[Vicino Oriente XIII (2007), pp. 141-176]
TEMPLI PUNICI O DI MATRICE PUNICA CON CRIPTA O CON STRUTTURE
SOTTERRANEE IN NORD AFRICA
Fiammetta Susanna - Roma
1. INTRODUZIONE
Alcuni tra i maggiori edifici sacri punici dell’Africa settentrionale sono
caratterizzati dalla presenza di ambienti sotterranei, il cui studio e la cui
interpretazione sono rimasti ancora ad uno stadio preliminare1. I più caratteristici in
questa categoria sono senza alcun dubbio quelli di Hoter Miskar e di Liber Pater a
Mactar, il primo dei quali è noto anche per una famosa iscrizione2, menzionante per
l’appunto una cripta sotterranea, che è stata la maggior fonte d’ispirazione per la
presente trattazione3.
In questo contributo si è ritenuto utile presentare un’analisi dei templi a cripta
punici africani, proponendo un’interpretazione della planimetria e della funzione
specifica di ciascuna cavità sotterranea, nel tentativo di trovare una possibile finalità
comune per tali apprestamenti, sia dal punto di vista strutturale, sia da quello cultuale.
2. I TEMPLI NORD AFRICANI CON STRUTTURE SOTTERRANEE
Gli edifici di culto con cavità sotterranee nell’Africa punica saranno descritti
secondo la loro localizzazione geografica. In Tunisia, nel sito di Mactar si trovano
due esempi: il Tempio di Liber Pater, con camera voltata sotterranea e grotta di
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Gli unici due autori che hanno messo in evidenza la presenza di strutture sotterranee all’interno di
edifici sacri punici in Africa settentrionale sono G.Ch. Picard e M. Leglay. Il primo nella sua opera
Religion de l’Afrique du Nord dans l’Antiquitè, Paris 1954, collega la presenza di cripte con le
pratiche cultuali d’iniziazione, facendo riferimento a culti misterici africani, quali quello per
Dioniso. Un’ulteriore testimonianza della tipologia di tempio a cripta per l’autore deriverebbe dalla
raffigurazione dei templi sulle stele dette della Ghorfa che mostrano una cripta in cui Atlanti
sorreggono la volta di una stanza sotterranea. L’altro autore, nel volume intitolato Saturne Africain,
Paris 1961, dedicato alla storia del culto di Saturno in Africa, rianalizza gli esempi forniti da G.Ch.
Picard, in qualche caso ampliandoli, e conclude che in Africa settentrionale non esiste un culto
misterico punico. Le cripte raffigurate sulle stele della Ghorfa, pertanto, sarebbero delle favissae
dove, sotto lo sguardo degli Atlanti, geni ctoni protettori del tempio, erano deposti gli arredi cultuali
dismessi, ma ancora detentori di forza sacra. Queste camere quindi non dovevano servire per la
pratica di cerimonie, tale concetto funzionale è applicato dall’autore anche ai templi di Mactar, a
quello semi-rupestre di Tiddis e ai templi di Saturno con favissae, come per esempio quello di
Dougga.
KAI 145.
In molti santuari dedicati al dio Saturno, sono presenti invece delle favissae, spesso contenenti
arredi cultuali dismessi, come nel caso del Tempio di Saturno a Dougga (Poinsott 1958), ma queste
non sono prese in esame in quanto non si tratta di veri e propri ambienti, ma di semplici fosse o
cavità non fruibili per altri scopi se non per la deposizione di oggetti.
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Fiammetta Susanna
livello ancora inferiore e quello di Hoter Miskar. In quest’ultimo, tra l’altro, è stata
ritrovata un’iscrizione, menzionante ïnt qdšt, forse la “camera delle cose sacre”, che
sembrerebbe proprio il termine tecnico punico per designare le cripte al di sotto
dell’edificio sacro, forse preposte anche alla conservazione di materiale sacro
dismesso.
In Algeria troviamo il Santuario semi-rupestre di Tiddis, il quale è anch’esso
dotato di una stanza sotterranea in cui sono stati trovati alcuni oggetti cultuali, e il
Tempio di Liber e Libera a Djemila con un ambiente semi-sotterraneo bi-absidato
voltato, che sembrerebbe essere in comunicazione con una piazza lastricata.
Per quanto riguarda la Libia, può essere citato il Tempio di Iside a Sabratha, che
possiede degli ambienti al di sotto del podio nei quali sono state rinvenute alcune
statue, che secondo l’interpretazione di A. Di Vita, potevano essere preposte allo
svolgimento di culti misterici (vedi di seguito §8).
In Marocco troviamo altri esempi: il Tempio B di Volubilis, che presenta alcune
stanze sotterranee voltate, sottostanti la corte; a Dimmidi, antico centro militare
romano, è stata trovata una cripta con pozzo sacro connesso.
Già solo da una prima analisi veloce e preliminare di questi edifici, sembra palese
la loro eterogeneità e varietà da un punto di vista planimetrico, che potrebbe quindi
essere indice anche di una non comune unità funzionale e cultuale. Si rende pertanto
necessario effettuare una lettura più attenta dei dati disponibili.
3. IL TEMPIO DI LIBER PATER A MACTAR
Il Tempio di Liber Pater è stato identificato e scavato per la prima volta da G.Ch.
Picard negli anni ’50 4 . Così come si presenta oggi ai nostri occhi è il risultato di più
opere edilizie avvenute in diversi secoli (fig 1).
Il tempio si trova a nord del Foro vecchio della città; la sua identificazione con
l’edificio di culto dedicato a Liber Pater è avvenuta grazie al ritrovamento di un altare
decorato con ghirlande, che rievoca un rituale bacchico, di una statua acefala di satiro
e di una testa di Bacco coronata da foglie di edera e per l’interpretazione di alcuni
rilievi incisi sui frammenti architettonici rinvenuti in uno strato di crollo.
Il tempio ha una pianta piuttosto irregolare: la sua planimetria potrebbe quindi
essere frutto di una riedificazione su una precedente struttura e di un adattamento a
piani urbanistici precedenti. Un’iscrizione latina 5 , incisa su di una colonna, menziona
la costruzione del fregio del Tempio di Liber Pater da parte dei folloni, che
consideravano tale divinità come patrono della corporazione, dato anche il suo ruolo
di protettore della città assieme ad Apollo e a Cerere, prima del 178 a.C. Pertanto è
possibile che la ricostruzione in epoca romana sia attribuibile a questa data.
4
5
G.CH. Picard 1957, 49-54.
CIL 23399.
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Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
La fase più recente del tempio è databile al 361 d.C. in epoca cristiana6, quando la
struttura di culto pagana fu trasformata in una chiesa di cui ancora si vede l’abside
addossata alla faccia nord del podio.
Dell’edificio di epoca romana è ancora visibile il podio, dalla forma irregolare a
trapezio, una scalinata monumentale di sette gradini inquadrata da due grandi
basamenti modanati, che probabilmente dovevano supportare delle statue, una delle
quali potrebbe essere quella del satiro, ritrovata durante gli scavi nelle vicinanze del
basamento ad ovest.
Questa ricostruzione fornita da G.Ch. Picard7 non è accettata da A. Lézine8, infatti,
in base allo studio delle proporzioni architettoniche dei vari elementi che
costituiscono l’edificio, il colonnato sarebbe troppo grande con un intercolumnio
eccessivo, inoltre non sarebbe in grado di sostenere l’architrave, di cui sono stati
trovati i frammenti in prossimità dell’edificio e ad esso attribuiti.
Lézine propone che i 4 frammenti di fregio non appartengano in realtà a questo
edificio, mentre alcuni resti di fregio, più piccoli e mai considerati da Picard,
dovrebbero, invece, essere parte costituente del pronao tetrastilo (fig. 2).
La particolarità di quest’edificio è costituita dalla presenza, a 3,50 m sotto al
pronao, di una cripta doppia voltata, dalla forma ellittica, orientata secondo un asse
perpendicolare a quello del tempio. Questa è accessibile da ovest tramite una
scalinata e da est direttamente dalla strada tramite una porta che ha una soglia ad un
metro di altezza dal banco roccioso di fondazione, in una seconda fase edilizia
trasformata in finestra. È certo che la parte inferiore di questa stanza sotterranea sia
stata riempita da detriti, provenienti dallo stesso banco roccioso di costruzione, così
come la grotta che si sviluppa al di sotto di questa.
Tale grotta o cripta ha una forma ellittica con asse maggiore di circa 4 m, si
estende per metà sotto l’ambiente voltato e per l’altra metà, quella nord, sotto la cella
e comunica con la sala sovrastante attraverso due aperture sul pavimento, una
rettangolare e l’altra semi-circolare con un prolungamento verso ovest. La profondità
media è di circa 2,80 m al di sotto dell’apertura dalla sala voltata. Al livello inferiore
il banco roccioso nell’angolo nord-ovest è stato tagliato ad angolo retto a nord-est
invece si trova un pilastro in muratura, sostruzione della cella sovrastante.
È indubbio per G.Ch. Picard9 che questa cripta appartenga al santuario originario,
cronologicamente precedente il tempio romano di Liber Pater, distrutto e colmato da
terra e pietre al momento della costruzione del santuario di età classica, e danneggiata
poi da infiltrazioni d’acqua.
Per quanto concerne la sala voltata sovrastante, si può dire che non è in fase con la
cripta, ma che deve essere comunque anteriore alla distruzione del tempio, dato che
all’interno, tra i detriti, è stata ritrovata la testa di Bacco, con corona di edera e
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La chiesa è stata identificata da L. Châtelain agli inizi del Novecento, i risultati dei suoi studi sono
pubblicati nella rivista CRAI 1911, 508-509.
G.Ch. Picard 1957, 53.
Lézine 1968, 150.
G.Ch. Picard 1954, 98.
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Fiammetta Susanna
pampini e con occhi e sguardo estatici, insieme con il crollo dell’edificio di culto
sovrastante di epoca romana.
In base ai ritrovamenti sembrerebbe lecito pertanto assimilare il santuario a quello
di cui la corporazione dei folloni si era assunta il compito della manutenzione e in cui
doveva essere venerata una statua del dio10.
Secondo G.Ch. Picard11, in base allo studio della planimetria dell’edificio, il culto
della divinità venerata doveva necessitare di una cavità sotterranea, tagliata in primo
luogo nella roccia e poi rifinita in muratura, proprio al di sotto della cella.
Per M. Leglay12, invece, la ricostruzione possibile è ben diversa: egli ipotizza,
infatti, che la stanza voltata e la cavità sotterranee potessero essere utilizzate
contemporaneamente. I due ambienti infatti potevano essere impiegati per cerimonie
misteriche iniziatiche dedicate al dio Liber Pater, o Dioniso, come sembra anche
mettere in evidenza lo stesso Picard. L’ambiente voltato superiore sarebbe potuto
essere utilizzato come sala da banchetto, mentre quello inferiore sarebbe servito per la
catabasi. Attraverso questa ricostruzione si terrebbero in maggior conto le esigenze
liturgiche delle differenti cerimonie pre-iniziatiche e si darebbe ugualmente senso alla
presenza nella grotta inferiore dei crolli provenienti dal tempio più tardo.
4. TEMPIO DI HOTER MISKAR A MACTAR
Il tempio si trova ad una cinquantina di metri a nord-est del foro di Traiano ed è la
testimonianza della sopravvivenza del paganesimo africano e della venerazione di
divinità puniche, anche dopo la romanizzazione.
Scoperto e scavato per la prima volta da Bordier e Delherbe nel 1893-9413, che
identificarono il temenos e la scalinata d’accesso, fu interessato da grandi lavori di
scavo solo negli anni Settanta grazie a G.Ch. Picard, A. Beshaouch e M.H. Fantar,
che diressero i loro sforzi alla ricerca dei resti di epoca neo-punica, menzionati
nell’iscrizione dedicatoria del tempio.
L’identificazione del tempio è stata compiuta grazie a tre iscrizioni, la più
importante delle quali, composta da 47 righe disposte in 10 colonne, è incisa su di un
architrave di stile ellenistico lungo 2,16 m: si tratta della dedica del tempio al dio
Hoter Miskar14 da parte del mizraï. Nel testo sono enumerati anche altri elementi del
tempio, come si vedrà più avanti.
10 La presenza della statua di Dioniso potrebbe derivare dal fatto che questo dio in Grecia era connesso
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con antri e caverne. Il dio infatti era spesso figurato nelle grotte di Nysa, dove era stato allevato
dalle ninfe e pertanto era stato assimilato o affiancato dai Romani al locale dio berbero punicizzato,
che doveva essere adorato in grotta.
G.Ch. Picard 1957, 52.
Leglay 1961, 293.
È stato però pubblicato solo da P. Gauckler nella sua opera Temples païens, citato alla p. 128.
La vocalizzazione proposta da Sznycer (1972, 26) del nome del dio è ancora incerta, ma
sicuramente è molto più verosimile di quella proposta da Ph. Berger che leggeva il nome HathorMiskar.
144
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
L’edificio è composto da un peribolo di forma approssimativamente quadrata
lungo 19 m e largo 18 m, preceduto da un propileo posto in asse. La corte all’interno
è ornata da portici, ma solo sui lati est ed ovest15. All’interno, addossato al lato sud, è
racchiuso il vero e proprio tempio prostilo che misura 16 m x 8 m. Una scalinata
monumentale di nove gradini dà accesso al pronao d’ingresso alla cella ad abside
semi-circolare, circondata ad est e ad ovest da due corridoi – in fondo ai quali due
porte immettevano in altrettante stanze –, che nasconde nel sottosuolo una cripta
voltata e lastricata, accessibile da una scalinata sul lato ovest (fig. 3).
Dei sondaggi cominciati nel 197816 all’interno della corte, a nord della scala del
tempio, hanno messo in luce una struttura alta 1,20 m, in grandi blocchi
parallelepipedi di 0,70 m x 0,60 m x 0,40 m. Nel 1980 fu scoperto invece un muro in
blocchi di calcare di 0,40 m x 0,50 m, rivestiti all’interno da uno strato d’intonaco,
che partendo dalla faccia nord-est si dirige in direzione nord, per poi girare verso
ovest, prima di passare al di sotto del temenos e sotto la via romana che lo
fiancheggia.
Sembrerebbe possibile che si sia in presenza di un edificio più antico così
organizzato: un temenos racchiudeva all’interno una corte pavimentata con della
malta, al di sopra della quale si accumularono una serie di depositi composti di
ceramica, pesi sferici forati al centro, strati di cenere misti a carbone, frammenti di
anfore neo-puniche, marmitte fatte a mano e frammenti di ossa di bovini, ovini e
volatili, disposti a letti orizzontali contro la facciata ovest di una grande struttura in
blocchi – che pertanto non può non essere interpretata come un altare – che doveva
funzionare come centro del santuario a cielo aperto. Sfortunatamente non si possono
ricostruire le misure di tale altare, perché coperto dalla cella del tempio più tardo, ma
sembrerebbe superare almeno i 5 m di lunghezza. Grazie allo studio del materiale
rinvenuto nella corte queste strutture possono essere datate tra il II ed il I sec. a.C.,
bisogna però considerare la costruzione del muro sud del temenos contro la faccia
nord-ovest dell’altare, che indicherebbe almeno due fasi edilizie del complesso, la
seconda delle quali prevede l’erezione del temenos almeno verso la fine del I sec. a.C.
C. Picard17 e P. Gauckler, attribuiscono le vestigia del tempio visibili ad oggi
all’epoca cristiana, l’unico elemento punico sarebbe costituito dalla scalinata
monumentale della facciata nord. Non è tuttavia dello stesso parere G.Ch. Picard18
che ritiene invece che la pianta dell’edificio non rispetti in alcun modo le regole
dell’architettura cristiana. I lavori condotti a partire dagli anni Settanta hanno
evidenziato che si tratta di un edificio, non anteriore al II sec. d.C., che segue una
tipologia di santuario romano, presente anche a Roma ed esemplificata dal Tempio
della Concordia al Campidoglio19 e dalla prima forma del Pantheon. A seguito della
15 Il tempio è stato molto danneggiato durante l’ultima guerra mondiale ed i vandali ne hanno distrutto
la scalinata ed i muri del temenos.
16 C. Picard - G.Ch. Picard 1978-79, 23.
17 C. Picard 1972, 45.
18 G.Ch. Picard 1957, 58.
19 C. Picard - G.Ch. Picard 1978-79, 22.
145
Fiammetta Susanna
scoperta del santuario a cielo aperto, G.Ch. Picard20 tenta di ricostruire tutta
l’evoluzione dell’edificio sacro a partire dalla sua fase del II-I sec. a.C.: in un primo
momento (fine II sec. a.C.) doveva esistere solo un altare attorno al quale i fedeli
deponevano i loro sacrifici e praticavano il culto per il dio; dopo circa mezzo secolo,
sarebbe stato costruito un temenos per regolarizzare i depositi ed a questo si sarebbero
aggiunte delle strutture ad ovest dell’altare, una più a nord, l’altra più a sud,
interpretate dallo studioso come cappelle, ma di cui rimangono solo pochi resti, e che
dovevano ospitare delle statue o statuine di terracotta, di cui sono stati trovati alcuni
frammenti all’interno della corte (fig. 3). Le statuine potevano essere effigi della
divinità ma non solo: compaiono infatti anche frammenti raffiguranti un dio guerriero
ed una dea con cornucopia che potrebbero essere i suoi paredri21. La natura del dio
venerato è sconosciuta, non ci sono dati certi che si possa trattare sempre di Hoter
Miskar: alcune iscrizioni latine riportano il nome di Nettuno, altre di Liber Pater,
Apollo e Cibele, ma nessuna è quindi rapportabile a Hoter Miskar. Una delle
cappelle, quella più a sud, sarebbe stata poi distrutta dalla costruzione di un edificio
ottagonale in bossage attorno al 30 d.C.22 (fig. 3 in alto). In epoca severiana sarebbe
stato costruito il tempio più noto detto “a cripta”, che tuttavia ricevette forti
rimaneggiamenti in epoca cristiana. Questa ricostruzione pone però un problema: per
molto tempo si è creduto che il tempio descritto nella grande iscrizione fosse per
l’appunto quello identificato con gli scavi della fine dell’800.
Le nuove indagini invece confutano questo dato, sebbene tuttavia non sia da
escludere che queste strutture più tarde ricalchino in qualche modo quelle neopuniche o le abbiano riadattate.
4.1. L’iscrizione dedicatoria del Tempio di Hoter Miskar
L’iscrizione è incisa su di un architrave ed è composta da 47 linee, ripartite in 10
colonne23 ed ora è conservata nella corte della Casa Missioni di Mactar e versa in un
cattivo stato di conservazione a causa delle numerose vicissitudini subite nel corso
degli anni, fatto che ne ha reso ancora più complessa la lettura. È stata scoperta nel
1892 da Delherbe sopra la porta di accesso al vano posteriore alla cella del corridoio
est del Tempio di Hoter Miskar. Solo dopo cinque anni dalla scoperta fu pubblicata
grazie al lavoro di Ph. Berger, che ne aveva dato notizia già nel 1893. Poco dopo Ch.
Clermont-Ganneau riuscì a dare una lettura più completa, interpretando il nome mzrï
come quello di una corporazione e non di una parte del santuario, come risulta anche
dalla tariffa di Marsiglia24.
20 G.Ch. Picard 1982a, 17-20; 1982b, 21-25.
21 La pratica della deposizione di ex-voto permette pertanto di datare l’inizio della pratica cultuale, ma
non la sua esatta conclusione, infatti gli strati più superficiali sono stati intaccati dai
rimaneggiamenti del III sec. d.C.
22 La datazione è stata possibile grazie al ritrovamento di frammenti di ceramica aretina.
23 KAI 145 (con bibliografia precedente).
24 CIS, I, 165, 1.16 (KAI 69).
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Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
La prima e la seconda colonna si riferiscono alla dedica del santuario, mentre le
altre otto sono solo una lista dei nomi dei membri del mizraï.
Di seguito (tab. 1) viene presentato il testo secondo la traduzione di Février,
risalente al 195625, approvata anche dallo Sznycer26 come una delle più accreditate;
di fianco è riportata la traduzione di van den Branden27, come la più recente. Alcune
variazioni d’interpretazione differenziano i due testi.
Le traduzioni fornite costituiscono nonostante le certezze un aiuto per
comprendere la struttura del santuario di epoca neo-punica, con particolare riguardo
alla presenza di una cripta, elemento caratterizzante del tempio.
Il tempio è chiamato mqdš; segue il termine ïñrt che indica un cortile; pertanto
questo edificio poteva comprendere un propileo forse porticato, un pronao, una cella e
sotto di questa una cripta (ïnt qdšm28, forse “la camera delle cose sante”). Il termine
che designa la cripta è molto discusso: van den Branden ritiene che pïnt sia una
grafia tarda di pnt, “davanti”, mentre Sznycer afferma che nella maggioranza delle
lingue semitiche con la parola ïnt vengono indicate piuttosto delle botteghe. Il
termine quindi non avrebbe alcuna allusione ad ambienti sotterranei e nascosti,
tuttavia preso nella sua accezione letterale potrebbe indicare un “deposito di cose
sacre” sotto il vestibolo del tempio o, nella lettura di Sznycer, al deposito potrebbe
seguire un nuovo elemento architettonico, ovvero “pilastri o fondazione del vestibolo
(del tempio)”.
Al centro della facciata nord del muro di cinta davanti all’entrata del tempio ci si
aspetterebbe di trovare un ingresso, invece gli scavi hanno messo in luce una sorta di
scasso all’interno del muro, obliterato da una lastra liscia di pietra. Ci si domanda
pertanto se sia possibile che al di sopra di questa lastra, posta in asse con la parte più
sacra dell’edificio, non potesse esserci la base di una tavola, la lï dell’iscrizione, che
potrebbe essere il tariffario dei sacrifici.
La parte nord-ovest dell’area non è mai stata scavata, forse proprio in questa zona
si doveva trovare la statua rivestita d’oro del dio (sml) e la ïrst, interpretata da M.
Sznycer come un’edicola, o meglio un edificio che comporta capitelli corinzi e per
conseguenza colonne e pilastri, che infatti dall’iscrizione sembrerebbero trovarsi in
prossimità di un passaggio che dà sulla vallata, quindi di un ingresso verso la
campagna.
25 Février 1956, 20.
26 Sznycer 1972.
27 van den Branden 1973, 166.
28 La p che precede ïnt è variamente interpretata.
147
Fiammetta Susanna
FÉVRIER
1. Il mizraï del santuario, che ha
costruito il tempio, il sagrato
I COLONNA
I COLONNA
II COLONNA
II COLONNA
III COLONNA
III COLONNA
2. la cripta sacra, chiusa, che è
sotto di lui come anche
3. i frontoni magnifici, per lui e
per il suo popolo che abita il
paese,
4. per il dio santo, quello che ha
posto il braciere dei cieli nel
firmamento,
5. il Re, Hoter-Mescar, principe
dei giorni, signore del terrore
6. a causa della sua potenza,
perché tu e (il mizraï) (e) lui ha
dato l’abbondanza.
7. la statua del nostro signore
benevolo, perfetto plt’, dopo il
passaggio
8. che scende nella vallata (e) la
tavola e la ïrst che è ai piedi del
santuario
9. la sommità delle colonne (?)
sono a forma di canestro (=
corinzie); e sulla statua
10. noi abbiamo applicato un
rivestimento d’oro e lui ha dato il
suo favore a noi. La cesellatura
11. noi abbiamo perfetta. Nella
gioia del cuore noi abbiamo
fatto. Perché tu hai dato
l’abbondanza.
12. I nomi del mizraï che
13. hanno fatto generosamente
l’offerta
14. leggi dall’alto in basso
15. secondo questa regola, dalla
famiglia
VAN DEN BRANDEN
1. (è) l’associazione del tempio
che ha costruito il santuario, la
corte
2. davanti il santuario, il foro, le
magnifiche colonne, i muri,
3. i bei frontoni per lei stessa e
per il suo popolo, gli abitanti del
paese,
4. (e) per il dio santo. Per
esaltare il Primo dei cieli nella
volta celeste,
5. il re htr myskr, il principe dei
giorni e signore del terrore
6. a causa delle sue azioni
eclatanti, io ho scritto ed ho dato
generosamente
7. la statua di nostro signore…, il
pietoso, il perfetto, ho fatto
vicino al passaggio
8. che dà sulla vallata. La tavola
e i basso-rilievi, i bruciaprofumi
del santuario
9. principale, io mi sono
occupato di mettere insieme
all’emblema dell’associazione
10. in oro. d’krn e ln, nostri
fratelli, hanno dato gli oggetti
cesellati.
11. noi abbiamo preso nella gioia
del cuore, noi abbiamo fatto, sì
noi
abbiamo
fatto
generosamente.
12. I nomi dell’associazione che
13. hanno offerto i doni,
14. letto dall’alto in basso
15. secondo la generosità dei
benefattori
Tab. 1. Traduzione delle prime tre colonne dell’iscrizione neo-punica ritrovata nel Tempio di
Hoter Miskar a Mactar.
148
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
5. IL SANTUARIO DI TIDDIS
Sulla cima nord della collina di Tiddis, chiamata Ras ed-Dar, si trova un santuario
rupestre, che sfortunatamente è collocato in un punto molto esposto ai venti, e per ciò
le sue strutture sono assai danneggiate.
Sul lato ovest, si trova una grotta, scavata nella roccia tufacea friabile, profonda
3,10 m. L’accesso avviene attraverso un piano inclinato, tuttavia la cavità vera e
propria si trova in fondo ad una sorta di largo fossato, avente tutte le pareti scavate
nella roccia ad eccezione di quella est, che è costituita da un possente muro di
contenimento29.
Procedendo verso est, s’incontra un ambiente rettangolare, appoggiato ad ovest al
muro di contenimento della grotta (denominato A sulla pianta a fig. 4), lungo 7,20 m
e largo 3,10 m. I muri sono formati da blocchi di pietra, sopra ai quali era impostata
una copertura fatta di tegole.
In seguito ad un incidente accorso ad un visitatore che sprofondò con il piede nel
pavimento dell’ambiente (A), s’identificò un ambiente sotterraneo (b) dalla forma
irregolare, accessibile dalla grotta.
All’interno di questo ambiente sotterraneo furono trovati alcuni oggetti cultuali:
− frammenti di ceramica simile a quella raccolta nei forni nel quartiere di
lavorazione di Tiddis e ceramica a decorazione rossa su fondo bianco, simile a
quella di epoca medioevale, ritrovata nello stesso quartiere;
− la base di una statua in pietra, su cui era ancora attaccata la parte inferiore di un
personaggio togato, con dei sandali ai piedi, forse raffigurato seduto;
− una statuina frammentaria in terracotta di un personaggio che teneva nella mano
un oggetto, non ben identificabile per il suo stato di conservazione, ma che
potrebbe trattarsi di una patera. È stato rinvenuto anche un altro frammento di coda
di una statuina in terracotta (fig. 4c);
− un altare quadrangolare, di 0,18 m di lunghezza, 0,13 m di larghezza e 0,13 m di
altezza, con raffigurazioni di quattro pilastri angolari che supportano una cornice
modanata, fornendo all’oggetto l’aspetto di un piccolo tempio. Su tre delle quattro
facce, lo spazio tra le colonne è occupato da un’ulteriore colonna con capitello
dorico, mentre sulla quarta compare una sorta di betilo con la parte superiore
trasformata in un busto di donna a testa di leone, che ricorda l’iconografia di Tanit
nel Santuario di Thinissut (fig. 4a);
− resti di un secondo altare quadrangolare più grande, di 0,22 m di lunghezza, 0,12
m di larghezza e altezza. Su ogni lato è incisa una nicchia dalla sommità
arrotondata che rappresenta probabilmente l’entrata al santuario: una porta a due
battenti è inquadrata da due stipiti, che sorreggono un architrave modanato
arricchito da una fila d’ovuli. Sulla porta è incisa una sorta di croce, molto simile a
quella della “Tomba della cristiana” e pertanto questo altare è datato per confronto
con la decorazione;
29 Le notizie sul santuario rupestre sono tratte da Berthier 2000 e Berthier - Leglay 1958, 23-58.
149
Fiammetta Susanna
− resti di altri due altari, ma in condizioni troppo frammentarie per poter essere
ricostruiti;
− vasi cultuali frammentari decorati a rilievo con le spire di un serpente. Uno solo ha
anche la raffigurazione di una palmetta (fig. 4b);
− frammenti di lucerne circolari molto tarde e tre frammenti di lucerne cristiane e
anche un medaglione raffigurante un chrisma con una ρ girata a sinistra.
Questo materiale così eterogeneo e non contemporaneo sembra indicare che la
cavità fu murata solo in un’epoca tarda (verosimilmente in quella cristiana, quando
alcuni fedeli probabilmente utilizzavano ancora parte della struttura cultuale pagana)
e che fosse accessibile dalla grotta attraverso un piano inclinato.
Dall’analisi dei vasi cultuali e degli altari, si può ipotizzare che questa parte del
santuario fosse dedicata, già a partire dal I sec. a.C., al culto di Baal Hammon, in un
secondo momento assimilato a Saturno.
A nord dell’ambiente (A) se ne trova un altro più grande pressoché quadrato (B),
lungo 7,50 m e largo 7,20 m, edificato su una terrazza naturale. Sulla parete nord, è
stato lasciato in situ un banco roccioso, su cui sono state intagliate delle banchette (a),
che dovevano sostenere le statue cultuali30.
Ad est di questi due ambienti si trova una piccola scala di cui rimangono solo tre
gradini, che porta ad una piattaforma, priva di costruzioni, circondata da muri fatti di
mattoni e pietre, che non mostra alcuna evidenza di copertura, pertanto questo settore
doveva essere a cielo aperto. A nord della terrazza, un muro possente sostiene un
parapetto di cui sussistono tre assise di mattoni e che fu interpretato come una
possibile base di un colonnato.
A circa 20 m a ovest di queste costruzioni, sulla parete della falesia, è scolpita una
nicchia di 0,80 m di altezza (fig. 10). All’interno vi è un bassorilievo molto
danneggiato, che raffigura un personaggio maschile, con il braccio sinistro
appoggiato su di un pilastrino, mentre con la mano destra sembra tenere una patera.
Sotto il braccio destro forse è rappresentato un animale. A sinistra di questa nicchia,
si trova una cavità circolare che nella forma ricorda molto un’acquasantiera, ma di cui
non si conosce la vera funzione.
Sulla parete a nord, un piccolo tunnel, dall’apertura quasi cilindrica molto bassa,
conduce ad una sala sotterranea, con un camminamento concluso da una scalinata che
permette di uscire su un piano roccioso più alto di 10 m rispetto a quello d’entrata.
All’interno della sala sotterranea sono state trovate due inumazioni, con corredo di
vasi fatti a mano, non dipinti.
Seguendo la discesa naturale del pendio, si arriva ad una grande frattura nella
roccia, che costituisce l’ingresso di una galleria naturale, sbocco di vapori caldi,
provenienti da un fiume sotterraneo.
Queste caratteristiche architettoniche, a cui va aggiunto il ritrovamento di circa
cinquanta stele nella spianata sul fianco est della montagna del santuario, ricollegano
30 Nei due ambienti denominati A e B, sono stati rinvenuti numerosi frammenti di capitelli dorici,
appartenenti probabilmente a dei pilastri, ed un pilastro con inciso una rosa a sei petali racchiusa in
un cerchio.
150
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
quindi questo edificio di Tiddis a quelli più tradizionali. La maggior parte di queste
stele è stata reimpiegata in costruzioni più tarde. La loro collocazione originaria non
doveva essere quindi la grande spianata antistante le due sale (A) e (B) – che, come si
è detto, doveva essere un luogo di riunione – ma probabilmente la zona con dei resti
antichi, non ancora indagata, a cento metri più a sud e dove è tuttora collocato un
pilastro con l’iscrizione comes Saturni (“compagni di Saturno”).
Concludendo, il santuario, databile grazie ai reperti rinvenuti, fu utilizzato nel I
sec. a.C. per i culti neo-punici di Baal Hammon e in età imperiale per quello di
Saturno, inoltre attestazioni certe indicherebbero pratiche di culto anche nell’epoca
cristiana. Il santuario sembrerebbe pertanto composto nei suoi elementi caratterizzanti
da un terrazzamento per riunioni collettive e due ambienti di culto, di cui il (B)
potrebbe essere considerato una vera e propria cella grazie ai suoi apprestamenti
cultuali, alle statue di culto e alla deposizione di ex-voto.
Per quanto riguarda le strutture sotterranee, non vengono forniti abbastanza dati
per poter elaborare un’ipotesi precisa circa la loro funzione, tuttavia mi sembra chiaro
che debbano essere inserite come elemento chiave per la celebrazione di un culto
originario, dato l’ingresso appositamente predisposto attraverso la grotta, e forse solo
in un secondo momento, probabilmente in epoca cristiana, adibito a deposito per
arredi dimessi, funzione invece che Leglay31 sembra esclusivamente attribuire a
quest’ambiente sotterraneo.
6. TEMPIO B DI VOLUBILIS
Il santuario è situato a nord-est della città (fig. 5), su un terrazzamento sopra il
Djebel el Marcab. L’edificio, orientato verso est, è quindi separato nettamente rispetto
alla città dal fiume Fertassa, che scorre ai piedi della collina, e occupa una superficie
di 3200 m². Nel 168-169 d.C. il santuario venne inglobato nel recinto urbano che
attualmente passa a meno di 20 m dall’angolo nord-est dell’edificio.
Scoperto nel 1919 da L. Chatelaine, primo Direttore delle Antichità del Marocco,
solo nel 1929 venne data la notizia ufficiale del ritrovamento, interpretato dapprima
come un praetorium.
I lavori sistematici cominciarono solamente nel 1954 ad opera di M. Ponsich32. Le
ricerche ebbero però breve durata, perché furono interrotte un anno più tardi dagli
avvenimenti politici del 1956. Gli scavi furono così ripresi dal 1956 al 1961 da H.
Morestin33, volti a mettere in luce tutto l’edificio e a chiarirne la natura religiosa. I
lavori di scavo effettuati negli anni ’60 permisero di individuare all’interno della corte
numerose stele, mentre ai piedi dei muri erano posti dei vasi contenenti ossa
incenerite.
31 Leglay 1961, 294.
32 I risultati sono pubblicati in Ponsich 1976.
33 I risultati sono pubblicati in Morestin 1980.
151
Fiammetta Susanna
L’edificio, conservato a livello di fondazione, è organizzato secondo una pianta
quadrangolare34: il lato nord è lungo 55 m, mentre quello sud 53,70 m, quelli più
brevi, ovest ed est, misurano rispettivamente 52,50 m e 51,80 m. All’interno del
recinto, si trova una corte larga a ovest 44,80 m e a est 49,40 m ed è lunga a nord
48,30 m e a sud 49,40 m. Questa corte è circondata su tre lati – quelli nord, sud e
ovest – da una sorta di galleria. L’accesso all’edificio sacro avveniva tramite quattro
porte, posizionate a due a due ai margini dei lati est e ovest. Nel lato est si trovano 17
basi quadrate e un lastricato.
Il muro perimetrale est è rafforzato all’interno da quattro contrafforti in muratura
che dividono in tre parti lo spazio interno, riportando alla mente l’elemento principale
della maggior parte dei santuari punici dell’Africa, ovvero le tre celle sul lato di
fondo. L’importanza della divisione interna è avvalorata anche dal ritrovamento di
nove urne, sette delle quali concentrate all’interno dello spazio centrale, confermando
la volontà di distinguere questa parte centrale con un atto religioso.
La corte era sicuramente l’elemento predominante del santuario, infatti occupava il
68% della sua superficie, corrispondente a 460 m², era circondata su tre lati da un
peristilio, ed infatti nelle fondazioni dei muri nord, sud e ovest sono evidenti 23
blocchi cubici posti ad intervalli quasi regolari35.
34 Per la descrizione dell’edificio si veda Morestin 1980, 15-40.
35 Per quanto riguarda i ritrovamenti effettuati all’interno del santuario è necessario dire che tutte le
scoperte effettuate prima degli scavi del 1960 non hanno l’indicazione della loro collocazione esatta.
Tuttavia, la maggior parte dei ritrovamenti effettuati negli scavi degli anni ’60 sono avvenuti in un
settore preciso del santuario, ovvero nell’angolo sud-ovest della corte. Furono ritrovate in situ
trentacinque urne di produzione locale, contenenti frammenti ossei carbonizzati e cenere di volatili e
di roditori, miste a quelle di mammiferi non determinati, ma che dalla grandezza delle loro ossa
sembrerebbero essere identificabili come agnelli. Le urne erano collocate con cura nella terra e
frequentemente coperte da un coperchio di fortuna costituito da un frammento di anfora oppure
fabbricato intenzionalmente. Alcuni vasi erano semplicemente interrati, altri invece erano posti con
cura sotto le fondazioni di alcune strutture (ad esempio degli altari I e II), oppure custoditi tra pietre
o lastre, talvolta raggruppati insieme ad un'altra urna. Oltre alle urne sono state trovate 903 stele
tutte con una forma geometrica semplice (sono infatti rettangolari, quadrate, trapezoidali poste su
una base larga o più piccola, e triangolari), tra queste 375 sono intatte, molte reimpiegate all’interno
delle murature del santuario. Le raffigurazioni delle stele sono principalmente soggetti umani colti
in diversi atteggiamenti rituali, solo in alcuni casi oltre all’uomo sono raffigurati altri oggetti, che
servono a palesare l’azione umana. Sono state trovate solo ottantacinque monete durante gli scavi
del santuario: per quanto riguarda quelle romane, le più recenti sono datate al regno di Claudio II
(268 d.C.-270 d.C.), le più antiche sono invece datate al 5 a.C., ma sono state rinvenute anche
alcune monete neo-puniche del II sec. a.C. Per quanto riguarda gli oggetti in pietra, è stata trovata,
vicino alla cripta “d” dell’insieme sud, una mano sinistra in marmo bianco che tiene un drappo e che
porta all’anulare e all’indice due anelli. Una buona parte della ceramica rinvenuta è di importazione
(214 frammenti in totale): 116 frammenti sono di sigillata gallo-romana, 49 di sigillata italica e 24
di sigillata ispanica, 13 frammenti di ceramica aretina, 5 di ceramica a pareti fini di campana B e 7
indeterminati. Prima delle ultime campagne nel santuario sono state trovate grandi quantità di
ceramica che non è stata studiata e ad oggi se ne è persa traccia. Sono stati trovati alcuni frammenti
di metalli lavorati sia negli scavi condotti all’inizio del secolo, che in quelli più recenti del ’60, si
tratta soprattutto di applicazioni con motivi ornamentali e frammenti di stele, alcuni gioielli, tra cui
una fibula e degli utensili.
152
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
All’interno della corte vi erano tre basamenti formati da blocchi di pietra e
pietrame, allineati secondo l’asse nord-sud e rivolti tutti verso est.
All’esterno della corte, su tre lati, erano disposti undici ambienti (quattro a sud,
quattro a ovest, tre a nord). Le tre braccia del peribolo variavano sia per le loro
dimensioni, sia per la loro organizzazione strutturale. Gli ambienti del lato sud non
sembrano essere stati rimaneggiati, altrettanto non si può dire di quelli del lato ovest.
H. Morestin 36 avanza due ipotesi circa la probabile ricostruzione stratigrafica dei vani
laterali (tab. 2):
I FASE
II FASE
III FASE
IV FASE
PRIMA IPOTESI
Vengono costruiti I e K.
I viene modificato e viene
costruito J.
Vengono edificati A, B, C,
D, E, H.
Vengono costruiti F e G.
SECONDA IPOTESI
Vengono costruiti I e K.
Vengono edificati A, B, C, D, E, H.
I viene modificato e viene costruito J,
inoltre vengono costruiti F e G.
Tab. 2. Successione cronologica dell’edificazione dei vani laterali del Tempio B secondo Morestin
(1980).
Nell’area della corte, a 1,25 m sotto il livello della pavimentazione, si trovano 9
ambienti sotterranei (fig. 6), allineati in due serie di cinque stanze voltate che si
sviluppano secondo l’asse est-ovest, nel lato sud e quattro in quello nord. La volta
doveva alzarsi a circa 60-90 cm al di sopra del livello antico della corte e doveva
partire direttamente dall’alzato del muro. I vani erano separati da tramezzi spessi 4050 cm, comunicanti tra loro, grazie a passaggi angusti larghi 60 cm.
I vani a sud, lunghi nell’insieme 27,90 m e larghi tra i 2,80 m e i 3,40 m, si
compongono di 5 ambienti contigui, di cui solo l’ultimo è ancora da scavare, che
hanno restituito come materiale solo scarsi frammenti di ceramica importata e
comune di produzione locale e parti della volta in crollo. Questo dato smentisce
quindi quanto affermato dal capo cantiere che conduceva in quel settore i lavori di
scavo tra il 1950 ed il 1960, che affermava di aver trovato numerose stele accumulate
all’interno di tali stanze sotterranee.
Sono visibili lungo il lato ovest del santuario anche alcuni tratti di muro in opus
incertum, realizzati in maniera poco precisa, che corrono lungo la faccia interna della
fondazione del muro perimetrale. Uno di questi si collega alle strutture sotterranee
meridionali, che si trovano a 24 m a est all’interno della corte, e si affianca al muro di
fondo a 7,75 m dall’angolo sud-ovest. Questo muro è privo di fondazioni, spesso
circa 40 cm e prosegue parallelo al muro perimetrale per almeno 19 m, per poi
interrompersi subito dopo l’angolo sud-est dell’ambiente G. Il muro in opera incerta
sembra tagliato in corrispondenza del passaggio del muro della corte, probabilmente
36 Morestin 1980, 29.
153
Fiammetta Susanna
doveva essere una struttura precedente, connessa in qualche modo con gli ambienti
sotterranei meridionali.
I vani a nord, lunghi nell’insieme 22 m e larghi 4,20 m, sono più grandi e costruiti
con strutture murarie più solide. Nel 1955 sono stati ritrovati completamente vuoti.
Lo scavo in profondità del tramezzo che separa gli ambenti h ed i, giunto fino
all’altezza di un metro sotto il livello attuale della corte, ha messo in luce solo scarsi
frammenti di anfore ed un solo frammento di ceramica sigillata ispanica.
H. Morestin si è pertanto interrogato sulla possibile funzione di questi ambienti37.
Dapprima li ha interpretati come elementi di una cisterna, ma si è dovuto ricredere
quando ha notato che nessuno di questi vani mostra traccia di alcun tipo di
rivestimento, tanto meno idraulico, né tracce di canalizzazione, inoltre i passaggi tra
un vano e l’altro sono posti ad un livello troppo alto per permettere il riflusso delle
acque, che quindi avrebbero ristagnato all’interno.
L’autore, seguendo la ricerca di confronti possibili con altre strutture templari
puniche africane, ritrova un possibile confronto con quelle del Tempio di Saturno a
Dougga38. Dal confronto è emersa una possibile interpretazione come favissae
sotterranee, destinate con buona probabilità ad ospitare gli arredi sacri dismessi. Ma
questi ambienti sarebbero troppo vasti e numerosi per avere tale funzione, inoltre non
è stato ritrovato alcun materiale di carattere prevalentemente religioso, come le stele e
le urne del Tempio di Saturno a Dougga.
La loro natura rimane pertanto ancora sconosciuta, ma secondo la mia opinione è
rilevante la presenza delle volte emergenti dal pavimento della corte, che rendono
visibile agli occhi di tutti i fedeli la loro presenza.
In seguito alle indagini effettuate nel Tempio B dal 1956 al 1961, H. Morestin39
ricostruisce tre fasi di questo tempio (tab. 3), prendendo in considerazione le tecniche
e i modi d’esecuzione delle stele e degli elementi architettonici.
In seguito agli scavi condotti dal 199640 è stata elaborata una nuova successione di
fasi (fig. 7), basata sulla stratigrafia delle strutture murarie (tab. 4).
7. TEMPIO DI ISIDE A SABRATHA
Il tempio sorge sopra una scogliera a strapiombo sul mare nel limite nord-est della
zona monumentale della città, a circa 100 m ad est delle Terme dette di Oceano
nell’insula 15a della regione III. Purtroppo la parte nord-est del complesso sacro è
stata distrutta dall’erosione della scogliera per via delle mareggiate.
37 Morestin 1980, 35.
38 Durante gli scavi del 1927 fu messa in luce, vicino alla cisterna doppia, una favissa, contenente circa
249 stele nella maggior parte rotte, datate tra il I ed il II sec. d.C.; nelle vicinanze delle stele sono
stati trovati dei frammenti di ceramica, delle lucerne di epoca romana, e degli unguentaria in vetro,
misti ad uno strato di cenere e carbone. Cfr. Leglay 1961, mon. I, 210.
39 Morestin 1980, 22.
40 Brouquier-Reddé 1998, 65-72. Le interpretazioni, cui hanno portato gli scavi condotti nel 1996,
hanno consentito una nuova lettura stratigrafica dei livelli.
154
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
Lo scavo dell’edificio fu intrapreso nel 1934 da G. Guidi e fu continuato nel 1940
da G. Caputo.
FASE 1
I sec. d.C.
Il Tempio B è costituito da un semplice temenos al cui interno
poteva trovarsi una struttura cultuale.
FASE 2 (Bα)
80 d.C.
Vengono edificate nuove strutture murarie che servono a dividere
alcuni degli ambienti laterali ed altri che si aggiungono alle
murature delle cripte a sud e del muro perimetrale ovest.
FASE 3
III-IV sec. d.C.
Vengono modificate alcune celle ed è più evidente la pratica dei
sacrifici animali, testimoniati dalle urne.
Tab. 3. Schema riassuntivo delle fasi cronologiche del Tempio B di Volubilis secondo H. Morestin
(1980).
FASE 1
I sec. a.C.-I d.C.
FASE 2
I sec. d.C.
FASE 3
Prima metà
II sec. d.C.
FASE 4
Seconda metà
II sec. d.C.
Il santuario doveva consistere in un temenos, i cui limiti non sono
ancor ben compresi, ma che sembrerebbero leggermente spostati
verso est rispetto alle strutture visibili attualmente. All’interno
sarebbero state custodite le urne.
Il santuario viene edificato, tuttavia i muri di questa fase non sono
ben riconoscibili a causa della sovrapposizione di quelli delle fasi
successive. I tre basamenti sembrerebbero essere già presenti in
questa fase, come dimostra la stratigrafia del basamento I.
Il santuario della fase 2 viene raso al suolo e al suo posto viene
costruito un nuovo edificio a corte quasi quadrata, circondata su tre
lati da un portico e con una serie di basi allineate sul quarto lato. Gli
altari centrali vengono ampliati ed inoltre vengono edificate le cripte
a sud e a nord. Nel lato nord vengono realizzate due cappelle K e I
di forma rettangolare; forse anche nel lato ovest viene costruita una
cappella (H). Si accedeva al santuario grazie a quattro ingressi
(quelli visibili ora sono della fase 4).
Il tempio viene semplicemente ristrutturato ed ingrandito, soprattutto
nei suoi lati ovest e sud. A ovest l’ambiente H viene modificato e
accanto a questo vengono costruiti altri vani E, F, G. L’edificio
inoltre si allarga verso sud e vengono costruiti altri quattro vani A,
B, C, D.
Tab. 4. Schema riassuntivo delle fasi cronologiche del Tempio B di Volubilis secondo V.
Brouqier-Reddé (1998).
Grazie alla scoperta dell’epigrafe menzionante il nome della dea Iside si riuscì da
subito a comprendere quale fosse la divinità venerata nel tempio. Lo scavo fu in
155
Fiammetta Susanna
seguito dichiarato completato, ma G. Pesce nel 1943 fece effettuare dei sondaggi nel
temenos che individuarono delle strutture pertinenti al tempio e di conseguenza fece
proseguire le indagini; l’anno successivo gli scavi furono interrotti, ma ripresero nel
biennio del 1946-47. Grazie a queste ulteriori campagne fu possibile scoprire un
podio del più antico sacello ed un sistema di cisterne41.
Il santuario, orientato ad est, si compone di un edificio centrale collocato
all’interno di un recinto sacro porticato, di forma rettangolare, chiuso in fondo dal
muro di peribolo. Il tempio non è perfettamente centrale, ma spostato leggermente
verso il muro est in modo da permettere l’edificazione di una grande scalinata
d’accesso. La struttura è realizzata in blocchi squadrati di arenaria connessi tra loro
senza malta (fig. 8).
G. Pesce ha identificato, grazie ad alcuni sondaggi effettuati nel braccio
occidentale del portico, la prima fase del tempio, con un podio rettangolare sagomato
di età augustea o pre-augustea42 con fondazioni costituite in grandi blocchi di
arenaria.
Forse al primo impianto santuariale sono da attribuirsi anche le cisterne a cunicoli
paralleli, perché il tipo della copertura non è tipicamente romano. Esse erano
alimentate per mezzo di canalette tagliate nei blocchi di copertura, poi ostruite dalle
fabbriche del successivo periodo. A questa prima fase si deve probabilmente
attribuire anche il pozzo presso il quale fu elevato l’altare nell’angolo sud-ovest del
temenos.
In epoca imprecisabile, il tempietto in questione dovette subire delle modifiche e
degli ampliamenti, come si desume dalla presenza di muri aggiunti a nord e dagli
intacchi praticati a sud di esso. Partendo da queste evidenze è difficile ricostruire una
pianta della prima fase del tempio, ma si può comunque desumere che la corte fosse
porticata, infatti è stato trovato, nel saggio dell’ambulacro occidentale, un capitello
tardo dorico, non pertinente alle colonne dell’Iseo successivo. Al centro della corte
porticata si doveva trovare presumibilmente una struttura più piccola, in modo che
non ostruisse le canalette della cisterna, oppure spostata di asse rispetto a quello del
santuario successivo.
La presenza del podio e del pozzo sul fondo fa ipotizzare che tutti i sacelli
potessero essere addossati in fondo alla corte, anticipazione dei templi africani con
cella o più celle sul fondo, oppure che ve ne fossero alcuni distribuiti su gran parte
della superficie della corte, come accade nelle fasi più tarde di Thinissut e a ElKenissia.
Il primo tempio infatti fu soppiantato, o perché rovinato da cause accidentali o
perché demolito intenzionalmente, da un santuario con corte porticata, tempio
41 Le notizie sul Tempio di Iside a Sabratha sono tratte da Pesce 1956 e da Brouquier-Reddé
1992.
42 Non è un caso aver trovato una moneta numida proprio vicino a questo podio, che potrebbe pertanto
appartenere alla fase di indipendenza pre-romana della città.
156
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
centrale ed ambienti sul fondo43, costruito nel II sec. d.C., ma risultato di una
rielaborazione di un modello precedente. Nelle fondazioni del nuovo tempio furono
incorporati e riutilizzati gli elementi del primo.
Al temenos si accedeva tramite una gradinata in asse con il tempio, che in tutto
doveva essere alta 93 cm, profonda 2,19 m e larga approssimativamente 15 m, con
sette gradini rivestiti di intonaco. Il podio era limitato a sud dal prolungamento del
muro meridionale del peribolo. Ad angolo con questo muro perimetrale è ancora in
situ un semipilastro con lesena nella faccia frontale ad est, questo poteva formare o il
termine di un colonnato intermedio, che si trovava dove ora è edificato il muro di
epoca tarda, oppure la parasta sinistra di un ingresso, che si apriva in una cortina
muraria che si doveva elevare al posto dove ora si trova il muro più tardo. La
gradinata dava accesso ad un doppio stilobate, supportante due colonnati uno
anteriore ed uno posteriore. Il colonnato è formato da due file di colonne: quella
anteriore era formata da una serie di 14 colonne equidistanti tra loro di cui sussistono
solo le prime tre basi all’estremità meridionale; il colonnato posteriore era formato
solo da 8 colonne: due disposte dietro ciascuna delle colonne esterne del colonnato
antistante, le altre dietro la 4a, la 5a, la 6a, la 9a, la 10a e la 11a. Alle estremità dei
colonnati sono collocati due semi-pilastri d’anta, di quello collocato a sud è
riconoscibile una base modanata con cornice di tipo attico alta 30 cm su due delle sue
quattro facce. È impossibile ricostruire l’aspetto del fondo del propileo a causa del
muro di fase tarda impiantato sulla linea intermedia fra il propileo esterno e il portico
interno.
I corpi di fabbrica che chiudono il portico del propileo appartenevano
probabilmente a due esedre rettangolari, che facevano riscontro agli ambienti
dell’opposto lato occidentale del peribolo, comunicanti con l’interno del recinto
tramite porte o tramite vani ornati ognuno di due colonne in antis.
Il peribolo di forma rettangolare cinge l’area sacra del santuario per 51 m di
lunghezza e 37 m di larghezza. La parete esterna del muro meridionale è decorata da
semipilastri con cornice sagomata a lesena, sporgenti dal piano verticale ad intervalli
di circa 4,50 m l’uno dall’altro. Ciascuno di questi è posto all’interno di una sorta di
nicchia. In questo muro meridionale si aprono due ingressi fiancheggiati da
semipilastri uguali a quelli della decorazione della facciata esterna del muro
perimetrale, inseriti anch’essi all’interno di nicchie poco profonde, e posti a circa 50
cm sotto il livello del piano stradale.
Il lato occidentale come articolazione strutturale è del tutto simile a quello fino ad
ora descritto, ma a 17,70 m dall’angolo sud-ovest il muro piega ad angolo retto per
1,08 m e prosegue su una nuova traiettoria rettilinea fino all’angolo opposto nordovest. Dietro al Sacello V nel muro perimetrale è presente un ingresso contrassegnato
dalla presenza di una soglia. Dei muri orientale e settentrionale non sussiste più nulla
a livello di alzato.
43 Secondo un impianto architettonico che ricorda per queste caratteristiche principali il Tempio
tunisino di Gightis.
157
Fiammetta Susanna
La copertura dal portico, non più ricostruibile, potrebbe essere stata piatta a
terrazza, oppure con tetto a spioventi, in tal caso sarebbe stata pendente verso
l’esterno in modo tale da far defluire l’acqua nei tuboli all’interno del muro.
Tutt’intorno al peristilio si estende una gradinata continua di quattro gradini, per
mezzo della quale dall’ambulacro si accede alla parte all’aperto del temenos.
Le colonne che formano il peristilio sono identiche a quelle del propileo. La base è
di tipo attico con scozia tra due tori. Il capitello è corinzio composto da otto foglie
lanceolate, larghe e piatte, molto massicce senza modellatura dei dettagli. La
trabeazione consta, nel tratto est del lato sud, di una duplice assisa di undici blocchi
giustapposti in apparato isodomo in due filari, il secondo sovrapposto al primo.
La corte aperta è tutta pavimentata in calcestruzzo spesso 1 cm, sovrapposto ad un
massetto di calce e pietrame spesso 6 cm, ed ospitava al suo interno una serie di
basamenti assieme a vari apprestamenti idrici. Nell’angolo di sud-ovest del peristilio
si eleva un altare a pianta rettangolare di 1,44 m x 1,83 m, con un’altezza di 1,35 m.
Questo si compone di due parti distinte, pertinenti a due epoche diverse.
In un secondo momento al lato posteriore (quello di ovest) fu giustapposta un’altra
struttura, formata da un dado quadrangolare, misurante 1 m x 0,86 m con l’altezza di
1,30 m. Mentre l’ara primitiva è impostata sul piano pavimentale dell’area sacra, la
struttura posteriore poggia invece su una piccola piattaforma in calcestruzzo. Ai piedi
del lato meridionale di questo altare, al di sopra di una piattaforma di pietrame e terra,
fu collocato un masso, scolpito in modo da foggiare tre piccoli scalini, per consentire
l’accesso all’altare stesso. Ai piedi del lato settentrionale del basamento dell’altare,
nel piano della corte porticata, si apre un pozzo dalla bocca rettangolare, larga 0,80 m
e lunga 1,60 m, e due grandi bacini in muratura, uno di 2,28 m di lunghezza, 1,08 m
di larghezza e 0,45 m di profondità, l’altro di 5,70 m di lunghezza, 0,85 m di
larghezza e 0,42 m di profondità. All’estremità sud del corpo dell’avan-corpo dello
zoccolo del podio, una nicchia rettangolare ospita l’ingresso ad una cisterna, situata
parallelamente a quella che ha accesso dal podio. Un’altra cisterna si trova sotto il
portico est, a nord dell’ingresso principale. Vicino a questa nicchia, un basamento di
un altare, o di un ex-voto, di 1,2 m di lato, è addossato al muro del tempio; un
secondo basamento si trova invece più ad est ed ha un lato di 1,70 m.
Il tempio si eleva al centro della corte, più vicino al portico ovest che a quello est.
È accessibile tramite una scalinata anteriore lunga 5,10 m, limitata lateralmente da
due muretti. La presenza di nove colonne corinzie antistanti la facciata del podio
lascia presupporre l’esistenza di un colonnato periptero e tetrastilo in facciata. La
cella doveva essere preceduta da un vestibolo di pianta rettangolare di 4,90 m x 9,61
m che immetteva in una cella di 7,50 m x 9,61 m, bipartita longitudinalmente come le
stanze sottostanti.
Il podio misura 22,40 m x 13,21 m. Due porte di 0,90 m di larghezza, poste nel
lato nord e sud del podio, danno accesso ad un corridoio nord-sud voltato, alto 1,5 m,
lungo 13,21 m e largo circa 1,70 m, costruito al di sotto dello scalino più alto della
scalinata anteriore. Al centro di tale corridoio si trova l’apertura di una cisterna
misurante 0,37-0,50 m.
158
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
Nel lato nord-ovest del podio si apre un vano d’ingresso largo 0,82 m,
fiancheggiato esternamente da due lesene (fig. 8). La profondità del vano a livello
dello zoccolo è di 1,80 m, al livello del dado è 1,50 m; la soglia è larga 0,82 m ed è
ricavata nella faccia superiore dei blocchi di fondazione. Attraverso due gradini,
scolpiti nei blocchi di fondazione, si scende all’interno del podio.
Il vano sottostante la cella, definito da G. Pesce come “cripta”, è diviso in cinque
ambienti da tre muri longitudinali ed un muro trasversale realizzati con blocchi di
pietra, rivestiti d’intonaco solo nella stanza sud. Gli ambienti del settore mediano
sono costituiti da due stanze a pianta rettangolare, quella a nord di 5,35 m x 2,09 m,
quella a sud 5,35 m x 2,10 m, entrambe coperte con volta a botte e comunicanti,
tramite un ingresso aperto sul lato ovest, con un ambulacro in senso trasversale nordsud, che piega in due bracci longitudinali, paralleli alle due stanze a fondo cieco,
larghi 0,73 m e alti 2 m, coperti da piattabanda. Il braccio maggiore è quello che
comunica con l’esterno grazie all’ingresso sopra descritto. Il pavimento dei tre
corridoi e della stanza settentrionale è realizzato in calcestruzzo, mentre quello della
stanza meridionale è realizzato in cocciopesto e doveva essere la preparazione di un
mosaico a tessere di marmo bianco.
Nell’angolo nord-ovest della stanza meridionale sussistono i blocchi di sostegno e
i tagli di una scaletta in muratura rettilinea, larga 84,4 cm, che saliva in senso sudnord mettendo in diretta comunicazione la cripta con il fondo della cella soprastante.
Ad est la cripta è chiusa da un muro trasversale realizzato sempre in opera isodoma. Il
vano che si viene così a creare è totalmente riempito da una colmata di scaglie,
residuo di lavorazione dei blocchi. Sull’estradosso della copertura delle due stanze
poggia il pavimento della cella.
La forma di questa cripta fa supporre che ai tre corridoi coperti da piattebande
corrispondessero sul piano superiore tre bracci di un ambulacro esterno alla cella,
mentre lo spessore del muro perimetrale del podio suggerisce che il colonnato vi si
poggiasse sopra.
Spesso le sostruzioni dei templi di epoca classica formano dei compartimenti
all’interno del podio. Alcuni potevano essere accessibili dalla strada tramite una porta
e potevano pertanto servire come magazzini o come favissae44. Queste stanze
sotterranee, però, non hanno alcun collegamento con gli altri ambienti sovrastanti e
soprattutto con la cella. Tali esempi non sono pertanto confrontabili con le strutture
dell’Iseo di Sabratha, dove una scala collega internamente la cripta sud alla cella.
Sul lato occidentale della corte, si apre una serie di otto sacelli. Davanti a questi si
trova un muro, che si lega a quello perimetrale e la cui testata corrisponde al primo
semipilastro esterno con lesena del lato meridionale del peribolo. Nel tratto antistante
al vano V il muro cambia struttura e sussiste solo la prima assisa di conci, che
misurano 44 cm x 85 cm x 44 cm, accostati tra loro con i lati maggiori. Questi
ambienti posteriori dovevano essere coperti, come testimoniano le numerose tegole
44 G.Ch. Picard 1973, 414.
159
Fiammetta Susanna
trovate in crollo, i vani dovevano prendere luce dai grandi ingressi che si affacciavano
sulla corte 45 .
Il Sacello I a partire da sud, sembra essere un’esedra identica a quella del portico.
Il Sacello II s’appoggia sul muro del podio, sul quale è impiantata la base per una
statua. Il Sacello III ed il IV sono pavimentati con mosaico e conservano delle basi
quadrate per delle statue. Il Sacello V possiede una struttura semi-circolare di pietre
che potrebbe costituire parte di una fossa circolare sacrificale. Sempre all’interno di
quest’ambiente è conservata la base di una statua preceduta da un piccolo altare
rettangolare. Il Sacello VI è semplicemente un corridoio che conduce al VII e all’VIII
Sacello, dalla funzione sconosciuta.
Riguardo agli ambienti sul fondo, si deve evidenziare che solo il muro divisorio tra
il Sacello I e il II si ammorsa ai muri maestri, mentre gli altri vi si appoggiano
semplicemente. Ciò indurrebbe a credere che nell’impianto originario fossero previste
solo le due stanze agli angoli che facevano riscontro alle due esedre che affiancano il
propileo. Gli ambienti tra queste due esedre potrebbero essere comunque stati previsti
nel progetto del secondo Iseo, ma realizzati con muri divisori minori in un momento
immediatamente successivo, solo per una metodologia costruttiva, oppure questi
tramezzi furono eretti solo dopo il deperimento degli originari divisori realizzati in
legno.
Il Sacello IV fu poi oggetto nel II sec. d.C. di alcuni rifacimenti, forse ad opera di
un devoto, che ne abbellirono l’arredo: fu infatti messo in opera un pavimento a
mosaico ed un rivestimento parietale di marmi policromi. In un periodo di vita del
santuario più tardo furono effettuate delle aggiunte e delle modifiche più o meno
grossolane per le quali è difficile trovare una spiegazione. Per fini rituali fu allungato
l’altare nell’angolo sud-ovest del temenos e probabilmente al posto delle vasche più
antiche, poi scomparse, furono costruite quelle che oggi sono visibili a nord di
ciascun pozzo.
Crollato il muro antistante al Sacello V, ne fu elevato un altro al posto di quello
più antico, nella forma visibile oggi, con zoccolo sporgente dalla verticale delle fronti
degli altri Sacelli. I costruttori trassero vantaggio dal basamento del più antico podio
del tempietto antistante, usato come piano di posa dei blocchi del muro. Forse a
45 Gli oggetti rinvenuti all’interno del tempio non sono molto numerosi. Si tratta di: dieci
iscrizioni, tre menzionanti Iside; una statua in buono stato di conservazione e undici
frammentarie, la cui iconografia ha permesso di identificare il tempio come Iseo - infatti tra
queste ne compaiono due frammentarie raffiguranti proprio la dea, una di Arpocrate ed una di
Serapide-; un rilievo marmoreo; sei lucerne monolicne e quattro bilicne; ventuno figurine in
stucco, la maggior parte delle quali raffigurano un personaggio seduto; un bicchiere,
un’ampolla e alcuni frammenti di pasta vitrea; un dado fusorio, cinquantacinque aghi crinali e
dieci pomelli in osso; un’impugnatura, un campanello, due anelli, una spatola e un amo in
bronzo; tubi in piombo per condutture d’acqua ritrovate nella cimasa del tempio; ventisette
monete di cui solo quattordici leggibili; numerosi frammenti di ceramica con pareti molto
spesse e con esterno grezzo, rinvenuti lungo tutta la superficie del temenos e nei pozzi;
frammenti d’impasto rosso a pareti sottili, per la maggior parte pertinenti a patere a fondo
liscio prive di decorazione trovati per lo più nel settore del propileo e nel settore nord-ovest.
160
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
questa fase è da attribuire la modifica apportata alla scalinata d’accesso al tempio
centrale e il dispositivo di vaschette nell’area a sud del tempio, destinate ad abluzioni
rituali46.
Quando fu costruito il muro di cinta che separa il propileo dal temenos, datato al
IV sec. d.C., la vita del santuario doveva essere già terminata. L’edificio fu
probabilmente adibito ad usi profani, diventò forse un posto di guardia o uno
stabulum o un abituro di cavatori di pietra. Gli ambienti in fondo al temenos furono
forse adibiti a magazzini, a giudicare dai numerosi frammenti di ceramica grossolana
e di pietra nera da macina trovati in situ. L’edificio fu in seguito danneggiato da un
terremoto, così le rovine continuarono ad essere sfruttate come cava di materiale da
costruire.
Infine le rovine furono completamente abbandonate quando gli ultimi abitanti
berberi di Sabratha fuggirono all’appressarsi dei beduini di Beni Hilal.
Un’ultima considerazione deve essere fatta circa il culto che si svolgeva all’interno
del santuario. Infatti tutti i dati emersi dimostrano che dei rituali pubblici e ordinari
per la dea egiziana fossero praticati all’interno dell’edificio sacro, ma ci sono solo
indizi ipotetici circa il possibile svolgimento dei misteria della dea, secondo il culto
alessandrino, dal momento che nessuna parte dell’edificio sembrerebbe essere stata
adattata a celebrarli. La cripta all’interno del podio del tempio centrale potrebbe
essere stata un adyton sotterraneo dove si svolgevano i rituali più segreti della dea,
come in altri Isei, quali quello di Concrea e di Pompei. In tal caso si potrebbe pensare,
come ricostruisce G. Pesce47, che l’ingresso simboleggiasse, nella prassi del rito
misterico, la porta dell’Ade, il limen Proserpinae, che l’iniziato doveva varcare, per
morire mistericamente come Osiride-Ra (o Serapide) e risorgere con il dio all’alba
seguente. Avrebbe significato particolare il fatto che l’ingresso guardi ad Occidente,
regione in cui, secondo la teologia alessandrina, si aprivano le porte dell’emisfero
ipogeico. Lo scendere gli scalini doveva simboleggiare pertanto il discendere
dell’iniziando negli inferi. Nell’adyton così si svolgeva la cerimonia notturna, durante
la quale si facevano compiere all’iniziando degli atti rituali48. Infine l’iniziando era
fatto salire per la scaletta interna, simboleggiando l’uscita dall’ipogeo al punto
orientale della linea dell’orizzonte, fino alla cella sovrastante, dove rimosso il velo
della porta esterna era esposto all’adorazione dei fedeli sotto il primo raggio di luce
del mattino, acconciato e pertanto assimilato in virtù del rito misterico al dio SoleSerapide. Ma queste sono solo ipotesi e molti elementi devono ancora essere chiariti e
forse sembrerebbe poco lecito generalizzare in questa forma il caso specifico
dell’iniziazione apuleiana, utilizzata da Pesce per la descrizione del rituale49. Della
stessa idea sembrano anche L. Brigault, Y. Le Bohec e J.-L. Podvin50, che, nella loro
46 G. Pesce ipotizza che si possa trattare anche di piccoli abbeveratoi per gli animali sacri.
47 Pesce 1956, 73.
48 Come ad esempio la cerimonia che prevedeva si indossassero 12 vesti, descritta da Apuleio in
Metam. XI, 23-24.
49 Apuleio, Metam. XI, 23-24.
50 Brigault - Le Bohec - Podvin 2002, 226.
161
Fiammetta Susanna
analisi della presenza del culto isiaco in Africa proconsolare, confermano la
possibilità che il tempio fosse un santuario dedicato alla pratica di un culto in onore
della dea, sia in base all’iscrizione sia ai ritrovamenti di statue e lucerne, ma
concludono che interpretare la struttura come un vero e proprio Iseo equivalga a
stravolgere e sopravvalutare la documentazione fornita dagli scavi.
8. TEMPIO DI LIBER E LIBERA A DJEMILA (CUICUL)
Nel quartiere est di Djemila, a oriente del Cardo IV, a est di un isolato di abitazioni
al lato di una piazza lastricata, si trova un piccolo tempio (fig. 9), conservato solo al
livello di fondazione, in quanto in gran parte distrutto51.
È costituito da una cella rettangolare di 6 m x 4,30 m che ha davanti al lato di
fondo un muretto largo circa 0,70 m, che doveva servire da basamento per la statua di
culto. Il vestibolo, che ha le stesse dimensioni della cella, si trova ad un livello
inferiore rispetto ad essa, tanto che bisogna salire un gradino per potervi accedere. La
soglia di questa porta in calcare bianco, lunga 1,80 m, è rimasta intatta e conserva
ancora i buchi dei cardini, e presenta, come particolarità, quattro impronte di scarpe,
disposte a coppie, in direzione del basamento e del fondo della cella, forse
realizzazioni di due personaggi di una stessa famiglia, in visita al tempio, che hanno
voluto prolungare simbolicamente in questo modo la loro permanenza nell’edificio,
per poter avere una protezione divina più duratura nel tempo. L’ingresso al vestibolo
avviene da est, al centro della facciata sulla sommità di una scalinata quadrata di 3 m
di lato. A 2,50 m sono i resti di uno zoccolo in pietra calcarea, ornato da una
modanatura, forse frammenti dell’altare.
Non sono state trovate iscrizioni riportanti il nome del dio titolare del tempio,
tuttavia sono state rinvenute alcune statuine in terracotta che si ricollegano
all’iconografia bacchica di Liber, come una testa di Bacco giovane (fig. 9) ed una
cornucopia con grappoli d’uva, inoltre una testa di donna velata sembrerebbe
ricollegarsi all’iconografia di Libera.
Ad est, in basso rispetto al livello della piazza, si trova un ambiente che non
rispetta l’orientamento di tutto il quartiere est, di 19 m di lunghezza in senso est-ovest
e 25 m in senso nord-sud, con due absidi semi-circolari in mattoni, alte 3,60 m e
coperte da volte a botte, di cui una ha l’apertura di 4,10 m, l’altra invece, a destra
della prima, ha l’ingresso largo circa 2 m. Il pavimento è a 1,50 m d’altezza, ma
sembrerebbe essere di una seconda fase, assieme alle due scalinate di sette gradini che
conducono alla piazza lastricata. La funzione di quest’ambiente è del tutto
sconosciuta, tuttavia Leglay52 lo mette in relazione con il Tempio di Liber e Libera
interpretandolo come una sorta di cripta per lo svolgimento di alcuni rituali, quali
anche banchetti.
A mio avviso, anche in base alla distinzione proposta da Allais e alla differenza
d’orientamento delle strutture, realizzate addirittura secondo una distinta tecnica
51 Allais 1954, 352-357.
52 Leglay 1961, 293 nota 4.
162
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
edilizia, i due edifici potrebbero non essere connessi e forse addirittura non
appartenere alla stessa epoca.
9. TEMPIO DI CASTELLUM DIMMIDI
Il praetorium del sito militare di Dimmidi, datato al III sec. d.C., si trova alla fine
del Cardo massimo, oltre la piazza del foro. Ne rimangono solo gli ambienti
sotterranei, organizzati in tre stanze voltate contigue (A, B, C; fig. 10), lunghe
rispettivamente in senso nord-sud: 2 m, 3,40 m e 3,80 m. La stanza B è ulteriormente
divisa in due parti uguali da due pilastri che si fronteggiano. Nella stanza C è presente
un terzo pilastro, da cui parte un’abside semicircolare che chiude l’ambiente a sudovest e protegge un pozzo costruito con pietre a secco e profondo 5 o 6 m.
Il ritrovamento nel vano settentrionale di undici lastre ha fatto ipotizzare che sopra
di esso dovesse svilupparsi una grande scalinata d’accesso alla cella del tempio,
composta di cinque gradini (fig. 10). La cella doveva essere organizzata secondo il
modello classico con pronao e naos, preceduti sicuramente da un colonnato, fondato
sul primo muro settentrionale della sala B e probabilmente formato da due colonne in
antis, vista la dimensione dell’edificio.
La particolarità della struttura consta nel fatto che all’interno del preaetorium
militare lo spazio dedicato al culto imperiale, invece di essere costituito da una
piccola cappella a cui si affiancavano tutt’attorno gli spazi di servizio, fosse formato
da un vero e proprio tempio. G.Ch. Picard, che negli anni ’50 mise in luce il sito,
fornisce spiegazioni di questa organizzazione planimetrica, ipotizzando alla base
l’esistenza di un culto preromano, che continua nel settore del pozzo e di cui
rimangono delle tracce53.
L’altra caratteristica da notare è che non vi è alcun accesso all’area del pozzo, né
attraverso delle scale, né attraverso la sala C, con l’abside a chiusura dell’ambiente,
come se si fosse voluto rendere appositamente periglioso l’accesso al settore del
pozzo ed isolarlo dalle altre aree profane sotterranee54: probabilmente l’ingresso
doveva avvenire tramite una botola sul soffitto da cui veniva calata una scala in
legno.
Non lontano dalla ghiera del pozzo è stato trovato un collo d’anfora, incastrato in
una lastra di gesso di pavimentazione. Se si fa un paragone con i culti mitriaci, colli di
anfore servivano per mandare acqua fresca, presa da una fonte viva, all’interno del
pozzo. In questo caso secondo G.Ch. Picard si tratterebbe più semplicemente di una
maniera per prelevare acqua dal pozzo ogni giorno senza dover scendere nei
sotterranei. A mio avviso, invece, il collo dell’anfora potrebbe costituire un foro di
passaggio per pratiche di libagione dalla cella all’interno del pozzo, pratica diffusa e
ben attestata nel culto punico in tutta l’area del Mediterraneo.
53 G.Ch. Picard 1947, 131.
54 G.Ch. Picard (1947, 132) ipotizza una funzione di magazzini e di deposito per le insegne degli
ambienti A-C.
163
Fiammetta Susanna
Tra gli oggetti rinvenuti durante lo scavo del crollo che si trovava all’interno della
stanza del pozzo, è da annoverare un piccolo altare, scolpito in un blocco di pietra
calcarea, inciso su tre lati, uno dei quali raffigura un’entrata del tempio, avente come
base due piedi di supporto, sul lato anteriore una sorta di gola e agli angoli delle
colonne. Il tempio ha uno zoccolo decorato con listelli, dei gradini, un architrave
modanato ed un frontone con acroteri 55 .
È evidente che il pozzo conservasse anche agli occhi dei legionari romani un
carattere sacrale; essi pertanto, trovandolo a Dimmidi, probabilmente all’interno di
una grotta sotterranea, assimilarono il genio del luogo ad un dio dal carattere
guaritore, ospitandolo in un adyton sotterraneo e ricordandolo come signore delle
fonti guaritrici.
11. INTERPRETAZIONI E CONCLUSIONI
La tipologia templare illustrata attraverso gli esempi sin qui descritti può essere
inquadrata nel più ampio sviluppo della religione e del culto punici. Nel corso del I
millennio la religione fenicia cambia profondamente rispetto ai secoli precedenti. Vi
si riscontra una netta predominanza delle divinità guaritrici e salvifiche rispetto al
passato. Questo fenomeno va sicuramente inquadrato nell’ambito della diffusione
delle religioni soteriologiche che investe tutte le civiltà del mondo antico, portatrici di
salvezza, ma anche di regalità, come testimonia l’assai diffuso culto di Baal, che in
Oriente si svilupperà poi nel culto di Mitra. Si può dire quindi che la religione fenicia
si evolve secondo stimoli che giungono da diverse parti del mondo: dall’Oriente
achemenide, dal mondo greco, più tardi da quello romano e, nelle colonie, anche dalle
culture locali.
Ricevendo questi stimoli alcune pratiche più antiche, appartenenti alla tradizione
cananaica, come il sacrificio molk, nella madre patria vengono abbandonate e la loro
conservazione nelle colonie può pertanto essere considerata come una sorta di
“attardamento provinciale”, ma si può anche pensare che tale persistenza venisse
favorita dall’incontro con un ambiente che dava maggior significato ad un culto
sviluppato all’interno della propria cultura piuttosto che ad uno apportato da
stranieri 56 .
Per quanto riguarda Cartagine e l’Africa la progressiva ellenizzazione che prende
piede verso la fine del IV sec. a.C. porta all’introduzione di tendenze misteriche,
sempre secondo l’ottica della ricerca della salvezza. Si assiste quindi ad una
progressiva assimilazione delle divinità locali con dei stranieri e ad una forte
55 Tra le decorazioni, compaiono una rosa formata da nove cerchi che si intersecano, tre crescenti
rigirati e delle losanghe. All’interno sono stati trovati dei resti di cenere pura, senza frammenti di
legno e terra, prodotto quindi di combustioni di offerte. Non è raro trovare nell’Africa punica degli
altari utilizzati per offerte alle divinità ctonie, ma questi sono forati alla base, per permettere di far
colare i doni nella terra, come regalo alla divinità. Questa particolarità non è conforme a
quest’altare, che rimane un unicum nel suo genere, ma che tuttavia si può tranquillamente attribuire
ad una ritualità legata alla religione punica, piuttosto che romana.
56 Garbini 1980, 155; Amadasi 2002.
164
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
diffusione del culto di divinità salutari, più rassicuranti, capaci di venire in aiuto
all’individuo; per tal motivo si diffondono i culti misterici per Dioniso (assimilato a
Liber Pater), Iside, Mitra, ma anche Demetra e Cibele57.
In questo quadro storico-religioso si inserisce l’analisi condotta da G.Ch. Picard,
volta ad avvalorare l’ipotesi della presenza di cripte al di sotto di edifici sacri punici
funzionali allo svolgimento di culti misterici.
Oltre ai dati planimetrici ed architettonici, descritti precedentemente, lo studioso
riporta testimonianze epigrafiche, sia scritte sia figurate, prima tra tutte per
importanza, quella dell’iscrizione del Tempio di Hoter-Miskar a Mactar – che è stata
già presentata – a cui tuttavia vanno aggiunte alcune stele che testimoniano pratiche
d’iniziazione, purificazione ed esempi di abbigliamento e acconciature rituali.
Nel primo caso un epitaffio di El Jem qualifica una bambina di 8 anni come
iniziata; in una stele del Santuario di Saturno Sobarensis, vi è inciso che un sacerdote
“entravit sub iugum”, lasciando presupporre una pratica rituale d’iniziazione che
consisteva nella sottomissione al dio. L’iniziazione era preceduta dalla purificazione,
come attestato nella stele di Vicus Maracinatus (fig. 12), dove figurano quattro
oggetti da toletta con destinazione cultuale. Infine l’iniziando doveva essere
abbigliato e acconciato secondo un uso rituale, di cui l’esempio più chiaro sono
sicuramente le statue trovate nel Tempio di El-Kenissia (fig. 11).
C. Picard aggiunge inoltre che nella maggior parte delle religioni misteriche
l’iniziato riceveva la rivelazione di alcuni oggetti sacri (i misteria), nascosti spesso in
una cista chiusa. Nei misteria africani doveva esistere certamente questo tipo di
rituale, infatti ciste e panieri, chiusi da un coperchio conico, compaiono
frequentemente sulle stele, in mano a dei personaggi, come nella stele conservata al
museo Alaoui58 ed in quelle dedicate a Saturno, dove l’oggetto sacro era costituito da
una pigna, frutto simbolo di fecondità ed immortalità, proveniente dal culto della
Grande Madre Cibele-Attis.
Gli effetti dell’iniziazione erano di due ordini: dispensare la fecondità del fedele –
ed in questa chiave si devono interpretare i misteria e la raffigurazione di strumenti
agricoli sopra le stele funerarie – ed introdurre il dedicante nel mondo del dio. Il
fedele stesso si sacrifica, entra così nella società votata al servizio del dio, all’interno
di collegia religiosi che gestiscono e regolano il culto, il cui presidente porta il titolo
di sacerdote59.
G.Ch. Picard inoltre annovera tra le testimonianze le stele della Ghorfa (fig. 13)60,
che sono forse la fonte principale sulla presenza di cripte sotterranee. Da questa
affermazione si origina l’analisi e la conseguente critica di Leglay61, il quale
interpreta le cripte come vani per la deposizione di arredi sacri e non come ambienti
di celebrazione di rituali misterici.
57 G.Ch. Picard 1954, 85.
58 C. Picard 1952.
59 G.Ch. Picard 1954, 138-150.
60 G.Ch. Picard 1954, 138-150.
61 Leglay 1961, 292-295.
165
Fiammetta Susanna
Facendo un confronto di tutti i dati raccolti ed analizzati, sembrerebbe più concreta
la tesi sostenuta da Leglay, per la differente lettura possibile delle informazioni
derivate dalle fonti epigrafiche, su cui il primo autore poggia la sua interpretazione.
Mancano inoltre del tutto attestazioni circa la pratica di rituali misterici nella religione
fenicio-punica; solamente Filone di Biblo, parlando del sacrificio dei bambini,
afferma che essa veniva svolta secondo un rituale segreto, ma questo non significa
che esistesse un vero e proprio mistero 62 . La chiave di lettura possibile per le stele
con raffigurazione di panieri, di rituali di purificazione, abbigliamento e acconciature
liturgiche è più probabilmente quella di gesti e azioni che si dovevano svolgere
nell’ambito di rituali anche più ristretti e privati, perché più sacri, ma che non
prevedessero necessariamente il passaggio estatico dell’iniziando alla dimensione più
sacrale.
Il solo esempio che si può ricollegare alla pratica di culti misterici è quello del
Tempio di Iside a Sabratha, che tuttavia nella sua forma visibile ai nostri giorni è di
epoca tarda, II-III sec. d.C., e pertanto segue una cultura religiosa, che benché
permeata di tratti punicizzanti, è in gran parte aderente alle credenze importate dai
romani in Africa.
Il caso di Volubilis invece rimane ancora da approfondire, a causa della lacunosa
documentazione fornita dagli scavi, ma sembrerebbe essere possibile una funzione
dei vani come magazzini, anche se non vi sono stati ritrovati oggetti cultuali.
Tuttavia, sembra giusto evidenziare la caratteristica della volta che emerge dal
pavimento della corte che rende palese agli occhi di tutti i fedeli la presenza di tali
strutture sotterranee, che pertanto non dovevano avere funzioni da tenere segrete ai
più.
La struttura semi-sotterranea di Djemila è invece emblematica, in quanto
sembrerebbe addirittura non essere connessa al tempio, ma piuttosto alla piazza
lastricata ed esulare quindi dalla casistica delle strutture qui prese in esame.
Infine i quattro casi che a mio avviso si potrebbero accostare tra loro sono quelli di
Mactar, Tiddis e Dimmidi. Il loro tratto comune è costituito dalla forma della cripta
nella prima fase originaria dell’edificio. Infatti in tutti e quattro i santuari essa è
costituita da una caverna o grotta adattata e riutilizzata. L’analisi delle grottesantuario fenicio-puniche è caratterizzata dall’incertezza dei contesti, dall'accentuato
stato di distruzione, dalla difficoltà di esatte datazioni, dalla rarità in genere di reperti
e di strutture ancor oggi leggibili, ma anche dall'indubitabile sopravvivenza di alcuni
siti veramente notevoli (fig. 14): oltre alla Grotta Regina 63 in Sicilia, Ras Il-Wardija 64
62 G.Ch. Picard 1954, 101-103.
63 Grotta imbutiforme, situata a 130 m sul ldm in una faglia secondaria alle pendici nord-orientali di
Pizzo Coda di Volpe, contenente all’interno iscrizioni puniche e neo-puniche, databili al V-III sec.
a.C.: Bisi et al. 1969.
64 Complesso sacro articolato su più terrazze, il luogo di culto principale di epoca punica era posto
all’interno di una grotta rettangolare con cinque nicchie e tre banchette ai lati, con canali e cisterne
utilizzati come depositi d’acqua e per abluzioni rituali in una delle zone più aride dell'isola di Gozo
(Mingazzini 1976, 159-166).
166
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
a Malta; la Grotta del Papa nell'isola di Tavolara presso Olbia65, in Sardegna; la
Cueva d'Es Cuieram ad Ibiza66; il complesso Gorham’s cave a Gibilterra67 – simile al
complesso sacro del “Bagno della Regina” all’Acquasanta, alle falde del monte
Pellegrino68 –; ed infine una grotta recentemente rinvenuta a Marettimo con polle
d'acqua ed abbondante ceramica punica.
Sembra che tali complessi archeologici possano essere considerati come relativi ad
un nuovo tipo di santuario, il tempio costiero, principalmente extraurbano, ove si
effettuavano pratiche, volte all'uso dell'acqua come elemento di culto terapeutico e
"riti oracolari” connessi alle navigazioni ed alla prostituzione sacra.
In Fenicia sono stati attestati culti in grotta messi in relazione con la fertilità, come
a Sidone69 e nella grotta di Adloun70. In queste grotte sembrerebbe essersi sviluppata
anche un’attività di prostituzione sacra connessa al culto d’Astarte71.
Pertanto sembrerebbe lecito ipotizzare che i santuari con strutture sotterranee
analizzati, così come compaiono ai nostri occhi oggi, siano un’evoluzione ed un
riadattamento di precedenti cavità naturali, forse semi-costruite, al cui interno
dovevano svolgersi pratiche cultuali non misteriche, come nel caso delle strutture di
Dimmidi e del Tempio di Liber Pater a Mactar. Le divinità qui venerate dovevano
avere forti caratteri salutiferi, come dimostra la presenza nel primo caso di un pozzo
65 Oggi inaccessibile via terra, presenta una grande camera d’accesso, un piccolo lago d’acqua dolce
66
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71
ed una camera posteriore. Una grande stalattite vicino all’entrata poteva servire come betilosegnacolo per i fedeli provenienti via mare (Beillard - Gonzales 1999, 111).
Cavità naturale riadattata dall’uomo per essere trasformata in luogo di culto. Composta da tre sale
principali più un vestibolo diviso in due da un muro; una sala intermedia naturale ed un terzo recinto
separato dall’interno da una serie di stalattiti. Fuori dal vestibolo sono presenti alcuni resti di
cisterna. Frequentata tra il V-II sec. a.C. (Beillard - Gonzales 1999, 111-113).
La cavità sacra è connessa direttamente al mare mediante una strada costiera attraverso una ripida
scalinata di sessanta gradini. Una grande stalagmite nel centro della grotta divide lo spazio in una
seconda stanza, da qui una galleria conduce ad un ulteriore ambiente (Belen Deamos - Perez 2000,
531-542; Bernardini 2003).
Costituito da un ambiente con una vasca artificiale di acque termali. La grotta marina, dalle cui
pareti trasuda acqua minerale, è accessibile attraverso una scaletta e da un sentiero scavati nella
costa rocciosa, seguendo un percorso che giunge in un grande antro invaso dal mare fino all’altezza
di un ampio sedile, affiancato da un seggio di dimensioni più ridotte. Da qui altri sentieri conducono
ad altre cavità con acque termali. La sacralità del luogo permane anche in epoche più recenti come
dimostra la costruzione del 1400 d.C. della piccola chiesa della Madonna dell’Acquasanta (Purpura
- Purpura 2004).
Renan 1864, 204.
Renan 1864, 647-653.
Questa pratica è originaria della Mesopotamia, molto diffusa in tutto il Vicino Oriente, priva però di
grande diffusione nell’Occidente, se si eccettuano i casi noti di Erice, Sicca Veneria e
presumibilmente quello del Santuario B di Pyrgi. Questo fenomeno potrebbe tuttavia dipendere
dalla trasformazione della visione di Astarte a seguito di un processo di colonizzazione, grazie al
quale la dea si trasforma in “protettrice degli agricoltori del mare” (Beillard - Gonzales 1999, 103145): le grotte diventano così luoghi di culto per divinità salutifere.
167
Fiammetta Susanna
con acque considerate sacre e nel secondo la natura stessa del dio, accostato solo una
volta a Shadrapa 72 .
L’acqua in questi casi quindi rappresenta un fluido di origine divina, datrice di vita
e manifestazione del potere soprannaturale, connessa ai miti della creazione siropalestinesi e via di comunicazione tra il mondo sotterraneo divino ed il mondo dei
vivi, indispensabile per l’elargizione della fecondità 73 . L’acqua sarebbe diventata così
un elemento utile per la divinazione e la dispensazione degli oracoli. La
localizzazione di un luogo sacro, pertanto, non era scelta dall’uomo, ma determinata
dalla manifestazione della presenza della divinità, nei casi esaminati palesata dallo
sgorgamento delle acque considerate sacre.
Le grotte 74 , trasformate in epoche più tarde, hanno poi assunto aspetti e funzioni
più disparati, quali depositi di arredi sacri (Tiddis e Tempio di Hoter Miskar a
Mactar), sale da banchetto o per pratiche rituali in genere (Tempio di Liber Pater a
Mactar) o hanno conservato la propria natura sacra (Dimmidi) a seconda dell’utilità e
della religiosità dei nuovi fedeli, sicuramente influenzati dalle nuove credenze che si
cominciarono a diffondere già a partire dal IV sec. a.C.
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final del dios Moloch, Madrid 2002, pp. 93-119.
72 Come afferma V. Krings (1995, 316-333), a partire dall’epoca ellenistica emerge nella religione
punica un desiderio di protezione più intima da parte degli dei; è in questo quadro che nascono i
culti salutiferi e per le divinità guaritrici.
73 Peri 2005, 148.
74 In Fenicia santuari costruiti per monumentalizzare e venerare le fonti sacre di acqua si trovano
soprattutto concentrati a Biblo dove nel Bronzo Antico I si trova il Tempio della Baalat, nel
Bronzo Antico II il “Lac Sacré” e nel Bonzo Antico III il Tempio di Reshep. Ma i santuari più
esemplificativi sono quello di Amrit, dove un Ma’abed è posto al centro di una grande vasca
scavata nella roccia, monumentalizzata, riempita di acqua, proveniente da due distinte fonti,
una delle quali sorgente all’interno di una grotta (Dunand - Saliby 1985, 12); quello di
Eshmoun a Boshtan esh-Sheik dove l’acqua veniva distribuita nelle varie strutture del santuario
tramite canali sotterranei. Infine non si può non menzionare Afqa, dove, su una piattaforma lungo
la sponda sinistra del Nahr Ibrahim, la cui fonte sorge all’interno di una grande grotta, fu costruito
un santuario per Astarte, servito al livello delle fondazioni tramite delle canalizzazioni e tunnel, poi
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Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
Fig. 1. Pianta del Tempio di Liber Pater a
Mactar; a sinistra pianta del livello superiore;
a destra pianta del livello inferiore (G.Ch.
Picard 1982a, fig. 11).
Fig. 2. Ricostruzione del pronao del Tempio
di Liber Pater a Mactar secondo Lézine,
1958, fig. 2.
Fig. 3. Pianta e planimetria ricostruttiva delle
varie fasi del Tempio di Hoter Miskar a
Mactar (pianta da G.Ch. Picard 1982b, tav. 1;
ricostruzione delle fasi da G.Ch. Picard
1982a, fig. 2).
171
Fiammetta Susanna
Fig. 4. Pianta e ritrovamenti del Santuario semi-rupestre di Tiddis (da Berthier 2000, tavv. 1 e 4).
Fig. 5. Pianta del Tempio B di
Volubilis (da Morestin 1980, fig. 10).
172
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
Fig. 6. Ricostruzione assonometrica del
Tempio B di Volubilis e in basso foto e piante
delle strutture sotterranee del Tempio (da
Morestin 1980, figg. 17, 18, 19 e 20).
Fig. 7. Fasi ricostruttive del Tempio B
di Volubilis secondo Brouquier-Reddé
1998, fig. 2.
173
Fiammetta Susanna
Fig. 8. In alto, pianta e sezione del tempio di
Iside a Sabratha, il rettangolo indica l’altare
del tempio più antico. In basso,
ricostruzione del lato N-O del podio, con
ingresso al settore delle cripte (da Pesce
1956, tav. I).
Fig. 9. A sinistra pianta del quartiere est
di Djemila, nel riquadro è evidenziato il
settore del Tempio (da Allais 1954, tav.
I). A destra testa di Bacco, ritrovata
nell’area del Tempio (da Allais 1954,
fig. 5).
174
Templi punici con strutture sotterranee in Nord Africa
Fig. 10. Tempio di Castellum Dimmidi. A sinistra: pianta degli ambienti sotterranei del praetorium
di Dimmidi; a destra: pianta del praetorium (da Picard 1947, tav. I).
Fig. 11. Statuina di fedele con
sguardo estatico ed acconciatura
rituale, proveniente dal tempio di ElKenissia (Merlin, 1910, fig. 23).
Fig. 12. Stele di Vicus
Maracinatus (da Picard 1954,
fig. 7).
175
Fiammetta Susanna
Fig. 13. Stele della Ghorfa, con
raffigurazioni di cripte sotterranee (da
Picard 1954, fig. 8).
Fig. 14. I santuari in grotta nel
Mediterraneo (da Beillard - Gonzales
1999, tavv. I-VI).
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