Sommario
Renato Guttuso.
Un uomo innamorato
Barbara Tomassi
8/
9
Tre parole chiave per il
Guttuso scrittore-pittore
Flavio Fergonzi
10 / 17
«Tutti debbono capire e sentire».
Guttuso e il ciclo preparatorio
della Fuga dall’Etna
Luca Baroni
18 / 31
«A Parma ci sono tutto intero, con la
mia esistenza consumata sui quadri».
Renato Guttuso alla Pilotta nel 1963
Fabio Belloni
32 / 37
Memoria e rimozione nell’Autobiografia
di Renato Guttuso, 1966-1967
Chiara Perin
38 / 53
Alcune opere di Renato Guttuso
nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna
e Contemporanea di Roma
Emanuela Garrone
54 / 57
Opere
58 / 99
Apparati
Biografia
A cura di Barbara Tomassi
102 / 105
Principali mostre antologiche
106 / 109
«Tutti debbono capire e sentire».
Guttuso e il ciclo preparatorio della Fuga dall’Etna
Luca Baroni
«Ho dipinto molto e soprattutto ho
disegnato molto. Sebbene sia tra i pochi
che in Italia oggi abbiano tentato dei quadri
di composizione con più figure e di grandi
dimensioni (la Fuga dall’Etna e la Crocifissione)
non posso considerare questi due quadri che
come tentativi nello sviluppo di un discorso
che mi sta molto a cuore, e intorno al quale si
svolgono tutti i miei sforzi»1. È in una pagina di
diario datata 24 giugno 1943, il giorno dell’ultimo
discorso ufficiale di Mussolini, che Guttuso si
trova a riflettere sul lavoro dei passati cinque
anni. Lo fa ragionando per addendi concreti
(disegno, numero di figure, dimensioni), come
un maestro del passato; e lo fa pensando a
due quadri, che ritiene parte della medesima
traiettoria creativa. La Crocifissione, terminata
nel 1941 e premiata a Bergamo l’anno successivo,
resta uno dei suoi lavori più noti e snodo
imprescindibile per ogni discorso critico che lo
riguardi. Diverso è il caso della Fuga dall’Etna
(fig. 1), eseguita tra il 1938 e il 1939 e anch’essa
vincitrice a Bergamo (III premio) nel ’40: una
vasta composizione corale in cui figure disperate
di uomini e animali cercano scampo dalla furia
distruttrice della lava. Con i suoi due metri
e mezzo di base, la Fuga è il primo quadro
“grande” del pittore di Bagheria, culmine di
una ricerca compositiva, tecnica ed espressiva
durata oltre tre anni. Nonostante tale impegno,
la tela ha incontrato minore attenzione da parte
della critica, concentrata sulla meglio riuscita e
politicamente più connotata sorella maggiore2.
Ma proprio le esitazioni tipiche di un’opera
prima, come la mancanza di unità stilistica e una
certa grossolanità nell’esecuzione3, rendono la
Fuga un fertile territorio d’indagine. I suoi punti
deboli sono altrettanti squarci sulla palestra
quotidiana del pittore, sui suoi dubbi, i momenti
di esaltazione, i progressivi aggiustamenti.
fig. 1
Fuga dall’Etna
Firmata e datata 1940
(eseguita nel 1939)
Olio su tela
cm 144 x 254
Roma, Galleria Nazionale d’Arte
Moderna e Contemporanea.
18 /
19
Luca Baroni
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
Di nessun’altra delle opere guttusiane del periodo
possediamo altrettanti schizzi, abbozzi e appunti:
collazionando i materiali superstiti, possiamo
riconoscere non meno di otto successive redazioni,
accompagnate da un numero quasi doppio di
disegni e studi preparatori 4. Per quanto arbitraria,
la ricostruzione di tale stemma permette di
gettare nuova luce su un dipinto così complesso
chiarendo questioni ancora aperte come quella
del soggetto, della cronologia e dei propositi con
cui venne eseguito.
La prima fase (1937 – estate 1938): dalla
Spiaggia siciliana alla Fuga dall’Etna
Il punto di partenza della nostra indagine
è rappresentato da un dipinto, databile al 1936-37
e dal sibillino (e forse fittizio 5) titolo di Spiaggia
siciliana (I). Più che di un dipinto si tratta, in
effetti, di un disegno, eseguito a tempera su carta
e lasciato in parte allo stadio di abbozzo. Ma
le rilevanti dimensioni (70x97 cm) e la cura con
cui il foglio è gestito (sotto la figura femminile
seduta sulla sinistra si indovina la presenza
di un accurato studio a matita), firmato e datato,
lo elevano dal rango di semplice schizzo a
quello di compiuto studio preparatorio. Come
indica l’iscrizione apposta in basso 6, Guttuso
lo donò alla principessa Topazia Alliata, sua
prima protettrice nella cui cerchia aveva potuto
conoscere, a partire dalla metà degli anni Trenta,
il bel mondo dell’intelligenza siciliana 7. Egli
doveva quindi attribuire all’opera un certo rilievo;
ciò rende tanto più utile provare a capire cosa
rappresenti. La scena è inconsueta: un gruppo
di figure radunate su una spiaggia, in un campo
lungo di sapore cinematografico, attorniate
da carri, masserizie e immerse in un’atmosfera
di sottile quanto rassegnata disperazione.
L’ambientazione siciliana e gli indumenti moderni
dalla primavera del 1936, tali immagini erano
tornate di attualità, comparendo sui cinegiornali
Luce 9 e nei rotocalchi: dopo sette anni di lavori,
il governo fascista si accingeva infatti a ultimare
la ricostruzione della nuova Mascali, una delle
più rilevanti imprese edilizie condotte in Sicilia
dal Regime 10. Per mandato diretto del Ministro
dei lavori pubblici e dello stesso Mussolini, che
lo visitò nell’estate del 1937, l’abitato era stato
integralmente rifondato, entrando nei canali di
propaganda come simbolo delle capacità tecniche
e organizzative dello Stato fascista. Attorno
alla metà degli anni Trenta, quindi, l’eruzione
fig. 4
tono patetico da grande affresco verista: il tema
dell’artista non è l’evento catastrofico in sé ma
il dramma degli esiliati che hanno perso tutto.
Solo in un secondo momento Guttuso decise di
passare dal ritratto all’azione trasformando
la scena inizialmente statica in una “fuga”.
Due grandi tempere su carta (II, III), databili tra
il 1937 e l’inizio del 1938 13, documentano tale
passaggio. Sullo sfondo, l’orizzonte basso è
sostituito dalla figura incombente del vulcano
che erutta mentre in primo piano uomini e bestie
corrono in direzione dell’osservatore, con una
progressiva messa a fuoco delle figure tra il primo
e secondo disegno che ricorda il movimento
di una macchina da presa. L’immagine era
diventata assai più ambiziosa e complessa da
gestire: non solo per le difficoltà di composizione
e gestione prospettica ma anche perché
Guttuso aveva ormai fatto un salto dalla realtà
storica, verificabile sulle fotografie, a una scena
immaginaria, di pura narrazione tragica14. Come
testimoniato dalle fonti, a Mascali non c’era stata
infatti nessuna “fuga”. A differenza dell’eruzione
vesuviana, esplosiva e imprevedibile (quella
della finzione cinematografica e del dipinto di
Rizzo), i vulcani di tipo stromboliano, come
l’Etna, eruttano in modo lento e costante, con
colate laviche che avanzano lentamente man
mano che si solidificano. Il fenomeno del 1928
era durato oltre due settimane dando agli abitanti
tutto il tempo di mettersi in salvo. Era stato anzi
proprio l’elemento di lentezza, di progressiva
e inesorabile devastazione a colpire i cronisti
internazionali e stimolare l’invenzione della
Spiaggia siciliana, ritratto di una popolazione
non ferita, ma spogliata in breve tempo di tutto.
La seconda e terza versione dell’immagine –
quest’ultima poi fissata in un bozzetto a olio (IV)
marcato con la prima data certa per la nostra
cronologia, 21 giugno 1938 – raccontano
un’altra storia: il desiderio di un pittore esordiente
di cimentarsi con una composizione drammatica,
concitata, di figure in movimento e vaste
proporzioni. I fatti di Mascali, esaltati dalla
propaganda di regime, gliene fornivano lo
spunto e, probabilmente, gli facevano sperare
di esporre il quadro con successo. Restavano
però da risolvere i numerosi problemi tecnici
connessi all’esecuzione di quella che sarebbe
stata la sua prima tela di grandi dimensioni.
Tra questi, concepire uno spazio prospetticamente
credibile; rendere l’idea di movimento verso lo
spettatore; coniugare all’agitazione di persone e
animali un certo pathos eroico e, non da ultimo,
trovare un registro stilistico adatto al soggetto.
20 /
Luca Baroni
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
fanno pensare a un fatto di attualità; ma cosa
avrebbe potuto portare delle persone vestite di
tutto punto su quel tratto di costa? Un occhio
allenato potrebbe pensare alle suggestioni di un
certo impressionismo francese, a Monet, Boudin
e alle loro vedute di borghesi in spiaggia. Ma se
pure tale riferimento, per quanto lontano, non sia
da escludere, l’innesco dell’opera risiede in un
fatto storico piuttosto che pittorico. Alcuni anni
prima, tra il 2 e il 20 novembre 1928, la Sicilia
era stata sconvolta da una catastrofica calamità
naturale: l’Etna, con un’eruzione di inaudita
violenza e intensità, aveva distrutto nel giro di
pochi giorni la cittadina di Mascali, nel catanese.
L’evento, ripreso dai fotografi e dai cineoperatori 8
di tutto il mondo, aveva avuto singolare
risonanza, sia per la novità e la forza delle
immagini divulgate (che documentarono passo
passo l’inarrestabile avanzata della lava) che
per il dramma degli abitanti, costretti in breve
tempo ad abbandonare le proprie case salvando il
minimo indispensabile. Particolarmente toccanti
erano state le riprese di uomini e donne intenti a
trasportare, a spalla o con carri e cavalli, mobili,
sedie e persino le porte e le tegole dei tetti in
vista della futura ricostruzione (fig. 2). A partire
fig. 2
del ’28 era non soltanto un fatto storico, e di
storia intensamente e sentitamente siciliana, ma
argomento di attualità politica nazionale. Così
infatti la ritroviamo, pur sotto spoglie classiche
da Gli ultimi giorni di Pompei 11, nel Risveglio
dell’Etna (fig. 3) presentato dal maestro di
fig. 3
Pippo Rizzo
Il risveglio dell’Etna
1934. Olio su tela, cm 218 x 200
Palermo, Fondazione Banco di Sicilia.
Guttuso, Pippo Rizzo, alla II Quadriennale
Romana del 1935 12. Che il giovane e ambizioso
allievo di quest’ultimo si dedicasse al medesimo
soggetto, pittoricamente e politicamente
accattivante, non sorprende: Spiaggia siciliana,
databile tra la fine del 1936 e l’inizio del 1937
(i mesi in cui la nuova Mascali apparve nei
cinegiornali Luce), rappresenta il momento in
cui gli abitanti della cittadina, salvato ciò che
possono, si raccolgono in riva al mare per cercare
scampo dalla furia distruttrice della lava.
Questa prima ipotesi di dipinto, fortemente
influenzata dalle fotografie e dai filmati
dell’eruzione (fig. 4), si contraddistingue per il
Gli sfollati di Mascali
12 novembre 1928. Fotogramma
dalla pellicola Mascali.
Archivio British Pathé, film n. 768.21.
21
La popolazione di Mascali assiste
all’eruzione dell’Etna
12 novembre 1928. Fotogramma dalla pellicola
Mascali. Archivio British Pathé, film n. 768.21.
Se guardiamo ai dipinti di Guttuso del biennio
1937-38, non è difficile risalire agli artisti che
interrogò per imparare a gestire la composizione
del quadro. Sono ben note, ad esempio, le sue
attenzioni a Manet, dal Torero morto 15 diventato
Uomo che dorme 16 – omaggio politico, certo:
ma si trattava anche di capire come mettere in
prospetto una figura – a Il balcone 17 dell’Orsay,
riflessione tutta d’impaginazione e di quinte
pittoriche 18. Ma vi sono anche altri riferimenti
che, tenendo a mente i problemi connessi alla
realizzazione della Fuga dall’Etna, assumono
una certa sfumatura didattica. È il caso
delle Battaglie di un amico del pittore, Aligi
Sassu 19, dalle quali egli imparò a mescolare
figure e paesaggi, terreno e cavalli (si pensi
ad esempio alla Rissa 20 del 1937-38). E si
potrebbe pensare anche a un certo mitologico
De Chirico 21, per quanto sia assai più difficile
stabilire – e documentare – un legame diretto
tra le sue opere e quelle del nostro. Ma la
figura alla quale il giovane di Bagheria sembra
guardare più insistentemente, con attenzioni
che paiono rivolgersi (anche attraverso il filtro
della fotografia in bianco e nero) persino agli
equilibri materici e cromatici della tela, è quella
di Delacroix 22. Nel 1937, una commissione
della marchesa Maria de Seta l’aveva messo
per la prima volta di fronte all’impegno di
impaginare una vasta superficie, un paravento
destinato all’abitazione palermitana della
nobildonna. Dei cinque pannelli 200x100 solo
quattro sono sopravvissuti 23, ma un bozzetto
su carta 24 testimonia l’idea di una vasta
composizione marino-mitologica, con una figura
femminile (Venere?) giacente sulle acque e un
combattimento di uomini, cavalli e centauri sulla
riva. Se il riferimento a una certa pittura pompier
(Cabanel, La nascita di Venere 25) è fuori luogo
per un pittore cresciuto nell’Italia degli anni
Trenta, più plausibile è il legame con Delacroix,
dal cui celebre Cristo nella Tempesta 26
sembrano derivare non solo la scialuppa e la
sagoma della montagna sullo sfondo, ma tutta
l’insolita alchimia spaziale di cielo, terra e mare.
L’impressione si acuisce osservando la quinta
versione preparatoria della Fuga (V), di cui
sopravvive solo un frammento (fig. 5) ma che
è documentata nel suo primo aspetto tramite
le fotografie. Selezionata nel 1939 per essere
inviata alla Golden Gate International Exhibition
– a un dipinto compiuto. Anche solo per tecnica
e per formato, al contrario, il successivo olio
su carta (VI) è un oggetto del tutto diverso.
Pur mantenendo le stesse proporzioni e contenuto
del dipinto di San Francisco, questo ha l’aspetto
di un vero studio preparatorio, come rivelano le
zone lasciate bianche, i pentimenti, le correzioni
e la pratica di ripassare i contorni delle figure
in nero così da poterle poi ricalcare e studiare
singolarmente. Se la prima versione della Fuga
dall’Etna era stata concepita come un dipinto
da cavalletto di medie dimensioni, ciò che Guttuso
ha ora in mente è un monumentale vortice
di figure, un quadro-parete ispirato alle grandi
scene drammatiche di Géricault e Delacroix.
Per realizzare qualcosa di simile, egli sa di dover
ripensare l’immagine partendo dai suoi addendi
più semplici: i personaggi, le forme, le linee.
E, per un giovane pittore della fine degli anni
Trenta, c’era una sola, ovvia, figura della
modernità alla quale rivolgersi per imparare la
sintassi di un grande formato: Pablo Picasso.
Presso l’Archivio Guttuso di Roma31 si conserva
un raro ritratto fotografico di Renato nel suo
nuovo studio romano di piazza Melozzo da Forlì
(fig. 6), che aveva affittato nel 1937 assieme
Se confrontato alla redazione finale della
Fuga, il bozzetto di San Francisco (V) rivela
un lessico propriamente ottocentesco, mutuato
da quello dei maestri del passato. L’impaginazione
dell’immagine, con le figure disposte in primo
piano e la doppia diagonale ascendente della
strada e del ruscello che dà profondità, rimanda
alle regole canoniche del paesaggio classico,
secondo una tradizione ininterrotta che va da
Daubigny a Lorrain. In un pieno e forse intuitivo
accordo con quest’ultima, Guttuso aveva
occupato oltre due terzi della superficie con
la descrizione del brullo paesaggio vulcanico,
riservando ai personaggi solo la porzione inferiore.
Compressi tra le rocce, l’acqua e il cielo, questi
ultimi stentano a trovare una propria individualità,
riducendosi a una massa compatta dalla quale
emergono solo le due figure virili a braccia
sollevate e le anatomie degli animali imbizzarriti.
Ma l’artista aveva ormai deciso di andare oltre la
rappresentazione del semplice fatto di cronaca,
basato sulle fotografie e ancora attento a
descrivere elementi naturalistici e aneddotici
(il cagnolino, i carri, il cavallo riverso). Man
mano che crescevano le sue capacità, Guttuso si
sentiva sempre più incline a realizzare un grande
quadro d’azione e di movimento che partisse dalla
caratterizzazione delle singole figure riunendole
in una scena coerente e di forte impatto emotivo.
«Voglio solo rappresentare qualche cosa, oggetti,
persone, sentimenti e voglio che nel quadro ci
sia il più possibile…» scrive nelle Pagine di diario
dell’aprile-giugno 1943. «Tutti debbono capire
e sentire… Dipingere quadri grandi. Importanza
della dimensione»30. È a questo che rimanda,
forse, la successiva scelta di tagliare (come
in un moderno close-up) il dipinto esposto a
San Francisco, retrocedendone lo status da studio
compiuto a bozzetto in fieri e reinserendolo così
nel ciclo preparatorio della Fuga. Mantenendo
il formato orizzontale e anzi espandendolo
ulteriormente, in modo da creare uno spazio più
coinvolgente, Guttuso avvicina l’occhio dello
spettatore alla scena, abbassando il punto di vista
e saturando la composizione con figure disposte
a gruppi autonomi. E tuttavia tra il bozzetto
su compensato del ’38 (V) e la sua redazione
successiva (VI), ovvero un grande olio su carta
intelata di ben 99x180 cm, il salto non è solo
compositivo, ma tipologico e stilistico. Il percorso
creativo che aveva portato l’artista dalla Spiaggia
siciliana alla versione di San Francisco era stato
convenzionale: vi riconosciamo l’iter canonico
del disegno preparatorio a matita poi colorato
a tempera (I, II, III), del piccolo bozzetto a olio
(IV) e, infine, dello studio compositivo finito (V),
equiparabile – nella migliore tradizione romantica
22 /
Luca Baroni
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
fig. 5
Studio per la Fuga dall’Etna
Crispolti 38-39/13°; databile post giugno 1938.
Firmato in basso a destra «Guttuso» (due volte);
firmato e intitolato al verso «Guttuso Bozzetto per
una pittura». Olio su compensato, cm 80,5 x 65,8
Roma, mercato antiquario.
of Contemporary Art di San Francisco 27 e
realizzata probabilmente nell’estate del 1938,
l’opera consisteva in un olio su compensato
di circa 200x100 cm, oggi ridotti a 79x65. Qui
Guttuso rielabora fedelmente, dilatandolo sul
formato orizzontale, il precedente bozzetto
cartaceo (IV), approfondendo l’individualità
delle figure e la tessitura pittorica dello sfondo.
La scelta dei toni marroni, ai quali si alternano
campiture più acide stese quasi pure – verdi,
rosse, viola, arancioni – richiama tele orientaliste
di Delacroix come l’Ovidio tra gli Sciti 28 e certe
Scene di Tangeri 29, nelle quali il paesaggio
astratto, privo di connotazioni naturalistiche,
diventa un fondale sul quale disporre le figure.
L’alto livello di finitura dell’opera e le sue
ragguardevoli dimensioni confermano che ci
troviamo di fronte all’esito compiuto del primo
momento creativo della Fuga dall’Etna: un
quadro di ispirazione neo-mitologica, condotto
guardando al passato (Delacroix) e ai maestri
più classici tra i moderni (Sassu, De Chirico) con
intenti ancora pienamente narrativi e descrittivi.
La seconda fase (estate 1938):
da Delacroix a Picasso
23
fig. 6
Guttuso nello studio di Via Melozzo da Forlì
Fotografia, c.a. 1938. Roma, Archivio Guttuso
a Giovanni Colacicchi e Toti Scialoja. “Ritratto
fotografico”, più che fotografia, perché nulla,
all’interno dell’immagine, è casuale: dal vaso di
fiori, teschio e bucranio protagonisti delle nature
morte eseguite in quegli anni 32, all’atteggiamento
da pittore erudito, colto non con i pennelli in
mano ma intento a leggere davanti a un tavolo
coperto di carte e di libri. Tra questi ultimi ce n’è
uno, appoggiato in bella vista e dalla copertina
sufficientemente consunta da far capire che è
stato sfogliato spesso, che attira l’attenzione:
possiamo riconoscervi il Pablo Picasso di
Eugeni d’Ors, pubblicato a Parigi nel ’30 in 1250
esemplari numerati e ricco di sontuose tavole
in bianco e nero e a colori 33. Fu su pagine come
queste, probabilmente, che il pittore di Bagheria
aggiornò tra ’38 e ’39 il proprio linguaggio
pittorico 34, impegnandosi in vere e proprie copie
di studio come quella a china su carta, datata
1938, tratta dalla picassiana Crocifissione del
1930 (figg. 7 e 8). Il foglio rivela come a Guttuso
fig. 7
Pablo Picasso, Crocifissione
1930. Olio su tela, cm 65,5 x 50
Parigi, Musée Picasso.
fig. 8
Crocifissione (da Picasso)
Intitolato in alto a destra «Pic. Croc. 19
piccolo giallo», datato in basso a destra «1938».
Inchiostro nero su carta intelata, cm 31 x 44
Ubicazione ignota.
premesse far proprio non tanto lo stile dell’artista
di Malaga, quanto la sintassi: un certo modo di
contrastare e far risaltare le figure all’interno della
composizione. Ciò che nelle vecchie accademie
di disegno avrebbe preso il nome di modellato e
chiaroscuro, nelle mani del giovane pittore diventa
un corpo a corpo con le linee e i contorni delle
figure, esasperati dall’abbondanza di inchiostro
e ripassati più volte per creare un effetto di
plasticità35. Se torniamo al grande olio su carta
della Fuga (VI), confrontandola con la precedente
redazione a olio (V) riconosciamo l’applicazione
dello stesso procedimento. Le figure, schizzate
nei propri contorni essenziali a matita sono
riempite di colori puri applicati in modo leggero
e che lascia scorgere il supporto sottostante
(«Pennelli grossi, dipingere direttamente sulla
traccia di un disegno sottilissimo accuratamente
preparato»36). Sui contorni dei corpi, gli snodi
delle articolazioni e le pieghe dei panneggi
vengono poi applicate dense pennellate scure
(«Combinare forme di colore netto senza
VI.1
II.
VI.
VI.2
I.
VI.3
III.
IV.
V.
I. Spiaggia Siciliana
Crispolti 35/29. Databile al 19361937. Tempera su carta,
cm 70 x 97. Firmato in basso a
destra «Renato», dedicato in
basso a sinistra «Questo è di
Topazia (da Renato)». Roma,
collezione privata.
24 /
25
VI.4
II. Bozzetto con somaro
Crispolti 1938/52. Firmato in
basso a destra «Guttuso».
Databile al 1937. Tempera su
carta, s.d. Ubicazione ignota.
III. Studio per la Fuga dall’Etna
Crispolti 1938/53. Firmato
e datato in basso a sinistra
«Guttuso ‘36». Databile al 1937.
Tempera su carta, cm 35 x 50.
Roma, collezione privata.
VI.5
IV. Studio per la Fuga dall’Etna
Crispolti 38/68. Firmato e datato
al verso «Renato Guttuso – 21
– Giug 38». Olio su cartone
pressato, cm 35 x 45. Roma,
collezione privata.
VI. Studio per la Fuga dall’Etna
Intitolato, firmato e datato al
verso «Guttuso fuga dall’etna
1938». Olio su carta intelata,
cm 99 x 180. Roma, Fondazione
Guttuso.
V. Studio per la Fuga dall’Etna
Crispolti 38-39/13. Databile
all’estate del 1938. Olio su
compensato, s.d. Opera distrutta.
VI.1 Cavallo
Datato in basso a destra «’37».
Inchiostro nero su carta,
cm 21 x 31. Ubicazione ignota.
Luca Baroni
VI.2 Cavallo
Firmato e dedicato in basso a
destra «A Mario / Guttuso».
Databile al 1937-1938. Matita,
inchiostro e inchiostro diluito
nero su carta, s.d. Parma,
collezione M. B.
VI.2 Cavallo
Firmato e dedicato in basso a
destra «A Mario / Guttuso».
Databile al 1937-1938.
Matita, inchiostro e inchiostro
diluito nero su carta, s.d.
Parma, collezione M. B.
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
VII.
VI.3 Animali passanti nella notte
Crispolti 35/17. Firmato in basso
a destra «Guttuso»; intitolato,
dedicato e datato al verso
«Animali passanti nella notte
– Lino affettuosamente 1935».
Databile al 1937-1938.
Olio su compensato, cm 44 x 50.
Roma, collezione privata.
VI.4. Figura di donna
Crispolti 38/51. Firmato in basso
a destra «Guttuso». Databile al
1938. Olio su cartone, 73 x 41 cm.
Venezia, Galleria il Traghetto
VI.5 Donna con sedia
sulle spalle
Crispolti 38/51. Databile al 1938.
Matita e olio su carta, s. d.
Ubicazione ignota.
VII. Studio per la Fuga dall’Etna
Firmato e datato in basso a destra
«Guttuso ‘38». Tempera e olio
su carta intelata, cm 132 x 100.
Palermo, collezione privata.
chiaroscuro né modellato con forme modellate
e a chiaroscuro»37); infine, tutti i contorni
vengono ripassati con una grassa linea nera
con la quale l’artista corregge, aggiusta e
conferisce pesantezza alle forme. Attorno a
quest’ultimo bozzetto (nel quale ricompare,
come elemento di profondità prospettica e
bilanciamento cromatico, quello spicchio di mare
che aveva già caratterizzato la prima Spiaggia
Siciliana) possono essere accostati numerosi
studi preparatori, testimoni dell’acribia con la
quale Guttuso affrontò da capo ogni singola
figura. Tra questi spiccano, ad esempio, tre studi
di cavalli, che vanno dal più semplice schizzo
a penna datato ’37 38 (VI.1) a una più elaborata
tecnica mista su carta (VI.2) nella quale la
matita, la penna, l’acquerello e l’inchiostro diluito
concorrono a individuare un animale imbizzarrito
che sembra rimandare ai primi drammatici schizzi
con il vulcano in eruzione (II, III). Di maggiore
impegno sono i due Animali passanti nella notte
(VI.3), un olio su compensato di 44x50 cm datato
1935 ma probabilmente collocabile più avanti 39,
dato che non solo nella figura del bue con il collo
ruotato riconosciamo un dettaglio del bozzetto
di San Francisco, ma il ruscello che bagna i piedi
delle bestie è identico a quello del grande studio
dell’autunno-inverno del 1938 (VI). In questi
casi è difficile stabilire se ci troviamo di fronte
a un’opera reimpiegata o a uno studio eseguito
per l’occasione. Si può affermare, però, che una
volta intrapreso il secondo momento creativo
attorno alla Fuga Guttuso chiamò a raccolta tutto
il lavoro svolto negli anni precedenti, assorbendo
spunti tra i più disparati e rielaborandoli in un
gran numero di schizzi preparatori. Tra questi
ultimi si distinguono una Figura di donna (VI.4)
e una più dinamica Donna con sedia sulle spalle
(VI.5) che, pur affondando le proprie radici
addirittura nella prima versione dell’opera (I),
dimostrano un’individuazione psicologica nuova.
Se nei primi bozzetti (I-V) aveva concepito la
scena nel suo complesso, adattando man mano
i personaggi all’interno dello spazio, in questa
seconda l’artista parte dall’approfondimento
dei singoli caratteri, incastrati solo in seguito
(e non senza difficoltà) all’interno del contesto
generale. Sotto questo aspetto, la redazione
finale della Fuga dall’Etna può essere letta
come un vero e proprio collage di figure, i
cui esiti talvolta grotteschi sono però tenuti
assieme da un’esuberante padronanza del
colore e della tessitura pittorica 40. Proprio nella
direzione di una maggiore attenzione pittorica
va infatti il VII bozzetto, forse un frammento
di uno studio più grande. È qui che appaiono,
per la prima volta, le eterogenee fisionomie
dei personaggi, stilisticamente tutte diverse
le une dalle altre a testimoniare un momento
di forte sperimentazione creativa. In questo
ribollire di forme e colori, il linguaggio di Picasso
costituisce il più forte elemento di amalgama;
ma non mancano, come suggerito dalla critica,
più o meno celate suggestioni fauve, matissiane,
vangoghiane e dell’espressionismo tedesco 41.
Verso la fine del 1939, il grosso del lavoro
preparatorio della Fuga era ormi compiuto.
Anche attorno all’ultimo, definitivo bozzetto
(VIII), noto solo attraverso una fotografia, si
addensano però numerosi schizzi preparatori, che
approfondiscono e talvolta cambiano gli equilibri
del quadro. Considerati nel loro complesso,
tali disegni testimoniano un progressivo
stemperamento del lessico picassiano, a favore
di una maggior autonomia stilistica aperta anche
al confronto con l’arte del passato. È il caso,
ad esempio, di un grande bozzetto su carta
a formato verticale (VIII.1) già appartenuto
al critico e storico dell’arte amico del pittore
Giuliano Briganti. Se la figura in alto di donna
con in braccio un bambino (qui appena un
abbozzo, poi approfondito in VIII.2 42) e il cavallo
di profilo (derivato dallo schizzo a china VI.1)
saranno entrambe mantenute nella redazione
finale del dipinto, il nudino con il braccio sinistro
sollevato, più che memore di certi nudi picassiani
del 1907 43, cederà il posto a una donna discinta
che è un esplicito e programmatico omaggio
alla Marianne de La libertà che guida il Popolo
di Delacroix. La figura, erede di una folta serie
di nudi eseguiti da Guttuso tra il 1937 e il 193844
e messa a punto in uno splendido acquerello
(VIII.3) già appartenuto a Cesare Brandi 45, è tra
le più riuscite della composizione. L’asta che
regge in mano, pur non avendo altra funzione
che quella di incanalamento prospettico
(vecchio trucco sin dai tempi di Paolo Uccello),
le conferisce una maestà da eroina del cinema,
mentre la sua sostanziale estraneità rispetto
alla scena induce a leggerla come allegoria
(non è ben chiaro di cosa). Alla medesima ricerca
sul nudo femminile appartiene anche la figura
Il graduale allontanamento dalla sintassi
picassiana non significò, per Guttuso, un passaggio
a una pittura autoreferenziale. Al contrario,
come testimoniato dagli scritti del periodo48, egli
continuò a riflettere sulla lezione degli antichi
maestri, fonte di ispirazione e soluzioni tecniche
e compositive («Passavamo le giornate alla
Galleria Borghese… Quando potevo dipingevo
anche lì»)49. Non è facile, considerate le vivaci
sperimentazioni stilistiche di quegli anni, sondare
l’effettivo peso del confronto con il passato;
ma restringendo il campo al ciclo preparatorio
della Fuga, dove è possibile isolare ogni nuovo
addendo, qualche congiuntura finisce per
26 /
Luca Baroni
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
27
sulla sinistra della tela, a fianco del perno visivo
costituito dalla grande, fissa testa di toro. Messo
a punto in un piccolo bozzetto per lo studio dei
colori (VIII.4) e poi approfondito in un olio su
carta che ha il vigore di un’opera a sé (VIII.5),
il nudo è uno degli ultimi elementi a entrare nella
scena, distinguendosi dagli altri personaggi
per l’aria assorta e misteriosa. Più complessa
è la contestualizzazione delle donne gementi,
anch’esse nude, poste al centro del quadro
(VIII.6). Una china datata 1938 (VIII.7) le mostra,
con atteggiamenti leggermente differenti 46,
all’ombra della medesima tettoia di coppi che
apparirà nella tela finale della Fuga. Ma la scena
ci riporta a un’altra, più violenta, narrazione.
I cadaveri gettati a terra, la porta e le persiane
divelte, i corpi gonfi ed emaciati raccontano
un diverso tipo di catastrofe, la stessa de
La fucilazione in Campagna e del ciclo, eseguito
alcuni anni più tardi, del Gott mit Uns. A partire
dal 1938, temi tragici come questo iniziano
ad apparire con sempre maggiore frequenza
nel denso cantiere progettuale della Fuga
trovando autonoma espressione con l’esplodere
del conflitto mondiale. È il caso, ad esempio,
delle illustrazioni realizzate da Guttuso per
il quindicinale «Primato» (specie le copertine
dei numeri del 15 settembre 1940 e del 1° giugno
1941)47, nelle quali gli addendi faticosamente
messi a punto per il nostro dipinto – la tettoia,
l’accalcarsi dei corpi, gli animali imbizzarriti –
si caricano di una nuova, dolorosa attualità.
Il ritorno ai maestri del passato
e la redazione finale
(autunno 1938 – inverno 1939)
emergere. È il caso, ad esempio, della figura di
donna con un sacco sulle spalle, inizialmente
collocata nella seconda fila di personaggi (VI)
ma in seguito (VIII) isolata, forse per conferirle
maggior carattere, sullo sfondo. Se nella prima
redazione il suo fardello era di generico colore
nero, il caratteristico timbro verdeazzurro della
versione finale accende un campanello nella
mente del conoscitore di pittura antica: la figura
deriva, non solo nella posa ma anche nel registro
tonale e chiaroscurale, da un dettaglio del
Diluvio sistino di Michelangelo 50 (fig. 9). Ulteriori
fig. 9
Michelangelo, Il diluvio (particolare)
1508 c.a. Affresco,cm 280 x 560 (intero).
Città del Vaticano, Cappella Sistina (volta).
nessi tra l’affresco e la tela guttusiana possono
essere riconosciuti nella scala protesa verso
il cielo e nell’infante nudo con le braccia alzate,
indagato in un apposito disegno (VIII.8); ma
sarebbe forzato, una volta indovinato lo spunto,
insistere troppo in tale direzione. Guttuso ormai
(siamo alla fine del 1939) non cerca più modelli,
quanto suggestioni pittoriche, che vengono di
volta in volta rielaborate in base alle esigenze
del momento. Indicativa, a questo proposito, è
l’invenzione della sedia di paglia ribaltata (VIII.9)
che costituisce uno dei principali snodi visivi della
Fuga. Un oggetto del tutto identico era presente
nello studio del pittore, che lo ritrasse a più riprese
tra il 1937 e il 1939 51; ma la sua comparsa nella
nostra composizione è suscettibile di molteplici
interpretazioni. Le sedie impagliate – portate
via a spalla, accumulate sui carri, abbandonate
per strada – erano state uno dei simboli dello
sfollamento di Mascali, comparendo sin dal primo
abbozzo della Spiaggia siciliana. Nella nona e
definitiva versione (il quadro compiuto), essa
assume inoltre un cruciale ruolo compositivo,
tracciando le principali direttrici visive dell’opera.
Ma la sedia impagliata rappresenta anche, come è
noto, uno dei temi cruciali dell’arte moderna: il modo
VIII.5
VIII.
VIII.6
VIII.1
VIII.7
VIII.3
VIII.2
VIII.4
VIII. Guttuso nello studio
di Via Melozzo da Forlì
Databile all’autunno-inverno
1939. Fotografia (particolare).
Roma, Fondazione Guttuso.
28 /
VIII.8
29
VIII.1 Studio per la Fuga
dall’Etna
Crispolti 38/50. Firmato al verso
«Renato Guttuso». Databile al
1938. Tempera e olio su carta
intelata. cm 118,5 x 55. Roma,
collezione Giuliano Briganti.
VIII.2 Studio per la Fuga
dall’Etna
Databile al 1938. Inchiostro
su carta, cm 29 x 23. Verona,
collezione privata.
VIII.3 Donna discinta
Crispolti 38/40. Firmato e datato
in basso a destra «Guttuso ‘38».
Olio su carta intelata, cm 88 x 64.
Mercato antiquario.
Luca Baroni
VIII.9
VIII.4 Studio per la Fuga
dall’Etna
Databile al 1938. Matita e olio
su carta, s. d. Roma, Galleria
Nazionale d’Arte Moderna.
VIII.5 Nudo
Crispolti 38/42. Firmato in basso
al centro «Guttuso». Databile
al 1938. Olio su carta intelata.
Ubicazione ignota.
VIII.7 Studio per la Fuga
dall’Etna
Firmato e datato in basso
a destra «Guttuso 1938».Matita
e inchiostro nero su carta, s.d.
Ubicazione ignota.
VIII.6 Nudo
Crispolti 38/38. Firmato in alto
a destra «Guttuso». Databile al
1938. Olio su carta, cm 70x50.
Roma, Galleria Il fante di spade.
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
VIII.8 Bambino con le braccia
sollevate
Crispolti 38/70. Firmato e datato
in basso a sinistra «Guttuso ‘39»
Databile al 1938. Matita,
inchiostro e inchiostro diluito su
carta. cm 51 x 25. Prato, Galleria
Falsetti (inv. n. 8088).
VIII.9 Studio per la sedia
ribaltata
Databile al 1938.Matita e
inchiostro nero su carta,
cm 25 x 35. Ubicazione ignota.
in cui questa è dipinta, con grosse pennellate
di colore puro, rimanda inequivocabilmente a
Van Gogh 52. Infine, leggendo alcune pagine del
settembre 1939 in cui l’artista siciliano omaggiava
il «nuovo semidio della pittura realista»53
Caravaggio, viene da chiedersi54 se l’oggetto non
abbia qualche parentela con il celebre sgabello
in bilico del San Matteo e l’angelo (Roma,
San Luigi dei Francesi); memoria forse più
letteraria55 che figurativa ma certo ben presente
all’immaginazione del pittore.
Questa sovrapposizione di possibili strategie
espressive dà conto dell’estremo livello di
sofisticazione raggiunto da Guttuso durante gli
oltre tre anni di lavoro preparatorio per la Fuga.
Alla fine del 1939, troppe ipotesi convivevano
nel gigantesco abbozzo, esponendolo al rischio
di rimanere per sempre tale. L’opera era pronta,
forse non perfetta ma nemmeno ulteriormente
perfettibile; rimandarne ancora l’esecuzione
avrebbe significato tradire quell’urgenza
espressiva che l’aveva vista nascere. Guttuso finì
per eseguirla d’un fiato, senza ripensamenti o
correzioni, e con la consapevolezza di chiudere
un ciclo: «A noi giovani sembrava bisognasse
spingere le cose più avanti, perciò io volevo fare
un quadro che rappresentasse la mia gente, il
popolo siciliano, in un’azione e che quest’azione
fosse una rivolta o un esodo, I Vespri o il
terremoto di Messina. Scelsi la Fuga dall’Etna
perché c’erano i siciliani e c’era il paesaggio
siciliano… Il quadro l’ho dipinto a Roma in modo
molto farraginoso, confuso, contraddittorio.
Ma sentivo che avevo dentro e che dovevo tirare
fuori queste cose, anche a guisa di catastrofe».
Ma una catastrofe completa, come sappiamo,
non fu. Ultimato in tutta fretta alla fine del ’39,
il dipinto fu esposto al Premio Bergamo all’inizio
dell’anno successivo, dove si distinse per le
inusuali dimensioni e il soggetto drammatico
guadagnando un importante terzo posto, il primo
vinto dall’artista a livello nazionale. La strada era
aperta; e anche se fu solo con la Crocifissione
che Guttuso si impose definitivamente (nel bene
e nel male) sulla scena pittorica italiana, è con la
Fuga che ebbe il suo vero esordio, come l’artista
aveva acutamente intuito sin dai tempi della
Spiaggia siciliana.
Molto resta ancora da dire attorno alla Fuga
dall’Etna. Nato come quadro storico, di
paesaggio e di soggetto, divenne nel corso degli
anni una riflessione sul significato stesso della
pittura, aprendosi a implicazioni etico-politiche
che ne complicano non poco l’interpretazione.
Future ricerche potranno definirne meglio il posto
e il peso nell’arte del suo tempo; nel frattempo,
anche alla luce di quanto detto, resta valida la
sintetica definizione coniata dallo stesso Guttuso
di «un grande quadro popolaresco a tinte fosche,
in cui si mescolavano influenze di Delacroix
e Picasso e che voleva significare un ritorno
alla pittura di composizione e di contenuto»56.
Come scrisse Piovene, il tentativo fu imperfetto,
ma coraggioso57: e anche per quel coraggio la
Fuga merita un posto rilevante nell’arco della
produzione guttusiana, uno dei «fatti figurativi
più fortunati, più rumorosi, più esemplari»58
dei tardi anni Trenta.
Note
1
R. Guttuso, Scritti, a cura
di M. Carapezza, con contributi
di F. Carapezza Guttuso, M.
Onofri, Bompiani, Milano 2013
(1943), p. 1429.
2 Cfr. ad es. la lettura di G.
Marchiori, Renato Guttuso,
Edizioni d’Arte Moneta, Milano
1952, pp. 7-15. Sull’attività
giovanile di Guttuso: E.
Crispolti, Leggere Guttuso,
Mondadori, Milano 1987, p.
57; Renato Guttuso: gli anni
della formazione, a cura
di E. Crispolti, A.M. Ruta,
catalogo della mostra, Catania,
Galleria d’arte moderna de “Le
Ciminiere”, 6 aprile-27 maggio
2001, Silvana Editoriale,
Cinisello Balsamo 2001, pp. 1526, 43-46 e 97-161; Catalogo
30 /
31
ragionato generale dei dipinti
di Renato Guttuso, a cura di
E. Crispolti, 4 voll., Giorgio
Mondadori & Associati, Milano
1983-1989, vol. I, pp. XXIIICXLVII. L’inquadramento critico
più attento sulle circostanze
in cui nacque la Fuga è dato
da Giovanni Testori in Renato
Guttuso. Mostra antologica
dal 1931 ad oggi, a cura di
R. Longhi, Parma, Galleria
Nazionale, 15 dicembre 1963
– 31 gennaio 1964, Amilcare
Pizzi, Parma 1963, pp. 21-33
(ma cfr. anche Crocifissione, a
cura di E. Crispolti, Accademia
editrice, Roma 1970, pp. 7-34).
3 Cfr. l’opinione di Cesare
Brandi (in R. Guttuso, Scritti,
cit., 165): «Il quadro fu
studiatissimo, e la redazione
finale non risultò forse quella
più felice: il colore è grosso,
i neri non sono colore, il
nascente espressionismo
forza la forma e l’immagine
si presenta sull’orlo del
quadro come su un precipizio.
Ma il quadro non lascia
indifferenti…» e quella di
Guido Piovene (G. Piovene, Il
secondo premio Bergamo, in
«Primato», I, 16, 15 ottobre
1940, pp. 19-20): «Non è
difficile notare un parossismo
un po’ gratuito, quasi di
finzione scenica, privo di
persuasione; le pose talvolta
assurde, i volti atoni, la
mancanza di nesso. Tuttavia è
un quadro importante e tra gli
Luca Baroni
esposti il più coraggioso».
4 Per un esercizio di
lettura attorno al percorso
preparatorio di un’opera
guttusiana cfr. Crocifissione,
cit., ed E. Crispolti, Renato
Guttuso. Spes contra spem,
Electa, Milano 1997.
5 Il titolo è quello riportato
in Catalogo ragionato generale
dei dipinti di Renato Guttuso,
cit., d’ora in avanti “Crispolti”,
nel quale l’opera (Crispolti
35/29) è riferita al 1935. La
datazione al biennio successivo
è ricostruibile, come si vedrà
più avanti, dal contesto.
6 «Questo è di Topazia (da
Renato)».
7
P. Parlavecchia, Renato
Guttuso. Un ritratto del XX
secolo, Utet, Torino 2007, p.
53.
8 L’eruzione dell’Etna,
Giornale Luce A/A0221
(novembre 1928); Mascali,
Archivio British Pathé, film
n. 768.21, 12 novembre 1928;
Etna in Eruption, Archivio
British Pathé, film n. 770.09,
15 novembre 1928; Inferno!
Archivio British Pathé, film
n. 1088.07, 14 agosto 1933.
Vedi anche ad es. L’eruzione
dell’Etna, in «L’Illustrazione
italiana», 47, 18 novembre
1928; L’eruzione dell’Etna,
in «Il mattino illustrato», 3
dicembre 1928; la copertina de
«La Domenica del Corriere»,
25 novembre 1928. Le immagini
della disastrosa eruzione
finirono anche sul «New York
Times», su «Illustrated London
News» e le principali testate
internazionali.
9 Mascali, Sicilia. Giornale
Luce B/ B0869, 15 aprile 1936.
10 L. Vaccaro, Mascali
1937-1940: dalla visita di
Mussolini alla costruzione
del Monumento ai Caduti,
in Alibrandi et al., Città di
Mascali. Quaderno di Studi,
Edizioni La Rocca, Riposto
2012, pp. 113-129.
11 Film dedicati alla celebre
catastrofe apparvero nel 1908
(quello celebre di Roberto
Omegna, prima grande pellicola
“storica” del cinema italiano),
1913, 1913, 1926, 1935.
12 Il quadro era noto a
Guttuso, che ne scrisse sulla
«Rassegna dell’Istruzione
Artistica» del novembre 1936
(R. Guttuso, Scritti, cit.,
(1936), p. 67).
13 Il secondo dei due disegni
(III) presenta una firma e una
data aggiunte successivamente
«Guttuso ’36». Come indicato
da Crispolti, che ha rilevato
per primo l’affinità con (II),
la datazione è da posticipare
al 1938 o, più verosimilmente,
al 1937.
14 La distanza della scena
della Fuga da un mero fatto
storico è colta da Anna Maria
Ruta (in Renato Guttuso: gli
anni della formazione, cit., p.
139) che la interpreta come
«rivolta contadina».
15 E. Manet, Torero morto,
National Gallery of Art,
Washington D.C.
16 Crispolti 38/4.
17 E. Manet, Il balcone,
Musée d’Orsay, Parigi.
18 Si vedano i dipinti Crispolti
39/3, 39/4, 39/5.
19 P. Parlavecchia, Renato
Guttuso. Un ritratto del XX
secolo, cit., pp. 65-68.
20 Crispolti 38/66. Ma vedi
anche Crispolti 35/28, 3536/1, 36-37/3, 37/6.
21 «Non c’è [nelle battaglie
di] Sassu un denominatore
comune di ironia o di moralismo
che serva da giustificazione;
c’è piuttosto un’ambizione,
legittima d’altronde, di
raccontare storie e farle vivere
nel senso di una moderna
fantasia, al contrario di
Delacroix che portava il
moderno verso l’antico, Sassu
per questo aspetto intenzionale
somiglia di più a De Chirico
(almeno a un certo de Chirico)
che voleva dare (e talvolta vi
riuscì) ad Omero uno stupore
nuovo e ai miti ellenici uno
sgomento moderno, o a
Picasso che riprendendo un
disegno vascolare perveniva
alla presentazione di una nuova
tragedia» (R. Guttuso, Scritti,
cit., (1941), p. 187).
22 L’artista francese, definito
«l’ultimo degli antichi pittori,
[piuttosto] che il primo dei
moderni» (ibid.) appare citato
a più riprese negli scritti di
quegli anni (R. Guttuso, Scritti,
cit., ad indicem).
23 Crispolti 37/7, 37/35,
37/36.
24 Crispolti 37/37.
25 A. Cabanel, La nascita di
Venere, Musée d’Orsay, Parigi.
26 E. Delacroix, Cristo nella
tempesta, National Gallery of
Art, Washington D.C.
27 Golden Gate International
Exposition, catalogo della
mostra, San Francisco, San
Francisco Bay Exposition,
1939-1949, Departement of
Fine Arts, San Francisco 1939,
cat. n. 17.
28 E. Delacroix, Ovidio tra gli
Sciti, National Gallery, Londra.
29 E. Delacroix, Veduta
di Tangeri dalla Costa,
Minneapolis Museum of Art,
Minneapolis; E. Delacroix, I
fanatici di Tangeri, Art Gallery
of Ontario, Toronto. Due
dipinti dello stesso carattere,
i Pirati Africani rapiscono una
fanciulla e Episodio di guerra in
Grecia erano stati riprodotti nel
maggio del 1939 da P. Chiesa,
Zurigo. Eugenio Delacroix, in
«Emporium», LXXXIX, 533,
maggio 1939, pp. 339-340.
30 R. Guttuso, Scritti, cit.,
(1943), p. 1429.
31 Pubblicato in F. Carapezza
Guttuso, Renato Guttuso.
Biografia per immagini,
catalogo della mostra,
Bagheria, Villa Cattolica –
Museo Guttuso, 2009, Città
Aperta, Troina 2009, p. 48.
32 Crispolti 38/6-16, 56-58.
33 E. d’Ors, Pablo Picasso,
Éditions des Chroniques du
Renato Guttuso. Un uomo innamorato
Jour, Parigi-New York, 1930.
34 «Cercavo un’espressione
più diretta della realtà, e i miei
miti erano in Van Gogh e in
Picasso. Non ero ancora stato
in Francia. Conoscevo Picasso
solo dalle illustrazioni dei libri»
(riportato in P. Parlavecchia,
Renato Guttuso. Un ritratto del
XX secolo, cit., p. 73).
35 La stessa pratica si trova
ad es. in VIII.2, VIII.9.
36 R. Guttuso, Scritti, cit.,
(1943), p. 1429.
37 Ivi, p. 1428.
38 La data, scritta con un
mezzo diverso da quello
d’esecuzione, è stata apposta
successivamente. Il foglio può
quindi essere ragionevolmente
ricondotto al 1937-38, come
sembra indicare il suo rapporto
con gli altri studi di cavalli
connessi alla Fuga.
39 Crispolti 35/17. Una tela
di soggetto simile (Crispolti
39/29) è descritta da Brandi
nel resoconto di un soggiorno
di Guttuso a Vignano (Siena),
ospite nella villa di famiglia
nella primavera del ’38: «Un
altro soggetto fu quello
estremamente toscano dei
pagliai quasi fatti a fette e
geometrizzati, che furono cari
ai macchiaioli, e poi due vitelli
nella stalla, che ricompariranno
nella Fuga dall’Etna, che
doveva dipingere un anno dopo
nello studio romano di Piazza
Melozzo da Forlì» (riportato
in Brandi e Guttuso. Storia
di un’amicizia, a cura di F.
Carapezza Guttuso, Electa,
Milano 2006, p. 181).
40 Notava acutamente Guido
Piovene, recensendo il Premio
Bergamo nel 1940 (G. Piovene,
Il secondo premio Bergamo,
cit.): «Il pittore è entrato
rischiosamente nel viluppo dei
corpi precisandoli bene con
il colore crudo e il disegno
tagliente anziché ragguardali
in un successivo, monotono e
impreciso complesso. Guttuso
è forse l’unico tra gli espositori
che abbia un temperamento
genuinamente drammatico
e tenda a capire e ritrarre la
diversità anche sgradevole dei
corpi, di gesti e di anima da
cui solamente può nascere il
grande quadro di figure».
41 Vedi su tutti Maltese 1960,
p. 394 e Crocifissione, cit., pp.
16-18.
42 Pubblicato in Renato
Guttuso, catalogo della mostra,
Verona, Galleria dello Scudo,
26 novembre 1977 – 6 gennaio
1978, Novastampa, Verona
1977, p. 13, con datazione
al 1935-36, è da riferirsi più
probabilmente al 1937-38.
43 Penso ad esempio al
Nudo con braccio sollevato,
Metropolitan Museum of Art,
New York.
44 Un primo spunto per la
posa della figura femminile
è riconoscibile nel disegno
pubblicato in Guttuso. Disegni
Anni Trenta Anni Ottanta, a
cura di F. Gallo, catalogo della
mostra, Paternò, Castello
Normanno – Galleria di Arte
Moderna, maggio-giugno 1992,
Fabbri Editore, Milano 1992,
p. 59.
45 A Brandi apparteneva
anche lo splendido studio della
Donna con gallo (Crispolti
38/32), stilisticamente affine
all’acquerello per la Fuga ed
eseguito all’interno della stessa
serie (Brandi e Guttuso. Storia
di un’amicizia, cit., p. 113).
46 Dalla donna di schiena
a braccia sollevate al centro
deriva lo studio, databile
al 1938, Donna nuda
inginocchiata (Crispolti
38/39) poi utilizzato per la
Crocifissione.
47 «Primato», I, 14, 15
settembre 1940; «Primato», II,
11, 1° giugno 1941.
48 R. Guttuso, Scritti, cit.,
2013, in part. la sezione…
49 Cfr. P. Parlavecchia,
Renato Guttuso. Un ritratto del
XX secolo, cit., p. 73.
50 Così come appariva prima
delle campagne di restauro del
1980-94.
51 Crispolti 37/3, 38/56,
39/20.
52 «[attorno al 1940] io
tendevo a legare Picasso e
Van Gogh, vedendo in modo
analogo e ugualmente utile
per noi le due tensioni pur così
differenti come linguaggio» (R.
Guttuso, Scritti, cit., (1962),
p. 1266).
53 R. Guttuso, Scritti, cit.,
(1939), p. 856.
54 Cfr. Guttuso. Opere
dal 1931 al 1981, a cura di C.
Brandi, M. Calvesi, V. Rubiu,
catalogo della mostra, Venezia,
Palazzo Grassi, aprile-giugno
1982, Sansoni, Firenze 1982,
p. 21.
55 G. Baglione, Le vite de’
pittori scultori et architetti,
Andrea Fei, Roma 1642, pp.
136-137.
56 R. Guttuso, Scritti, cit.,
pp.????
57 G. Piovene, Il secondo
premio Bergamo, cit., p. 20.
58 F. Arcangeli, Della
giovane pittura italiana e di
una sua radice malata, in
«Proporzioni», I, 1943, pp.
85-98, p. 92.