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Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni

Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni Francesca Pomarici L e due lastre che si conservano nel deambulatorio della cattedrale di Aversa e che raffigurano, una, quella più integra, un cavaliere in atto di trafiggere un mostro e, l’altra, mutila, una decorazione a orbicoli con elefanti e leoni, hanno sempre costituito un caso a parte nel panorama della scultura di epoca normanna in Campania (Figg 1-2). Che si tratti o meno dei resti degli stipiti di uno dei portali della cattedrale voluta dai nuovi dominatori del paese – questione che verrà riconsiderata in seguito – in questi rilievi sorprendono in primo luogo le scelte iconografiche, per le quali essi si distinguono nettamente da ogni altra analoga realizzazione. E vieppiù incuriosisce il fatto che tali scelte sono tutt’altro che affini, al contrario ognuna delle due lastre possiede una sua singolarità specifica: da un lato è presente un’immagine con una chiara connotazione decorativa, vale a dire la riproduzione assai fedele di un tessuto di seta orientale, e dall’altro, una composizione originale che sfugge ad una immediata comprensione, sia per i singoli elementi, sia per il senso generale1. Quest’ultima raffigurazione è quella che ha fatto più discutere. In sostanza essa è costituita da un uomo a cavallo passante verso destra con la mano sinistra sollevata a conficcare una spada nel corpo di un essere mostruoso che incombe su di lui avvitandosi lungo la porzione superiore della lastra. Gli aspetti che rendono questo rilievo del tutto sui generis sono tanti, non da ultimo il fatto che non si possa neanche definire con sicurezza la natura dell’essere mostruoso che domina la scena. Un drago, si afferma generalmente, ma Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni se ci si sofferma ad osservarlo ci si rende conto che si tratta di un drago piuttosto stravagante, in primo luogo perché manca della parte posteriore anguiforme e in sua vece è dotato di zampe artigliate e di una coda terminante con un ciuffo stilizzato, caratteri più adatti in effetti alla raffigurazione di un felino. Credo dunque che valga la pena di passare nuovamente in rassegna i vari aspetti enigmatici del rilievo, ma prima vorrei soffermarmi sulle proposte avanzate in merito a quello che è stato ritenuto il tema sostanziale della lastra: il cavaliere che uccide il drago. Accanto alle prime interpretazioni che si sono dirette verso i tipici eroi cristiani che lottano con il drago, san Michele e san Giorgio, ben presto negli studi si è costituita una corrente che ha pensato piuttosto, anche in forza della committenza normanna, alla rappresentazione di un episodio delle saghe nordiche: l’uccisione del drago Fafnir da parte di Sigurd2. Per quanto riguarda i primi sono molte le obiezioni che si possono fare. Nel caso di san Michele la prima controindicazione ovvia è che la raffigurazione equestre non è per niente propria all’arcangelo che appare in genere stante sopra il mostro trafitto o eventualmente nell’atto di colpirlo con la lancia, sempre stando in piedi o scendendo in volo ma comunque senza cavalcatura. Molti sono gli elementi che si oppongono anche all’identificazione con il santo martire, a partire dalla questione cronologica: è solo con l’inizio delle crociate che si diffonde la leggenda che narra dell’uccisione del drago, divoratore di fanciulle, da parte di san Giorgio ed è sempre a que127 Fig. 1 - Aversa, cattedrale, lastra con il cavaliere. 128 sto ambito che si deve il configurarsi del martire palestinese come santo cavaliere, a cui corrisponde il sorgere del racconto di un suo miracoloso intervento in aiuto dei crociati nell’assalto di Antiochia del 10893. In secondo luogo va considerato che l’immagine del santo come cavaliere draconoctono che si diffonde a partire dalla fine del secolo XI lo mostra, o nel momento della lotta o vittorioso sul mostro abbattuto, sempre armato di lancia e in abito militare, vuoi quello dell’esercito romano, vuoi quello dei crociati. Tutte condizioni che non si ritrovano nella lastra del duomo di Aversa. L’uso della spada e l’atto di colpire il drago da sotto in su che vi appaiono sembrerebbero di primo acchito convenire piuttosto all’altra ipotesi che mette in campo le saghe nordiche. Tuttavia il mito racconta che seguendo le indicazioni del fabbro Reginn, il quale aveva forgiato la spada, Sigurd si sistemò per uccidere il drago Fafnir in una buca sul percorso lungo il quale quegli sarebbe passato strisciando. Al momento del colpo mortale al cuore, l’eroe dunque si trovava acquattato in una fossa e difficilmente in questo frangente lo si potrebbe immaginare, neanche per qualsivoglia traslato simbolico, in groppa a un cavallo. Solo più tardi nel racconto compare Grani, il cavallo di Sigurd, che gli servirà per portar via i tesori dalla tana di Fafnir. Sulla pietra runica di Gök, della metà dell’XI secolo, come su numerose altre pietre nordiche, l’eroe è rappresentato più o meno accovacciato, ma comunque sempre appiedato, mentre conficca la spada nel corpo del drago, generalmente con entrambe le mani4. Troppe sono le incongruenze con la storia e le raffigurazioni dell’uccisione del drago da parte di Sigurd perché si possa ravvisare nel rilievo di Aversa un’immagine dell’eroe norreno anche se il carattere atemporale del cavaliere campano, così come l’evidenza del colpo di spada mi sembrano consigliare che forse un riferimento a quell’eroe può essere messo in conto nella genesi di questa immagine, menFrancesca Pomarici tre altrettanto non può dirsi per quanto riguarda i santi draconoctoni della tradizione cristiana. Non è possibile dunque far rientrare in modo plausibile la figura in questione in una delle tipologie equestri ricosciute del Medioevo5 e credo sia meglio ripartire dalla posizione ‘rinunciataria’ espressa già da Anna Grelle per la quale si può supporre che «l’artista di Aversa abbia solo voluto rappresentare allegoricamente una scena di lotta, allusiva al conflitto della ragione umana – espressione della divinità, del bene – contro la forza bruta ed animalesca – personificazione della volontà demoniaca, del male»6. La concentrazione del cavaliere, colto da una sorta di trance, non appare rivolta a una minaccia esterna bensì piuttosto a un qualcosa che lo opprime come un incubo ma da cui egli riesce a liberarsi, come è evidenziato simbolicamente dal colpo di spada inferto con la mano sinistra, mentre con quella destra continua a condurre il suo destriero. Una raffigurazione così concepita, più che ad una categoria assoluta di lotta tra il bene e il male, penso si possa interpretare come immagine di quella battaglia spirituale contro il peccato che costituisce la più intima essenza del cavaliere cristiano al momento del compiersi della sua configurazione appunto nel corso del secolo XI7. Preliminare all’approfondimento di questo tema è il chiarimento della collocazione cronologica delle lastre. Stando all’iscrizione che si conserva sul portale oggi murato all’esterno del transetto nord, che recita: PRINCEPS IORDANUS RICHARDO PRINCIPE NATUS QUAE PATER INCEPIT PRIUS HAEC IMPLENDA RECEPIT, la costruzione della cattedrale di Aversa dovette essere avviata dopo il 1053, anno dell’istituzione della sede vescovile, e portata a termine tra il 1078, anno di morte del principe Riccardo e il 1091, anno della morte del figlio di lui Giordano. Le consonanze formali e culturali tra i diversi elementi superstiti della scultura architettonica – i portali, gli archivolti delle Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni Fig. 2 - Aversa, cattedrale, lastra con elefante e felini. finestre, i capitelli e la lastra in questione – fanno ritenere che tutto il complesso architettonico e decorativo dell’edificio normanno sia stato realizzato effettivamente non oltre il 11918. Per quanto riguarda l’inizio dei lavori ci 129 Fig. 3 - Capua, cattedrale, basamento del fonte battesimale, particolare (da Gandolfo 1999). sono elementi che indurrebbero a credere ad una partenza del cantiere già negli anni sessanta. Il modo di fare che caratterizza gli archivolti della cattedrale lo si ritrova infatti a Sant’Angelo in Formis nei lati meridionale e occidentale della cornice tra il primo e il secondo ordine del campanile ed è dunque ipotizzabile che qui si siano trovate all’opera delle maestranze inviate da Riccardo di Capua all’epoca in cui egli era il committente della costruzione monastica, tra il 1066 e il 1072, e che queste maestranze, di cui è evidente il radicamento in una espressività lineare di tradizione campana, dovessero provenire dal cantiere aversano9. Sulla base di queste considerazioni, dunque, si può pensare che i lavori alla cattedrale siano stati intrapresi già agli inizi degli anni sessanta e che si siano protratti quindi per alcuni lustri 130 fino a dopo il 1078. Concordemente si ritiene che il portale con l’iscrizione da cui risultano i riferimenti cronologici, oggi murato all’esterno della testata del transetto nord, dovesse in origine incorniciare uno degli ingressi della facciata e dal fatto che tale portale presenta nell’archivolto una stretta comunanza con il coronamento delle finestre all’esterno delle absidiole del deambulatorio è deducibile che i lavori di edificazione siano stati condotti contemporaneamente su tutta l’estensione dell’edificio10. Come si è già accennato, le lastre in questione sono state riconosciute, a partire da Anna Maria Grelle, come i resti di uno dei portali della facciata11. L’ipotesi genera qualche perplessità, in primo luogo perché esse non concordano in quanto alle misure. La larFrancesca Pomarici Fig. 4 - Lund, Kulturen, coperchio di scatola per penne (da From Viking to Crusader 1992). Fig. 5 - Kiev, MIDU (Museo dei tesori storici dell’Ucraina), placchetta aurea dal Kurgan Zavadskaj Mogila (da Gold der Steppe 1991). ghezza è simile, cm 55 per quella con il cavaliere e cm 63 per quella con l’elefante, e anche l’altezza, rispettivamente, cm 165 e cm 160, ma mentre la raffigurazione della prima lastra appare intera, quella della seconda è invece frammentaria sia in alto sia in basso e se si completassero gli orbicoli interrotti sopra e sotto si raggiungerebbero delle dimensioni in altezza di molto superiori a quelle del rilievo con il cavaliere; in secondo luogo perché viene da interrogarsi sul come mai di questo portale non vi siano altre tracce, o anche sul perché esso sia stato così brutalmente annientato mentre l’altro venne murato all’esterno del transetto. Questi ostacoli, tuttavia, possono essere aggirati; si può ipotizzare che il rilievo con il cavaliere fosse dotato di un qualche Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni basamento grazie al quale raggiungeva l’altezza dell’altro stipite e, per quanto riguarda la dispersione, è comunque ovvio immaginare per qualsiasi epoca un maggiore interesse per la conservazione di un portale con iscrizione dedicatoria rispetto a quello che si poteva avere per rilievi ‘barbarici’ malamente conservati12. La questione meriterebbe un ulteriore approfondimento archeologico, nel frattempo l’ipotesi degli stipiti resta comunque, a mio avviso, plausibile e senz’altro assai attraente. Altre considerazioni di tipo formale legano in modo inequivocabile la lastra con il cavaliere ad altre sopravvivenze del corredo scultoreo della cattedrale normanna, e precisamente ad alcuni capitelli del deambulatorio e al portale detto degli ebdomadari o dei canonici, anch’esso all’interno del deambulatorio nell’ultima campata a destra13, e pertanto qualunque sia stata la sua collocazione originaria, è comunque assodato che il rilievo di cui si sta parlando dovette essere realizzato tra il settimo e il nono decennio del secolo XI nel cantiere della cattedrale di Aversa. È dunque in tale contesto che si dovrebbero trovare gli elementi utili per un’interpretazione dell’immagine misteriosa che vi è raffigurata. Tutti gli studi sull’insediamento dei Normanni in Italia meridionale hanno ribadito il ruolo speciale della città di Aversa nella storia della conquista, essa infatti è l’unico centro che si possa giustificatamente qualificare come normanno, in cui i guerrieri provenienti dal Nord avevano importato la propria civiltà e dove mantennero per tutto il secolo XI le con131 Fig. 6 - Schleswig, Schleswig-Holsteinisches Landesmuseum für Vor- und Frühgeschichte, puntale per fodero di spada da Nydam (da Haseloff 1986). suetudini del mos Francorum14. Un fatto importante per la contea fu, intorno al 1045, l’arrivo di Riccardo Quarrel, il quale, cresciuto in Normandia, era sceso in Italia per subentrare nella signoria della contea al fratello Asclettino morto senza figli, impresa che andò in porto, dopo una serie di contrasti con gli altri signori locali, nel 1049. Riccardo è, insieme a Roberto il Guiscardo, uno dei due eroici protagonisti della prima storia dei Normanni in 132 Italia, quella di Amato di Montecassino, il quale, pur cosciente della sua brama di conquiste, lo apprezza come cavaliere valoroso e fedele a Dio15. Questa Ystoire si apre con due racconti mitici, uno sull’origine del popolo normanno e l’altro sugli eventi che comportarono il primo stanziamento in Italia. Quest’ultimo racconto, su cui molto si è discusso perché non collima con quella che si ritiene la verità storica, narra di un gruppo di quaranta normanni di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta che giunti presso Salerno al momento in cui la popolazione di questa città era oppressa e umiliata dai saraceni decisero di soccorrere i cristiani. Si fecero dunque dare dal principe Guaimaro armi e cavalli e in breve sgominarono gli infedeli che si diedero alla fuga. Il principe e i salernitani furono molto grati ai pellegrini e offrirono loro delle ricompense pregandoli di fermarsi lì, ma essi, affermando di non volere denaro in compenso di quello che avevano fatto per amore di Dio, si scusarono di non poter restare. Allora furono consegnati loro doni da recare in patria: agrumi, mandorle, noci dorate, pallia imperialia e equorum instrumenta auro purissimo insignita16. Tralasciando le problematiche sui possibili nuclei di verità storica contenuti nella narrazione, vorrei qui soffermarmi invece sulla valenza mitica del racconto, ampiamente riconosciuta negli studi, per richiamare l’attenzione sul fatto che in esso troviamo più riferimenti a elementi che si ritrovano nelle lastre di Aversa17. Da un lato c’è una marcata sottolineatura del fatto che per andare a combattere i saraceni i pellegrini sovevano essere dotati di cavalli e di armi18; dall’altro, tra i regali che dovevano testimoniare in patria lo splendore della terra per cui avevano combattuto troviamo i tessuti di seta e, ancora, preziose bardature equestri. Il ‘mito delle origini della conquista’ accomuna dunque i due frammenti e ci conforta nell’ipotesi della loro provenienza da uno stesso complesso; del tutto dissimile però è il modo in cui i diversi elementi mitici hanFrancesca Pomarici no trovato una interpretazione scultorea: la ripresa letterale di un modello concreto nel caso del tessuto a orbicoli19, una costruzione oltremodo complessa e originale nel caso del cavaliere. Con questo non si intende affermare che le immagini dei rilievi della cattedrale siano state ispirate dalla Storia di Amato bensì semplicemente che gli uni e l’altra abbiano attinto allo stesso ambiente culturale, formato da componenti longobarde, normanne e cassinesi20. In questo ambiente doveva ormai essersi consolidata l’idea che chi combatte, anche se lo fa por lo amor de Dieu, ha comunque bisogno di un cavallo e questo concorda con l’immagine della lastra aversana, tuttavia se si torna ad osservare attentamente il cavaliere si resta colpiti da una serie di aspetti: egli infatti non ha niente a che fare con l’immagine coeva del guerriero a cavallo che ci è tramandata da innumerevoli esempi tra la fine del secolo XI e il seguente, soprattutto con riferimento alle crociate e ai romanzi cavallereschi, ma che già era stata in precedenza protagonista della storia ricamata sulla Tapisserie de Bayeux21; questa figura infatti è dotata generalmente di una protezione per il corpo ad anelli di ferro, di elmo, scudo, lancia, spada e a volte arco. Il nostro eroe invece è a torso nudo22, e per il resto indossa dei pantaloni a sbuffo in tessuto leggero e stivali morbidi con speroni (Fig. 1). La figura non si ispira all’aspetto dei guerrieri a cavallo coevi, né riecheggia modelli classici, nei quali ricorre o una tenuta militare o la nudità eroica, che comporta solo una corta clamide svolazzante. E ancora va sottolineata la singolare acconciatura dei capelli con una sorta di cresta sulla sommità del cranio che sembra prolungarsi verso la schiena con un sottile codino. Da sottolineare è anche il fatto che il cavallo non condivide affatto l’arcaico mistero del suo cavaliere e corrisponde perfettamente nella bardatura, nel ciuffo sulla fronte e nella lunga coda ai suoi consimili ricamati sulla tappezzeria di Bayeux. A chi o cosa si voleva alludere con questa creazione tanto originale: è questa la domanda che dobbiamo Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni Fig. 7 - Dublino, National Museum of Ireland, ‘pilastro’ da Banagher, Co. Offaly (da Harbison 1992). 133 Fig. 8 - Sovana, cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, stipite destro del portale (foto M. Fedeli). 134 porci, anche se è chiaro che al massimo si può tentare di individuare una pista. All’inizio della sua opera Amato parla dell’espansione dei Normanni e dice che essi non avevano fatto come tanti che cercavano un luogo dove prestare servizio, bensì come gli «antique chevalier, voilloient avoir toute gent en lor subjettion et en lor seignorie»23. Chi siano questi ‘antichi cavalieri’ secondo Amato non è chiaro, forse essi potrebbero essere messi in rapporto con la singolare apertura della dedica dell’opera all’abate Desiderio in cui si afferma che con Riccardo e Roberto si sarebbe compiuta la profezia di Isaia che parla di Ciro re di Persia come eletto del Signore (Isaia 45, 1-7). La questione a mio avviso merita ulteriori indagini, per il momento mi sento di dire che è molto probabile che l’aspetto arcano del cavaliere di Aversa potrebbe trovare una delle sue ragioni nella volontà di dotare la raffigurazione di una valenza numinosa in cui risuonasse il ricordo di un’origine mitica anticoorientale. Per quanto concepito come dotato di cristiane virtù e campione della fede e della Chiesa, questo eroe però non doveva essere appiattito nella concezione, per così dire mediterranea ed ecclesiastica del santo cavaliere, del miles Christi in versione equestre, perché alla sua lunga formazione spirituale avevano contribuito anche altri fattori. Gli elementi culturali che trasparirebbero da una tale intenzione vanno messi in rapporto non solo con le credenze dei nuovi arrivati ma anche con quelle dei precedenti signori longobardi a cui i primi normanni furono legati da forti vincoli feudali e di parentela24. In conclusione vorrei soffermarmi sull’aspetto formale del rilievo. Responsabili dell’esecuzione sono ritenute, con sostanziale concordia, le maestranze locali che negli stessi decenni si trovano attive in altri centri della Campania25. Ma è chiaro che nella costruzione dell’opera devono essere intervenuti altri fattori, estranei al bagaglio di questi artefici. Ad un’attenta osservazione la lastra con il Francesca Pomarici cavaliere si rivela come un collage che unisce elementi tratti da fonti disparate. La parte tergale del corpo del mostro con la grossa zampa unghiata e i contorni tersi ma morbidi mostra una evidente comunanza di modi con alcuni dei plutei frammentari che provengono dall’arredo liturgico della cattedrale di Sorrento e che oggi sono conservati parte nella cattedrale stessa e parte nel Museo Correale di Terranova sempre a Sorrento26, mentre per quanto riguarda la testa la faccenda sembra più complessa. Denti aguzzi e baffi dritti e sporgenti li troviamo nel leone della base piramidale con i simboli degli evangelisti conservata nella cattedrale di Capua27 (Fig. 3), ma mentre in quest’ultimo si nota una certa aspirazione alla naturalezza nel modellare i peli dei baffi così come le ciocche della criniera, nel mostro della lastra tutti i tratti appaiono lisci e stilizzati, ma senza durezza. La sommità della testa è rivestita da un motivo formato da una serie di pelte, probabilmente evocanti le squame di un drago, che si ritrova molto simile in un oggetto di produzione vichinga, un coperchio per una scatola portapenne di legno terminante ad una estremità in una testa mostruosa (Fig. 4)28. Ancora più remoto è un oggetto che mi ha colpito per la sua analogia con quella che è sicuramente la parte più singolare dell’essere raffigurato sulla lastra di Aversa: il «ventre occhiuto» che «si slega in fette ad artigli e in punte ripiegate di altissima fantasia», per dirla con le parole di Ferdinando Bologna29. La cosa più vicina, a mia conoscenza, a questo ambiguo connettersi di forme, vera e propria essenza della mostruosità, è infatti un motivo su una serie di placchette d’oro per la decorazione di una coppa provenienti da una tomba del Kurgan Zavadskaj Mogila n. 1 presso la città di Ordžonikidze in Ucraina (Fig. 5)30. Sempre all’ambito degli oggetti suntuari rimanda un altro degli elementi fortemente caratterizzanti del rilievo, vale a dire il motivo a cerchietti concentrici incisi che ricopre alcune delle scaglie che compongono il corpo del mostro. Questo motivo è piuttosto frequente Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni Fig. 9 - Vivo d’Orcia, chiesa di San Marcello, stipite del portale originario (foto M. Fedeli). 135 Fig. 10 - Magliano in Toscana, collegiata di San Martino, facciata, stipite sinistro del portale (foto M. Fedeli). 136 negli avori altomedievali ma è presente anche in forme analoghe sugli oggetti metallici e, in particolare, lì dove è presente una ornamentazione in stile animalistico può contribuire a simulare diversi tipi di epidermide. E a questo proposito vorrei fare riferimento a un puntale per fodero di spada da Nydam, che oltre a presentare questa animazione geometrizzata delle superfici offre anche un interessante esempio della capacità di elaborare in modo euritmico forme sfuggenti a una definizione (Fig. 6)31. Tutto questo a mio avviso significa che tra le intenzioni che presiedettero alla progettazione della lastra con il cavaliere ci dovette essere pure quella di trasmettere un contenuto preciso relativo al potere forsanche magico-rituale dell’eroe cavaliere che sconfigge il male dentro e fuori di sé. Per dare forma al tema non si volle ricorrere a ragion veduta al repertorio classico perché il mito di questi ‘antichi cavalieri’, come li chiama Amato, non ha niente a che fare con il mondo greco-romano bensì è nato nell’Oriente dei nomadi delle steppe e si è esteso poi alle polazioni migranti divenendo un elemento portante della loro Stammesbildung. Per sottolineare tale alterità non è improbabile che si sia cercata l’ispirazione proprio tra gli oggetti suntuari che i nuovi dominatori avevano portato con sé dal Nord, i quali potevano essere di fabbricazione recente ma anche essere stati conservati e passati di mano in mano per secoli, perché si sa che per le nazioni che si spostavano i ‘beni di prestigio’, ricevuti in dono o ottenuti come bottino, avevano una grande importanza in quanto legati a una concezione magica della lavorazione dei metalli strettamente connessa alla fortuna nell’esercizio delle armi, come ampiamente illustrano le saghe della mitologia germanica. Una tale operazione poté essere incoraggiata proprio dal fatto che, come è stato messo in evidenza proprio da Francesco Gandolfo, le botteghe presenti sul territorio avevano la capacità di «abbinare sperimentalmente» modelli acquisiti in maniera separata e indipendente per giungere al risultato desiderato32. Francesca Pomarici Anche per quanto riguarda la struttura complessiva della raffigurazione non si può escludere che una delle fonti di ispirazione possa essere stato il ricordo delle grandi croci e stele che si trovavano nelle isole britanniche; più che con la ‘croce del cavaliere’ di Clonmacnoise, citata da Grelle33, mi sembra suggestivo il confronto con il ‘pilastro’ di Banagher (Fig. 9) per l’analogia delle zampone artigliate che incombono alle spalle del cavaliere34. Si tratterebbe solo di un possibile punto di riferimento per la distribuzione dell’immagine – e magari anche per l’idea di una singolare acconciatura dei capelli – senza alcun rapporto con l’ambito dei significati. L’interpretazione di questi cavalieri sulle croci irlandesi non è affatto semplice e a tutt’oggi alquanto vaga, ma in ogni caso essi non sono mai in atteggiamenti bellicosi, per lo più neanche armati. Anzi, come nel caso qui illustrato, il cavaliere porta invece un pastorale35. All’inizio del suo libro sulla scultura in Campania il dedicatario di questo volume afferma che per quanto riguarda l’età norman- na «la funzione del potere politico, fu più spesso di committente, quasi mai di effettivo ispiratore culturale»36, spero con le osservazioni fatte di aver dato almeno una possibilità alle lastre della cattedrale di Aversa di far parte di quel ‘quasi’. Infine vorrei proporre, come ipotesi di lavoro allo stato embrionale, la possibilità di rintracciare una relazione tra il cavaliere di Aversa e quello raffigurato sul portale nord della cattedrale di Sovana dopo la metà del secolo XII (Fig. 8) e con i suoi epigoni a Vivo d’Orcia e a Magliano (Figg. 9-10). Anche in questo caso non si parla di relazione formale bensì concettuale. Riflettendo sul fatto che, all’epoca della ricostruzione della cattedrale suanense i signori della città, gli Aldobrandeschi, erano impegnati a rafforzare il proprio prestigio sottolineando le radici longobarde, e quindi nobili e guerresche, del loro casato37, si fa strada l’idea che anche nei casi toscani l’eroe a cavallo che compare sui portali possa alludere, tra l’altro, ai mitici cavalieri antenati delle stirpi nobiliari venute da lontano. Note lastra parla subito di copia di un tessuto serico orientale con animali, l’elefante e i leoni addorsati, che richiamano quelli di tante sete bizantine del IX e X secolo, e fornisce anche un aggancio con la realtà locale citando un passo della cronaca di Montecassino in cui si parla di un «pallium magnum, cum elefantis, quod dorsale cognominant» donato all’abbazia dall’imperatrice Agnese tra 1072 e 1073 (Chronica monasterii casinensis, a cura di H. Hoffmann, in MGH, Series Scriptores, XXXIV, Hannover 1980, lib. III, cap. 31, p. 403): un’indicazione che risulta molto più pregnante alla luce della collocazione cronologica, oggi generalmente accettata, proprio intorno a questi anni. È stata, poi, Anna Grelle, in uno studio specifico dedicato alle due lastre [Scultura campana del secolo XI. I rilievi del duomo di Aversa, “Napoli nobilissima”, IV, III serie (1964-1965), pp. 157-173] a proporre di riconoscervi i frammenti, databili alla seconda metà del secolo XI, di un portale della cattedrale andato distrutto, portale che doveva costituire «l’archetipo, almeno in Campania, di strutture del genere, in singolare ma non casuale rispondenza cronologica con la venuta dei Normanni…» (p. 159); si tratta tuttavia di un archetipo di cui non si è tramandata una grande discendenza locale e l’unico Del ritrovamento delle lastre nel corso di restauri dà notizia Alfonso Gallo (Aversa Normanna, Napoli 1938, rist. an. 1988, p. 165) senza ulteriori specificazioni sulle modalità del recupero; già dal 1936 le lastre erano state rese note da W. F. Volbach, Sculture medioevali della Campania, “Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia”, III serie, Rendiconti, XII (1936), pp. 81104, in part. 92; Id., Oriental Influences in Animal Sculpture of Campania, “Art Bulletin”, XXIV (1942), 2, pp. 172180, in part. 173; lo studioso, che nel primo dei contributi riferisce che i pezzi si trovavano «a sinistra del coro», non credendo necessario dedurre una relazione di essi con la cattedrale di Aversa li collocava cronologicamente nel IX secolo partendo da una considerazione della lastra equestre come di fattura più semplice e primitiva rispetto ai plutei di Sant’Aspreno a Napoli, da lui ritenuti databili al secolo X; sotto l’aspetto iconografico Volbach nota la mancanza di riscontri in Italia meridionale per quanto riguarda la raffigurazione del cavaliere con il drago e ne respinge comunque preventivamente una identificazione come san Giorgio, mentre per l’altra 1 Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni 137 seguace riguardo all’impegno narrativo resta il portale di San Marcello a Capua in riferimento al quale si basa la proposta di Grelle; in proposito si veda anche F. Gandolfo, La scultura normanno-sveva in Campania: botteghe e modelli, Bari 1999, pp. 36-37. 2 Questo nuovo punto di vista venne introdotto da B. Irgens Larsen, Sigurd Farnesbane på normannerrelieff i syd-Italia?, in Foreningen Til Norske Fortidsminnesmerkers Bevaring Saertrykk av Arbok, Oslo 1954, pp. 67-70, le cui argomentazioni sono piuttosto generiche; l’indicazione di diversi possibili riferimenti nordici è poi emersa a più riprese negli studi, si veda per una sintesi delle varie posizioni: V. Pace, La scultura della cattedrale di Aversa, “Rivista dell’ Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte”, XXV, III serie (2002), pp. 231-257, in part. 250 ss. 3 Si veda la voce Giorgio, in Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965, col. 514 s.; questa accentuazione in senso cavalleresco negli stessi anni riguarda anche altri santi come in primo luogo Teodoro e l’apostolo Giacomo Maggiore. 4 K. Düvel, Zur Ikonographie und Ikonologie der Sigurddarstellungen, in Zum Problem der Deutung frühmittelalterlicher Bildinhalte, Sigmaringen 1986, pp. 221-271. 5 Si veda da ultimo: C. Costantini, L’iconografia del cavaliere medievale, Todi 2009, con ampia bibliografia sull’argomento. 6 Grelle, Scultura campana cit., p. 157. 7 Per una sintesi della questione, e la relativa bibliografia, si veda: F. Pomarici, Cavaliere, in Enciclopedia dell’arte medievale, IV, Roma 1993, pp. 569-580, in part. 575-576; F. Cardini, Milites Christi. San Bernardo di Clairvaux, l’ordine templare e il “Liber de laude”, introduzione a Bernardo di Clairvaux, Il libro della nuova cavalleria/De laude novae militiae, Milano 2004, pp. 5-144. In questo scritto, che tra il 1130 e il 1135 celebra il sorgere del nuovo ordine cavalleresco dei Templari, il santo parla di un nuovo genere di cavalieri, che le età precedenti non hanno conosciuto, i quali, e qui Bernardo ricalca un passo importante di san Paolo (Ef. 6, 12), conducono una lotta parallela tum adversus carnem et sanguinem, tum contra spiritualia nequitiae in coelestibus (I, 1). 8 Per una valutazione dell’epigrafe e l’analisi dei rapporti tra le diverse sopravvivenze della scultura architettonica della cattedrale, così come per le indicazioni in merito alle ipotesi sulle fasi costruttive dell’edificio normanno si veda: Pace, La scultura cit., p. 231 ss. 9 L’importanza del ruolo di Riccardo I nella costruzione del cenobio di Sant’Angelo in Formis è stata rivendicata e sostenuta con forza da Fernanda de’ Maffei (Sant’Angelo in Formis. I. La data del complesso monastico e il committente nell’ambito del primo romanico campano, “Commentari”, XXVII (1976), pp. 143-178; recentemente la questione è stata ridiscussa dal dedicatario di questo volume; cfr. F. Gandolfo, Gli scultori dell’abate, in La Riforma e l’immagine dei cantieri in Occidente, a cura di A. C. Quintavalle, in corso di stampa, in cui si attribuisce il virare in senso classicistico della scultura architettonica di Sant’Angelo in Formis al sopraggiungere di artefici 138 attivi a Montecassino evidentemente in seguito alla donazione del sito monastico da parte di Riccardo I all’abate Desiderio nel 1072. 10 L’idea che il portale provenga dalla facciata è presente già negli studi ottocenteschi, si veda in proposito: M. D’Onofrio, Precisazioni sul deambulatorio della cattedrale di Aversa, “Arte medievale”, VII, II serie (1993), 2, pp. 65-79, in part. 72; Pace, La scultura cit., p. 231. 11 Si veda sopra alla nota 1. 12 Dubbi sulla originaria funzione di stipite, ma solo per quanto riguarda la lastra con il cavaliere, sono espressi in C. Marinelli, Le sculture del deambulatorio, in La cattedrale nella storia. Aversa 1090-1990 nove secoli d’arte, catalogo della mostra, Aversa, 13 novembre-8 dicembre 1990, Caserta 1990, pp. 42-46, in part. 44. Il bordo destro di questa lastra appare smussato e quindi la larghezza originaria poteva essere leggermente maggiore; il bordo sinistro è quello che conserva meglio la cornice, della quale comunque chiare tracce restano anche lungo il margine superiore e a destra; il margine inferiore della lastra invece è frammentario, la cornice è andata perduta e anche gli zoccoli delle zampe posteriori del cavallo non sono integri: la decorazione della lastra poteva quindi proseguire verso il basso. 13 Per l’analisi complessiva della decorazione plastica si veda: Pace, La scultura cit. 14 La città di Aversa, fondata nel 1030 da Rainulfo Drengot, fu il primo insediamento ufficiale dei Normanni; nel 1058, quando Riccardo Drengot VI conte di Aversa fu eletto principe di Capua, la città perse la sua indipendenza politica ma non la sua peculiare identità etnico-culturale strettamente legata alla madrepatria; cfr. E. Cuozzo, Intorno alla prima contea normanna nell’Italia meridionale, in Cavalieri alla conquista del Sud. Studi sull’Italia normanna in memoria di Leon-Robert Menager, a cura di E. Cuozzo e J.-M. Martin, Bari 1998, pp. 171-187 e, da ultimo, P. Oldfield, City and Community in Norman Italy, Cambridge 2009, p. 170; si veda inoltre, per considerazioni basate anche sulle caratteristiche del luogo, G. Fiengo, L. Guerriero, Il centro storico di Aversa. Analisi del patrimonio edilizio, Napoli 2002, p. 21. 15 L. Orabona, I Normanni. La chiesa e la protocontea di Aversa, Napoli 1994, p. 57. L’opera di Amato è stata tramandata attraverso una versione in medio-francese del secolo XIV fedele all’originale, cfr. Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino, volgarizzata in antico francese, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma 1935. 16 Il testo francese presenta alcune incongruenze, dovute a lacune o errori della traduzione, che si sono potute chiarire grazie alla riproduzione di ampie parti di questa storia nella Chronica Monasterii Casinensis (II, 37), si veda il commento in Storia de’ Normanni cit., pp. 22-24. Sulla discussione in merito all’attendibilità del racconto di Amato si veda: G. A. Loud, The Age of Robert Guiscard. Southern Italy and the Norman Conquest, Harlow 2000, p. 60 ss.; Amatus of Montecassino, The History of the Normans, a cura di G. A. Loud, Woodbridge (Suffolk), p. 50, nota 21. Francesca Pomarici 17 Non è possibile qui addentrarsi nell’assai complesso intreccio di questioni riguardanti sia l’indagine sulle tracce di realtà storica ravvisabili nel racconto, sia il contesto, le ragioni e le formule della costruzione di tale mito delle origini della conquista; argomenti recentemente trattati da: H. Taviani-Carozzi, Le mythe des origines de la conquête normande en Italie, in Cavalieri alla conquista cit., pp. 171-187; su Amato si veda anche: P. Toubert, La première historiographie de la conquête normande de l’Italie méridionale, in I caratteri originari della conquista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130), Atti delle sedicesime giornate normanno-sveve, Bari, 5-8 ottobre 2004, a cura di R. Licinio e F. Violante, pp. 15-49 18 In quattro righe i cavalli sono nominati tre volte «Cestui pelegrin elerent à Guaimarie, serenissime principe, liquel governoit Salerne o droite justice, et proïerent qu’il lor fust donné arme et chevauz, et qu’il vouloient combatre contre li Sarrazin; et non pour pris de monoie, més qu’il non pooient soustenir tant superbe de li Sarrazin. Et demandoient chevaux. Et quant il orent pris armes et chevaux, ils assalirent li Sarrazin et molt en occistrent», Storia de’ Normanni cit., p. 22. 19 Si veda su questo argomento: J. Leclercq-Marx, L’imitation des tissus “orientaux” dans l’art du Haut Moyen Âge et de l’époque romane. Témoignages et problématiques, in Medioevo mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam, (I convegni di Parma, 7) a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 456-469. 20 La redazione dell’opera di Amato si colloca tra l’estate del 1080 (trattato di Ceprano) e l’elezione a papa (24 maggio 1086) di Desiderio di Montecassino, a cui lo scritto è dedicato. 21 Si veda, da ultimo, The Bayeux Tapestry: New Interpretation, a cura di M. K. Foys, K. E. Overbey e D. Terkla, Woodbridge 2009. 22 Su questo elemento come possibile indizio per scoprire la tematica della lastra ha già richiamato l’attenzione Valentino Pace (La scultura cit., p. 252). 23 Storia de’ Normanni cit., p. 11; il testo continua: «Et pristrent l’arme, et rompirent la ligature de paiz, et firent grand exercit et grand chevalerie» in interessante contrasto con la presentazione dei Normanni come guerrieri mossi dall’amore di Dio che sembra essere lo scopo principale dello storico cassinese. 24 Sull’«inestricabile nesso di componenti» che va individuato a monte della scultura di Aversa si veda ancora: Pace, La scultura cit., p. 251. Per la cultura cavalleresca dei Longobardi in rapporto alla produzione artistica si veda: F. Pomarici, L’enigma del piatto e la sella d’oro, in Arte d’Occidente: temi e metodi, Studi in onore di Angiola Maria Romanini, a cura di A. Cadei, M. Righetti Tosti-Croce, A. Segagni Malacart, A. Tomei, Roma 1999, II, pp. 571-581, in part. 576; sul ruolo dell’Oriente nella formazione della cultura dei popoli germanici cfr. W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, Roma 2000. Anche il racconto delle origini elaborato in Normandia e narrato da Dudo di Saint-Quentin risale a remote origini mediorientali e precisamente troiane, ma non c’è Eroi a cavallo: la lastra di Aversa e compagni l’elemento dei cavalieri che devono ridurre tutti sotto il loro dominio, cfr. C. Carozzi, Des Daces aux Normands. Le mythe et l’identification d’un peuple chez Dudon de SaintQuentin, in Peuples du Moyen Âge. Problemes d’identification, Aix-en-Provence 1996, pp. 7-25. Su tutt’altro livello si può notare en passant quanto, a dispetto della sua aria assente, il cavaliere della lastra di Aversa corrisponda perfettamente alla realtà coeva per quanto riguarda il rapporto tra cavaliere e cavalcatura; il cavallo dell’epoca non doveva essere alto più di dodici spanne per cui i piedi del cavaliere scendevano ben al di sotto della pancia del cavallo e in certi casi arrivavano fin quasi a terra come succede nella lastra aversana (cfr. J. France, Western Warfare in the Age of the Crusades 10001300, New-York 1999, p. 23). Chissà poi se è solo una coincidenza il fatto che nella storia di Amato (II, 44) sia proprio Riccardo II, il primo committente dei lavori per la cattedrale, a comparire, risplendente di bellezza, su un cavallo così piccolo che i piedi quasi toccavano terra. 25 Cfr. Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., p. 3 ss. 26 Si tratta di un insieme cospicuo di rilievi, in parte frammentari, non necessariamente pertinenti allo stesso complesso e a uno stesso momento; la cronologia comunque spazia nella seconda metà del secolo XI: cfr. Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., p. 9 ss.; R. Coroneo, Le formelle marmoree di Sorrento, in Medioevo mediterraneo: l’ Occidente, Bisanzio e l’ Islam, (I convegni di Parma, 7) a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, p. 495. 27 Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., p. 7. 28 From Viking to Crusader. Scandinavia and Europe 800-1200, The 22nd Council of Europe Exhibition, Uddevalla 1992, n. 419: artefice inglese 1000-1050. 29 F. Bologna, Bassorilievo con figurazione barbarica, in Sculture lignee nella Campania, catalogo della mostra a cura di F. Bologna e R. Causa, p. 31. Va detto a questo punto che il dedicatario di questi scritti non condivide i dubbi sull’identificazione dell’animale in questione che ritiene essere inequivocabilmente un leone e che pertanto la scena vada interpretata come una «versione, iconograficamente fedele, anche se stravolta per eccesso di fantasia compositiva, del tema sasanide della caccia glorificante»: Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., p. 13. 30 Gold der Steppe. Archäeologie der Ukraine, a cura di R. Rolle, M. Müller-Wille e K. Schietzel, Neumünster 1991, n. 90, p. 308. 31 Il fatto che l’ornato a cerchietti ritorni in un capitello del portico della cattedrale di Carinola [M. D’Onofrio, V. Pace, La Campania (Italia Romanica, 4), Milano 1981, fig. 40] con funzione puramente decorativa non osta a ritenere che nel caso in esame esso sia stato utilizzato intenzionalmente in senso, per così’ dire, naturalistico; a denotare inequivocabilmente la pelle viscida di un mostro marino torna infatti ancora in uno dei plutei del Museo Correale di Terranova a Sorrento (Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., fig. 20). Per il puntale da Nydam si rimanda a G. Haseloff, Bild und Motiv im Nydam-Stil und Stil I, in Zum Problem der Deutung frühmit- 139 telalterlicher Bildinhalte, a cura di H. Roth, Sigmaringen 1986, pp. 67-110. 32 F. Gandolfo, I plutei di Sant’Aspreno a Napoli e la decorazione animalistica nella Campania medievale, in Medioevo mediterraneo: l’ Occidente, Bisanzio e l’Islam, (I convegni di Parma, 7) a cura di A. C. Quintavalle, Milano 2007, pp. 273-281, in part. 275. 33 Grelle, Scultura campana cit., p. 165. 34 Il gruppo di croci di cui fanno parte sia Clonmacnoise, sia Banagher è tentativamente collocato nella seconda metà del IX secolo, si veda: P. Harbison, The High Crosses of Ireland: An Iconographical and Photographic Survey, Bonn 1999, I, p. 377 ss.; per le schede sui monumenti di Banagher e Clonmacnoise: ivi, rispettivamente, n. 20 e n. 58. 35 Per quanto riguarda l’interpretazione delle figure a cavallo in questi rilievi: Harbison, The High Crosses cit., p. 317 s.; Id., The Golden Age of Irish Art: the Medieval Achieve- 140 ment, 600-1200, London 1999, p. 151. Per un’analisi dettagliata delle varie ricorrenze di questa immagine si veda: S. McNab, Celtic Antecedents to the Treatment of the Human Figure in Early Irish Art, in From Ireland Coming. Irish Art from the Early Christian to the Late Gothic Period and its European Context (Index of Christian Art Occasional Papers, IV), Princeton 2001, pp. 161-182, in part. 178. 36 Gandolfo, La scultura normanno-sveva cit., p. 3. 37 Su questi monumenti si veda: W. Angelelli, «Tutti i pietrami semplici e lavorati». Il repertorio ornamentale della scultura di Sant’Antimo: formazione e irraggiamento, in W. Angelelli, F. Gandolfo, F. Pomarici, Aula egregia. L’abbazia di Sant’Antimo e la scultura del XII secolo nella Toscana meridionale, Napoli 2009, I, pp. 87-159, in part. 148-149; per indicazioni bibliografiche sulla famiglia degli Aldobrandeschi cfr. anche: F. Pomarici, Percorsi iconografici nella scultura architettonica della Toscana centromeridionale tra XI e XIII secolo, ivi, pp. 161-208, in part. 205. Francesca Pomarici