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A. Cerasuolo, La tecnica e i restauri: una storia in presenza

2021, in Raffaello a Capodimonte. L'officina dell'artista, catalogo mostra a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza, pp. 28-41

Giulio Carlo Argan individuava una condizione ineludibile della storia dell’arte rispetto alle altre discipline storiche : «La storia dell’arte è infatti la sola, fra tutte le storie speciali, che si faccia in presenza degli eventi e quindi non debba evocarli né ricostruirli né narrarli, ma soltanto interpretarli». Durante la pandemia l’espressione ‘in presenza’ è diventata l’ambita antitesi di attività succedanee, in cui l’immagine smaterializzata dei tesori racchiusi nei musei viene offerta come consolazione transitoria di un impossibile contatto diretto. Ora è dunque ancora più evidente la necessità di rinnovare tale contatto per riattualizzare il senso di quelle opere altrimenti inaccessibili. Dall’osservatorio offerto dal museo ciò appare al tempo stesso un’esigenza e un’opportunità. Le opere, testimoni di tante vicende e di tanti giudizi, sono lì ad attendere una nuova interpretazione, si offrono e sfidano la nostra capacità di comprenderle. E se la storia dell’arte è una storia speciale, la scienza applicata allo studio della tecnica e dello stato di conservazione delle opere non può che essere una scienza speciale, necessariamente intrisa e consapevole di tutte le altre vie di accesso alla lettura di quelle opere, che pongono gli interrogativi e interpretano i dati. Di fatto è una disciplina umanistica, poiché prende senso dall’oggetto della sua analisi.

Raffaello a Capodimonte L’officina dell’artista 10 giugno - 13 settembre 2021 Museo e Real Bosco di Capodimonte Direttore Generale Sylvain Bellenger Progetto mostra Angela Cerasuolo e Andrea Zezza Con il patrocinio del Comitato nazionale per la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Raffello Sanzio Coordinamento indagini diagnostiche Marco Cardinali Comitato scientifico Sylvain Bellenger, Marco Cardinali, Angela Cerasuolo, Jill Dunkerton, Ana González Mozo, Costanza Miliani, Francesco Paolo Romano, Marika Spring, Andrea Zezza Direzione lavori allestimento Chiara Figliolia Supporto tecnico Antonia Angelone, Achille Molitierno Progetto illuminotecnico Pietro Palladino Ufficio mostre e prestiti Patrizia Piscitello, Concetta Capasso, Giovanna Bile Coordinamento progetto grafico Francesca Dal Lago Restauri Roberto Buda, Angela Cerasuolo, Angela Iuppariello, Francesco Virnicchi Dipartimento curatoriale Alessandra Rullo, Patrizia Piscitello, Maria Tamajo Contarini Ufficio Restauro Angela Cerasuolo, Antonio De Riggi, Simonetta Funel, Antonio Tosini, Sara Vitulli, Alessia Zaccaria, Liliana Caso Ufficio documentazione Alessandra Rullo, Paola Aveta, Valentina Canone © 2021 editori paparo srl - Roma - Napoli [email protected] www. editoripaparo.com Euro 40,00 ISBN 978 88 31983 600 Responsabile del catalogo digitale e digitalizzazione Carmine Romano Ufficio Stampa Luisa Maradei Sito web, social media e cerimoniale Marina Morra Dipartimento Architettura ed interim Bilancio e Contabilita Anna Capuano Supporto Ufficio Gare e Contratti Grazia Barlese Consulenza legale-amministrativa Carmine Panico Ufficio Comunicazione Roberta Senese, Pasqualina Uccello, Giovanna Garaffa Traduzioni Claire Van Cleave, American Friends of Capodimonte Fellow Curator Progettazione Grafica Francesco Giordano Realizzazione allestimento Langella Srl Coordinamento movimentazioni Patrizia Piscitello, Alessandra Rullo, Vincienzo Paciello Movimentazioni Montenovi Srl Sponsor tecnici ERCO Tecno Srl Indagini diagnostiche per la mostra Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, Dipartimento di Lettere e Beni Culturali Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (ISPC) del CNR INFN di Catania Laboratori Nazionali del Sud (LNS) Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche del CNR (SCITEC) di Perugia Istituto Centrale del Restauro Laboratoire d’Archéologie Moléculaire et Structurale (LAMS) di Parigi Altre indagini diagnostiche Emmebi Diagnostica Artistica Srl Istituto Nazionale di Ottica M.I.D.A. di C. Falcucci Arsmensurae di S. Ridolfi Catalogo a cura di Angela Cerasuolo e Andrea Zezza con la collaborazione di Marco Cardinali Schede La scheda A1 è di Alessandra Rullo; le schede A3, C3 e C4 sono di Chiara Violini, la scheda A4 è di Anna Tranquillo. Le altre schede sono state redatte in collaborazione tra Marco Cardinali, Angela Cerasuolo e Andrea Zezza Redazione Gianluca Puccio Coordinamento editoriale e progetto grafico Editori Paparo Si ringraziano per il catalogo Ornella Agrillo, Anna Maria Ambrosini Massari, Amedeo Benestante, Roberto Buda, Maria Ida Catalano, Maria Luisa Chirico, Rosanna Cioffi, Roberto Cobianchi, Claudia Daffara, Alessandro Delpriori, Maria Beatrice De Ruggieri, Michela di Macco, Francesco Paolo Di Teodoro, Cecilia Frosinini, Silvia Ginzburg, Michele Gironda, Tiffany L. Hunt, Marcella Ioele, Riccardo Lattuada, Maurizio Lorber, Ilaria Miarelli Mariani, Marica Mercalli, Andrea Milanese, Pietro Palladino, Raffaella Parzanese, Matteo Positano, Carlo Rescigno, Giovanni Russo, Giulio Sodano, Gelsomina Spione, Piera Tabaglio, Laura Teza, Paolo Violini, Francesco Virnicchi, Giulia Zorzetti Si ringrazia per il generoso contributo il cavaliere del lavoro Luciano Cimmino Si ringrazia per la collaborazione e il supporto Il personale del Museo e Real Bosco di Capodimonte e il supporto ALES Il personale del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” Sommario 4 6 7 Presentazioni: Sylvain Bellenger Giulio Sodano Costanza Miliani 9 Angela Cerasuolo, Andrea Zezza Prefazione 10 Jill Dunkerton, Marika Spring Introduzione 13 Andrea Zezza Raffaello a Napoli 29 Angela Cerasuolo La tecnica e i restauri: una storia in presenza 43 55 64 66 68 70 74 Marco Cardinali Passato presente e futuro nelle indagini diagnostiche. Il caso Raffaello dalla connoisseurship alla Technical Art History Francesco Paolo Romano, Claudia Caliri, Santo Gammino, Costanza Miliani, Danilo Paolo Pavone, Aldo Romani, Francesca Rosi Indagini non invasive di imaging dei dipinti di Raffaello della collezione del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sezione A - Una scuola eccezionale: maestri e fratelli maggiori A.1 Jacopo de’ Barbari (attr.), Ritratto di fra Luca Pacioli con un allievo A.2 Luca Signorelli, Natività A.3 Perugino, Madonna col Bambino A.4 Bernardino Pinturicchio, Assunzione della Vergine 78 80 100 110 116 130 Sezione B - Raffaello a Capodimonte: dall’inizio alla piena maturità B.1 Eterno Padre e Vergine, frammenti dalla Incoronazione del Beato Nicola da Tolentino B.2 Ritratto di Alessandro Farnese cardinale B.3 Mosè davanti al roveto ardente B.4 Madonna del Divino Amore B.5 Ignoto sec. XVI, da Raffaello, Madonna del Divino Amore 136 138 158 170 176 184 188 Sezione C - Una strordinaria fortuna: derivazioni, variazioni, copie, repliche, falsi C.1 Giulio Romano, Sacra Famiglia con sant’Anna e san Giovannino detta Madonna della Gatta C.2 Sacra Famiglia con san Giovannino detta Madonna del Passeggio C.3 Madonna ‘Bridgewater’ C.4 Sacra Famiglia detta Madonna del popolo, di Loreto, o del Velo C.5 Daniele da Volterra, San Giuseppe, copia parziale dalla Madonna del Velo C.6 Andrea del Sarto, Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’Medici e Lugi de’ Rossi 195 207 Bibliografia Crediti 29 La tecnica e i restauri: una storia in presenza Angela Cerasuolo N el 1969, nell’editoriale che inaugurava la rivista Storia dell’arte, Giulio Carlo Argan rivendicava per la disciplina «la possibilità e la necessità» di uno statuto «speciale», a causa di una condizione peculiare e ineludibile rispetto alle altre discipline storiche. Infatti «lo storico dell’arte, che dei fatti artistici deve spiegare il significato intrinseco, non può limitarsi a proclamarli memorabili, deve averli presenti. La storia dell’arte è infatti la sola, fra tutte le storie speciali, che si faccia in presenza degli eventi e quindi non debba evocarli né ricostruirli né narrarli, ma soltanto interpretarli»1. In questo particolare momento in cui l’espressione ‘in presenza’ è diventata l’antitesi di attività succedanee che tentano di creare con mezzi di comunicazione informatici luoghi virtuali di incontro e di confronto, in cui l’immagine smaterializzata dei tesori racchiusi nei musei è stata offerta come consolazione transitoria di un’impossibile contatto diretto, è ancora più evidente la necessità di rinnovare un contatto in presenza per riattualizzare il senso di quelle opere altrimenti inaccessibile. Dall’osservatorio offerto dal museo e dalle sollecitazioni poste dalla cura conservativa ciò appare al tempo stesso un’esigenza e un’opportunità. Le opere, testimoni di tante vicende e di tanti giudizi, sono lì ad attendere una nuova interpretazione, si offrono e sfidano la nostra capacità di comprenderle. La storia della costituzione delle raccolte, dei passaggi di proprietà, degli eventi traumatici delle guerre e dei trasferimenti, il giudizio degli studiosi e degli amatori, le copie, le incisioni, la storia dei restauri più antichi e i resoconti degli interventi più recenti, ruotano attorno al microcosmo che ogni singolo oggetto costituisce, e può, primo documento della sua storia, ogni volta tornare a dischiuderci. E se la storia dell’arte è una storia speciale, la scienza applicata allo studio delle opere d’arte non può che essere una scienza speciale, necessariamente intrisa e consapevole di tutte le altre vie di accesso alla lettura di quelle opere, che pongono gli interrogativi e interpretano i dati. In una certa misura, è anch’essa una disciplina umanistica, poiché prende senso dall’oggetto della sua analisi. Questa mostra, pur nei limiti di una proposta di metodo, mira a perseguire l’integrazione fra le diverse discipline e le diverse serie di informazioni senza gerarchie e divisioni settoriali, integrazione dettata dagli oggetti stessi, nella loro flagrante unicità. Talvolta il lavoro sul campo rivela aspetti inediti e sorprendenti delle opere affrontandone i problemi conservativi, cercando di comprenderne la fragile composizione materiale, di ripercorrerne l’iter esecutivo e la storia dei restauri passati. Alcune delle opere presentate in questa mostra sono paradigmatiche di quanto fin qui detto, a cominciare dai frammenti della pala di San Nicola da Tolentino (cat. B.1), conservati a lungo nelle collezioni del museo napoletano senza più memoria della loro origine. La loro stessa acquisizione testimonia un momento drammatico, legato alle guerre napoleoniche, ai trafugamenti e alle spoliazioni che sconvolsero l’Europa e condizionarono non poco l’assetto e lo statuto delle raccolte d’arte pubbliche e private. Furono infatti ‘prelevate’ dall’emissario di Ferdinando di Borbone, Domenico Venuti, da San Luigi dei Francesi dove erano state convogliate e poi abbandonate nella fuga le opere razziate dalle truppe napoleoniche. I due quadri provenivano dalle stanze di papa Pio VI, come pure la monumentale splendida Assunta di Fra Bartolomeo e un altro dipinto esposto nella mostra, la piccola Madonna col Bambino del Perugino (cat. A.2). Venuti aveva chiesto al re di essere inviato a Roma per recuperare le opere trafugate dalle raccolte farnesiane 30 Raffaello a Capodimonte Fig. 1. Giovan Battista Cavalcaselle, Schizzi dai frammenti della Incoronazione di San Nicola da Tolentino, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle, Cod. It. IV 2037 (=12278), taccuino IX, c. 57v. di Capodimonte, ma una volta sul posto non esitò a operare disinvolti ‘colpi di mano’ pur di raggiungere lo scopo di servire il re e accrescere le collezioni d’arte napoletane2. Successivamente, Venuti rimase nella capitale per approfittare dello straordinario momento in cui si stavano riversando sul mercato le opere delle grandi collezioni nobiliari romane, sicuro di poter continuare a realizzare importanti acquisizioni per le collezioni reali. L’integrazione e l’accrescimento delle ‘scuole’ meno rappresentate era una delle sue preoccupazioni, e Raffaello era senz’altro uno degli obiettivi più ambiti. Fra gli acquisti realizzati Venuti potette vantare quello di un’importante pala d’altare, la pala Colonna, che arricchì per decenni le raccolte napoletane prima di essere portata con sé da Francesco II nel 1860 a Gaeta poi a Madrid e quindi venduta, per giungere attraverso vari passaggi di proprietà al Metropolitan Museum di New York3. La descrizione della pala – nella nota dei quadri acquistati del 29 Novembre 1803 – denota alcuni aspetti significativi dell’approccio di Venuti e dei dati più rilevanti ai suoi occhi; l’autenticità: «originalissimo» è detto il quadro principale, entrambe le tavole sono «pregevoli assai per la mano dell’Autore»; lo stato di conservazione, soprattutto l’entità di manomissioni e ridipinture: «riattato non molto», «nei panni velato in parte», «le teste, le carni [...] ben conservate»; lo stile: non lo stile sommo di Raffaello maturo, ma ugualmente rilevante, poiché mostra «l’uso antico» del maestro «quando era uscito dalla Scuola di Perugino, e perciò ha qualche cosa di quel secco»4. Ma i frammenti della pala Baronci, pur riconosciuti certo come opere di pregio, furono portati a Napoli e conservati nella Galleria Francavilla senza più consapevolezza della loro identità, come pure, chissà, un terzo frammento, che si potrebbe riconoscere in quel «Quadro in tavola di un vescovo, busto del Perugino» di cui Wicar avrebbe rivendicato la proprietà5 e di cui poi si sono perse le tracce. Il riconoscimento avvenne solo nel 1912, con l’intuizione di Fischel6. Questa fu resa possibile da un importante tassello che si era aggiunto alle tracce esistenti, i documenti della commissione resi noti da Magherini Graziani7, ma anche e soprattutto dalla pulitura del Cavenaghi, che rivelò nell’Angelo di Brescia le tracce di dettagli – il libro, le ali, uno spigolo di pilastro – già occultati da una uniforme Saggi ridipintura scura, che attestavano la natura di frammento del quadretto, consentendone l’identificazione e portando quindi alla scoperta anche dei frammenti del museo di Napoli8. Vittorio Spinazzola, appena posto alla direzione del Museo Nazionale, pubblicò allora tempestivamente un articolo in cui esaminava con acume da archeologo i due frammenti, ripercorrendo l’iter seguito qualche decennio prima da Giovan Battista Cavalcaselle, che per primo aveva riconosciuto la natura frammentaria dei due dipinti individuandone la comune provenienza da una pala, come attestano anche i suoi appunti9 (fig. 1). Una foto d’archivio testimonia il confronto eseguito da Spinazzola ponendo sullo stesso cavalletto l’Eterno – in cui erano rimasti ben visibili la mandorla e i cherubini ma apparivano occultate le corone frammentarie – e la Vergine recuperata dal deposito (fig. 2). Questa presentava il fondo ricoperto da una ridipintura scura attraverso la quale lo studioso aveva individuato – forse con la luce radente – i contorni di architettura e cherubino segnandoli in bianco. Aveva rintracciato infine le due metà della corona rimaste separate fra i due frammenti, per evidenziare come essi mostrassero «non ostante che accuratamente cancellate, le tracce di parti divise quando i pezzi furono disgiunti ma ancor perfettamente combacianti fra loro»10. Il ricongiungimento proposto in quell’articolo – «io credo che la impressione ne sarebbe solenne», fu realizzato probabilmente poco dopo: ne troviamo infatti notizia nella relazione del restauro successivo dove si fa riferimento a un intervento «eseguito verso il 1920», quando «mediante l’inserzione di un pannello di legno la sagoma del dipinto era stata regolarizzata in forma rettangolare»11. Un’altra foto d’archivio (fig. 3) testimonia questo restauro. L’aggiunta sarebbe stata eliminata ponendo i due frammenti su un supporto comune nel 1957 in occasione del restauro di Leonetto Tintori, improntato a una linea singolarmente rigorosa, inusuale nella pinacoteca napoletana: «Per questa opera, unica tra i dipinti del Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte, è stato seguito un criterio di restauro rigorosamente ‘archeologico’. Infatti, il frammento è stato liberato da tutte le ridipinture e restituito alla purezza della superstite superficie pittorica originaria»12. La difficoltà a confrontarsi con lo statuto del tutto eccezionale dei frammenti traspare da questa soluzione, che privilegiando la presentazione del documento ‘autentico’ finiva per penalizzare la lettura del testo figurativo mettendo in risalto le lacune con un’uniforme tinta cosiddetta ‘neutra’ piuttosto che attenuarle (fig. 4). Ciò risultava incongruo soprattutto per il frammento della Vergine, il cui volto è attraversato verticalmente da una lesione che, così evidenziata, ne scompaginava del tutto la fisionomia (fig. 5a). Il restauro successivo di Francesco Virnicchi dovette in primo luogo affrontare le delicate condizioni del supporto, compromesso da un drastico assottigliamento e dall’applicazione di una ‘parchettatura’ estremamente fitta e rigida che aveva causato sollevamenti e distacchi degli strati pittorici13. Successivamente, alla pulitura fece seguito la scelta di una 31 Fig. 2. Raffaello e Evangelista di Pian di Meleto, Eterno Padre e Vergine, foto che documenta la ricostruzione realizzata da Vittorio Spinazzola nel 1912 ponendo sullo stesso cavalletto i due frammenti (neg. AFSBAS n. 2603). 32 Fig. 3. Raffaello e Evangelista di Pian di Meleto, Eterno Padre e Vergine, i due frammenti ricongiunti dopo il restauro eseguito verso il 1920 (foto prima del restauro Tintori, neg. AFSBAS n. 13409). Fig. 4. Raffaello e Evangelista di Pian di Meleto, Eterno Padre e Vergine, dopo il restauro Tintori nel 1957 (neg. AFSBAS n. 14284). Raffaello a Capodimonte integrazione più compiuta, tesa tanto a risarcire le piccole abrasioni superficiali che a ridare continuità al tessuto figurativo integrando le lacune più estese con un lieve tratteggio che ne consentisse il riconoscimento a un esame ravvicinato (fig. 5b)14. L’inevitabile selettività di ogni intervento si manifesta con evidenza nel restauro dei frammenti della pala Baronci, in cui coesistono esigenze documentali, conservative, estetiche, ciascuna in dialettica con le altre, nella tensione a un equilibrio più che mai delicato. L’esame materiale della Vergine e dell’Eterno, confrontato con analoghe osservazioni realizzate sugli altri due frammenti, ha consentito acquisizioni sulle modalità esecutive del primo Raffaello (di cui diamo conto nella scheda), ma ha fornito anche importanti riferimenti utili a formulare un’ipotesi di ricostruzione della pala, come la dimensioni delle assi del supporto, le proporzioni delle figure, la costruzione prospettica dello spazio. Anche altri dipinti ugualmente decontestualizzati, fra le opere qui esposte, suggeriscono possibili ipotesi di formato e collocazione originaria attraverso le tracce materiali di manomissioni e modifiche subite in passato. È il caso della tavola del Perugino e di quella del Signorelli. La Madonna del Perugino (cat. A.2) risulta riportata a un formato rettangolare di ‘quadretto’ con inserti triangolari che ne hanno regolarizzato la sagoma centinata o cuspidata; questo dato, assieme alle tracce, sui margini laterali, di probabili colonnine che ne coprivano in parte la composizione (figg. 6a-b), lascia supporre un’originaria funzione di altarolo con l’eventuale presenza di sportelli ora dispersi. L’Adorazione di Signorelli (cat. A.3) presenta due ampie lacune quadrangolari su entrambi i lati inferiori, integrate con inserti lignei in antico, di cui si può ipotizzare l’origine in elementi architettonici simmetrici (basi di colonne? sporgenze dell’altare?) che dovevano essere posti ai lati del dipinto nella collocazione originaria, coprendolo in parte (fig. 7). Sono informazioni attualmente non del tutto decifrabili, ma che potrebbero in futuro essere di ausilio per una ricostruzione del contesto di origine. Ma se il restauro può offrire agli studi indicazioni materiali importanti per il riconoscimento dell’opera assieme a un’immagine maggiormente leggibile, è altrettanto vero che quando si intraprende un restauro ogni informazione proveniente dagli strumenti ‘tradizionali’ della storia dell’arte può essere di ausilio nelle scelte da operare. Può trattarsi di documenti d’archivio, come le carte che raccontano con dovizia di particolari la tormentata storia dei restauri ottocenteschi della Madonna della Gatta (cat. C.1)15, ma anche documenti iconografici, come le copie, le incisioni, le fotografie più o meno antiche Saggi che documentano le condizioni conservative e i restauri passati, per arrivare alle immagini tecniche prodotte dalle indagini scientifiche, assimilabili anch’esse, di fatto, alla categoria di documenti. Così pure illuminano e danno importanti indicazioni le tappe segnate dal giudizio degli storici, degli eruditi, dei visitatori che hanno lasciato traccia del loro passaggio: cosa vedevano, cosa condizionava i loro giudizi, in che stato gli si presentavano le opere, di quali strumenti disponevano a noi non più accessibili e quali fra quelli ora in nostro possesso gli erano preclusi. Notevoli fra questi i resoconti di conoscitori come Tommaso Puccini e Giovan Battista Cavalcaselle che possiamo attingere dalle osservazioni ‘private’ dei loro appunti, tese allo scrutinio materiale degli oggetti che esaminano e ad annotare tutto quanto possa servirgli in futuro16. Più volte nelle schede di questo catalogo le loro osservazioni sono risultate importanti nel tracciare la fortuna critica e nel contribuire all’interpretazione attuale di queste opere riguardo lo stato di conservazione e le traversie subite. Anche la capacità di lettura della tecnica esecutiva spesso era per loro più agevole, per le condizioni meno compromesse ma anche per una comprensione più immediata dei procedimenti esecutivi, legati a una tradizione ancora viva. Colpisce per esempio come Cavalcaselle individui senza esitazione come ‘olio’ il medium dell’Eterno e della Vergine, che sono eseguiti con una tecnica tutt’altro che consueta e facilmente decifrabile, e pur nelle condizioni di scarsa leggibilità in cui li osservava non manchi di notare le ombre verdi degli incarnati, ora ben evidenziate oggi dalle indagini17. Lo studio della tecnica esecutiva delle opere sta entrando sempre più nelle consuetudini dei laboratori di restauro italiani, superando un pregiudizio che vedeva le indagini scientifiche utili solo in casi specifici, allorché fosse necessario individuare ridipinture o manomissioni e discriminare quindi i materiali originali rispetto a quelli di apporto, e comunque solo nel caso di opere di particolare importanza e pregio. Vista dal punto di vista del laboratorio di restauro, va detto che l’importanza di 33 Fig. 5a. Raffaello e Evangelista di Pian di Meleto, dettaglio della Vergine nel 1983 prima del restauro Virnicchi, con l’integrazione di Leonetto Tintori. Fig. 5b. Raffaello e Evangelista di Pian di Meleto, dettaglio della Vergine dopo il restauro Virnicchi. 34 Fig. 6a-b. Perugino e aiuti, Madonna con Bambino, durante il restauro Zorzetti, Foglia, dettaglio dopo la pulitura in luce visibile (a) e in fluorescenza UV (b): sono visibili i due inserti triangolari in alto e le aree simmetriche mai dipinte lungo i margini laterali, probabilmente in origine coperte da elementi di una cornice. Raffaello a Capodimonte questi studi non è ausiliaria e strumentale, o almeno non solo: conoscere i procedimenti esecutivi dei diversi ambiti storici e geografici, grazie alla possibilità sempre più raffinata che i progressi tecnologici ci offrono di individuare i materiali costitutivi, comprenderne la complessa stratigrafia, le interazioni, gli assestamenti, le alterazioni, non è utile sono nel caso specifico in cui le indagini sono realizzate, ma serve piuttosto a fornire un quadro di conoscenze più ampio, che possa guidare l’operato dei restauratori nei casi futuri per operare con maggior consapevolezza. Inutile dire che strumento e fine degli studi sulla tecnica è la storia dell’arte in tutte le sue diramazioni e che la letteratura artistica e i documenti d’archivio sono fondamentali per comprendere i dati analitici, documenti anch’essi da sottoporre a vaglio critico, non certo oggettive evidenze. Avvengono poi alcune convergenze, per cui il documento analitico e quello d’archivio si illuminano a vicenda e diventano utili nel percorso conoscitivo di un intervento di restauro. Un esempio, fra i tanti possibili, la rispondenza fra le tracce materiali rinvenute sul supporto, sui margini e sulla superficie della Madonna del Divino Amore e i documenti d’archivio che descrivono il lungo dibattito che fra il 1840 e il 1842 accompagnò la scelta di un metodo per disinfestare la tavola da un attacco di insetti xilofagi, per cui si costituì un’apposita commissione18. Alla fine, seguendo il metodo proposto da Oronzio Gabriele Costa, noto scienziato in quegli anni docente di Zoologia presso l’Università di Napoli, la tavola venne trattata con arseniato di potassio fatto penetrare nel legno attraverso i fori prodotti dai tarli e poi foderata con carta. Venne quindi dato l’incarico al restauratore Nicola La Volpe, sotto la direzione di Camillo Guerra, di occuparsi della parte dipinta, provvedendo a chiudere i fori lasciati dai tarli con «stucco a colore», una miscela a base Saggi 35 Fig. 7. Luca Signorelli, Natività, durante il restauro di Italo Dal Mas: sono visibili le ampie aree quadrangolari corrispondenti ad antichi inserti lignei (neg. n. AFSBAS 13398). di olio e pigmenti intonata alla tinta locale. Tanto la carta applicata a protezione del supporto dopo il trattamento che le stuccature colorate sono state rinvenute nel corso del restauro, e le carte d’archivio hanno consentito di collegarle all’intervento storico. Le piccole stuccature puntiformi ottocentesche sono risultate inoltre chiaramente visibili nell’esame MaXRF (figg. 8a-b ), che con la mappa della distribuzione del ferro ha evidenziato tutti i fori colmati con la miscela composta di pigmenti contenenti quell’elemento (ocre e terre), consentendo di distinguerle dalle stuccature più recenti. Il restauro di La Volpe si sarebbe completato, come di consueto, coprendo «di vernice in generale tutto il quadro per togliere quell’appannato che avrebbero mostrato i piccoli ritocchi eseguiti»19. La pratica di sottoporre a verniciatura i dipinti era abituale presso la pinacoteca napoletana fin dalla fine del Settecento, quando la Lettera sull’uso delle vernici di Hackert aveva promosso il metodo di Federico Anders, appena divenuto restauratore di corte, e sancito le qualità positive della vernice mastice, non senza polemiche20. L’adozione di un materiale facilmente reversibile ha senz’altro condizionato positivamente la conservazione dei dipinti napoletani, che è sempre stata improntata a un approccio cauto e misurato. D’altra parte però le ripetute verniciature, praticate in modo sistematico come malintesa prassi manutentiva, col tempo hanno causato una notevole alterazione all’aspetto delle opere, che sul momento risultavano ravvivate, ma poi, con l’ingiallimento e l’opacizzazione delle vernici, divenivano via via più oscure. È il principale motivo per cui la maggior parte dei dipinti del museo avevano finito per risultare scarsamente leggibili, e agli inizi del Novecento si presentavano in condizioni problematiche. Nel 1960 Raffaello Causa nel ripercorrere la storia recente dei restauri a Napoli, avrebbe sottolineato questo aspetto: «Chi scorresse taluni scritti polemici relativi alla Pinacoteca di Napoli nei primi decenni del Novecento, troverebbe notizie racca- 36 Raffaello a Capodimonte Fig. 8a. Raffaello, Madonna del Divino Amore, MaXRF, mappa della distribuzione del ferro, che evidenzia i fori contenenti ocre, risalenti al restauro ottocentesco. priccianti circa le condizioni nelle quali si conservavano i suoi capolavori. Ma ancora dopo quest’ultima guerra erano molte le opere che soprattutto nelle chiese, ma anche nei musei si presentano opache per lo stratificarsi di vernici ossidate e di polvere secolare»21. I restauri realizzati in occasione del trasferimento delle collezioni al museo di Capodimonte cambiarono in molti casi radicalmente l’aspetto dei dipinti, rimuovendo per la prima volta dopo secoli questa Saggi stratificazione sedimentata. Basta scorrere le pagine del catalogo della IV mostra di restauri, che presentava con orgoglio i risultati della campagna di recuperi appena realizzati, per vedere questa trasformazione, ben documentata dalle splendide foto realizzate sistematicamente in quegli anni dal laboratorio fotografico della Soprintendenza napoletana22. Ampiamente valorizzato nell’organizzazione dei nuovi moderni laboratori creati da Bruno Molajoli a Capodimonte, il laboratorio aveva ereditato strumenti e competenze formatisi agli esordi dell’esperienza del Gabinetto Pinacologico, l’ambizioso progetto perseguito da Sergio Ortolani che avrebbe dovuto soprintendere allo studio tecnico e al restauro dei dipinti di tutto il meridione, ma che si arenò per mancanza di sostegno politico23. Agli anni di Ortolani risale il restauro realizzato da Stanislao Trojano del Ritratto del cardinale Alessandro Farnese (1933-1934)24. La maggior parte dei dipinti esposti in questa mostra furono restaurati nel nuovo laboratorio di conservazione di Capodimonte, dove operarono intensamente per alcuni anni fianco a fianco restauratori locali e professionisti confluiti dai più attivi centri di restauro nazionali, contribuendo a una nuova immagine del museo, degna dell’importanza delle sue collezioni25. Fra le opere di questa mostra, furono restaurati in quel breve giro di anni i frammenti della pala di san Nicola da Tolentino (Leonetto Tintori, 1957), la Madonna del Divino Amore (Italo Dal Mas, 1957), la Madonna della Gatta (Italo Dal Mas, 1956), la Madonna del passeggio (Maria Fava, 1959), l’Assunta del Pinturicchio (Italo Dal Mas, 1956), la Madonna col Bambino del Perugino (Francesco Cutillo, Leonetto Tintori, 1957), il Ritratto di Luca Pacioli (Italo Dal Mas, 1956), il Leone X di Andrea del Sarto (Edo Masini, 1956-1957), la Natività del Signorelli (Italo Dal Mas, 1957). Le immagini di documentazione di questi restauri, di cui pubblichiamo diversi esempi nelle schede, evidenziano bene la grande differenza fra le condizioni prima e dopo gli interventi, che recuperarono in molti casi una leggibilità del tutto oscurata, fornendo le basi per un più fondato giudizio critico26. Spesso la documentazione fotografica è tutto quello che abbiamo per poterci fare un’idea dei restauri a cui sono state sottoposte le opere, e in alcuni casi dalle foto d’archivio possiamo desumere anche più di quanto ci dicano le relazioni scritte (se pure reperibili): è quanto si è verificato nel corso del restauro di Italo Dal Mas della Madonna della Gatta, di cui viene dato conto in maniera sin- 37 Fig.8b-c. Raffaello, Madonna del Divino Amore, dettagli durante il restauro, dove sono visibili i fori colmati con «stucco a colore» durante il restauro di Nicola La Volpe del 1841. 38 Fig. 9. Anton Raphael Mengs, copia da Raffaello, Madonna del Divino Amore, Dresda, Gemäldegalerie. Raffaello a Capodimonte tetica negli indici della IV mostra, enfatizzando il recupero del «particolare del grande letto disfatto, con la sontuosa spalliera classicheggiante» già coperto da una uniforme ridipintura scura, ma mancando di menzionare la rimozione dalla testa del San Giovannino della ridipintura – risalente probabilmente al restauro ottocentesco di Achille Fiore – che pure è chiaramente documentata dalle foto, i cui numeri di negativo sono precisamente registrati nella scheda27. Per le epoche precedenti all’introduzione della fotografia, svolgono a volte un’importante funzione di riferimento le copie, che rivestono uno statuto singolare: al tempo stesso sono opere in sé, significative di un’epoca e di un autore, ma anche documenti dell’opera copiata, di cui possono testimoniare gli spostamenti, la ricezione, la fortuna critica, nonché le condizioni materiali prima di manomissioni e danneggiamenti. Le innumerevoli copie della Madonna del Divino Amore (cat. B.4) – opera che vanta una enorme fortuna iconografica – sotto questo aspetto coprono davvero l’intera casistica e meriterebbero uno studio specifico. Oltre alla copia su carta qui esposta (cat. B.5) che ne ha accompagnato una parte della storia collezionistica condizionandone non poco la fortuna critica, possiamo ricordarne alcune che rivestono particolare interesse. Colpisce, ed è un’importante conferma per le scelte operate nel corso della pulitura, che il dettaglio verde chiaro del ginocchio della sant’Anna, ritenuto troppo stridente nel precedente intervento e per questo attenuato con una velatura calda – per una sorta di ipercorrettismo che ancora indugiava a intonare i dipinti con ‘patine’ colorate al fine di armonizzarne l’insieme restituendogli il ‘dorato’ dell’antico – si ritrovi nell’identico tono freddo emerso dopo il restauro in alcune copie cinquecentesche, come quella conservata nel Museo della Cattedrale di Malta. Ma colpisce ancor di più rinvenire il dettaglio nello stesso tono nella copia in miniatura di Mengs conservata alla Gemäldegalerie di Dresda (fig. 8), che denota una notevole fedeltà cromatica, oltre che formale, con l’originale riprodotto28. Eppure, eseguita a Roma prima del 1744, dovrebbe essere stata realizzata attraverso un’altra copia e non sull’originale a Napoli, che Mengs avrebbe avuto modo di vedere direttamente solo qualche tempo dopo. Fra le innumerevoli repliche antiche di cui ci sono arrivate testimonianze documentarie e materiali, particolare interesse riveste una copia realizzata probabilmente quando il dipinto era ancora nella collezione di Rodolfo Pio (fig. 10), che reca un’iscrizione che la attribuisce a Daniele da Volterra: «Gabriello Bonarello fece fare da Daniello di Volterra»29. Una ulteriore preziosa testimonianza dell’attività di copista del Ricciarelli, di cui qui esponiamo la copia del San Giuseppe dalla Madonna di Loreto pervenuta dalla collezione Orsini, che includeva ben otto altre copie di questo autore. Nella copia della Madonna del Divino Amore oggi in collezione privata, riprodotta con meticolosa fedeltà, la riflettografia ha evidenziato il trasferimento del disegno tramite lo spolvero, strumento il cui uso è stato rivelato nel disegno sottogiacente anche in alcune opere di invenzione di Daniele, Saggi 39 Fig. 10. Daniele da Volterra, copia da Raffaello, Madonna del Divino Amore, collezione privata. come la Madonna col Bambino, san Giovannino e santa Barbara recentemente acquisita dal museo degli Uffizi30. Giovan Battista Armenini, convinto sostenitore dell’uso del cartone, ricordava Daniele nel novero dei grandi che se ne erano avvalsi per rag- giungere l’eccellenza delle loro opere, assieme a Michelangelo, Leonardo, Raffaello e Perino, testimoniando di aver personalmente ammirato cartoni di questi artisti eseguiti con «ogni possibile perfezzione d’incredibile maestria» e ricordando al contempo 40 Fig. 11. Paolino Girgenti, copia da Giulio Romano, Madonna della Gatta, dettaglio. Raffaello a Capodimonte la presenza di « molte reliquie che ci restano in diverse città, che sono sparse per le case de’ nobili cittadini, le quali, come cose meravigliose, si tengono da loro carissime e con molta riverenza e ri- sguardo»31. Se di tutti gli altri maestri citati sono ben noti cartoni – primi fra tutti quelli della collezione Orsini oggi a Capodimonte – è proprio attraverso l’indagine riflettografica che possiamo trovare conferma della dichiarazione di Armenini per Daniele da Volterra, di cui per il resto l’unica testimonianza nella produzione grafica si può rintracciare nel disegno per il ritratto di Michelangelo conservato al Teylers Museum di Haarlem, vero e proprio ‘cartonetto’ accuratamente forato32. La funzione di testimonianza della copia può divenire fondamentale per comprendere l’aspetto originario di opere irrimediabilmente danneggiate. È il caso della copia della Madonna della Gatta di Paolino Girgenti e dell’incisione di Guglielmo Morghen da essa derivata realizzate alla fine del Settecento33, poco prima dell’invio del dipinto a Palermo, da cui sarebbe rientrato a Napoli in condizioni precarie nel 1817-1818, e prima dunque dei problemi conservativi che avrebbero determinato la perdita di gran parte della testa del san Giovannino. L’incisione sarebbe stata utilizzata negli studi propedeutici alla ricostruzione intrapresi da Salvatore Castellano e Giuseppe Maldarelli dopo che era stata scoperta la grave lacuna durante la pulitura eseguita da Achille Castellano34. Rimasta nella stanza in cui era conservato il dipinto danneggiato, l’incisione sarebbe poi servita a guidare la ricostruzione eseguita con successo da Achille Fiore nel 1863. Ma ancora oggi, più ancora dell’incisione, il delicato, accurato disegno di Girgenti è una preziosa testimonianza dell’aspetto del dipinto prima dell’insorgere delle lacune: oltre al volto del san Giovannino (fig. 11), sono ben individuabili i dettagli del letto, col grande cuscino che lo sovrastava, di cui oggi non restano che poche tracce confuse. La Madonna della Gatta è davvero un caso paradigmatico del convergere delle informazioni di più varia natura nel formare un quadro di conoscenze utile a spiegare cause e modalità dei problemi conservativi a cui è stato da sempre soggetto il dipinto, dalle menzioni vasariane ai documenti d’archivio, dalle copie alla documentazione fotografica degli interventi passati, fino alle indagini scientifiche sempre più approfondite e distinte a cui è stato possibile sottoporlo. Se tutto questo non ci può restituire l’integrità dell’opera irrimediabilmente compromessa, può senz’altro aiutarci a comprenderne la fragile, complessa natura e fornire indicazioni utili per la sua futura conservazione. Saggi Note Argan 1969, p. 14. Strazzullo 1991-1992. 3 Zeri 1980, pp. 72-75; scheda sito MET: https://goo.gl/s3nfu7. 4 Archivio Storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (da adesso ASMANN), II inv., 40, II, «quaderni di Giovanni Fraccia», p. 144, trascrizione da già Archivio di Stato di Napoli, Fascio 951 Casa Reale; Quadri, restauri, 1803, 29 Novembre: «Raffaello d’Urbino/112. Quadro d’altare in tavola, che fu già di Casa Colonna. Rappresenta la SS. Vergine, con quattro Santi. Quest’Opera però si mostra della prima di Raffaello quando era uscito dalla Scuola di Perugino, e perciò ha qualche cosa di quel secco; sebbene originalissimo, non sorprende. Questo è riattato non molto, e nei panni velato in parte./113. Lunetta sopra lo stesso Quadro, e del medesimo autore all’uso antico. Rappresenta il Padre Eterno con due Angeli, il fondo del medesimo sembra riattato tuttavia l’uno e l’altro sono pregevoli assai per la mano dell’Autore, tanto più che le teste, le carni insomma sono ben conservate. 5 Archivio di Stato di Napoli, Min. Esteri, f. 4292/39: «Nota di quadri e stampe rinvenuti in casa di Tommaso Piroli appartenenti al Commissario Francese Vicar: […] Quadro in tavola di un vescovo, busto del Perugino con cornice». 6 Fischel 1912. 7 Magherini Graziani 1908. 8 Ricci 1912, p. 331; Zappa 1912, pp. 335-336. 9 Crowe, Cavalcaselle 1864-1866, X, pp. 143-144; BMV, Cod. It. IV 2032 (=12273), fascicolo 1, c. 58r; cfr. Miele 2017, pp.484-485. 10 Spinazzola 1912. 11 Napoli 1960, pp. 54-55. 12 Ivi, p. 55. 13 Il restauro fu realizzato da Francesco Virnicchi; intrapreso nel 1982, sospeso dopo un periodo di osservazione e di studio, fu ripreso e completato nel 1995. La documentazione è consultabile presso il Centro Documentazione 1 2 Restauro del Museo e Real Bosco di Capodimonte, coll. 4/B/498. 14 Il recente intervento sulla superficie pittorica realizzato da Francesco Virnicchi ha mantenuto l’impostazione di metodo precedentemente adottata. Il restauro si è reso necessario nuovamente a causa dell’instabilità del supporto ed affidato per questa parte a Roberto Buda, che ha applicato un sistema di sostegno elastico, secondo i più recenti studi, per consentire la naturale curvatura del legno, dopo la completa rimozione degli elementi residui della vecchia struttura. 15 Cerasuolo c.d.s. 16 Biblioteca Marucelliana, Pistoia, Raccolte Puccini; Biblioteca Marciana, Venezia, Fondo Cavalcaselle; Cfr. Mazzi 1986; Levi 1988; 2003; Miele 2017. 17 BMV, Cod. It. IV 2032 (=12273), fascicolo 1, c. 58r. 18 ASMANN, XXI, B8, 14; il corposo fascicolo è stato rinvenuto e analizzato da Diletta Clery per l’inserimento nel database ARISTOS nel 2009. 19 ASMANN, XXI B8, 14, lettera di Camillo Guerra del 16 luglio 1841. 20 Cfr. Cerasuolo 2005; Napoli, Roma, Dresda 2005. 21 Causa 1960, p. 11. 22 Molajoli 1964, p. 25. 23 Cfr. Cardinali, De Ruggieri, Falcucci 2002; Cardinali, De Ruggieri 20052006; De Rosa 2005; 2012; Cerasuolo 2013; Cardinali 2020. 24 Cfr. Mandolesi 2003, p. 150. 25 Causa 1960, pp. 15-19; Cerasuolo 2008, pp. 35-36. 26 Le fotografie fanno parte dell’Archivio Fotografico della Direzione Regionale Musei Campania conservato a Castel Sant’Elmo; nelle Appendici del Catalogo della IV Mostra di restauri (Napoli 1960) sono registrati per ogni dipinto i numeri di negativo della documentazione corrispondente. 27 Napoli 1960, pp. 118, 119. 28 Anton Raphael Mengs, miniatura, 226 x 183 mm, inv. 225 (prec. M 61), cfr. Roetggen 1999, p. 187. Reca sul verso l’iscrizione: «Gemalt von Anton Rafael Mengs nach Rafael’s Madonna in Neapel. Am 19. Dec. 1744 vom Künstler dem Churprinzen Fried. Christian vor- gelegt» («Dipinto da Anton Rafael Mengs dalla Madonna di Raffaello a Napoli. Presentato dall’artista al principe Federico Cristiano il 19 dicembre 1744»). Il supporto, indicato nel catalogo della Roetggen come carta, nel sito del museo è detto pergamena, cfr. https://skd-online-collection.skd.museum/Details/Index/542911#. 29 Il dipinto, in collezione privata, mi è stato reso noto da Gianluca Poldi, che ringrazio per la segnalazione e per aver condiviso le indagini diagnostiche che ha realizzato sull’opera. Gabriele Bonarelli, nobile anconetano, fu senatore a Roma dal 1519 al 1523; cfr. De Dominicis 2009, p. 25: «1519-1523-Gabriele Bonarelli da Ancona-(Moroni, Pompili). 1521-1523-[Cav.] Gabriel [di Giacomo] Bonarellus anconitanus [conte di Castel Bompiano] usque ad annum 1523-(Cred. VI, to. 55, c. 56). 30 Cfr. Roma 2017. 31 Armenini 1586, p. 121. 32 Daniele da Volterra, Volto di un apostolo con le fattezze di Michelangelo per l’Assunzione Della Rovere, 1550-1552, matita nera su traccia a punta di piombo, tocchi di biacca su carta bianca, forato, Haarlem, Teylers Museum(cfr. Firenze 2003-2004, pp. 110112). 33 Paolino Girgenti venne impiegato da re Ferdinando nel 1790 per «disegnare le migliori opere di Pittura della Real Galleria di Capodimonte per poi incidersi a comune vantaggio degli studiosi e de’ dilettanti delle belle Arti». A questa attività si può far risalire il nucleo di opere di traduzione grafica presenti presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Capodimonte realizzate da Girgenti, di cui fa parte la copia della Madonna della Gatta. Dai disegni di Girgenti furono tratte, fra le altre, le incisioni di Guglielmo Morghen della Madonna del divino amore e della Madonna della Gatta, realizzate nella scuola di incisione fondata da Ferdinando di Borbone nel 1794 e affidata inizialmente a Carlo Antonio Porporati, poi allo stesso Morghen sotto la supervisione di Girgenti; cfr. Cerasuolo 2015. 34 Cerasuolo c.d.s. 41