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UZZANO, Giovanni da

in Dizionario Biografico degli Italiani-Volume 97 (2020)

UZZANO, Giovanni da di Francesco Guidi Bruscoli Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 97 (2020) http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-da-uzzano_%28Dizionario-Biografico%29/ UZZANO, Giovanni da. – Figlio primogenito di Bernardo di Antonio da Uzzano e di monna Selvaggia (Vaggia), nacque a Firenze l’11 luglio 1420 (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 79, c. 16r); ebbe almeno un fratello, Antonio (precocemente scomparso) e una sorella, Bartolomea (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 64, c. 407v). Giovanni è noto soprattutto in quanto autore di una celebre ‘pratica della mercatura’ (Libro di gabelle e pesi e misure di più e diversi luoghi e come pesi e misure tornano di un luogo ad un altro), completata nel 1440 (Dini, 1980, pp. 385 s.). La trascrizione integrale della pratica di Uzzano, con l’erronea datazione del 1442, fu inserita all’interno della più vasta opera dedicata nel 1766 da Giovan Francesco Pagnini alle gravezze e alle monete del Comune di Firenze (Pagnini del Ventura, 1766, II, 4); a oggi essa resta l’unica edizione del testo. La famiglia Uzzano assunse il proprio nome dal castello di cui era proprietaria in Val di Greve; qualche rappresentante della casata mantenne tuttavia l’originario cognome di Migliorati. Fedeli alla Parte guelfa, alcuni Uzzano ricoprirono importanti cariche pubbliche dopo che il Comune li fece ‘di popolo’, concedendo quindi loro i diritti politici che erano negati ai ‘magnati’ (Rutenberg, 1957, pp. 691 s.). La famiglia ebbe solide tradizioni mercantili-bancarie, che la caratterizzarono per tutto il corso del Trecento, anche se dovette passare attraverso la stagione dei grandi fallimenti di metà secolo, come ricordato dallo stesso Giovanni Villani (Nuova Cronica, a cura di G. Porta, 1991, III, l. XIII, cap. LV). Tuttavia la ripresa dovette essere piuttosto rapida, se negli anni Sessanta (quando sono attestate filiali a Bologna, Genova, Napoli, Pisa, Roma e Venezia) una compagnia Uzzano fu in grado di trasferire fondi dalla penisola italiana alla corte papale in Avignone. Artefice della rinascita, presumibilmente già a partire dagli anni Cinquanta, fu Agnolo di Lapo di Duccio da Uzzano, che nel 1361 aveva accumulato risorse tali da permettergli di concedere ad Andrea da Rimini, esattore delle imposte papali, ben 5000 fiorini d’oro purché il papa rinunciasse a colpire Firenze con un interdetto. Agnolo tuttavia morì nel 1363, lasciando la compagnia ai fratelli e al figlio Antonio. Antonio di Agnolo fu condannato a morte a seguito della rivolta dei Ciompi, ma si vide poi commutare la pena in un’ammenda pecuniaria (Rutenberg, 1957, pp. 692 s.). L’attività commerciale nel frattempo proseguì e negli anni Ottanta Antonio e Agnolo da Uzzano e compagni di Firenze intrattenevano rapporti commerciali e finanziari con Avignone, Barcellona, Gaeta, Genova, Londra, Napoli, Pisa (Archivio di Stato di Prato, Datini, bb. 493, 660, 664, 771, 1142, 1144, 1145.01). Antonio morì di peste il 26 giugno 1400, dopo aver ricoperto varie cariche pubbliche, tra cui quella di ambasciatore presso Giangaleazzo Visconti, signore di Milano, e quella di console della zecca. Gli succedette un biscugino, Niccolò di Giovanni, destinato a ricoprire un ruolo di assoluto rilievo nella vita economica e politica fiorentina del primo trentennio del Quattrocento, fino alla morte che lo colpì nell’aprile del 1431 (Litta, 1875, dispensa 177). Erede universale di Niccolò di Giovanni fu designato il figlio di Antonio di Agnolo, Bernardo: egli, almeno nel 1427, era stato socio di minoranza – e per qualche tempo anche direttore – della compagnia di Niccolò (che includeva anche Michele Del Bene) e inoltre aveva gestito un’azienda individuale, presumibilmente un banco a minuto. In realtà, tuttavia, il patrimonio di Niccolò fu destinato a molti lasciti e solo una piccola parte di esso finì effettivamente nelle mani di Bernardo, il cui ruolo fu in pratica più vicino a quello di un esecutore testamentario. Negli anni successivi la compagnia vide gradualmente peggiorare il proprio giro d’affari, e certamente non giovò la posizione antimedicea della famiglia (Niccolò era stato oppositore di Cosimo il Vecchio). Nel 1439 Bernardo fu costretto a dichiarare fallimento (Dini, 1980, pp. 382-385). Per tale motivo Giovanni di Bernardo rinunciò all’eredità del padre, che morì il 6 ottobre 1440. Quando rimase orfano, Giovanni stava completando la sua ‘pratica di mercatura’: nelle sue parole, il padre non gli «lasciò nulla e in molto disordine»; peraltro, oltre a essere «sanza padre e quasi sanza nulla dell’avere del mondo», egli si trovava a carico la madre Vaggia, la dodicenne sorella Bartolomea, la giovanissima (diciassettenne) moglie Gostanza Salviati e il primo figlio, Alamanno, di pochi mesi (Pisa, Scuola normale superiore, Salviati, Libri di commercio, s. I, 2, cc. 2d, 181d182s). La situazione era evidentemente molto complicata, ma per sua fortuna Giovanni poté beneficiare del sostegno del suocero, Alamanno Salviati, «sechondo mio padre», il quale lo accolse in casa per ben tre anni. La gratitudine che Giovanni manifestò per Salviati fu ovviamente enorme in quanto, essendosi trovato – ventenne – non solo «male intendente delle chose del mondo», ma addirittura «spacciato, per l’aversità dove ero rimasto, e pe’ ’l chattivissimo temporale che ppassava più l’un dì che ll’altro», aveva trovato nel suocero un appoggio fondamentale («m’aveva sempre difeso di qualunche chosa e difendevami del continovo», ibid., c. 181d). Nel corso del triennio la vita di Giovanni dovette essere più semplice, ma le vicende familiari non furono sempre felicissime, con tre dei figli che decedettero molto precocemente: Alamanno morì poco prima del compimento del primo anno, Niccolò (nato il 2 agosto 1442) morì all’età di un mese e mezzo e Maddalena (nata il 5 settembre 1443) non raggiunse il mese di vita. L’unico figlio che superò il primo anno di vita fu Bernardo, nato il 14 luglio 1441, cui nel 1445 si sarebbe aggiunta Francesca. Nell’ottobre del 1443 Giovanni si trasferì con la famiglia in una casa in via di San Brocolo (corrispondente a parte dell’attuale via de’ Pandolfini); tale casa era proprio accanto a quella di Alamanno, e di sua proprietà (ibid.). Il catasto fiorentino del 1442 ci fornisce una fotografia della situazione economica di Giovanni in quel momento, elencando i suoi beni e quelli appartenenti alla madre e alla sorella (ma da lui amministrati); il possesso di alcune case e casette in città e di alcuni poderi garantiva, con le loro rendite, un’esistenza dignitosa, ma certamente lontana dal livello di vita di altri membri della famiglia nei decenni precedenti (Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 608, cc. 478r-480r; Dini, 1980, pp. 390-393). Altalenante dovette essere il rapporto con la madre Vaggia, con la quale nel 1441 Giovanni si accordò affinché ella, dopo il fallimento e la morte del marito, non richiedesse la restituzione della dote; Giovanni, di contro, si obbligò a provvedere ai suoi bisogni e a pagare per una fantesca, oltre a fornire alla madre alcune somme di denaro e a effettuare versamenti sul Monte delle doti a favore della propria sorella Mea (Bartolomea). Dissidi però nacquero nel 1443, allorché l’accordo fu interrotto: Giovanni scrisse che «in tucto mi spichai da mia madre e paghala di tutto» (Pisa, Scuola normale superiore, Salviati, Libri di commercio, s. I, 2, cc. 152d, 162d, 164d). Nonostante le difficoltà, comunque, Uzzano ricoprì alcune cariche di un qualche prestigio, come quella di governatore dello spedale dei Ss. Filippo e Iacopo e quella di provveditore della Casa della Sapienza (Dini, 1980, p. 388). Quest’ultima carica era stata prevista nel testamento di Niccolò Uzzano, il quale aveva fondato la detta casa: egli, rendendo Bernardo (il padre di Giovanni) erede universale, aveva previsto che alla morte di questi, «se alcuno cittadino fiorentino de’ discendenti del detto Bernardo [...] fosse uomo fedele e virtuoso [...] e adomandasse essere amesso nell’uficio de’ detti Proveditori», allora lo sarebbe dovuto essere, previa conferma dei consoli e dei consiglieri (Statuti..., a cura di A. Gherardi, 1881, pp. 234 s.). Nel 1432 invece, pur essendo il suo nome stato presente nelle borse per l’elezione tra i priori e tra i gonfalonieri di compagnia, Uzzano non aveva potuto essere eletto in quanto minore di età (Florentine Renaissance resources..., a cura di D. Herlihy et al., 2002). Morì, a soli venticinque anni, il 25 settembre 1445, seguito, neppure un anno dopo, dalla moglie e dal figlio superstite, il piccolo Bernardo (Litta, 1875, dispensa 177). Uzzano, come detto, è soprattutto noto per la sua ‘pratica di mercatura’, di cui esistono due copie manoscritte: una, che deve ritenersi autografa, nella Biblioteca universitaria di Cagliari, l’altra nella Biblioteca Riccardiana di Firenze (Tucci, 1987, pp. 372-374). Egli presumibilmente svolse il suo apprendistato nell’azienda di famiglia, secondo la tradizione dell’ambiente mercantile fiorentino, e quindi dovette acquisire una qualche competenza nel mondo degli affari, cosa che evidentemente lo stimolò a scrivere un manuale commerciale. La qualità della sua pratica di mercatura, tuttavia, è stata messa in discussione da molti autori: già Pagnini (1766, I, 2), infatti, definiva Giovanni un mero «copista, o al più il collettore delle notizie già scritte da altri» o di conti di mercanti «che son fatti molto innanzi, che egli nascesse» (p. 78). Se il raccogliere informazioni già in circolazione è un aspetto ricorrente in testi di questo tipo, ciò che inficia la qualità del lavoro di Uzzano è il disordine con cui il materiale è stato assemblato e riproposto senza un’effettiva elaborazione (Tucci, 1987, pp. 366 s.). Sembra rispecchiarsi qui, insomma, quell’essere «male intendente delle chose del mondo» (Pisa, Scuola normale superiore, Salviati, Libri di commercio, s. I, 2, c. 181d) con cui lo stesso Giovanni descriveva sé stesso. Studiosi moderni hanno descritto con varie sfumature le capacità dell’Uzzano ventenne autore dell’opera, sottolineandone in generale più i limiti, ma riconoscendogli una qualche preparazione professionale (Borlandi, 1963, p. 50; Dini, 1980, p. 381; Tucci, 1987, pp. 367 s.). Giovanni trasse certamente alcuni dati dai documenti prodotti dalla compagnia mercantile-bancaria di famiglia, dato che a più riprese riportò nel manuale esempi concreti di conti di costi e spese; in particolare, questo riguarda operazioni commerciali e una notevole massa di informazioni funzionali allo svolgimento dell’attività cambiaria in un orizzonte geografico che include il mondo mediterraneo e quello occidentale europeo. Altri dati provengono invece da precedenti pratiche di mercatura: tra queste deve annoverarsi senz’altro quella di Saminiato de’ Ricci, da cui Uzzano riprese – più o meno fedelmente – quattordici capitoli; in alcuni casi egli li sottopose a un lavoro di riduzione o chiarificazione, ma a volte ne fraintese il significato (Borlandi, 1963, pp. 49-51). Altre parti sono invece riprese dalla cosiddetta ‘pratica di mercatura’ datiniana (Ciano, 1964, pp. 18-23; Tucci, 1987, pp. 380 s.). È da pensare, a ogni modo, che i congiunti ritenessero comunque utile il lavoro di Giovanni, se nel 1442 egli stesso scriveva che il cognato, Piero d’Alamanno Salviati, «disse [...] avere uno mio libro che parlla di mercatantia» in cui è ravvisabile il celebre manuale (Pisa, Scuola normale superiore, Salviati, Libri di commercio, s. I, 2, c. 186d). Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Catasto, 64, cc. 403v-407v; 608, cc. 478r-480r; Tratte, 79, c. 16r; Archivio di Stato di Prato, Datini, bb. 493, 660, 664, 771, 1142, 1144, 1145.01, http://datini.archiviodistato.prato.it/la-ricerca/carteggio (15 febbraio 2020); Pisa, Scuola normale superiore, Salviati, Libri di commercio, s. I, 2. Giovanni da Uzzano, Libro di gabelle e pesi e misure di più e diversi luoghi e come pesi e misure tornano di un luogo ad un altro, in G.F. Pagnini del Ventura, Della decima e delle altre gravezze & c., Lisbona-Lucca 1766, I, 2, p. 78, II, 4 (rist. anast. Bologna 1967); Statuti della Università e Studio fiorentino dell’anno MCCCLXXXVII, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, pp. 230-239; A. Borlandi, Il manuale di mercatura di Saminiato de’ Ricci, Genova, 1963; B. Dini, Nuovi documenti su Giovanni di Bernardo di Antonio da Uzzano, in Nuova rivista storica, LXIV (1980), pp. 378-395 (rist. in Studi dedicati a Carmelo Trasselli, Soveria Mannelli 1983, pp. 309-329); G. Villani, Nuova Cronica, a cura di G. Porta, III, Parma 1991, l. XIII, cap. LV; Florentine Renaissance resources, online tratte of office holders, 1282-1532. Machine readable data file, a cura di D. Herlihy et al., Providence, R.I., 2002, http://cds.library.brown.edu/ projects/tratte/ (15 febbraio 2020). P. Litta, Famiglie celebri italiane, dispensa 177, Uzzano, Torino 1875; V.I. Rutenburg, La compagnia Uzzano (su documenti dell’Archivio di Leningrado), in Studi in onore di Armando Sapori, I, Milano 1957, pp. 689-706; C. Ciano, La ‘pratica di mercatura’ datiniana (secolo XIV), Milano, 1964; U. Tucci, Per un’edizione moderna della pratica di mercatura dell’Uzzano, in Studi di storia economica toscana nel Medioevo e nel Rinascimento in memoria di Federigo Melis, Pisa 1987, pp. 365-389.