DELPHINE CARRON
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS*
Quale storia dobbiamo conoscere per capire la Commedia? Si è
chiesta Elisa Brilli recentemente all’inizio di un articolo, riprendendo la vexata quaestio a proposito del «cacciare con molta offensione»
di Inf. VI 66.1 Si tratta della storia presentata dai commenti, di quella
delle biografie di Dante, di quella delle cronache medievali, o ancora
di quella delle ricerche storiche? L’ideale è, naturalmente, prendere in
considerazione tutte queste storie, poiché queste ricostruzioni possono
presentare delle discordanze che, identificate o superate, arricchiscono la nostra conoscenza del contesto della scrittura del grande poema.
Quello che vorremmo provare a fare in questa sede, a proposito di Carlo di Valois, il principe ‘senzaterra’ del canto XX del Purgatorio, è appunto fare interagire queste diverse tradizioni storiche, ma anche farle
dialogare con quelle più specificamente letteraria e filosofica.
1. Dante e i Capetingi-Angioini
Il quinto girone del Purgatorio (XIX-XXII) è il primo dei tre riservati alla purificazione delle anime che avevano dato prova di smoderato
* Ringrazio Aurora Panzica e Martina Albertini per la rilettura attenta del testo italiano, nelle
diverse fasi della sua redazione. Ringrazio anche il personale dell’Archivio di Stato di Firenze, che
mi è stato di grande aiuto.
1
E. BRILLI, Firenze, 1300-1301. Compagni e Villani (con i loro lettori) a Santa Trinità e il «cacciare con molta offensione» (If. 6, 66), in «Reti Medievali», 18, 1 (2017), pp. 345-390, online: http://
www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/5101 (consultato il 27 aprile 2018). Cito il poema
dantesco nell’edizione La Commedia secondo l’antica vulgata, a c. di G. PETROCCHI, Milano, Mondadori, 1966-1967.
284
DELPHINE CARRON
attaccamento o distacco rispetto ai beni terreni. Il vizio che i penitenti
espiano nel canto XX2 può essere descritto come brama di potere e di
onori terreni, ma più ancora come voracità di possesso, avidità, avarizia, forma più diffusa e più socialmente perniciosa della cupidigia, «il mal
che tutto ’l mondo occupa» (v. 8), e che è rappresentato dalla «maladetta
[…] lupa», già incontrata nella «selva oscura» di Inf. I (vv. 2 e 49):
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda?
(Purg. XX 10-15)
Fra gli avari e i prodighi, che giacciono a faccia in giù con le mani
e i piedi legati, Dante e Virgilio fanno attenzione a non calpestare i penitenti. Dopo la condanna, nel canto XIX, della simonia della Chiesa,
incarnata da papa Adriano V, e prima dell’invettiva contro la dinastia
francese, emerge, all’inizio del canto XX, il terzo elemento, positivo, della problematica etico-politica: l’Impero. Il ricordo del Veltro «in mezzo
ai due mali pervertitori del mondo, la Chiesa corrotta ed il regno francese
cupido, delittuoso e gravido di illegittime aspirazioni»,3 ha un ruolo capitale per la comprensione del pensiero politico dantesco. La disfatta della
cupidigia deve derivare dall’unico potere in grado di ostacolare il desiderio dei regni di estendersi in tutte le direzioni, e di stabilire uno stato di
2
La lettura dei seguenti commenti di questo canto ha particolarmente nutrito la nostra interpretazione: G. ARNALDI, La maledizione del sangue e la virtù delle stelle. Angioini e Capetingi
nella “Commedia” di Dante, in «La Cultura», 30 (1992), pp. 47-74 e 185-216; G. ARNALDI, Lettura
del Canto XX del “Purgatorio”, in Alla Signorina. Mélanges offerts à Noëlle de la Blanchardière,
Roma, École Française de Rome, 1995, pp. 1-22; P. BREZZI, I cattivi Capetingi e Angioini, in Letture dantesche di argomento storico-politico, Napoli, Ferraro, 1983, pp. 47-66; E. FENZI, Tra religione
e politica: Dante, il mal di Francia e le «sacrate ossa» dell’esecrato San Luigi, in «Studi Danteschi»,
69 (2004), pp. 23-117; R. GIACONE, Ugo Capeto e Dante, in «Aevum», 49 (1975), pp. 437-473; M.
MARTI, Il pianto di Ugo Capeto e il natalizio Gloria nell’unità del XX del “Purgatorio”, in «Giornale
storico della letteratura italiana», 162 (1985), pp. 321-343; N. ZINGARELLI, Il canto XX del Purgatorio, in Lectura Dantis, Firenze, Sansoni, 1902, a cui aggiungiamo i commenti classici: DANTE
ALIGHIERI, La Divina Commedia, a c. di N. SAPEGNO, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957, e DANTE
ALIGHIERI, Commedia, a c. di A.M. CHIAVACCI LEONARDI, Milano, Mondadori, 1994.
3
GIACONE, Ugo Capeto e Dante, cit., p. 462.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
285
giustizia e di pace, e cioè un monarca universale, da Dante identificato
con l’imperatore romano-germanico, che «non habet quod possit optare» (Mon. I XI 12), come espresso in maniera definitiva nella Monarchia.4
Contro questo vizio, una voce isolata propone tre esempi (biblico,
classico e cristiano) della virtù di povertà o di liberalità: Maria, madre
di Dio, povera nel suo parto, Fabrizio, il console romano che preferì la
povertà virtuosa a ricchezze guadagnate disonestamente, e il vescovo
Niccolò (di Mira in Licia), ossia san Nicola di Bari, che si è mostrato
generoso verso tre ragazze al fine di mantenerle sulla retta via. Questa
voce, che rivela la sua identità a partire dal verso 43, è quella di Ugo Capeto. Egli si presenta come il capostipite della dinastia che da lui prese
nome, rimpiangendo tuttavia la perniciosità della propria discendenza:
un albero maligno, una «mala pianta» avvelenata fin dalle radici, che ha
esteso la sua ombra sull’intero mondo cristiano, dal quale perciò ormai
ci si può attendere che solo di rado produca qualche frutto buono:
Io fui radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta.
(Purg. XX 43-45)
La parola io ritorna ben quattro volte nei dodici primi versi della
risposta di Ugo Capeto (vv. 43-96), cosa che ci fa pensare che in questo
discorso del portavoce dei Capetingi sia «embrionalmente racchiuso
tutto lo spirito del canto, [ma anche] celato in nuce il pensiero ed il sentimento politico di Dante».5 Questo lungo pianto di pentimento contro
i delitti della casa di Francia esprime infatti il sentimento dantesco: la
dinastia capetingia nelle sue ramificazioni è colpevole di essere causa,
almeno indiretta, delle sventure del poeta, della sconfitta dei Guelfi
bianchi a Firenze, e soprattutto di minare alla base, attraverso le sue
visioni espansionistiche, l’idea di Impero universale.6
Dai versi 61 a 96 Ugo Capeto, dolente, si sofferma dunque a sinte-
4
Si veda a questo proposito ARNALDI, Lettura del Canto XX del “Purgatorio”, cit., pp. 2-3 e
GIACONE, Ugo Capeto e Dante, cit., pp. 462-464.
5
GIACONE, Ugo Capeto e Dante, cit., p. 442. A questo proposito si rimanda anche a p. 443.
6
A questo proposito si consultino FENZI, Dante, il mal di Francia, cit., pp. 24-25, il commento
di CHIAVACCI LEONARDI a DANTE ALIGHIERI, Commedia, cit., Purgatorio, vol. II, p. 580 e GIACONE,
Ugo Capeto e Dante, cit., p. 464.
286
DELPHINE CARRON
tizzare ed esemplificare i misfatti compiuti dai suoi antenati durante
i più di trecento anni (dalla fine del X alla fine del XIII secolo) della
loro storia, e illustra la massima già esemplificata da Sordello, nel canto
VII del Purgatorio, secondo cui «rade volte risurge per li rami / l’umana probitate» (vv. 121-122) o ancora «Tant’è del seme suo minor la
pianta» (v. 127). Queste «undici terzine non hanno un andamento uniforme», come ha mostrato Girolamo Arnaldi.7 Nelle prime due, in cui
sono sintetizzati i primi due secoli e mezzo di storia del ramo capetingio, dall’ascesa al trono di Francia del primo re della dinastia, alla venuta in Italia del fratello (Carlo I d’Angiò) del nono sovrano della serie
(Luigi IX), «protagonista è il sangue mio, il sangue irrimediabilmente
corrotto che scorreva nelle vene dei discendenti di Ugo Capeto»,8 considerati come un tutto unico:
Mentre che la gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male.
Lí cominciò con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontí e Normandia prese e Guascogna.
(Purg. XX 61-66)
Con l’inciso «per ammenda» che sarà ripetuto altre due volte, come
un ritornello, nella terzina seguente, Ugo accusa sarcasticamente il suo
sangue di macchiarsi di sempre nuove colpe per penitenza di quelle
commesse in precedenza.
Nelle nove terzine seguenti (vv. 67-93), si parla invece di quattro
personaggi diversi, contemporanei di Dante, chiamati per nome o facilmente individuabili, appartenenti a questo lignaggio, ciascuno in riferimento a uno o a più episodi nei quali aveva avuto occasione di mostrare
di che pasta era fatto. Questi quattro membri della ramificata dinastia
dei capetingi sono: 1) Carlo I d’Angiò, figlio del re di Francia Luigi VIII,
conte di Provenza in seguito alle nozze con Beatrice di Provenza, poi re
di Sicilia e di Napoli e vicario imperiale in Toscana (vv. 67-69); 2) suo
nipote Carlo di Valois, figlio del re di Francia Filippo III, nominato da
7
8
ARNALDI, La maledizione del sangue, cit., p. 192. Si veda a questo proposito anche pp. 193-194.
Ibid.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
287
Bonifacio VIII paciere in Toscana, che permise però una guerra aperta a
Firenze e che stipulò una pace vergognosa in Sicilia (vv. 70-78); 3) Carlo II d’Angiò o di Napoli, detto lo Zoppo, re di Sicilia, figlio del primo,
catturato dagli Aragonesi durante la guerra del Vespro, che patteggiò le
nozze di sua figlia Beatrice con Azzo VIII d’Este allo stesso modo dei
pirati con le schiave (vv. 79-84), e infine 4) il re di Francia Filippo IV il
Bello (vv. 85-93), il «mal di Francia», come lo chiama Sordello nel canto
VII del Purgatorio (v. 109), nipote di Carlo I d’Angiò, fratello di Carlo di
Valois e cugino di Carlo II d’Angiò, mandante dell’oltraggio di Anagni,
compiuto contro il vicario di Cristo (papa Bonifacio VIII), e che confiscò illegittimamente i beni dei Templari (vv. 85-93). Questi quattro personaggi sono contemporanei di Dante, ciascuno coinvolto a suo modo
nelle vicende della politica fiorentina, italiana e papale del tempo.
Tra questi quattro membri della stessa famiglia, quello che ci interessa in particolare è colui che abbiamo menzionato per secondo, Carlo di Valois (Valenciennes, 1270 - Le Perray, 1325). Egli, come abbiamo
detto, fu figlio di un re di Francia (Filippo III), fratello minore di un
altro re di Francia (Filippo IV il Bello), zio di tre re di Francia (Luigi X,
Filippo V e Carlo IV), e padre del re di Francia Filippo VI (fondatore
della dinastia successiva ai Capetingi, e cioè la Casa di Valois), benché
egli stesso non fu mai re. Carlo di Valois è dunque passato alla storia
con l’appellativo di ‘senzaterra’ (che gli era stato attribuito già prima
della sua venuta in Italia), dovuto al fatto che nella sua vita non riuscì
a ottenere nessuna delle corone per le quali si candidò:9 a quattordici
anni, dopo essere stato designato dal papa Martino IV a sostituire Pietro III il Grande sul trono di Aragona (1283), Carlo vide suo padre lanciare una campagna armata per conquistare il regno di Pietro III, ma la
spedizione si risolse in un autentico disastro che ebbe per conseguenza
la morte del padre (1285); sposato in seguito con Margherita, figlia di
Carlo II d’Angiò (il terzo personaggio menzionato da Dante), Carlo
di Valois fu costretto a rinunciare al trono d’Aragona con il trattato
d’Anagni (1295); rimasto vedovo dopo poco tempo, sposò Caterina di
Courtenay, che aveva diritti sul trono imperiale d’Oriente, ma non ebbe
il tempo di partire per la crociata prima della morte della moglie; in
9
A questo proposito si consulti J. PETIT, Charles de Valois (1270-1325), Paris, Picard, 1900,
pp. 6-126.
288
DELPHINE CARRON
seguito, per ben due volte – nel 1308, come successore di Alberto d’Asburgo, e nel 1313, dopo la morte di Arrigo VII – il mancato appoggio
del papato non gli consentì di raggiungere il soglio del Sacro Romano
Impero, destinandolo definitivamente a una vita ai margini della storia.
Guadagnatosi una fama di valente guerriero negli scontri tra la
Francia e le Fiandre, Carlo è attirato in Italia da Bonifacio VIII, filoangioino, che cerca di condurre Federico III d’Aragona fuori dalla Sicilia
per lasciare il trono agli Angioini che l’avevano perduto dopo il Vespro. Questo invito avvenne con grandi offerte di armi e denaro e con
la promessa della mano di Caterina di Courtenay, nonché della proclamazione solenne dei suoi diritti sull’impero d’Oriente. Carlo accettò di
andare in Italia, ma la sua spedizione, pur registrando diverse vittorie,
si concluse nell’estate dell’anno successivo con una resa, che lo costrinse a firmare la vergognosa pace di Caltabellotta (1302).10
Nel frattempo, però, papa Bonifacio VIII approfitta della venuta di
Carlo in Italia per inviarlo a Firenze. All’inizio di settembre Carlo di
Valois arriva ad Anagni, la città natale di Bonifacio VIII, nella quale
il papa soggiorna durante l’estate. Il 3 settembre 1301 il papa investe
Carlo dei pieni poteri per pacificare l’Italia e gli concede numerosi titoli: capitano generale degli Stati della Chiesa, paciere di Toscana, rettore
di Romagna, marchese di Ancona e duca di Spoleto.11 Tutte queste dignità potevano essere conferite dal papa perché Bonifacio considerava
che la sede imperiale era vacante, non essendo Alberto d’Asburgo riconosciuto dal papato. Basandosi soprattutto sulla Cronica di Compagni,
Davidsohn12 spiega che i Bianchi fiorentini seguono una linea politica priva di fermezza di fronte all’approssimarsi del pericolo: inviano
ambasciatori al Valois e al papa, sperando di trovare la loro salvezza
nelle preghiere rivolte ad entrambi. Da Siena, dove si è stabilito, Carlo
manda due ambasciatori per chiedere di entrare a Firenze come paci-
Cfr. PETIT, Charles de Valois, cit., pp. 52-88.
A questo proposito, si veda R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, III, Firenze, Sansoni, 1960,
p. 219; PETIT, Charles de Valois, cit., p. 63.
12
DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., pp. 214-238. Elisa Brilli ha tuttavia mostrato, a proposito del famoso ‘Convegno’ di Santa Trinita, che la fonte di Compagni non è sempre attendibile.
A questo proposito si rimanda a BRILLI, Firenze, 1300-1301. Compagni e Villani, cit. e E. BRILLI,
Firenze 1300-1301. Le cronache antiche (XIV secolo ineunte), in «Reti Medievali», 17, 2 (2016),
pp. 113-151, online: http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/5150/5767 (consultato il 27 aprile 2018).
10
11
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
289
ficatore. I Priori e il Consiglio generale decidono allora di chiedere il
parere delle Arti a proposito della venuta di Carlo di Valois a Firenze,
venuta che viene approvata dalle Arti. Così Carlo, il 1° novembre, entra
a Firenze ricevuto con tutti gli onori. Il 5 novembre, nella chiesa del
convento domenicano di Santa Maria Novella, di fronte a un auditorio
prestigioso (il podestà, il capitano del Popolo, i Priori, tutti i consiglieri,
il vescovo e tutta la buona gente fiorentina),13 Carlo giura di operare per
la pace, una volta che il Comune gli avesse dato i pieni poteri per governare. Lo stesso giorno però, Carlo permise a Corso Donati e ai Neri,
sostenuti dal papa, di tornare in città. Appena arrivati, i Neri repressero duramente il partito dei Bianchi con una lunga sequela di uccisioni,
di incendi e, quando ebbero il potere, anche di condanne all’esilio e
di confische. Tali violenze coinvolsero, come sappiamo, anche Dante,
che si era espresso più volte negli organi comunali contro l’ingerenza
di papa Bonifacio, che aveva preso decisioni dure contro i Neri e che
forse era anche stato ambasciatore alla corte papale per tentare di impedire il cedimento di tutti i poteri a Carlo di Valois.14
Questa cacciata dei Bianchi da Firenze da parte dei Neri è menzionata nella Commedia, nel canto VI dell’Inferno, dove Ciacco predice
per Dante «a che verranno / li cittadin de la città partita» (vv. 60-61).
Dopo aver menzionato la lunga faida tra le fazioni, egli profetizza: «la
parte selvaggia / caccerà l’altra con molta offensione» (vv. 65-66), riferendosi al priorato bianco del luglio 1300, il quale sospenderà il confino dei Bianchi inizialmente deciso per entrambi i capi delle fazioni,
come ha mostrato in modo convincente Elisa Brilli a partire dalla cronaca anonima marciana-magliabechiana.15 Ciacco continua:
Poi appresso convien che questa caggia
infra tre soli, e che l’altra sormonti
con la forza di tal che testé piaggia.
(Inf. VI 67-69)
13
Cfr. GIOVANNI VILLANI, Nuova cronica IX, 49, a c. di G. PORTA, Parma, Fondazione Bembo-Guanda, 1990-1991, pp. 76-77: «E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì V di novembre nella
chiesa di Santa Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e’ priori, e tutti i consiglieri,
e il vescovo, e tutta la buona gente di Firenze».
14
G. MILANI, Dante politico fiorentino, in «Reti Medievali», 18, 1 (2017), pp. 513-563, online:
http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/view/5153 (consultato il 27 aprile 2018), in
part. pp. 538-563.
15
BRILLI, Firenze, 1300-1301. Compagni e Villani, cit., pp. 378-380.
290
DELPHINE CARRON
Meno di tre anni dopo, però, la parte bianca sarà a sua volta vinta e
esiliata dai Neri, a causa del potere di colui che per ora, cioè al momento in cui è ambientato il poema, nell’aprile 1300, tergiversa. Questo «tal
che testé piaggia» potrebbe essere Carlo di Valois. Tale è almeno l’avviso di diversi antichi commentatori, come ad esempio Pietro Alighieri
(nella seconda redazione del Commento), l’Anonimo cassinese o Benvenuto da Imola:
con la forza di tal, scilicet Karoli sine terra, che testè piaggia, idest qui nunc
stat ad plagiam, quasi dicat, qui nondum est in motu, nec in procinctu veniendi,
ita quod adhuc stat in terra sua Parisius nec intravit adhuc iter.16
Ora, i dati che abbiamo a disposizione relativamente alla chiamata
da parte di Bonifacio VIII di Carlo di Valois e gli indugi di quest’ultimo, fanno effettivamente del principe ‘senzaterra’ un buon candidato.
Come spiega Joseph Petit, biografo di Carlo di Valois, a partire dagli
archivi, sappiamo che Bonifacio VIII aveva già chiamato Carlo nel
1298, e che il 29 dicembre di quell’anno il papa scriveva al re di Francia
per confermargli che suo fratello offriva di venire in Italia con mille
uomini armati.17 Tuttavia, anche se Bonifacio aveva fatto di tutto per affrettare la sua venuta, promettendogli, il 1° aprile 1300, la metà di una
decima se fosse partito prima del 15 novembre 1300,18 Carlo non volle
lasciare la Francia, preso com’era prima dalla guerra di Fiandra, poi
dalle trattative per il suo matrimonio con Caterina di Courtenay. Egli
ottenne, in un breve del 3 ottobre 1300, una deroga fino alla Candelora
del 1301.19 Per convincerlo a venire, Bonifacio finì per accordargli una
decima intera, in un manifesto del 30 novembre 1300 a tutto il clero
16
BENVENUTO DA IMOLA, Comentum super Dantis Aldigherij Comoediam, a c. di J.PH. LACAIFirenze, Barbera, 1887, vol. I, pp. 234-235. Cfr. anche Il codice cassinese della “Divina commedia”, a c. dei monaci benedettini della badia di Monte Cassino, Monte Cassino, Tipografia di
Monte Cassino, 1865, ad Inf. VI 69 e PIETRO ALIGHIERI, Super Dantis ipsius genitoris Comoediam
Commentarium, cit. dal sito Internet del Dartmouth Dante Project, seguendo quindi il testo stabilito da S. PAGANO (La seconda redazione del “Commentarium” di Pietro Alighieri nel cod. Laur.Ashburnh., Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, a.a. 1977-1978), ad loc.
17
Cfr. E. BOUTARIC, Documents inédit relatifs à l’histoire de France sous Philippe le Bel, Notices
et extraits des Mss., XX, 1862, pp. 83-237, in part. p. 130, cit. da PETIT, Charles de Valois, cit.,
p. 52.
18
A. POTTHAST, Regesta Romanorum Pontificum inde ab a. post Christum natum Mcxcviii ad
a. Mccciv, Berlin, R. de Decker, vol. 2, 1875, n° 24935, cit. da PETIT, Charles de Valois, cit., p. 57.
19
Archives Nationales (France), J 723, n° 83, cit. da PETIT, Charles de Valois, cit., p. 57.
TA,
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
291
di Francia in cui si parlava, oltre che della riconquista della Sicilia, anche della Toscana.20 Ciononostante, dopo la celebrazione del suo matrimonio, il 28 gennaio 1301, Carlo ottenne ancora, attraverso la bolla
del 12 febbraio, un’ultima proroga fino al giorno di tutti i Santi dello
stesso anno.21 Carlo non ebbe bisogno di attendere la fine della proroga, poiché lasciò la corte di Filippo il Bello nel mese di maggio 1301 e
arrivò prima a Torino, poi a Milano e infine a Parma il 25 luglio, presso
Azzo VIII, marchese d’Este. Azzo accolse Carlo con entusiasmo e lo
condusse a Reggio, poi a Modena, pagando addirittura le spese per lui
e per il suo seguito per un periodo di dieci giorni, e prestandogli 10.000
fiorini d’oro alla sua partenza.22 Carlo venne in seguito a Bologna, passò vicino Pistoia, si fermò a San Gimignano, e si stabilì poi a Siena, prima di proseguire fino a Orvieto e di arrivare infine ad Anagni all’inizio
di settembre.23
Dante era al corrente di questi dettagli cronologici o pensava piuttosto, in accordo con diverse cronache contemporanee, che Carlo di
Valois fosse stato chiamato da Bonifacio solo nell’estate 1301?24 In questo caso, nel mese di aprile 1300, l’esitazione sarebbe piuttosto da riferirsi al papa Bonifacio VIII che al principe, come concorda gran parte
dei commentatori moderni.25
2. Dante e Carlo di Valois
Tempo vegg’io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e’ suoi.
(Purg. XX 70-72)
Ibid., n° 11 a 7.
Ibid., n° 86 e 9.
22
Chronicon Estense, in L.A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores, Milano, Società Palatina, vol. XV, 1729, cap. 348, cit. da PETIT, Charles de Valois, cit., pp. 61-62. Si veda anche DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., p. 215.
23
DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., pp. 213-219.
24
Cfr. BRILLI, Firenze 1300-1301. Le cronache antiche, cit., p. 144, e BRILLI, Firenze, 13001301. Compagni e Villani, cit., pp. 382 e 385.
25
Cosa che permette a G. INDIZIO, «Con la forza di tal che testé piaggia»: storia delle relazioni tra Bonifacio VIII, Firenze e Dante, in Problemi di biografia dantesca, Ravenna, Longo, 2013,
pp. 55-91, di utilizzare questo verso nel suo articolo sulle relazioni tra il papa e Firenze.
20
21
292
DELPHINE CARRON
Con il primo verso a proposito di Carlo di Valois (v. 70), nel canto
XX del Purgatorio, e l’espressione «vegg’io»,26 comincia la predizione,
da parte di Ugo Capeto, di avvenimenti posteriori, sebbene di poco
– come afferma: «non molto dopo ancoi» – al 1300. Con un atteggiamento di veggente che culmina nell’invocazione della vendetta di Dio
ai versi 94-96, Ugo formula una profezia post eventum.27 Dante mette
in bocca all’antenato di Carlo, nella prima terzina, una carica di sarcasmo evidente: egli si muove dalla Francia «per far conoscer meglio
e sé e’ suoi» (v. 72), cioè la malvagità della sua natura e di tutto il suo
lignaggio. La distanza che Ugo Capeto mette in questo caso tra lui e i
suoi discendenti è notevole. Poi prosegue la descrizione del principe
‘senzaterra’ nelle due terzine seguenti:
Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta.
(Purg. XX 73-78)
Ugo Capeto afferma, in queste due terzine, che Carlo opererà non
con le armi bensì con l’inganno e il tradimento, e ferirà Firenze danneggiandola negli uomini e nelle cose. «Dalla sua impresa non trarrà vantaggio né conquisterà nuove terre, ma otterrà solo e vergogna per sé e
per i suoi»,28 una vergogna tanto più grave quanto meno lui le attribuisce importanza. L’antenato, e attraverso di lui Dante, rinfaccia a Carlo
di Valois l’ingresso a Firenze, senza armi (che aveva) o, come dice Vil-
26
Espressione che tornerà altre sei volte: vv. 80, 86, 88, 89 e 91. Sulla figura di Carlo di Valois
nell’opera di Dante si veda in primo luogo R. MANSELLI, Carlo di Valois, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, online: http://www.treccani.it/enciclopedia/
carlo-di-valois_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ (consultato il 27 aprile 2018).
27
Era già il caso dell’allusione alla vendetta delle città fiamminghe durante la guerra contro la
Francia, che troviamo ai versi 46-47 («Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia / potesser, tosto ne
saria vendetta»), in cui si fa forse riferimento alla battaglia di Coltrai (11 luglio 1302), nella quale
i francesi ebbero una grande sconfitta; guerra alla quale aveva partecipato anche Carlo di Valois,
accanto a suo fratello Filippo il Bello.
28
DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, a c. di N. SAPEGNO, cit., ad Purg. XX 68-75, pp. 624625.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
293
lani, «disarmata sua gente»,29 dunque senza gli emblemi della cavalleria
cara alla casa francese,30 perché servendosi dell’arma del tradimento,
questa «lancia» posseduta a suo tempo anche da Giuda, con la quale,
come in una giostra, avrebbe fatto esplodere la «pancia» di questa ricca
città, alterando cioè il suo già fragile equilibrio politico, provocando la
cacciata dei Bianchi. Compiuto tutto questo il principe, avido, ma poco
sagace, non ne ricava nessun beneficio in termini di «terra» – cioè di
regno –, e soprattutto non si rende conto del male fatto.31
3. Carlo di Valois, il nuovo Giuda (Purg. XX 73-75)
Lo scopo di questa parte del nostro contributo è di approfondire
attraverso un’analisi intertestuale e un apporto documentario le due ultime terzine che riguardano Carlo di Valois. Cominciamo quindi dalla
terzina che contiene la celebre metafora, mezza biblica e mezza comica,
della lancia di Carlo di Valois che «fa scoppiar la pancia» di Firenze
(v. 75). Il campo semantico del corpo malato, della malattia della civitascorpus,32 per descrivere la degenerazione di Firenze, e in particolare la
metafora digestiva, era stato già usato da Ciacco:
Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco
seco mi tenne in la vita serena».
(Inf. VI 49-51)
Dal «sacco», e cioè dallo stomaco, ricolmo di invidia e sul punto di
esplodere, allo sventramento di Firenze da parte del nuovo Giuda,33
è possibile scorgere una continuità. Tuttavia, quest’espressione cruda,
triviale, iperrealista e di una certa violenza popolare, è stata interpre-
29
30
31
32
219.
VILLANI, Nuova cronica IX 39, cit., p. 76.
Cfr. FENZI, Dante, il mal di Francia, cit., pp. 73-75.
Cfr. ARNALDI, Lettura del Canto XX del “Purgatorio”, cit., p. 17.
Cfr. E. BRILLI, Firenze e il profeta, Dante fra teologia e politica, Roma, Carocci, 2012, pp. 218-
33
Per il paragone Giuda-Carlo di Valois si è spesso fatto riferimento al passaggio di Ac 1,18, in
cui Pietro parla di Giuda: «possedit agrum de mercede iniquitatis; pronus factus crepuit medius et
diffusa sunt omnia viscera eius».
294
DELPHINE CARRON
tata in diversi modi. Bisogna vedere, come Benvenuto da Imola, nella
pancia che scoppia la partenza dei Bianchi mandati in esilio,34 a causa
del trionfo della parte Nera favorito dalla vergognosa azione di Carlo o,
come molti commentatori moderni, ravvisarvi un’allusione alla malattia morale latente della città, che già da tempo infestava il ventre di Firenze, manifestatosi con violenze e saccheggi dopo la vittoria dei Neri?
La quotidianità grossolana della metafora colloca questo passo
nell’ambito dello stile comico, come indica il precetto dato da Dante
nel De vulgari eloquentia: «Si vero comice, tunc quandoque mediocre,
quandoque humile vulgare sumatur».35 Questo è tanto più vero se confrontiamo questa metafora con un’altra riferita a Carlo di Valois, presente anche nel De vulgari eloquentia e proposta come esempio di «gradus
constructionum […] et sapidus et venustus etiam et excelsus».36 Dante
propone infatti quattro esempi di costruzione di frase: un primo che
egli definisce insipido, un secondo appena sapido, un terzo sapido ed
elegante, e infine un quarto sapido, elegante ed eccelso, che appartiene
ai dettatori illustri. Ora, è possibile notare una progressione ovvia dal
secondo esempio, nel quale è toccato il tema dell’esilio:
Piget me cunctis pietate maiorem, quicunque in exilio tabescentes patriam
tantum sompniando revisunt.37
al terzo, relativo ad Azzo VIII d’Este, che sposerà la figlia di Carlo II
d’Angiò e che ebbe un ruolo significativo nella venuta di Carlo di Valois in Toscana, come abbiamo visto:38
Laudabilis discretio marchionis Estensis, et sua magnificentia preparata,
cunctis illum facit esse dilectum.39
34
BENVENUTO DA IMOLA, Commentum super Dantis, cit., vol. III, p. 531: «intestina vitalia,
scilicet praecipuos cives, de quorum fuit iste praeclarus poeta».
35
DANTE ALIGHIERI, De vulgari eloquentia II IV 6, in Opere, vol. I, a c. di M. TAVONI, Milano,
Mondadori, 2011, pp. 1065-1548, in part. p. 1418.
36
Ivi, II VI 4, pp. 1438-1442.
37
Ivi, p. 1440. Trad. p. 1441: «M’addoloro, io più d’ogni altro pietoso, per quanti nell’esilio
consumandosi la patria solo in sogno rivedono».
38
Cfr. supra, n. 22.
39
DANTE ALIGHIERI, DVE, cit., II VI 4, pp. 1440-1442. Trad. pp. 1441-1443: «Il lodevole discernimento del marchese d’Este e la sua sempre pronta magnificenza a tutti lo rendono caro».
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
295
Qui, l’uso dell’ironia antifrastica rispetto all’odiato Azzo VIII, oggetto di una delle più aspre invettive dantesche nel primo libro del De vulgari,40 collocato tra i moderni potenti accusati di essere carnefici, bugiardi e
avari, potrebbe leggersi sia in rapporto alla sua gentilissima e generosissima accoglienza riservata a Carlo di Valois sul suo camino verso Anagni,
sia, secondo Mirko Tavoni,41 in rapporto al complotto tra il marchese
d’Este, i Geremei bolognesi, i Neri fiorentini e Carlo di Valois contro il
regime guelfo bianco di Bologna, con lo scopo di prendere la città.
Infine, il quarto esempio porta il peso dell’esperienza diretta, e si
riferisce in modo ancora più chiaro a Carlo di Valois:
Eiecta maxima parte florum de sinu tuo, Florentia, necquicquam Trinacriam Totila secundus adivit.42
In effetti, Carlo di Valois è il secondo Totila che, venuto come paciere tra Bianchi e Neri, lascia di fatto i Neri sovvertire il governo dei
Bianchi e prendere il potere del Comune. L’assimilazione a Totila, re
dei Goti, si basa sulla notizia, diffusa prima dalla Chronica de origine
civitatis Florentiae (v. 1205)43 e dai suoi volgarizzamenti, e poi da Giovanni Villani, che questi, non potendo invadere Firenze con la forza,
persuase i Fiorentini, con false promesse di amicizia, menzogne e regali
ai Grandi, ad aprirgli le porte della città. Fece poi entrare segretamente
la sua gente, uccise i più potenti cittadini e distrusse la città, come aveva fatto Carlo di Valois, entrato sotto il falso titolo di paciere e giurando
di portare la pace tra le parti:
Passati poi Vc anni uno re ch’ebe nome Badon, il quale era chiamato Totila
fragellum Dei, il quale odiava molto la città di Fiorenza, perch’era hubidente
a Roma, a la quale volea gran male, e per dispecto d’i Romani venne a oste a
40
Ivi, I XII 5, pp. 1270-1272: «Racha, racha! Quid nunc personat tuba novissimi Frederici,
quid tintinabulum secundi Karoli, quid cornua Iohannis et Azonis marchionum potentum, quid
aliorum magnatum tibie, nisi “Venite, carnifices; venite, altriplices; venite, avaritie sectatores”?».
41
Ivi, II VI 4, commento a pp. 1442-1443, che cita G. MILANI, L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane tra XII e XIV secolo, Roma, Istituto storico
italiano per il Medio Evo, 2003, pp. 382-384.
42
Ibid. Trad. pp. 1443-1445: «Strappata la maggior parte dei fiori del seno tuo, Firenze, invano in Trinacria il secondo Totila si spinse».
43
Chronica de origine civitatis Florentiae, a c. di R. CHELLINI, Roma, Istituto storico italiano
per il Medio Evo, 2009, cap. 10, pp. 42-43.
296
DELPHINE CARRON
Fiorenza e posive ll’assedio. E statovi gran tempo e non potendo avere la terra
a suo commandamento, lasciò l’assedio et mostrossi d’essar pentuto, e rimasisi
da fare alloro ingiuria o guerra alcuna, anzi si mostrava loro amico, e refigniesi
d’avere colloro amistade, facendo grandi doni e patenti benefizii a’ grande
Fiorentini. E poi che ll’ebe assai losegnati con molte cortesie e con disidarosi
conviti, concordevelemente lo ricevettero ad amico e menarlo dentro la
terra, avegnia che dimostrasse di non volervi entrare. E stette ne la terra
honestamente gran tempo, e poi chiusamente feci venire li suoi kavalieri.44
Secondo questi stessi testi (Chronica de origine e suoi volgarizzamenti, Nuova cronica di Villani), Firenze sarebbe stata fondata una prima volta dai Romani, dopo la distruzione ad opera di Giulio Cesare
di Fiesole, città che aveva parteggiato per Catilina, nemico di Roma. I
nuovi abitanti deriverebbero dai romani e dai fiesolani scesi nella pianura.45 Come appena detto, cinquecento anni dopo, Firenze sarebbe
stata distrutta da Totila, re dei Goti,46 il quale, secondo il Libro Fiesolano, compì quest’atto non soltanto mosso dall’odio per i Romani, ma
anche per lavare l’ingiuria fatta a Catilina.47 Se per Dante Carlo è un
secondo Totila e Totila è, nella tradizione del Libro Fiesolano, come un
secondo Catilina, Carlo potrebbe anche essere visto come un terzo Catilina, anche se, come sappiamo, Dino Compagni preferisce associare il
‘Barone’ Corso Donati, alleato di Carlo di Valois, alla figura del nobile e superbo Romano.48 Dante, quanto a lui, allude alla distruzione di
Firenze da parte di Totila anche nell’Epistola VI, in cui scaglia fulmini
contro i fiorentini scellerati e ribelli di fronte all’imperatore:
44
Volgarizzamento α della Chronica de origine civitatis = Testo sinottico γ-M3 e Testo Orsucci,
a c. di. L. MASTRODDI, in Redazioni e testimonianze volgari della leggenda fiesolano-fiorentina, Tesi
di Dottorato dell’Università degli Studi di Firenze. Dottorato di Ricerca in Civiltà del Medioevo e
del Rinascimento, a.a. 2004-2005, cap. VII, 1-5, pp. 178-179. Si veda anche Il Libro fiesolano = La
redazione φ, a c. di L. MASTRODDI, in Redazioni e testimonianze volgari, cit., cap. X, 4-6, p. 195 e
VILLANI, Nuova cronica, cit., III 1, pp. 95-96.
45
Chronica de origine, cit., cap. 7, p. 40. I nuovi abitanti manterrebbero tuttavia, secondo
Dante, tracce della rozza origine. Cfr. Inf. VI 61-63: «ma quello ingrato popolo maligno, / che
discese di Fiesole ab antico / e tiene ancor del monte e del macigno».
46
O da Attila, come Dante afferma in Inf. XIII 149: «sovra ’l cenere che d’Attila rimase». Vedi
a questo proposito TH. MAISSEN, Attila, Totila e Carlo Magno fra Dante, Villani, Boccaccio e Malispini. Per la genesi di due leggende erudite, in «Archivio storico italiano», 152/3 (1994), pp. 561-639.
47
Il Libro fiesolano, cit., cap. X 4, p. 195: «Et poi dopo la distrutione di Catellina a Vc anni
uno nobile re il quale avea nome Totyle flagellum Dei venne per rifare la città di Fiesoli et per distrugere Firenze con XXm huomini d’arme per la ingiuria ch’avea ricevuta Catilina».
48
Cfr. DINO COMPAGNI, Cronica II xx 89, a c. di D. CAPPI, Roma, Carocci, 2013, p. 70.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
297
O miserrima Fesulanorum propago, et iterum iam punita barbaries! An
parum timoris prelibata incutiunt?49
Richiamare non l’origine romana, ma soltanto la discendenza da
Fiesole alleata di Catilina, significa gettare una sinistra luce sulla propria città. Quanto al sostantivo barbaries, esso risulta sarcastico, visto
che la prima distruzione di Firenze avvenne proprio ad opera di barbari. A questa prima distruzione da parte di Totila si aggiunge, per Dante,
quella ad opera di Enrico VII: con il «iam punita» l’intervento dell’imperatore è dato per compiuto.
Nel quarto esempio di costrutto eccelso del De vulgari eloquentia,
facendo riferimento alla leggenda della fondazione di Firenze con il
sintagma «il secondo Totila», Dante accosta i due momenti della spedizione italiana di Carlo di Valois. In primo luogo, il suo ruolo decisivo
quale inviato da Bonifacio VIII a Firenze in qualità di infido paciere,
responsabile almeno indiretto della cacciata dei Bianchi («i fiori»), tra i
quali Dante, dal seno della Donna Firenze. Questa metafora di Firenze
come corpo di donna che ospita nel grembo i suoi cittadini trova d’altronde un riscontro volgare nel Convivio:
Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di
Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno […].50
In secondo luogo, la sfortunata avventura siciliana, terminata con la
vergognosa pace di Caltabellotta nell’agosto 1302, che riconosceva il
regno di Trinacria a Federico III d’Aragona. Come spiega Mirko Tavoni, «l’esempio dantesco unisce dunque queste azioni successive di Carlo (1301-1302), evidenziandone sprezzantemente la capacità di vincere
a tradimento, l’incapacità di vincere militarmente».51
Carlo di Valois è presente in questa rassegna dei rami capetingi perché traditore rispetto alle vicende fiorentine, come Giuda. È tuttavia
menzionato nel canto XX del Purgatorio anche perché, come Giuda,
49
DANTE ALIGHIERI, Ep. VI 24, in Le Opere, cit., vol. V, a c. di M. BAGLIO, Roma, Salerno,
2016, p. 150. Trad. p. 151: «O miserrima stirpe dei Fiesolani, e barbarie già punita una seconda
volta! Forse che quanto avete già sperimentato non vi incute poco timore?».
50
DANTE ALIGHIERI, Convivio I III 4, a c. di G. FIORAVANTI, in Opere, cit., vol. II, p. 116.
51
TAVONI, in DANTE ALIGHIERI, DVE, cit., II VI 4, p. 1443.
298
DELPHINE CARRON
avido di denaro – avaro, quindi, nel senso più ovvio della parola. Dipinto come traditore e cinico, egli è soprattutto un uomo pieno di «fame
sanza fine cupa» (Purg. XX 12), e tutto ciò che fa durante la campagna
di Toscana, lo fa per denaro, dietro consiglio di Musciatto de’ Franzesi,
finanziere del papa, fiduciario di Carlo e parte della sua scorta in Toscana.52 Sappiamo infatti che Carlo rimase a Firenze, estorcendo denaro ai
cittadini con la forza e con l’inganno fino al febbraio del 1302. Dopo il
ritorno a Firenze in marzo, iniziarono sotto i suoi auspici le proscrizioni dei Bianchi, che gli permetteranno di raccogliere altri soldi. Nell’aprile di quell’anno Carlo partì da Firenze, ricevendo ancora parecchi
fiorini d’oro per la sua campagna in Sicilia. Secondo una rassegna fatta
da Joseph Petit, biografo di Carlo, corretta da Davidsohn,53 e da noi
completata e arricchita, egli trova tanti modi per farsi pagare durante il
suo soggiorno in Toscana:
1. Secondo quanto scrive Compagni, Carlo riceve, nel mese di ottobre 1301, 70.000 fiorini da parte dei Neri, i quali volevano incoraggiarlo a venire in Toscana, più precisamente a Siena.54
2. Sempre secondo quanto afferma Compagni, Carlo riceve 17.000
fiorini, nel mese di novembre 1301, da parte dei fiorentini che lo condussero da Siena a Firenze.55
3. Il 24 novembre 1301, una volta i Neri al potere, il Consiglio dei
Cento estende la balìa già concessa ai Priori, autorizzandoli a prelevare
denaro dalla cassa del Comune per offrirlo a Carlo in ringraziamento
per il suo ruolo di paciere (non sappiamo purtroppo quale fu l’ammontare della somma esatta).56
Cfr. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., p. 263.
Cfr. PETIT, Charles de Valois, cit., pp. 64-76; DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., pp. 263-266.
54
COMPAGNI, Cronica, cit., II VI 21, p. 59: «Ordinorono e procurorono i Guelfi neri che messer Carlo di Valos, che era in Corte, venisse in Firenze: e devesi il diposito, per soldo suo e de’ suoi
cavalieri, di fiorini .lxxm.; e condussollo a Siena».
55
Ivi, II VII 29, p. 60: «Quelli che ’l conduceano s’affrettarono, e di Siena il trassono quasi per
forza; e donaronli fiorini .xvijm. per avacciarlo».
56
ASF, Provvisioni, XI, c. 80r (e non 78v come nota Petit, o 87v come scrive Davidsohn):
«Item quod ipsi domini priores et vexillifer possint eisque liceat ac etiam potuerint, eisque licuerit
illustri principi domino Karolo filio olim serenissimi domini regis Francorum pro beneficiis ac
etiam bono statu, per Dei gratiam et sua cohoperante strenuitate et potentia, populo et communi
Florentie nuper collatis pro ipso comuni donate seu per modum doni et remunerationis, aut
quocumque alio modo et causa, eisdem placuerit et videbitur in pecunia seu aliis rebus providere
seu providisse in quantitate et modo et forma et prout et sicut ad excellentiam ipsius domini
Karoli et ad honorem comunis Florentie viderint et cognoverint pertinere quodlibet et spectare».
52
53
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
299
Le cifre da noi conosciute con più esattezza sono tuttavia legate a
sovvenzioni e doni realizzati dal 27 gennaio 1302:
4. Il 27 gennaio 1302 riceve in qualità di pacificatore, tramite Jean
de Condé, 8.000 fiorini d’oro dal Comune.57
5. L’11 febbraio riceve in qualità di pacificatore, tramite Jean de
Condé, 12.000 fiorini d’oro dal Comune.58
6. Il 13 febbraio, partendo per Roma, incarica Jean de Condé e Jean
d’Allones di riscuotere a suo nome la somma dovuta per quattrocento
uomini armati. Il 23 febbraio, il 2, il 9 e il 15 marzo, riceve 2.000 fiorini
d’oro e un’ultima volta, il 31 marzo, 2971 fiorini d’oro, per un totale di
circa 15.000 fiorini d’oro.59
Partito il 13 febbraio, arriva a Roma l’11 marzo presso il papa: lì
Carlo chiede del denaro a Bonifacio, il quale risponde che «l’avea messo nella fonte dell’oro»,60 come riferisce Compagni. Carlo ritorna a Firenze il 18 marzo.61
57
ASF, Capitoli, XLIII, c. 185r: «Hoc est exemplum quarumdam licterarum mangnifici
principis domini Karoli filii Fancorum regis. Quarum licterarum tenor talis est. Nos Karolus
[…] in Tuscia paciarius per sedem apostolicam deputatus notum facimus prioribus artium et
vexillifero iustitie et camerariis populi et comunis Florentie et dicto populo et comuni et etiam
universis presentiam paginam inspecturis quod habuimus et recepimus per manus dilecti
tesaurarii nostri magistri Johannis de Condeto octomilia florinorum auri […]. Sub anno Domini
millesimo trecentesimo secundo […] die xxvii Januarii».
58
ASF, Capitoli, XLIII, c. 185v: «Hoc est exemplum quarumdam licterarum mangnifici
principis domini Karoli filii Fancorum regis. Quarum licterarum tenor talis est. Karolus […]
paciarius in Tuscia per sedem apostolicam deputatus notum facimus prioribus artium et vexillifero
iustitie et […] camerariis populi et comunis Florentie et dicto populo et comuni ac etiam universis
presentiam paginam inspecturis quod nos habuimus et recepimus per manus dilecti tesaurarii
nostri magistri Johannis de Condeto duodecimilia florinorum auri […]. Sub annis incarnationis
domini millesimo trecentesimo primo [sed secundo][…] die xi Februarii».
59
ASF, Capitoli, XLIII, c. 185v: «Hoc est exemplum quarumdam licterarum magnifici
principis domini Karoli filii Fancorum regis. Quarum licterarum tenor talis est. Karolus […]
paciarus Tuscie per sedem apostolicam deputatus, notum facimus quod nos facimus, constituimus
et ordinamus Johannem de Alumpna, militem, magistratum hospitii nostri, et Johannem de
Condeto, tesaurarium nostrum, nostros procuratores speciales ad contrahendum mutum pro
nobis et nomine nostro, et nos propter hoc efficaciter obligandum; et specialiter ad exigendum
et recipiendum summas pecuniarum quas dilecti priores artium et vexillifer iustitie et comune
populi Florentie eisdem solverint et tradiderint de illa residua pecunie summa in qua nobis tenetur
idem comune Florentie ex promissione et donatione nobis facta pro stipendiis quadringentorum
equitum persolvendis […]. Data Florentie, die tertiodecimo februarii, anno Domini millesimo
trecentesimo secundo». C. 186r: 23 febbraio e 2 marzo; c. 186v: 9 e 15 marzo; cc. 187r e 187v:
31 marzo. La somma sembra ammontare a 2.000 a settimana, per sei settimane a cui si devono
aggiungere 2.971 fiorini riscossi l’ultima settimana.
60
COMPAGNI, Cronica, cit., II XXV 115, p. 73: «Poi che messer Carlo di Valos ebbe rimesso
parte nera in Firenze, andò a Roma: e domandando danari al papa, gli rispose che l’avea messo
nella fonte dell’oro».
61
Cfr. PETIT, Charles de Valois, cit., p. 73, nn. 2, 3 e 4; DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., p. 285.
300
DELPHINE CARRON
7. Il 26 marzo 1302, il Comune vota un dono di 10.000 fiorini d’oro,
per aiutarlo nella sua spedizione in Sicilia. Questo dono fu pagato in due
rate: il 31 marzo furono pagati 1.000 fiorini, e il 5 aprile 9.000 fiorini.62
Anche in seguito alla sua partenza definitiva da Firenze, prima di
metà aprile, Carlo continua a ricevere denaro dal Comune di Firenze:
8. Il 10 dicembre 1302 si fa votare un dono di 20.000 fiorini d’oro.63
9. Il 10 ottobre 1303, ottiene ancora 5.000 fiorini d’oro dai soci del
fuggiasco della parte Bianca Manetto della Scala. I soci temevano infatti che una condanna di Manetto mettesse in discussione il prestigio
della loro compagnia in Francia.64
10. A questo si aggiungono 3.200 fiorini ritirati per via di ammende
e 24.000 fiorini d’oro di confisca, secondo Compagni.65
Tenendo conto del fatto che non abbiamo potuto calcolare tutte le
entrate ricevute, poiché per alcune non disponiamo di somme certe, e
tenendo anche conto degli 87.000 fiorini d’oro dati prima del suo arrivo
e dei 27.200 fiorini d’oro appena citati – anche se queste informazioni,
trasmesse solo dal Compagni, possono essere messe in discussione –, il
totale delle somme prelevate da Carlo raggiunge la rispettabile cifra di
184.200 fiorini d’oro. Per provare a immaginarci ciò che questa somma
poteva rappresentare a quell’epoca, si può notare che, secondo Giovanni Villani, le spese della Repubblica di Firenze negli anni 1336-1338
ammontavano a 73.410 fiorini d’oro per anno,66 vale a dire due volte
e mezzo meno della somma versata dai fiorentini per Carlo di Valois.
Questa sarebbe stata «la rea intenzione» in Toscana di questo novello
62
ASF, Libri Fabarum (Consulte), V, cc. 25v-26r; Provvisioni, XI, cc. 108v-109r e Capitoli,
XLIII, c. 187r (1000 fiorini, 31 marzo) e f. 189r (9000 fiorini, 5 aprile): «hoc addo quod mille
florenos auri nuper die videlicet ultima mensis Marcii prout pretiis per eos nobis de dicta summa
decem milium florinorum auri, de quibus nostras patentes litteras habent iusta summa decem
milium florinorum voluimus computari».
63
ASF, Libri Fabarum (Consulte), V, c. 37r: «In consilio Centum virorum proposuit dominus
capitaneus, presentibus prioribus et vexillifero de xxm florenis auri dandis domino K., vel alio pro
eo».
64
ASF, Provvisioni, XII, c. 45r: «Item illis societatibus mercatoribus et personis singularibus
qui et que mutuaverunt dicto comuni quinque milla florenum auri quos dicti mercatores et persone
pro dicto comuni solverunt in Francia magnifico principi domino Karolo filio regis Francie». Cfr.
DAVIDSOHN, Storia di Firenze, cit., p. 291, e COMPAGNI, Cronica, cit., II XXV 118, p. 74.
65
COMPAGNI, Cronica, cit., II XX 92 e XXV 120, pp. 70 e 74.
66
VILLANI, Nuova cronica, cit., XII 93, vol. III, pp. 194-197. Si veda a questo proposito J.C.L.
SIMONDE DE SISMONDI, Histoire des Républiques italiennes du Moyen Âge, Zürich, Gesner, 1809,
vol. 5, p. 367, n. 1.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
301
Giuda, traditore e avido, «signore di grande e disordinata spesa»:67 arricchirsi a spese dei fiorentini.
4. Carlo di Valois, il principe male accorto e dannoso (Purg. XX 76-78)
Per quanto riguarda la terza terzina, un paragone tra il giudizio
di Dante e quello del domenicano fiorentino Remigio dei Girolami68
a proposito della vana e nociva venuta di Carlo di Valois a Firenze e
della sua avidità di conquista in terra d’Italia può essere illuminante.
Sarebbe stato più usuale accostare il passaggio della Commedia alla deplorazione di Dino Compagni a proposito de «il sangue di così alta
corona fatto non soldato ma assassino»,69 o al famoso motto di Giovanni Villani: «Messer Carlo venne in Toscana per paciaro, e lasciòe il
paese in guerra; e andòe in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace».70 Tuttavia, essendo meno conosciuta l’opera di Remigio dei
Girolami, una sua lettura parallela71 a quella del poeta può arricchire la
comprensione del giudizio dantesco.
A Santa Maria Novella, unico convento domenicano fiorentino all’inizio del Trecento, giungevano sovrani e grandi della terra in visita
ufficiale, ricevendovi il saluto dei padroni di casa. La Signoria aveva infatti l’abitudine di accogliervi gli ospiti illustri. Fra i numerosi discorsi
COMPAGNI, Cronica, cit., II XX 90, p. 70.
A proposito di Remigio dei Girolami, è utile consultare CH.T. DAVIS, An Early Florentine
Political Theorist: fra Remigio de’ Girolami, in «Proceedings of the American Philosophical
Society», 104 (1960), pp. 662-676; CH.T. DAVIS, Remigio de’ Girolami O.P. (d. 1319) Lector of
S. Maria Novella in Florence, in Le scuole degli ordini mendicanti (secoli XIII-XIV), Atti del XVII
Convegno internazionale (Todi, 11-14 ottobre 1976), Spoleto, Centro di Studi sulla Spiritualità
Medievale, 1978, pp. 281-304; S. GENTILI, Remigio de’ Girolami, in Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2001, vol. 56, pp. 531-541; E. PANELLA, Per
lo studio di fra Remigio de’ Girolami (†1319), in «Memorie domenicane», 10 (1979); E. PANELLA,
Nuova cronologia remigiana, in «Archivium fratrum praedicatorum», 60 (1990), pp. 145-311.
69
COMPAGNI, Cronica, cit., II XVIII 83, p. 69.
70
VILLANI, Nuova Cronica, cit., IX 50, p. 82.
71
Esercizio già provato in D. CARRON, Remigio de’ Girolami dans la Florence de Dante (12931302), in «Reti Medievali», 18, 1 (2017), pp. 443-471 online: http://www.rmojs.unina.it/index.
php/rm/article/view/5150/5767 (consultato il 1° maggio 2018). Vedi anche D. CARRON, Influences
et interactions entre Santa Maria Novella et la Commune de Florence. Un cas d’étude: les sermons
de Remigio de’ Girolami (1295-1301), in The Dominicans and the Making of Florentine Cultural
Identity, a c. di J. BARTUSCHAT, E. BRILLI, D. CARRON, Firenze, Reti Medievali-Firenze University
Press, in c.d.s.
67
68
302
DELPHINE CARRON
rivolti a forestieri importanti da Remigio dei Girolami, lettore per circa
quarant’anni della scuola conventuale e poi dello studium generale annesso al convento, si è conservato anche quello per Carlo di Valois. Secondo Villani, che lo presenta come un ricordo personale, la domenica
seguente l’ingresso di Carlo, e cioè la domenica del 5 novembre,72 le
autorità fiorentine, in solenne assemblea in Santa Maria Novella, concedono pieni poteri a Carlo, il quale giura di tenere la città in pace.73 A
partire dallo stesso giorno, come sappiamo, Firenze cade preda della
violenza scatenata dal rientro di Corso Donati.
In questo caso abbiamo dunque a che fare con un giudizio ancora
ante eventum, e non post eventum, come in Dante (o Compagni, o Villani), ma che tradisce già un’indecisione mista a sospetto, quale quella
in cui dovettero trovarsi i Bianchi fiorentini. Non è infatti esagerato associare la parola del predicatore domenicano allo schieramento bianco,
in cui occupa un ruolo di primissimo piano la sua famiglia appartenente all’Arte della Lana: suo nipote Mompuccio è infatti nominato priore
nell’agosto 1300, e il suo altro nipote Girolamo è eletto accanto a Compagni nell’ultimo priorato bianco, il 7 ottobre 1301, priorato che sarà
deposto dai Neri il 5 novembre.74 Inoltre, anche l’analisi dei suoi sermoni fa emergere la stretta vicinanza di Remigio ai Bianchi moderati.75
In conformità all’uso del tempo, i sermoni tenuti dal lettore domeni-
72
Se non volessimo collocare il sermone proprio in occasione dell’assemblea del 5 novembre
in Santa Maria Novella (anche se questa pare l’occasione più congrua), certamente il sermone fu
predicato tra il 1 e il 5 di questo mese. Per il contesto di questa predica si veda E. PANELLA, Dal
bene comune al bene del comune. I trattati politici di Remigio dei Girolami nella Firenze dei bianchi-neri, in «Memorie Domenicane», 102 (1985), n.s., 16, e T. RUPP, The Elephant In and Out of
the Room: Remigio dei Girolami’s Responses to Charles de Valois, in «Medieval Sermon Studies»,
59 (2015), pp. 57-73, in part. pp. 62-67.
73
VILLANI, Nuova Cronica, cit., IX 39, pp. 76-77: «E lui riposato e soggiornato in Firenze
alquanti dì, sì richiese il Comune di volere la signoria e guardia de la cittade, e balìa di potere pacificare i Guelfi insieme. E ciò fu asentito per lo Comune, e a dì v di novembre nella chiesa di Santa
Maria Novella, essendosi raunati podestà, e capitano, e’ priori, e tutti i consiglieri, e il vescovo, e
tutta la buona gente di Firenze, e della sua domanda fatta proposta e deliberata, e rimessa in lui la
signoria e la guardia della città. E messer Carlo dopo la sposizione del suo aguzzetta di sua bocca
accettò e giurò, e come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico e buono stato; e io
scrittore a queste cose fui presente».
74
Cfr. S. RAVEGGI, I Priori e i Gonfalonieri di Firenze, i Dodici e i Gonfalonieri delle Compagnie (1282-1343); online: Storia di Firenze, <http://www.storiadifirenze.org/wp-content/
uploads/2013/07/14-priori.pdf> (consultato il 25 gennaio 2019). Si rimanda anche a CARRON, Remigio de’ Girolami, cit., p. 447, e la bibliografia lì citata.
75
Si veda a questo proposito CARRON, Remigio de’ Girolami, cit.
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
303
cano per i grandi laici sono costruiti a partire da un thema, un versetto
biblico, che nel caso di Carlo di Valois, è «Accingere gladio tuo super femur tuum, potentissime; specie tua et pulcritudine tua intende prospere
procede et regna» (Ps 44, 4-5) [«Cingi la tua spada al tuo fianco, o potentissimo; nello splendore della tua bellezza mira alla prosperità, procedi e regna», Ps 45, 4-5].76 Grazie a diversi indizi che si possono trovare
tra le parole di circostanza, il sermone di Remigio sembra riflettere il clima di incertezza, di sospetto e di diffidenza dei Guelfi bianchi sul punto
di perdere il potere. Innanzitutto in modo negativo, e cioè attraverso
la reticenza:77 stranamente, Remigio non pronuncia una sola parola sul
ruolo di Carlo a Firenze, ma incentra apparentemente il suo discorso
sulla missione di Carlo in Sicilia, dove avrebbe potuto costituire un regno. Inoltre, indicativo è l’incipit del suo discorso: «chiunque volgia raggiungere la propria meta deve porre congruo ordine al proprio percorso».78 Questo principio è provato tanto attraverso l’autorità della Fisica
di Aristotele (III 1 201a11), secondo la quale «il moto definisce se stesso
a partir dal suo termine», che dalla Scrittura, nella quale si legge che
«una buona via conduce a buon termine, una cattiva ad un cattivo termine». Se, come afferma Remigio sulla base del salmo 44, il terminus de
l’«illustrissimo messer Carlo, fratello uterino del re di Francia, è quello
di conseguire un regno, di possedere un regno, di governare un regno,
e pertanto di regnare come re»,79 cosa ne è della via presa da Carlo, e
che lo condusse a Firenze? Se il terminus del motus di questo principe
‘senzaterra’ venuto dalla Francia è effettivamente ottenere un regno in
Sicilia, forse una deviazione a Firenze non entra in un «congruus ordo
in suo itinere». Ciononostante, Remigio sceglie l’interpretazione metaforica del viaggio e sceglie di giudicare della congruità dell’ordine del
movimento «in rapporto alle quattro facoltà dell’anima nostra».80
76
Manca, nel manoscritto, il riferimento preciso al salmo, aggiunto dall’editore Panella. Il
salmo 44 nella Vulgata è, nelle edizioni moderne, il salmo 45.
77
Cfr. PANELLA, Dal bene comune, cit., pp. 39-40.
78
REMIGIO DEI GIROLAMI, De allocutione vel receptione, De domino Carlo, ms. BN Firenze,
G4.936, f. 353ra-va, in PANELLA, Dal bene comune, cit., f. 353ra: «Quicumque vult ad debitum
terminum pervenire oportet quod congruum ordinem servet in suo itinere».
79
Ibid.: «Terminus autem intentus ad presens in persona preclarissimi viri domini Caroli qui
hic est, fratris uterini illustrissimi regis Francorum, est ut regnum adipiscatur, regnum possideat,
in regno dominetur, et sicut rex regnet. Qui quidem exprimitur in verbo proposito cum ultimo
dicitur et regna, necnon et premictitur congruus ordo per quem ad hunc terminum pervenitur».
80
Ibid.: «Et hoc quantum ad quatuor potentias anime nostre».
304
DELPHINE CARRON
Primo, quanto alla facoltà irascibile, messer Carlo deve far prova
di vigorosa tenacia (strenuitas vigorosa), cosa che si riferisce alla prima
parte del versetto del salmo: Cingi la tua spada al tuo fianco, o potentissimo. È la spada al suo fianco che deve usare il principe, come spiega
la glossa biblica, e certamente non quella altrui – ancor meno, direbbe
Dante, quella del traditore Giuda. E, aggiunge Remigio, Carlo è potente personalmente, ma più potente per stirpe regale, e potentissimo per
benevolenza papale. Deve quindi tenere presente questo fatto: non si
trova tra le mura di Firenze per virtù sua, ma per quella di suo fratello e del papa.81 In secondo luogo, quanto alla facoltà concupiscibile,
in rapporto all’espressione nello splendore della tua bellezza del salmo,
Carlo deve essere soprattutto bello d’animo, e cioè virtuoso, come fu
suo nonno Luigi IX, secondo Remigio, e in opposizione qui al giudizio
di Dante, secondo Enrico Fenzi,82 perché, come dice Aristotele nella
Politica (III 9 1285a16-20), uno che «virtuoso non lo è, non lo si dice
re ma tiranno».83 In terzo luogo, quanto alla volontà, in rapporto all’espressione mira alla prosperità, Carlo deve mirare «alla prosperità,
al profitto e all’utilità dei propri sudditi», non alla sua. «Altrimenti
non sarebbe re, ma tiranno, intento solo agli interessi personali», come
spiega la celebre definizione aristotelica della tirannia in Politica III 7
1279b6, intesa come governo d’uno solo che mira al bene proprio.84
Quest’insistenza sulla differenza tra un re e un tiranno acquista anche
un senso più forte se consideriamo che in questo caso ci troviamo di
81
Ivi, f. 353rb: «Et primo quidem quantum ad irascibilem, ut scilicet in persona eius sit
strenuitas vigorosa. Unde dicit Accingere gladio tuo super femur tuum, non solum gladio alieno
super femur alterius […]. Tu, domine Karole potentissime, qui quidem potens es ex persona
propria sed potentior ex prosapia regia sed potentissimus ex gratia apostolica».
82
Cfr. FENZI, Dante, il mal di Francia, cit., pp. 116-117.
83
REMIGIO DEI GIROLAMI, De domino Carlo, cit., f. 353rb: «Secundo tangitur congruus ordo
quantum ad concupiscibilem, ut scilicet in eo sit speciositas virtuosa quia specie tua et pulcritudine
tua. Regem enim decet esse speciosum corpore […]. Et decet esse pulcrum idest virtuosum
mente, scilicet castum et sobrium. Prov. 31[,4] “Noli regibus dare vinum”. Unde avus istius
sanctus Ludovicus dicitur respondisse medico persuadenti quod non poneret aquam in vino
utpote iam infrigidatus ex etate, “Malo – inquit – esse rex infirmus quam rex ebrius”. Sap. 4[,1]
“Quam pulcra est casta generatio” etc. Virtus enim est pulcritudo anime, secundum philosophos
et sanctos. Cant. 1[,15] “Pulcher es, dilecte mi”. Si enim non est virtuosus, non est dicendus rex
sed tirannus, secundum Philosophum».
84
Ibid.: «Tertio quantum ad quantum ad voluntatem, ut scilicet in ea sit intentio fructuosa.
Unde dicit intende prospere ut scilicet intentio referatur ad prosperum statum populi et fructum et
utilitatem subditorum suorum, alias non esset rex sed tirannus qui solum proprium commodum
attendit, secundum Philosophum».
IL PRINCIPE ‘SENZATERRA’: CARLO DI VALOIS
305
fronte a una delle uniche allusioni alla sua missione di paciere voluta da
Bonifacio. In effetti Remigio continua dicendo:
Sono certissimo che messer Carlo, per quanto spetta a lui, è qui venuto
totalmente suo malgrado, ma in obbedienza al sommo pontefice, e impegnato
più al vantaggio altrui che al proprio.85
Potremo interpretare questo qui / huc come riferito alla situazione
fiorentina, piuttosto che a quella più generale della campagna d’Italia,
a partire dal fatto che a priori gli interessi del principe francese sembravano piuttosto rivolgersi alla Sicilia. Inoltre, nonostante i superlativi certissime e invitissime, o proprio a causa loro, si scopre in questa proposizione una vera ironia antifrastica. Infine, in quarto luogo, quanto alla
facoltà della ragione che permette «ponderata decisione», in rapporto
all’espressione procedi, Remigio chiede a Carlo di non essere precipitoso
e temerario, ma di agire con prudenza. Come prima Aristotele, adesso altre autorità pagane quali Seneca, Cicerone e Svetonio, annunciano
messaggi inequivocabili. Con Seneca, Remigio dichiara a Carlo di Valois
che è «vergognoso lasciarsi trascinare dagli eventi e chiedersi stupito:
“come mai sono arrivato qui?”».86 Ritroviamo nuovamente questo stesso avverbio qui / huc che potrebbe fare riferimento a Firenze.
Remigio, insistendo apertamente nell’augurio di trovare un regno in
Sicilia – cosa peraltro che non accadde, anche a causa della malaccorta
spedizione militare azzardata nella torrida estate del sud: Remigio non
aveva provato a dissuaderlo dalla precipitazione?87 –, lascia intravedere
numerosi piccoli segni di diffidenza, di prevenzione contro il principe
‘senzaterra’, se non di ironia. Remigio mette in discussione la pertinenza della deviazione di Carlo per Firenze, e lo mette in guardia su diversi
punti: gli ricorda che egli è paciere di Firenze non in virtù del suo potere, ma di quello di suo fratello e più ancora di quello del papa; insiste
85
Ivi, f. 353va: «De isto autem credo certissime quod, quantum est pro persona sua,
invitissime huc venit sed ex obedientia summi pontificis, attendendo potius utilitatem aliorum
quam suam». Il corsivo è nostro.
86
Ibid.: «Quarto quantum ad rationem, ut scilicet in ea sit deliberatio ponderosa. Unde dicit
procede ut scilicet non subito et repentine operetur sed cum quadam maturitate processivi motus
et processionis. Unde Seneca ad Lucillum: “Turpe est non ire sed ferri, et subito in medio turbine
rerum stupentem querere ‘huc ego quomodo veni?’”».
87
Cfr. PANELLA, Dal bene comune, cit., p. 40.
306
DELPHINE CARRON
sul fatto che un re vizioso è un tiranno; gli ricorda che deve anteporre il
bene comune al proprio interesse; lo ammonisce a non precipitarsi nelle sue decisioni, se non vuole incorrere nel rischio di essere trascinato
là dove non avrebbe voluto e di pentirsene. Rispetto a Dante, la carica
di Remigio dei Girolami contro Carlo di Valois è ancora implicita, non
categorica, e meno articolata. Ciò può essere in parte dovuto al fatto
che il discorso di Remigio era ante eventum, o almeno in medio eventus.
Nonostante tutto, il sermone del domenicano di Santa Maria Novella conferma il giudizio dantesco a proposto della sconsideratezza del
principe francese.
Carlo, come si sa, lasciò in seguito agire il partito che il papa lo
aveva incaricato di sostenere. Tuttavia, pur fornendo l’appoggio delle
sue truppe, egli sembra restare indifferente a questa causa che non lo
interessava. Ed è sicuramente questo che Dante gli rimprovera più di
ogni altra cosa, in quest’ultima terzina del canto XX del Purgatorio: la
vergogna e il peccato che incombono su di lui sono tanto più pesanti in
quanto egli non ha mai compreso il pericolo reale che ha corso Firenze
e la gravità di una situazione che riguardava la Cristianità in generale.
Non ha potuto capire le conseguenze delle sue decisioni o non-decisioni, tutto preso com’era dalla sua bramosia di terre e di guadagno, dalla
sua «fame sanza fine cupa» (Purg. XX 12). Di fronte all’avidità e all’incongruenza del principe di sangue francese, sostenuto dal papato, che
mette in pericolo l’equilibrio politico del mondo cristiano, Dante, attraverso Ugo Capeto, spera di vedere il giorno in cui potrà essere «lieto» nel vedere la «vendetta» ancora «nascosa» che prepara il «Segnor»
e che farà «dolce l’ira» (Purg. XX 94-96) : la venuta del Veltro in Italia.