconico, col pigliarne nel tramutar' del sole in Brodo oÁ, ver vino oÁ in alcuna sorte di conserva senza pestarla, per che eÁ medicamento assai volte esprementato. Le VirtuÁ della Spinella. Questa Pietra haÁ il color' piuÁ chiaro assai, che `l Rubino, vale contra la colera, eÁ colui che l'haÁ in dito subito si ravvedi degli errori, e si rimette, e scaccia l'humor Melanconico, e fortifica la mente al bene operare. (82) ProprietaÁ (la precisazione eÁ inserita in linea, ma in tondo e apparentemente da diversa mano). 68 A. MOTTANA Le VirtuÁ dell' Agata. [7r] L'Agatha eÁ Pietra Nera e Trasparente, qualeÁ vergata di Bianco, et eÁ buona per color, che temon' il vino, per che tenendola in dito, e bevendo piuÁ dell'ordinario potraÁ haver tempo di salvarsi con honore, e col star sempre in cervello, et con dar savie risposte alli concorrenti. Di piu, ancora portandone al braccio stanco legata che tocchi la carne, vale contra la vertigine, et anco l'huomo si asicura della Morte subitanea. Le Virtu del Grisolito. Tal Pietra haÁ del Trasparente, et eÁ un Verde Gaio, il quale eÁ d'un grandissimo giovamento per coloro, che la portano in Anello nella man Sinistra, oÁ vero al collo, pur che tocchi la Carne, perche guarisce la persona del Ma = [7v] ligno humor Malanconico, e non lassa far sorte alcuna de Pazzia, anzi la(83) faÁ che la persona diventi savio, e si risguarda dalle cose, che sono nocive al corpo, et all'honore co'l cercar di procedere talmente, che possa dar di se alle persone bonissimo assaggio. Le VirtuÁ dell'Amathista. L'Amathista eÁ Pietra Paonazza, et e Trasparente, e buonissima, per coloro, che temono il vino, perche tenendola in dito e bevendo piuÁ dell'ordinario potraÁ haver tempo da salvarsi con honore, come haÁ l'Agata ancora. E chi la porta legata in Oro nella man destra li cani Rabiosi non lo pono offendere e meno puo esser da nissuna serpe morsicato. Le VirtuÁ del Sardonio. [8r] Il Color di questa Pietra eÁ un certo Nero Trasparente, et eÁ buona aÁ guarir la persona dalla Vertigine, et altre virtuÁ ancora, che portandosi addosso giova alla sorditaÁ, e Pacifica assai il Calor Venereo, e faÁ la persona Antiveder dalli pericoli, che gli ponno accadere nel voler seguitar' le sfrenate voglie, che gli sopraiongono, oÁ dal molto desiderio della cosa Amata oÁ per accidente di star troppo ocioso. Le VirtuÁ del Berillo. Il color suo eÁ Trasparente, com'Acqua, non troppo viva. et chi la portaraÁ legata in dito, con lapis lazoro saraÁ nelle sue lite fortunato e col suo procedere faraÁ, che li suoi Nimici diventeranno piacevoli, e di piuÁ la persona si mantiene audace e savia. (83) Cassato con una riga orizzontale. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU [8v] 69 Le VirtuÁ della Torchina. Quando questa Pietra eÁ vera Orientale, haÁ per proprietaÁ, che a portarla in dito, e che sia stata donata la persona che sia aÁ Cavallo, e per cascate che ponno occorrere non si puo far male e fugge gran pericoli di stroppiarsi e libera altrui dalli spaventi, che s'haÁ da(84) nel passar fiumi pericolosi. Le VirtuÁ del Smeragdo. E' Mondissimo, e stralucente, et odora di foino, et eÁ Pietra piana et si truova nel Nido degli Ucelli Griffoni eÁ fa poi aÁ chi la porta bonissima memoria, eÁ svelgiato nel procedere con cresciere, et aumentar le sue facultaÁ. Alberto Magno dice, che faÁ predire le cose future et che conforta, e sano conserva coloro, che [9r] lo portano col far benissimo Intendere. Se alcuno se'l mettera sotto la lingua subito profitizaraÁ cose di grandissima Importanza. Le Virtu dell'Iris. Questa Pietra eÁ Bianca come Cristallo, e si truova in cert'Indie del Mar' Maggiore, et assomiglia al Cristallo di Rocca, dove ordinarla aÁ modo quadrato, oÁ ver'ovato, col metterla all'incontro del Sole subito per la reverberatione faÁ apparere a modo di un'Arco Baleno, sopra di quel Muro vicino, et toccandosi gli occhi fa utile alla vista. La Virtu della Galasia. Ha questa Pietra la forma, et il colore della Gragnola, et eÁ dura come Diamante, e se questa [9v] Pietra, e poi posta in un' fortissimo fuoco non mai si scaldaraÁ e la cagion di questo, e come dice Alberto Magno, Aaron et Evax Philosofi dicono(85), che portandosi questa Pietra al dito oÁ al braccio stanco, mitiga l'Ira, et le volontaÁ che nascono dalla libidine, con altre passioni Melanconiche prodotte per troppo desiderare gusti di danno alla persona. Le VirtuÁ dell'Ambra. La vera Ambra si truova in Libia, et ancora in Bertagna, la quale e di dua colori cio eÁ Nera, et eÁ buona saper la veritaÁ della ServituÁ che la persona si tiene in Casa con toccarle un poco la carne. Et se ne truova d'un altra sorte, la quale eÁ di color palido, et eÁ buona nel curar la Idroposia, [10r] e chi alla notte se ne tiene una in bocca quando se vaÁ aÁ dormire fortifica li denti quando (84) Cassato con una riga orizzontale. (85) Cassato con linea orizzontale. 70 A. MOTTANA per discesa si trovano deboli, e scarnati, dove non eÁ piuÁ pericolo, che cascano. Basta, che sono infinite VirtuÁ. Ma per degni rispetti non si scrivono et Avicenna ancora lui ne parla di molte qualita, che la Natura gl'ha concessa. Le VirtuÁ dell' Dragonite. Questa Pietra eÁ cosi detta perche si cava dalla testa del Dragone, e se fusse altempo quando il Sole eÁ in Leone, ha la virtuÁ ch'essendo portata nel dito, eÁ buona per ottener vittoria contra gli Nimici, e di piuÁ vale ancora contra ogni veneno, e quegli, che la portaranno legata al braccio sinistro, vincera tutti gli inimici per forti, che siano, perche questo e uno segreto [10v] occulto della Natura. Le VirtuÁ dell' Aquilina. Tal Pietra si truova nel lito del Mare Oceano et l'Aquile naturalm.te se ne tengono una nel nido loro, la qual eÁ d'un color rosso scuro, et ancora, come dice Alberto Magno se ne truova di questa maniera in persia co' l'haver dentro medemamente un'altra Pietra la quale suona quando si muove. Li Antiqui Filosofi dicono, che quando questa Pietra si porta legata al braccio sinistro concilia Amore fra Marito, e Moglie e fa grand'utile alle Donne Gravide, che non si disperdono, e meno non le lassa cadere in pericolo, ne spaverntarsi, et ancora, eÁ di grandissimo giovamento per quelli che patiscono dil (86) [11r] mal Caduco. Di piuÁ se fusse veneno nel cibo la detta Pietra prohibisse, che non si possa ingiotire, e levandosi subito la Pietra subito magnia, e beve secondo l'ordinario suo. E' ancora questa Pietra pur, che sia Rossa, e Risplendente Miracolosa contra la Tempesta, e contra le Saette, le quali non ponno offendere colui, che la tiene addosso, Gia si vede s'haÁ virtuÁ grande, che se la si metteraÁ all'incontro del sole gettaraÁ fuora Raggi di fuoco, dove si puoÁ comprendere esser pietra di molto giovamento alla persona. La VirtuÁ del Orite. E' questa Pietra di color verde, e Trasparente con alcune Macchie bianche, la qual portan= [11v] disi addosso libera l'huomo da diversi pericoli di Morte et anco non lassa la persona infettarsi di mali Cattivi, e meno di Peste. Le VirtuÁ del Calcidonio. Questa Pietra e bianca Rossiggiante fosca, & assai scura, con diverse sorti di vene, e le (86) A pieÁ di pagina a destra in corpo piccolo: «Mal caduco», che richiama l'inizio della pagina seguente. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU 71 rosse sono meglio, et portate al collo, che tocchi la carne, oÁ ver' albraccio diffende la persona d'ogni Inganno, et d'ogni fantasma, et indebolisce co'l gardare li proprij Nimici e di PiuÁ conserva le VirtuÁ e forza del Corpo. Le VirtuÁ del Celidonio. Il Celidonio si truova nel mese di Luglio nel corpo della Rondine, la qual eÁ di color nero, e beretinaccio, e chi la porta al collo fa esser(87) [12r] la persona Grata, et anco solicita nel portar Amore alle cose di Casa. Praticando in luoco, dove fusse persona Impestata, e mettendosela sotto la lingua di nulla puo esser offeso, et avvertire, che molte volte se ne trovano dua de queste Pietre, et una piuÁ nera dell'altra. Le VirtuÁ dell' Largate Questa eÁ una Pietra di Color Diverso, o vario come la pelle d'una Capriola, e giaÁ come si truova per l'Historie, che Alcide, fin tanto che porto questa Pietra addosso sempre ottenne vittoria contra degli Nimici, e che sempre si mantenne sano. Le VirtuÁ dell'Oftalmia Alberto Magno dice, che non si nomina il [12v] color di questa Pietra: per che sta di tanti colori, che non se potria dir' la veritaÁ, e quando eÁ guardata la piglia la vista alli circonstanti, e per questo ha la virtuÁ [^che](88) in volta d'una foglia di Alloro fa andar' invisibile, et anco li felosofi la dimandano Guida delli Ladri. Le VirtuÁ del Silonite. La Nascie questa Pietra nel corpo delle Testugine di Mare, la qual' eÁ d'un color purpureo, con alcune vene rosse, e verde conviene occider, la Testugine in Luna crescente, et esser presto di cavarla avanti, che la testugine si raffredda: perche si consuma in Aere, et portandola; la persona haÁ virtuÁ da far star le persone Melanconiche allegre, et anco di farsi ben voler, da persona Maligna: peroÁ con questi [13r] tali, quando la persona parla aÁ Luna crescente, s'ha da tener mentre, che si parla, questa pietra sotto la lingua, e piuÁ ancora, se la persona ha da far alcuna cosa sempre sta in memoria, et altrimenti subito si scorda. Le VirtuÁ del' Alettorio. Tal Pietra si truova nel ventricolo del Gallo, e volendo haver virtuÁ conviene haver al manco cinque anni, e se piuÁ saria di miglior bontaÁ, et eÁ Rilucente come un Christallo, et eÁ (87) A pieÁ di pagina nel margine destro: «la psona» cioeÁ «la persona», come all'inizio della pagina seguente. (88) Inserito nell'interlinea in alto con un segno di richiamo sulla linea stessa. 72 A. MOTTANA come un fava, et eÁ buona per li vecchi c'hanno la Moglie giovane, portandola al collo che tocchi la carne. [et s'haÁ da uccidere a luna cresciente oÁ di Marzo oÁ diAgosto](89) Di piuÁ fa l'huomo Animoso; grato aÁ tutti, & costante, et eÁ quando la persona tiene si gran sete l'o ammorza co'l tenerla sotto la lingua. [13v] Le VirtuÁ del Lapislazoro. Lapis lazaro eÁ una Pietra Azzurra con gocciole d'Oro e Trasparente, la qual facendone una corona accompagnata da coralli fini, e che siano della Medema grossezza, et in fondo della corona attaccargli un Giacinto legato in maniera, che possa toccare la Carne, e portarne ancora, un paro di Braccialetti, eÁ di grandissimo utile, perche libera la persona dalla Peste. Non lassa radicar la Febre addosso della persona, sia di che sorte febre si voglia, et essendo aÁ questa corona alcuni bottoncini d'Ambra, e di Musco [ ^eÁ](90) di grandissimo utile al cuore. Chi havesse una Tazza di Lapislazoro per bere il vino e miracolosa cosa nel rallegrar il cuore, e manco non lassa venir' male aÁ gli occhi, et uno [14r] chavesse gran dolor di testa haÁ da fargli star dentro tant'Acqua di Bethonica tutta la Notte alla serena, e poi all'Aurora beverla, purche non passi la quantitaÁ di sette oncie, et bevuto veder da dormigli appresso; per che subito svegliato il dolor della testa passa, che la persona non se n'accorge, & rimane tutto allegro, e Sano. Veramente eÁ cosa Necessaria per la salute saper le virtuÁ di queste sopranominate Pietre Preziose, e di portarle, e non lasciarle nelle casse Rinchiuse; per che li Medigi non haveranno causa da Turbarvi con le loro medicine, le quali sono dalla Natura tant'abborite. E Voi Ill.Ma et Ecc.ma Signora, come la perla candida e Risplendente, nominata dalli filosofi eÁ il fior delle Gioie pretiose, cosõÁ quella eÁ Lei stessa Iddea delle virtuÁ, dove da Lei si nutriscono, et [14v] io(91) mi sento premere dell'Alta, et incredibile Grandezza sua, qual m'abbaglia tanto l'Alma, ch'io non posso sodisfar, ne anco aÁ me stesso sforzandomi con l'Ale dell'Ingegno volar piuÁ Alto, che la grave soma mia non pate; Ma la debolezza humana, Magnanima Signora non puote ascendere tant'alto: essa eÁ troppo gran soggietto alla mia debil penna, peroÁ ÐÐ (92) le Divine qualitaÁ della quella gradisca, questo picciolo segno della servituÁ mia verso verso ÐÐ Saggia Anima di Lei, che Infusa in si bel Manto la fa quasi, come celeste Dea adorare da tutte le genti, che la vedono, e con questo daroÁ fine per un'altra volta. (89) Frase aggiuntiva in linea (meno l'ultima parola, che eÁ sottoscritta nell'interlinea), ma in altra grafia e in corpo minore. (90) Inserito nell'interlinea in alto con un segno di richiamo sulla linea stessa. (91) Cassato con linea orizzontale continua. (92) Cassato con una tripla linea orizzontale continua. Á DELLE PIETRE PRETIOSE PER SALUTE DEL VIVERE HUMANO» ... «LE MIRACOLOSE VIRTU Fig. 3. ± L'explicit del trattato sulle pietre preziose, al verso della carta 14. 73