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ICONOLOGIA E AUTOGRAFIA DEL CORREGGIO VATICANO

LETTURE ICONOLOGICHE La tela del Trittico dell’umanità di Cristo di Correggio L’IMMAGINE DEL CREATORE t Rodolfo Papa ra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento (ma la più antica non è del 1517?), nella chiesa del complesso architettonico di proprietà della confraternita di Santa Maria della Misericordia a Correggio (Reggio Emilia), vengono collocate alcune opere di Antonio Allegri detto il Correggio prprio dal nome del paese appena ricordato che gli aveva appunto dato i natali. La più antica è una pala raffigurante i santi Pietro, Marta, Maria Maddalena e Leonardo eremita detta dei Quattro santi, realizzata nel 1517 per Melchiorre Fassi, ma collocata sull’altare di famiglia della chiesa solo dopo il 1538, a seguito di un testamento; oggi si trova al Metropolitan Museum of Art di New York. L’altra, successiva, è il cosiddetto Trittico dell’umanità di Cristo, realizzato intorno al 1525 (15221523 circa nel volume Correggio del 2011) per l’altare maggiore della stessa basilica, per inglobare e valorizzare l’antica statua in terracotta della Madonna della misericordia, già lì conservata e attrbuita nel 2004 da 58 Giancarlo Gentilini a Desiderio da Settignano. In seguito, sul finire del Cinquecento, un’altra opera dell’Allegri entrò nel patrimonio iconografico della chiesa della confraternita della Misericordia: si tratta dell’affresco raffigurante la Madonna con il Bambino e i Santi Quirino e Francesco detta anche Madonna dei limoni. Le tavole costituenti il Trittico dell’umanità di Cristo, neanche un secolo dopo la loro realizzazione, vengono vendute dalla confraternita e il trittico viene smembrato. Nella mostra Il Correggio a Correggio (Correggio, palazzo dei Principi, 4 ottobre 2008 - 25 gennaio 2009) l’opera è stata virtualmente ricostituita, e proprio da allora si sono concretizzate le ipotesi di autenticità della cimasa(1) conservata nei Musei vaticani e finora ritenuta una copia secentesca. Determinante, per quanto mi riguarda, sono state le ricognizioni dirette che si sono potute effettuare fin dal 2008(2), grazie al personale interessamento di Antonio Paolucci, direttore dei Musei vaticani. Le analisi di laboratorio, conCorreggio, Creatore sull’iride fra angeli (1522-1523 circa): qui sopra, particolare; nella pagina a fianco, intero, Roma, Pinacoteca vaticana. Del Trittico dell’umanità di Cristo di Correggio, smembrato e virtualmente ricostruito in occasione di una recente mostra dedicata all’artista reggiano, esiste un solo pannello superstite restaurato e conservato ai Musei vaticani. Sulla sua complessa interpretazione si è concentrata l’attenzione di studiosi e critici. 59 Il trittico, per le sue proprie caratteristiche d’impianto compositivo, e ancor più l’insieme dell’intera ancona dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Misericordia appartiene a quel tipo di opere che tendono più all’astrazione mistico-teologica e contemplativa che al In basso, dato narrativo. Cristo in gloria In questa prospettiva, anatra san Pietro e san lizziamo un classico dell’arte Giovanni Evangelista, sacra di genere mistico-concon i santi Maria templativo, ovvero la NatiMaddalena, Ermenegildo vità mistica del carmelitano e Odoardo d’Inghilterra fra Filippo Lippi, realizzata e con il committente nel 1445 circa per la famiOdoardo Farnese (1600 glia Medici, oggi conservata circa), Firenze, palazzo Pitti alla Gemäldegalerie di Ber- Galleria palatina. lino.Quest’opera si propone come una meditazione sul tema dell’Incarnazione, ponendo al centro il gruppo di Maria e di Gesù Bambino, secondo l’importantissima tradizione mistica mutuata direttamente dalle A sinistra, Giulio Romano, Cristo Redentore fra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Paolo e Catarina d’Alessandria (1520 circa), Parma, Galleria nazionale. Per comprendere il senso e il significato dell’opera, occorre affrontare l’economia teologica e compositiva dell’intera ancona dotte da Ulderico Santamaria e Fabio Morresi, unitamente alle ricerche di archivio effettuate da Gianluca Nicolini e Giuseppe Adani, e alle analisi stilistiche di Margherita Fontanesi insieme a quelle iconologiche del sottoscritto, hanno contribuito alla certezza del risultato(3). Tutto questo ha portato al restauro finale eseguito da Claudio Rossi de Gasperis del Laboratorio di diagnostica e restauro dei Musei vaticani(4). Ma cosa rappresenta la cimasa dipinta da Correggio? Il dipinto mostra, infatti, notevoli difficoltà iconografiche, tanto che a questa complessità è dovuta la diversità di denominazioni con cui è indicata nei documenti(5), che ha peraltro contribuito al problema di riconoscimento dell’originale. Infatti, in vari incartamenti la cimasa viene presentata e descritta in modi differenti. Nell’atto notarile di stima del valore commerciale delle opere in generale o di Correggio in particolare conservate in Santa Maria della Misericordia? redatto dal pittore Jacopo Borbone nel 1613 si parla di una tela raffigurante il «Signore Dio Padre», mentre il vescovo di Reggio Emilia Claudio Rangoni(6) in una lettera scritta nello stesso anno la chiama «Cristo» e nel libro mastro della confraternita, in data successiva al 30 novembre 1613, la vendita della cimasa è registrata, invece, con il titolo «l’Umanità di Cristo ascendente in cielo con serafini senza ali». Il pannello presenta, infatti, in mezzo a un gruppo di angeli, Cristo, con il volto dalle fattezze giovanili, il busto e la posa delle gambe rispondenti alla tradizionale iconografia 60 del Salvatore, ma con la posizione delle braccia e delle mani inconsueta; sono inoltre assenti i segni della Passione. Questa iconografia non si adatta a nessuna tipologia iconografica: Cristo benedicente, Cristo in pietà, Cristo risorto, Cristo giudice. Per comprendere il senso e il significato dell’opera, occorre allora affrontare l’economia teologica e compositiva dell’intera ancona, comprendente il gruppo statuario della Vergine con il Bambino. A questo fine, sono importanti due confronti; il primo è da istituire tra la cimasa del nostro trittico e la tavola del Cristo redentore fra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Paolo e Catarina d’Alessandria(7), dipinta intorno al 1520, a tempera grassa, da Giulio Romano per il convento benedettino femminile di San Paolo a Parma, su commissione della badessa Giovanna da Parma e oggi conservata nella Galleria nazionale della città emiliana. Dal confronto emerge una sicura risonanza con il dipinto di Correggio, ma emergono anche grandissime differenze relative alla figura di Cristo; infatti, l’idea di una luce avvolgente circolare e la posizione seduta sulle nubi istituiscono una inequivocabile analogia. Le diversità riguardano, invece, i due elementi più importanti, quali la posizione delle braccia alzate e le piaghe della crocifissione sulle mani, sui piedi e sul costato, presenti solo nella tela di Giulio Romano. Il secondo confronto è con il dipinto raffigurante Cristo in gloria tra san Pietro e san Giovanni evangelista, Nella pagina a fianco, con i santi Maria Maddalena, Correggio, Trittico della Ermenegildo e Odoardo d’InMisericordia ghilterra e con il committente (1522-1523 circa). Odoardo Farnese, realizzato Disegno e ricostruzione da Annibale Carracci intorno ipotetica di G. Nicolini al 1600, e conservato oggi dell’ancona lignea dorata nella Galleria palatina di pache sovrastava l’altare lazzo Pitti a Firenze. Notiamo maggiore di Santa Maria più assonanze con l’opera della Misericordia di Giulio Romano che con fino al 1782. quella di Correggio, giacché rileviamo che nei dipinti di Giulio Romano e di Annibale Carracci la presenza delle stimmate, segno della crocifissione, e le braccia alzate e allargate, ricordo della Passione, indicano chiaramente che si tratta di Cristo risorto in gloria. La tela di Correggio, anche se mantiene una composizione affine a queste due opere, se ne discosta in maniera sostanziale, perché le braccia e le mani del Cristo sono rappresentate in una posizione inconsueta nella tradizione iconografica della figura del Salvatore, e non mostrano i segni lasciati dai chiodi al momento della crocifissione. Proprio per questo motivo, a mio avviso, Jacopo Borbone e il vescovo Rangoni chiamano in maniera diversa questa tela, perché entrambi sono attirati da particolari diversi e diversamente interpretabili: il volto è di Cristo, ma la posizione delle braccia è di Dio Padre onnipotente. 61 Rivelazioni di santa Brigida di Svezia e, parallelamente, dal misticismo fiorentino dei domenicani Beato Giovanni Dominici e sant’Antonino Pierozzi. La figura di Dio Padre e la relazione con la Natività è molto significativa per la nostra analisi. Nella Madonna dell’umiltà, oggi conservata nel Museo civico di Padova, ma realizzata per la chiesa cittadina di Santa Maria dei Servi da un pittore ricordato come Maestro di Roncajette, la figura del Padre Eterno ha le mani posizionate secondo lo schema diffusissimo dell’imposizione delle mani che troviamo ininterrottamente utilizzato, fino a giungere, per esempio, nelle prime riquadrature della Volta della Cappella sistina, dove Michelangelo tra il 1508 e il 1512 rappresenta la figura di Dio creatore o nella analoga figura di Dio creatore(8) nel mosaico dell’occhio della cupola della cappella Chigi realizzata da Raffaello in Santa Maria del Popolo a Roma tra il 1513 e il 1516. Inoltre, nella Madonna dell’umiltà di Jacobello del Fiore (qual è il periodo di quest’opera? è a partire da quest’opera che lo schema dell’imposizione delle mani è usato ininterrottamente?), la figura di Dio Padre apre le braccia in una posizione che ricorda molto da vicino la figura della cimasa del nostro trittico. Tale postura delle braccia e delle mani rimanda direttamente a un modello tipologico-iconografico che è quello di Dio Creatore, come possiamo vedere per esempio nell’affresco della Creazione del mondo realizzato nel 1288 da Jacopo Torriti nella basilica di Assisi, in cui il volto del Creatore è in realtà quello di Cristo. Si fa così riferimento all’interpretazione che numerosi Padri della chiesa hanno dato del brano del Libro della Genesi, in cui, quando si narra della creazione dell’uomo, Dio indica se stesso con un soggetto plurale(9). Inoltre, san Paolo nella Lettera ai colossesi esplicita chiaramente il rapporto che intercorre tra Creazione e Redenzione in senso cristologico(10). Comprendiamo, allora, il fondamento della rappresentazione di Cristo nel ruolo iconografico di Dio Creatore. Del resto, questo aspetto iconografico è derivato da una lunghissima tradizione che, riposando sulle Scritture e sulla loro interpretazione autorevole da parte dei Padri della chiesa e dei teologi nel corso dei secoli, ha prodotto innumerevoli immagini per il culto e la contemplazione. Un esempio chiarificatore più antico di un secolo rispetto agli affreschi assisiati di Torriti è rintracciabile nelle miniature del folio 1 del Salterio di Canterbury(11), in cui ci imbattiamo in una vera e propria confessione di fede nel Cristo Cosmico, in cui creazione e salvezza sono poste in relazione diretta nella persona di Cristo, attraverso un percorso di dodici miniature allineate e affiancate nella medesima pagina, in cui Cristo è la persona visibile della Trinità, riquadro dopo riquadro. Un simile impianto teologico-iconografico è rappreCorreggio, Visione di san Giovanni (1520), cupola della chiesa benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma. La Visione di san Giovanni dipinta da Correggio affronta la medesima questione teologica presente nella tela vaticana 62 sentato, alla fine del XIV secolo, nel famosissimo affresco dell’Universo sostenuto da Dio con i simboli dei pianeti, opera di Pietro di Pucci da Orvieto, nel Camposanto di Pisa, dove il Cristo Cosmico letteralmente crea e regge tutto il creato; solo il volto e le mani sono visibili, ma si intuisce facilmente che le braccia sono allargate appunto ad abbracciare e sorreggere l’intero universo. Dunque possiamo concludere che la figura di Cristo a torso nudo, rappresentata assisa sulle nubi tra gli angeli festanti, priva delle piaghe delle ferite della Passione, con le braccia aperte e le mani rivolte verso il basso in una posizione leggermente asimmetrica, immersa in una luce sfolgorante ricolma di angeli, può rappresentare non solo la figura del Salvatore, ma più estesamente quella della TriFilippo Lippi, nità. Infatti se le sembianze Natività mistica sono quelle del Figlio di Dio, (1445 circa), gli atteggiamenti delle mani Berlino, e delle braccia rimandano Gemädelgalerie. direttamente alla rappresentazione iconografica di Dio Creatore. Del resto in quegli stessi anni, e precisamente nel 1520, Correggio aveva dipinto la Visione di san Giovanni nella cupola della chiesa benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma, che affronta la medesima questione teologica. Come ricorda Quintavalle(12), facendo riferimento a un precedente studio di Bianconi(13), l’interpretazione del soggetto dell’affresco mutò appunto dall’Ascensione di Cristo al cielo tra gli apostoli alla Visione di san Giovanni. Tuttavia, anche il soggetto della chiesa parmense offre una serie di problemi analoghi a quelli della tela dei Musei vaticani, in quanto la posizione delle mani di Cristo, anche qui non segnate dalle piaghe della Passione, indurrebbe a cercare un fondamento scritturistico, più che nell’Apocalisse, nel prologo del Vangelo di Giovanni, poiché la figura del Salvatore ha le braccia allargate nel medesimo modo, irrituale per il modello iconografico di Cristo risorto e asceso al cielo, e molto più consono, come abbiamo fin qui argomentato, al tipo iconografico del Cristo Cosmico. Inoltre, il fatto che nella cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, Correggio rappresenti Cristo con la mano destra nell’atto di indicare, allude all’atto di “chiamare le cose” e cioè di portare all’esistenza, con chiaro riferimento al testo della Genesi(14). C’è anche un riferimento al modello diretto contemporaneo della già citata volta della Cappella sistina, realizzata da Michelangelo solo pochi anni prima, che riecheggia le infinite rappresentazioni di Dio Creatore. Correggio, dunque, non solo utilizza una modalità iconografica molto colta, ma è anche in grado di rielaborare ciò che lo ha preceduto, sia da un punto di vista formale sia da un punto di vista contenutistico. Le due figure di Cristo, quella di Parma e quella dei Musei vaticani, costituiscono un segmento chiaro del percorso elaborativo di questo grande artista, che è capace di interpretare e di “inven- tare” nuove soluzioni iconografiche pur nel costante rispetto della tradizione, di dire cioè cose nuove con parole antiche. ▲ (1) In quella occasione, anche Vittorio Sgarbi concordò visitando la mostra. (2) Ricordo in particolare la ricognizione diretta dell’opera (insieme a Giuseppe Adani, Gianluca Nicolini, Nadia Stefanel, Renza Bolognesi ) avvenuta nei locali dei Musei vaticani, il 5 agosto 2008 alla presenza della dottoressa Adele Breda: in quella occasione ci convincemmo dell’autenticità dell’opera. Successivamente la nostra convinzione si rafforzò grazie alle analisi di laboratorio effettuate dal Laboratorio di diagnostica e restauro dei Musei vaticani, l’11 aprile 2011. (3) Il riconoscimento dell’autenticità della cimasa vaticana è stato annunciato pubblicamente nella conferenza stampa Storia di una scoperta. Il Correggio vaticano dal Trittico di Santa Maria della Misericordia, nella Sala delle conferenze dei Musei vaticani, il 27 giugno 2011. (4) Gli esiti di tutte queste ricerche sono stati recentemente pubblicati nel volume Correggio. Il trittico di Santa Maria della Misericordia in Correggio, quaderno n. 9 dei “Quaderni della Fondazione Il Correggio”, a cura di G. Adani, M. Fontanesi, G. Nicolini, Cinisello Balsamo (Milano) 2011. (5) Per l’analisi dei documenti rimando al mio contributo pubblicato nel catalogo della Mostra ll Correggio a Correggio (Correggio, palazzo dei Principi di Correggio, 4 ottobre 2008 - 25 gennaio 2009): R. Papa, Lettura iconologica del Trittico, pp. 124-143; inoltre cfr. A.C.V.R.E. (sciogliere), Visite pastorali, filza 2, “Rangoni Claudio” (anni 1612-1613, cc. 44v, 45v); E. Monducci, Il Correggio. La vita e le opere nelle fonti documentarie, Cinisello Balsamo, Milano 2004. (6) Inoltre la cimasa viene chiamata dal medesimo vescovo Claudio Rangoni come “tabula”, ma il termine latino “tabula, tabulae” indica semplicemente un “dipinto”, senza dare ragione del supporto. (7) Già Ciroldi pone un confronto tra le due opere e da questo ne deduce alcuni elementi che in linea generale procedono nella giusta direzione, ma le argomentazioni sono affrettate e insufficienti. Cfr. S. Ciroldi, I dipinti di Antonio Allegri nella chiesa di Santa Maria della Misericordia di Correggio, in atti del convegno La ricerca storica locale a Correggio: bilanci e prospettive, vol. I, Correggio 2004, p. 150. (8) Circa la figura di Dio Padre Creatore dell’universo nella cappella Chigi di Raffaello, vedi R. Papa, Padre della luce, in M. Dolz, R. Papa, Il Volto del Padre, Milano 2004, pp. 20-33. (9) Cfr. Genesi, 1, 26-28. (10) Cfr. Colossesi, 1, 13-20. (11) Salterio di Canterbury (1180-1190) circa, ms. lat. 8846, fol. 1, Parigi, Bibliothèque Nationale. (12) Cfr. A. C. Quintavalle, Correggio, Milano 1970, scheda 49, p. 98. (13) Cfr. P. Bianconi, Tutta la pittura del Correggio, Milano 1953. (14) Cfr. Genesi, 1, 3-6. 63