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Gli stili comunicativi dei presidenti della Repubblica

2021, Il Colle e i palazzi

Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una bocca e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.

Gli stili comunicativi dei presidenti della Repubblica Chiara Raganelli Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite: proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una bocca e due orecchie. Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato, se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo. Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire. Tullio De Mauro 1. Il “potere” comunicativo del presidente della Repubblica «Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica»1. Così Gustavo Zagrebelsky sottolineava il significato profondo della lingua “pubblica” delle istituzioni, al servizio dei cittadini, fatta certamente per essere comprensibile da tutti e veicolo di democrazia, uguaglianza tra le parti e partecipazione. La cura delle parole, quindi, non è propria di eruditi filologi o dotti linguisti, ma porta su di sé una certa responsabilità verso chi ne è il diretto interlocutore. In democrazia le parole sono importanti perché fonte di discussione, ragionamento comune e circolazione di più opinioni; lo strumento attraverso cui queste si diffondono è proprio la lingua. Avere un lessico abbondante significa comprendere e saper dominare la realtà, che equivale a possedere uno strumento del potere politico. L’organo costituzionale del presidente della Repubblica, previsto dalla nostra forma di governo, rappresenta l’unità nazionale anche sotto il profilo linguistico. In lui tutti i cittadini possono trovare uno standard linguistico2 nel quale riconoscersi e da cui trarre ispirazione. La lingua è   1 G. CAROFIGLIO, La manomissione delle parole, Milano, Rizzoli, 2010, cit. p. 17. G. BERRUTO – M. CERRUTI, Manuale di sociolinguistica, Novara, De Agostini Scuola, 2015. 2 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 338 la stessa nei palazzi e nelle piazze, negli uffici e nelle scuole, tra i dirigenti e gli operai e serve a favorire processi democratici, aperti, trasparenti e partecipativi. L’uso politico che si fa della lingua è oggetto di trattazione in un contesto particolare, come quello della formazione di nuovi governi, in cui i confini tra il detto e il non detto sono labili e gli equilibri di potere vacillano con il formarsi delle maggioranze. Il delicato compito che spetta al capo dello Stato si può riassumere con il termine “consultazioni” (dal latino consulere “consultarsi, deliberare”), intesa come prassi – e quindi fonte del diritto parlamentare non scritta – in cui il presidente della Repubblica interroga i gruppi dei partiti rappresentati in Parlamento e decide, sulla base delle loro posizioni, a chi affidare il compito di formare e guidare il nuovo esecutivo. Indagare l’uso e le forme del linguaggio3 con cui si sono espressi i primi cinque presidenti della Repubblica, scopo di questa ricerca, non è, pertanto, un semplice esercizio di stile, ma evidenzia la sostanza dei loro pensieri, le parole che si fanno azioni concrete e dettano scelte importanti. Per fare ciò, il supporto degli strumenti della linguistica, della pragmatica cognitiva4 e della semiotica serviranno a spiegare molte delle scelte linguistiche adottate dal capo dello Stato. Anche i silenzi, il non-detto e le mancate dichiarazioni rappresentano scelte linguistiche significative, che vanno ascoltate per decodificare il messaggio nascosto; d’altronde secondo il primo assioma della comunicazione di Watzlawick5, non si può non comunicare ed è quindi necessario che nella relazione biunivoca tra mittente e ricevente ci sia un codice non scritto che circoscriva tutto ciò che è comunicazione. La fonte principale per indagare gli stili comunicativi e il linguaggio dei presidenti sono i giornali, i discorsi, i messaggi di insediamento e le dichiarazioni ufficiali. Da Gronchi in poi, anche la televisione entra nel panorama comunicativo dei presidenti, definendo l’immagine pubblica del presidente. Prima la voce con la radio e poi il corpo con la tv, la «visibilità mediata»6 del capo dello Stato prende forma in modo sempre più concreto, avvicinando i cittadini-telespettatori alle istituzioni.   3 M.A. CORTELAZZO, IL linguaggio dei presidenti, in I Presidenti della Repubblica, II volume, (a cura di Cassese, Galasso, Melloni), pp. 901-929. 4 C. BIANCHI, Pragmatica cognitiva. I meccanismi della comunicazione, Roma-Bari, Laterza, 2009. 5 P. WATZLAWICK, J. H. BEAVIN, D. D. JACKSON, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio Ubaldini, 1971. 6 M. RIDOLFI, Presidenti. Storia e costumi della Repubblica nell’Italia democratica, Roma, Viella, 2014, cit. p. 171. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 339 La formulazione non decodificata del potere comunicativo presidenziale consente anche che ogni presidente interpreti le sue funzioni con uno stile proprio; la sua attività è destinata così a oscillare tra due estremi: la pubblicità dei suoi interventi (discorsi, comunicati, messaggi, interviste) e la riservatezza del suo ruolo, stimolo e richiamo al dettato costituzionale. Perciò, risulta difficile ricostruire il modus operandi affidato a varie e non sempre codificate forme di comunicazione, di cui restano in effetti poche tracce. Il lasso di tempo indagato dalla ricerca è circoscritto al periodo delle consultazioni, durante lo svolgimento delle crisi di governo, quando i tempi sono rapidi, le notizie trapelate sono tante e spesso discordanti, i comunicati stampa diramati dalla segreteria presidenziale servono da bussola per orientare non solo gli “addetti ai lavori” ma anche l’opinione pubblica7. Analizzare questo tipo particolare di situazione comunicativa risulta complicato, in quanto non esiste una letteratura che dia un certo peso esclusivamente a questo aspetto. Grazie ai documenti ufficiali dell’Archivio Storico del Quirinale, la ricostruzione è stata possibile con un lento e metodico lavoro di ricerca per scandagliare i poteri comunicativi che la Costituzione italiana (volutamente?) non affida al presidente, ma che pure esistono da sempre. La moral suasion8 o potere persuasivo, d’altronde, si è sviluppata secondo un susseguirsi di prassi, con suggerimenti informali che venivano resi noti attraverso le esternazioni9 presidenziali. Questo «potere neutro» – secondo la definizione di Constant – esprime il potere di mediazione e regolazione del capo dello Stato nella nostra Repubblica parlamentare e ha trovato fondamento nella sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 201310, secondo cui al presidente spetta il compito, in qualità di garante dell’unità nazionale, di condurre gli interventi presidenziali non previsti dalla Costituzione. Alla luce di quanto stabilito dalla sentenza, il saggio ripercorre come gli incontri, le attività informali, le comunicazioni e i raffronti dialettici dei presidenti presi in esame abbiano contribuito a consolidare e a modificare nel tempo il potere comunicativo del capo dello Stato, nella delicata fase di formazione dei governi. Già a partire dalla fine degli anni   7 W. LIPPMANN, L’opinione pubblica, Roma, Donzelli, 1999. G. DE VERGOTTINI, Il ruolo del presidente della Repubblica negli scritti di Giustino D’Orazio, in Anticipazioni al n. 1 del 2017 della Rivista “Nomos. Le attualità nel diritto”. 9 M. TEBALDI – M. MASTIO, Le esternazioni del Capo dello Stato fra Prima e Seconda Repubblica. Un’indagine politologica, Seminario 2003, in http://bpr.camera.it/bpr /allegati/show/10642_261_t. 10 http://www.giurcost.org/decisioni/2013/0001s-13.html. 8 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 340 ‘50, alcuni studiosi come Paolo Barile11 si interrogavano sulle esternazioni presidenziali come esercizio di pubblica funzione che ha a che fare con la sfera pubblica critica (del 1962 è il volume di Habermas12). L’esternazione del pubblico potere13, quindi, risulta duplice poiché da un lato è di pertinenza di organi pubblici, dall’altro esprime una pubblica funzione. La novità di questa ricerca consiste nell’applicare il potere di esternazione del presidente al caso delle consultazioni (quando cioè egli ha un ruolo attivo e di primo piano nella vita politica del paese). L’articolo 8714 della Costituzione contiene la più significativa elencazione dei poteri del presidente della Repubblica: nel comma 2, dopo aver attribuito al presidente il titolo (e le funzioni) di capo dello Stato e di rappresentante dell’unità nazionale, si colloca al primo posto il potere di inviare messaggi alle Camere. L’articolo 7415 comma 1, invece, prevede il potere presidenziale di chiedere al Parlamento, tramite un messaggio motivato, una nuova deliberazione su una legge prima di procedere alla sua promulgazione. La prassi costituzionale, intervenuta nel corso degli anni, accanto alle due categorie di messaggi presidenziali previste nelle due disposizioni appena ricordate, ha individuato un secondo gruppo di interventi presidenziali che si possono riassumere come segue: - il messaggio letto al Parlamento riunito in seduta comune dopo aver prestato il giuramento di fedeltà alla Costituzione;   11 P. BARILE, I poteri del presidente della Repubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, 295 ss., per il quale le esternazioni del capo dello Stato sono da considerarsi esercizio di una funzione costituzionalmente necessaria, espressione degli interessi dell’opinione “pubblica costituzionale”. 12 J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, Roma-Bari, Laterza, 2015. 13 A. ARENA, L’esternazione del pubblico potere, in https://www.gruppodipisa.it/ images/rivista/pdf/Antonio_Arena_-_L_esternazione_del _pubblico_potere.pdf. 14 “Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica”. 15 “Il presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 341 - i messaggi inviati (e i discorsi pronunciati) nelle aule parlamentari in occasione di alcune solennità; - i messaggi inviati ai presidenti delle due Camere in relazione a speciali circostanze; - i messaggi inviati al governo in relazione alla partecipazione all’esercizio della funzione normativa ex art. 87, comma 4 (autorizzazione alla presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa governativa) e comma 5 (emanazione degli atti aventi valore di legge e dei regolamenti); - i messaggi inviati agli Italiani, residenti in Italia o all’estero, in occasione del nuovo anno o di altre ricorrenze e avvenimenti. Accanto ai messaggi, si individuano poi altre forme di espressione del potere comunicativo presidenziale individuabili con: - i discorsi e i messaggi indirizzati agli organi collegiali che il capo dello Stato è chiamato a presiedere; - i discorsi pronunciati nel corso di visite di Stato all’estero o in occasione di visite effettuate da capi di Stato esteri in Italia; - i discorsi durante lo svolgimento delle udienze al Quirinale, in occasione della partecipazione a manifestazioni e convegni; - le lettere inviate a singole personalità; - le interviste rilasciate alla stampa, alla radio e alla televisione. Esistono, insomma, vari tipi di poteri comunicativi che possono essere ricondotti a tre grandi macroaree: quella informativo-conoscitiva, nella quale rientrano le consultazioni, che è funzionale per svolgere le attività presidenziali, quella persuasiva o di moral suasion come attività protetta dalla Costituzione e quella di esternazione comprensiva della manifestazione pubblica del pensiero del presidente diffusa in modo libero e informale. Appare evidente, quindi, che il potere comunicativo del presidente della Repubblica sfugge a una singola definizione ed è molto più ampio di quanto si possa constatare attenendosi solo alla Carta costituzionale. Già nel corso della presidenza di Luigi Einaudi, l’Ufficio stampa, responsabile delle relazioni con i rappresentanti della stampa, della cultura, della radio e del cinema, curava la predisposizione, il coordinamento e la diffusione dei comunicati stampa della Presidenza della Repubblica che documentavano lo svolgersi dell’attività presidenziale. Molti anni dopo, sotto la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi, anche grazie alla spinta dell’innovazione imposta dalle nuove tecnologie, si ampliarono e ridefinirono le funzioni dell’Ufficio per la Stampa e l’Informazione. Responsabile della comunicazione istituzionale, delle relazioni con la stampa e le radio-televisioni, l’Ufficio cura da allora anche la gestione e 342 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI implementazione del sito web del Quirinale, la produzione e distribuzioni di immagini fotografiche e video del presidente in carica, la trascrizione e monitoraggio dei passaggi televisivi del presidente e la definizione, catalogazione e pubblicazione degli interventi del presidente. 2. La modalità di espressione del capo dello Stato tra moral suasion ed esternazioni presidenziali Il presidente della Repubblica è noto per essere colui che instaura una fitta trama di relazioni politiche con gli altri organi costituzionali; per fare ciò si serve della moral suasion, un’opera di “persuasione morale” di un soggetto autorevole che è in grado di orientare, con le sue scelte, il comportamento altrui nelle decisioni o nell’adesione di atti formali. Tale pratica può essere usata come attività di controllo, impulso, freno, ammonimento, esortazione o consiglio, al fine di correggere le azioni in difesa dei valori e dei principi costituzionali e di indirizzarle all’attuazione degli stessi. Questa attività di influenza presidenziale si indirizza principalmente nei confronti degli organi titolari di poteri di indirizzo politico. La moral suasion presidenziale è nata e si è sviluppata come prassi attraverso suggerimenti informali rivolti, in via riservata, dal presidente della Repubblica agli organi istituzionali i quali, successivamente, sono stati resi pubblici per mezzo delle cosiddette “esternazioni” presidenziali16. Più avanti si analizzeranno i comportamenti linguistici dei primi cinque presidenti, ma occorre rilevare che, a partire dalla presidenza Pertini (1978-1985), si registra un forte aumento dell’uso di esternazioni e si rafforza la volontà del capo dello Stato di rendere pubbliche le lettere e i colloqui intercorsi con gli altri organi costituzionali, contenenti le sue riflessioni e opinioni per orientare gli organi di indirizzo politico. Secondo il giornalista britannico Walter Bagehot17, in riferimento alla Costituzione inglese, esistevano delle «funzioni invisibili» attribuite al capo dello Stato con poteri come «quello di essere consultato, quello di incoraggiare e quello di mettere in guardia», certamente applicabili anche al caso italiano; infatti nella nostra Costituzione repubblicana, il presidente della Repubblica riveste un ruolo di “magistratura di influenza”, ossia un potere intermediario che vigila e modera i poteri at   16 T.L. RIZZO, I capi dello Stato. Dagli albori della Repubblica ai nostri giorni, Roma, Gangemi, 2015. 17 (Langport, 3 febbraio 1826 – Langport, 24 marzo 1877) giornalista britannico interessato alla politica, all’economia e ad altri argomenti correlati. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 343 tivi di indirizzo senza però assumere, almeno formalmente, decisioni politiche. L’intento dei paragrafi seguenti è cercare di ricostruire le varie modalità d’espressione del capo dello Stato raggruppandole per stile e contenuto in: messaggi formali menzionati dalla Costituzione, messaggi quasi formali contenenti dichiarazioni con carattere rituale e cerimoniale, messaggi informali classificabili a seconda dell’oggetto, esternazioni impreviste riassumibili in interviste, note, comunicati, dichiarazioni alla stampa e comportamenti costituzionalmente significativi con impatto mediatico notevole. Alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2013, è interessante notare come il ruolo presidenziale abbia subito delle modifiche ampliative e il suo operato “non scritto” abbia trovato riconoscimento. La Consulta in questa decisione ha, in particolare, riconosciuto le funzioni di moderazione, di persuasione e di stimolo del presidente della Repubblica nei confronti degli altri poteri costituzionali, al fine di garantire l’equilibrio fra gli stessi, ricavandone dal ruolo del capo dello Stato il «rappresentante dell’unità nazionale» (art. 87 Cost.). La Corte sembra così elevare la prassi della moral suasion a «teoria costituzionale del potere di persuasione presidenziale»; essa sembra desumere dal ruolo di rappresentanza dell’unità nazionale del presidente della Repubblica il principio guida, il contenuto e le regole che disciplinano l’esercizio dell’attività in parola. Esiste, come si vedrà più avanti, una stretta correlazione fra l’attività in parola e il ruolo del presidente della Repubblica nella nostra forma di governo, nella misura in cui l’evoluzione della prima nella prassi ha contribuito a determinare i contenuti del ruolo presidenziale. A garanzia dell’efficienza e del corretto funzionamento delle istituzioni repubblicane, la Corte riconosce al presidente della Repubblica un potere comunicativo nel quale rientrano le attività informali, fatte di incontri, comunicazioni e raffronti dialettici e altre forme di manifestazione del pensiero presidenziale, libere e informali, orali e scritte, riservate o pubbliche. A tal proposito, si è parlato in dottrina di una “costituzionalizzazione dei poteri informali” presidenziali, esercitati dal capo dello Stato in parallelo con i poteri formali. L’uso che di questi poteri se ne fa dipende anche dall’autorevolezza di cui gode il presidente motivo per cui, ognuno a suo modo, si è discostato o avvicinato a questo modello. La Costituzione si limita a considerare il presidente della Repubblica al di fuori (e non al di sopra) dei tre tradizionali poteri dello Stato, ma la prassi consolidatasi nel tempo e gli strumenti del potere comunica- CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 344 tivo di cui si è servito il capo dello Stato sono stati in grado di incidere sugli stessi poteri formali fino a modificarli. La prassi della moral suasion sembrerebbe, quindi, una regola di condotta non scritta che, in armonia con il sistema costituzionale, contribuisce ad integrare le norme costituzionali scritte e a definire la posizione del presidente della Repubblica nella nostra forma di governo. La ripetizione costante nel tempo della citata attività informale sembrerebbe, in particolare, avere trasformato la prassi in una consuetudine costituzionale18. Le consuetudini sono le uniche fonti-fatto del nostro ordinamento e trovano ampio spazio nella disciplina dei rapporti tra gli organi costituzionali; esse, essendo caratterizzate da un alto tasso di politicità, hanno bisogno di flessibilità e adattabilità. Nella storia repubblicana, tutti i presidenti della Repubblica si sono avvalsi della moral suasion, seppur con diverse forme espressive e con una differente ampiezza. L’uso discreto del potere di persuasione sembra rimandare da una parte al suo uso ragionevole, morigerato ed equilibrato e dall’altra alla discrezione e alla riservatezza delle comunicazioni presidenziali, quale carattere imprescindibile della moral suasion. Le forme espressive del potere comunicativo del presidente si manifestano attraverso le comunicazioni riservate, le esternazioni informali o i silenzi. La scelta dei diversi strumenti è rimessa al capo dello Stato secondo due sole caratteristiche: il contesto politico-istituzionale e la personalità di chi riveste la carica. La modalità tradizionalmente utilizzata dal capo dello Stato per interloquire e inviare lettere agli organi istituzionali, per svolgere la sua attività di moderazione, di persuasione e di stimolo è quella riservata (come accade, ad esempio, nelle consultazioni quando i gruppi parlamentari vengono chiamati a colloquio dal presidente in forma privata). Rientrano, invece, tra le esternazioni informali presidenziali, azioni di controllo, di freno, di impulso e di stimolo del presidente della Repubblica sulle scelte degli organi titolari dell’indirizzo politico. La natura delle esternazioni si può ricondurre all’esclusiva volontà del presidente della Repubblica, che ricorre a forme di comunicazione pubblica per legittimare l’azione presidenziale, attraverso il consenso dell’opinione pubblica e del Paese. Le esternazioni sono state utilizzate per chiarire, rivendicare e rafforzare l’esercizio dei poteri formali, rappresentano un dialogo del presidente della Repubblica con la società civile, costituiscono una mediazione del capo dello Stato fra le componenti sociali e istituzionali.   18 L. GIANNITI - N. LUPO, Corso di diritto parlamentare, Bologna, Il Mulino, 2008, cit. p. 60. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 345 Queste, pertanto, producono effetti non solo nei confronti dei destinatari diretti, Camere e governo, ma anche nei riguardi dei destinatari indiretti: l’opinione pubblica e la Corte costituzionale. La dottrina si è divisa sulla natura delle esternazioni. Non è mancato chi, come Guarino19 non riconosce le esternazioni presidenziali poiché il capo dello Stato non è un leader politico e non può lanciare appelli al popolo; anche Esposito20 è molto critico, sostenendo che tutte le manifestazioni verbali dovrebbero essere controfirmate come avviene con gli atti scritti (si riferisce soprattutto alla presidenza Gronchi che ha inaugurato l’età dell’autonomia rispetto al governo soprattutto in politica estera). Fa eccezione per lui solo quando il presidente vuole scindere la sua figura dall’operato del governo o di un ministro. Motzo21 riconosce, invece, un ampio potere di esternazione al presidente che rappresenta l’unità nazionale e quindi deve poter dare, proprio mediante enunciazioni, il suo indirizzo politico autonomo. Egli lo considera uno strumento di consenso, essendo il presidente una sutura tra le varie componenti sociali e istituzionali. Per Barile22 il potere di esternazione di Gronchi è positivo se serve a stimolare il governo all’attuazione della costituzione. Mostra scetticismo, invece, su quelle concernenti l’economia e la politica estera che esulano dal ruolo presidenziale. In una posizione più intermedia, si colloca Crisafulli23 secondo il quale la Costituzione riconosce al capo dello Stato una funzione dichiarativa della volontà suprema dello Stato che ne giustifica un esercizio autonomo. Rescigno24 riconosce al presidente un potere di esternazione solo nel caso in cui la sua funzione lo richieda; secondo la sua opinione occorre che, nelle dichiarazioni che interferiscono con le azioni di governo, ci sia una decisione di comune accordo altrimenti sono da considerarsi inammissibili. Per quanto concerne i silenzi presidenziali, occorre dire che si tratta di tutti quei casi in cui il presidente della Repubblica, seppur stimolato ad intervenire da parte di alcuni esponenti politici e/o delle istituzioni su determinate questioni delicate e al centro del dibattito, preferisce non   19 M.C. GRISOLIA, La libertà di espressione del capo dello Stato tra diritto e funzione, in “Rivista AIC”, n. 4/2014, p. 7 nota 39. 20 Ivi, p. 3 nota 10. 21 M.C. GRISOLIA, Le esternazioni presidenziali, in “Rivista AIC” n. 1/2011. 22 Ivi, p. 4 nota 18. 23 C. NEGRI, La moral suasion del presidente della Repubblica nella forma di governo italiana, Torino, Giappichelli, 2018, p. 76 nota 315. 24 M.C. GRISOLIA, Op. cit., p. 9 nota 46. 346 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI intervenire pubblicamente, sia per non influenzare il corso delle decisioni politiche, sia perché non lo ritiene opportuno nel momento storico dato. Nella prassi repubblicana, l’interpretazione data ai silenzi presidenziali sembra spaziare tra forme di acquiescenza e forme di intervento in via riservata, perché ritenuta più opportuna per il contesto. Infine, come prerogativa implicita delle forme espressive del capo dello Stato c’è quella della riservatezza assoluta delle comunicazioni presidenziali con altri organi istituzionali, che sembra rappresentare una regola non scritta di lunga tradizione, risalente alla presidenza Einaudi e confermata dai successivi inquilini del Colle. Il presidente della Repubblica si è servito di una vasta gamma di strumenti informali che hanno dato luogo ad una sorta di “soft power”: dichiarazioni, lettere, comunicati e note ufficiali diventano lo strumento attraverso cui influenzare l’agenda politica. Si tratta di una prassi inaugurata durante il mandato di Gronchi, ripresa e sviluppata dalla presidenza Pertini in poi. L’uso della forma epistolare viene impiegato anche per replicare a editoriali e articoli giornalistici (Saragat sarà conosciuto come l’uomo dei telegrammi per le mole di telegrammi scritti in molte circostanze della vita pubblica). Il contesto di queste dichiarazioni di solito è rappresentato da cerimonie, celebrazioni ufficiali, incontri e visite, che i mezzi di comunicazione contribuiscono a diffondere e amplificare. Le riflessioni presidenziali rappresentano manifestazioni del pensiero del capo dello Stato su alcune questioni al centro del dibattito politicoistituzionale e servono per orientare l’attività dei soggetti politici e commentare il loro operato. Le esternazioni, infatti, più che con gli articoli che si riferiscono al capo dello Stato (83-91) hanno a che fare con l’art. 21 sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e possono ricondursi alla libertà di espressione come uti civis, relativa al diritto di rilasciare le dichiarazioni su questioni di rilievo politico-istituzionale come un privato cittadino. Tuttavia, questo sembra contrastare con l’organo neutrale avente funzioni di garanzia e controllo introdotto dalla Costituzione. L’uso delle esternazioni deve essere moderato per non compromettere l’autorevolezza della figura presidenziale, la quale assume valore polifunzionale sia verso il governo sia verso i cittadini. L’uso delle esternazioni ha potenziato il ruolo del presidente facendo crescere anche il consenso intorno alla sua figura; le missive, i comunicati ufficiali (risale a Luigi Einaudi la pratica di rendere le missive pubbliche che il capo dello Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 347 Stato inviava ad altri organi istituzionali)25 e la pubblicità indiretta degli organi di informazione sono i mezzi più usati per esprimersi. Le esternazioni, che si distinguono in formali e informali, più famose, ancora oggi in vigore, sono i discorsi di insediamento e quelli di fine anno26, non previsti dalla Costituzione ma certamente appartenenti, ormai per prassi consolidata, alla figura istituzionale del presidente. Il potere di esternazione27 gli serve per rafforzare i poteri presidenziali e dare unità al mondo politico, sono una costante interlocuzione tra lui e l’opinione pubblica, i partiti e le altre istituzioni. Tra le tipologie di dichiarazioni presidenziali rientrano, per esempio, i discorsi pronunciati dal presidente della Repubblica in televisione (oggi prima sui canali social) e trasmessi a reti unificate in occasione del rituale messaggio di insediamento dinanzi al Parlamento in seduta comune e di quello rilasciato alla fine dell’anno, inaugurato dalla presidenza Einaudi28. Questo è diventato un vero e proprio “genere”, in quanto costituisce un bilancio sull’operato del presidente e su quello degli altri organi costituzionali. Attraverso l’attività del segretariato generale, è possibile distinguere nella prassi repubblicana due diverse tipologie di comunicati: rituali e irrituali. I primi, così definiti per la loro tradizionale vocazione a soddisfare esigenze legate alla trasparenza, sono stati utilizzati dal capo dello Stato per attestare la regolarità formale dell’esercizio dei poteri presidenziali e delle sue relazioni con gli altri organi costituzionali. Il presidente della Repubblica utilizza il comunicato ufficiale per motivare le sue scelte istituzionali, in sede di scioglimento anticipato delle Camere e di formazione del governo, oppure per rendere noti gli incontri e, dove possibile, il contenuto dei colloqui. Tali esternazioni sono state utilizzate dal capo dello Stato per spiegare in via preventiva, concomitante o successiva i propri atti formali e per difendere o rivendicare l’esercizio dei suoi poteri formali di intermediazione politica durante le fasi di gestione delle crisi e di formazione del nuovo governo. Le esternazioni presidenziali, soprattutto quelle che si avvalgono dello strumento del comunicato ufficiale, assumono, inoltre, la veste di strumenti di pressione nei confronti delle forze politiche ed istituzionali. La posizione di terzietà del   25 Ivi, p. 10. M.A. CORTELAZZO - A. TUZZI, Messaggi dal Colle. I discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica, Venezia, Marsilio, 2007. 27 M. GORLANI, Libertà di esternazione e sovraesposizione funzionale del Capo dello Stato. Ricadute recenti sulla formula di governo italiana, Milano, Giuffrè, 2012. 28 S. SEPE - F. BASILICA, Quirinale e cittadini, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2008, pp. 104-109. 26 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 348 presidente della Repubblica, rispetto al gioco politico, sembra rappresentare una delle tante interpretazioni del già citato “potere neutro” presidenziale. Quelli informali, invece, servono al capo dello Stato per intervenire su fatti e vicende al centro del dibattito politico-istituzionale, sulle vicende della politica nazionale, per difendere le sue attribuzioni costituzionali e per interloquire direttamente con soggetti o esponenti della società civile. Il dialogo continuo che si instaura tra il presidente della Repubblica, le altre istituzioni e l’opinione pubblica è rintracciabile nell’esigenza di colmare il “vuoto” lasciato dalla Costituzione sui poteri comunicativi del capo dello Stato. 3. Da De Nicola a Saragat: i presidenti raccontati attraverso i mass media Approcciarsi allo studio degli stili comunicativi di De Nicola ed Einaudi significa immergersi in un’era che potremmo chiamare pretelevisiva, dove la radio e i cinegiornali (esemplificativa la rubrica speciale “Vita del presidente” della Settimana Incom29) dominavano lo scenario dell’informazione pubblica. Da Gronchi a Saragat, invece, si parla di “paleotelevisione” (ancora in bianco e nero) che entra al Quirinale e nelle case degli italiani introducendo tutte le novità del nuovo mezzo comunicativo. Ad esempio l’elezione di Gronchi diventa un “media event”30 ed è la prima diretta tv31 della Rai dal Parlamento così come il discorso di fine anno, introdotto da Einaudi nel ‘49, si presta per essere costruito come un nuovo “programma” da trasmettere a reti unificate. Per quanto riguarda il linguaggio dei presidenti occorre considerare il periodo storico, la formazione e l’indole stessa della persona. L’immagine e lo stile presidenziale si definiscono anche tramite una visibilità “mediata” grazie ai nuovi mezzi di comunicazione che si andavano sviluppando tra gli anni ‘40 e ‘50. La comunicazione politica e istituzionale dei presidenti rappresentata dai cinegiornali e, in seguito, dalla tv rappresentava l’incontro tra sfera pubblica e privata. La radio ha avuto un ruolo fondamentale per restituire ai cittadini discorsi e interventi dei presidenti fino al 1964, quando venne superata dalla tv, che tra il 1947 e il   29 https://www.archivioluce.com/la-settimana-incom/. http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-0abf751d-64074dbc-9df2-2b03793bb950.html. 31 F. RUOZZI, Telecamere sul presidente, in I Presidenti della Repubblica, II volume, (a cura di Cassese, Galasso, Melloni), pp. 757-788. 30 Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 349 1953 registra un notevole aumento degli abbonamenti. I cinegiornali come la “Settimana Incom” (Industria Cortometraggi Milano), fondata e diretta da Sandro Pallavicini nel 1938 per fare concorrenza all’Istituto Luce, sono la fonte più interessante di notizie per ricostruire il profilo pubblico32 del capo dello Stato e accentuarne la visibilità. Tra il 1946 e il 1965 con periodicità bisettimanale sono usciti circa 2.550 numeri di cinegionali. Il rapporto tra media e presidenti è congeniale alla nascita di un’immagine pubblica istituzionale che ha influito sulla rappresentazione mediatica del capo dello Stato. Lo stile sobrio e dimesso nei ritratti dei primi presidenti come De Nicola ed Einaudi serve per allontanare da sé il ricordo della propaganda di regime. Con l’arrivo della tv di Stato, si diffonde una nuova immagine più popolare del presidente della Repubblica, seguito da un apparato di cineoperatori, giornalisti parlamentari e commentatori per offrire agli italiani in diretta lo spettacolo delle battaglie politiche. La tv è servita ad umanizzare la politica, mentre la radio ha proseguito il suo lavoro di trasmissioni speciali sulle votazioni presidenziali, i quirinalisti predisponevano delle schede informative sui candidati pronte per ogni evenienza, si svolgevano interviste fuori e dentro Montecitorio a capi partito, grandi elettori e altri colleghi della stampa33. Tra le firme più note della carta stampata, spiccano i nomi di Arrigo Benedetti, Indro Montanelli e Oriana Fallaci. Il genere della satira politica e la figura del vignettista si insediarono nei giornali e nelle rubriche televisive come arma politica e simbolo di libertà. presidente mandato discorsi occorrenze parole diverse lemmi diversi Luigi Einaudi 1948-1955 6 1203 558 464 Giovanni Gronchi 1955-1962 7 5829 1794 1388 Antonio Segni 1962-1964 2 1795 781 669 Giuseppe Saragat 1964-1971 7 8476 2238 1707   32 La Settimana Incom / 01205, L’attività del presidente della Repubblica; una giornata al Quirinale. https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000029398/2/lattivita-del-presidente-della-repubblica-giornata-al-quirinale.html?startPage=0. 33 A. VARNI, Il Quirinale nella stampa quotidiana, in I Presidenti della Repubblica, II volume, (a cura di Cassese, Galasso, Melloni) pp. 723-755. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 350 Figura 1, Occorrenze e parole/lemmi diversi nei discorsi parlamentari34. 3.1 Enrico De Nicola Il rapporto tra il potere di esternazione e il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola è stato molto particolare, quasi conflittuale, perché ancora troppo vicino alla retorica mussoliniana. Egli ha lasciato pochi interventi, non rilasciò interviste né entrò mai in Parlamento, adottando un tono aulico e uno stile altamente retorico. De Nicola detto “l’insigne avvocato” era descritto come un bell’uomo, sempre sorridente e dall’aspetto signorile, parsimonioso nell’uso del denaro, dal carattere difficile, ombroso e facilmente irritabile, non si sposò mai. Di fede monarchica e presidente della Camera dei deputati dal 1920 al ‘24, la sua funzione di capo provvisorio dello Stato fu quella di mantenere l’unità del Paese e venne ricordato anche per la firma apposta sulla Costituzione repubblicana il 27 dicembre 194735. Nelle consultazioni istituì come uso protocollare la prassi di consultare alcune personalità politiche, mentre la sua professione di avvocato lo fece attestare su un conservatorismo linguistico e un lessico arcaico, che lo portarono alla stesura di discorsi solenni e istituzionali dai toni retorici. Lo stile istituzionale serviva a restituire agli italiani il rigore dopo un periodo di guerra, fatiche, lutti e doveva riportare un certo ordine anche nei discorsi. Fu particolarmente stimato per l’onestà e l’austerità dei costumi, un vero signore dai modi gentili ed eleganti. Si dice che avesse un cappotto scuro rivoltato e che arrivò a Roma per il giuramento senza scorta a bordo della sua Fiat 1100. De Nicola venne seguito nei viaggi compiuti nel Paese nella rubrica Vita politica. Il presidente36. In età pre-televisiva, la radio e i cinegiornali trasferivano all’opinione pubblica le parole, i messaggi e la vicinanza del capo dello Stato.   34 M.A. CORTELAZZO - A. TUZZI, Messaggi dal Colle, I discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica, Venezia, Marsilio, 2008, cit. p. 13. Per approfondimenti sulle rilevazioni statistiche dei discorsi tenuti dai presidenti della Repubblica si rimanda al volume “Quirinale e cittadini” a cura di S. SEPE e F. BASILICA, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2008. 35 http://www.ilviaggiodellacostituzione.it/blog/otto-minuti-firmare-la-costituzionedi-vittorio-gorresio?fbclid=IwAR1UNqW42xy267xyPjgPHnyB4SenitxQamY6Xl1RC0 Hp0TOPTmcgQm-y_q8. 36 La Settimana Incom / 00017, Vita Politica. Il presidente. https://patrimonio.archiv ioluce.com/luce-web/detail/IL5000008903/2/vita-politica-presidente.html?startPage= 0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[%2200017%22],%22fieldDate%22:% 22dataNormal%22,%22_perPage%22:20}}. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 351 Introdusse il messaggio agli elettori sostitutivo del “discorso della corona”, si presentò come arbitro che doveva moderare gli eccessi dei contrasti politici, inventò l’evoluzione delle consultazioni decidendo di ascoltare in caso di crisi, oltre ai presidenti dei gruppi parlamentari, anche i leader dei partiti (prassi ripresa anche in seguito come dal presidente Saragat). In quel periodo crebbe anche il ruolo dei giornalisti parlamentari che si interposero tra i lettori e le istituzioni; i giornali rosa parlarono dell’incontro tra De Nicola ed Evita Peron. Il presidente fu anche il primo a inaugurare i viaggi in giro per l’Italia per farsi conoscere dalle masse e ricercare popolarità. Egli divenne un facile bersaglio della stampa satirica per le sue titubanze e indecisioni. Sul Travaso, ad esempio, lo chiamano PR.PR.PR.PR. cioè “primo presidente provvisorio prorogato”, mentre Manlio Lupinacci scrisse su Il Giornale d’Italia, a proposito dell’incarico, «Onorevole De Nicola decida di decidere se accetta di accettare». Alcune battute circolanti riguardavano la sua fede monarchica appellandolo «Enrico primo, re d’Italia». Fig. 2, “Il Travaso”, Copertina 29 giugno 194737 Alla fine del ‘44 uscì il giornale satirico L’uomo qualunque del commediografo Guglielmo Giannini, che iniziò a sbeffeggiare il capo provvi   37 http://frame.technology/dev/vitedapresidenti/de-nicola/la-satira/ CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 352 sorio dello Stato e a renderlo ridicolo, presentandolo come un vecchio supponente, dal naso grosso e con ambizioni sconfinate. Il presidente se ne risentì, ma senza mai rispondere alle provocazioni. 3.2 Luigi Einaudi Il primo presidente della Repubblica ad abitare il palazzo del Quirinale fu Luigi Einaudi, economista, professore e liberale, venne ricordato come pessimo oratore che, di contro, faceva largo uso di note, lettere e scritti. Aveva un eloquio piatto e uno stile lineare, il suo essere economista lo portò ad adottare anche nel linguaggio la semplicità e la schematicità dei numeri con l’unico obiettivo di essere compreso da tutti. A lui si deve l’introduzione di due prassi discorsive non protocollari: il messaggio di investitura (sulla scia del messaggio del re) e il messaggio di fine anno (scritto e letto alla radio) a tutti gli italiani la sera del 31 dicembre. L’antiretorica ed essenzialità dei messaggi è voluta, come per De Nicola, per allontanare dalla memoria l’oratoria mussoliniana, servendosi di un lessico aulico e complesso ma tratto dall’ambito valoriale e morale (patria, libertà, Nazione, fiducia, ideali e doveri). Nel 1949 Einaudi inaugura la prassi dei messaggi di fine anno38 alla nazione attraverso la radio, fino al 1954. La sua immagine, grazie alla Settimana Incom, contribuisce a veicolare di lui sobrietà e popolarità allo stesso tempo e si estende dalla dimensione privata del soggiorno estivo di Caprarola39 a quella pubblica dell’assistenza invernale ai disoccupati. Nell’episodio legato alla sua vita privata ci sono anche le nozze d’oro con sua moglie donna Ida che fanno da cornice alla vita familiare40. «Einaudi rappresenta il ruolo del presidente come un fratello tra fratelli, un cittadino tra cittadini»41. Per la prima parte del suo settennato fu   38 La Settimana Incom / 00537, Luigi Einaudi davanti alla troupe della Incom invia un breve messaggio di augurio al Paese, https://patrimonio.archivioluce.com/luceweb/detail/IL5000017760/2/luigi-einaudi-davanti-alla-troupe-della-incom-invia-brevemessaggio-augurio-al-paese.html?startPage=0 39 La Settimana Incom / 00199, Vita del presidente: Einaudi a Caprarola, https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000010392/2/vita-delpresidente-einaudi-caprarola.html?startPage=0 40 La Settimana Incom / 01033, Vita pubblica e privata di Luigi Einaudi, https://patrimonio.archivioluce.com/luce-web/detail/IL5000028499/2/vita-pubblica-eprivata-luigi-einaudi.html?startPage=0&jsonVal={%22jsonVal%22:{%22query%22:[% 22vita%20pubblica%20e%20privata%20einaudi%22],%22fieldDate%22:%22dataNo rmal%22,%22_perPage%22:20}}. 41 RIDOLFI, Op. cit., cit. p. 175. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 353 un presidente notaio, ma dal 1953 in poi divenne più interventista. I primi due presidenti della Repubblica si servirono di strumenti diversi per far arrivare le loro dichiarazioni attraverso la radiocronaca e i cinegiornali della “Settimana Incom”. Dal suo libro pubblicato nel 1956, “Lo scrittoio del presidente”, emerge come egli esercitò con discrezione ma continuità la moral suasion sull’esecutivo, praticando una sorta di autorizzazione preventiva in merito ai disegni di legge. Conosciuto alla stampa come il “presidente professore” mantenne sempre un profilo equilibrato e adottò una strategia comunicativa volta a far risaltare in lui le doti umane della dimensione privata e familiare. «Non fuma, mangia semplicemente, fa ginnastica, legge di tutto, è un affettuosissimo nonno» scriveva il Corriere della Sera il 14 maggio 1948. Sotto la presidenza Einaudi nacque la figura del “quirinalista” cioè colui specializzato nei rapporti con la Presidenza della Repubblica. Einaudi stesso, in quanto giornalista e collaboratore del settimanale Il Mondo, ebbe spesso buoni rapporti con la stampa. Fu l’inventore nel 1949 del messaggio di fine anno, che è in voga tutt’oggi, e venne presentato da molti giornalisti come il “notaio” della Repubblica nella prima fase del suo settennato per i suoi modi discreti di entrare nella vita politica del Paese. Numerosi settimanali come Epoca, Oggi, Tempo e L’Europeo iniziarono a dare testimonianza della sua vita familiare, dei suoi viaggi in Italia e degli incontri con illustri personalità straniere. I suoi discorsi sono dominati dal “noi” inclusivo, nei quali presidente e cittadini sono i due protagonisti della vita della giovane Repubblica chiamata res publica. In alcune circostanze, il presidente si rivolge ai cittadini chiamandoli “fratelli”, ricorda lessemi del vocabolario religioso, a testimonianza che nel suo programma narrativo c’è l’intenzione di farsi tutti carico di tutte le responsabilità da affrontare nel Paese. Nei suoi discorsi iniziali, l’Italia è patria e solo dopo qualche anno assume i connotati di nazione; egli utilizza, insomma, il suo ruolo non per affermare la distanza tra sé e gli italiani, ma per presentarsi come un cittadino tra i cittadini e contribuire al benessere dell’Italia. Anch’egli oggetto della satira per la sua fede monarchica e per la produzione di Nebiolo, vino prodotto nei suoi vigneti di Dogliani, fu attaccato sul Candido di Guareschi con una vignetta di Carletto Manzoni che raffigurava un piccolo uomo che passava in rassegna due file di bottiglie etichettate “Nebbiolo” come fossero schiere di corazzieri. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 354 Fig. 3, Il “Candido”, Al Quirinale42 Einaudi la prese molto male e la magistratura accusò il giornalista di vilipendio al presidente della Repubblica costringendolo a scontare qualche anno di galera. Einaudi, quindi, fu sì promotore del liberalismo, ma poco liberale verso il giornalismo satirico. Il processo suscitò clamore e, per lo più, l’opinione pubblica si schierò dalla parte del giornalista. 3.3 Giovanni Gronchi Con l’elezione di Gronchi, la Dc apre anche alle sinistre dopo un periodo buio e si attuano alcune parti rimaste ancora sopite della Costituzione, come l’introduzione delle Corte costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura. Il ruolo di Gronchi è molto attivo, dentro i giochi politici, tanto da essere spesso tacciato di presidenzialismo. Nel suo stile c’è un ampio spazio discorsivo, caratterizzato da un uso disinvolto del potere di esternazione, concedendo molte interviste a radio, giornali e tv. Interpreta il suo ruolo presidenziale con una forte dose di decisionismo politico e, da ex sindacalista qual era, è stato un oratore molto efficace usando la tecnica della teatralità e dell’eloquenza, ma dai toni troppo retorici e paternalistici. Nel 1960 si fa pioniere delle dirette televisive43 con il messaggio del 31 dicembre trasmesso dalla Rai ed è anche il primo presidente della Repubblica ad essere eletto in diretta costituendo un media event di sicuro interesse giornalistico. Mentre i messaggi del suo predecessore Einaudi raramente avevano superato i due minuti, Gronchi sfiora i sette minuti e affronta temi di politica interna ed estera. Egli risulta il primo a usare un nuovo stile di comunicazione per   42 43 http://frame.technology/dev/vitedapresidenti/einaudi/la-satira/. https://www.youtube.com/watch?v=U5tQdX0Z17Q#action=share. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 355 avvicinare i cittadini alle istituzioni, ma l’uso che fa del lessico e della costruzione sintattica resta comunque difficile ai più. Con lui molte consuetudini del Quirinale cambiarono: abbandonando ogni formalismo, con la sua famiglia rimase a vivere nella sua casa romana di via Carlo Fea portando con sé, però, molti tra collaboratori e giornalisti per mantenere i rapporti con la stampa parlamentare, i partiti e le realtà sociali. Nel giorno della sua elezione al Colle, i telespettatori assistettero per la prima volta in diretta alla singolarità della procedura, in quanto il presidente della Camera dei deputati che eseguiva lo spoglio delle schede era Gronchi stesso. Nel suo stile si ribalta quanto accaduto con Einaudi, poiché c’è una netta divisione tra Io e Voi, gli italiani da “fratelli” si fanno “cittadini”, con maggiore consapevolezza dei propri diritti e doveri. Egli assume un tono paternalistico e didattico, divide la società in categorie economico-politiche e fa uso di metafore tratte dal lessico della famiglia per identificare la nazione come madre e i cittadini i suoi figli. Nel 1955 fu realizzato il film “Signor presidente” di Ubaldo Magnaghi, dove si mostrano sequenze di Gronchi che riceve delegazioni estere, visite ufficiali in Vaticano e inaugura le olimpiadi invernali a Cortina. Anch’egli non fu risparmiato dalla satira e dalle vignette, ma in tv la Rai operò un’attività censoria in qualità di emittente filogovernativa. È il caso di quando nel 1959, in occasione della visita in Italia del presidente francese De Gaulle, al Teatro Alla Scala di Milano il presidente non si accorse che un suo collaboratore aveva allontanato la sedia e cadde a terra in diretta televisiva. Il fatto fu subito ripreso in chiave parodica nel programma “Un due tre” da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, che mimarono la caduta, “costringendo” la Rai a chiudere il programma. Altro episodio simile avvenne quando il settimanale umoristico Candido, durante il suo viaggio negli Stati Uniti nel 1956, lo accusò di puntare alla Repubblica presidenziale e, su Il Borghese di Leo Longanesi, alcune vignette rimarcavano la sua politica estera autonoma facendo impensierire sia l’ambasciata americana che quella sovietica. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 356 Fig. 4, Il “Candido”, La Voce dall’America44 3.4 Antonio Segni Antonio Segni ha avuto una carriera politica che gli ha permesso di acquisire uno stile comunicativo marcatamente istituzionale, l’uso di espressioni cerimoniali come «deferente saluto al capo dello Stato» lo rendono molto formale e distante dall’opinione pubblica con uno stile sobrio. Fu un presidente serio, taciturno e il suo potere serviva per controbilanciare l’apertura a sinistra, dato che la sua elezione, espressione della destra democristiana, fu appoggiata da missini e monarchici. Le sue apparizioni televisive furono molto significative, inaugurando la prassi della diretta dei messaggi di insediamento e del passaggio di consegne con il predecessore. Il quarto presidente della Repubblica si richiamava molto al secondo (cfr. Einaudi) per i modi di fare, lo stile sobrio e la sua saggezza. Davanti alle telecamere appare un po’ impacciato, a disagio, non sa bene dove guardare, usa come incipit “Italiani” (prima di lui anche Gronchi), più da comizio di piazza che da messaggio televisivo, e i suoi discorsi si attestano sui 6 minuti. Un vero evento di massa veicolato dai mezzi di comunicazione fu la visita a Roma del presidente americano Kennedy nel luglio 1963, il quale venne accolto al Quirinale come un divo, contribuendo a formare degli   44 http://frame.technology/dev/vitedapresidenti/gronchi/la-satira/. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 357 esempi per la società sempre più attenta all’immagine. Nel luglio 1964, il presidente Segni è colpito dallo scandalo che lo vede protagonista con il generale De Lorenzo nel cosiddetto piano Solo, un golpe militare per deportare capi politici dei partiti comunista e socialista, oltre ad alcuni sindacalisti, come rivelato da Scalfari su L’Espresso45. Segni è stato il presidente che ha utilizzato il “noi” in senso istituzionale (e non fraterno come Einaudi), sovrapponendo il piano istituzionale a quello “popolare”; risulta evidente come la sua frase «la grande famiglia del popolo italiano» lasci trasparire un senso di familiarità e normalità. Anche in Segni, il tono è didattico ed egli stesso, nel ruolo di capofamiglia, si pone come colui che deve spiegare in modo pedagogico agli italiani. Spicca la presenza di un’entità trascendente, che è Dio riconosciuto come creatore e giudice, facendo appello alla cultura cattolica della Nazione. La sintassi è complessa perché la lingua orale è modellata sullo scritto, attinge al lessico dei valori e della moralità. Lo stile comunicativo di Segni, dopo il presidente Leone, è il secondo per lunghezza delle frasi e, dopo Gronchi, per la lunghezza dei messaggi di fine anno. La sua è una Presidenza breve, austera e silenziosa, svolge il suo ruolo con sobrietà e si presenta come supremo moderatore e garante della Costituzione. La satira si scatena sulla sua lunga elezione ma, dopo il malore accusato, alcuni umoristi per togliersi la patente di iettatori dedicarono a Segni vignette commosse. A causa del breve periodo di presidenza si registrò quindi un tasso di satira molto basso.   45 Si fa riferimento alla ricostruzione che ne fecero nel maggio 1967 i giornalisti dell’“L’Espresso” Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 358 Fig. 5, “Corriere Lombardo”, vignetta Addio presidente46 3.5 Giuseppe Saragat Giuseppe Saragat fu un vero e proprio innovatore sul piano linguistico poiché ha provveduto a introdurre nel lessico presidenziale termini mai usati prima come “sindacato”. Si rivolge ai cittadini non come globalità, ma secondo gruppi sociali di lavoratori, studenti, contadini e dirigenti evocando nei discorsi immagini emotive concrete. Il suo è un uso più enfatico della comunicazione che sarà poi portato al massimo punto di espressione da Pertini. I suoi interventi pubblici tendono ad avvicinarsi alla gente comune, esprime solidarietà e vicinanza con messaggi in tutte le circostanze della vita economica, culturale, scientifica. Con il quinto presidente si ha una parcellizzazione dei cittadini che vengono divisi in ceti e classi sociali (lavoratori, sindacalisti, operatori economici, parlamentari, agenti di polizia) e, per la prima volta nei discorsi di fine anno, vengono menzionati studenti ed emigranti. Il suo tono è cordiale nonostante la divisione Io/Voi, c’è una certa dose di affettuosità e di responsabilità per i problemi che gravano sulle sue spalle. La parola “popolo” è declinata anche al plurale, per dare l’idea di essere in uno scenario internazionale, si nota un largo uso di coppie semantiche, che verranno riprese anche in seguito da Leone, come lavorato   46 http://frame.technology/dev/vitedapresidenti/segni/la-satira/. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 359 ri/studenti o nazionalismo/europeismo. Quasi tutti i suoi discorsi iniziano con “Italiani”, preso in prestito sia da Einaudi che da Gronchi, mentre gli ultimi discorsi chiudono con la formula risorgimentale “Viva la Repubblica e viva l’Italia”. Nel corso del suo settennato fa, spesso, riferimento ai suoi discorsi precedenti per creare continuità con i propri interlocutori. Le innovazioni che apporta ai suoi messaggi si ritrovano nell’attenzione ai temi sociali, nella consolidata formula di apertura, nella realizzazione vocale del discorso e nelle immagini emotive evocate, facendo inoltre largo uso di accumulazioni ed enumerazioni binarie o ternarie. L’evoluzione linguistica di Saragat subisce una brusca frenata nel 1968, i suoi discorsi si fanno meno nitidi e più lunghi quando si trova impreparato, sia politicamente che linguisticamente, a dover gestire le agitazioni di studenti e operai, oltre ai primi sintomi della strategia della tensione. Nei messaggi televisivi assume uno stile rigoroso, seduto dietro alla scrivania con un foglio da leggere, prolisso nei discorsi che arrivano fino a 12 minuti, nei quali la chiosa, da lui molto spesso usata, serviva a recuperare quella perdita di identità comune che, con gli anni del terrorismo47, iniziava a destabilizzare le istituzioni democratiche. Molto attento alle celebrazioni e alle ricorrenze della lotta di Liberazione e della nascita della Repubblica, utilizzò il mezzo televisivo per parlare di temi a lui cari come la casa, la scuola, il lavoro, la fedeltà atlantica e l’integrazione europea. Il settennato di Saragat vide due fasi della satira politica: una più cortese, l’altra più feroce. Gli attacchi satirici ruotano intorno a tre temi principali: la tendenza a inviare moltissimi telegrammi in ogni occasione di qualsiasi evento, la convinzione che spettasse a lui definire i limiti dell’azione dei governi e l’inclinazione per il buon vino e la buona cucina. Egli stesso era stato giornalista per La Giustizia e L’Umanità, giornale del partito, entrambi quotidiani socialdemocratici, e sapeva che il giornalismo aveva il potere di costruire e distruggere un personaggio. Forse, fu per questo che nominò commendatori della Repubblica molti tra opinionisti, quirinalisti e quirinalologhi. Con Saragat comparve, infine, la figura del giornalista-scrittore di politica; il primo quirinalologo fu, infatti, Giovanni Di Capua insieme a Vittorio Gorresio, Indro Montanelli e Massimo Franco48. Famosa fu la vignetta realizzata ma non pubblica   47 G. PANVINI, Contestazione, violenza, terrorismo: il difficile 1969 di Giuseppe Saragat in RIDOLFI, Op. cit., cfr. pp. 217-222. 48 G. DI CAPUA, Quirinalisti e presidenti: il racconto dei giornalisti, in RIDOLFI, Op. cit., p. 156. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 360 ta da Giovanni Mosca per lo sbarco sulla Luna, in cui Neil Armstrong tiene tra le mani un telegramma di Saragat. I napoletani lo soprannominano “Don Peppino o’ telegramma” e, per il suo aspetto fisico dal volto rubizzo e con voce gutturale, su Il Borghese viene detto “il tacchino”. 49 Fig.6, Il “Marc’Aurelio”, Saragat con la lista dei vini 4. Innovazioni comunicative nelle consultazioni: alcuni casi di studio De Nicola fu l’inventore della prassi istituzionale delle consultazioni come precedente da utilizzare in futuro nell’ambito parlamentare, per evitare il rischio di interferenze dei partiti. Fu l’unico a non leggere il suo discorso di insediamento nel Parlamento riunito in seduta comune e istituì un nuovo “protocollo” di forma, come il telegramma inviato all’Assemblea costituente “Sulla accettazione della candidatura a capo Provvisorio dello Stato”50 del 28 giugno 1946. Nell’ambito delle consultazioni, fu anche l’iniziatore degli incontri con la stampa “Sulla prassi delle consultazioni”51 del 22 gennaio 1947, in cui il presidente dava conto del lavoro svolto e dell’esito finale.   49 http://frame.technology/dev/vitedapresidenti/saragat/la-satira/ https://archivio.quirinale.it/discorsi-bookreader//discorsi/De_Nicola.html#page /30/mode/2up. 51 https://archivio.quirinale.it/discorsi-bookreader//discorsi/De_Nicola.html#page /28/mode/2up. 50 Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 361 Sotto Einaudi, avviene un cambio di passo che segna l’attività interventista del “professore” con il governo Pella. Dopo una crisi molto lunga che non vedeva ancora soluzioni certe, alle nove di sera del 14 agosto 1953 – nella casina del Vignola di Villa Farnese a Caprarola – il presidente, in una residenza di villeggiatura viterbese, presentava a due giornalisti e un fotografo l’onorevole Pella, al quale affidava l’incarico di formare il nuovo governo. Si poneva un problema di legittimità e, di fronte al giornalista de La Stampa Vittorio Gorresio che chiedeva spiegazioni a tal proposito, egli affermò: «La Costituzione non parla di consultazioni: si affida al criterio del capo dello Stato. E il mio criterio mi dice che in questo momento quello che è necessario è un governo». Il presidente, quindi, affermava che nella Carta costituzionale non erano presenti le consultazioni e che la prassi in vigore dal 1947 non si era ancora del tutto consolidata. Nasceva, così, il primo governo “del presidente”. Una delle innovazioni che apportò durante il suo settennato Gronchi fu la retrodatazione delle dimissioni sotto il governo Fanfani II del luglio 1958. Il presidente procedette, infatti, alla modifica della prassi costituzionale che prevedeva la retrodatazione del decreto di accettazione delle dimissioni, il quale «pur essendo emanato in realtà nel momento in cui il capo dello Stato dichiara di accettarle», quindi «immediatamente prima della nomina del nuovo governo», questo veniva «retrodatato all’epoca del conferimento dell’incarico per la formazione del Governo52». Prima della modifica apportata da Gronchi, infatti, il decreto di accettazione delle dimissioni veniva riportato indietro al momento del conferimento dell’incarico, causando l’inconveniente che il mandato affidato all’incaricato figurasse giuridicamente perfetto nel giorno in cui era stato conferito, mentre in realtà esso veniva accettato con riserva, sciolta soltanto contestualmente all’atto di nomina a presidente del Consiglio53. Un secondo caso di studio interessante si riscontra nella formazione del governo Tambroni del marzo 1960, definito come una forzatura istituzionale operata da Gronchi che, nonostante le dimissioni del presidente incaricato, lo riconfermò per dare all’Italia un governo amministrativo. Alcuni, quindi, iniziarono a parlare di un “governo del presidente”, appoggiato in Parlamento dai voti dei neofascisti. In polemica con l’esito delle votazioni, tre ministri della sinistra (Pastore, Sullo e Bo) rassegna   52 Modifica prassi costituzionale, Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali-crisi di governo, faldone 15, II governo Fanfani. 53 Modifica prassi costituzionale, allegato 7, nota ANSA, Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, Ibidem. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 362 rono le dimissioni e anche a Tambroni non restò che fare lo stesso, ma Gronchi gli chiese di ritirare le dimissioni e di presentarsi al Senato per chiedere la fiducia. Un vero azzardo presidenziale di fronte a una situazione difficile, che non si decideva a risolversi. Sulle consultazioni, Gronchi evidenziò che non potevano essere condotte con il metodo delle domande e delle risposte soltanto, ma richiedevano «una valutazione ampia dei problemi risolti o non risolti da cui è scaturita la crisi». In questo senso, il capo dello Stato aveva voluto condurre le consultazioni «sul piano di vere e proprie ampie consultazioni54». Gronchi, ancora una volta, evidenziava il suo ruolo di primo piano nella formazione dei governi. Nella formazione del governo Leone I del giugno 1963, Segni ebbe un ruolo attivo nella definizione dello scenario politico. Dopo aver affidato l’incarico a Moro, il 16 giugno viene emesso un comunicato55 della Presidenza della Repubblica che avvertiva l’incaricato di fare presto altrimenti la riserva sarebbe stata ritenuta sciolta in senso negativo. L’episodio sembrò una specie di ultimatum lanciato da Segni che rac   54 “L’uso – che si è ormai affermato quale “prassi” – di dichiarazioni rese alla stampa dal capo dello Stato al termine delle consultazioni, mi offre l’occasione di non limitarmi ad un cordiale saluto, oltre che al consueto ringraziamento per l’opera di informazione e documentazione da voi fin qui compiuta in servigio della pubblica opinione. E visto che anche voi attendete da me qualcosa di più sostanziale del saluto o dell’augurio, vi dirò perché le consultazioni hanno proceduto ad un ritmo così poco serrato. In verità io ritengo – anche in base alla esperienza ormai quinquennale – che le consultazioni non possano essere condotte col metodo delle domande e risposte soltanto, ma richiedano, oltre che una analisi minuta di fatti e di intenzioni, una valutazione ampia dei problemi risolti o non risolti da cui è scaturita la crisi. Perciò ho ritenuto opportuno in questo caso condurre le consultazioni più sul piano di vere e proprie ampie conversazioni che non sul terreno convenzionale del quesito schematico allo scopo di consentire la esposizione, da parte di ciascuno dei miei interlocutori, di un fondato giudizio complessivo che a sua volta mi metta in grado di acquisire una opinione precisa e motivata, almeno nei limiti delle possibilità offertemi. Il che credo abbia giovato al formarsi in me di taluni meditati convincimenti per la cui manifestazione concreta sarete al più presto convocati”, dichiarazioni del presidente Gronchi al termine del primo giro di consultazioni, 2 marzo 1960, Archivio Storico della Presidenza della Repubblica, documento n.1377, Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali – crisi di governo, faldone XIV – I governo Tambroni, 1960. 55 “Il presidente della Repubblica ha ricevuto oggi, alle ore 11, al Palazzo del Quirinale, il presidente del Consiglio incaricato on. Aldo Moro, il quale gli ha dichiarato che, essendo previste le decisioni dei partiti chiamati a comporre la maggioranza entro la giornata di lunedì, scioglierà la riserva entro lo stesso lunedì 17. Qualora la riserva fosse sciolta in senso positivo, il presidente del Consiglio incaricato on Aldo Moro proporrà al presidente della repubblica la lista dei Ministri entro martedì 18”. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 363 comandava rapidità ai leader politici, in vista dell’approvazione del disegno di legge sull’esercizio provvisorio del bilancio. Riuscì anche a far contare le sue opinioni durante la predisposizione della lista dei ministri: Colombo al tesoro per controbilanciare Giolitti al bilancio e la riconferma di Andreotti alla difesa costituiva una garanzia di continuità. Segni fu, inoltre, il presidente che avallò la nascita dell’esperimento dei governi di centro-sinistra che dovevano servire a spostare il baricentro del Paese e a far riavvicinare i partiti laici e moderati alla Dc, tra i malumori delle destre e l’ostinazione del Pci. Nelle dichiarazioni programmatiche di Moro dell’11 novembre 1963 si coglie tutta la logica del centro-sinistra: […] il mio sforzo si rivolgerà ad impegnare in una piena corresponsabilità di governo la democrazia cristiana, il partito socialdemocratico, il partito socialista italiano ed il partito repubblicano, qualora, come io spero essi concordino sui temi essenziali della politica estera, interna ed economica. Si tratta, nel mio disegno, di una maggioranza organica e nettamente definita, che lascia all’opposizione, naturalmente nel gioco democratico e parlamentare, le forze di destra ed anche il partito liberale da un lato, il partito comunista dall’altro56. Tra i casi più rilevanti di comunicazione istituzionale, durante il settennato di Saragat, se ne evidenziano due in particolare. Durante la formazione del governo Leone II nel giugno 1968, il presidente decise di procedere al secondo giro di consultazioni in forma ristretta nell’ambito, cioè, dei soli partiti di centro-sinistra, anche con la partecipazione dei capi politici dei partiti. Questo gli procurò molte critiche da tutti i restanti partiti che erano fuori dai giochi politici, ma che pur erano stati eletti in Parlamento. Sempre nella stessa crisi, alcuni giornali misero in giro la voce che due membri del Psu, gli onorevoli Cariglia e Tanassi, fossero stati influenzati da Saragat stesso, il quale fu costretto a smentire. L’altro episodio riguarda il governo Colombo del luglio 1970 quando, ormai consolidatasi la prassi dei mandati vincolati, Saragat si trova a dover rispondere al segretario del Pci Berlinguer sulle accuse sulla formazione sempre uguale dei governi dettata dal Colle57. Saragat rispose che le scelte fatte, frutto delle consultazioni e delle indicazioni fornitegli dai rappresentanti politici, e la nomina dei presidenti incaricati erano   56 Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali-crisi di governo, faldone 18, governo Moro I, 1963. 57 Ufficio per gli affari giuridici e le relazioni costituzionali-crisi di governo, faldone 25, governo Colombo, 1970. CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI 364 sempre ricadute su personalità indicate dal partito di maggioranza relativa. Da ciò si evince come ogni presidente della Repubblica abbia interpretato i propri poteri comunicativi e di indirizzo a suo modo e abbia, più o meno, influito sulle decisioni di formazione dei nuovi governi. Il suo ruolo non può essere relegato al solo dettato costituzionale, di cui certamente è garante, perché occorre tenere conto anche della situazione sociale, politica ed economica, delle emergenze e della personalità dei singoli Capi dello Stato. 5. La comunicazione politica come strumento d’influenza dei presidenti Interrogarsi sul rapporto tra lingua e potere è interrogarsi sul significato stesso di parola. L’atto linguistico viene, perciò, definito in quanto è un atto, un agire, un fatto. Si è già trattato nei paragrafi precedenti circa la tripartizione dei poteri comunicativi del presidente della Repubblica (organi d’informazione, cittadini e altre istituzioni)58 a testimonianza del fatto che l’esternazione del pubblico potere rientra nell’esercizio della pubblica funzione incarnata dal capo dello Stato. Quest’ultimo, in qualità di organo istituzionale, non fa un uso propagandistico della comunicazione59 bensì di rappresentanza e influenza sulla sfera pubblica. Non pertiene, quindi, al presidente della Repubblica il compito di fare comunicazione per l’elettorato ma per organi pubblici. L’evoluzione del linguaggio dei presidenti si è andata modificando con i tempi attingendo, però, a un uso della lingua sorvegliato ma sempre chiaro, a modalità espressive dirette e, insieme, calibrate, a contenuti sapientemente selezionati rispetto alle circostanze e agli interlocutori, a toni destinati a comporre posizioni anche distanti tra loro. Cambiano i registri e le modalità d’espressione, ma il capo dello Stato quasi mai rimane silente per permettere trasparenza e vicinanza con i cittadini. La funzione presidenziale di “comunicazione” si intende, quindi, nella capacità di leggere bisogni, attese e sentimenti di una collettività60.   58 S. ROLANDO, Il presidente della Repubblica, primo comunicatore delle istituzioni, in “Rivista italiana di comunicazione pubblica”, n. 3/1999, p. 8. 59 G. MAZZOLENI, La comunicazione politica, Bologna, Il Mulino, 2012. 60 10 “pezzi facili” e una postilla: la comunicazione politica nell’epoca del tramonto della ragione, in La comunicazione politica (a cura di G. Ridolfi e S. Sepe) in corso di stampa per l’editore Rubbettino. Gli stili comunicativi del presidente della Repubblica 365 La comunicazione politica di De Nicola venne appena abbozzata sia a causa della brevità della sua presidenza sia per la volontà di rimanere “anonimo” mantenendo uno stile sobrio e dimesso. Lo stesso valse per Einaudi che, in quanto economista, era abituato a lavorare con i numeri più che con le parole. Scrive di lui Gianfranco Pasquino: «un sobrio, austero e competente professore di economia che adempiva il suo compito istituzionale con un contegno di tipo britannico, mai interferendo nelle attività di potere»61. Tuttavia riconobbe l’importanza di comunicare con i cittadini e di far passare i messaggi istituzionali così, pur con uno stile molto formale, da essere presente in un momento delicato come quello della ricostruzione del secondo dopoguerra. Con Gronchi si aprì una stagione più interventista fatta da interviste, discorsi, messaggi del presidente rilasciati ai mezzi di comunicazione. Il suo potere di influenza si ripercosse anche sulla comunicazione istituzionale orientata al mondo del lavoro e alle trasformazioni economico-sociali. La comunicazione di Segni si connotò per un tono familiare- quasi paternalistico- con espressioni molto formali che ricordavano i suoi predecessori Einaudi e Gronchi. I riferimenti alla sua fede religiosa traspaiono in alcuni discorsi per rimarcare il ruolo di profonda devozione del popolo italiano. Diverso da tutti i suoi predecessori è, invece, Saragat in quanto primo presidente laico e non democristiano62 al Quirinale. Egli portò sulla scena politica e comunicativa temi mai prima affrontati come il lavoro, il sindacato, le classi sociali e i problemi economici del paese. Fu il primo a richiamarsi ai valori della Resistenza come “secondo Risorgimento” alla base della Carta costituzionale e, da leader di un partito politico, non ebbe problemi ad adeguare il linguaggio per essere facilmente compreso dai più servendosi di espedienti linguistici retorici per costruire frasi ad effetto. Il rapporto tra cittadini e potere può, quindi, beneficiare di un osservatorio originale attraverso una riflessione storica sull’azione e sull’immagine dei presidenti. Indagarne i comportamenti e decifrarne i codici di comunicazione nell’esercizio dei loro poteri aiuta a cogliere il diverso “stile”63 politico con cui si impersona il potere. Lo stile, quindi,   61 S. GUNDLE, La mascolinità del leader politico nell’Italia del dopoguerra: le nuove forme di un dominio tradizionale, in Elette ed eletti. Rappresentanza e rappresentazioni di genere nell’Italia Repubblicana (a cura di P. Gabrielli), Soverina Mannelli, Rubbettino, 2020, cit., pp. 25-26. 62 S. SEPE, F. BASILICA, Op. cit., p. 225. 63 http://www.arsp.it/2016/01/31/il-presidente-mattarella-sullo-stile-del-capo-dellostato-ad-un-anno-dallinsediamento/. 366 CAPITOLO XI - CHIARA RAGANELLI rinvia sia a inclinazioni soggettive sia alla dimensione simbolico-rituale della funzione presidenziale. Le figure che si succedettero al Quirinale nel secondo dopoguerra diedero forma a distinti stili presidenziali cioè ad una peculiare e sempre diversa personificazione della Repubblica. Alla comunicazione politica e istituzionale dei presidenti si affiancò la costruzione di uno stile e di un’immagine che mediavano la sfera pubblica con la vita privata e che ancora oggi riflette la reputazione della quale godono le istituzioni pubbliche nella società.