Raffaello a Capodimonte
L’officina dell’artista
10 giugno - 13 settembre 2021
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Direttore Generale
Sylvain Bellenger
Progetto mostra
Angela Cerasuolo e Andrea Zezza
Con il patrocinio del
Comitato nazionale per la celebrazione dei
500 anni dalla morte di Raffello Sanzio
Coordinamento indagini diagnostiche
Marco Cardinali
Comitato scientifico
Sylvain Bellenger, Marco Cardinali,
Angela Cerasuolo, Jill Dunkerton,
Ana González Mozo, Costanza Miliani,
Francesco Paolo Romano, Marika Spring,
Andrea Zezza
Direzione lavori allestimento
Chiara Figliolia
Supporto tecnico
Antonia Angelone, Achille Molitierno
Progetto illuminotecnico
Pietro Palladino
Ufficio mostre e prestiti
Patrizia Piscitello, Concetta Capasso,
Giovanna Bile
Coordinamento progetto grafico
Francesca Dal Lago
Restauri
Roberto Buda, Angela Cerasuolo,
Angela Iuppariello, Francesco Virnicchi
Dipartimento curatoriale
Alessandra Rullo, Patrizia Piscitello,
Maria Tamajo Contarini
Ufficio Restauro
Angela Cerasuolo, Antonio De Riggi,
Simonetta Funel, Antonio Tosini,
Sara Vitulli, Alessia Zaccaria, Liliana Caso
Ufficio documentazione
Alessandra Rullo, Paola Aveta,
Valentina Canone
© 2021 editori paparo srl - Roma - Napoli
[email protected]
www. editoripaparo.com
Euro 40,00
ISBN 978 88 31983 600
Responsabile del catalogo digitale e
digitalizzazione
Carmine Romano
Ufficio Stampa
Luisa Maradei
Sito web, social media e cerimoniale
Marina Morra
Dipartimento Architettura
ed interim Bilancio e Contabilita
Anna Capuano
Supporto Ufficio Gare e Contratti
Grazia Barlese
Consulenza legale-amministrativa
Carmine Panico
Ufficio Comunicazione
Roberta Senese, Pasqualina Uccello,
Giovanna Garaffa
Traduzioni
Claire Van Cleave, American Friends of
Capodimonte Fellow Curator
Progettazione Grafica
Francesco Giordano
Realizzazione allestimento
Langella Srl
Coordinamento movimentazioni
Patrizia Piscitello, Alessandra Rullo,
Vincienzo Paciello
Movimentazioni
Montenovi Srl
Sponsor tecnici
ERCO
Tecno Srl
Indagini diagnostiche per la mostra
Università della Campania “Luigi Vanvitelli”,
Dipartimento di Lettere e Beni Culturali
Consiglio Nazionale delle Ricerche,
Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale
(ISPC) del CNR
INFN di Catania Laboratori Nazionali del
Sud (LNS)
Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche
del CNR (SCITEC) di Perugia
Istituto Centrale del Restauro
Laboratoire d’Archéologie Moléculaire et
Structurale (LAMS) di Parigi
Altre indagini diagnostiche
Emmebi Diagnostica Artistica Srl
Istituto Nazionale di Ottica
M.I.D.A. di C. Falcucci
Arsmensurae di S. Ridolfi
Catalogo a cura di
Angela Cerasuolo e Andrea Zezza
con la collaborazione di Marco Cardinali
Schede
La scheda A1 è di Alessandra Rullo; le
schede A3, C3 e C4 sono di Chiara Violini,
la scheda A4 è di Anna Tranquillo.
Le altre schede sono state redatte in
collaborazione tra Marco Cardinali, Angela
Cerasuolo e Andrea Zezza
Redazione
Gianluca Puccio
Coordinamento editoriale e progetto grafico
Editori Paparo
Si ringraziano per il catalogo
Ornella Agrillo, Anna Maria Ambrosini
Massari, Amedeo Benestante, Roberto Buda,
Maria Ida Catalano, Maria Luisa Chirico,
Rosanna Cioffi, Roberto Cobianchi, Claudia
Daffara, Alessandro Delpriori, Maria Beatrice
De Ruggieri, Michela di Macco, Francesco
Paolo Di Teodoro, Cecilia Frosinini, Silvia
Ginzburg, Michele Gironda, Tiffany L.
Hunt, Marcella Ioele, Riccardo Lattuada,
Maurizio Lorber, Ilaria Miarelli Mariani,
Marica Mercalli, Andrea Milanese, Pietro
Palladino, Raffaella Parzanese, Matteo
Positano, Carlo Rescigno, Giovanni Russo,
Giulio Sodano, Gelsomina Spione, Piera
Tabaglio, Laura Teza, Paolo Violini,
Francesco Virnicchi, Giulia Zorzetti
Si ringrazia per il generoso contributo
il cavaliere del lavoro Luciano Cimmino
Si ringrazia per la collaborazione
e il supporto
Il personale del Museo e Real Bosco di
Capodimonte e il supporto ALES
Il personale del Dipartimento di Lettere e
Beni Culturali dell’Università degli Studi
della Campania “Luigi Vanvitelli”
Sommario
4
6
7
Presentazioni:
Sylvain Bellenger
Giulio Sodano
Costanza Miliani
9
Angela Cerasuolo, Andrea Zezza
Prefazione
10
Jill Dunkerton, Marika Spring
Introduzione
13
Andrea Zezza
Raffaello a Napoli
29
Angela Cerasuolo
La tecnica e i restauri: una storia in presenza
43
55
64
66
68
70
74
Marco Cardinali
Passato presente e futuro nelle indagini diagnostiche. Il caso Raffaello dalla connoisseurship
alla Technical Art History
Francesco Paolo Romano, Claudia Caliri, Santo Gammino, Costanza Miliani,
Danilo Paolo Pavone, Aldo Romani, Francesca Rosi
Indagini non invasive di imaging dei dipinti di Raffaello della collezione del Museo
e Real Bosco di Capodimonte
Sezione A - Una scuola eccezionale: maestri e fratelli maggiori
A.1 Jacopo de’ Barbari (attr.), Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo
A.2 Luca Signorelli, Natività
A.3 Perugino, Madonna col Bambino
A.4 Bernardino Pinturicchio, Assunzione della Vergine
78
80
100
110
116
130
Sezione B - Raffaello a Capodimonte: dall’inizio alla piena maturità
B.1 Eterno Padre e Vergine, frammenti dalla Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino
B.2 Ritratto di Alessandro Farnese cardinale
B.3 Mosè davanti al roveto ardente
B.4 Madonna del Divino Amore
B.5 Ignoto sec. XVI, da Raffaello, Madonna del Divino Amore
136
138
158
170
176
184
188
Sezione C - Una strordinaria fortuna: derivazioni, variazioni, copie, repliche, falsi
C.1 Giulio Romano, Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino detta Madonna della Gatta
C.2 Sacra Famiglia con san Giovannino detta Madonna del Passeggio
C.3 Madonna ‘Bridgewater’
C.4 Sacra Famiglia detta Madonna del popolo, di Loreto, o del Velo
C.5 Daniele da Volterra, San Giuseppe, copia parziale dalla Madonna del Velo
C.6 Andrea del Sarto, Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’Medici e Lugi de’ Rossi
195
207
Bibliografia
Crediti
29
La tecnica e i restauri: una storia in presenza
Angela Cerasuolo
N
el 1969, nell’editoriale che inaugurava la rivista
Storia dell’arte, Giulio Carlo Argan rivendicava
per la disciplina «la possibilità e la necessità» di
uno statuto «speciale», a causa di una condizione
peculiare e ineludibile rispetto alle altre discipline
storiche. Infatti «lo storico dell’arte, che dei fatti
artistici deve spiegare il significato intrinseco, non
può limitarsi a proclamarli memorabili, deve averli
presenti. La storia dell’arte è infatti la sola, fra tutte
le storie speciali, che si faccia in presenza degli
eventi e quindi non debba evocarli né ricostruirli
né narrarli, ma soltanto interpretarli»1.
In questo particolare momento in cui l’espressione ‘in presenza’ è diventata l’antitesi di attività
succedanee che tentano di creare con mezzi di comunicazione informatici luoghi virtuali di incontro
e di confronto, in cui l’immagine smaterializzata
dei tesori racchiusi nei musei è stata offerta come
consolazione transitoria di un’impossibile contatto
diretto, è ancora più evidente la necessità di rinnovare un contatto in presenza per riattualizzare il
senso di quelle opere altrimenti inaccessibile.
Dall’osservatorio offerto dal museo e dalle sollecitazioni poste dalla cura conservativa ciò appare
al tempo stesso un’esigenza e un’opportunità. Le
opere, testimoni di tante vicende e di tanti giudizi,
sono lì ad attendere una nuova interpretazione,
si offrono e sfidano la nostra capacità di comprenderle.
La storia della costituzione delle raccolte, dei
passaggi di proprietà, degli eventi traumatici delle
guerre e dei trasferimenti, il giudizio degli studiosi
e degli amatori, le copie, le incisioni, la storia dei
restauri più antichi e i resoconti degli interventi più
recenti, ruotano attorno al microcosmo che ogni
singolo oggetto costituisce, e può, primo documento
della sua storia, ogni volta tornare a dischiuderci.
E se la storia dell’arte è una storia speciale, la
scienza applicata allo studio delle opere d’arte non
può che essere una scienza speciale, necessariamente
intrisa e consapevole di tutte le altre vie di accesso
alla lettura di quelle opere, che pongono gli interrogativi e interpretano i dati. In una certa misura, è
anch’essa una disciplina umanistica, poiché prende
senso dall’oggetto della sua analisi.
Questa mostra, pur nei limiti di una proposta
di metodo, mira a perseguire l’integrazione fra le
diverse discipline e le diverse serie di informazioni
senza gerarchie e divisioni settoriali, integrazione
dettata dagli oggetti stessi, nella loro flagrante
unicità.
Talvolta il lavoro sul campo rivela aspetti inediti e sorprendenti delle opere affrontandone i
problemi conservativi, cercando di comprenderne
la fragile composizione materiale, di ripercorrerne
l’iter esecutivo e la storia dei restauri passati.
Alcune delle opere presentate in questa mostra
sono paradigmatiche di quanto fin qui detto, a
cominciare dai frammenti della pala di San Nicola
da Tolentino (cat. B.1), conservati a lungo nelle
collezioni del museo napoletano senza più memoria della loro origine.
La loro stessa acquisizione testimonia un momento drammatico, legato alle guerre napoleoniche,
ai trafugamenti e alle spoliazioni che sconvolsero
l’Europa e condizionarono non poco l’assetto e lo
statuto delle raccolte d’arte pubbliche e private.
Furono infatti ‘prelevate’ dall’emissario di Ferdinando di Borbone, Domenico Venuti, da San
Luigi dei Francesi dove erano state convogliate e
poi abbandonate nella fuga le opere razziate dalle
truppe napoleoniche. I due quadri provenivano
dalle stanze di papa Pio VI, come pure la monumentale splendida Assunta di Fra Bartolomeo e un
altro dipinto esposto nella mostra, la piccola Madonna col Bambino del Perugino (cat. A.2). Venuti
aveva chiesto al re di essere inviato a Roma per recuperare le opere trafugate dalle raccolte farnesiane
30
Raffaello a Capodimonte
Fig. 1. Giovan Battista
Cavalcaselle, Schizzi dai
frammenti della
Incoronazione di San
Nicola da Tolentino,
Venezia, Biblioteca
Nazionale Marciana,
Fondo Cavalcaselle, Cod.
It. IV 2037 (=12278),
taccuino IX, c. 57v.
di Capodimonte, ma una volta sul posto non esitò
a operare disinvolti ‘colpi di mano’ pur di raggiungere lo scopo di servire il re e accrescere le collezioni
d’arte napoletane2. Successivamente, Venuti rimase
nella capitale per approfittare dello straordinario
momento in cui si stavano riversando sul mercato
le opere delle grandi collezioni nobiliari romane,
sicuro di poter continuare a realizzare importanti
acquisizioni per le collezioni reali.
L’integrazione e l’accrescimento delle ‘scuole’
meno rappresentate era una delle sue preoccupazioni, e Raffaello era senz’altro uno degli obiettivi
più ambiti.
Fra gli acquisti realizzati Venuti potette vantare
quello di un’importante pala d’altare, la pala Colonna, che arricchì per decenni le raccolte napoletane prima di essere portata con sé da Francesco II
nel 1860 a Gaeta poi a Madrid e quindi venduta,
per giungere attraverso vari passaggi di proprietà al
Metropolitan Museum di New York3.
La descrizione della pala – nella nota dei quadri
acquistati del 29 Novembre 1803 – denota alcuni
aspetti significativi dell’approccio di Venuti e dei
dati più rilevanti ai suoi occhi; l’autenticità: «originalissimo» è detto il quadro principale, entrambe
le tavole sono «pregevoli assai per la mano dell’Autore»; lo stato di conservazione, soprattutto l’entità
di manomissioni e ridipinture: «riattato non molto»,
«nei panni velato in parte», «le teste, le carni [...]
ben conservate»; lo stile: non lo stile sommo di Raffaello maturo, ma ugualmente rilevante, poiché mostra «l’uso antico» del maestro «quando era uscito
dalla Scuola di Perugino, e perciò ha qualche cosa
di quel secco»4.
Ma i frammenti della pala Baronci, pur riconosciuti certo come opere di pregio, furono portati a
Napoli e conservati nella Galleria Francavilla senza
più consapevolezza della loro identità, come pure,
chissà, un terzo frammento, che si potrebbe riconoscere in quel «Quadro in tavola di un vescovo,
busto del Perugino» di cui Wicar avrebbe rivendicato la proprietà5 e di cui poi si sono perse le tracce.
Il riconoscimento avvenne solo nel 1912, con
l’intuizione di Fischel6. Questa fu resa possibile da
un importante tassello che si era aggiunto alle tracce
esistenti, i documenti della commissione resi noti
da Magherini Graziani7, ma anche e soprattutto
dalla pulitura del Cavenaghi, che rivelò nell’Angelo
di Brescia le tracce di dettagli – il libro, le ali, uno
spigolo di pilastro – già occultati da una uniforme
Saggi
ridipintura scura, che attestavano la natura di frammento del quadretto, consentendone l’identificazione e portando quindi alla scoperta anche dei
frammenti del museo di Napoli8.
Vittorio Spinazzola, appena posto alla direzione
del Museo Nazionale, pubblicò allora tempestivamente un articolo in cui esaminava con acume da
archeologo i due frammenti, ripercorrendo l’iter
seguito qualche decennio prima da Giovan Battista
Cavalcaselle, che per primo aveva riconosciuto la
natura frammentaria dei due dipinti individuandone
la comune provenienza da una pala, come attestano
anche i suoi appunti9 (fig. 1). Una foto d’archivio
testimonia il confronto eseguito da Spinazzola ponendo sullo stesso cavalletto l’Eterno – in cui erano
rimasti ben visibili la mandorla e i cherubini ma
apparivano occultate le corone frammentarie – e la
Vergine recuperata dal deposito (fig. 2). Questa
presentava il fondo ricoperto da una ridipintura
scura attraverso la quale lo studioso aveva individuato – forse con la luce radente – i contorni di architettura e cherubino segnandoli in bianco. Aveva
rintracciato infine le due metà della corona rimaste
separate fra i due frammenti, per evidenziare come
essi mostrassero «non ostante che accuratamente
cancellate, le tracce di parti divise quando i pezzi
furono disgiunti ma ancor perfettamente combacianti fra loro»10.
Il ricongiungimento proposto in quell’articolo –
«io credo che la impressione ne sarebbe solenne»,
fu realizzato probabilmente poco dopo: ne troviamo
infatti notizia nella relazione del restauro successivo
dove si fa riferimento a un intervento «eseguito verso
il 1920», quando «mediante l’inserzione di un pannello di legno la sagoma del dipinto era stata regolarizzata in forma rettangolare»11. Un’altra foto d’archivio (fig. 3) testimonia questo restauro. L’aggiunta
sarebbe stata eliminata ponendo i due frammenti
su un supporto comune nel 1957 in occasione del
restauro di Leonetto Tintori, improntato a una linea
singolarmente rigorosa, inusuale nella pinacoteca
napoletana: «Per questa opera, unica tra i dipinti
del Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, è
stato seguito un criterio di restauro rigorosamente
‘archeologico’. Infatti, il frammento è stato liberato
da tutte le ridipinture e restituito alla purezza della
superstite superficie pittorica originaria»12.
La difficoltà a confrontarsi con lo statuto del
tutto eccezionale dei frammenti traspare da questa
soluzione, che privilegiando la presentazione del
documento ‘autentico’ finiva per penalizzare la
lettura del testo figurativo mettendo in risalto le
lacune con un’uniforme tinta cosiddetta ‘neutra’
piuttosto che attenuarle (fig. 4). Ciò risultava incongruo soprattutto per il frammento della Vergine, il cui volto è attraversato verticalmente da
una lesione che, così evidenziata, ne scompaginava
del tutto la fisionomia (fig. 5a).
Il restauro successivo di Francesco Virnicchi dovette in primo luogo affrontare le delicate condizioni
del supporto, compromesso da un drastico assottigliamento e dall’applicazione di una ‘parchettatura’
estremamente fitta e rigida che aveva causato sollevamenti e distacchi degli strati pittorici13. Successivamente, alla pulitura fece seguito la scelta di una
31
Fig. 2. Raffaello e
Evangelista di Pian di
Meleto, Eterno Padre e
Vergine, foto che
documenta la
ricostruzione realizzata da
Vittorio Spinazzola nel
1912 ponendo sullo stesso
cavalletto i due frammenti
(neg. AFSBAS n. 2603).
32
Fig. 3. Raffaello e
Evangelista di Pian di
Meleto, Eterno Padre e
Vergine, i due frammenti
ricongiunti dopo il
restauro eseguito verso il
1920 (foto prima del
restauro Tintori, neg.
AFSBAS n. 13409).
Fig. 4. Raffaello e
Evangelista di Pian di
Meleto, Eterno Padre e
Vergine, dopo il restauro
Tintori nel 1957 (neg.
AFSBAS n. 14284).
Raffaello a Capodimonte
integrazione più compiuta, tesa tanto a risarcire le
piccole abrasioni superficiali che a ridare continuità
al tessuto figurativo integrando le lacune più estese
con un lieve tratteggio che ne consentisse il riconoscimento a un esame ravvicinato (fig. 5b)14.
L’inevitabile selettività di ogni intervento si manifesta con evidenza nel restauro dei frammenti
della pala Baronci, in cui coesistono esigenze documentali, conservative, estetiche, ciascuna in dialettica con le altre, nella tensione a un equilibrio
più che mai delicato. L’esame materiale della Vergine e dell’Eterno, confrontato con analoghe osservazioni realizzate sugli altri due frammenti, ha
consentito acquisizioni sulle modalità esecutive del
primo Raffaello (di cui diamo conto nella scheda),
ma ha fornito anche importanti riferimenti utili a
formulare un’ipotesi di ricostruzione della pala,
come la dimensioni delle assi del supporto, le proporzioni delle figure, la costruzione prospettica
dello spazio.
Anche altri dipinti ugualmente decontestualizzati, fra le opere qui esposte, suggeriscono possibili
ipotesi di formato e collocazione originaria attraverso le tracce materiali di manomissioni e modifiche subite in passato. È il caso della tavola del Perugino e di quella del Signorelli. La Madonna del
Perugino (cat. A.2) risulta riportata a un formato
rettangolare di ‘quadretto’ con inserti triangolari
che ne hanno regolarizzato la sagoma centinata o
cuspidata; questo dato, assieme alle tracce, sui margini laterali, di probabili colonnine che ne coprivano
in parte la composizione (figg. 6a-b), lascia supporre
un’originaria funzione di altarolo con l’eventuale
presenza di sportelli ora dispersi. L’Adorazione di
Signorelli (cat. A.3) presenta due ampie lacune quadrangolari su entrambi i lati inferiori, integrate con
inserti lignei in antico, di cui si può ipotizzare l’origine in elementi architettonici simmetrici (basi di
colonne? sporgenze dell’altare?) che dovevano essere posti ai lati del dipinto nella collocazione originaria, coprendolo in parte (fig. 7). Sono informazioni attualmente non del tutto decifrabili, ma che
potrebbero in futuro essere di ausilio per una ricostruzione del contesto di origine.
Ma se il restauro può offrire agli studi indicazioni
materiali importanti per il riconoscimento dell’opera
assieme a un’immagine maggiormente leggibile, è
altrettanto vero che quando si intraprende un restauro ogni informazione proveniente dagli strumenti ‘tradizionali’ della storia dell’arte può essere
di ausilio nelle scelte da operare. Può trattarsi di
documenti d’archivio, come le carte che raccontano
con dovizia di particolari la tormentata storia dei
restauri ottocenteschi della Madonna della Gatta
(cat. C.1)15, ma anche documenti iconografici, come
le copie, le incisioni, le fotografie più o meno antiche
Saggi
che documentano le condizioni conservative e i restauri passati, per arrivare alle immagini tecniche
prodotte dalle indagini scientifiche, assimilabili anch’esse, di fatto, alla categoria di documenti.
Così pure illuminano e danno importanti indicazioni le tappe segnate dal giudizio degli storici,
degli eruditi, dei visitatori che hanno lasciato traccia
del loro passaggio: cosa vedevano, cosa condizionava i loro giudizi, in che stato gli si presentavano
le opere, di quali strumenti disponevano a noi non
più accessibili e quali fra quelli ora in nostro possesso gli erano preclusi. Notevoli fra questi i resoconti di conoscitori come Tommaso Puccini e Giovan Battista Cavalcaselle che possiamo attingere
dalle osservazioni ‘private’ dei loro appunti, tese
allo scrutinio materiale degli oggetti che esaminano
e ad annotare tutto quanto possa servirgli in futuro16.
Più volte nelle schede di questo catalogo le loro
osservazioni sono risultate importanti nel tracciare
la fortuna critica e nel contribuire all’interpretazione
attuale di queste opere riguardo lo stato di conservazione e le traversie subite. Anche la capacità di
lettura della tecnica esecutiva spesso era per loro
più agevole, per le condizioni meno compromesse
ma anche per una comprensione più immediata dei
procedimenti esecutivi, legati a una tradizione ancora viva. Colpisce per esempio come Cavalcaselle
individui senza esitazione come ‘olio’ il medium
dell’Eterno e della Vergine, che sono eseguiti con
una tecnica tutt’altro che consueta e facilmente decifrabile, e pur nelle condizioni di scarsa leggibilità
in cui li osservava non manchi di notare le ombre
verdi degli incarnati, ora ben evidenziate oggi dalle
indagini17.
Lo studio della tecnica esecutiva delle opere sta
entrando sempre più nelle consuetudini dei laboratori di restauro italiani, superando un pregiudizio
che vedeva le indagini scientifiche utili solo in casi
specifici, allorché fosse necessario individuare ridipinture o manomissioni e discriminare quindi i materiali originali rispetto a quelli di apporto, e comunque solo nel caso di opere di particolare
importanza e pregio. Vista dal punto di vista del laboratorio di restauro, va detto che l’importanza di
33
Fig. 5a. Raffaello e
Evangelista di Pian di
Meleto, dettaglio della
Vergine nel 1983 prima del
restauro Virnicchi, con
l’integrazione di Leonetto
Tintori.
Fig. 5b. Raffaello e
Evangelista di Pian di
Meleto, dettaglio della
Vergine dopo il restauro
Virnicchi.
34
Fig. 6a-b. Perugino e aiuti,
Madonna con Bambino,
durante il restauro
Zorzetti, Foglia, dettaglio
dopo la pulitura in luce
visibile (a) e in
fluorescenza UV (b): sono
visibili i due inserti
triangolari in alto e le aree
simmetriche mai dipinte
lungo i margini laterali,
probabilmente in origine
coperte da elementi di una
cornice.
Raffaello a Capodimonte
questi studi non è ausiliaria e strumentale, o almeno
non solo: conoscere i procedimenti esecutivi dei diversi ambiti storici e geografici, grazie alla possibilità
sempre più raffinata che i progressi tecnologici ci
offrono di individuare i materiali costitutivi, comprenderne la complessa stratigrafia, le interazioni,
gli assestamenti, le alterazioni, non è utile sono nel
caso specifico in cui le indagini sono realizzate, ma
serve piuttosto a fornire un quadro di conoscenze
più ampio, che possa guidare l’operato dei restauratori nei casi futuri per operare con maggior consapevolezza. Inutile dire che strumento e fine degli
studi sulla tecnica è la storia dell’arte in tutte le sue
diramazioni e che la letteratura artistica e i documenti d’archivio sono fondamentali per comprendere i dati analitici, documenti anch’essi da sottoporre a vaglio critico, non certo oggettive evidenze.
Avvengono poi alcune convergenze, per cui il documento analitico e quello d’archivio si illuminano
a vicenda e diventano utili nel percorso conoscitivo
di un intervento di restauro. Un esempio, fra i tanti
possibili, la rispondenza fra le tracce materiali rinvenute sul supporto, sui margini e sulla superficie
della Madonna del Divino Amore e i documenti
d’archivio che descrivono il lungo dibattito che fra
il 1840 e il 1842 accompagnò la scelta di un metodo
per disinfestare la tavola da un attacco di insetti xilofagi, per cui si costituì un’apposita commissione18.
Alla fine, seguendo il metodo proposto da Oronzio
Gabriele Costa, noto scienziato in quegli anni docente di Zoologia presso l’Università di Napoli, la
tavola venne trattata con arseniato di potassio fatto
penetrare nel legno attraverso i fori prodotti dai
tarli e poi foderata con carta. Venne quindi dato
l’incarico al restauratore Nicola La Volpe, sotto la
direzione di Camillo Guerra, di occuparsi della
parte dipinta, provvedendo a chiudere i fori lasciati
dai tarli con «stucco a colore», una miscela a base
Saggi
35
Fig. 7. Luca Signorelli,
Natività, durante il
restauro di Italo Dal Mas:
sono visibili le ampie aree
quadrangolari
corrispondenti ad antichi
inserti lignei (neg. n.
AFSBAS 13398).
di olio e pigmenti intonata alla tinta locale. Tanto la
carta applicata a protezione del supporto dopo il
trattamento che le stuccature colorate sono state
rinvenute nel corso del restauro, e le carte d’archivio
hanno consentito di collegarle all’intervento storico.
Le piccole stuccature puntiformi ottocentesche sono
risultate inoltre chiaramente visibili nell’esame
MaXRF (figg. 8a-b ), che con la mappa della distribuzione del ferro ha evidenziato tutti i fori colmati
con la miscela composta di pigmenti contenenti
quell’elemento (ocre e terre), consentendo di distinguerle dalle stuccature più recenti. Il restauro
di La Volpe si sarebbe completato, come di consueto, coprendo «di vernice in generale tutto il quadro per togliere quell’appannato che avrebbero mostrato i piccoli ritocchi eseguiti»19.
La pratica di sottoporre a verniciatura i dipinti
era abituale presso la pinacoteca napoletana fin
dalla fine del Settecento, quando la Lettera sull’uso
delle vernici di Hackert aveva promosso il metodo
di Federico Anders, appena divenuto restauratore
di corte, e sancito le qualità positive della vernice
mastice, non senza polemiche20. L’adozione di un
materiale facilmente reversibile ha senz’altro condizionato positivamente la conservazione dei dipinti
napoletani, che è sempre stata improntata a un approccio cauto e misurato. D’altra parte però le ripetute verniciature, praticate in modo sistematico
come malintesa prassi manutentiva, col tempo
hanno causato una notevole alterazione all’aspetto
delle opere, che sul momento risultavano ravvivate,
ma poi, con l’ingiallimento e l’opacizzazione delle
vernici, divenivano via via più oscure.
È il principale motivo per cui la maggior parte
dei dipinti del museo avevano finito per risultare
scarsamente leggibili, e agli inizi del Novecento si
presentavano in condizioni problematiche.
Nel 1960 Raffaello Causa nel ripercorrere la storia recente dei restauri a Napoli, avrebbe sottolineato questo aspetto: «Chi scorresse taluni scritti
polemici relativi alla Pinacoteca di Napoli nei primi
decenni del Novecento, troverebbe notizie racca-
36
Raffaello a Capodimonte
Fig. 8a. Raffaello,
Madonna del Divino
Amore, MaXRF, mappa
della distribuzione del
ferro, che evidenzia i fori
contenenti ocre, risalenti
al restauro ottocentesco.
priccianti circa le condizioni nelle quali si conservavano i suoi capolavori. Ma ancora dopo quest’ultima guerra erano molte le opere che soprattutto
nelle chiese, ma anche nei musei si presentano opache per lo stratificarsi di vernici ossidate e di polvere
secolare»21.
I restauri realizzati in occasione del trasferimento
delle collezioni al museo di Capodimonte cambiarono in molti casi radicalmente l’aspetto dei dipinti,
rimuovendo per la prima volta dopo secoli questa
Saggi
stratificazione sedimentata. Basta scorrere le pagine
del catalogo della IV mostra di restauri, che presentava con orgoglio i risultati della campagna di
recuperi appena realizzati, per vedere questa trasformazione, ben documentata dalle splendide foto
realizzate sistematicamente in quegli anni dal laboratorio fotografico della Soprintendenza napoletana22. Ampiamente valorizzato nell’organizzazione
dei nuovi moderni laboratori creati da Bruno Molajoli a Capodimonte, il laboratorio aveva ereditato
strumenti e competenze formatisi agli esordi dell’esperienza del Gabinetto Pinacologico, l’ambizioso
progetto perseguito da Sergio Ortolani che avrebbe
dovuto soprintendere allo studio tecnico e al restauro dei dipinti di tutto il meridione, ma che si
arenò per mancanza di sostegno politico23. Agli anni
di Ortolani risale il restauro realizzato da Stanislao
Trojano del Ritratto del cardinale Alessandro Farnese
(1933-1934)24. La maggior parte dei dipinti esposti
in questa mostra furono restaurati nel nuovo laboratorio di conservazione di Capodimonte, dove operarono intensamente per alcuni anni fianco a fianco
restauratori locali e professionisti confluiti dai più
attivi centri di restauro nazionali, contribuendo a
una nuova immagine del museo, degna dell’importanza delle sue collezioni25.
Fra le opere di questa mostra, furono restaurati
in quel breve giro di anni i frammenti della pala di
san Nicola da Tolentino (Leonetto Tintori, 1957),
la Madonna del Divino Amore (Italo Dal Mas, 1957),
la Madonna della Gatta (Italo Dal Mas, 1956), la
Madonna del passeggio (Maria Fava, 1959), l’Assunta
del Pinturicchio (Italo Dal Mas, 1956), la Madonna
col Bambino del Perugino (Francesco Cutillo, Leonetto Tintori, 1957), il Ritratto di Luca Pacioli (Italo
Dal Mas, 1956), il Leone X di Andrea del Sarto
(Edo Masini, 1956-1957), la Natività del Signorelli
(Italo Dal Mas, 1957). Le immagini di documentazione di questi restauri, di cui pubblichiamo diversi
esempi nelle schede, evidenziano bene la grande
differenza fra le condizioni prima e dopo gli interventi, che recuperarono in molti casi una leggibilità
del tutto oscurata, fornendo le basi per un più fondato giudizio critico26.
Spesso la documentazione fotografica è tutto
quello che abbiamo per poterci fare un’idea dei
restauri a cui sono state sottoposte le opere, e in
alcuni casi dalle foto d’archivio possiamo desumere
anche più di quanto ci dicano le relazioni scritte
(se pure reperibili): è quanto si è verificato nel
corso del restauro di Italo Dal Mas della Madonna
della Gatta, di cui viene dato conto in maniera sin-
37
Fig.8b-c. Raffaello,
Madonna del Divino
Amore, dettagli durante il
restauro, dove sono visibili
i fori colmati con «stucco
a colore» durante il
restauro di Nicola La
Volpe del 1841.
38
Fig. 9. Anton Raphael
Mengs, copia da Raffaello,
Madonna del Divino
Amore, Dresda,
Gemäldegalerie.
Raffaello a Capodimonte
tetica negli indici della IV mostra, enfatizzando il
recupero del «particolare del grande letto disfatto,
con la sontuosa spalliera classicheggiante» già coperto da una uniforme ridipintura scura, ma mancando di menzionare la rimozione dalla testa del
San Giovannino della ridipintura – risalente probabilmente al restauro ottocentesco di Achille Fiore
– che pure è chiaramente documentata dalle foto,
i cui numeri di negativo sono precisamente registrati nella scheda27.
Per le epoche precedenti all’introduzione della
fotografia, svolgono a volte un’importante funzione
di riferimento le copie, che rivestono uno statuto
singolare: al tempo stesso sono opere in sé, significative di un’epoca e di un autore, ma anche documenti dell’opera copiata, di cui possono testimoniare gli spostamenti, la ricezione, la fortuna critica,
nonché le condizioni materiali prima di manomissioni e danneggiamenti.
Le innumerevoli copie della Madonna del Divino
Amore (cat. B.4) – opera che vanta una enorme fortuna iconografica – sotto questo aspetto coprono
davvero l’intera casistica e meriterebbero uno studio
specifico. Oltre alla copia su carta qui esposta (cat.
B.5) che ne ha accompagnato una parte della storia
collezionistica condizionandone non poco la fortuna
critica, possiamo ricordarne alcune che rivestono
particolare interesse.
Colpisce, ed è un’importante conferma per le
scelte operate nel corso della pulitura, che il dettaglio
verde chiaro del ginocchio della sant’Anna, ritenuto
troppo stridente nel precedente intervento e per questo attenuato con una velatura calda – per una sorta
di ipercorrettismo che ancora indugiava a intonare i
dipinti con ‘patine’ colorate al fine di armonizzarne
l’insieme restituendogli il ‘dorato’ dell’antico – si ritrovi nell’identico tono freddo emerso dopo il restauro in alcune copie cinquecentesche, come quella
conservata nel Museo della Cattedrale di Malta. Ma
colpisce ancor di più rinvenire il dettaglio nello stesso
tono nella copia in miniatura di Mengs conservata
alla Gemäldegalerie di Dresda (fig. 8), che denota
una notevole fedeltà cromatica, oltre che formale,
con l’originale riprodotto28. Eppure, eseguita a Roma
prima del 1744, dovrebbe essere stata realizzata attraverso un’altra copia e non sull’originale a Napoli,
che Mengs avrebbe avuto modo di vedere direttamente solo qualche tempo dopo.
Fra le innumerevoli repliche antiche di cui ci
sono arrivate testimonianze documentarie e materiali, particolare interesse riveste una copia realizzata
probabilmente quando il dipinto era ancora nella
collezione di Rodolfo Pio (fig. 10), che reca un’iscrizione che la attribuisce a Daniele da Volterra: «Gabriello Bonarello fece fare da Daniello di Volterra»29.
Una ulteriore preziosa testimonianza dell’attività di
copista del Ricciarelli, di cui qui esponiamo la copia
del San Giuseppe dalla Madonna di Loreto pervenuta
dalla collezione Orsini, che includeva ben otto altre
copie di questo autore.
Nella copia della Madonna del Divino Amore
oggi in collezione privata, riprodotta con meticolosa
fedeltà, la riflettografia ha evidenziato il trasferimento del disegno tramite lo spolvero, strumento il
cui uso è stato rivelato nel disegno sottogiacente
anche in alcune opere di invenzione di Daniele,
Saggi
39
Fig. 10. Daniele da
Volterra, copia da
Raffaello, Madonna del
Divino Amore, collezione
privata.
come la Madonna col Bambino, san Giovannino e
santa Barbara recentemente acquisita dal museo degli Uffizi30. Giovan Battista Armenini, convinto sostenitore dell’uso del cartone, ricordava Daniele nel
novero dei grandi che se ne erano avvalsi per rag-
giungere l’eccellenza delle loro opere, assieme a Michelangelo, Leonardo, Raffaello e Perino, testimoniando di aver personalmente ammirato cartoni di
questi artisti eseguiti con «ogni possibile perfezzione
d’incredibile maestria» e ricordando al contempo
40
Fig. 11. Paolino Girgenti,
copia da Giulio Romano,
Madonna della Gatta,
dettaglio.
Raffaello a Capodimonte
la presenza di « molte reliquie che ci restano in diverse città, che sono sparse per le case de’ nobili
cittadini, le quali, come cose meravigliose, si tengono
da loro carissime e con molta riverenza e ri-
sguardo»31. Se di tutti gli altri maestri citati sono
ben noti cartoni – primi fra tutti quelli della collezione Orsini oggi a Capodimonte – è proprio attraverso l’indagine riflettografica che possiamo trovare
conferma della dichiarazione di Armenini per Daniele da Volterra, di cui per il resto l’unica testimonianza nella produzione grafica si può rintracciare
nel disegno per il ritratto di Michelangelo conservato
al Teylers Museum di Haarlem, vero e proprio ‘cartonetto’ accuratamente forato32.
La funzione di testimonianza della copia può divenire fondamentale per comprendere l’aspetto originario di opere irrimediabilmente danneggiate. È
il caso della copia della Madonna della Gatta di Paolino Girgenti e dell’incisione di Guglielmo Morghen
da essa derivata realizzate alla fine del Settecento33,
poco prima dell’invio del dipinto a Palermo, da cui
sarebbe rientrato a Napoli in condizioni precarie
nel 1817-1818, e prima dunque dei problemi conservativi che avrebbero determinato la perdita di
gran parte della testa del san Giovannino. L’incisione
sarebbe stata utilizzata negli studi propedeutici alla
ricostruzione intrapresi da Salvatore Castellano e
Giuseppe Maldarelli dopo che era stata scoperta la
grave lacuna durante la pulitura eseguita da Achille
Castellano34. Rimasta nella stanza in cui era conservato il dipinto danneggiato, l’incisione sarebbe poi
servita a guidare la ricostruzione eseguita con successo da Achille Fiore nel 1863. Ma ancora oggi,
più ancora dell’incisione, il delicato, accurato disegno
di Girgenti è una preziosa testimonianza dell’aspetto
del dipinto prima dell’insorgere delle lacune: oltre
al volto del san Giovannino (fig. 11), sono ben individuabili i dettagli del letto, col grande cuscino che
lo sovrastava, di cui oggi non restano che poche
tracce confuse. La Madonna della Gatta è davvero
un caso paradigmatico del convergere delle informazioni di più varia natura nel formare un quadro
di conoscenze utile a spiegare cause e modalità dei
problemi conservativi a cui è stato da sempre soggetto il dipinto, dalle menzioni vasariane ai documenti d’archivio, dalle copie alla documentazione
fotografica degli interventi passati, fino alle indagini
scientifiche sempre più approfondite e distinte a cui
è stato possibile sottoporlo. Se tutto questo non ci
può restituire l’integrità dell’opera irrimediabilmente
compromessa, può senz’altro aiutarci a comprenderne la fragile, complessa natura e fornire indicazioni utili per la sua futura conservazione.
Saggi
Note
Argan 1969, p. 14.
Strazzullo 1991-1992.
3
Zeri 1980, pp. 72-75; scheda sito MET:
https://goo.gl/s3nfu7.
4
Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (da adesso
ASMANN), II inv., 40, II, «quaderni
di Giovanni Fraccia», p. 144, trascrizione da già Archivio di Stato di Napoli, Fascio 951 Casa Reale; Quadri,
restauri, 1803, 29 Novembre: «Raffaello d’Urbino/112. Quadro d’altare in
tavola, che fu già di Casa Colonna.
Rappresenta la SS. Vergine, con quattro Santi. Quest’Opera però si mostra
della prima di Raffaello quando era
uscito dalla Scuola di Perugino, e perciò ha qualche cosa di quel secco; sebbene originalissimo, non sorprende.
Questo è riattato non molto, e nei
panni velato in parte./113. Lunetta sopra lo stesso Quadro, e del medesimo
autore all’uso antico. Rappresenta il
Padre Eterno con due Angeli, il fondo
del medesimo sembra riattato tuttavia
l’uno e l’altro sono pregevoli assai per
la mano dell’Autore, tanto più che le
teste, le carni insomma sono ben conservate.
5
Archivio di Stato di Napoli, Min. Esteri,
f. 4292/39: «Nota di quadri e stampe
rinvenuti in casa di Tommaso Piroli
appartenenti al Commissario Francese
Vicar: […] Quadro in tavola di un vescovo, busto del Perugino con cornice».
6
Fischel 1912.
7
Magherini Graziani 1908.
8
Ricci 1912, p. 331; Zappa 1912, pp.
335-336.
9
Crowe, Cavalcaselle 1864-1866, X, pp.
143-144; BMV, Cod. It. IV 2032
(=12273), fascicolo 1, c. 58r; cfr. Miele
2017, pp.484-485.
10
Spinazzola 1912.
11
Napoli 1960, pp. 54-55.
12
Ivi, p. 55.
13
Il restauro fu realizzato da Francesco
Virnicchi; intrapreso nel 1982, sospeso
dopo un periodo di osservazione e di
studio, fu ripreso e completato nel
1995. La documentazione è consultabile presso il Centro Documentazione
1
2
Restauro del Museo e Real Bosco di
Capodimonte, coll. 4/B/498.
14
Il recente intervento sulla superficie
pittorica realizzato da Francesco Virnicchi ha mantenuto l’impostazione di
metodo precedentemente adottata. Il
restauro si è reso necessario nuovamente a causa dell’instabilità del supporto ed affidato per questa parte a
Roberto Buda, che ha applicato un sistema di sostegno elastico, secondo i
più recenti studi, per consentire la naturale curvatura del legno, dopo la
completa rimozione degli elementi residui della vecchia struttura.
15
Cerasuolo c.d.s.
16
Biblioteca Marucelliana, Pistoia, Raccolte Puccini; Biblioteca Marciana, Venezia, Fondo Cavalcaselle; Cfr. Mazzi
1986; Levi 1988; 2003; Miele 2017.
17
BMV, Cod. It. IV 2032 (=12273), fascicolo 1, c. 58r.
18
ASMANN, XXI, B8, 14; il corposo
fascicolo è stato rinvenuto e analizzato
da Diletta Clery per l’inserimento nel
database ARISTOS nel 2009.
19
ASMANN, XXI B8, 14, lettera di Camillo Guerra del 16 luglio 1841.
20
Cfr. Cerasuolo 2005; Napoli, Roma,
Dresda 2005.
21
Causa 1960, p. 11.
22
Molajoli 1964, p. 25.
23
Cfr. Cardinali, De Ruggieri, Falcucci
2002; Cardinali, De Ruggieri 20052006; De Rosa 2005; 2012; Cerasuolo
2013; Cardinali 2020.
24
Cfr. Mandolesi 2003, p. 150.
25
Causa 1960, pp. 15-19; Cerasuolo
2008, pp. 35-36.
26
Le fotografie fanno parte dell’Archivio
Fotografico della Direzione Regionale
Musei Campania conservato a Castel
Sant’Elmo; nelle Appendici del Catalogo della IV Mostra di restauri (Napoli 1960) sono registrati per ogni dipinto i numeri di negativo della
documentazione corrispondente.
27
Napoli 1960, pp. 118, 119.
28
Anton Raphael Mengs, miniatura, 226
x 183 mm, inv. 225 (prec. M 61), cfr.
Roetggen 1999, p. 187. Reca sul verso
l’iscrizione: «Gemalt von Anton Rafael
Mengs nach Rafael’s Madonna in Neapel. Am 19. Dec. 1744 vom Künstler
dem Churprinzen Fried. Christian vor-
gelegt» («Dipinto da Anton Rafael
Mengs dalla Madonna di Raffaello a
Napoli. Presentato dall’artista al principe Federico Cristiano il 19 dicembre
1744»). Il supporto, indicato nel catalogo della Roetggen come carta, nel
sito del museo è detto pergamena, cfr.
https://skd-online-collection.skd.museum/Details/Index/542911#.
29
Il dipinto, in collezione privata, mi è
stato reso noto da Gianluca Poldi, che
ringrazio per la segnalazione e per aver
condiviso le indagini diagnostiche che
ha realizzato sull’opera. Gabriele Bonarelli, nobile anconetano, fu senatore
a Roma dal 1519 al 1523; cfr. De Dominicis 2009, p. 25: «1519-1523-Gabriele Bonarelli da Ancona-(Moroni,
Pompili). 1521-1523-[Cav.] Gabriel
[di Giacomo] Bonarellus anconitanus
[conte di Castel Bompiano] usque ad
annum 1523-(Cred. VI, to. 55, c. 56).
30
Cfr. Roma 2017.
31
Armenini 1586, p. 121.
32
Daniele da Volterra, Volto di un apostolo con le fattezze di Michelangelo per
l’Assunzione Della Rovere, 1550-1552,
matita nera su traccia a punta di
piombo, tocchi di biacca su carta
bianca, forato, Haarlem, Teylers Museum(cfr. Firenze 2003-2004, pp. 110112).
33
Paolino Girgenti venne impiegato da
re Ferdinando nel 1790 per «disegnare
le migliori opere di Pittura della Real
Galleria di Capodimonte per poi incidersi a comune vantaggio degli studiosi e de’ dilettanti delle belle Arti».
A questa attività si può far risalire il
nucleo di opere di traduzione grafica
presenti presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Capodimonte
realizzate da Girgenti, di cui fa parte
la copia della Madonna della Gatta.
Dai disegni di Girgenti furono tratte,
fra le altre, le incisioni di Guglielmo
Morghen della Madonna del divino
amore e della Madonna della Gatta,
realizzate nella scuola di incisione fondata da Ferdinando di Borbone nel
1794 e affidata inizialmente a Carlo
Antonio Porporati, poi allo stesso
Morghen sotto la supervisione di Girgenti; cfr. Cerasuolo 2015.
34
Cerasuolo c.d.s.
41