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Anonimo Veneziano (recensione)

Libro con un titolo che mi ha sempre ispirato, ha come pregio, in un'epoca dove non si sa se sarai ancora vivo a fine giornata, la brevità: 116 pagine. Alla fine, sono riuscita a finirlo, mentre per i romanzi di Liala (con più di 500 pagine) non ne sono granché certa.

Libro con un titolo che mi ha sempre ispirato, ha come pregio, in un'epoca dove non si sa se sarai ancora vivo a fine giornata, la brevità: 116 pagine. Alla fine, sono riuscita a finirlo, mentre per i romanzi di Liala (con più di 500 pagine) non ne sono granché certa. Dai dialoghi di un film di grande successo, Berto ha tratto un romanzo, seguendo un itinerario opposto a quello consueto: i personaggi, non esauriti nei dialoghi e nelle immagini del film, ancora urgevano in lui, richiedevano una vita più duratura e profonda. Infatti, nella prefazione a questo romanzo, l'autore confessa: "Posso dire che in vita mia non avevo mai lavorato tanto per scrivere tanto poco, né mi ero mai così abbandonato al tormentoso piacere di permettere ai pensieri di cercarsi a lungo le parole più appropriate. Così la città del "Tristano" ha saputo ispirare un'altra storia d'amore e morte, di totale e selvaggio romanticismo: l'ultimo incontro di un uomo, un musicista, cui restano soltanto pochi giorni di vita, con la donna che un tempo lo ha molto amato, che lo ha lasciato, ma forse 1 l'ama ancora... L'uomo e la donna si cercano, si ritrovano, riscoprono la loro giovinezza e il loro amore, le loro radici profonde, anche dietro parole che offendono e feriscono, e questo forse darà all'uomo il coraggio di morire, circondato e attirato dal lugubre splendore di una città che lentamente sprofonda. A tema "Venezia da brividi, magica, funesta e malinconica", vedi anche: - "A Venezia... un Dicembre Rosso Shocking" - "Nero Veneziano" - Schiller "Il Visionario" - il romanzo Urban Fantasy "Dark Heaven" 2 3 4 Altri romanzi di Giuseppe Berto (1914-1978): "Il cielo è rosso", "Il male oscuro", "La cosa buffa", "Il brigante", "Le opere di Dio", "L'uomo e la sua morte", "La Fantarca". "Anonimo Veneziano" gli stralci più belli... "Sfumata in un residuo di nebbia che non ce la faceva né a dissiparsi né a diventare pioggia, un po' disfatta da un torpido scirocco più atmosfera che vento, assopita in un passato di grandezza e splendore e sicuramente anche d'immodestia confinante col peccato, la città era piena di attutiti rumori, di odori stagnanti nel culmine d'una marea pigra. Sole e Luna le segnavano un ritmo diverso, e come sospinta da un doppio scorrere di tempo essa incessantemente moriva nei marmi e nei mattoni, nei pavimenti avvallati, in travi e architravi ed archi sconnessi, in voli di troppi colombi. (...) Della gente ognuno portava dentro di sé una particella di quella finalità irrimediabile." "E lui, riconoscendola debole, subito aumenta d'aggressività. "E sei venuta soltanto per paura?" "Ti sembra di non avermi fatto soffrire abbastanza?" Sull'averla fatta soffrire abbastanza, lui può anche essere d'accordo. Non era stato facile vivere insieme, una continua lotta, molto distruttiva per entrambi, ma a quanto pareva, inevitabile. "Non sempre ti faccio soffrire di proposito", egli dice. (...) "Forse non eri del tutto colpevole del male che facevi. Ma era male, comunque, e io ne soffrivo. Avevo pur il diritto di difendermi dalla sofferenza, no? Quando chi ti fa soffrire è uno che ami, l'unica possibilità di difesa è amarlo di meno, se ci riesci." "E a guardarlo dentro gli occhi, come lei fa ora con fermezza, fino a scoprirvi un segreto smarrimento, la cosa è ancor più chiara." (..) L'eventualità che lei possa davvero leggergli qualcosa negli occhi sembra dargli una specie di panico. Ma si controlla subito. "Tu hai sempre preteso di leggermi dentro, e non hai mai indovinato niente." "Il nostro amore è stato una lunga guerra di sopraffazione", egli dice 5 col tono di chi ha precedentemente meditato per trovare una forma definita alle cose che ora sta dicendo. "Ognuno dei due era teso a possedere l'altro, possederlo tutto, fino alla distruzione. Ci saremmo uccisi, se ad un certo momento non te ne fossi andata." "Non mi credi capace di sentimenti? Capita, qualche volta." (...) "Non di questo mondo", egli conferma, con una sorta di mestizia profonda ma di certo qual modo remota, che non arriva a sciupare l'incantamento nel quale sono caduti. Questa volta il riandare al passato non è stato risentimento o dolore, ma ritorno all'amore di allora, non importa quanto precariamente e pericolosamente (...) piuttosto voglia di finire, di esaurirsi in quel bacio che li coinvolge in una dolcezza infinita, che li estranea dal luogo e dal tempo e dalle vicende, ogni loro sensibilità raccolto nelle labbra in assoluta dimenticanza, proprio anche senza pensiero, finché da una barca che passa per il rio qualcuno fischia e ride." "(...) Potendo essere un impietoso modo di giocare con la sofferenza, con la propria più ancora che con quella di lei, ed ecco che lei si sente certa di questa soffocata sofferenza di lui, e lo ama, non può fare a meno di amarlo, come non può fare a meno di odiarlo, e in questo senso si può dire che non sia cambiato niente nel loro tormentato rapporto, era ancora una delle innumerevoli liti attraverso le quali erano arrivati ad amarsi insopportabilmente, a possedersi con rabbia e distruttività ma fino in fondo, e lei farebbe anche l'amore con lui ora, subito, senonché lui ha preso la calle verso San Marco, all'amore non ci pensa, e dice: "Parlami di Giorgio." "Bisognerebbe sapersi rassegnare", dice ancora, e va via da lei. Torna a sedersi sul divano, sta in silenzio, a interrogare le proprie vertigini. "Bisognerebbe", dice ancora, "non pensare mai tra un anno o tra un mese. Nemmeno tra una settimana. Alle volte mi dimentico e penso: la primavera ventura. Non c'è primavera ventura." (...) "Ecco perché t'ho fatto venire a Venezia. Mi serviva qualcuno con cui soffrire insieme. è crudeltà, lo so. Mi perdonerai." "E domani? E dopodomani?", lei dice. "Domani vivrà di oggi. E dopodomani ancora. E non ci saranno 6 molti dopodomani. Ecco, adesso la morte è di nuovo lì, obbligatoria presenza. Tanto vale affrontarne la necessità, per quel che si può." (...) "Il suicidio come intervento dell'uomo in uno dei due fatti che gli sfuggono, la vita e la morte." "(...) L'Ecclesiaste, che dice che nessuno può niente sul giorno della morte. Qualcosa si può. (...) è naturale che uno pensi al suicidio, quando gli capita una cosa come questa. Il padreterno ti vuol fregare e tu, con un anticipo che è magari del tutto ridicolo, lo freghi." "La morte, in sé, non é male per nessuno, a patto che la si spogli della paura. Sempre", ammette onestamente, "ho trovato qualcosa di affascinante nella morte. (...) Adesso il paradiso è il nulla. Ma anche il nulla può essere paradiso sufficiente. Non solo per me, sai. Per tutti." "Tu non vuoi tentare l'operazione?", domanda. "Non ci penso nemmeno", lui risponde "Se fossi sicuro che mi ammazzano, potrei anche farmi mettere i ferri addosso. Ma immagina se sopravvivessi cieco, o paralizzato, o mezzo demente. Per carità. E poi, sono preparato alla morte, devi credermi. Non giudicare da oggi. Oggi non mi sono comportato bene." "Lei continua a guardarlo inquisitiva, la sua paura ormai pietosamente scoperta. E lui insiste, con enfasi, a sfida: "Non mi leggi in viso i segni del destino? La gloria, ad esempio. O anche la morte. Tanto, l'una vale l'altra, almeno per chi crepa." Si manifestava istrione, senza pudore, con una sorta di masochistica esaltazione per il proprio fallimento, o per chissà mai quale altra cosa parimenti degradante. E in lei il disprezzo scavalca la paura. "Non sei cambiato in niente, tu. Né dentro, né fuori." 7