LATINOAMERICA
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analisi testi dibattiti
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n. 27-28
E. Santarelli/Novità in Centroamerica?
Omaggio al «Che»/A. Aruffo, J. Cortazar, J. Lezama
Lima, A. Melis, A. Moscato, A. Riccio, S. Tutino
E. Guevara/Un inedito su Machu Picchu
O. Cabrera/1 cubani nella Repubblica spagnola
M. Micarelli/L'intervento dello stato nell'economia
J. Santucho, C. Ouenan/L'Internazionale socialista
R. Soler/Panama e Nicaragua
Culture indigene/ A. Marra, E. Cervone
Anno VIII, n. 27-28
luglio-dicembre 1987
c. p. 64091
00100 Roma
tel. 873742
3
13
17
Enzo Santarelli
Una soluzione per il Centro America?
Leyla Cattém
Il Salvador, prima della tregua
Intervista a padre Ibisate
Hebe Bonafini
Cinquecento giovedi a Plaza de Mayo
Comitato di redazione:
Bruna Gobbi, Nicoletta Manuzzato, Massimo Micarelli,
Giorgio Oldrini, Manuel Plana, Alessandra Riccio, Enzo
Santarelli, Massimo Squillacciotti, Angelo Trento.
Direttore responsabile:
Gabriella Lapasini
La rivista non assume la responsabilità delle opinioni espresse negli
articoli firmati.
In copertina: Manifesto del
« Che » da « Tricontinental »,
1986.
Sped. abb. p.ost. gr. IV, 70%
Autorizz. del trib. di Roma
n. 18142 del 6-6-1980
Stampa: ITER
Via G. Raffaelli, l - Roma
Omaggio al «Che» 1967-1987
23
Antonio Melis
La felice inattualità di Guevara
29
Saverio T utino
Un poeta della rivoluzione
43
Alessandro Aruffo
Il giovane Ernesto
55
Antonio Moscato
Gli scontri ideologici degli anni '60
65
Alessandra Riccio
Cortazar e il « Che»
I ulio
67
Cortazar
Riuniti!
77
I osé Lezama Lima
La morte lo andò a cercare
79
Che Guevara
Machu Picchu. Enigma di pietra
in America
85
Massimo Micarelli
Il ruolo dello Stato nell'economia
latinoamericana
I ulio
93
Chiuso in tipografia
il 20-10-1987
103
Santucho, Carlos Quenan
L'Internazionale socialista e il debito
estero
Ricaurte Soler
Panama e Nicaragua: uniti contro Walker
111
Olga Cabrera
I volontari cubani nella Repubblica
spagnola
Culture indigene
11.5
Alessandra Marra
Peni, festa aymara
121
Emma Cervone
Mission, il caso Guarani
127
Recensioni e schede
Culture indigene
Peru, festa aymara
Si svolge il 2 febbraio, sulle Ande peruviane nella regione del Collao,
una fra le piu significative feste indie: La Virgen de la Cande/{lria de Puno.
Cattolicesimo e spirito animistico, tradizioni precolombiane e tradizioni spagnole
si fondono, presentando uno spaccato della cosmogonia e dell'immaginazione sociale
delle popolazioni aymara che abitano il territorio piu impervio del Pero, meglio
conosciuto come l'altopiano del Titikaka.
Le popolazioni « scendono» a Puno, e questa città dura e avara di bellezza,
fondata dagli spagnoli sulle rive del lago Titikaka a quasi quattromila metri
di altitudine, diviene l'ospitale centro della vitalità di queste genti. Un popolo
temprato da un contesto ecologico ostile ed inospitale che neutralizzò in passato,
e probabilmente neutralizzerà in futuro, i tentativi di assimilazione alla cultura
dominante di Lima.
Il Collao è il Peni difficile. Gli Inkas riuscirono ad annetterlo all'impero del
T awantinsuyo ma fallirono, ancor piu che in altre regioni, nell'opera di integrazione ideologica. Gli aymaras rifiutarono la lingua di Cuzco, il quechua,
complicarono la pax incaica con periodiche sollevazioni e, fatto ancor piu pericoloso,
dubitarono dell'origine divina degli Inkas.
Allora, come oggi, il lat'o Titikaka rappresentava la potente deità dell'universo
orografico cui gli aymaras rendevano culto. Gli Inkas, architetti e guerrieri ma
soprattutto attenti politici, fecero precedere l'imposizione del culto al Sole dalla
leggenda che raccontava di Manco Capac e Mama Ocllo. I progenitori divini
sorti dalle acque del grande lago per originare la stirpe degli lnka, destinandoli
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a stabilirsi a Cuzco e a sottomettere le tribu vtcme ed unificare un vasto ed
eterogeneo territorio. (Comprendeva gli attuali Peru , Bolivia, Ecuador, parte del
Cile e dell'Argentina).
Gli spagnoli conquistarono nel 1532 Cajmarca e Cuzco, rinviando l'esplorazione dell'inospitale Collao al 1533, anno in cui Francisco Pizarro inviò in
avanscoperta Diego De Agiiero e Fedro Martinez de Moguer, due ardimentosi
conquistadores. Questi vennero accolti da uno sparuto drappello di frati domenicani giunti tempo addietro e, con il fiato mozzo causato dal soroche, circondati
dalla palese ostilità degli aymaras nonostante i cavalli e i fucili, decisero di rimanervi soltanto quaranta giorni, ritornando nella bella e popolosa Cuzco senza
oro e senza gloria.
.
Per gli spagnoli l'arido Collao rappresentò, principalmente, una zona di passaggio verso le miniere di Potosi e Tucuman - l'attuale Argentina sino
al 1657, anno della scoperta, da parte dei fratelli Salcedo, della miniera di
argento di Laicacota. La regione del Titikaka divenne allora meta non di avventurosi ma di avventurieri spagnoli giunti da Panama, i quali seminarono
morte maggiormente nelle proprie file che in quelle aymara. Questa mal distribuzione di sventure preoccupò il virrey Conde De Lemos , costringendolo a ristabilire l'ordine ispano designando Puno capitale della regione nel 1668 . Le
quattro catapecchie sulle rive del Titikaka entrarono cosi nella giurisdizione
della Colonia, prontamente affidate alla pietà di San Carlo Borromeo e all 'onore
di Carlo II con il nome di Villa Rica San Carlos De Puno.
Terminata ben presto l'avventura della miniera di argento , si spense anche
l'attenzione della Spagna verso il Collao, le sue genti bellicose e la sua terra
ingrata. Ma al disinteresse spagnolo si contrappose, invece, l'interesse dei gesuiti
per l'indio aymara e la sua armonia stabilita con una natura che appariva, ai
loro occhi, un vero e proprio castigo di Dio. Anche se la terra del Collao,
tanto venerata dagli indios era ben arida, ai gesuiti parve fecondo lo spirito delle
genti aymara, buon terreno per gli insegnamenti della fede cattolica. Quindi
nonostante gli inviti alla cautela provenienti da Roma, essi si addentrarono, tenacemente, nella conoscenza dei riti autoctoni.
Benché gli inviti alla cautela della Chiesa romana si tramutassero in appelli
ed ordini, i gesuiti stabilirono a Juli , ad ottanta chilometri da Puno , il «centro
pilota» per la formazione di missionari sensibilizzati alla mentalità dell'indio puro».
Ispirandosi al concetto di reciprocità/redistribuzione , perno del sistema economico
incaico. Essi lo applicarono, riveduto, razionalizzando la magra economia chiusa
delle tribu aymara . I gesuiti si scontrarono, inevitabilmente, con il pugno di ferro
del governo coloniale, oltreché di quello ecclesiale di Roma .
Accadde che i gesuiti non trasformarono il Collao nella terra del Signore
liberata dall'ingiustizia , e neppure trasformarono lo spirito aymara , che non era
tabula rasa, nell'anima innocente e ricettiva ai misteri misericordiosi del Dio
giusto e liberatore, ma conquistarono, invece , le popolazioni del Titikaka alla
complessa ritualità della liturgia cattolica.
Germinarono ugualmente i semi _libertari della teologia dei gesuiti , ma il
terreno fecondo non era quello rappresentato dall 'indio aymara, ma da una categoria sociale imprevista ai tempi: i meticci, esiliati in vario modo da entrambe
le razze di appartenenza .
Infatti , il gruppo dirigente della Chiesa peruviana , sensibile allo strapotere
della Colonia prima e della Repubblica poi, e in contrasto con l'arretratezza
del proprio esercito di preti , rappresentò la punta avanzata di un particolare
pensiero strategico. Una scelta che si poneva l'obiettivo della effettiva comprensione e partecipazione del popolo indio alla comunione con Dio attraverso
1 16
il suo riscatto e l'a~
. .·ancamento dall'intollerabile miseria in cui era stato gettato
dalla cupidigia bianca.
La Chiesa di Roma negò, nel Collao, il consenso al primo approccio eterodosso dei gesuiti con il Nuovo Mondo, cosf come lo negò al secondo nel Paraguay, dove, per estirpare gli «esperimenti» dei gesuiti, si alleò all 'ala piu
conservatrice e militare della Colonia, sterminando le popolazioni indie e i gesuiti
che le difendevano. (Cosi come l'attuale Chiesa di Roma osteggia, sebbene senza
il successo di qualche secolo or sono, la nascita in Peru di quell'esperimento denominato « Teologia della Liberazione », estesosi al Brasile e a buona parte dell'America latina, e su cui ci sarebbe molto da dire).
* * *
Le Ande peruviane sono popolate da due gruppi etnici i quali si distinguono,
essenzialmente, per la lingua parlata da cui prendono il nome: quechua e aymara.
Unica è la radice che trae origine nella cultura detta di Tiwanaco , diffusasi
sull'altipiano della Cordillera Real a quattromila e piu metri di altezza , sviluppatasi intorno alle rive del lago Titikaka verso il secondo secolo della nostra
era, trasformandosi e estendendosi, nel tempo, sino alla Costa.
Scendendo ai tremila e duemila metri, le popolazioni incontrarono un contesto
ecologico piu favorevole il quale ha contribuito, da un lato, allo sviluppo di
una agricoltura piu varia e, dall'altro, ad una aggregazione comunitaria meglio
articolata. Ciò aiuta, in parte, a comprendere perché i quechuas si integrarono in
un grande impero, uscendo dall'isolamento e dalla fame, costruendo grandiose
opere urbane e di ingegneria sociale.
Abbarbiccati alle montagne piu alte e in simbiosi con il grande lago, gli
aymaras peruviani e boliviani sono un gruppo omogeneo e solidale, nonostante
la divisione artificiosa del Titikaka tra Peru e Bolivia.
Da sempre in costante lotta con la natura avversa, gli aymaras sono permanentemente «preoccupati» per il proprio sostentamento. La mentalità aymara
è condizionata dal senso di precarietà della vita, caratterizzata dalla continua
ricerca di tecniche propiziatorie onde interrogare e cercare di deviare il destino.
L'Indole aymara è perciò apprensiva e con facilità l'allegria si tramuta in vere
e proprie esplosioni di violenza, apparentemente incomprensibili.
Come nei tempi andati, gli aymaras attribuiscono a se stessi e a tutto ciò
che li circonda, compreso quello che appare inanimato, uno spirito naturale.
Mama-Pacha è la terra, la grande madre fondamento della vita e simbolo
della fecondità dell'essere umano, delle piante e degli animali . Taitu-Inti è il sole
padre di tutti e di tutto. Anchancho è lo spirito malevolo della miniera che
occulta i tesori della Mama-Pacha. Achachillas sono gli spiriti del gelo e Apus
sono gli spiriti delle montagne. L'aymara avverte la sua vita completamente
dipendente dagli spiriti, ciò gli procura l 'ansia di pagar, fare offerte agli esseri
invisibili affinché consentano la semit;ta, la marchiatura del bestiame, il raccolto,
gli affari, il matrimonio, la protezione dalle tempeste di neve e di vento, all'alta
marea del grande lago e via dicendo. L'uomo del Collao si sente condizionato
dalla vita alla morte, da mattina a sera dalla « preoccupazione » di accattivarsi
gli spiriti. Si ingenera, in questo modo, una profonda inquietudine ed una spiccata
diffidenza nei confronti di eventuali_ elementi disturbatori del suo fragile · equilibrio. In questo insieme sociale ed emotivo si colloca il ruolo fondamentale
che consente la libertà dall 'apprensione e sollecita l'enfatizzazione delle espressioni
piu forti del proprio essere.
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* * *
Raccontiamo della Festa della Candelaria, Mamita Cande/aria per gli aymaras,
soffermandoci un poco sul preludio storico e prendendo spunto dall'interessante
saggio, pubblicato sulla rivista « Buletin de Lima», di Enrique Cuentas Ormachea,
presidente dell'Istituto Americano di Arte negli anni '60.
Vi è una certezza sull'origine del culto alla Vergine ed esso affonda le radici
nelle prediche dei gesuiti, le cui argomentazioni pedagogiche contribuirono, indubbiamente, all'avvio di un processo di simbiosi delle credenze cattoliche con i
sentimenti animistici aym·ara.
Nel contempo . i tratti della cultura animistica infiltrarono, ed infine sostituirono, quelli della cultura cattolica, pur mantenendosi nella struttura religiosa
di quest'ultima. Il processo di simbiosi si accompagnò al processo sostitutivo:
il culto della Vergine si diffuse con l'identificazione di questa con la Mama-Pacha,
come Gesu Cristo venne sostituito da Taitu-Inti all'interno della liturgia cattolica.
I riti cattolici risultarono ieri, come risultano oggi, preceduti o seguiti da quelli
aymara, all'interno delle cerimonie. L'attaccamento e la venerazione delle genti
andine per la madreterra, spiega la diffusione in tutta l'area andina del culto alla
Vergine.
Non vi è certezza, invece, sulla data di inizio del culto alla Vergine della
Candelaria. Secondo alcuni la sua elezione a patrona di Puno- e del Titikaka - ,
sarebbe legata ad un avvenimento miracoloso, tramandatoci dalla tradizione orale
punefia. Nel suo saggio Cuentas Ormachea narra che, nel 1781, le truppe del
ribelle aymara Tupac Catari, insieme a quelle di Vilcapaza e dei meticci Ramon
Ponce, Pedro Vargas ed Andres Ingaricona, presero la decisione di proseguire
la lotta di José Gabriel Condorqanqui, 'meglio conosciuto come Tupac Amaro II.
(José Gabriel Condorqanqui venne condannato a morte nel 1781 sulla Plaza
de Armas di Cuzco, mediante lo squartamento ad opera di quattro cavalli incitati
al galoppo in direzione dei quattro suyos. Fu condannato per essersi proclamato
legittimo erede dell'Inca Tupac Amaro, l'eroe del neo-stato incaico che tanto
filo da torcere diede, per piu di trent'anni, ai conquistadores. Questi, dopo averlo
catturato, lo trascinarono in catene e venne condannato a morte dal viceré di
Toledo. L'esecuzione si consumò nel 1572 sulla Plaza de Armas di Cuzco,
dinanzi alla folla india la quale lo trasferf nel mito quasi subito. Un mito ripreso
da Josè Gabriel Condorqanqui, organizzando le sollevazio!li indie contro il potere
della Colonia, ispirando cosi, per due secoli, l'immaginazione sociale degli autoctoni
di Peru, Bolivia ed Ecuador).
Secondo la tradizione orale, le truppe ribelli assediarono la città di Puno,
con l'intento di sottometterla .onde poter attaccare La Paz. Pare che gli assedianti
fossero dodicimila e gli assediati in numero nqtevolmente inferiore e senza possibilità, quindi, di difendere la città. Gli abitanti di Puno ricorsero perciò all'aiuto
della Vergine della Candelaria, recand~i
in processo nella chiesa di San Juan, dove
si venerava l'effige colà situata. E fu il miracolo, il primo di lunga serie. Si
racconta che all'alba le truppe ribelli si ritirarono sulle montagne, insospettite
durante la notte, dalle fanfare e dal trotto di numerosi quanto fantomatici cavalli.
(In realtà, gli unici rinforzi giunti in soccorso a Puno, . consistettero nei resti
laceri e malconci dell 'esercito del generale spagnolo J osé Del V alle).
La fuga delle truppe meticce ed aymara (avvenimento reale o giustificazione
pretestuosa allo stato non proprio marziale dell'esercito di José del Valle giunto
in soccorso) ispirò la venerazione della gente creola · di Puno per la Candelaria.
Il 2 febbraio, data che il calendario cattolico assegna al culto della Vergine, si
celebrò con fastose processioni trasformatisi, negli anni , in vere e proprie manifestazioni folcloriche in cui, ben presto, le tradizioni aymara intervennero in
118
forma preponderante attraverso la musica e la danza. L'originaria festa meticcia
si trasformò in festa aymara.
Per l'uomo andino la danza ha sempre rappresentato l'espressione tangibile
dello spirito, dunque il mezzo piu efficace per ottenere la protezione degli dei
ed implorare l'aiuto dei santi e della Vergine. E per la festa della Candelaria
gli aymaras arricchirono, di anno in anno, il proprio abbigliamento e la coreografia, influenzando l'esibizione meticcia sino a trasformare la festa cattolica in
quella dell'incontro delle comunità aymara della Cordillera Real e del Titikaka,
versante peruviano e boliviano insieme.
L'onere della festa sostenuto dalle comunità contribuisce in maniera cospicua
a !imitarne le già magre risorse, indebitandole un anno intero nell'acquisto dei
vestiti e dei viveri che si scambiano vicendevolmente. La qualità e la quantità
degli omaggi, determina l'avanzamento nella scala gerarchica vigente tra le c~
munità dell'area del Collao. Per l'indio, quindi, è piu ragionevole privarsi del
cibo che del vestito e della zampogna da suonare per le strade e nella cattedrale.
Due sono le motivazioni: ogni membro di comunità si identifica totalmente in
leSsa e i giorni della festa gli consentono l'estroversione che rompe la monotonia
della sua vita.
Provenienti dai ripidi pendii e dalle valli scoscese, dalle isole del Titikaka
e dal versante boliviano del lago, riunite nei gruppi di appartenenza alle comunità, gli aymaras giungono a Puno verso la metà di gennaio. L'arrivo nella
Plaza de Armas di Puno è preceduto dalle melodie dei sicu , delle zampogne, dei
pinquillas, delle quenas e dei huan·qaras , gli antichi strumenti suonati ancora oggi con
grande abilità.
Gli aymaras del lago e della terraferma si incontrano, dando inizio al complesso cerimoniale dello scambio dei saluti e degli omaggi. Ciascuna comunità
si presenta formando un cerchio, ballando e suonando lo strumento piu consueto,
esibendo i costumi di lana e bayeta adornati con figure geometriche dai contrastanti
colori. È visibile la rigida gerarchia esistente all'interno di ogni gruppo e tra c~
munità e comunità.
La festa della Candelaria vede due protagonisti: le comunità aymara da un
lato e i meticci di Puno dall'altro. Gli aymaras sono protagonisti della festa
nei giorni che precedono la ricorrenza, mentre i meticci, con un gusto partico.,
larmente esibizionista di vecchia tradizione ispana, Io sono nella giornata del
2 di febbraio, quando si presentano in costosissimi costumi intessuti con fili di
oro e adornati di perle e lustrini: los trajes de luz. I primi mangiano e bevono
all'aperto anche nelle fredde ore notturne, mentre i secondi si offrono, vicendevolmente, sontuosi banchetti. Aymaras e meticci si mescolano verso la sera del
2 febbraio per dividersi nuovamente il mattino seguente, quando proseguiranno,
sino all'esaurimento delle forze, melodie e danze indie.
Narriamo della partecipazione aymara. Verso le cinque di ogni mattina sino
al 2 febbraio, le comunità si incamminano verso la cattedrale procedendo secondo
).'ordine che vede avanzare, alla testa del corteo, la comunità piu importante e
in coda la meno numerosa. Durante il tragitto le danze di una comunità sono
accompagnate dalla musica suonata da un'altra, sino al turno della comunità
situata alla coda del corteo. Giunte dinanzi alla cattedrale, i gruppi si schierano in
piu colonne ed entrano nel tempio in fila indiana.
Assistono alla Messa cantando in aymara e suonando, a turno, tutti gli strumenti , salgono sull'altare per porgere l'offerta al simulacro della Candelaria : conchiglie, pane, ceri e carta colorata. Ognuno prega ed implora ad alta voce, terminando l'invocazione con il pianto di commozione che coinvolge la sensibilità
dell'intera folla partecipante al rito.
119
Quando il tempio si svuota si riempiono le strade di Puno e, di giorno in
giorno, il ritmo delle danze è sempre piu estroverso, esaurendo la gerarchia
vigente durante il corso dell'anno . .È il momento delle grandi bevute, del tramonto
di vecchi vincoli matrimoniali e del sorgere di nuovi legami, con naturalezza e senza
complicazione alcuna.
La primitiva armonia delle melodie, la folla multicolore percorsa da una
allegria rude ma in sintonia con la severità della natura, è uno spettacolo che
lascia senza respiro e induce alla riflessione. È « l'altro». Sono ~ le genti che sfilano
oggi , come sfilarono dinanzi agli Inkas prima e agli spagnoli poi, con i costumi
sgargianti e il viso celato da maschere zoomorfe. Una popolazione apparentemente
separata da quel Pero che riempie le piazze e le spiagge di Lima.
La partecipazione meticcia. I meticci, di fatto, dirigono la cerimonia del
2 febbraio. Spetta alla famiglia di censo elevato patrocinare la festa e l'elezione
della famiglia patrocinante è il risultato di ampie consultazioni tra le famiglie
che negli anni precedenti hanno assolto all'incarico. Va da sé che l'alferado eletto,
assumendosi il cospicuo onere dell'offerta in denaro al dero, dei castillos, dei
banchetti luculliani offerti alle famiglie, entri poi a pieno titolo ne1l'élite puneiia.
Sebbene la famiglia eletta riceva. privilegi e ricavi indiretti dall'encargo, il piu delle
volte sarà sommersa, e per parecchio tempo, dai debiti.
La Vergine della Candelaria è salutata , alle quattro di mattina quando sulle
Ande è ancora buio pesto, con lo scoppio dei castillos. Questi sono grandi
costruzioni di legno rappresentanti la sagoma stilizzata della facciata centrale del
castello spagnolo, con originali divagazioni architettoniche legate con una fune su
cui scorrono i petardi. Ad intervalli i petardi scoppiano in mezzo alla folla noncurante del pericolo, i castelli poi prendono fuoco e saltano letteralmente in aria
con bellissimi giochi di luce. Scoppiano i petardi e suonano le campane mentre
la tensione della folla, sovrastata dal fumo e dagli scoppi, aumenta in una atmosfera
irreale.
Terminati gli scoppi dei castillos, la folla abbandona la piazza per recarsi in
chiesa ad assistere al primo rito della messa, lasciando sul selciato, insieme alle
rovine fumanti , i corpi degli ubriachi alcuni dei quali, addormentatisi all'addiaccio,
non si risvegliano piu, uccisi dall'alcool e dal gelo della notte.
A mezzogiorno il piu fastoso rito religioso con il tempio decorato di costosi
fiori offerti dall'alferado, il quale invita parenti ed amici alla Messa solenne.
Nel pomeriggio, invece, l'alferado organizza la entrada de ceras dal proprio domicilio alla chiesa; durante il tragitto parenti ed amici sfilano abbigliati con los
trajes de luz, accompagnati dalla banda di musici.
Nella chiesa il simulacro della Candelaria è deposto su di una portantina sommersa dai fiori e, sulle spalle dell 'alferado e dei suoi parenti, lascia il tempio
per percorrere le strade di Puno. Durante il tragitto la folla copre le strade di
petali di fiori , illuminando i due lati qel corteo con magnifiche candele decorate
con inscrizioni ineggianti alla Vergine. Le candele piu belle vengono deposte
su di un grande candelabro, mentre l'alferado ritorna alla propria casa con parenti
ed amici invitati al banchetto.
Verso le sette di sera viene celebrata la vispera, nella chiesa di San Juan,
dove il simulacro ri torna per la devozione dell 'alferado e della sua famiglia;
tutti quanti lo attendono nell'atrio del tempio bevendo liquori di amarena e di
mandorle.
Terminata la cerimonia riprende la quema de castillos culminante nello scoppio
Jdel castello piu grande, preludio di can ti, danze e bevute che si prolungheranno
oltre mezzanotte.
La festa della Candelaria termina per tra·m utarsi nella festa dell'Octava la do-
120
menica seguente, mantenendo la medesima liturgia ma con spazi piu ampi at
e le abbondanti bevute; le comunità si
divertimenti. Proseguono i banche~ti
esibiscono, una ad una, in balli e danze, cosi come i meticci di Puno esibiscono
los trajes de luz. Sebbene non sia scritto da nessuna parte, è evidente la contrapposizione, durante i festeggiamenti , tra meticci e aymaras.
Gli aymaras, dinanzi al pubblico meticcio, suonano i tamburi , si celano dietro
le maschere e ballano danze di guerra, mentre il pubblico è visibilmente percorso
da emozioni . I meticci sfilano dinanzi alla folla india enfatizzando la leggerezza
dei movimenti, mostrando la ricchezza dei costumi che li fa somigliare, nonostante
la pelle scura e la fisionomia violata, agli hidalgos della vecchia Spagna.
La Octava si esaurisce la notte con i fuochi d 'artificio, quindi la folla si
divide, la gente di Puno ritorna alle case e gli aymaras si riuniscono a gruppi.
Dopo qualche giorno, ultimati i commiati. terminate le danze, le melodie e le
ubriacature, le comunità risaliranno le valli e su leggere imbarcazioni di totora
ritorneranno alle isole del Titikaka.
Pare questo un Pero d'altri tempi, ma è una faccia del Peru odierno con
le sue culture che appaiono incomprensibili, se non osservate attraverso la lente
della suà geografia verticale e della sua storia, passata e recente, in gran parte
ancora da scrivere. È il Pero autoctono che non rappresenta il terreno di semina
di Sendero Luminoso, mentre lo è invece il Paese meticcio o cholo.
La festa che abbiamo narrato non è un avvenimento isolato, l'intera area andina
è ricca di queste espressioni animate non una frangia marginale, dato che queste
popolazioni indie sono la maggioranza, numericamente parlando, del Peru. Un paese
fortemente segnato, nella sua storia moderna, dalla separatezza tra bianco e autoctono, privo di tensioni razziali ma con fortissime diseguaglianze di ordine economico
legate, in gran parte, al problema agrario. La questione etnica non è , ovviamente,
il solo grande problema del Pen1, ma il relegarla nell'ambito delle scienze antropologiche e delle pie intenzioni, ha significato escludere gran parte del paese reale
dalla politica nazionale fallendo, tra l'altro, la Riforma Agraria .
Alessandra Marra
Mission, il caso Guarani
La prosperità raggiunta dalle Reducciones gesuitiche impiantate nella Provincia
del Paraguay e Rfo de la Plata nel seicento e nel settecento, non fu, a mio avviso
conseguenza dell 'applicazione di un rigido schema precostituito ispirato da dottrine
socialiste o comuniste-cristiane. Agendo in nome di una universale rivalutazione
del cristianesimo, i Padri, per il loro peculiare relativismo pedagogico, adattavano
progressivamente i propri metodi alla realtà ambientale, culturale ed individuale
che incontrava·n o, senza, per questo, abbandonarsi al caso od all'improvvisazione.
L'indulgenza che sempre contraddistingue l'atteggiamento gesuitico nei confronti
dei peccati e delle debolezze umane, si traduceva, in campo miss,i onario, in una
profonda tolleranza per i cost umi dei popoli da convertire al cristianesimo. Ciò
permise alla cultura autoctona, nel caso Guaranf, di sopravvivere, anche se in
modo alquanto singolare, fondendosi cioè con la religione importata dai nuovi
conquistatori spirituali.
121
Che i Gesuiti fossero riusciti già nel 1600 e 1700 a capire i meccanismi di
una cultura indigena complessa come quella Guaranf, meccanismi ai quali è giunta
oggi la moderna antropologia, è difficile crederlo; essi però seppero modellare
ed ordinare, in un sistema assolutamente coerente, molti elementi dell'originario
universo sociale e culturale. Fu il felice incontro della cultura guaranf da un
lato e dello spirito gesuita dall'altro, a determinare la nascita di una realtà armonica e coerente che permise a queste missioni di moltiplicarsi e di prosperare,
sino a raggiungere la piena autonomia in tutti i campi.
La caratteristica fondamentale per poter comprendere bene la natura della cultura guaranf è l'assoluta predominanza, nella vita indigena, dell'elemento magicoreligioso. Si trattava di un popolo che viveva « in un universo popolato da spiriti »,
per il quale gli stessi fenomeni naturali e biologici, come la malattia, la morte,
la .siccità, erano manifestazioni di forze soprannaturali che agivano quasi sempre
a danno dell'uomo; tutto ciò che sconvolgeva il regolare flusso della vita quotidiana non era considerato un evento accidentale, ma effetto di deliberate aggressioni da parte di spiriti della foresta, anime di morti, sciamani nemici, o manifestazioni della collera di divinità o di antenati. Anche gli animali ed i fenomeni
naturali piu comuni quali i tuoni, i lampi, il vento, le ombre ed i fruscii della
foresta avevano una precisa valenza simbolica e misteriosa in quanto materializzazioni degli spiriti o della furia divina. La linea di demarcazione tra la sfera del
sacro e quella del profano veniva dunque abolita in quanto l'elemento magicoreligioso era assolutamente compresente in ciascun evento della vita individuale
e collettiva del gruppo.
Solo un tipo di conquista spirituale avrebbe, dunque, potuto produrre una
sottomissione pacifica di questi indigeni. Il criterio etico-mistico con il quale i
missionari Gesuiti impostarono e gestirono l'organizzazione delle Reducciones,
non poteva che attrarre ed affascinare e, nello stesso tempo, convincere i GuaranL
La loro comprensibile sensibilità al fascino della maestosità e di tutto ciò che
colpiva i sensi fu abilmente amministrata dai Gesuiti affinché i loro discepoli
consideras'Sero le nuove comunità rette esclusivamente dalla legge divina, legge
che in quanto tale, sarebbe stata accettata con timore reverenziale. Anche nell'ambito della vita quotidiana delle Reducciones , il sacro si univa al profano in
modo semplice e naturale; tutte le attività , anche le piu materialiste come il lavoro
nei campi e nelle officine, erano protette da Dio e dalla sua infinita bontà; ogni
istante della vita sociale era dunque intriso di religiosità e di misticismo.
L'esistenza guarani, dominata da forze soprannaturali, da spiriti malvagi e
minacciata da stregoni nemici, aveva originariamente una possibilità di salvezza:
il rituale. Mediante esso, infatti, la società cercava di allontanare la sventura,
di assicurare il successo, respingendo il pericolo che l'aveva spinta verso il disordine, neutralizzando le forze malefiche, difendendosi da tutto ciò che era « natura ».
L'antropofagia rituale, ad esempio, che tanto ha fatto inorridire gli europei, era
il mezzo con il quale i G uaranf si difendevano dall'interferenza, spesso malefica,
delle anime dei morti. Attraverso il rituale, inoltre, venivano ribadite quelle leggi,
sancite dagli antenati in un tempo mitico pre-umano, che governavano l'ordine
sociale, riaffermando cosi la legittimità della società stessa mediante la negazione
della natura, ossia di tutto ciò che non apparteneva al sociale e dunque alla cultura.
I riti di iniziazione, ad esempio, sancivano solennemente il riconoscimento dell'adolescente come membro della società, il suo passaggio allo status sociale di
adulto attraverso l'osservanza di violenti obblighi rituali che riportavano l'iniziando ad uno stadio di vita pre-sociale; solo dopo aver sopportato tali mortificazioni egli poteva essere considerato degno di far parte della società accettandone
pienamente le leggi. Con lo stesso spirito probabilmente i G uaranf accoglievano
le frustate che i G esuiti infliggevano loro per punirli dei reati commessi, ringra-
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ziandoli poi, con parole che anche se impostegli, sottolineavano la loro rinascita
come uomini in seno alla società. Non avrebbero potuto altrimenti interpretare
quegli indios le violenza che la comunità gli impartiva per mano del padre gesuita
dal momento che l'unica violenza corporale originariamente inflitta all'individuo
dal gruppo era appunto quella del rito d'iniziazione.
La vita comunitaria di questa società tribale era sottoposta, dunque, ad una
forte ritualizzazione, tutte le attività individuali e collettive, erano cioè inserite
in una trama rituale in modo da essere regolate, controllate; nulla era lasciato
al caso ed al disordine come pensavano anche gli stessi Gesuiti dal momento
che volevano ridurre gli indios a vita sedentaria ed « ordinata». I Guarani erano
già avvezzi a rispettare tabu e prescrizioni di natura rituale, dato questo importante in assenza del quale, probabilmente, le Riduzioni gesuitiche non avrebbero
raggiunto un cosi esauriente sviluppo in tutti i campi in quanto, proprio grazie
ad esso, risultò piu facile ai Padri l'imposizione di un nuovo sistema di vita. Certi
divieti furono assimilati anche subito dagli indios perché piu vicini alle proprie
credenze. Ad esempio, la netta s·e parazione dell'universo maschile da quello femminile era, a dispetto della promiscuità della vita comunitaria, già presente nella
cultura guaranL Non risultò loro, quindi, tanto inammissibile l'osservanza della
stessa separazione nella vita riduzionale; anzi l'insieme di divieti e di regole
concernenti l'ingresso separato dei due sessi in chiesa, veniva rispettato perfettamente dagli indios per i quali esso rappresentava forse un comples·so di prescrizioni rituali atte a difendersi della collera divina.
La vita sociale e collettiva dei Guarani era, dunque, scandita e regolata da
precisi obblighi rituali che controllavano severamente anche le attività individuali; qualsiasi azione compiuta dal singolo aveva una sua precisa collocazione
all'interno di una fitta trama rituale che impediva che ne beneficiasse solo il
diretto interessato, magari a scapito della comunità. Ne usciva rafforzato un
forte spirito collettivista, in quanto tutte le attività individuali eranù finalizzate
esclusivamente al benessere deHa società tutta. Questo collettivismo venne conservato e ben razionalizzato nell'organizzazione interna delle Reducciones; ciascun
indigeno lavorava per sé e per la collettività che, in cambio, provvedeva ad appagare ogni suo bisogno. La capacità di adattamento e la tolleranza dei Gesuiti,
dunque, permisero ai Guarani di accogliere un nuovo sistema di vita ed una
nuova spiritualità senza dover rinunciare alla propria cultura, ma anzi interpretando il tutto secondo i propri schemi e meccanismi psico-culturali. Questo
processo ·d i fusione (per quanto' si tratti di una fusione che resta molto in superficie)
coinvolse anche e soprattutto la figura del Gesuita che proprio grazie a ciò raccolse
in sé un potenziale di attrazione e di coesione di gruppo che forse altrimenti
non avrebbe raggiunto.
Nella cultura guararu, abbiamo visto, la società aveva la meglio sull'individuo
e il ruolo sociale sulla singola personalità . Colui che in questo rigido e complesso meccanismo riusciva ad emergere per le proprie doti di oratore, senza però
contravvenire ad alcun obbligo sociale, era riconosciuto degno della carica di
mburuvicha (capo villaggio). Egli doveva conoscere le tradizioni e far rispettare
le leggi degli antenati ; ma soprattutto, grazie alla sua eloquenza, doveva pacificare i litigi interni. Il ·suo era, dunque, un dovere di parole che, però, non prevedeva mai l'affermazione di opinioni personali; tutto ciò che diceva doveva
rispecchiare le convinzioni della collettività ; egli era dunque, il simbolo dell'identità e della coesione del gruppo steSISo. Piu che di un vero e proprio potere,
godeva di un forte prestigio sociale ; non era un dittatore ma un padre che, a
sua volta, nelle questioni piu controverse doveva ascoltare la saggia parola dei
piu anziani. In cambio di tutto ciò, la società gli riconosceva il diritto alla poligamia; in questo modo egli poteva stabilire dei rapporti di parentela con piu nuclei
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familiari che erano cosi obbligati da un vincolo di solidarietà; maggiore era il
numero dei suoi seguaci piu alto era il suo prestigio sociale.
Anche nell'ambito della vita politica delle Riduzioni, il cacique non godeva
di un vero potere ma per la sua capacità di tener salda la coesione del gruppo,
gli erano stati riconosciuti dei privilegi che ne tenessero alto il prestigio; alla
poligamia si era sostituita l'esenzione dai tributi ed il comando dell'esercito in
caso di guerra. Le doti richieste non erano piu l'eloquenza e la capacità di far
seguaci quanto piuttosto l'obbedienza e la fedeltà alla volontà del Gesuita. La
buona dialettica e il proselitismo erano virtu squisitamente umane e pertanto
potenzialmente alla portata di tutti. Il vero e proprio potere invece, quello assoluto, risiedeva nelle mani del paye (sciamano). Non a tutti gli individui, infatti,
era concessa la capacità di entrare in contatto con realtà misteriose ed invisibili.
Il capo non operava con forze soprannaturali ma su forze sociali; era essenzialmente un paciere, un uomo dotato di prestigio, ma pur sempre un uomo e pertanto controllabile.
Il potere dello sciamano si basava invece non sul prestigio ma su un vero e
proprio timore; egli infatti era lo strumento col quale il mondo soprannaturale
si manifestava agli uomini; contraddirlo o non obbedirgli poteva compromettere
i rapporti del gruppo con quel temutissimo mondo. Questa ambivalenza, questa
capacità di essere propiziatore ma nello stesso tempo un potenziale provocatore
di sventure, rendeva lo sciamano assolutamente intoccabile ed incontrollabile. Egli,
ricevuti in gioventu i segni delle sue eccezionali facoltà, giungeva ad essere tale
solo dopo una lunga preparazione; una volta acqui si ti tutti i poteri magici e la
capacità di controllarli, li esercitava sui membri della tribu o sul corso delle cose.
Il suo potere era, però, un'arma a doppio taglio; qualora una grave sventura si
fosse abbattuta sul gruppo egli diveniva il capro espiatorio e molto spesso pagava
con la propria stessa vita.
Nell'ambito della cultura guarani, lo sciamanesimo assunse toni particolari
soprattutto dopo l'ru-rivo degli spagnoli. Come reazione sociale e culturale contro
la civiltà dei « bianchi » nacque un movimento messianico che predicava il vicino
avvento di un'era felice nella mitica tierra sin mal. Questi profeti, i Karai, passavano da una tribu all'altra spingendo gli indios alla resistenza, invitandoli a
non adorare i santi, a vivere secondo le antiche abitudini, ed a riconoscere in
lui un Dio. Questi « messia» guarani si attribuivano un'enorme potenza spirituale, esigendo dai loro seguaci una fede assoluta nelle loro promesse e nelle
loro predizioni. Essi si consideravano uomini-dio, gli eletti che gli dei avevano
scelto per comunicare agli uomini la loro parola. Promettevano ai fedeli l'avvento
del mitico mondo dell'al di là dove la morte non esisteva, dove le donne ringiovanivano e gli uomini ritornavano forti, dove avrebbero avuto cibo abbondante
senza lavorare la terra. Per pres·e ntarsi al loro popolo come dei salvatori essi si
paragonavano ai mitici eroi civilizzatori, le cui imprese erano esaltate in numerose leggende. Guadagnarsi adepti era per loro piuttos·to facile, dal momento che
nella mitologia guarani era profondamente radicata la credenza nel ritorno del
mitico eroe civilizzatore o del Grande Antenato. Lo sviluppo notevole che ebbe
questo movimento si può anche spiegare con la posizione di grande rispetto e
di potere di cui godevano gli sciamani presso questo popolo.
I Karai diedero vita inoltre ad una nuova religione sincretistica, in quanto
spesso si paragonavano ad una figura divina equivalente al Cristo cattolico, erigevano croci, battezzavano e confessavano, indossavano vesti sacerdotali.
Come si collocava il padre gesuita nella mente del Guarani cosi succube del
suo stes.so timore nei confronti del potere dello sciamano e del profeta?
Sedotti prima dalla sua eloquenza e poi dalla sua maestosità, i Guarani finirono
per riconoscere nel loro padre spirituale l'abilità oratoria e lo spirito patemalistico
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di un cacique, le capacità profetiche di un karai , ma soprattutto le proprietà magicoreligiose di uno sciamano. Figura degna, dunque, di assoluto rispetto e fedeltà,
egli era considerato il portavoce della parola divina, che in un momento di totale
confusione culturale e grazie anche alla presenza di sincretismi religiosi, non risultava agli indigeni tanto inaccettabile.
Nella mitologia guaranf, infatti, troviamo figure divine e miti fondanti che,
se esaminati in superficie, possono essere considerati degli equivalenti della religione cristiana. In Tupa si manifestava tutto il potere della divinità; era questo
il Dio che aveva dato forma all'uomo e che si accompagnava ad un'altra importante
divinità, la moglie Nandecy, la « Grande Madre ». Non c'è, perciò, da stupirsi
se i Gesuiti riuscirono facilmente a convertirlo nel Dio cristiano. In accordo con
la legge della periodicità, la cosmogonia guaranf narrava di un diluvio universale
che aveva distrutto la precedente umanità per farle espiare le colpe commesse;
solo due gemelli salvatisi da un naufragio avevano poi lottato contro lo spirito
del male per aiutare la nuova umanità.
Si narrava, inoltre, di una terra meravigliosa, Mbaé Vera Guaz6, la « Tierra
sin mal», situata non si sa dove ma di certo non in cielo, dove l'Antenato si era
ritirato dopo aver conferito agli uomini le conoscenze essenziali alla loro sopravvivenza. È H che dopo aver superato dure prove si recavano le anime di coloro
che in terra avevano dimostrato coraggio e fedeltà alle leggi, o anche i vivi che
guidati dal potere di uno sciamano, riuscivano a scoprire la strada che vi conduceva.
Credevano anche in uno spirito del male Ana ed in uno stuolo di Dei lunari
e solari o eroi civilizzatori che, s.i n dalla creazione, avevano aiutato l 'uomo a capire
ed a vivere nel mondo che li circondava.
I Guaranf, dunque, si sottomisero ad una religione che familiarmente gli
parlava di un Dio creatore, di una Madre santa , di un demonio, di un esercito
di santi, di un diluvio universale e di un paradiso terrestre destinato ai piu fedeli;
il padre gesuita era il portavoce di questo Dio; il suo interlocutore; ascoltando
le sue parole essi avrebbero vissuto felicemente in terra, con abbondanza di cibo
e protetti dai pericoli circostanti. Egli era, dunque, lo « sciamano » che avrebbe
potuto guidarli nella nuova « tierra sin mal ».
Risultato di questa superficiale fusione di credenza fu la nascita di un sincretismo religioso in cui il cristianesimo stesso era vissuto senza troppa cognizione
di causa, come se fosse un insieme di miti ancestrali che solo ora dei nuovi e validi
« paye » avevano portato alla luce diffondendoli fra gli uomini. Questo stato di
cose permise, dunque, alla cultura guaranf di sopravvivere e di conservarsi in
parte fino ai nostri giorni. Le critiche spesso mosse ai Gesuiti di essere i soli
responsabili del mancato inserimento degli indios reducidos nel mondo coloniale
ispano-americano prima, e nella società paraguayana poi, possono essere a mio
avviso accettate solo tenendo presente quest o importante fattore, la sopravvivenza, cioè, della cultura autoctona.
Credo che l'atteggiamento protezionistico e paternalist ico dei Gesuiti fosse
sincero rispetto, ovviamente, alla loro convinzione che gli indios fossero dei
-<< bambini con la barba» da educare e da civilizzare, e nello stesso tempo, da
difendere dallo sfruttamento e dai vizi degli Encomenderos . Ma proprio questo
protezionismo aveva decretalto l'isolamento dell 'intero corpo di missiOni dal
resto del mondo circostante e quindi dai meccanismt dell 'economia e della politica
delle colonie. Questa chiusura di frontiera, in armonia con l 'atmosfera mistica
che regnava all 'interno delle riduzioni aveva permesso alla cultura guaranf di
sopravvivere anche se in maniera non ortodossa. Gli indigeni, forse all'insaputa
degli stessi Gesuiti, non avevano perso la capacità di autogovernars.i , ma questo
solo rispetto al loro originario sistema di vita che, grazie alla persistenza di
molti aspetti del proprio bagaglio culturale, essi non avevano dimenticato.
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D'altro canto, la battaglia condotta dai Padri in Sudamerica era finalizzata
all'universalizzazione del cristianesimo che imponeva la difesa degli indigeni dai
vizi e dallo sfruttamento piuttosto che il riconoscimento o meno della loro reale
autonomia. Nel loro progetto missionario, quindi, non era contemplata una vera
crescita degli indios in campo politico e sociale, crescita, ovviamente rispetto
ai canoni del vivere civile dell'Occidente, che avrebbe potuto metterli in grado
di autogestirsi anche nel nuovo contesto politico-economico o almeno di comportarsi in modo adeguato alle nuove esigenze. Un popolo, dunque, che conservava ancora un forte spirito collettivista e che addebitava a forze soprannaturali
tutti i fenomeni naturali piu sconvolgenti, non avrebbe mai potuto capire né
adattarsi ai meccanismi di un sistema fortemente individualista e sfruttatore.
Paradossalmente, proprio il merito spesso riconosciuto ai Gesuiti di aver
salvato parte della cultura autoctona, decretò la secolare emarginazione dei Guarani e la loro incapacità di inserirsi in una società di tipo occidentale venuta
fuori dalla colonizzazione spagnola e successivamente dal neo-colonialismo imperialista.
Emma Cervone
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