PONTIFICIA UNIVERESITÀ LATERANENSE
ACCADEMIA ALFONSIANA
ISTITUTO SUPERIORE DI TEOLOGIA MORALE
Carlos MIRAMONTES SEIJAS
L’USO DELLA VIOLENZA PUÒ MAI ESSERE GIUSTIFICATO? L’USO
DELLA VIOLENZA IN GUERRA
ROMA
Anno Accademico 2019-2020
INDICE
Introduzione_________________________________________1
Le prime riflessioni___________________________________1-3
Il cristianesimo_______________________________________3-4
L’età Moderna_______________________________________4-5
L’età contemporanea__________________________________5-6
L’attualità: guerra contro il terrore e “guerre umanitarie”______6-8
Una legge per la pace bisogna anche spirito di pace__________8-9
Conclusioni_________________________________________10
Bibliografia_________________________________________11-12
Introduzione
La questione della violenza è una delle questioni più gravi e complesse
della vita sociale, e anche una delle più antiche. Che si capisce come violenza?
Può essere mai giustificato l’uso della violenza? Oppure, fino a che punto?
Queste questioni sono ampie e si potrebbero focalizzare su i distinti aspetti
della vita umana, ma c’è una realtà umana, sociale e storica, dove la violenza
prende il suo volto più paradigmatico: la guerra. Quest’ha accompagnato
l’essere umano forse già dai suoi inizi, e riempie i libri di Storia, e per quello
allo stesso tempo la riflessione su quella è ugualmente antica.
In questo studio cercheremo di vedere il trascorso storico della
riflessione sulla guerra, così come le sue derivazioni e i problemi più attuali,
cercando di offrire alla fine una riflessione complessiva da un punto di vista
cristiano.
Le prime riflessioni
Tra i primi a riflettere sulla guerra in sé troviamo a Platone, perché è
vero che anteriore al filosofo greco fu ancora Sun Tzu con il suo classico
testo L’arte della guerra, ma in realtà in quest’opera non si riflette sulla
guerra in sé oppure sulla sua liceità, perché è basicamente un trattato di come
fare la guerra per vincere ai nemici1.
Platone tratta la questione nella sua opera La Repubblica, dove cerca
di concepire la città perfetta. Per lui, la guerra sarebbe conseguenza
dell’ambizione sfrenata di ricchezze, che porterebbe da un lato alla
1
Cf. SUN TZU, The art of war, Allandale Online Publishing, Leicester 2000, 1-4.
1
formazione d’eserciti per fare la guerra agli altri e così poter rubare le sue
ricchezze, oppure d’altro lato alla formazione d’eserciti per difendere le
proprie ricchezze dell’ambizioni degli altri, iniziando anche così la corsa agli
armamenti. Platone definisce la città che così vive, cioè, quella che si lascia
condurre dall’ambizione sfrenata di ricchezze, come malata 2. Questo non ci
dovrebbe risultare strano se pensiamo che per Platone l’ideale di felicità
risiederebbe nella liberazione del desiderio di beni materiali e nella
contemplazione quindi dell’idee e, infine, del Bene 3.
Detto quello, capiamo quindi che per Platone la guerra sarebbe una
degenerazione, e quindi qualcosa da evitare sempre, ma prima di tutto perché
sarebbe l’espressione d’una malattia interiore, d’una deviazione del
cammino dell’eudaimonia o felicità.
Da parte sua Aristotele considerava la realtà della guerra in una
maniera del tutto diversa. Per lui, con un pensiero molto più fisicista, la
guerra entrerebbe tra gli altri modi d’acquisizione di beni, senza più
considerazioni, allo stesso livello della caccia, la pesca, l’agricoltura,
l’allevamento d’animali domestici o il commercio. Per quello, dice che l’arte
della guerra sarebbe un’arte acquisitivo per natura. Ancora di più, Aristotele
arriva a dire che se le piante sarebbero fatte per gli animali, gli animali
sarebbero fatti per il sostento dell’uomo, e quindi il più naturale sarebbe
cacciarli, agli animali selvatici, e anche agli uomini che “essendo fatti per
obbedire” non vogliono obbedire. A chi si potrebbe stare a riferire Aristotele
con questi uomini che sarebbero “fatti per obbedire”? Sicuramenti ai barbari,
ai non greci, ai quali come vediamo equipara agli animali, in natura e in
destino, cioè, servire “agli autentici uomini”, supponiamo, a loro i greci. Con
2
Cf. PLATONE, Repubblica II, 373 in G. REALE (ed.), Platone. Tutti gli scritti, Libri Spa, Milano 2001,
1121-1122.
3
Cf. G. REALE – D. ANTISERI, Historia de la filosofía, 7 voll., Herder, Barcelona 2010, vol. I, 166.
2
questo Aristotele giustifica, dice esplicitamente, come “giusta per natura” la
guerra fatta per cacciare schiavi per servire dopo ai cittadini greci 4. Quindi,
infine, per Aristotele la guerra non soltanto sarebbe lecita come mezzo
“normale” per acquisire i beni, ma anche giusta se fosse indirizzata contro i
barbari, per prendere schiavi.
Nel mondo romano, invece, la guerra era una cosa molto seria e
considerata come straordinaria, al meno in principio. Per Marco Tullio
Cicerone, per esempio, la guerra in sé non sarebbe lecita, e soltanto sarebbe
lecita come un reagire a un’ingiustizia previa. Per quello, diceva Cicerone,
la guerra soltanto sarebbe lecita previo annuncio e reclamazione di diritti,
oppure per rigettare i nemici. Si potrebbe pensare come un popolo con una
morale al meno in principio o teoricamente non inclinata alla guerra logrò
conquistare tutto il mondo in quei momenti conosciuto, e anche a questo ci
risponde Cicerone quando diceva che i romani avevano conquistato il mondo
difendendo ai suoi alleati5.
Il cristianesimo
In principio il cristianesimo era pacifista, sebbene ci sono studiosi che
pensano diversamente, questo è stato abbastanza corroborato. S’arrivava
all’obbiezione di coscienza davanti al servizio militare, ma è anche vero che
il realismo a volte si deve imporre, e, per esempio, sappiamo che
l’obbiezione di coscienza era molto meno frequente nelle frontiere con i
barbari dell’est. Precisamente per questo, è soltanto alla fine dell’Impero
Romano che appaiono le prime teorie della guerra giusta, penso che si può
capire se pensiamo che i saccheggi e le invasioni, e quindi la distruzione e i
4
Cf. ARISTÓTELES, Política, Editorial Gredos, Madrid 1988, 64-67 [1256].
Cf. MARCO T ULIO CICERÓN, Sobre la República, 35 in MARCO TULIO CICERÓN, Sobre la República. Sobre
las Leyes, Editorial Tecnos, Madrid 1986, 102.
5
3
morti, erano sempre in alzo, in mezzo a un mondo che si sgretolava. Così,
Ambrogio di Milano diceva che la guerra sarebbe giusta soltanto se fosse
proporzionata, e anche aggiungeva che questa starebbe vietata sempre per
monaci e chierici. Da parte sua, Agostino d’Ippona stabilì che la guerra giusta
sarebbe quella che soltanto cercasse di restaurare la pace, si guidasse per la
moderazione, rigettasse ogni impulso di fare male agli altri, e si sviluppasse
sotto la legittima autorità 6.
Nel medioevo non ci sono stati veri e propri sviluppi sulla teoria della
guerra giusta, e Tommaso d’Aquino semplicemente cita la dottrina
d’Agostino d’Ippona7.
Nel sedicesimo secolo, nella Scuola di Salamanca, già Francisco de
Vitoria diceva che una guerra giusta sarebbe soltanto quella fatta come
risposta a un danno subito previamente, nella stessa linea. D’altro lato,
diceva ancora che le differenze religiose non potevano quindi essere mai un
motivo per fare la guerra. I professori della Scuola di Salamanca arrivarono
al punto di dichiarare in assemblea com’illecita la conquista spagnola
dell’America Centrale, per non essere una guerra giusta 8.
L’età Moderna
Lo sviluppo della teoria della guerra giusta continuò nell’età moderna
dalle mani soprattutto di Ugo Grozio e di Samuel von Pufendorf, perché a
loro dobbiamo il fatto d’avere inserito questa teoria nei moderni codici di
diritto internazionale. Grozio è stato notato per aver chiarito che la guerra
6
Cf. B. HÄRING, Libertad y fidelidad en Cristo. Teología moral para sacerdotes y seglares, 3 voll., Herder,
Barcelona 1983, vol. III, 410-413.
7
Cf. TOMÁS DE AQUINO, Suma de Teología, 5 voll., BAC, Madrid 1990, vol. IV, 337-339 [STh, II-II, q. 40,
a. 1].
8
Cf. M. WALZER, «The triumph of just war theory (and the dangers of success) », Social Research 69/4
(2002) 925-944.
4
dovrebbe sempre rispettare agli innocenti, e quindi alla popolazione civile, e
anche ai suoi beni materiali, e per aver dichiarato ancora che l’esecuzione
dei prigionieri di guerra sarebbe sempre illecita 9. D’altro lato le teorie della
guerra giusta, con l’ascesa degli stati moderni e della nozione legale e
filosofica della sovranità nazionale, restarono in un secondo piano, lasciando
spazio all’idea di “raison d’État”, “ragione di Stato”, il che vuol dire che ogni
Stato avrebbe le sue vere e giuste ragioni per fare la guerra, perché ognuno
avrebbe il diritto di portare avanti gli interessi dei suoi Stati. Questo
difficoltava
sempre
più l’effettiva
esistenza
di un reale
diritto
internazionale10.
L’età contemporanea
Con i brutali successi delle due Guerre Mondiali nel ventesimo secolo,
e soprattutto dopo l’immensa brutalità della Seconda, fu sentita per la
maggioranza degli studiosi e statisti la necessità di ritornare all’idea di un
autentico e effettivamente reale diritto internazionale. Quello si manifestò
nel Giudizio di Norimberga, dove si doveva giudicare ai dirigenti nazisti in
base a una legge internazionale, perché secondo le leggi del suo paese, fatte
evidentemente per loro stessi, non avevano in realtà commesso nessuna
illegalità.
D’altro lato si presentò la necessità d’includere nella riflessione sulla
guerra giusta la questione anche del dopoguerra. Secondo Michael Walzer,
la guerra giusta dovrebbe finire con l’aggressore respinto, e ritornando le
frontiere al suo stato previo, e quindi ritornando allo status quo previo al
conflitto. Sarebbe anche giusto, dice Walzer, chiedere all’aggressore una
9
Cf. A. M. ARBELÁEZ HERRERA, «La noción de la guerra justa. Algunos planteamientos actuales», Analecta
política 1/2 (2012) 275-290.
10
Cf. M. WALZER, «The triumph of just war theory (and the dangers of success) » …
5
compensazione economica per i danni subiti, e, se il popolo aggressore
avrebbe perso le sue istituzioni all’essere sconfitto, i vincitori dovrebbero
facilitare al popolo sconfitto le istituzioni basiche perché così possano
scegliere ai suoi nuovi governanti11.
In un piano di riflessione più generale le nuove armi di distruzione di
massa esistenti, atomiche, chimiche e biologiche, pongono sul tavolo una
nuova domanda ancora più drammatica: come mai potrebbe essere giusta
una guerra, anche in legittima difesa, se con queste nuove armi quello
potrebbe scatenare la distruzione totale dell’intera Umanità?
Da parte sua la Chiesa Cattolica continuò a riflettere su queste
questioni nella Costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II. Nel
suo punto 79 possiamo leggere che non si potrebbe negare a un popolo la sua
autodifesa, ma, allo stesso tempo, non sarebbe neanche tutto permesso tra le
parti in conflitto12. Nel numero 2309 del Catechismo della Chiesa Cattolica
si stipulano le norme morali secondo le quali sarebbe giusta un’autodifesa:
si dice che il danno fatto dall’aggressore dovrebbe essere grave, certo e
durevole; che tutti gli altri mezzi si siano rivelati inefficaci; che ci siano
fondate condizioni di successo; e che il ricorso alle armi non provochi mali
maggiori da quelli ad evitare13.
L’attualità: guerra contro il terrore e “guerre umanitarie”
Nelle ultime due decadi abbiamo vissuto l’apparizione del terrorismo
internazionale su larga scala, da un lato, e l’invasione dell’Afghanistan e
11
Cf. Ibid.
Cf. CONCILIO VATICANO II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
Spes, 79 (07/12/1965) [http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vatii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html (01/05/2020)].
13
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309 (11/10/1992)
[http://www.vatican.va/archive/ccc_it/documents/2663cat473-668.PDF (01/05/2020)].
12
6
dell’Iraq dall’altro lato, come risposta degli Stati Uniti. Da parte del Governo
statunitense allora queste invasioni sono state definite come parte di una
guerra giusta, la cosiddetta “Guerra contro il Terrore”. Ma alcuni studiosi
s’hanno chiesto se davvero quello è stato una guerra giusta oppure no. In
primo luogo sembra che è non del tutto chiaro se un’altra soluzione di tipo
diplomatico potrebbe avere avuto finalmente successo nel dialogo con i
governi di questi paesi. In un secondo luogo, ci dovremo chiedere che cos’è
l’autodifesa, perché i documenti pubblici della difesa americana capiscono
l’autodifesa come il difendere lo standard economico americano, l’accesso
alle risorse naturali chiave e ai mercati finanziari chiave, lo stato del
benessere, e, finalmente, la preminenza americana nel mondo. In terzo luogo,
la dottrina esposta per le autorità statunitensi era stata quella “dell’attacco
preventivo”, cioè, attaccare prima in previsione di nessun’altra opzione, cosa
che com’abbiamo detto non è chiaro, e di un supposto attacco previsibile;
ma la domanda qui sarebbe, fino a dove arriverebbe la liceità per attaccare a
un altro in base a rischi supposti? È molto quello che si può arrivare a
supporre, infatti. Lo stesso allora presidente George W. Bush aveva difeso
questa teoria in un suo discorso a West Point. Quest’idea forse basterebbe
per giustificare l’attacco a un Iraq con supposte armi chimiche, per esempio.
In quarto luogo, se i terroristi usavano mezzi criminali per motivi politici,
sembra abbastanza sproporzionato in principio che gli statunitensi e i suoi
alleati reagiranno con una guerra convenzionale, distruggendo due Stati e le
vite di migliaia di persone, invece di utilizzare forse i mezzi abituali contro
criminali14.
Un altro fenomeno nuovo è quello delle cosiddette “guerre
umanitarie”,
forse
il
caso
più
paradigmatico
sarebbe
quello
dell’intervenzione internazionale nel Kosovo negli anni novanta per fermare
14
Cf. N. C. CRAWFORD, «Just war theory and the U.S. Counterterror War», APSA 1 (2003) 5-25.
7
il genocidio che i militari serbi stavano effettuando contro diversi gruppi
della popolazione. Quest’idea va al di là dell’idea della guerra giusta, è certo,
perché non sarebbe strettamente parlando una legittima difesa, già che
s’interviene in beneficio di un terzo che sta a subire la violenza di un secondo.
Ma, infine, penso che il concetto starebbe giustificato dato che si pensa (al
meno teoricamente) l’aggressione di un terzo come un’aggressione contro
me stesso, contro tutti, in base alla stessa condizione umana condivisa.
Il suo principale problema è che non esiste un’autentica autorità
mondiale imparziale. Si è cercato di fare con l’Organizzazione delle Nazioni
Unite, ma perché si è intervenuto in Kosovo e non in altri conflitti attuali?
Poco imparziale potrà essere un’organizzazione mondiale di paesi dove al
meno tre dei suoi membri, i più potenti evidentemente (Stati Uniti, Russia e
Cina), hanno il diritto di vietare qualunque proposta. Comunque considero
che l’ONU resta come il migliore esempio che abbiamo fino ad oggi.
Una legge per la pace bisogna anche spirito di pace
Penso che, arrivati a questo punto, dobbiamo riflettere un po’ di più
sulla radice del problema. Sebbene la teoria d’Agostino d’Ippona della
guerra giusta soltanto faceva riferimento alla legittima difesa della società, e
nel medioevo si conosceva a Agostino d’Ippona ampiamente, quello non fu
ostacolo alla fine per legittimare le crociate; e se dopo la Seconda Guerra
Mondiale si aveva ripreso con forza l’idea della guerra giusta, alla fine come
abbiamo visto si trovarono i ragionamenti giusti per giustificare l’invasione
d’altri paesi. Infine, considero che i fatti finali non dipendono forse tanto
dalla legge in sé, ma da chi interpreta la legge.
Già Le Roy Walter aveva detto che tutti i teorici hanno usato la
categoria della guerra giusta per argomentare che i suoi paesi avevano una
8
ragione giusta per fare la guerra. Anche Roland Bainton ci conferma su
questo quando ci racconta che durante la Prima Guerra Mondiale tutte le
chiese di ogni paese avevano appoggiato ai suoi propri governi, e che lo
stesso il cattolico Mausbach che il protestante Holl consideravano a
Germania sotto assedio dai nemici, mentre in Inghilterra l’opinione pubblica
oscillava tra la guerra giusta e l’idea di crociata, e negli Stati Uniti si parlava
di guerra santa... Ma, dice Bernhard Häring al rispetto, è che tutti si sarebbero
comportati come “sacerdoti del re”, privati della conoscenza di salvezza. Si
chiedeva Häring, per esempio, se si avrebbero fatto ugualmente i
bombardamenti nucleari in Hiroshima e Nagasaki se tutti i cristiani degli
Stati Uniti avrebbero risposto come l’avevano fatto la rivista Christian
Century e il teologo cattolico John Ford, decisamente opposti a quella
innecessaria uccisione in una maniera terribile di migliaia di civili innocenti,
donne, bambini e anziani inclusi15.
Detto quello, considero che l’attuale interpretazione ufficiale della
teoria della guerra giusta dalla Chiesa Cattolica consiste nel capirla come
legittima difesa, lo stesso che a livello individuale, ma a livello sociale: una
situazione dov’uno cercherebbe di difendere la propria vita, esclusivamente,
e né fare male agli altri, né vendetta, né una riparazione per qualche altro
danno subito prima (morale, storico, sentimentale, oppure anche economico);
e io considero che in questo senso è una formulazione giusta. Ma, come
dicevamo prima, si dev’anche fare un lavoro mai finito di rivitalizzazione
dello spirito di pacifismo di Gesù, perché la legge sola senza lo spirito è
morta, e, peggio ancora, è sempre pronta ad essere interpretata in qualsiasi
direzione.
15
Cf. B. HÄRING, Libertad y fidelidad en Cristo. Teología moral para sacerdotes y seglares … 414-415.
9
Conclusioni
Infine, sulla questione con la quale aprivamo questa riflessione, se
sarebbe mai giustificato l’uso della violenza in guerra, dobbiamo dire di sì,
ma soltanto e esclusivamente nel caso di legittima difesa, anche a livello di
nazioni, e sebbene considero che sì che potrebbe essere ampliato il concetto
all’idea di difendere non soltanto la propria vita ma anche la vita di un altro.
Ma, d’altro lato, non dobbiamo essere mai ingenui, e conoscendo la grande
capacità che abbiamo gli uomini per auto-giustificarci e applicare le leggi
anche morali secondo i nostri desideri, quell’idea dovrebbe essere
accompagnata sempre per un mai finito sforzo di rivitalizzazione dello
spirito del pacifismo, seguendo l’esempio del Sermone della Montagna di
Gesù di Nazaret.
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Bibliografia
ARBELÁEZ HERRERA, A. M., «La noción de la guerra justa.
Algunos planteamientos actuales», Analecta política 1/2 (2012) 275-290.
ARISTÓTELES, Política, Editorial Gredos, Madrid 1988.
CICERÓN, M. T., Sobre la República. Sobre las Leyes, Editorial
Tecnos, Madrid 1986.
CONCILIO VATICANO II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel
mondo
contemporaneo
Gaudium
et
Spes,
79
(07/12/1965)
[http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents
/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html (01/05/2020)].
CRAWFORD, N. C., «Just war theory and the U.S. Counterterror
War», APSA 1 (2003) 5-25.
GIOVANNI PAOLO II, Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309
(11/10/1992) [http://www.vatican.va/archive/ccc_it/documents/2663cat473668.PDF (01/05/2020)].
HÄRING, B., Libertad y fidelidad en Cristo. Teología moral para
sacerdotes y seglares, 3 voll., Herder, Barcelona 1983, vol. III.
REALE, G. – ANTISERI, D., Historia de la filosofía, 7 voll., Herder,
Barcelona 2010, vol. I.
REALE, G. (ed.), Platone. Tutti gli scritti, Libri Spa, Milano 2001.
SUN TZU, The art of war, Allandale Online Publishing, Leicester 2000.
11
TOMÁS DE AQUINO, Suma de Teología, 5 voll., BAC, Madrid 1990,
vol. IV.
WALZER, M., «The triumph of just war theory (and the dangers of
success) », Social Research 69/4 (2002) 925-944.
12