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Kollontaj e le altre – di Noemi Ghetti

2020, Left

All'alba del Novecento la battaglia per l'emancipazione femminile e per l'affermazione della democrazia dei soviet in Russia. La resistenza e il lungo sguardo delle donne sulla difficile lotta del socialismo per la conquista dell'uguaglianza Noemi Ghetti Mosca, 16 novembre 1918. Si inaugura, a un anno dalla rivoluzione d'ottobre, il Congresso panrusso delle operaie e delle contadine organizzato da Alexsandra Kollontaj e Inessa Armand, rivoluzionarie e agitatrici bolsceviche. L'una compagna di lotta di Lenin dal fatale 1905, l'altra incontrata a Parigi nel 1909, presto diventata sua amante e collaboratrice a fianco della fedele moglie Nadia Krupskaja. Ne erano attese 300, e a sorpresa arrivano 1147 delegate, in rappresentanza di un milione di lavoratrici, in gran parte operaie delle fabbriche tessili russe. Molte con figli al seguito da alloggiare e sfamare, in tempo di gelo e feroce carestia, con gli scarsi mezzi messi a disposizione dal partito. Nel 1908 a Pietroburgo, al primo congresso delle donne russe, Aleksandra e Inessa avevano già misurato la diffidenza dei compagni, che avevano imposto l'allontanamento di un gruppo di attiviste, nei confronti del movimento per i diritti femminili. Adesso, con la prospettiva di un consistente appoggio politico, sono riuscite a vincere le resistenze di Lenin che, pur convenendo sull'importanza della questione femminile, finora ha sempre ostacolato ogni progetto. Approdata a un'appassionata adesione al bolscevismo dalle rivendicazioni delle femministe borghesi e delle suffraggette di inizio secolo, Alexandra è anche una convinta assertrice del legame tra libero amore e reddito autonomo, e della necessità storica della formazione di una «donna nuova», sottratta alla tirannide del matrimonio tradizionale, che per le donne proletarie si traduce in una doppia forma di sfruttamento. Membro del governo rivoluzionario e prima donna ministro della storia, al suo impegno si devono grandi conquiste: l'equiparazione del salario delle donne a quello maschile, il diritto di voto e di essere elette, quello all'istruzione, al divorzio e all'aborto. E inoltre l'abolizione dell'autorità maritale, la parificazione dei figli naturali e una serie di provvedimenti sociali atti a proteggere la maternità: assistenza medica e legale per donne e bambini, asili per l'infanzia, lavanderie e mense pubbliche. Al punto che Lenin può affermare: «Nessuno stato, nessuna legislazione democratica hanno fatto per la donna la metà di ciò che ha fatto il potere sovietico durante i suoi primi mesi di esistenza». Ma le divergenze politiche cominciano presto, e non solo sulle rivendicazioni femminili, ma su fondamentali questioni di gestione economica e soprattutto di democrazia del partito. Nel marzo 1918 la Kollontaj manifesta, con i bolscevichi di sinistra, il suo dissenso nei confronti del trattato di Brest-Litovsk con la Germania, dimettendosi da commissaria del popolo. Al pari di Rosa Luxemburg, la leader della Lega spartachista assassinata nel gennaio successivo, critica l'ultracentralismo leninista. Nell'intervista sulla questione femminile rilasciata alla socialista tedesca e storica combattente per i diritti delle donne Clara Zetkin nel 1920, anno della drammatica morte di Inessa Armand, Lenin accusa come deviante e borghesemente pruriginosa l'attenzione riservata all'interno dei circoli bolscevichi alla questione della libertà sessuale e al diffuso problema della prostituzione. E non sfugge la pesante allusione alle teorie sessuali della pasionaria, implicita nella metafora del bere un bicchiere d'acqua, peraltro sporco e sbeccato. Nel marzo 1921 la Kollontaj condanna il sanguinoso intervento dell'Armata rossa per stroncare la rivolta dei marinai di Kronštadt, la grande base navale del Baltico, che chiedevano maggiore democrazia ai soviet. Ma la goccia che fa traboccare il vaso, in concomitanza con il varo della Nuova politica economica che nel 1921 reintroduce il libero mercato, è la pubblicazione della piattaforma dell'Opposizione operaia, in cui la Kollontaj a nome dei compagni svolge una critica spietata dei meccanismi di burocratizzazione e militarizzazione in atto nel partito, compiuta attraverso l'assimilazione surrettizia, negli uffici dello stato e nelle fabbriche, di "specialisti" che di fatto sono esponenti della

Kollontaj e le altre All’alba del Novecento la battaglia per l’emancipazione femminile e per l’affermazione della democrazia dei soviet in Russia. La resistenza e il lungo sguardo delle donne sulla difficile lotta del socialismo per la conquista dell’uguaglianza Noemi Ghetti Mosca, 16 novembre 1918. Si inaugura, a un anno dalla rivoluzione d’ottobre, il Congresso panrusso delle operaie e delle contadine organizzato da Alexsandra Kollontaj e Inessa Armand, rivoluzionarie e agitatrici bolsceviche. L’una compagna di lotta di Lenin dal fatale 1905, l’altra incontrata a Parigi nel 1909, presto diventata sua amante e collaboratrice a fianco della fedele moglie Nadia Krupskaja. Ne erano attese 300, e a sorpresa arrivano 1147 delegate, in rappresentanza di un milione di lavoratrici, in gran parte operaie delle fabbriche tessili russe. Molte con figli al seguito da alloggiare e sfamare, in tempo di gelo e feroce carestia, con gli scarsi mezzi messi a disposizione dal partito. Nel 1908 a Pietroburgo, al primo congresso delle donne russe, Aleksandra e Inessa avevano già misurato la diffidenza dei compagni, che avevano imposto l’allontanamento di un gruppo di attiviste, nei confronti del movimento per i diritti femminili. Adesso, con la prospettiva di un consistente appoggio politico, sono riuscite a vincere le resistenze di Lenin che, pur convenendo sull’importanza della questione femminile, finora ha sempre ostacolato ogni progetto. Approdata a un’appassionata adesione al bolscevismo dalle rivendicazioni delle femministe borghesi e delle suffraggette di inizio secolo, Alexandra è anche una convinta assertrice del legame tra libero amore e reddito autonomo, e della necessità storica della formazione di una «donna nuova», sottratta alla tirannide del matrimonio tradizionale, che per le donne proletarie si traduce in una doppia forma di sfruttamento. Membro del governo rivoluzionario e prima donna ministro della storia, al suo impegno si devono grandi conquiste: l’equiparazione del salario delle donne a quello maschile, il diritto di voto e di essere elette, quello all’istruzione, al divorzio e all’aborto. E inoltre l’abolizione dell’autorità maritale, la parificazione dei figli naturali e una serie di provvedimenti sociali atti a proteggere la maternità: assistenza medica e legale per donne e bambini, asili per l’infanzia, lavanderie e mense pubbliche. Al punto che Lenin può affermare: «Nessuno stato, nessuna legislazione democratica hanno fatto per la donna la metà di ciò che ha fatto il potere sovietico durante i suoi primi mesi di esistenza». Ma le divergenze politiche cominciano presto, e non solo sulle rivendicazioni femminili, ma su fondamentali questioni di gestione economica e soprattutto di democrazia del partito. Nel marzo 1918 la Kollontaj manifesta, con i bolscevichi di sinistra, il suo dissenso nei confronti del trattato di Brest-Litovsk con la Germania, dimettendosi da commissaria del popolo. Al pari di Rosa Luxemburg, la leader della Lega spartachista assassinata nel gennaio successivo, critica l’ultracentralismo leninista. Nell’intervista sulla questione femminile rilasciata alla socialista tedesca e storica combattente per i diritti delle donne Clara Zetkin nel 1920, anno della drammatica morte di Inessa Armand, Lenin accusa come deviante e borghesemente pruriginosa l’attenzione riservata all’interno dei circoli bolscevichi alla questione della libertà sessuale e al diffuso problema della prostituzione. E non sfugge la pesante allusione alle teorie sessuali della pasionaria, implicita nella metafora del bere un bicchiere d’acqua, peraltro sporco e sbeccato. Nel marzo 1921 la Kollontaj condanna il sanguinoso intervento dell’Armata rossa per stroncare la rivolta dei marinai di Kronštadt, la grande base navale del Baltico, che chiedevano maggiore democrazia ai soviet. Ma la goccia che fa traboccare il vaso, in concomitanza con il varo della Nuova politica economica che nel 1921 reintroduce il libero mercato, è la pubblicazione della piattaforma dell’Opposizione operaia, in cui la Kollontaj a nome dei compagni svolge una critica spietata dei meccanismi di burocratizzazione e militarizzazione in atto nel partito, compiuta attraverso l’assimilazione surrettizia, negli uffici dello stato e nelle fabbriche, di “specialisti” che di fatto sono esponenti della classe borghese prerivoluzionaria. Con il risultato della passivizzazione e della demotivazione dei lavoratori. E propugna la necessità della formazione della classe operaia, la più competente a dirigere le fabbriche nell’interesse del proletariato, attraverso un programma educativo di chiara impronta bogdanoviana, che prospetta «una semplice verità marxista»: un nuovo ordine economico anticapitalista. «Chiunque non creda nella forza creativa di un collettivo di classe – scrive – deve rinunciare alla ricostruzione comunista della società». L’Opposizione operaia fu messa al bando nel 1922, e Kollontaj rischiò l’espulsione dal partito. Prese nuovamente la via dell’esilio ottenendo poi, grazie alle sue preziose e collaudate doti diplomatiche, l’incarico di ambasciatrice in Svezia. Si salvò dalle purghe staliniane, sola della vecchia generazione bolscevica, mentre nel 1937 i vecchi compagni dell’Opposizione operaia furono tutti fucilati. Nel giugno 1922, poco dopo la condanna della Kollontaj, arrivava in Russia Gramsci. Durante la prima guerra mondiale la mancancanza di uomini, impegnati al fronte, aveva portato a impiegare a basso costo una massa di donne nelle fabbriche, dove le sezioni del Proletkult, l’Istituto di cultura proletaria fondato da Aleksandr Bogdanov, che ormai raggiungeva 500.000 iscritti, si erano moltiplicate. Se ne contavano addirittura 26 nel grande distretto tessile di Ivanovo Vosnossiensk, la «città delle spose» squassata da sanguinosi scioperi, dove Gramsci, che veniva dall’esperienza dei consigli di fabbrica, fu inviato da Mosca per una serie di conferenze. Fondatore di una sezione torinese del Proletkult, da sempre sensibile alla necessità dell’emancipazione femminile, giunto a Mosca aveva presto coinvolto la giovane Iulca Schucht, che lo accompagnava nella missione, nel progetto di traduzione italiana del romanzo-utopia di Bogdanov Stella rossa, popolarissimo in Russia. A Torino aveva lasciato la fidatissima Pia Carena, anima segreta de l’Ordine Nuovo, e le compagne Camilla Ravera, Teresa Noce, Rita Montagnana, attiviste del movimento femminile e cuore della resistenza alle squadracce fasciste, che in quel tragico 1922 aggredivano i militanti comunisti, devastando sedi di partito e redazioni di giornali. Saranno tutte, alla caduta del fascismo e della monarchia, tra le madri costituenti della Repubblica. In Italia come in Russia, collettivismo e solidarietà erano qualità che Gramsci sapeva spontaneamente catalizzare, anche e innanzitutto nelle donne, da sempre le meno inclini a ogni scissione. La stretta autoritaria, intanto, si faceva sempre più forte: nel settembre 1923 Bogdanov fu arrestato dalla Ceka. Rilasciato dopo un mese e mezzo, visse fino al 1928 restando lontano dalla vita politica. Gramsci fu arrestato nel 1926, e ancora in una donna, Tatiana Schucht, trovò il referente di fiducia della sua lunga prigionia. La resistenza è donna. Loro, le donne combattenti per il socialismo, finché vissero non cessarono mai di lottare, unite nella profonda convinzione che la liberazione delle donne dalla sudditanza maschile sia la componente fondamentale dell’emancipazione di chi, dalla storia, è sempre stato escluso. * L’articolo è stato pubblicato sul settimanale Left n. 1, 3 gennaio 2020