Materiali e documenti
Studi politici
L’Europa della crisi
a cura di
Maria Cristina Marchetti
University Press
Collana Materiali e documenti
46
Serie Studi politici
L’Europa della crisi
a cura di
Maria Cristina Marchetti
2019
Volume pubblicato con il finanziamento del Dottorato in Studi Politici
Copyright © 2019
Sapienza Università Editrice
Piazzale Aldo Moro 5 – 00185 Roma
www.editricesapienza.it
[email protected]
Iscrizione Registro Operatori Comunicazione n. 11420
ISBN 978-88-9377-119-1
DOI 10.13133/9788893771191
Pubblicato ad agosto 2019
Quest’opera è distribuita
con licenza Creative Commons 3.0
diffusa in modalità open access.
In copertina: Commissione europea, particolare. Foto di Elania Zito
Indice
Introduzione
1
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
(di Vanessa Bilancetti)
9
1.1. Introduzione
9
1.2. Quadro concettuale
11
1.3. Il processo di negoziazione del Trattato:
un attacco fallito alle costituzioni nazionali
17
1.4. Una macchina di governo fiscale
20
1.4.1. Il meccanismo correttivo automatico
23
1.4.2. Autorità indipendenti a livello nazionale
24
1.5. Conclusioni
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione? Dai tavoli
di Bruxelles alla leadership di Mario Draghi (di Elania Zito)
26
31
2.1. La Banca Centrale Europea: la nuova governance
economica europea
31
2.2. Un nuovo Presidente, una nuova
Banca Centrale Europea
33
2.3. L’analisi della politolinguistica applicata
ai discorsi di Mario Draghi
35
2.4. Il linguaggio politico di Mario Draghi: l’analisi
38
3. I tentativi britannici per entrare a far parte della
Comunità Europea. Un’analisi storica in prospettiva Brexit
(di Stefania Rampello)
3.1. La Gran Bretagna e i primi progetti in ambito europeo
53
53
vi
L’Europa della crisi
3.2. Le domande di adesione da parte britannica
alle Comunità Europee
58
3.3. I Britannici in Europa: Brexit o non Brexit?
67
4. L’euroscetticismo nel Parlamento europeo: il Front National,
la Lega Nord e l’UKIP (di Marianna Clelia Fazzolari)
75
4.1. Introduzione
75
4.2. Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen
77
4.3. La Lega Nord tra etnoregionalismo ed euroscetticismo
85
4.4. Lo United Kingdom Independence Party
e il withdrawal britannico
94
4.5. Conclusioni
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia.
Recenti sviluppi dell’estremismo di destra (di Andrea Grippo)
100
105
5.1. Introduzione
105
5.2. L’estensione sociale dell’estremismo di destra
108
5.3. Alternative für Deutschland, l’estrema destra
in Parlamento
120
5.4. Patrioti Europei contro l’islamizzazione
dell’Occidente, l’estrema destra per le strade
127
5.5. Conclusioni
130
Introduzione
Dal 23 al 26 maggio i cittadini europei si sono recati alle urne per
eleggere il Parlamento europeo che resterà in carica fino al 2024. Le
elezioni del 2014 erano state il banco di prova dell'Europa della crisi e
delle politiche di austerity scelte per affrontarla; quelle attuali da una
parte confermano questo risultato e dall'altra sembrano già superarlo,
indicando altri percorsi. Nel 2014, l'euroscetticismo a volte latente
nella società europea si era trasformato in vero e proprio antieuropeismo, che da una parte ha fatto registrare la più bassa affluenza alle
urne mai verificata per questa tipologia di elezioni (42,59%) e dall'altra ha portato all'ascesa di partiti euroscettici vecchi e nuovi.
Parlare di antieuropeismo come di un fenomeno indistinto è una
semplificazione che non aiuta a comprendere la diversità delle posizioni, più volte evidenziate dalla letteratura sul tema, che si celano
dietro questa formula. La natura composita dell'euroscetticismo rende infatti difficile una sua interpretazione univoca1: non tutti coloro
che si riconoscono in un'etichetta euroscettica sono contrari al progetto europeo, quanto piuttosto alla forma che esso ha assunto e a quella
che viene indicata come la deriva neo-liberista e tecnocratica.
Sul piano politico, le elezioni del 2014 hanno restituito un quadro molto frammentato dell'euroscetticismo: il Front National divenne il primo
partito in Francia (24,86%), il Partito olandese per la Libertà (13,32%), l'Ukip in Gran Bretagna (26,77%), il Finns Party in Finlandia (12,90%), il Parti1
L. Hooghe, "What drives Eurosceptcism?", European Union Politics, 8 (1), 2007, pp.
5-12; P. Taggart, A. Szczerbiak, Opposing Europe? The comparative party politics of
Euroscepticism, Oxford, Oxford University Press, 2008; C. Sørensen, Love, love me
not … A typology of public Euroscepticism, SEI Working Paper, n. 101, 2008.
2
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
to popolare danese (26,60%) la Lega nord (6,16%) e il Movimento 5Stelle
(21,16%) in Italia, ma anche partiti poi confluiti nel gruppo della sinistra
europea quali Podemos in Spagna che, pur essendo alla sua prima presenza in assoluto in una tornata elettorale, ottenne un buon risultato (7,97%);
Syriza divenne il primo partito in Grecia (26,60%).
La crisi economica non è stata il solo elemento che negli ultimi anni
ha minato le fondamenta dell'Europa. Tra il 2015 e il 2016 l'acuirsi della
crisi dei migranti sul fronte mediterraneo e su quello orientale ha posto
l'Europa davanti alla sua incapacità di intervenire su questo tema. La crisi siriana e quella libica hanno fatto aumentare il numero degli sbarchi e
dei naufragi nel Mediterraneo e nell'Egeo; il 18 aprile 2015 il naufragio di
un'imbarcazione al largo della Libia ha fatto registrare circa 800 vittime;
negli stessi mesi si intensifica il transito di rifugiati sulla rotta balcanica,
che diviene ben presto la porta d'ingresso all'Europa.
Nell'agosto del 2015 la Cancelliera tedesca Angela Merkel annuncia che il Governo tedesco sospenderà il Trattato di Dublino e aprirà
le porte della Germania a tutti i rifugiati siriani entrati nel territorio
dell'Ue, mentre l'Ungheria di Viktor Orban annuncia la costruzione
di un muro anti-migranti. Nel settembre del 2015 la Commissione
presenta al Consiglio una proposta di redistribuzione dei migranti,
che il Consiglio approva il 22 settembre 2015 a maggioranza, con il
voto contrario dei paesi del gruppo di Visegrád.
Tra il 2015 e il 2017 l'Europa deve fare i conti con il terrorismo di
matrice islamica. La serie di attentati si apre con la strage presso la
sede del giornale satirico Charlie Hebdo (7 gennaio 2015), cui fa seguito l'attentato al Bataclan a Parigi (13 novembre 2015) in cui hanno trovato la morte novanta persone. L'anno dopo a Bruxelles (22 marzo
2016), due attentati coordinati provocano trentadue morti. Nello stesso anno a Nizza (14 luglio 2016), durante le cerimonie previste per la
Festa Nazionale un camion lanciato a tutta velocità provoca ottantasei morti tra i turisti e residenti a passeggio sulla Promenade des Anglais. Sempre nel 2016, a Berlino (19 dicembre 2016) un veicolo uccide
dodici persone tra i banchi di un mercatino di Natale.
Nel 2017 a Barcellona (17 agosto 2017), un furgone si lancia sulla
folla a passeggio sulla Rambla, provocando quindici morti.
I dati dell'Eurobarometro registrano prontamente la reazione dell'opinione pubblica europea. Nell'Eurobarometro dell'autunno 2015 la voce
terrorismo guadagna otto punti percentuali, salendo al 25% e collocan-
Introduzione
3
dosi al secondo posto dopo l'immigrazione tra i temi più rilevanti di cui
dovrebbe occuparsi l'Unione europea; nella primavera del 2016, guadagna altri 14 punti percentuali, salendo al 39%2. Vale la pena sottolineare
che nella primavera del 2014 il dato era al 6%, collocandosi all'ottavo posto tra i temi considerati prioritari dai cittadini europei.
Da ultimo, il 23 giugno 2016 il Regno Unito con un referendum
indetto dal Primo Ministro David Cameron, vota a favore dell'uscita
dall'Unione europea. Sul piano simbolico l'impatto sul resto dell'Europa è molto forte: il processo di integrazione europea non appare
più come un percorso a senso unico, ma può essere messo in discussione fino all'estrema conseguenza di portare il proprio paese fuori
dall'Ue. Si apre così la lunga trattativa, non ancora conclusa, per la
Brexit, l'uscita di fatto del Regno Unito dall'Ue che, se da una parte
vede impegnate le istituzioni europee negli ultimi due anni3, dall'altra ha visto ridimensionati gli entusiasmi dei sostenitori di altre
"exit", viste le difficoltà e le incognite che tale processo pone davanti.
Gli anni trascorsi tra le due ultime tornate elettorali sono stati cruciali
per l'Ue, ne hanno evidenziato i limiti e le contraddizioni, lasciando in
eredità al nuovo assetto istituzionale molte questioni non risolte.
La tornata elettorale 2019 ha fotografato questa realtà. Rispetto alla compagine variegata uscita dalle elezioni del 2014, ha paradossalmente dato una risposta più netta, convogliando l'euroscetticismo
verso un percorso più uniforme: il sovranismo, non di rado a base
nazionalista e xenofoba. I cittadini europei, davanti alle risposte che
l'Europa spesso non ha saputo dare, hanno scelto lo spazio rassicurante dello stato-nazione, rivendicando un recupero di sovranità da
parte dei governi nazionali.
Il risultato elettorale da questo punto di vista è alquanto eloquente.
Si registrano le conferme di alcuni partiti: Fidesz che guadagna un
punto percentuale in Ungheria (52,14) rispetto al 2014, Alternative für
Deutschland (11%), Front National (oggi Rassemblement National) che
perde un punto percentuale, ma si conferma primo partito in Francia
alle europee (23,31%). Nigel Farage rinuncia a partecipare alle elezioni
2
Standard Eurobarometer 84, Autumn, 2015.
3
Dopo un travagliato iter interno, il 29 marzo 2017 l'ambasciatore britannico presso
l'Unione europea ha consegnato al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk
la lettera del Primo Ministro britannico Theresa May, dando così avvio
all'attivazione della procedura prevista dall'art. 50 del Trattato di Lisbona.
4
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
nelle file dello Ukip e fonda un suo partito che ha come unico punto
del programma il completamento della Brexit: da solo ottiene il 30, 74%
dei voti, divenendo di fatto il primo partito del Regno Unito.
Altri partiti escono ridimensionati dalla tornata elettorale: il
M5Stelle perde 10 punti percentuali (17%), Jobbik (6,41%) e Alba Dorada (4,88%) dimezzano il loro elettorato, Syriza, il partito di Alexis
Tsipras, non è più il primo partito in Grecia. Accanto a questi si colloca l'ascesa di altri partiti, primo fra tutti la Lega di Salvini (34,33) e
Vox in Spagna (6,20%) alla sua prima esperienza europea. Sembra
che i cittadini in molti casi abbiano applicato alle elezioni europee la
regola del "voto utile", facendo convergere su grandi partiti sovranisti
i loro voti e rinunciando a posizioni più radicali e frammentate.
Il Parlamento europeo uscito da queste elezioni è alquanto modificato rispetto a quello del 2014. Il Ppe e i S&D non sono più in grado
di raggiungere da soli la maggioranza e hanno bisogno di fare alleanze con i Liberali dell'Alde (rinominati Renew Europe dopo l'entrata
del partito di Macron) o i Verdi, i veri vincitori delle elezioni europee,
che passano da 50 seggi del 2014 a 74 dell'attuale Parlamento. I partiti
sovranisti, che nella precedente legislatura avevano costituito, non
senza difficoltà, il gruppo dell'Europa delle Nazioni e delle Libertà
(Enf) con 58 seggi, hanno dato vita a un nuovo gruppo parlamentare
denominato Identity&Democracy (con 73 seggi). Malgrado il loro rafforzamento numerico essi risultano però ancora frammentati: al nuovo gruppo mancano infatti i numeri dello Ukip di Farage, dei polacchi del presidente Kaszynski, degli spagnoli di Vox, ma soprattutto è
mancato l'apporto di Viktor Orban.
Per quanto possa apparire controcorrente nell'Europa del XXI secolo, la risposta sovranista affonda le sue radici nella storia passata e recente del continente. Da una parte ripropone vecchie ideologie, non di
rado apertamente razziste e xenofobe, a base nazionalista; dall'altra cavalca il malcontento di chi rimprovera all'Europa di non aver saputo
gestire la crisi economica se non con politiche di austerità, di essersi
trovata impreparata davanti all'intensificarsi dei fenomeni migratori.
L'Europa del 2019 è ancora l'Europa della crisi che, parafrasando il
titolo di questo volume, si trasforma nella crisi dell'Europa. Se nel
2014 la rabbia si è manifestata in un euroscetticismo scomposto e disaggregato che ha attraversato trasversalmente i partiti europei, nel
2019 molti cittadini hanno intravisto nel ritorno allo stato-nazione la
Introduzione
5
soluzione ai problemi che affliggono il continente. L'Unione europea,
a torto o a ragione, diviene il simbolo di un mondo globalizzato, senza confini, che esclude più di quanto include e che non è più in grado
di fornire sicurezze e strumenti di protezione4.
A partire da questo scenario di fondo, il volume attraverso i contributi di giovani studiosi, ripercorre le tappe che hanno condotto alla
situazione attuale, alla ricerca di fenomeni che hanno caratterizzato
fin dalle origini la storia dell'Unione europea o che sono maggiormente legati ai cambiamenti socio-politici scaturiti dalla crisi economica e dalle politiche di austerity.
I saggi contenuti in questo volume, utilizzando metodologie e
prospettive teorico-disciplinari diverse, ripercorrono le tappe di una
crisi che non è solo economica, ma è anche una crisi di idee e di visioni su quale direzione dare al processo d'integrazione. È una crisi
motivazionale propria di chi non vede più nel progetto europeo una
soluzione adeguata ai nuovi scenari geopolitici globali.
I saggi di Vanessa Bilancetti ed Elania Zito si soffermano ad analizzare la gestione della crisi economica. Vanessa Bilancetti inserisce
l'analisi degli strumenti di gestione della crisi economica all'interno
del quadro teorico delle teorie critiche dell'integrazione europea e "in
particolare rielabora alcune categorie foucaultiane e l'uso che ne è stato fatto nelle relazioni internazionali e nell'analisi dell'integrazione
europea". Il Trattato sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance (TSGC), in quanto parte della Nuova Governance Europea
(NGE) è analizzato attraverso la categoria foucaultiana della governamentalità, che individua in questo strumento della governance
economica una "macchina di governo fiscale".
Il saggio di Elania Zito affronta lo stesso tema, ma da una prospettiva radicalmente diversa. Attraverso gli strumenti metodologici elaborati dalla politolinguistica critica, ovvero la Critical Discourse Analysis (CDA), l'autrice analizza il linguaggio politico di Mario Draghi,
il Presidente della Banca Centrale Europea, in un arco temporale
compreso tra il suo insediamento a novembre 2011 e settembre 2016.
Attraverso l'analisi di discorsi istituzionali e informali tenuti in occasioni pubbliche, la ricerca ha avuto come obiettivo quello di evidenziare il ruolo politico svolto dal Presidente della BCE nei passaggi
4
T. Vissol, Europa Matrigna. Sovranità, identità, economie, Roma, Donzelli, 2019.
6
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
cruciali della crisi. La celebre frase pronunciata in occasione della
Global Investment Conference, tenutasi a Londra il 26 luglio 2012 –
"within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And Believe me, i twill be enough" – ha solo confermato il ruolo politico che Mario Draghi si è ritagliato fin dal suo insediamento a Presidente della BCE.
Il saggio di Stefania Rampello si sposta sull'alto grande tema degli
ultimi anni: la Brexit. Con un'attenta ricostruzione storica, l'autrice va
alla ricerca delle radici dell'euroscetticismo britannico e ricostruisce le
fasi dell'entrata del Regno Unito nell'Ue e il ricco dibattito interno che
le ha accompagnate. In una prospettiva storica, la Brexit appare come
l'esito finale di un'adesione difficile che da una parte ha coinciso con
il declino del Regno Unito sulla scena internazionale e dall'altra ha
dovuto fare i conti con questioni di politica interna. Come sottolinea
l'autrice, "l'argomento europeo rimane, tuttavia, problematico nella
politica britannica per molto tempo", fino alla data del 23 giugno
2016, quando i cittadini si sono espressi a favore dell'uscita del loro
paese dall'Ue. Le difficoltà successive sono al centro del dibattito politico contemporaneo e sarà necessario attendere il 30 ottobre 2019
per conoscere (forse) l'esito finale della Brexit.
Il saggio di Marianna Fazzolari affronta il tema dell'euroscetticismo
in una prospettiva storica e con particolare riferimento a tre partiti – il
Front National, la Lega e l'Ukip – dei quali ripercorre l'evoluzione e i
cambiamenti di visione. In una prospettiva storica, è interessante sottolineare come questioni di politica interna si sovrappongano al posizionamento di questi partiti nello scenario europeo. La critica aperta
all'Europa non costituisce l'elemento che ha caratterizzato la loro storia
politica, ma si va via via definendo negli anni. L'idea dell'Europa delle
"patrie e delle nazioni" è già presente dei discordi di Jean Marie Le Pen,
ma saranno le elezioni del 2014 a consacrare il successo del nuovo
Front National di Marine Le Pen, che diviene primo partito del paese,
quadruplicando il risultato precedente. Diverso il percorso della Lega
Nord, il cui atteggiamento nei confronti dell'Europa è caratterizzato da
una certa discontinuità, nel tentativo di integrare alcuni aspetti dell'etnoregionalismo ad altri di nazionalismo, identificando l'Unione Europea come il nemico comune. Lo Ukip infine, ha incentrato fin dall'inizio la propria offerta politica sul contrasto all'Unione Europea e ha
fatto del withdrawal l'obiettivo precipuo a cui tendere, in un contesto
Introduzione
7
politico e sociale in cui l'euroscetticismo rappresenta una tendenza
dominante e i cui elementi sono rinvenibili sia nella maggioranza delle
forze politiche, che nella maggioranza della popolazione.
Infine, il saggio di Andrea Grippo analizza uno dei fenomeni più
dibattuti negli ultimi anni: l'ascesa dei partiti di estrema destra in
Germania. Attraverso la ricostruzione del profilo politico e organizzativo di Alternative für Deutschland e del movimento Pegida, il
saggio intende "verificare la validità della teoria dei Modernisierungsverlierer, i perdenti della modernizzazione, mettendo in evidenza la
distribuzione dell'impostazione valoriale d'estrema destra nei diversi
gruppi della popolazione, ripartiti sulla base di distintivi fattori sociografici". Il radicamento dei gruppi politici di estrema destra nei
Landër orientali sembra confermare questa tesi, alla quale si aggiunge "un consistente aumento della propensione e della disponibilità
all'utilizzo della violenza quale strumento di risoluzione delle controversie". L'esperienza storica della Germania ha acceso i riflettori su
questi movimenti, che costituiscono la punta avanzata di una tendenza diffusa a livello europeo al rafforzamento dei partiti di estrema
destra. Le probabilità di successo o fallimento di queste formazioni
"sembrano quindi essere legate alla strategia che il sistema politico
nel suo complesso riuscirà a mettere in campo per risolvere le ragioni
del sostegno alle forze estremiste di destra".
I saggi contenuti in questo volume restituiscono l'immagine di
un'Europa che è costretta a fare i conti con un processo di integrazione mai fino in fondo definito. Come più volte sottolineato dalle "teorie sull'integrazione europea", l'Unione europea è una realtà politicoistituzionale il cui assetto è il risultato di un continuo compromesso
tra il livello nazionale e quello sovranazionale; la forma che essa assume risente delle questioni interne agli Stati membri e del contesto
internazionale, ma è comunque in continuo divenire.
Gli scenari attuali fanno emergere le contraddizioni di una realtà
sovranazionale che da una parte sembra essere maggiormente rispondente alle esigenze di un mondo globalizzato e dall'altra non offre sufficienti garanzie in termini identitari, finendo per essere percepita a sua volta come un'istituzione della globalizzazione.
Per i cittadini europei la soluzione sembra essere nel ritorno allo
stato-nazione – una nozione che sembrava orami definitivamente superata – ma che appare come l'unica in grado oramai di offrire una
8
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
rete di protezione sul piano sociale e culturale. Da questo punto di
vista, lo stato-nazione sembra offrire quelle sicurezze che essi vedono
minacciate dai processi messi in moto dalla globalizzazione.
In questo contesto, l'Unione europea non è che una delle istituzioni della globalizzazione, come evidenziato nel corso della crisi greca
quando a gestire i rapporti con il governo greco è scesa in campo la
"troika" – composta da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – di fatto eludendo ogni forma
di controllo politico da parte del Parlamento europeo.
Resta il fatto che i problemi che spingono i cittadini a rinchiudersi nel
guscio protettivo dello stato-nazione, difficilmente possono trovare una
soluzione a questo livello istituzionale: il mercato del lavoro, il tema ambientale, i processi migratori, ma anche la finanziarizzazione dell'economia, i processi comunicativi sono la prova che i temi dominanti il terzo millennio viaggiano già in una dimensione sovranazionale.
A ciò si aggiunge il fatto che le istituzioni europee da una parte e
gli stati dall'altra, a partire dal Trattato di Maastricht hanno ritenuto
che il processo di integrazione potesse fare a meno di formule politiche capaci di legittimare la loro attività, lasciando emergere un potere tecnocratico, non di rado autoreferenziale e fondamentalmente
distante dai cittadini.
Allo stesso tempo, non è possibile negare che l'Unione europea costituisca un esperimento istituzionale unico al mondo che da una parte anticipa tendenze che lentamente stanno emergendo anche all'interno degli
stati – crisi della democrazia rappresentativa, ascesa dei poteri tecnocratici – e dall'altra si è dotata di istituzioni democratiche sovranazionali,
capaci di integrare al loro interno diversi modelli di democrazia.
Queste contraddizioni, che si aggiungo ad altre sedimentate nel
tempo, hanno condotto alla crisi attuale, forse momentanea, ma che
rischia di far implodere le istituzioni europee o di farle andare avanti
per inerzia, prive di fatto di nuove spinte propulsive.
Maria Cristina Marchetti
1. Il Fiscal compact: una macchina di
governo fiscale
Vanessa Bilancetti
1.1. Introduzione
Dopo la crisi finanziaria del 2008, gli studi europei non sono stati in
grado di comprendere i cambiamenti in corso nello spazio europeo, e
più la crisi è andata avanti, e più è diventato chiaro che mancavano le
categorie adeguate per comprenderla. Quelli che oggi chiamiamo
studi europei sono nati e cresciuti nell'integrazione europea, e con essa condividono l'ispirazione teleologica per un'integrazione sempre
più stretta – an ever closer Union. Per questo motivo nel momento in
cui l'integrazione vacilla sotto il peso della crisi, questi studi sono incapaci di costruire nuovi strumenti per leggere le molteplici crisi che
si stanno sviluppando contemporaneamente nello spazio europeo. In
primo luogo la crisi finanziaria ed economica, la crisi dell'euro, la crisi greca, le crescenti disparità all'interno e tra gli Stati membri; in secondo luogo la crisi dei rifugiati, l'ascesa del populismo, dell'estrema
destra e del razzismo; in terzo luogo la crisi dell'integrazione, la
Brexit e il referendum catalano. Tutto ciò sta portando a un crisi delle
istituzioni democratiche sia da un punto di vista formale che sostanziale. Di fronte a tutto ciò, gli studi europei non hanno aperto un dibattito critico sulla propria metodologia scientifica e i propri limiti,
ma sembrano riaffermare il dibattito tradizionale tra neofunzionalismo e intergovernamentalismo.
Al contrario riteniamo sia necessario impegnarsi in una seria critica
dei modi esistenti di studiare le istituzioni, e in particolare le istituzioni
europee. Questo capitolo, quindi, vuole essere un contributo allo studio critico delle istituzioni europee in un periodo cruciale per l'Unione
10
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Europea (UE). Senza partire dal presupposto che l'integrazione europea sia negativa o positiva in sé, questo capitolo analizza il Trattato
sulla Stabilità, sul Coordinamento e sulla Governance (TSCG) a partire
da una rielaborazione di alcune categorie foucaultiane.
Il TSCG è parte della Nuova Governance Europea (NGE), l'insieme
delle riforme economiche e fiscali che sono state introdotte sulla scia della crisi finanziaria1. Tutte queste misure sono state approvate dalle istituzioni europee per affrontare la speculazione finanziaria sull'euro e la crisi economica, e sono la risposta di lungo periodo dell'UE per evitare
nuove crisi in futuro. Anche se ogni riforma parte della NGE ha le sue
specificità, tutte condividono lo stesso obiettivo: attenuare le pressioni
del mercato nell'area euro nel breve periodo, risolvere la crisi finanziaria
e assicurare che non si ripeta nel lungo periodo. Queste misure si sono
rivelate inefficaci da entrambi i punti di vista.
In questo capitolo sosteniamo che il problema principale è stato
proprio nella diagnosi delle cause della crisi, un problema che coinvolge il modo di analizzare lo spazio istituzionale europeo, quindi un
problema che riguarda a pieno gli studi europei. In effetti, le istituzioni europee hanno ammesso e affrontato solo un problema: i disavanzi eccessivi e il debito degli Stati membri. Tutti gli altri problemi la crisi bancaria, l'instabilità finanziaria, la disoccupazione, la crescita
stagnante - sono stati considerati effetti della spesa incontrollata. Pertanto, tutte le misure della NGE mirano a ripristinare la stabilità fiscale e a controllare la spesa nazionale. La NGE è, quindi, una riaffermazione e un rafforzamento del Patto di Stabilità e Crescita (PSC)
e dell'architettura istituzionale decisa a Maastricht.
In questo capitolo analizziamo il TSCG come esempio emblematico
della NGE, quindi lo utilizziamo come strumento per spiegare la logica
complessiva di tutte le misure adottate dalle istituzioni europee per risolvere la crisi finanziaria. Il TSCG può essere considerato un esempio
emblematico della NGE principalmente per tre motivi: in primo luogo,
perché questo trattato intende affrontare principalmente i disavanzi
eccessivi degli Stati membri e nient'altro; in secondo luogo, il processo
di negoziazione del TSCG esprime molto chiaramente il rapporto di
forze tra Stati membri durante la crisi, dove il dominio del governo te-
1
Oltre al TSCG, la NGE è composta dal: Semestre Europeo; il Six Pack; il Two Pack. (C.
Degryse, "The New European Economic Governance", ETUI Working Paper, 14, 2012).
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
11
desco è innegabile. Allo stesso tempo, il TSCG è la massima espressione della crisi del processo decisionale dell'UE, approvato al di fuori del
quadro giuridico europeo, e nella maggior parte degli Stati non implementato per via costituzionale. Terzo, questo trattato non è semplicemente la riaffermazione del PSC, ma lo rafforza, segnando la svolta
verso una governance neo-autoritaria2.
Il capitolo si divide in quattro sezioni oltre l'introduzione. Nella seguente sezione si spiega il quadro concettuale adottato, quindi l'uso della
governamentalità come forma di analisi politica delle istituzioni europee, che definiamo un "istituzionalismo radicale". Nella terza sezione,
analizziamo il negoziato del TSCG, il momento di massimo dominio del
governo tedesco e allo stesso tempo di minima egemonia, tanto che il
Trattato si è dovuto votare al di fuori della legislazione europea. Nella
quarta sezione studiamo in profondità l'articolo 3 del TSCG, e in particolare: il deficit strutturale, il meccanismo automatico di correzione, l'istituzione di autorità indipendenti per il controllo delle finanze pubbliche.
1.2. Quadro concettuale
Gli studi europei sono nati come una sotto-disciplina delle relazioni
internazionali. Quando la Comunità Europea (CE) ha iniziato a trasformarsi in un'arena politica indipendente, gli studi europei si sono
sviluppati oltre il campo delle relazioni internazionali, per incrociare la
politica comparata, la scienza politica e la sociologia politica, il diritto
pubblico. Tuttavia, questo incontro non ha portato all'emergere di un
approccio interdisciplinare in grado di comprendere l'UE in tutta la
sua complessità. Al contrario, ha allargato le divisioni tra le diverse
teorie. Come spiegano Cafruny e Ryner3, gli studi europei si sono basati su una divisione disciplinare tra la sociologia politica dell'integrazione e l'economia dell'integrazione, e anche se l'integrazione europea si è
sviluppata principalmente nella sfera della politica economica, la di2
Sulla svolta autoritaria si veda: L. Oberndorfer, "A New Economic Governance
through Secondary Legislation?", The Economic and Financial Crisis and Collective
Labour Law in Europe, 2014, 25-54; I. Bruff, "The Rise of Authoritarian Neoliberalism",
Rethinking Marxism, 26.1, 2014, 113-29; A. J. Menéndez, "The Existential Crisis of the
European Union", German Law Journal Review, 14.5, 2013, 453-526.
3
A. W. Cafruny e Ryner, M. "The Tragedy of the Eurozone and the Crisis of European Integration Studies", Perspective on Europe, 41.2, 2011.
12
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
mensione politica ed economica dell'integrazione sono state studiate
come due sfere separate e parallele, non in connessione tra loro.
Il dibatto politico sull'integrazione è stato per decenni dominato, se
non bloccato, dal confronto tra neofunzionalismo e intergovernamentalismo, il cui confronto è incentrato sulla contrapposizione tra istituzioni sovranazionali o nazionali. Durante la crisi sono fiorite letture
neofunzionaliste e intergovernamentali. Da un punto di vista neofunzionale, la crisi dell'euro è stata letta come il risultato della progettazione incompleta dell'unione monetaria, una "dissonanza funzionale"
che la Nuova Governance Economica (NGE) avrebbe dovuto risolvere,
completando il processo di integrazione. Da questo punto di vista, la
NGE viene interpretata come parte del processo di spill-over che porterà verso la piena integrazione politica4. Dall'altro lato, la nuova centralità assunta dagli Stati membri e dalle istituzioni intergovernative, come il Consiglio o l'Euro Summit, ha fatto fiorire nuove letture intergovernamentali. Ad esempio, Schimmelfennig per spiegare la NGE
guarda ai negoziati tra gli Stati membri nel Consiglio, qui gli Stati erano concordi nel mantenere la moneta unica, ma erano in disaccordo su
chi avrebbe dovuto pagare i costi di adeguamento, portando tutti i negoziati ad essere un gioco sul filo del rasoio5.
Il dibattito tra Neofunzionalismo e Intergovernmentalismo non ha
permesso la diversificazione della disciplina, così com'è invece accaduto
nella teoria delle relazioni internazionali, soprattutto dopo la fine della
guerra fredda. Nonostante ciò, negli ultimi anni, diverse voci dissidenti
hanno sviluppato un dibattito critico nei confronti degli studi europei
dominanti. Questo dibattito ha principalmente criticato: la comprensione
razionale e oggettiva degli attori istituzionali; una certa idea progressiva
di integrazione, cioè l'idea che più integrazione sia di per sé sempre positiva; l'approccio problem-solving, cioè diretto alla soluzione di singoli problemi, e non all'analisi olistica di un sistema6.
Le teorie critiche, al contrario, non considerano la conoscenza e
4
A. Niemann and D. Ioannou, "European Economic Integration in Times of Crisis: A
Case of Neofunctionalism?", Journal of European Public Policy, 22. 2. 2015,pp. 196-218.
5
F. Schimmelfennig, "Liberal Intergovernmentalism and the Euro Area Crisis",
Journal of European Public Policy, 22.2.2015, 177-95.
6
Per una disamina generale sulle teorie critiche dell'integrazione europea si veda il
numero speciale del Journal of Common Market Studies "Another Theory Is Possible:
Dissident Voices in Theorising Europe", 54.1. 2016.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
13
l'analisi delle relazioni sociali come un processo neutro e oggettivo, e
collegano il sistema di potere con la costruzione del sapere. Pertanto,
le teorie critiche non danno per scontato il loro oggetto di ricerca,
questo significa, ad esempio, che gli studi europei critici non considerano l'integrazione come un dato di fatto e mettono in discussione l'ispirazione teleologica presente nel dibattito mainstream. In questo
senso, le teorie critiche sono teorie politiche perché riconoscono la natura politica della loro analisi7.
Questo capitolo, quindi, vuole contribuire al dibatto sugli studi
europei critici, ed in particolare rielabora alcune categorie foucaultiane e l'uso che ne è stato fatto nelle relazioni internazionali e nell'analisi dell'integrazione europea. I cosiddetti studi sulla governamentalità in questi anni si sono rivelati un grande laboratorio in grado di
analizzare le relazioni di potere nello spazio europeo e di spiegare la
diffusione delle idee neoliberali in Europa, a partire da uno studio
accurato di programmi e piani di riforma.
Nei due corsi sulla governamentalità8, Foucault collega le sue precedenti analisi sul discorso9 e sul potere disciplinare10 a una nuova serie
di problemi, che non hanno più solo a che fare con i corpi individuali e
individualizzati dal potere disciplinare, ma prendono in considerazione la dimensione collettiva della popolazione. Come si esercita il potere
su una popolazione? Come questo potere è in grado di razionalizzare il
proprio esercizio? Quali dispostivi di potere/sapere mette in campo?
Nei due corsi sulla governamentalità, Foucault esamina come una pluralità di discorsi si articolano in "un'arte razionale di governo". E lo fa
esaminando prima l'emersione dell'arte di governo liberale nel XVIII
secolo, e poi la sua riaffermazione con l'ordoliberismo e il neoliberismo
americano nel XX secolo. Il problema per Foucault non è come il molteplice si fa Uno, lo Stato, ma come la molteplicità può essere governata mettendo a tacere, rendendo innocue, o escludendo i discorsi non
articolabili nell'arte di governo liberale.
7
I. Manners, "The European Union as a Normative Power: A Response to Thomas
Diez", Millenium-Journal of International Studies, 35.167, 2006, pp. 167-180.
8
M. Foucault, Territorio, Sicurezza. Popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978),
Milano, Feltrinelli, 2004, e M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de
France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005.
9
M. Foucault, L'archeologia del sapere, Milano, Bur, 2013.
10
M. Foucault, Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1975.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
14
Se negli anni '90 gli studi sulla governamentalità si sono principalmente concentrati sulle politiche sociali a livello nazionale11, dagli
anni 2000 questo approccio è stato ampiamente utilizzato per analizzare le trasformazioni della governance globale, tanto da spingere
Walters a parlare di international governmentality studies12.
Secondo Walters e Haahr, la governamentalità come forma di analisi politica esplora principalmente quattro questioni: razionalità 13 ,
forme di potere, soggettività e tecnologie. In primis, la questione della
razionalità può essere esplorata attraverso lo studio delle formazioni
discorsive, collegando l'analisi del discorso alle pratiche di governo.
Una formazione discorsiva secondo Foucault è un insieme di idee e
pratiche con particolari condizioni di esistenza, che sono più o meno
istituzionalizzate, ma che possono essere solo parzialmente comprese
da chi le utilizza. Connettere l'analisi del linguaggio alle pratiche di
governo, significa quindi far emergere la materialità dei discorsi, e la
loro connessione con le relazioni di potere, scoperchiando l'intima
connessione che esiste tra potere e sapere14. In secondo luogo, la governamentalità come forma di analisi politica si concentra sull'arte di
governo liberale e sulla sua rielaborazione da parte dell'ordoliberismo
e del neoliberismo. In terzo luogo, la governamentalità riflette sulle
forme di soggettività prodotte dall'esercizio del potere, perché il potere
non è solo repressivo, ma produce i soggetti sui quali viene esercitato15.
In quarto luogo, un'analisi governamentale riguarda le tecnologie del
11
Si veda: G. Burchell, C. Gordon e P. Miller, The Foucault Effect: Studies in Governmentality, Chicago: University of Chicago Press, 1991; A. Barry, T. Osborne, e N.S.
Rose, Foucault and Political reason: Liberalism, Neo liberalism, and Rationalities of Government, (A cura di), Chicago, University of Chicago Press, 1996; R. Nikolas, Powers
of Freedom: Refraiming Political Thought, Cambridg, Cambridge University Press,
1999; P. Miller e N. Rose, Governing the Present, Cambridge, Polity Press, 2008.
12
W. Walters, Governmentality. Critical Encounter, London, Routledge, 2012.
13
Walters e Haahr utilizzano il termine "mentalità", troviamo più appropriato l'utilizzo del termine "razionalità" perché ha un chiaro riferimento alla società, mentre
la mentalità può anche essere individuale. Inoltre, come è ben spiegato da Senellart
nella nota del curatore di Territorio, Sicurezza e Popolazione il termine governamentalità non è la combinazione di mentalità e governo, ma deriva da gouvernamental e
significa ciò che pertiene al governo.
14
M. Foucault, L'ordine del discorso, Torino, Einaudi, 1972.
15
M. Foucault, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
15
potere, cioè attraverso quali mezzi e meccanismi il potere si esercita16.
Quindi, questo capitolo analizza il testo legale del TSCG, esaminando quali tecnologie sono state previste in questo Trattato per esercitare una sorveglianza e controllo sugli Stati membri, quella che Merlingen definisce una conduzione a distanza degli Stati17. A nostro
avviso, il TSCG rafforza la "macchina di governo fiscale" delineata già
nell'Unione Monetaria e nel Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Con
"macchina di governo fiscale" intendiamo un insieme durevole di tecnologie e un regime di sapere/potere definiti da una razionalità ordo/neoliberale, che ha l'obiettivo di condurre i governi nazionali e gli
attori sub-statali nelle loro decisioni, controllandoli ex-ante ed ex-post.
Nella sfera economica dell'UE, la formazione discorsiva prevalente si basa sull'interconnessione tra idee ordoliberali e neoliberali.
Questa è un'interconnessione specifica dello spazio europeo che ha
modellato la formazione delle istituzioni europee, promuovendo
un'idea di Europa come spazio economico competitivo, basato sulla
responsabilità fiscale degli Stati membri, società incentrate sull'idea
di impresa e sulla responsabilità individuale18. Con il termine ordo/neoliberale intendiamo che entrambe le riformulazioni della teoria
classica liberale hanno influenzato le istituzioni europee. In effetti,
l'UE si è evoluta in modo diverso dalle altre zone di libero scambio
fondendo le idee neoliberali di libero mercato e abolizione delle tariffe con una rigida architettura istituzionale. Questo ha creato conflitti
di competenza e di attribuzioni tra diversi attori istituzionali, oltre
che profonde divergenze sulla natura stessa dell'Unione.
16
M. Dean, Governmentality: Power and Rule in Modern Society, London, SAGE, 1999, p. 33.
17
Merlingen parla di conduzione degli Stati a livello globale, riteniamo, invece, che il concetto possa essere adoperato in maniera più efficace al contesto specifico dell'Unione
Europea. M. Merlingen, "Governmentality. Towards a Foulcauldian Framework for the
Study of IGOs", in Cooperation and Conflict, 38.4, 2003, 361–384, p. 368.
18
In questo capitolo ci riferiamo all'ordoliberalismo e al neoliberismo così come definiti da Foucualt. Per Foucault l'ordoliberismo si basa su: il mercato come principio
fondamentale per lo stato, il ruolo attivo del governo per stabilire una libera concorrenza e una società governata in nome della concorrenza. Per Foucault, la principale differenza con il neoliberismo hayekiano e americano è il ruolo del governo.
Infatti, per gli ordoliberali il governo dovrebbe svolgere un ruolo nel mercato, stabilendo e salvaguardando il principio della concorrenza, mentre per i neoliberisti
non dovrebbe (M. Foucault, Nascita della Biopolitica, op.cit., 113-132). Inoltre, i neoliberisti concepiscono tutti i comportamenti umani in termini economico-razionali,
ridefinendo la società come il dominio dell'economico (Ibid., 217-236).
16
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Seguendo questa prospettiva, potremmo sostenere che l'UE mira a
"condurre le condotte" dei suoi Stati membri, plasmando un discorso
ordo/neoliberale che definisce la lingua e gli obiettivi dei suoi stati
membri. Questa conduzione prende la forma di un governo a distanza,
attraverso tecnologie governamentali, disciplinari e biopolitiche. Per
tecnologie governamentali intendiamo tutte quelle tecniche che favoriscono la responsabilizzazione degli Stati membri, e delle loro società
civili, come quelle previste nel Metodo di Coordinamento Aperto
(MCA)19; le tecnologie disciplinari, invece, monitorano, misurano e
controllano gli attori sui quali si esercitano, vi rientrano tutte le tecniche di visibilità, come le statistiche armonizzate a livello europeo, i parametri di riferimento, le stime sui dati economici, indagini annuali
sulla crescita, relazioni economiche e così via20. Le tecnologie biopolitiche sono tutte quelle che mirano a condurre la condotta delle popolazioni nel loro complesso. Nell'UE, queste sono tutte le tecniche utilizzate per regolare le migrazioni, in quello che è stato definito un vero
e proprio "regime della frontiera"21. Il TSCG prevede principalmente
tecnologie di tipo disciplinare, come vedremo nella prossima sezione, e
questo denota un passaggio da una soft governance ad una hard governance, cioè una svolta autoritaria nel processo decisionale europeo.
In questo capitolo, quindi, useremo la governamentalità come una
forma di analisi politica per esaminare le riforme della NGE, ed in
particolare il TSCG. Nell'analisi del TSCG, il nostro focus sarà sulle
tecnologie previste nel Trattato – e non direttamente sulla produzione di soggettività – e su come mettere in relazione queste tecnologie
ad una certa razionalità economica, che abbiamo definito come ordo/neoliberale. Quindi, usiamo la governamentalità per analizzare le
istituzioni europee, le riforme, i piani, i programmi e le formazioni
discorsive. In questo senso, comprendiamo e applichiamo la governamentalità come una sorta di "istituzionalismo radicale".
19
J.H. Haahr, "Open Co-Ordination as Advanced Liberal Government", Journal of
European Public Policy,11.2, 2004, 209-30.
20
W. Walters, "The Power of Inscription: Beyond Social Construction and Deconstruction in European Integration Studies", Millennium - Journal of International
Studies, 31.1, 2002, 83-108.
21
W. Walters, "Mapping Schengenland: Denaturalizing the Border", Environment and
Planning D: Society and Space 20, no. 5 (2002), pp. 561-80.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
17
1.3. Il processo di negoziazione del Trattato:
un attacco fallito alle costituzioni nazionali
Il Consiglio europeo dell'8 e 9 dicembre 2011 approva il progetto di un
patto fiscale per l'Eurozona, idea delineata prima del Consiglio in un incontro a porte chiuse tra la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Sarkozy22. Questa proposta era opposta al progetto degli Eurobond e
a qualsiasi altro meccanismo di mutualizzazione del debito, di cui si stava
discutendo23. Il TSCG è stato negoziato in poche settimane e la bozza conclusiva era già pronta per fine gennaio 2012. Su quel progetto, il Regno
Unito pose il veto, opponendosi a nuovi emendamenti dei Trattati24 e a
nuove regole restrittive sul budget nazionale25. Per oltrepassare il veto britannico, il TSCG fu votato al di fuori dei Trattati europei, come un trattato
internazionale tra paesi europei e firmato da 25 stati26 al latere del Consiglio del 2 marzo 2012.
La leadership tedesca nel processo di approvazione del TSCG è
innegabile. Infatti, il governo tedesco dopo il secondo bailout greco e
la creazione del Meccanismo Europea di Stabilità (MES) puntava a
riaffermare le regole sulla disciplina fiscale a livello europeo. Questo
ha spinto molti autori a parlare di una nuova centralità degli Stati
membri e delle istituzioni intergovernamentali, come l'Eurosummit o
l'Eurogruppo, dove la Germania è senza dubbio l'attore più forte27. In
effetti, il TSCG può essere facilmente letto tramite queste lenti inter-
22
Conclusioni del Consiglio Europeo del 9 dicembre 2011 (http://europa.eu/rapid/pressrelease_DOC-11-8_en.htm ultimo accesso il 01/12/2018).
23
La Commissione Europea aveva appena pubblicato il Libro Verde "Sulla fattibilità
dell'introduzione degli stability bond" COM/818 def., del 23 novembre 2011.
24
Il primo emendamento ai Trattati è stato votato il 2 marzo 2011 (art. 136 TFEU)
per permettere l'istituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), in vigore dal 1 maggio 2011.
25
In questo veto britannico possiamo leggere un primo passo verso il processo che
porterà all'indizione del referendum sulla Brexit nel giugno 2016.
26
Non lo hanno firmato il Regno Unito, la Repubblica Ceca e la Croazia, che all'epoca non
era ancora membro dell'UE. La Repubblica Ceca ha poi firmato il Trattato nel marzo 2014
e la Croazia ha adottato una legislazioni in conformità con le regole presenti nel TSCG.
27
U. Puetter, "The European Council and the Council: Perspectives on New
Dynamics in EU Governance" in Journal of European Public Policy, 19.2, 2012, 161-78;
F. Schimmelfennig, "Liberal Intergovernmentalism and the Euro Area Crisis" in
Journal of European Public Policy, 22.2, 2015, 177-95.
18
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
governamentali: un trattato internazionale dove lo stato più forte impone la propria linea strategica, cioè la Germania impone la disciplina fiscale come il primo e unico obiettivo da perseguire in materia
economica. Eppure, questo Trattato rafforza i poteri della Commissione Europea – l'istituzione sopranazionale per definizione – con
nuovi poteri di sorveglianza e la capacità di imporre sanzioni28.
Quindi, il TSCG è un trattato internazionale, votato al di fuori dei
Trattati europei, che riafferma il potere di controllo delle istituzioni
europee sugli Stati membri, prevedendo anche la possibilità del controllo reciproco tra Stati membri (art. 8), con l'obiettivo fondamentale
di ripristinare la stabilità fiscale.
Il PSC, il Six Pack, il Two Pack e il Semestre Europeo hanno tutti l'obiettivo di trasferire dei poteri dal livello nazionale a quello sovranazionale, e questo avviene o spostando la competenza dal livello nazionale
a quello europeo, o rendendo la competenza condivisa tra istituzioni europee e nazionali. In questo processo di passaggio di competenze, dopo i
ripetuti fallimenti nell'applicazione del PSC, il TSCG richiede di incorporare il Patto di Bilancio (Fiscal Compact) nelle proprie costituzioni nazionali
(art. 3). Come leggiamo nella relazione della Commissione Europea sul
Fiscal Compact: «si è ritenuto che il quadro fiscale basato sulle regole
dell'UE (Patto di Stabilità e Crescita) dovesse essere integrato da disposizioni a livello nazionale al fine di ottenere solide politiche di bilancio in
tutti gli Stati membri»29. Questo Trattato, quindi, cerca di modificare non
solo la costituzione materiale, ma anche la costituzione formale degli Stati
membri: è la sovranità stessa che viene messa in discussione con lo scopo
di trasformare le modalità attraverso le quali è possibile decidere30.
Inoltre, nonostante il veto del Regno Unito, il TSCG già prevedeva la sua stessa incorporazione entro cinque anni nella legislazione europea (art.16). Così le opposizioni sono state prima
28
M. W. Bauer and S. Becker, "The Unexpected Winner of the Crisis: The European
Commission's Strengthened Role in Economic Governance" in Journal of European
Integration, 36.3, 2014, 213-29.
29
Comunicazione della Commissione Europea C/1200 final del 22 febbraio 2017.
30
Sul tema della trasformazione della costituzione materiale e formale si veda tra gli
altri: S. Gill, Power and Resistance in the New World Order, London-New York,
Palgrave Macmillan, 2008; A. J. Menéndez, "The European Crises and the Undoing
of the Social and Democratic Rechtsstaat", in ed. J. E. Fossum e A. J. Menéndez (a
cura di), The European Union in Crises or the European Union as Crises?, Oslo,
ARENA Report, No 2/14, 2014.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
19
aggirate votando un trattato internazionale, e inserendo nello
stesso Trattato una clausola di incorporazione nella legislazione
europea, ed infine integrando gran parte delle disposizioni all'interno del Two Pack. In questi due regolamenti sono inserite: la
necessità di avere organismi indipendenti che controllino le
norme fiscali nazionali (art. 3.2 del TSCG), i programmi di partenariato economico per gli Stati membri nell'ambito della procedura per i disavanzi eccessivi (art. 5), e la necessità di disporre di
un coordinamento ex-ante sui piani di emissione del debito degli
Stati membri (art. 6) 31. Il TSGC, similmente alla riforma costituzionale tedesca del 2009 32, richiede agli Stati membri di costituzionalizzare un "freno all'indebitamento" (debt brake). In realtà,
solo l'Italia, la Spagna e la Slovenia hanno introdotto questa
norma in Costituzione, mentre tutte le altre parti contraenti han-
31
Le differenze ancora esistenti tra TSCG e legislazione europea sono: il limite inferiore dell'Obiettivo a Medio Termine (OMT) che per il TSCG deve avere un limite
inferiore dello 0,5 per cento del PIL in termini strutturali, mentre nel Six Pack è
delll'1 per cento (art. 3); il Meccanismo correttivo automatico previsto nel TSCG e
non presente nella legislazione europea (art. 3). Ci sono poi delle disposizioni sostanziali del TSCG che potrebbero essere incorporate solo cambiando i Trattati
dell'Unione, come la richiesta di incorporare il Patto di Bilancio preferibilmente a
livello costituzionale (art. 3.2). Nel 2017 sono passati cinque anni dall'approvazione
del TSCG, e quindi il Tratto sarebbe dovuto essere incorporato nella legislazione
europea, così come ribadito dal Presidente Juncker nel suo discorso sullo stato
dell'Unione nel settembre 2017. Difatti, il 6 dicembre 2017 la Commissione ha proposto "una tabella di marcia per il completamento dell'Unione Economica e Monetaria" (COM/2017/0821 final). Qui si proponeva di integrare il Trattato attraverso
una Direttiva del Consiglio, cioè tramite la legislazione secondaria e non modificando i Trattati. Seguendo la procedura di consultazione, l'11 maggio 2018 la BCE
ha pubblicato il suo parere favorevole alla proposta, anche se proponendo alcuni
emendamenti per assicurare una maggiore responsabilità fiscale da parte degli Stati membri (CON/2018/25). Al contrario, la commissione per gli affari economici e
monetari del Parlamento Europeo (ECON) ha respinto la proposta nel voto del 27
novembre 2018. A seguito di questo voto negativo in commissione, la plenaria del
Parlamento Europeo non ha ancora calendarizzato il voto sul dossier, che a questo
punto, però, dovrebbe chiedere alla Commissione di ritirare la sua proposta.
32
Il nuovo articolo 109 (3) della Grundgesetz stabilisce che i bilanci della Federazione e dei
Länder devono in linea di principio essere in pareggio. Questa riforma costituzionale
stabilisce che il deficit del governo federale non può essere superiore allo 0,35% del PIL
corretto per il ciclo economico; mentre i bilanci dei Länder devono essere in pareggio.
La riforma diventerà operativa per i Länder dal 2019, per il governo federale lo è già dal
2016, mentre non include i comuni e il sistema di sicurezza sociale.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
20
no deciso di implementarla tramite legge speciale o ordinaria33.
Quindi, potremmo dire che il Fiscal Compact è il momento più alto
del dominio tedesco nell'UE, il governo tedesco ha spinto e, in una certa misura, è stato in grado di imporre il contenuto della sua riforma costituzionale agli altri Stati membri attraverso un trattato internazionale.
Ma allo stesso tempo è anche il momento più basso dell'egemonia tedesca, dal momento che il Trattato è stato approvato al di fuori del
quadro giuridico europeo e la maggior parte delle parti contraenti non
l'ha attuato attraverso riforme costituzionali. Questo processo decisionale autoritario è espressione di una radicalizzazione del progetto ordo/neoliberale, e allo stesso tempo dimostra anche la sua incapacità di
trovare un ampio consenso nelle diverse società civili europee34.
1.4. Una macchina di governo fiscale
Anche se il TSCG non è stato in grado di cambiare la maggior parte
delle costituzioni delle parti contraenti, il Trattato è comunque stato
implementato in tutti i sistemi nazionali, cambiando le regole fiscali in
25 paesi, riaffermando e rinforzando quella che abbiamo definito un
"macchina di governo fiscale", inizialmente organizzata con il PSC.
Per "macchina di governo", in senso foucaultiano, intendiamo una serie di tecnologie e pratiche attuate per condurre le condotte degli Stati
membri, degli attori sub-statali e dei loro cittadini, seguendo una razionalità ordo/neoliberale. In questo senso, la disciplina fiscale è diventata
un discorso pervasivo nelle società europee capace di influenzare tutte le
relazioni sociali, molto oltre le mura dei ministeri di economia. Usando il
33
I paesi che hanno implementato il pareggio di bilancio attraverso la legge speciale sono:
l'Estonia, la Finlandia, la Lituania, la Lettonia e il Portogallo. I paesi che hanno implementato il pareggio di bilancio attraverso la legge ordinaria sono: l'Austria (in una legge già
esisteva dal dicembre 2011), il Belgio (in cui è stato firmato un accordo di cooperazione tra
tutti i livelli governativi: stato federale, regioni e comunità), Cipro, la Francia, la Grecia, l'Irlanda (dove è stata modificare la Costituzione per ratificare il Trattato, ma il pareggio di bilancio è inquadrato in una legge ordinaria), Malta, i Paesi Bassi, la Slovacchia. Le parti contraenti non appartenenti all'area euro vincolate dalle disposizioni fiscali, ma non dalle
disposizioni di coordinamento economico, hanno implementato il pareggio di bilancio con
legge ordinaria: la Bulgaria, la Repubblica Ceca, che ha firmato il trattato nel marzo 2014, la
Danimarca e la Romania. L'Ungheria, la Polonia e la Svezia non sono vincolate né dalle disposizioni di coordinamento fiscale né da quelle economiche. Si veda la Relazione della
Commissione europea COM (2017) 1201.
34
Sulla svolta autoritaria si veda nota 2.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
21
concetto di macchina vogliamo sottolineare come diversi dispositivi istituzionali, organizzati su diverse scale e livelli – locale, regionale, nazionale, sovranazionale, privato, pubblico – condividano lo stesso apparato
di sapere e potere, con l'obiettivo di guidare la politica economica dello
spazio europeo e degli attori economici che in questo spazio si muovono.
Utilizziamo il termine macchina, e non semplicemente tecnologie, per
indicare la relativa stabilità di questo insieme di tecnologie e pratiche. Le
macchine non sono la stessa cosa degli Stati, ma lavorano per gli Stati,
attraverso gli Stati e sugli Stati, come la macchina del welfare o la macchina della guerra. Così possiamo leggere l'UE come un assemblaggio di
diverse macchine, alcune volte in conflitto tra loro35.
Il TSCG è composto da sei titoli, tolti obiettivi generali e disposizioni finali abbiamo: il Patto di Bilancio (artt. 3-8); il Coordinamento
delle Politiche Economiche e di Convergenza (artt. 9-11); la Governance della Zona Euro (art. 12 e 13). Fondamentalmente il Trattato può
essere riassunto dall'articolo 3, il quale stabilisce che: «la posizione di
bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente è in
pareggio o in avanzo». Il pareggio di bilancio è l'obiettivo principale
del Trattato, ed è sempre presentato come un obiettivo in sé. Infatti, per
il Trattato, crescita sostenibile, occupazione, competitività e coesione
sociale sono una conseguenza della disciplina fiscale (art. 1).
Per questioni di spazio in questo capitolo esamineremo a fondo
solo l'art. 3 del Trattato, e in particolare: il disavanzo strutturale (articolo 3.1b), il Meccanismo di correzione automatica (art. 3.1e) e l'istituzione di autorità indipendenti per il controllo sulle finanze pubbliche (art. 3.2). Questi dispositivi esprimono alcuni caratteri
fondamentali della NGE: il nuovo potere discrezionale della Commissione europea; l'automatizzazione o semi-automatizzazione delle
regole; la formazione di agenzie e comitati indipendenti dalle istituzioni nazionali ed europee.
L'obiettivo principale del Patto di Bilancio è il pareggio di bilancio. Questo si ritiene raggiunto se si rispetta l'Obiettivo di Medio Termine (OMT) con un limite inferiore del deficit strutturale dello 0,5%
35
F. Deleuze e G. Guattari hanno introdotto il tema della macchina in Mille Piani
(Roma: Cooper & Castelvecchi, 2003). Noi ci riferiamo all'uso che ne fa W. Walters
"Political Rationality of European Integration" in W. Walters e W. Larnern (a cura
di), Global Governmentality. Governing International Spaces, Londra, Routledge, 2004;
e S. Mezzadra e B. Nielson, Confini e frontiere, Bologna, il Mulino, 2014.
22
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
(art. 3.b)36. È a partire dal PSC riformato nel 2005 che l'OMT è definito
in termini strutturali, prendendo quindi in considerazione le oscillazioni del ciclo economico e filtrando le misure temporanee. La stima
del Pil in termini strutturali è presentata dalle istituzioni europee
come un metodo più efficace per calcolare il deficit rispetto ai valori
nominali, perché è un metodo in grado di prendere in considerazione
il ciclo economico. Questo calcolo è presentato come una mera questione di tecnica statistica, scevra da implicazioni politiche37.
Ma chi e come può decidere su quali misure possono essere considerate cicliche e quali temporali? In realtà il calcolo del deficit strutturale è
molto dibattuto in economia e non vi è un’opinione univoca sul tema.
Nella metodologia adottata dalla Commissione la componente ciclica
viene calcolata sottraendo l'output gap38 dal bilancio nominale, ottenendo
così la stima della componente ciclica. Definire il Pil potenziale è però un
calcolo complesso, una stima e non un dato oggettivo, tant’è che nel corso dell’anno queste stime vengono spesso riviste dalla stessa DG Economia e Finanza39. Negli ultimi anni, questo calcolo è stato contestato da
diversi Stati membri, e nel 2015 la Commissione europea ha dovuto
pubblicare una comunicazione per chiarire la questione40.
Le decisioni di politica economica degli Stati membri sono prese
36
Qualora il rapporto debito/Pil sia significativamente sotto il 60% il limite inferiore per
l'OMT può arrivare fino a un disavanzo strutturale massimo dell'1,0% (art. 3.1d).
37
C. Wyplosz, "Europe's Quest for Fiscal Discipline", Dossier della Commissione
Europea, 498, 2013.
38
L'output gap è la differenza tra il Pil corrente e il pil potenziale.
39
Si veda: S. Fantacone, P. G. Garalova e C. Milani, "European Fiscal Stance: between
Rigidity and Rigid Flexibility", Italian Fiscal Policy Review, 2015; L. Eyraud and T.
Wu, "Playing by the Rules : Reforming Fiscal Governance in Europe", IMF Working
Papers, 2015; H. Radice, "Enforcing Austerity in Europe: The Structural Deficit as a
Policy Target", Journal of Contemporary European Studies, 22.3, 2015, 318–28.
40
Il Ministro Padoan nel Documento Programmatico di Bilancio del 2015 ha contestato apertamente il calcolo del NAWRU (Non Adjusting Wages Rate of Unemployment - tasso di disoccupazione non inflazionistico) elaborato dalla Commissione Europea. In seguito a questo scontro, la Commissione ha pubblicato una
comunicazione sull'uso della flessibilità nel PSC facendo riferimento a tre clausole
di flessibilità: la clausola di investimento (per gli investimenti relativi al Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici); la clausola per le riforme strutturali; le a
clausola per la crisi dei rifugiati (Commissione Europea COM/12 final 2015). Le
clausole consentono di tenere in considerazioni più fattori nel calcolo del Pil potenziale, ma non mettono in discussione la sua stima.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
23
sulla base della loro conformità con l'OMT, ciò significa che il calcolo
del deficit strutturale è in grado di influenzare l'intera politica economica degli Stati membri. Da questo punto di vista, possiamo comprendere come la Commissione Europea abbia acquisito un nuovo
"potere di calcolo" capace di influenzare le decisioni future degli Stati. In particolare, questo "potere di calcolo" è in mano alla DG Economia e Finanza competente per questa e altre misurazioni, come il
vincolo alla crescita della spesa (Expenditure Benchmark) o la procedura per gli squilibri macroeconomici41.
Un intero apparato di sapere-potere è stato elaborato attorno a
queste misurazioni, basate sulla supposta oggettività della statistica e
dell'economia, mezzo attraverso il quale il dibattito intorno alle questioni economiche è stato depoliticizzato. La depoliticizzazione del
discorso economico, relegato agli esperti, è il mezzo attraverso il quale si afferma l'idea che non ci possa essere nessuna alternativa a queste politiche e all'esistente sistema europeo.
1.4.1. Il Meccanismo correttivo automatico
Il TSCG aggiunge alla macchina fiscale di governo organizzata
con il PSC una nuova tecnica che va oltre la mera sorveglianza sugli
Stati membri. Infatti, secondo l'art. 3.e, qualora si constatino deviazioni significative dall'OMT si attiva automaticamente un Meccanismo di Correzione. Questo Meccanismo deve correggere le deviazioni per ritornare in linea con l'OMT in un periodo di due anni;
un'istituzione indipendente deve verificare l'applicazione del Meccanismo nel periodo definito. Questa disposizione è già stata integrata
nella legislazione europea tramite il Two Pack.
I principi comuni del Meccanismo di Correzione sono stabiliti in
una Comunicazione della Commissione europea 42 . Secondo questi
principi, il Meccanismo Automatico deve correggere la situazione attraverso l'attuazione di contromisure progettate per ripristinare l'equilibrio strutturale verso l'OMT entro una data stabilita. Il principio 5 afferma che si dovrebbe dare un ruolo operativo preminente alle norme
sulla spesa pubblica e alle misure fiscali discrezionali, chiedendo l'adeguamento a tutti i sotto-settori delle amministrazioni pubbliche.
41
Entrambi inseriti nel Six Pack (Regolamento EC/1173/2011).
42
Comunicazione COM/0342/2012.
24
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Questo significa che gli Stati membri sono tenuti ad adottare un
piano correttivo che deve essere vincolante per i bilanci coperti dal
periodo di correzione, con regole decise ex ante e non specifiche per le
circostanze in atto. Una volta adottato, questo meccanismo dovrebbe
essere controllato non solo dal governo nazionale, ma da un'autorità
indipendente, il cui ruolo approfondiamo nella prossima sezione.
L'art. 8 introduce anche la possibilità per un paese contraente di adire
la Corte di Giustizia Europea se ritiene che un altro paese contraente
non abbia attuato il Meccanismo in maniera adeguata.
Questo Meccanismo di Correzione Automatica può essere letto come
una forma di sorveglianza decentralizzata e reciproca tra gli Stati, controllata da una rete di agenzie nazionali indipendenti, direttamente presenti sul territorio dello Stato membro, e non solo dall'alto verso il basso.
1.4.2. Autorità indipendenti a livello nazionale
Tutte le disposizioni di cui all'art. 3 devono essere monitorate da
un'autorità indipendente di supervisione (articolo 3.2). L'introduzione
di un'autorità indipendente a livello nazionale era già menzionata nel
Six Pack ed è stata successivamente incorporata nel Two Pack.
La creazione di consigli consultivi fiscali in ogni Stato membro fa
parte di un processo di agencification delle istituzioni nazionali e sovrananzionali, vale a dire la creazione di organismi indipendenti incentrati sul ruolo degli esperti, che dovrebbero normare o controllare
settori specifici43. L'FMI e l'OCSE promuovono la formazione di consigli fiscali indipendenti da anni e già nel 2006 la Commissione europea aveva lanciato un'indagine per la loro istituzionalizzazione. La
crisi ha aperto lo spazio per istituire questo tipo di organismi indipendenti in ogni Stato membro.
Seguendo le linee generali dell'OCSE e dell'FMI, il Two Pack prevede solo due compiti per queste autorità: monitorare il rispetto delle
regole fiscali e produrre o valutare previsioni macroeconomiche (art.
5 UE/473/2013). Ogni autorità fiscale nazionale deve essere costituita
come un organismo strutturalmente indipendente rispetto a qualsiasi
autorità di bilancio nazionale (commissioni parlamentari, ministeri o
qualsiasi altro dipartimento governativo), e deve essere indipendente
43
J. Jordana, D. Levi-Faur, and X. Fernández i Marín, "The Global Diffusion of
Regulatory Agencies", Comparative Political Studies, 44.10, 2010, 1343–69.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
25
anche dal punto di vista funzionale, operando quindi con il proprio
bilancio e regolamento (art. 2 UE/473/2013). Per lo stesso motivo, il
Consiglio Fiscale dovrebbe essere composto da esperti economici
piuttosto che politici, e dovrebbe avere accesso a tutti i dati economici
e alle informazioni dello Stato.
Lo scopo di un'autorità indipendente che controlla l'applicazione
delle regole fiscali è la completa depoliticizzazione del dibattito sulla
politica fiscale. Un processo analogo a quanto accaduto in politica
monetaria attraverso la creazione di una Banca Centrale Europea
(BCE) completamente indipendente da tutti i Ministeri del Tesoro nazionali e dalla Commissione Europea44. I Consigli fiscali, in questo
senso, sono concepiti per controllare gli Stati membri "dall'interno", e
non dall'alto come ha fatto finora la Commissione Europea e la sua
DG Economia e Finanza.
In questo processo di agencification due altri sviluppi sono interessanti: l'istituzione, nel settembre 2015, del Network europeo delle Autorità Fiscali Indipendenti (European Network of Independent Fiscal
Institutions - EU IFISI); e nel febbraio 2016 la creazione del Comitato
Consultivo Europeo per le Finanza Pubbliche (European Fiscal Board
- EFB), un'autorità indipendente con funzioni consultive nei confronti
della Commissione Europea. Questi due sviluppi ci parlano da un
lato della costruzione di una rete decentralizzata di istituzioni indipendenti con l'obiettivo di controllare il funzionamento delle regole
fiscali europee a livello nazionale, e dall'altro, che al centro di questa
rete di autorità indipendenti, si riposiziona la Commissione Europea,
e la sua DG Economia e Finanza, tramite la costruzione del Comitato
Consultivo Europeo.
Le autorità fiscali indipendenti sono le agenzie che controllano e
supportano la diffusione di una razionalità ordo/neoliberale. In questo senso, queste autorità non miglioreranno la legittimazione demo-
44
In Italia il divorzio tra Banca d'Italia e Ministero del Tesoro in Italia è avvenuto nel
1981 con una lettera. Da quel momento in poi quel momento, la Banca Centrale
non era più obbligata a garantire in asta il collocamento integrale dei titoli offerti
dal Ministero del Tesoro, da lì in avanti i tassi di interesse pagati dal governo italiano sui propri titoli sono cresciuti senza sosta, perché i titoli italiani sono considerati sui mercati internazionali dei titoli non sufficientemente sicuri.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
26
cratica delle nuove procedure euro-nazionali45, ma al contrario promuovono un processo di sorveglianza sull'economia politica degli
Stati membri, che in questo modo avviene non più solo dall'alto verso
il basso, dal livello europeo a quello nazionale, ma viene organizzato
direttamente a livello nazionale.
1.5. Conclusioni
Il nuovo potere discrezionale della Commissione Europea, il ruolo
potenziato della sua DG Economia e Finanza, il Meccanismo automatico per re-imporre politiche fiscali solide a livello nazionale, le agenzia indipendenti per il controllo del bilancio nazionale, la presunta
obiettività delle previsioni economiche e delle stime statistiche, sempre meno autonomia nazionale sulle decisioni di bilancio: sono tutte
caratteristiche della macchina di governo fiscale, inizialmente organizzate con il PSC e oggi riaffermata e rafforzata con la NGE. Questa
macchina conduce e controlla gli Stati membri sia dall'esterno che
dall'interno, sfuggendo il dibattito pubblico e democratico.
In questo capitolo abbiamo analizzato il TSCG come esempio emblematico della NGE, e abbiamo visto come questo Trattato rafforza
tutte le tecnologie di controllo e monitoraggio, attivandole su più livelli contemporaneamente (nazionale ed europeo, dall'alto verso il
basso, dal basso verso l'alto).
Questa riaffermazione e rafforzamento della macchina di governo
fiscale sta cambiando il funzionamento delle democrazie europee, accelerando una riorganizzazione degli Stati membri, che era già in atto. Le istituzioni economiche ed esecutive sia a livello europeo che a
livello nazionale stanno diventando sempre più importanti, e strettamente in connessione tra di loro, rendendo marginali altre istituzioni,
come i ministeri e le commissioni per le politiche sociali e sul lavoro,
deboli a livello europeo e marginalizzate a livello nazionale. In questo senso, si sta creando un vero e proprio insieme euro-nazionale di
istituzioni e regole, non in contrapposizione tra loro, ma in relazione
45
C. Fasone and D. Fromage, "Fiscal Councils: Threat or Opportunity for Democracy
in the Post-Crisis Economic and Monetary Union?", in L. Daniele, P. Simone, e R.
Cisotta (a cura di) Democracy in the EMU in the Aftermath of the Crisis, Torino,
Springer, 2017.
1. Il Fiscal compact: una macchina di governo fiscale
27
di coordinamento e competizione46. Questo insieme euro-nazionale è
però completamente incapace di trovare legittimazione nelle diverse
società civili europee, e per governarle rafforza i dispositivi di controllo e monitoraggio. In questo modo si attiva quel corto circuito che
Foucualt aveva riconosciuto al centro stesso dell'arte di governo liberale tra dispositivi di sicurezza e produzione/consumo di libertà: la
parte illiberale del governo liberale47.
Questa discussione ci porta verso i limiti della governamentalità
come forma di analisi politica delle istituzioni, questa sorta di "istituzionalismo radicale". Come mai se questa macchina fiscale è così pervasiva e capace di controllare gli Stati membri, questi continuano a
non seguire le regole? Come mai di fronte ai continui disavanzi eccessivi di alcuni Stati membri la Commissione continua a non applicare le sanzioni previste e rafforzate con la NGE? Crediamo che
per rispondere a queste domande la governamentalità debba essere
intrecciata con altre analisi in grado di inserirla a pieno nel contesto
socio-economico, come ad esempio il dibattito neo-Gramsciano nelle
relazioni internazionali48.
In questo senso, l'UE si trova in una situazione alquanto paradossale: ribadisce continuamente la necessità di una disciplina fiscale, i
cui obiettivi vengono ripetutamente disattesi almeno da alcuni dei
suoi Stati membri, tuttavia non applica mai le sanzioni previste per
questi comportamenti. In questo modo le regole fiscali europee – il
cuore della governance economica dell'Unione – vengono continuamente applicate in modo improprio. Nonostante questo, nessun dibattito pubblico sulle regole fiscali decise con il PSC è possibile, se
non si vuole essere tacciati di anti-europeismo, sovranismo o populismo. In questo senso, la macchina di governo fiscale risulta pervasiva
e ancora capace di imporre l'dea che non ci sia alternativa possibile.
46
J. Wissel e S. Wolff, "Political Regulation and the Strategic Production of Space: The
European Union as a Post-Fordist State Spatial Project", Antipode 49.1, 2017, 231-48.
47
D. Mitchell, Governmentality: Power and Rule in Modern Society, London, SAGE,
1999, p.156
48
V. Bilancetti, "The Fiscal Compact: a Paradoxical Fiscal Governance Machine" in E.
Nanopoulos e F. Fotis (a cura di), The Crisis behind the Eurocrisis, Cambridge, Cambridge University Press, 2019.
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L'EUROPA della
DELLA crisi
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L’Europa
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L'EUROPA della
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L’Europa
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bilancio nella zona euro
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2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
Dai tavoli di Bruxelles alla leadership di
Mario Draghi
Eliana Zito
2.1. La Banca Centrale Europea:
la nuova governance economica europea
La crisi finanziaria dell'Eurozona ha messo in discussione il modello
istituzionale delineato dal Trattato di Maastricht nel 1992 e rafforzato
dal Trattato di Lisbona dal 2009 in poi. Il compromesso tra unione
sovranazionale e unione intergovernamentale, tra Paesi aderenti
all'Unione Economica e Monetaria e Paesi conservatori della propria
moneta (e desiderosi di sovranità interna), così come il compromesso
tra centralizzazione della politica monetaria nelle mani di un'istituzione sovranazionale e decentralizzazione delle politiche economiche, fiscali e budgetarie degli Stati membri soggetti al coordinamento
dei propri governi nazionali1, sono meccanismi che, in maniera inevitabile, si riflettono sulla sopravvivenza dell'intera architettura istituzionale europea. Non solo. Alle porte di una nuova legislatura europea, lasciano aperte alcune questioni: dalla gestione della crisi
finanziaria alle politiche a favore dei cittadini, passando per la convivenza politica dei singoli Stati membri all'interno dell'Unione europea, l'architettura istituzionale europea poggia oggi su due assi principali che via via hanno consolidato il proprio peso all'interno dello
scenario europeo: il Consiglio Europeo e il Presidente della Banca
Centrale Europea Mario Draghi2.
1
S. Fabbrini, "After the Euro Crisis: A New Paradigm on the Integration of Europe",
in: ARENA Working Paper, 2014.
2
Per un'analisi approfondita si veda: C. Zilioli, M. Selmayr, La Banca Centrale Europea, Milano, Giuffrè, 2007 (ed. or. The Law of European Central Bank, Oxford, Hart Publishing, 2001).
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DELLA crisi
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32
È in questa direzione, con l'aumento del peso istituzionale del
Consiglio Europeo, il rafforzamento del ruolo della Commissione Europea3 e delle sue competenze (durante e dopo la crisi finanziaria) anche a svantaggio del Parlamento Europeo (quest'ultimo in una sorta
di «institutional limbo»4), e il protagonismo della BCE che, nel corso
della appena trascorsa legislatura, si è aperta la questione sulla legittimità della governance economica europea5. L'interrogativo poggia sulle
implicazioni istituzionali di quello che può essere considerato come
un salto qualitativo del nuovo sistema che, soprattutto dalla presidenza Draghi in poi, è venuto consolidandosi6. Sotto la presidenza
Draghi, la Banca Centrale Europea si è senza dubbio imposta con le
sue decisioni sulla scena europea, rivelandosi fondamentale nella gestione della crisi dell'Eurozona dal 2008 in poi, mentre il Presidente
ha giocato un ruolo decisivo e in prima linea, tanto da guadagnarsi
quella leadership che per anni è mancata – e continua a mancare – ai
leader dell'Unione Europea. Non è un caso che una delle sfide con cui
la nuova legislatura europea dovrà misurarsi sarà proprio la capacità
politica dei nuovi leader che formeranno i nuovi Commissione, Consiglio e Parlamento, non solo in termini di competenza e preparazione, ma anche – e questa volta più di tutte – in termini di accountability nei confronti dei cittadini europei.
Il rafforzamento del ruolo della Banca di Francoforte è anche legato
alle contingenze politiche ed economiche che hanno caratterizzato il
periodo della crisi finanziaria e quello immediatamente successivo.
L'incertezza politica, che oggi si traduce nei partiti antisistema e nei
nazionalismi estremi, e la difficoltà di prevedere dei piani di salvataggio a favore tanto dell'Eurozona quanto dei cittadini stessi, hanno fatto
sì che la Banca Centrale Europea consolidasse la propria posizione in
3
M. W. Bauer, S. Becker, "The Unexpected Winner of the Crisis: The European
Commission's Strengthened Role in Economic Governance", in Journal of European
Integration, Vol. 36 n.3, 2014, pp. 213-229.
4
S. Fabbrini, "After the Euro Crisis", cit., p.9.
5
H. Enderlein, "Towards an Ever Closer Economic and Monetary Union? The Politics and Economics of Exploratory Governance", in M. Dawson, H. Enderlein, C.
Joerges, Beyond the Crisis. The Governance of Europe's Economic, Political, and Legal
Transformation, Oxford, Oxford University Press, 2015.
6
M. W. Bauer, S. Becker, "La Gouvernance Économique durant et après la Crise: vers la
disparition de la Commission Européenne?", in Pouvoirs, 2, 149, 2014, pp. 29-44: p. 29.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
33
quanto istituzione responsabile della politica economica e monetaria
europea, con una conseguente, e necessaria, presa di posizione del Presidente Mario Draghi. Il famoso «whatever it takes» del 26 luglio 2012 ha
definito tutta la presidenza Draghi come un buon lavoro non solo di
politica economica, ma un vero e proprio lavoro di politica tout court7,
nei termini di un'ineccepibile capacità di mettere in campo una serie di
azioni e misure economiche che hanno permesso a Mario Draghi di
contraddistinguersi come leader politico a tutti gli effetti e di conquistarsi e mantenere – grazie anche all'efficacia e alla credibilità della sua
presidenza – la fiducia dei cittadini europei.
2.2. Un nuovo presidente, una nuova
Banca Centrale Europea
Il 24 giugno 2011 i giornali italiani titolavano sulla nuova presidenza della Banca Centrale Europea che da lì al 1° novembre 2011 sarebbe stata assunta da Mario Draghi, governatore di Bankitalia. Il
nuovo Presidente veniva annunciato su Twitter dall'allora Presidente
del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy che, dopo un intenso
dibattito durato un'intera mattinata, alle 11.55 del 23 giugno twittava:
«The European Council has just agreed on the appointment of Mario Draghi
as new President of the European Central Bank».
Il 18 novembre 2011, il nuovo Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, in occasione del Congresso "The Big Shift" a
Francoforte sul Meno, faceva il punto della situazione economica in
cui si trovava l'Eurozona in quel momento e tracciava quelle che sarebbero state le linee guida delle decisioni che avrebbe preso nel corso della sua presidenza: «continuity», «consistency», «credibility»8. Un
climax che ha sottolineato l'intenzione di mettere nero su bianco il
ruolo delle economie emergenti e le politiche economiche adeguate
per rispondere, con continuità, consistenza e, soprattutto, credibilità alla
crisi dell'Eurozona. Con Mario Draghi alla guida della BCE si parla
7
La definizione è da attribuire all'economista Luigi Zingales che ne scrisse in un
articolo su "Il Sole 24 Ore" del 27 luglio 2014.
8
M. Draghi, Continuity, consistency and credibility, Introductory remarks by Mario
Draghi, President of the ECB, at the 21st Frankfurt European Banking Congress
"The Big Shift", Frankfurt am Main, 18 November 2011.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
34
anche di una nuova communication policy9 della Banca Centrale Europea che ha per obiettivo stabilire un nuovo e solido rapporto di fiducia con i cittadini europei, al fine di colmare il gap cui è soggetta la
Banca di Francoforte in quanto istituzione indipendente dai Trattati,
né votata né apprezzata dai suoi cittadini e che, di fatto, decide le sorti economiche degli Stati membri dell'Unione Europea.
In questo saggio verranno analizzati i discorsi di Mario Draghi:
l'impostazione che emerge dalla diffusione dei bollettini economici,
dalle comunicazioni ufficiali o da un semplice discorso in pubbliche
conferenze riflettono quello che a Draghi è stato attribuito come «pouvoir du verbe10», ovvero la capacità del Presidente di un'istituzione
economica – ed europea per eccellenza – di incidere politicamente e di
fare politica non solo all'interno dei confini dell'Eurozona e dell'Unione
Europea, ma anche a margine delle riunioni del Consiglio Europeo.
Fin dalla sua prima apparizione pubblica, Mario Draghi si distingue
per un uso equilibrato e definito della parola: il pragmatismo che lo caratterizza gli è valso l'appellativo di «diplomatico d'Europa» o «diplomatico degli Stati d'Europa», in quanto l'unico – tra le personalità delle
istituzioni europee – a fare effettivamente politica. Pur ricoprendo un incarico inquadrato appieno nelle linee dell'austerity, Mario Draghi utilizza sempre un linguaggio equilibrato e un modus operandi da diplomatico: usa l'arte della parola per aprire delle vie, sbloccare
situazioni di impasse o modificare equilibri politici11. Il discorso pronunciato nel novembre 2011, in continuità con Trichet, la consistency
delle politiche economiche adottate e la credibilità del ruolo della BCE
sono stati la premessa dell'anno dopo quando, in pieno immobilismo
economico e finanziario, con il determinato «whatever it takes» Draghi
mise fine alla speculazione e alla fase acuta della crisi dell'euro. Un intervento che, come sappiamo, non ha lasciato dubbi sulle azioni e sulle
politiche che la BCE avrebbe adottato da quel momento in poi per uscire dalla situazione di stallo in cui versava l'Eurozona. «La BCE farà di
tutto per sostenere l'euro e vi assicuro che sarà abbastanza» è la frase
9
O. Velthius, "Making monetary markets transparent: the European Central Bank's
communication policy and its interactions with the media", in Economy and Society,
2, 44, 2015, pp. 316-340.
10
S. Moatti, "Mario Draghi ou le pouvoir du verbe", in L'Économie politique, 66, 2015, pp. 5-6.
11
Ibidem
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
35
con cui Mario Draghi ha dimostrato di sapersi imporre sulla scena europea rispetto alle altre istituzioni europee, di saper comunicare come
un vero leader politico e, soprattutto, di essere in grado di rispettare gli
impegni assunti in sede pubblica12.
Dall'analisi dei discorsi, emerge come Mario Draghi abbia gestito la
crisi dell'Eurozona come un leader politico a tutti gli effetti, anche attraverso la funzione politica del proprio linguaggio. Nel rapporto pensiero-discorso-testo e contesto della relazione di potere tra la BCE, che
lui rappresenta, e le altre istituzioni europee, ma anche con i cittadini,
Draghi è in grado di mantenere una corrispondenza tra dichiarazione e
azione delle sue decisioni, superando i tecnicismi e trasmettendo il
messaggio anche fuori dai paradigmi economici. In questo senso, la
Presidenza Draghi riesce ad avvicinarsi ai cittadini grazie ad un linguaggio puntuale ed esortativo, ma comunque chiaro e calibrato.
Nelle pagine seguenti verrà tracciata un'introduzione sugli studi sul
linguaggio politico e sulla politolinguistica per giungere poi alla parte
finale sul linguaggio politico di Mario Draghi, ovvero uno studio su un
campione di discorsi pronunciati dal Presidente della BCE, scanditi secondo momenti decisivi della crisi dell'Eurozona, dal 2011 fino al 2016.
2.3. L'analisi della politolinguistica applicata
ai discorsi di Mario Draghi
La politolinguistica, neologismo coniato da Armin Burkhardt13 nel
1996 per indicare un campo di analisi a metà tra la linguistica e le
scienze politiche, è un metodo di ricerca che si basa sull'esperienza co-
12
In questa sede non verrà analizzato l'andamento dello spread che in seguito riuscì
comunque a mantenersi stabile tra i 150 e 170 punti – ma verranno presi in considerazione i risvolti che le dichiarazioni del Presidente della BCE ebbero sul piano
politico. Le pouvoir du verbe fu, in questo caso, accompagnato dai fatti e dalla capacità di ottenere quel sostegno politico internazionale necessario per la BCE e per
Draghi ad evitare la sfiducia da parte dei Governi, in particolare da parte del Governo tedesco e della Bundesbank.
13
A. Burkhardt, "Politolinguistik. Versuch einer Ortsbestimmung", in J. Klein, H.
Diekmannshenke, Sprachstrategien und Dialogblockaden. Linguistiche und politikwissenschaftliche Studien zur politischen Kommunikation, Berlin-New-York, de Gruyter,
pp. 75-100, cit. in L. Cedroni, Politolinguistica, Roma, Carocci, 2014.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
36
municativa14 e proprio in questa trova un punto di intersezione focale15.
La politolinguistica copre ambiti che vanno dall'analisi semantica, filologica ed ermeneutica all'analisi pragmatica del discorso e degli atti
linguistici, anche attraverso l'uso di metodi quantitativi e statistici16.
La politolinguistica recente, la "politolinguistica critica", con Martin Reisigl17 combina l'approccio tra linguistica applicata e l'analisi
critica del discorso e della retorica, ovvero la Critical Discourse Analysis (CDA)18 che si rifà principalmente al metodo induttivo: da un
contesto storico di riferimento, vengono presi in esame non solo i testi, ma anche i processi sociali all'interno dei quali gli individui, ovvero i soggetti storici, agiscono nella formulazione e creazione di significati. Gli ambiti di applicazione entro cui si sviluppa la CDA sono
vari, soprattutto istituzionale e politico, e comprendono tre categorie
di analisi: il potere, la storia e l'ideologia.
La dimensione pragmatica caratterizza maggiormente l'analisi del discorso politico con la conseguenza che nella comunicazione assume rilevanza la semantica, rispetto alla sintassi e alla semiotica, e la sua componente interpretativa 19 . La politolinguistica critica studia, pertanto, i
fenomeni politici e sociali attraverso il linguaggio scritto e parlato di politici e attori che si distinguono nei contesti sociale, politico, culturale,
economico e mediatico e che influenzano i processi di decision- making.
14
La relazione tra i due approcci di ricerca si incontra nel punto di intersezione individuato da Hannah Arendt, costituito dall'esperienza comunicativa coincidente
con la politica. Secondo la formulazione della Arendt, la prima tra gli studiosi ad
avere intuito l'esistenza di una stretta relazione tra politica e linguaggio, quest'ultimo incrocia la politica, intesa come un'area al cui interno si inseriscono una pluralità di individui impegnati nel portare a termine quotidianamente una serie di
azioni con l'obiettivo di conseguire un determinato fine o bene. Sull'esperienza
comunicativa si veda anche: H. Arendt, The Life of The Mind, London, Secker &
Warburg, 1978, (trad. it., La vita della mente, Bologna, Il Mulino, 1987.
15
L. Cedroni, T. Dell'Era, Il linguaggio politico, Roma, Carocci, 2002.
16
L. Cedroni, Politolinguistica, cit.
17
M. Reisigl, "Analyzing Political Rethoric", in R. Wodak, M. Krzyzanowski (eds.),
Qualitative Discourse Analysis in the Social Sciences, Basingstoke-New York, Palgrave-Macmillan, 2008.
18
Il metodo della CDA è ripreso dalla scuola di linguistica critica (Critical Linguistic
– CL) della Scuola di Francoforte e di impostazione habermasiana e dal lavoro di
Gunter Kress, ripreso dal gruppo di studiosi della CDA costituitosi attorno alla rivista Discourse & Society nei primi anni Novanta.
19
L. Cedroni, Politolinguistica, cit.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
37
Nell'analisi del rapporto tra comunicazione e azione politica, Lasswell20 chiarisce come il potere politico possa essere compreso meglio attraverso un'analisi del linguaggio politico. Nelle sue analisi, ritiene, infatti,
che quest'ultimo possa essere considerato linguaggio del potere e linguaggio della decisione: esercitare la politica coincide con esercizi di persuasione, ovvero come una negoziazione verbale e un'interazione dove possono
determinarsi cooperazione o competizione21. Allo stesso tempo, il linguaggio politico può esprimere anche una non-decisione che, secondo gli
studi di Lukes22 sul potere, si inquadra all'interno della cosiddetta «terza
dimensione», vale a dire la dimensione latente. Di conseguenza, il linguaggio politico ha un potere costitutivo e viene definito dalla CDA come
«pratica sociale» dalle funzioni interpretativa23 e persuasiva, ma anche rituale, evocativa o simbolica e legittimante: nel momento in cui un soggetto della
comunicazione politica parla e formula una dichiarazione compie non solo
un atto linguistico (illocutivo o performativo), ma anche un atto espressamente politico, poiché mette in atto un processo che produce effetti tanto
nella sfera pubblica quanto sul piano sistemico, generando esiti nei processi decisionali della politica24. Il potere costitutivo coincide, quindi, con
la capacità del linguaggio politico25 di «contribuire alla realtà di ciò che enuncia, per il fatto di renderlo concepibile, e soprattutto credibile, e di creare così la
rappresentazione e le volontà collettive che possono produrlo»26.
20
H.D. Lasswell, Language of Politics: Studies in Quantitative Semantics, New York,
Stewart, 1949.
21
Ibidem
22
S. Lukes, Potere. Una visione radicale, Milano, Vita e pensiero, 2007.
23
Le funzioni interpretativa e costitutiva si ritrovano nei tre principali campi di analisi del linguaggio politico: teoria politica (momento speculativo), ricerca (momento operativo) e prassi politica (declinazioni del linguaggio degli attori coinvolti nei
processi di comunicazione).
24
L. Cedroni, Politolinguistica, cit.
25
Con l'espressione linguaggio politico si intende un particolare fenomeno controllato da
determinati paradigmi e avente come riferimento la struttura delle attività politiche, le
istituzioni e i valori della cultura politica in cui si sviluppa. Comprende lessici più o
meno istituzionalizzati, termini e vocabolari ripresi da linguaggi di attività subpolitiche
(sport, il lessico quotidiano, quello medico o di altri campi specialistici) cfr. L. Cedroni,
"Linguaggio politico e ideologie", in M. C. Antonucci (a cura di), Ideologia e Comunicazione: costruzione di senso e nuove tecnologie, Milano, FrancoAngeli, 2006.
26
L. Cedroni, Politolinguistica, cit.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
38
La politolinguistica critica poggia su una critica ben strutturata
che tiene conto dei processi sociali, culturali ed economici che stanno
alla base della comunicazione politica all'interno delle democrazie27 e
si associa alla linguistica, all'interno della quale si inserisce la retorica
che consente non solo di studiare il discorso, ma anche di costruirne
una struttura strategica. La politolinguistica critica si sviluppa all'interno di un framework di riferimento sulla base delle tre dimensioni
della politics, della policy e della polity: la prima comprende la dimensione del potere, inteso come la capacità di influire sulle decisioni
prese dagli individui; la seconda definisce l'identità e i confini della
comunità politica organizzata28; l'ultima, invece, si riferisce ai programmi d'azione e ai processi decisionali (leggi, provvedimenti e politiche pubbliche) e include i processi di decision making, in quanto
prodotto della politics29.
2.4. Il linguaggio politico di Mario Draghi: l'analisi
L'analisi dei discorsi di Mario Draghi cade in un periodo fondamentale, tanto dell'Eurozona quanto per il futuro stesso dell'Unione
europea: le vicende che si sono verificate nel periodo interessato hanno prodotto delle conseguenze non solo sul piano politico, ma anche
su quello istituzionale. Da un lato, il ruolo prettamente politico
dell'Unione europea all'interno del quadro della depoliticizzazione30;
dall'altro, la capacità di Mario Draghi di riformulare questo assetto
27
Ibidem.
28
Nella polity si distinguono polity meno aperte (Stato nazionale) e polity costruite su
basi multinazionali (Stati federali, confederazioni, compound democracies, al cui interno rientrerebbe - secondo Sergio Fabbrini - l'Unione europea).
29
La politolinguistica è stata definita da Jacob Mey come una «tropologia del politico»,
ossia una teoria dei tropi che organizza e spiega le funzioni del linguaggio nelle sfere
politics, polity e policy, attraverso tre dei quattro master tropes: metafora, che comprende la personificazione e l'allegoria; metonimia; sineddoche, inclusa l'antonomasia. J.
Da Mey, Concise Encyclopedia of Pragmatism, Oxford, Elsevier, 2009.
30
Sulla depoliticizzazione si veda: N. J. Doyle, "Governance and Democratic Legitimacy: The European Union's Crisis of De-Politicisation"; in B. Isakhan, S. Slaughter
(eds.), Democracy and Crisis: Democratising Governance in the Twenty-First Century,
Basingstoke, Palgrave MacMillan, 2014; C. Hay, Why We Hate Politics, Cambridge,
Polity Press, 2016; M. Flinders, J. Buller, "Depoliticisation: Principles, Tactics &
Tools", in British Politics, Vol. 1, 2006, pp.293-318.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
39
nel senso di una ripoliticizzazione dell'Unione stessa, attribuendo alle
sue decisioni un peso notevolmente politico.
L'analisi parte dalla crisi di legittimità che ha colpito l'Unione europea e che oggi più che mai la caratterizza: la crisi dell'eurozona ha
fatto emergere le difficoltà delle istituzioni europee di gestirne gli effetti con una conseguente riformulazione dell'architettura istituzionale. La multi-level governance, infatti, originariamente prevista nello schema collaborativo tra Parlamento europeo, Commissione e
Consiglio, ha lasciato spazio alla governance economica europea delle riunioni di ECOFIN ed Eurogruppo, ma soprattutto della Banca
Centrale Europea: dallo svuotamento della "politicità" delle decisioni
politiche prese a Bruxelles si è finiti per "cedere" un potere decisionale alla Banca Centrale Europea. Quale sia il merito della BCE va
dunque ricercato nella nuova communication policy messa a punto dalla BCE soprattutto dal 2011 in poi: una leadership europea tout court,
dall'eco inconfondibile che oggi porta il nome di Mario Draghi e che
da Francoforte arriva a Bruxelles.
Nei discorsi di Mario Draghi si ritrova spesso l'uso di figure retoriche, per rafforzare il significato del termine che vuole mettere all'attenzione degli interlocutori, e allo stesso tempo per ampliare o restringere la portata, oltre al contesto in cui si inserisce, così da mantenere
una continuità logica e semantica con un'altra parola. Inoltre, attraverso tropi, utilizza allitterazioni e climax, sineddochi e metonimie.
È con il climax dell'allitterazione «continuity, consistency and credibility», nel primo discorso di insediamento da presidente della BCE
nel Congresso di Francoforte sul Meno, che Draghi si mostra risoluto
nell'intenzione di creare un clima di certezza e fiducia reciproca tra la
sua presidenza, i suoi collaboratori e i cittadini. C'è poi l'uso di metonimie, quando la connessione tra due parole è di tipo qualitativo, nel
sottolineare le difficoltà economiche, soprattutto nel corso dei momenti
più critici che hanno colpito l'Eurozona (2012-2013)31, e l'uso di sineddochi per dare maggiore peso a determinati passaggi o figure chiave,
31
L'autore per l'opera (The spirit of the Gasperi); l'astratto per il concreto (vulnerabilities
remain/le difficoltà economiche rimangono/ design of a fiscal compact); il concreto
per l'astratto (to raise Europe's standing/a new architecture for the euro/ a bold leap
of political imagination); la causa per l'effetto (the launch of the euro/a landmark
achievement); l'effetto per la causa (key milestone/the adoption of the "six-pack").
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
40
quali i cittadini, il popolo, il governo (all euro area citizens/ political capital/ governments of member states / the people of the European Union).
L'analisi sui discorsi di Mario Draghi permette di constatare l'esistenza di un paradosso per il quale a detenere la leadership politica
europea non è una figura politica per definizione (i Presidenti di Parlamento europeo, Commissione o Consiglio Ue), ma il presidente di
un'istituzione economica, appunto la BCE.
Il linguaggio politico32 di Mario Draghi è un linguaggio di tipo
pragmatico, deciso ed esortativo, soprattutto nella fase acuta di crisi
dell'Eurozona durante la quale predominano una situazione di stallo
e stagnazione politica dell'Unione europea e, successivamente, di crisi ed euroscetticismo. Il linguaggio esortativo è generalmente di tipo
politico e indirizzato ad un pubblico ben definito: l'uso frequente del
termine «democrazia», così come «integrazione», «political union» e
«cohesion» assumono una propria valenza semantica. Mentre nelle
circostanze istituzionali, il linguaggio è più ricercato, tecnico e pragmatico, a differenzia delle situazioni più formali e pubbliche dove assume carattere più personale e confidenziale.
La novità è rappresentata da Mario Draghi stesso che, pur appartenendo al mondo economico, si avvale di strumenti propri della comunicazione politica inserendosi così all'interno di questo processo
di socializzazione politica dei cittadini i cui effetti sono evidenti ed
efficaci «laddove si stabilisce una stretta continuità tra linguaggio politico, propaganda e prassi istituzionale»33. Il Presidente della BCE è
stato, quindi, perfettamente in grado di costruire e impostare la propria leadership e di mantenerla costante - ancora oggi - rispetto a
quelle tradizionali delle istituzioni europee Commissione, Consiglio e
Parlamento. Con Draghi non abbiamo un esclusivo e distaccato leader economico, ma il leader del «whatever it takes», protagonista della ripoliticizzazione dell'Unione europea.
Seguendo la metodologia della ricerca della politolinguistica, l'analisi
parte dall'«acquisizione della conoscenza teorica del problema da affron-
32
Il linguaggio politico si caratterizza per la funzione illocutiva e performativa che si inserisce nel processo tra governanti e governati come un flusso sempre attivo anche al di fuori
del mero contesto delle campagne elettorali (durante le quali si registra il maggior numero
di flussi) e a ragione di ciò è possibile parlare di comunicazione politica permanente.
33
L. Cedroni, Politolinguistica, cit., p. 69.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
41
tare34», ovvero l'impasse che ha colpito le istituzioni europee, in particolare Commissione europea e Consiglio, nella gestione della crisi economica (non più solamente economica, ma anche politica) e che ha generato una parziale incapacità di predisporre politiche adeguate alle
contingenze endogene ed esogene all'Unione stessa (euroscetticismo, nazionalismi estremi, Brexit, crisi dei migranti). Ed è proprio in questa impasse istituzionale, fatta via via sempre più di vertici straordinari, che si
inserisce la figura determinante e determinata di Mario Draghi.
L'ipotesi di partenza di questa analisi poggia sulla domanda
«Come ha gestito la crisi Mario Draghi?», in un periodo di tempo
compreso tra il suo insediamento a novembre 2011 e settembre
201635. L'analisi evidenzia le corrispondenze tra i discorsi pronunciati
34
Reisigl indica otto fasi attraverso le quali articolare l'analisi della politolinguistica: 1)
acquisizione di una conoscenza teorica del problema da affrontare attraverso la ricerca e lo studio della letteratura in materia; 2) raccolta dei dati dei discorsi da analizzare attraverso il metodo della triangolazione, ovvero l'applicazione di diverse metodologie sulla base di molteplici dati empirici e di informazioni di background; 3)
preparazione e selezione dei dati (esame, vaglio, cernita); 4) ulteriore definizione della questione e formulazione di ipotesi; 5) analisi pilota per una migliore definizione
dell'oggetto di ricerca, operazionalizzazione concettuale e specificazione delle ipotesi
attraverso analisi macrostrutturale (schemi dispositivi) microstrutturale (analisi linguistica in superficie e in profondità) e analisi contestuale (sociale, storica e/o politica); 6) analisi dettagliata, qualitativa e quantitativa; 7) formulazione di una critica; 8)
utilizzo dei risultati ottenuti. Questo metodo può essere associato o adoperato congiuntamente al linguaggio politico o all'analisi del discorso politico, poiché la politolinguistica si concentra non solo su un'analisi immanente e sincronica, ma è in grado
di contestualizzare anche in maniera diacronica i testi, ovvero analizzare continuità,
discontinuità e trasformazioni storiche, politiche e istituzionali, oltre che organizzative e tecnologiche della comunicazione.
35
Sono stati analizzati 32 discorsi scelti in base ai criteri temporale e delle contingenze in corso. Il primo comprende il periodo di tempo 2011 (anno di insediamento
della Presidenza Draghi) - 2016, attuale e ancora in corso. Il secondo criterio segue,
invece, la cronologia delle vicende economiche che ha attraversato l'eurozona e,
dunque, la conseguente strategia che ha applicato Draghi in termini di misure di
contrasto alla crisi economica. Nella scelta dei discorsi da analizzare sono stati presi come riferimento momenti importanti quali l'andamento dello spread, vertici
europei e conferenze internazionali. Per l'analisi sono state seguite le procedure di
politolinguistica di Reisigl (acquisizione, raccolta dati, preparazione e selezione dati, definizione della questione e formulazione ipotesi, analisi pilota, analisi dettagliata, formulazione di una critica, utilizzo dei risultati). È stato, pertanto, definito
il tema «la gestione della crisi da parte di Mario Draghi», cui è seguita la formulazione dell'ipotesi. Un'analisi pilota ha permesso di impostare un'indagine macrostrutturale per individuare lo schema seguito da Draghi, ovvero una critica retrospettiva (spesso a introduzione dei discorsi) e una critica prospettica (nella parte di
42
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
da Draghi e le misure conseguentemente adottate da Presidente e il
potere costituente del linguaggio politico di Draghi nel passaggio
dalla dichiarazione all'adozione delle misure economiche.
Per la scelta dei discorsi, si è scelto di valutare discorsi istituzionali
(Hearing at the Committee, Hearing before the Plenary of European Parliament) e più informali tenuti in occasioni pubbliche, quali conferenze o
cerimonie. In particolare, nella seconda categoria rientra il discorso del
13 settembre 2016 pronunciato in occasione del conferimento del "Premio Alcide De Gasperi", un discorso fondamentale proprio per il suo carattere prettamente politico. Inoltre, si è ritenuto ugualmente importante
analizzare il primo discorso pubblico tenuto da Mario Draghi a Francoforte sul Meno il 18 novembre 2011, in occasione del XXI Congresso "The
Big Shift" della Banca Europea di Francoforte.
Nell'applicare la semantica quantitativa, l'analisi si è concentrata sul
calcolo delle occorrenze, ovvero le frequenze delle parole-chiave individuate nei testi e indicate come unità di analisi. Le unità di analisi rispondono al tema oggetto dell'analisi, "la gestione della crisi da parte di Mario
Draghi", e si inseriscono in categorie soprattutto economiche, ma anche
politiche. Le parole-chiave individuate nei discorsi esaminati sono: «accountability», «banking union», «challenge», «citizen», «cohesion», «integration», «political union», «resilience»36 che assumono un significato e un
peso politico all'interno dei discorsi pronunciati – in questo caso – dal presidente di un'istituzione economica. Dall'analisi emerge come l'andamento
delle occorrenze delle unità di analisi considerate segua la cronologia della
strategia della BCE e delle politiche messe in atto. Sul piano interpretativo,
l'utilizzo di termini specifici si lega alla volontà di Draghi di unire gli interventi economici con la nuova communication policy della BCE: da porta-voce a propaganda tool37 dell'istituzione, con l'obiettivo di raggiungere i
sviluppo dei discorsi), e una microstrutturale (linguistica) per verificare la presenza di metafore. Infine, un'analisi contestuale sulle contingenze storiche (crisi
dell'Eurozona), sociali (crisi del modello europeo e della cittadinanza europea) e
politiche (intervallo del ruolo delle istituzioni).
36
Ai fini dell'analisi, sono stati elaborati i risultati in grafici. La rappresentazione grafica mette in asse l'intervallo di tempo consentendo una più rapida visualizzazione
dei risultati ottenuti; nell'interpretazione dei grafici, bisogna ricordare che il periodo di riferimento è tracciato in base all'analisi delle occorrenze delle parole-chiave
nel testo e non in maniera progressivo-temporale.
37
La BCE cerca di rispondere alla richiesta di maggiore trasparenza assicurandosi
una larga copertura mediatica che va dal comunicato stampa ai discorsi tenuti in
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
43
cittadini - ed imporsi, allo stesso tempo, tra le altre istituzioni europee - nel
quadro della nuova politica di trasparenza della BCE. E proprio la nuova
communication policy della Banca Centrale Europea è orientata a creare
un rapporto con i cittadini dei Paesi dell'Eurozona e un feeling di consenso
economico che passa attraverso l'accountability, ovvero la responsabilità
dell'istituzione nei confronti di un elettorato europeo che non è attivamente inserito all'interno del contesto economico.
a) Accountability
L'andamento delle occorrenze di «accountability» 38 si colloca
nell'arco di tempo successivo al famoso discorso del 26 luglio 2012, in
occasione del quale Draghi assicurava cittadini e governi dell'Unione
«accountability»
4,5
4
3,5
che avrebbe fatto «whatever it takes to preserve the euro» e riparare
[the] «financial fragmentation39».
occasione di conferenze o incontri pubblici, con l'obiettivo di conferire alla communication policy l'importanza che merita nel processo che porta all'adozione delle politiche economiche. Cfr. H. Berger, M. Ehrmann, M. Fratzscher, "Monetary
Policy in the Media", Working Paper Series N.679/September 2006, Frankfurt am
Main, European Central Bank, 2006.
38
Occorrenza registrata pari a 21 volte.
39
«Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro.
And believe me, it will be enough. […] And I think the key strategy point here is that
if we want to get out of this crisis, we have to repair this financial fragmentation».
39
"Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo e la Banca centrale europea
sulle modalità pratiche dell'esercizio della responsabilità democratica e della supervisione sull'esecuzione dei compiti attribuiti alla Banca centrale europea nel
quadro del meccanismo di vigilanza unico", 2013/694/UE.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
44
A partire dal luglio 2012, vi è una fase di crescita e consolidamento della leadership di Mario Draghi presidente e della BCE nel
periodo successivo all'insediamento in «continuity» con il lavoro
di Jean-Claude Trichet. In corrispondenza delle misure sui tassi di
riferimento del 5 luglio 2012, il presidente Draghi insiste sull'apertura verso un rapporto fondato sull'accountability e sulla trasparenza per rispondere alla necessità di rendere "accountable" la
BCE non solo rispetto alle istituzioni, ma anche nei confronti dei
cittadini europei. Da qui, l'Accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo e la Banca centrale europea del 2013 40.
Nello specifico, il termine accountability – prettamente politico
– segue il percorso iniziale della BCE, alla ricerca di una forma di
legittimazione estranea al tradizionale rapporto che si instaura tra
governante e governato, tra attore istituzionale e cittadino, ed
emerge un uso del termine per un totale di 21 occorrenze (19 delle
quali registrate principalmente in occasione di discorsi istituzionali tenuti tra il 2012 e il 2015. Un'attenzione maggiore all'accountability rivolta a un pubblico più vasto – «to the wider public» – si
manifesta in maniera più evidente nell'ottobre 2012, ovvero nel
periodo immediatamente successivo alla presentazione dello scudo anti-spread e delle misure Outright monetary transactions
(Omt)41, per un totale di 3 frequenze. Inoltre, si registra un picco
nel dicembre 2013, successivo alle nuove misure di taglio dei tassi
di interesse del mese precedente. Il riferimento all'accountability è
associato non solo a discorsi dal taglio principalmente economico,
ma anche a discorsi che richiamano l'Unione politica e l'integrazione europea, temi ai quali Mario Draghi riserva grande attenzione nei periodi iniziali (luglio-agosto 2012) come strumento per
acquisire e guadagnare consenso: «Political union can, and shall,
develop hand-in-hand with fiscal, economic and financial union.
The sharing of powers and of accountability can move in parallel.
We should not forget that 60 years of European integration have
already created a significant degree of political union».
41
Outright monetary transactions (Omt) - 6 settembre 2012.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
b)
45
Banking union
«banking union»
6
5
4
3
2
1
0
L'analisi della parola-chiave «banking union»42 si rivela determinante rispetto alle contingenze storiche in cui si inserisce. Il calcolo
delle frequenze mette in evidenza il legame della BCE con il tema
dell'Unione bancaria, in linea con le decisioni e le politiche adottate
dal 2011 dalle altre istituzioni europee. L'occorrenza più alta si registra, infatti, nell'aprile 2013, a ridosso delle discussioni sul tema, durante il quale la stessa Commissione Europea avanza la proposta di
un'Autorità unica e di un Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie per gli Stati membri aderenti all'Unione bancaria, definito poi
con l'adozione del regolamento UE/2014/80621343. Mentre, il 2 maggio
2013, Draghi tagliava ancora una volta i tassi di interesse di 25 punti.
Nel periodo di tempo successivo, da marzo 2014 a novembre 2015,
il termine banking union si presenta via via sempre più frequente, in
coincidenza delle decisioni di Consiglio e Parlamento di approvare la
direttiva 2014/59/UE44 sul risanamento e la risoluzione degli enti cre-
42
"Monetary policy communication in turbulent times" Speech by Mario Draghi,
President of the ECB, at the Conference De Nederlandsche Bank 200 years: Central
banking in the next two decades, Amsterdam, 24 April 2014, rigo 22.
43
Regolamento UE/2014/806 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio
2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi
e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico
e del Fondo di risoluzione unico e che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010.
44
Direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014
che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle
imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le
direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE,
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
46
ditizi e delle imprese di investimento. Si tratta di decisioni orientate
[to] «the next five years ahead - towards completing the Union45» e
verso [a] «consistent application of the Bank Recovery and Resolution
Directive's bail-in provisions46», che permisero a Mario Draghi di
reinserirsi nell'agenda mediatica a partire da febbraio 2016. Le dichiarazioni sono immediatamente successive al nuovo Qe2 e alla diminuzione dei tassi sui depositi al -0,3%.
c) Citizen
Il termine «citizen»47 è molto interessante nell'arco del 2012. Nei
mesi luglio e agosto, la frequenza della parola-chiave citizen si colloca
sullo stesso piano di accountability e in corrispondenza del whatever
it takes del 26 luglio 2012, così come delle misure sullo scudo antispread del settembre 2012. L'analisi della parola-chiave citizen si traduce nella consapevolezza di Mario Draghi di dover non solo rassicurare le banche sulle future manovre economiche, ma anche i
cittadini al fine di costruire un rapporto basato sulla reciproca fiducia. L'attenzione rivolta al cittadino si concentra maggiormente e soprattutto nei discorsi più informali come, ad esempio, nell'articolo
"The future of the euro: stability through change" pubblicato sul "Die
Zeit" il 29 agosto 2012, in cui Mario Draghi scrive:
When markets are fragmented or influenced by irrational fears, our monetary policy signals do not reach citizens evenly across the euro area. We
have to fix such blockages to ensure a single monetary policy and therefore price stability for all euro area citizens. This may at times require exceptional measures. But this is our responsibility as the central bank of the
euro area as a whole.
Tuttavia, il riferimento ai cittadini si ritrova anche in occasioni istituzionali, durante le quali si fa più evidente l'intenzione – e l'attenzione –
2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del
Parlamento europeo e del Consiglio.
45
Hearing at the Committee on Economic and Monetary Affairs of the European
Parliament, Introductory statement by Mario Draghi, President of the ECB,
Brussels, 3 March 2014.
46
European Parliament plenary debate on the ECB Annual Report for 2014, Introductory
statement by Mario Draghi, President of the ECB, Strasbourg, 1 February 2016.
47
Occorrenza registrata pari a 28 volte.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
47
della BCE di voler alimentare un rapporto di fiducia bidirezionale tra istituzione e cittadini [as] «a better regulation of financial benchmarks is necessary to restore the confidence and trust of citizens and market participants in the financial system»48. Le misure economiche sono, infatti, alla
base del rapporto BCE-cittadini europei, come destinatari delle decisioni
prese dalla Banca di Francoforte. Da qui, l'evidente consolidamento della
figura di Mario Draghi come Presidente della BCE che acquisisce sul piano
politico: dal riferimento dapprima indiretto al citizen [as] «key issue for the
supervisory framework», Draghi rovescia la sua comunicazione rivolgendosi in maniera più esortativa al cittadino per inserirlo con decisione nel
quadro dell'Unione Economica e Monetaria:
The Economic and Monetary Union architecture also remains an unfinished construction. Citizens and markets are too often unsure about our
capacity to act jointly in a spirit of common responsibility. We should
prove them wrong49.
7
«citizen»
6
5
4
3
48
Hearing at the Committee on Economic and Monetary Affairs of the European Parliament, Introductory statement by Mario Draghi, President of the ECB, Strasbourg, 14 July 2014.
49
European Parliament plenary debate on the ECB Annual Report for 2014, Introductory
statement by Mario Draghi, President of the ECB, Strasbourg, 1 February 2016.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
48
d) Challenge
Nei discorsi istituzionali50, l'occorrenza della parola-chiave challenge rispecchia il ruolo che Mario Draghi riveste in quanto Presidente della
Banca Centrale Europa e riferisce, pertanto, le sfide che l'istituzione deve
affrontare in chiave economica. Nel periodo immediatamente successivo
all'insediamento del novembre 2011, le sfide non costituiscono per Draghi una priorità con un numero di frequenze che si attestano tra 1 e 3
(dicembre 2011-marzo 2015), ma guadagnano importanza nel febbraio
2016, in corrispondenza della situazione difficile dei mercati finanziari.
In occasione della presentazione dell'Annuale Rapporto della BCE per il
2014, la parola chiave challenge è introdotta nel discorso di Mario Draghi
in chiave politica [as] «challenges that still lie ahead of us»51, per poi inserirsi nel contesto economico come «policy challenges related to our financial markets52» e «related to the fiscal and economic policies of Member States that require decisive policy action53».
La categoria dei discorsi pubblici54 contiene testi di conferenze, cerimonie e dibattiti pubblici ai quali Mario Draghi prende parte come
Presidente della BCE e come singolo attore – e anche leader – istituzionale. In questo contesto, Draghi indirizza con chiarezza i discorsi ad
un'audience più eterogenea che comprende necessariamente anche i
cittadini. L'analisi è interessante in quanto evidenzia un andamento
progressivo della frequenza che, da novembre 2011 (5 volte) fino a settembre 2016, mostra la relazione tra le decisioni di Mario Draghi e le
contingenze politico-economiche che interessano l'Unione Europea,
registrando un picco di 6 occorrenze nell'aprile 2012. A partire dal
2012, le sfide accompagnano un impegno più politico di Draghi come
Presidente, in linea con [a] «democratic legitimacy in a multi-country
monetary union55», e come leader con il celebre discorso tenuto in occasione della Cerimonia del Premio Alcide De Gasperi del 13 settembre
50
Occorrenza registrata pari a 28 volte.
51
European Parliament plenary debate on the ECB Annual Report for 2014, Introductory
statement by Mario Draghi, President of the ECB, Strasbourg, 1 February 2016.
52
Ibidem.
53
Ibidem.
54
55
Occorrenza registrata pari a 37 volte.
Monetary policy communication in turbulent times, Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the Conference De Nederlandsche Bank 200 years: Central banking
in the next two decades, Amsterdam, 24 April 2014.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
49
2016, durante il quale dà prova di possedere la leadership politica che
manca oggi ai leader europei. Nel discorso che fa da monito ai Capi di
governo riuniti nel vertice di Bratislava qualche giorno dopo (16 settembre 2016), Mario Draghi pronuncia per la prima volta un discorso
politico che va al di là del whatever it takes e che lascia poco spazio alla
politica economica per parlare, invece, della necessità di un'Europa
unita e legittimata, garante delle libertà dei suoi cittadini.
e) Integration
Infine, l'analisi dell'ultima parola-chiave «integration»56 rileva come, analizzata sia nei discorsi istituzionali sia nei discorsi pubblici, si
ascrive a discorsi di natura meramente economica in corrispondenza,
soprattutto dell'aprile 2012, della Conferenza BCE "sull'integrazione e
la stabilità finanziaria". L'occorrenza dell'unità di analisi integration
segue in parallelo il dibattito europeo su un'Unione economica e monetaria, nell'ottica di [a] «future of the euro: stability through change57»,
all'interno del quale si inserisce anche la Commissione Europea (con
Barroso Presidente) che, nel novembre 2012, incoraggia «Un piano
per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita58».
Lo stallo provocato dalla crisi dell'Eurozona ha certamente accelerato
il dibattito sulla questione di un'integrazione economica. Tuttavia - già
nel corso dell'analisi - le considerazioni su questo tema si sono spostate
sul piano politico, in particolare con l'intervento di Draghi del settembre
2016: per la prima volta, il Presidente della più alta istituzione economica
europea si rivolge ai cittadini con l'eloquenza e il pragmatismo che lo
contraddistinguono per indirizzare l'Unione Europea verso «new challenges»59. Nel discorso di Trento, Draghi mette con decisione integrazione e
cittadini in primo piano e si colloca a margine del fallimentare vertice di
Bratislava che si sarebbe tenuto qualche giorno dopo, invitando i Capi di
Stato e di Governo ad abbandonare gli interessi nazionali, ricordando
56
Occorrenza registrata pari a 51 volte.
57
The future of the euro: stability through change, Contribution from Mario Draghi,
President of the ECB, Published in "Die Zeit", 29 August 2012.
58
COM (2012) 777 finale - Comunicazione della Commissione: Un piano per un'Unione
economica e monetaria autentica e approfondita - Avvio del dibattito europeo.
59
Reviving the spirit of De Gasperi: working together for an effective and inclusive Union,
Speech by Mario Draghi, President of the ECB, at the presentation ceremony of the
De Gasperi award, Trento, 13 September 2016.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
50
l'importanza di sconfiggere euroscettici, nazionalisti e populisti attraverso l'Europa democratica ed esortando l'Unione Europea [to] «rediscover the spirit that led a small number of great leaders». Infine, altre
frequenze dal carattere prettamente politico evidenziano una, seppur
ancora embrionale, politicità nei discorsi di Mario Draghi: cohesion
(0,1%), political union60 (0,2%) e resilience (0,4%) sottolineano l'impegno
del Presidente della BCE nei confronti dell'UE di voler guardare al all'unione politica così come all'unione bancaria (0,8%), spesso oggetto di indirizzo dei suoi discorsi. Non è un caso, inoltre, che la fine di questa ricerca coincida con un Draghi più politico e meno tecnico, più attento alla
società europea e più aperto ai cittadini (0,8%) in un gioco di priorità in
cui l'accountability (categoria esclusivamente politica) ricopre un ruolo
fondamentale nella costruzione di un'Europa per i cittadini.
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0,0
Con Mario Draghi si apre quindi in Europa un processo nuovo di politicizzazione, ancora oggi in corso e su un binario parallelo rispetto alla
depoliticizzazione degli ultimi anni. Se da una parte abbiamo, infatti,
un'Unione Europea depoliticizzata, fatta di tecnici e tecnicismi, dall'altra
abbiamo il Presidente della Banca Centrale Europea che – in un paradosso delle parti – si sostituisce e compensa il lavoro dei più alti leader europei, contribuendo ad aprire e far maturare in un percorso ancora in fie-
60
Occorrenza registrata pari a 6 volte.
2. De-politicizzazione o ri-politicizzazione?
51
ri un processo di politicizzazione. Due direttrici che sembrano al momento destinate a non incontrarsi all'interno dell'architettura europea
che, oggi più che mai, soffre e fatica a colmare il gap di legittimità prodotto dal deficit democratico. Sono, infatti, questi i nodi principali
dell'Unione Europea che la pongono oggi, insieme alle sue istituzioni, di
fronte alla sfida della prossima legislatura europea. L'Unione Europea
dovrà, dunque, lavorare nell'ottica di realizzare una nuova stagione di
riforme che metta ai lati tecnicismi e tecnocrazia e dia spazio alla politicità all'interno dei processi di decision-making. In breve, mettere in moto
un nuovo processo verso il quale indirizzare una nuova Unione Europea: meno tecnocratica e più politica.
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L’Europa
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3. I tentativi britannici per entrare a far parte
della Comunità europea.
Un'analisi storica in prospettiva Brexit
Stefania Rampello
3.1. La Gran Bretagna e i primi progetti in ambito europeo
Il rapporto tra Gran Bretagna e integrazione europea è sempre stato
abbastanza complesso. Pur impegnati con gli Statunitensi a promuovere la ricostruzione dell'Europa Occidentale nel Secondo Dopoguerra, i Britannici guardano con sospetto al Piano proposto nel 1950 dal
Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, ovvero alla creazione
di una comunità sovrannazionale che amministrasse la produzione di
carbone e acciaio di Francia e Repubblica Federale Tedesca (RFT). La
Gran Bretagna sceglie, così, di non prendere parte alla Comunità del
Carbone e dell'Acciaio (CECA), nata con il Trattato di Parigi nell'aprile 1951, firmato oltre che da Francia e RFT, da Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi1; successivamente non partecipa alla Conferenza
di Messina nel 1955 e quindi ai Trattati di Roma che, il 25 marzo del
1957, sanciscono la nascita della Comunità Economica Europea (CEE)
e dell'EURATOM2. Come afferma Geoffrey Rippon, Cancelliere del
Ducato di Lancaster e Ministro britannico incaricato degli Affari Europei al momento dell'entrata inglese nella Comunità Europea nel
1972, è inconfutabile che «nell'ebbrezza della vittoria e nella coscien1
2
C. Lord, "With but not of: Britain and the Schuman Plan. A reinterpretation", Journal of European Integration History, 4, 1998, pp. 23- 46. Si veda anche W. Diebold, The
Schuman Plan. A study in economic cooperation 1950-1959, F. Praeger, New York 1959;
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from Ruhr conflict to Economic Community, Cambridge University Press, Cambridge
1991; E. Dell, The Schuman Plan and he British abdication of leadership in Europe, Oxford, Oxford University Press, 1995;
M. Gilbert, Storia politica dell'integrazione europea, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 50.
54
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
za della [...] necessità di trasformare i [...] rapporti con l'Impero» fu
difficile per gli Inglesi «capire i sentimenti che animavano uomini
come Robert Schuman, Adenauer e De Gasperi»3.
La crisi dell'impero e la fine della leadership britannica a favore di
quella americana contribuiscono a modificare l'atteggiamento inglese:
in particolare, a seguito della crisi di Suez del 1956 che vede i Britannici, insieme ai Francesi, vincitori sul campo contro le forze egiziane
di Nasser, ma costretti a ritirarsi per l'opposizione mostrata dagli Stati Uniti nei confronti delle operazioni militari4, il Premier conservatore Harold Macmillan inizia a guardare con maggiore attenzione
all'Europa Occidentale e ai progetti che la riguardano. Questo cambio
di prospettiva è influenzato anche da una situazione economica poco
stabile5: il basso tasso di crescita inglese, soprattutto se paragonato al
boom economico vissuto tra anni Cinquanta e Sessanta da altri Paesi
europei e la bilancia dei pagamenti sempre più in deficit, sono elementi che contribuiscono a determinare la graduale trasformazione
della Gran Bretagna da centro di un vasto sistema politico-economico
mondiale in uno Stato di dimensioni europee6. Per i Britannici risulta
ben presto evidente la necessità di dover conciliare la salvaguardia
delle proprie prerogative con una maggiore partecipazione allo sviluppo economico e politico dell'Europa Occidentale.
Il primo passo compiuto è il tentativo di creare una Free Trade
Area (FTA) nell'Europa Occidentale, coinvolgendo i membri dell'Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (OECE), compresi
3
4
5
6
G. Rippon, La Gran Bretagna e il Mercato Comune, Discorso pronunciato a Roma il 27
settembre 1971, nella sede del banco di Roma, sotto gli auspici del centro italiano
di studi per la conciliazione internazionale, Roma, Banco di Roma, 1971.
Si veda D. Carlton, Britain and the Suez crisis, Oxford, New York, Blackwell, 1988; G. Ferrari
Bravo, Suez: anatomia di una crisi, Padova, Libreria Rinoceronte, 1998; D. Kunz, The economic
diplomacy of the Suez crisis, Chapel Hill, University of North Carolina, 1991.
La Gran Bretagna, uscita dal conflitto mondiale con forti debiti nei confronti degli
Stati Uniti e dei Paesi del Commonwealth, attraversa un periodo di ristagno della
produzione, una crescente disoccupazione e una forte inflazione durante gli anni
Cinquanta, nonostante gli aiuti del Piano Marshall, i controlli dei prezzi e il blocco
dei salari. M. Fforde, Storia della Gran Bretagna. 1832- 2002, Roma- Bari, Laterza,
2002, p. 292. Si veda anche D. W. Roberts, An outline of the economic history of England, London, Longmans, 1962.
G. Bentivoglio, La relazione necessaria. La Gran Bretagna del governo Heath e gli Stati
Uniti (1970-1974), Milano, Franco Angeli, 2011, p. 27.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
55
i Sei7. Pur rimanendo contrari alla creazione di un Mercato Comune
basato su un'unione doganale con una comune tariffa esterna, che
avrebbe leso la posizione commerciale inglese e i rapporti con il
Commonwealth, i Britannici lavorano su una controproposta attraverso il cosiddetto Plan G8, un piano di Gran Design: Co-operation with
Western Europe9, messo a punto dalla Camera di Commercio e dal Tesoro britannico, con l'obiettivo di realizzare una sorta di blocco commerciale privo di dazi doganali, in conformità con il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) 10.
I negoziati per istituire una zona di libero scambio in Europa si
aprono ufficialmente il 13 febbraio 1957 ma, nonostante le controproposte, come quelle avanzate da parte italiana attraverso il cosiddetto
Carli Plan, dal nome dell'allora Ministro italiano del Commercio con
l'Estero, Guido Carli11, le idee britanniche trovano una ferma opposizione nel novembre 1958 da parte del Generale Charles de Gaulle, ritornato nel frattempo al potere in Francia12.
Terminano le trattative, ma resta la volontà di Londra di rimanere
nella partita europea salvaguardando gli interessi britannici: il 4 gen7
8
9
10
11
12
La Gran Bretagna aveva favorito la creazione dell'OECE nella primavera del 1948, al fine
di gestire gli aiuti economici stanziati dagli Stati Uniti attraverso il Piano Marshall. Si veda
J. W. Spainer, American Foreign Policy since World War II, New York, Praeger, 1960; P. Calvocoressi, World Politics since 1945, London, Longman, 1982; G. Mammarella, Storia degli
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Area Negotiations, Princeton, Princeton University, 1959; J. Ellison, Threating Europe:
Britain and the creation of European community, 1955- 58, London, Macmillan, 2000.
Il Ministro degli Esteri Britannico Selwyn Lloyd afferma: «We should take our place where
we now most belong, i.e. in Europe with our immediate neighbours» in J. Ellison, Threating Europe: Britain and the creation of European community, 1955- 58, cit., p. 97.
Entrato in vigore nel giugno 1948, il GATT stabiliva regole e principi per la liberalizzazione degli scambi, con riduzione sempre crescente delle tariffe tra i Paesi partecipanti, al fine di incrementare il commercio internazionale.
NA, Board of Trade (BT) 205/361, Proposals by Mr. Carli. Report by the Steering
Board of Trade, 29Th march 1958.
I Francesi dichiarano apertamente che senza un'unica tariffa comune attorno ai
confini dei futuri membri e senza un'armonizzazione nella sfera economica e sociale, non sarebbe stato possibile continuare i negoziati. Sulla politica di de Gaulle si
veda C. Williams, De Gaulle, Milano, Mondadori, 1995; R. Brizzi, M. Marchi, Charles
de Gaulle, Bologna, Il Mulino, 2008; G. Quagliariello, De Gaulle e il gollismo, Bologna,
Il Mulino, 1993; J. B. Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Milano,
Editrice Ambrosiana 1993.
56
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
naio 1960 a Stoccolma si giunge alla firma della Convenzione che istituisce l'European Free Trade Association (EFTA), tra Sette Paesi, Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e, ovviamente, la Gran Bretagna13. La nascita dell'EFTA costituisce uno step
importante nel processo di avvicinamento britannico ai progetti di
integrazione europea: la presenza di due realtà economiche europee
pone, sin dall'inizio, il problema di una loro convivenza e collaborazione, con la Gran Bretagna impegnata attivamente nella risoluzione
di tale questione. Promuove, ad esempio, una serie di consultazioni
con i Sei tra l'estate e l'autunno del 1960, allo scopo di individuare
possibili soluzioni: i Britannici presentano la divisione dell'Europa
Occidentale in due gruppi non soltanto come un problema economico, ma anche e soprattutto politico, dato che una possibile spaccatura
economica dell'Europa avrebbe finito per indebolire l'intero blocco
delle Potenze Occidentali nel contesto della Guerra Fredda14.
In vista del rilancio dei negoziati tra i Sei e i Sette15, i Britannici ribadiscono come il loro destino sia connesso a quello dell'Europa,
sebbene resti da studiare il modo più vantaggioso per legarsi ad essa;
d'altra parte se i Sei ambiscono a diventare protagonisti nella politica
mondiale, non possono prescindere da un maggior coinvolgimento
della Gran Bretagna, altrimenti «Europe can hardly aspire for the
present to more than a marginal influence on the outcome of rivalry
between the US and Soviet Union»16.
Consapevoli del fatto che le divergenze tra EFTA e CEE non sarebbero state risolte in breve tempo, e spronati anche dagli Stati Uniti, sempre
più favorevoli a un'unità europea17, nell'aprile 1960 i Britannici iniziano a
13
14
15
16
17
U. Morelli, Storia dell'integrazione europea, Milano, Guerini e Associati, 2011, pp. 113- 114
NA, Foreign Office (FO) 371/ 150364, United Kingdom Relations with the Six, August 1960.
Il Ministro degli Esteri olandese, Mr Luns, suggerisce che «an examining or negotiating committee should be established under the aegis of this Committee which,
on the basis of the documentation collected by the Secretariat, could review the
special difficulties likely to arise in the shorter or longer term and could try to
reach agreement on practical solutions». In NA, FO 371/150285, Draft Notes for
meeting of the Trade Committee, June 1960.
NA, FO 371/150285, Sixes and Seven.
Gli americani propendono per un Unico Mercato Europeo, all'interno del quale possano
emergere anche delle connotazioni politiche «which the Americans see in the EEC and
find lacking in any free trade area solution hitherto advanced», in NA, FO 371/150279,
The Six and The Seven. Note by the Chairman, L. G. Holliday, May 11, 1960. Si veda M.
Camps, Britain and the European Community 1955- 1963, cit., p. 241.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
57
discutere in Parlamento di una possibile partecipazione alle Comunità
europee della CECA e dell'EURATOM: «The idea is being canvassed
that in order to show our solidarity with Europe we ought to join the European Coal and Steel Community and Euratom»18. È necessario, tuttavia, provare ai partner europei che l'iniziativa britannica non costituisce
un tentativo di sabotaggio dell'Europa dei Sei19, motivo per il quale, nel
giugno 1960, il Marchese di Lansdowne, Robert Allan, Sottosegretario
per gli Affari Esteri, durante il settimo meeting congiunto dei membri
dell'Assemblea Consultiva del Consiglio d'Europa e i membri dell'Assemblea Parlamentare Europea, afferma:
Britain is an integral part of Europe linked permanently and indissolubly by ties of history, geography, culture and sentiment [...] The
harsh political and economic facts of the post-war world have brought
us even closer. The commitment we have entered into to maintain
forces on the Continent is not only to contribute to peace, well-being
and stability; it is also the visible proof- if one were needed- that Britain is a loyal member of the European family20.
Nel dicembre 1960, segue la proposta dell'Assemblea dell'OECE
di discutere di un eventuale accesso britannico alle Comunità dei Sei
e della partecipazione del Primo Ministro britannico a ogni conferenza dei Capi di governo21.
I Britannici accolgono favorevolmente l'iniziativa, pur dichiarando
che, per procedere a una piena partecipazione, è necessario chiarire la
posizione dei Sei riguardo, in primis, al rapporto della Gran Bretagna
18
19
20
21
NA, FO 371/150160, April 8, 1960, From Foreign Secretary S. Llyod to P. M. Macmillan. «From a more general standpoint, it now seems unrealistic to pursue possible British membership of ECSC and Euratom in isolation from the more fundamental question of Seven/six relations» in NA, FO 371/158213, Confidential.
Possible British Membership of Euratom and ECSC. Ad hoc committee of the Six and the
United Kingdom. P.G.K. Gallagher, January 2, 1961.
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European parliamentary assembly. Relations between the EEC and the EFTA, F.G.K. Gallagher, 17th June 1960.
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sent by H.B. Shepherd to Mr. Donald, 17 June 1960.
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H. Macmillan to the President of the Assembly of the Western European Union.
58
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
con il Commonwealth e con gli altri Paesi dell'EFTA22. Sulla parziale
perdita di sovranità nazionale, implicita nell'adesione ai Trattati di
Roma, si dichiarano pronti a eventuali concessioni; se in passato è
stata una delle motivazioni che ha impedito la partecipazione alle
istituzioni sovranazionali, «as things now stand, it seems probable
that a solution of our relations with Europe cannot be achieved without some political act which continental opinion can take as an earnest of our determination to play a full part in and with Europe»23.
3.2. Le domande di adesione
da parte britannica alle Comunità Europee
La formale domanda di adesione, non soltanto alla CECA e
all'EURATOM, ma anche alla CEE giunge da parte del Primo Ministro britannico Macmillan il 9 agosto 1961: «This historical decision
was approved by thumping majorities in both Houses of Parliament[…] Gallup polls have shown that the majority of people who
have made up their mind are with us. Our move has been welcome
widely in Europe and further afield»24.
Molti studiosi vi hanno letto una decisione volta al raggiungimento
di fondamentali obiettivi geopolitici, nonché al mantenimento di una posizione strategica nel contesto europeo e internazionale, in linea con la
tradizionale politica estera britannica25. Si tratta, ad ogni modo, di una
decisione che gli stessi Britannici definiscono come «storica» per la realizzazione di un'unità economica e politica dell'Europa, importante non
22
23
24
25
NA, FO 371/158213, Summary of statement made by Rt. Hon. Edward Heath, Lord Privy
Seal, at the meeting of the WEU Council held in Paris on 27th February, 1961.
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3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
59
soltanto per gli Inglesi, ma per il mondo libero intero; perché nessuna
unità può essere raggiunta senza che la Gran Bretagna «is willing to undertake the obligation involved in membership of the community». La
decisione di aderire alla CEE, quindi, «would mean merging our economic identity with that of the Six and aligning ourselves politically with
them. In taking such a major step, the partial surrender of sovereignty
involved would be a secondary consideration»26.
Edward Heath, Lord del Sigillo Privato e Ministro incaricato delle relazioni della Gran Bretagna con i Sei, afferma come gli obiettivi britannici
siano gli stessi degli altri Paesi membri delle Comunità, e che il tempo
impiegato per giungere a una formale domanda di ammissione è servito
anche per cercare di convincere una riluttante opinione pubblica «with
its long tradition of self-sufficiency and insularity»: non tutta si è mostrata favorevole al passo compiuto, ma «it has move very fast during the
past year and, I am convinced, will move further as the issues involved
continue to be debated and are more fully understood»27.
Reazioni positive giungono da parte di molti dei leader dell'Europa
Occidentale: il Cancelliere della RFT, Konrad Adenauer, esprime la
speranza che i negoziati possano essere «quick and good»; il Presidente del Consiglio italiano, Amintore Fanfani invia le sue «warmest congratulations» e perfino il Generale de Gaulle, dopo aver chiarito che
«he feared that it would take a long time for the many difficulties to be
settled», sembra accogliere positivamente la decisione britannica28.
I negoziati prendono avvio nel novembre 1961, con incontri interministeriali mensili, con la partecipazione del Presidente della
Commissione Europea, il tedesco Walter Hallstein, intervallati poi da
incontri ufficiali più frequenti: «Every member state, Britain and the
Commission each appointed a senior official as deputy head of their
delegation, and it was between these officials that most of the preliminary negotiation took place»29.
26
27
28
29
NA, FO 371/158266, Constitutional aspects of accession to the Treaty of Rome, 1961.
NA, FO 371/158290, Negotiations with the EEC: opening statement by the Lord Privy
Seal, 15 September 1961.
P.N. Ludlow, Dealing with Britain: the Six and the first UK application to the EEC,
Cambridge, Cambridge University Press, 1997, p. 43.
Ivi, p. 68.
60
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Nonostante la disponibilità britannica ad abbracciare gran parte degli
articoli dei Trattati di Roma30, il mancato progredire dei negoziati rende
evidente la difficoltà della situazione: in particolare i Francesi sottolineano come la Gran Bretagna e i Sei siano separati non tanto da differenze
tecniche, quanto da un disaccordo su principi fondamentali, facendo
prevalere l'importanza dell'unità interna dei Sei sulla possibilità di concludere rapidamente e con successo i negoziati di allargamento.
Il veto da parte francese giunge durante la conferenza stampa del
14 gennaio 1963, quando il Generale de Gaulle esprime le proprie
perplessità su una possibile buona riuscita dei negoziati, bloccandone
ogni proseguo: «General de Gaulle stressed that France's position
was based on "the real facts of the problem", the economic "realities"
and did not depend on "feelings"». La Gran Bretagna è un Paese
essentially insular, maritime, linked to distant countries, essentially
industrial and commercial, and with slight agricultural interest», con
originali e proprie abitudine e tradizioni: «How can she, as she is, be
incorporated in the Common market? [...] The whole question is
whether Britain can place herself "inside a tariff which is genuinely
common" renounce all Commonwealth preference, give up agricultural privileges, and "more than that" regard her EFTA engagement as
"null and void". Only England can answer this question»31.
Le dichiarazioni francesi si rivelano una sorpresa poco gradita da
parte britannica32, sebbene gli Inglesi sottolineino come il rapporto tra
i due Paesi rimanga «unimpaired. France would never forget Britain's
part in the First and Second World War»33.
Durante l'ultimo meeting del negoziato, tenutosi il 29 gennaio 1963 a
Bruxelles, il Ministro degli Esteri belga Spaak apre la riunione riassumendo bene la posizione degli altri Cinque Stati membri delle Co-
30
31
32
33
NA, FO 371/158290, Negotiations with the EEC: opening statement by the Lord Privy
Seal, 15 September 1961.
NA, PREM 11/4413, Summary of General de Gaulle's Press conference of January 14.
E. Roll, Crowded hours, London, Faber & Faber, 1985, p. 118. Si veda anche G.
Wilkes (Eds.), Britain's failure to enter the European Community 1961-1963: the enlargement negotiations and crises in European, Atlantic and Commonwealth relations,
London, Frank Cass, 1997.
NA, PREM 11/4413, Summary of General de Gaulle's Press conference of January 14, cit.
Per la conferenza stampa in questione cfr. C. de Gaulle, Discours et Messages., vol.
IV, Pour l'effort 1962-1965, Paris, Plon, 1970, pp. 61-79.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
61
munità Europee: «The movement to unite Europe and to assure its
proper place in the world has, like every great movement, its days of victory and its days of defeat. To-day is beyond all question a day of defeat.
Great Britain, for no valid reason, in the opinion of five of the Common
Market delegations, has been turned away from the delegations which
we has undertaken in order to bring about her accession». Nonostante
sin dalla nascita della CEE si siano poste le basi per una Comunità aperta
e disposta ad accogliere nuovi membri, aggiunge Spaak, «today, without
our being able to give any explanation to Great Britain, we are forced,
some of us against our inclination, against our will, against our hope, to
fail to respect the policy which we had defined»34.
I Britannici, dal canto loro, ribadiscono tramite Heath come le motivazioni che avevano spinto la Gran Bretagna ad avanzare una formale candidatura nell'agosto 1961 rimangano intatte:
There can be no doubt that the success or failure of these discussions
will determine the future shape of Europe[...] These discussion will affect profoundly the way of life, the politics though and even the character of each one of our people[…] in saying that we wish to join the
EEC, we mean that we desire to become full, whole- hearted and active members of the European community in its widest sense and to
go forward with you in the building of a new Europe». Our conviction remains unchanged today35 .
Pur prendendo atto della decisione francese, Heath sottolinea
come i negoziati, protrattisi per ben 15 mesi, abbiano permesso di
raggiungere accordi su molti punti, mentre sui problemi rimasti irrisolti «if the negotiations could have been continued, we would have
been able to find solutions which, while permitting Great Britain to
adapt herself to the policy and rules of the Community, would nevertheless have preserved full respect for the treaty's provision»36.
Le ragioni che spingono de Gaulle a porre il veto sono state oggetto di
studio da parte di molti storici, ma due sono le argomentazioni più
frequenti. Una ruota intorno al problema dell'agricoltura: solo un anno prima, il 14 gennaio 1962, i Sei erano giunti a un accordo sulla po-
34
35
36
NA, FCO 30/405, The Brussels negotiations 1961- 1963. Minutes of the Seventeen ministerial meeting.
Ibidem.
Ibidem.
62
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
litica agricola comunitaria, la cosiddetta PAC, che favorendo le esportazioni e limitando invece le importazioni, proteggeva il mercato interno dei prodotti agricoli tra i membri della CEE; il futuro dell'agricoltura francese sarebbe stato messo in pericolo da un'eventuale
partecipazione della Gran Bretagna, «perché questa avrebbe sicuramente bloccato i generosi finanziamenti extra della PAC»37. Accanto a
questa argomentazione, vi è però anche la famosa teoria del "cavallo
di Troia", e l'idea che gli Inglesi avrebbero sempre obbedito alla volontà americana, rappresentando un punto debole e una sorta di talpa
all'interno delle Comunità Europee38.
De Gaulle non vuole mettere a rischio i risultati fin lì raggiunti dai
Sei, tanto meno il suo progetto di costruzione di un'Europa delle Patrie, basata sull'autonomia dei singoli Stati e sulla collaborazione tra
le Nazioni; un'Europa capace di svolgere, in una posizione di sovranità e indipendenza, una funzione di mediazione e di riequilibrio nei
grandi conflitti mondiali. Un modello questo poco conciliabile con
l'idea statunitense di Europa, di comunità sovrannazionale perfettamente integrata nel sistema atlantico39. Questo spiega le parole di de
Gaulle durante la conferenza stampa del gennaio 1963, secondo le
quali la volontà di altri Paesi di far parte delle Comunità Europee
avrebbe rischiato di cambiare la natura delle Comunità stesse: «It
would become "a colossal Atlantic Community under American dependence" which is not at all what France wants. If England can one
day transform herself then "Six would open the door to her and
France would raise no obstacle"» 40.
La storia dell'integrazione europea degli anni successivi al veto
francese è segnata da alti e bassi, da vittorie e da sconfitte: nell'aprile
1965 si giunge, ad esempio, al Trattato di fusione degli organi esecu37
38
39
40
A. Moravcsik, The choice for Europe: social purpose and state power from Messina to
Maastricht, Ithaca (New York), Cornell University Press, 1998, p. 189.
C. de Gaulle, Discours et Messages., vol. IV, Pour l'effort 1962-1965, cit., p. 69. Si veda
anche J. Lacouture, De Gaulle, III Le Souverain, Paris, Le Seuil, 1986, pp. 336-338; P.
Mangold, Almost Impossible Ally: Harold Macmillan and Charles De Gaulle, LondonNew York, Tauris, 2006, p. 206 e p. 211.
L. Nuti, "Continuità e rottura nella politica estera Americana da Eisenhower a
Kennedy", in P. Craveri, G. Quagliarello, Atlantismo ed europeismo, cit., p. 562. Si
veda anche F. Costigliola, "The failed design: Kennedy, de Gaulle and the Struggle
for Europe", in Diplomatic history, VIII, 1984, pp. 227-251; J. Kraft, The grand design:
from Common Market to Atlantic partnership, New York, Harper, 1962.
NA, PREM 11/4413, Summary of General de Gaulle's Press conference of January 14.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
63
tivi delle tre organizzazioni comunitarie CEE, EURATOM e CECA,
Trattato entrato poi in vigore dopo due anni; ma si assiste, al contempo, a una difficile fase nota come "crisi della sedia vuota". Iniziata
nel giugno 1965 con la decisione di de Gaulle di boicottare le riunioni
comunitarie, si risolve nel gennaio 1966 con il cosiddetto "compromesso di Lussemburgo", che lascia il Presidente francese «arbitro dello sviluppo della Comunità», e i Governi degli Stati membri, non le
istituzioni, i veri responsabili delle decisioni comunitarie41.
La Gran Bretagna assiste a tali avvenimenti studiando i protagonisti e cercando di elaborare il momento più adatto per tentare nuovamente di accedere alla Comunità Europea: il Generale, però, si mostra pronto a gestire, o meglio, a opporsi anche al secondo tentativo
britannico, promosso dal Primo Ministro Harold Wilson il 2 maggio
196742. Questa volta è il Partito Laburista inglese, che con la vittoria
di Wilson alle elezioni generali nell'ottobre 1964 aveva riconquistato
il numero 10 di Downing Street, a dover gestire la questione europea,
nonostante avesse manifestato incertezza e contrarietà sulla precedente decisione di Macmillan. La risposta di de Gaulle non si fa attendere: nella conferenza stampa del 16 maggio 1967, questa volta il
Capo di Stato francese si esprime, però, in modo più pacato rispetto
al passato43, tanto che i giornali britannici commentano parlando di
un "veto di velluto"44. Anche Wilson spera in un'apertura di de Gaulle
e, durante un loro incontro in giugno al Trianon, il Primo Ministro
britannico argomenta ampiamente la nuova linea seguita dal governo
laburista in politica estera, più autonoma rispetto a Washington e
41
42
43
44
M. Gilbert, Storia politica dell'integrazione europea, cit., p. 92. Sulle origini, gli sviluppi e la
fine della «crisi della sieda vuota» si veda J. Lambert, "The constitutional crisis 1965-66",
in Journal of Common Market Studies, 4, 1965-1966, p. 202; R. Marjolin, Architect of European unity: Memoirs 1911–1986, London, Weidenfeld & Nicholson, 1989, p. 350; P. Cacace, G. Mammarella, Storia e politica dell'Unione europea: 1926-2013, Roma-Bari, Laterza,
2015, p. 126; E. Jouve, Le general De Gaulle et la construction de l'Europe 1940-1966, Paris,
Pichon et Durand-Auzias, 1967, p. 525; V. Falcone, M. Petrosillo, Storia economica e politica dell'integrazione europea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, p. 34; M. Vaïsse, La Grandeur. Politique étrangère du général de Gaulle 1958-1969, Paris, Fayard, 1996; E. Sogno, De
Gaulle, la spada appesa al filo, Milano, Bietti, 1997.
H. Wilson, The Labour government: 1964-1970: a personal record, Weidenfeld & Nicolson & Michael Joseph, London, 1971, p. 40.
C. de Gaulle, Discours et Messages cit., V, Vers le terme 1966-1969, pp. 155- 174.
H. Wilson, The Labour government: 1964-1970: a personal record, cit., pag. 394.
64
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
maggiormente orientata verso l'Europa45. È tuttavia evidente come la
Gran Bretagna non sia più in grado di ricoprire pienamente il ruolo
di Potenza mondiale, per cui si ritrova a ridurre «disperatamente i
suoi impegni oltremare e il proprio bilancio di difesa»46.
De Gaulle rimane fermo sulle proprie posizioni, ribadite con la conferenza stampa del 27 novembre, durante la quale il Generale mostra
preoccupazione anche per la precarietà dell'economia britannica47. Ogni
discussione è bloccata ufficialmente dal Ministro degli Esteri francese
durante la riunione del Consiglio Europeo nel dicembre 1967: Couve de
Murville ribadisce l'opposizione del suo governo a esaminare il dossier
britannico a causa delle dannose conseguenze che l'economia della Gran
Bretagna avrebbe avuto sul Mercato Unico Europeo. La crisi economica
offre, in effetti, un valido motivo di preoccupazione per la Comunità Europea: sin dall'inizio del suo mandato, Wilson aveva varato una serie di
interventi per cercare di attenuare la situazione e ridurre il deficit, tra cui
una sovrattassa sulle importazioni e una politica creditizia di sostegno
alle esportazioni. Misure non sufficienti, tanto che il leader britannico è
costretto nel novembre 1967 a una svalutazione della sterlina del 14%,
diminuendone il valore da 2.80 dollari a 2.4048. Ciononostante, la replica
britannica al veto francese giunge forte e chiara, con Wilson che difende
il proprio Paese contro quelli che, nelle sue Memorie, definisce polemicamente «i fraintendimenti di de Gaulle»49.
I Laburisti, nonostante il veto, continuano a portare avanti una politica del "all or nothing" in campo europeo, dove per "tutto" intendono la
volontà dei Britannici di diventare membri di quella che sin dal principio
si era presentata come una comunità aperta, rifiutando ogni altro tipo di
partecipazione o associazione proposta dai Sei: «We are to blame for not
accepting an objective which, before the French veto, everybody told us
45
46
47
48
49
Ivi, p. 409-412.
M. Gilbert, Storia politica dell'integrazione europea, cit., p. 92.
C. de Gaulle, Discours et Messages cit., V, pp. 227-247.
O. J. Daddow, Harold Wilson and European integration: Britain's second application to
Join the EEC, London, Frank Cass, 2003, p. 63 e p. 156.
«If the French President considers perhaps that our arrangements for financing
industry on the free market of the City of London are not in accordance with the
doctrines of the Treaty of Rome, I feel it right to point out that it is the French credit system, not ours, which controls the allocation of specially favourable credit, industry by industry, in accordance with the Commisariat du plan» in H. Wilson,
The Labour government: 1964-1970: a personal record, cit., p. 468.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
65
we should have to discard. Our view remains that membership is the
right objective»50. Raggiungere something in termini di compromessi o
soluzioni intermedie non rientra nella volontà delle autorità britanniche:
la politica è l'arte del possibile, sottolineano, «but if the whole loaf we
want is not now available, that is no reason for seeking that half of a different one which might be»51. Accettare uno status di secondo livello significherebbe mettere in dubbio l'importanza politica del progetto europeo e il ruolo che l'Europa può giocare negli affari internazionali52.
Sebbene questi episodi mostrino la preminente posizione francese,
non è da trascurare il ruolo assunto dagli altri Cinque Paesi membri, i
quali cercano di continuare le discussioni con la Gran Bretagna: il 24
gennaio 1969 il Ministro degli Esteri Italiano, Pietro Nenni, avanza la
proposta, poi presentata dal Ministro degli Esteri belga, Pierre Harmel,
di spostare il dibattito sul problema inglese in sede WEU (Western European Union), al fine di evitare ulteriori condizionamenti francesi53. De
Gaulle, ancora una volta, non rimane inerte e il 4 febbraio 1969 incontra
l'Ambasciatore britannico in Francia, Christopher Soames, proponendogli in gran segreto la possibilità di un direttorio franco-inglese da estendere poi a Italia e Germania54. Nonostante la segretezza dell'incontro, i
particolari del colloquio finiscono sulla stampa mondiale, mostrando la
clamorosa svolta francese nei confronti degli Inglesi: il Generale propone
allora un nuovo colpo di scena e decide di disertare nuovamente le riunioni che a breve si sarebbero tenute per discutere la proposta di Nenni
sul caso britannico, negando ogni possibile apertura.
50
51
52
53
54
NA, PREM 11/2110, Confidential, Immidiate Foreign Office and Commonwealth Office
to Certain Missions, 28 January 1968.
Ibidem.
NA, PREM 11/2110, Foreign Office and Commonwealth Office to Certain Missions,
25 January 1968, Britain and the EEC.
P. S. Graglia, "Altiero Spinelli tra Atlantismo e Terza Forza: De Gasperi, Eisenhower, Nenni 1948-1969," in P. Craveri , G. Quagliariello (eds.), Atlantismo ed Europeismo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 322-323. Per quanto riguarda invece la
WEU, istituzioni creata nel 1954 dalla modifica della precedente Western Union, si
tratta di un organismo ibrido, privo di poteri sovranazionali e da tempo svuotato
di potere o semplice influenza verso gli Stati membri. Si veda A. Dumoulin, E.
Remacle, L'Unione de l'Europe Occidentale. Phénix de la dèfence europèenne, Bruylant,
Bruxelles, 1998; A. Deighton, Britain and the creation of Western European Union,
1954- 1997: defence, security, integration, Oxford, St. Antony College, 1997, p. 532; A.
J. K. Bailes, G. Messervy-Whiting, Death of an institution. The end for Western European union a future for European defence?, Brussels, Egmont, 2011.
P. Cacace, G. Mammarella, Storia e politica dell'Unione europea: 1926-2013, cit., p. 128.
66
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Bisogna attendere il ritiro dal potere di de Gaulle, a fine aprile 1969,
perché si riapra la questione dell'allargamento della Comunità dei Sei55.
Il successore del Generale all'Eliseo, Georges Pompidou, promuove una
politica di rilancio della costruzione europea, la quale, finendo anche per
legare «la rinnovata libertà di manovra tedesca» inaugurata con l'Ostpolitik del Cancelliere Willy Brandt «alla locomotiva europea»56, si basa su
un atteggiamento francese più favorevole nei confronti della Gran Bretagna, non più ritenuta un ostacolo alla realizzazione di un'Europa degli
Stati e una minaccia per l'industria e l'agricoltura della Francia57.
Nel frattempo in Gran Bretagna, con la vittoria del Partito Conservatore nel giugno 1970, ci fu il ritorno di Edward Heath, questa volta come
Primo Ministro, il quale si presenta profondamente convinto del suo ruolo
di «pacificatore continentale della cooperazione europea»58. Rispetto ai
precedenti rapporti di de Gaulle con i leader britannici, grazie anche alla
mediazione di Brandt, quello tra Heath e Pompidou si mostra subito differente, basti pensare agli incontri tra il 19 e il 20 maggio 1971 avvenuti nel
salone delle Feste dell'Eliseo, quando in dodici ore di colloquio privato i
due uomini politici trovano un accordo sui temi rimasti ancora in sospeso59. La discussione si concentra su un periodo transitorio, durante il quale
la Gran Bretagna avrebbe contribuito gradualmente al bilancio CEE, abolendo progressivamente i dazi doganali con gli altri Paesi membri; per
quanto concerne la politica agricola comunitaria, i Britannici si sarebbero
impegnati ad accettare le regole della PAC, mentre la Comunità avrebbe
garantito un trattamento di favore per alcuni prodotti di importazione60.
55
56
57
58
59
60
R. Brizzi, M. Marchi, Charles de Gaulle, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 219-223.
A. Varsori, Alle origini del presente: l'Europa occidentale nella crisi degli anni Settanta,
Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 155 e pp. 152- 155. Si veda anche E. Roussel, Georges
Pompidou, 1911- 1974, Paris, J.C. Lattes, 2004 e in E. P. Ludlow (Ed.), Cass Series cold
war history, European integration and the Cold War; Ostpolitik -Westpolitik, 1965-1973;
London, Routledge, 2007: W. Loth, Detente and European integration in the policies of
Willy Brandt and Georges Pompidou, (pp. 53-66) e A. Wilkens, New Ostpolitik and European integration: concepts and policies in the Brandt era (pp.67-80).
M. E. Guasconi, L'Europa tra continuità e cambiamento: il vertice dell'Aja del 1969 e il
rilancio della costruzione europea, Firenze, Polistampa, 2004, pp. 225- 228.
H.Young, This blessed pot. Britain and Europe from Churchill to Blair, London, Macmillan, 1998, pp. 216-220; J. W. Young, "The Heath government and British entry into
the European Community", in S. Ball, A. Seldon (Eds.), The Heath government 197074: a reappraisal, London, Longman, 1996.
I. Poggiolini, Alle origini dell'Europa allargata. La Gran Bretagna e l'adesione alla CEE
(1972-1973), Milano, Unicopli, 2004 , p. 22 e pp. 49-50.
P. Cacace, G. Mammarella, Storia e politica dell'Unione europea: 1926-2013, cit., pp. 141-142.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
67
3.3. I Britannici in Europa: Brexit o non Brexit?
In questo tentativo di ricostruzione del rapporto tra la Gran Bretagna e l'Europa tappa fondamentale è il negoziato per l'adesione alla
Comunità Europea, apertosi ufficialmente nel giugno 1970 e conclusosi all'inizio del 1972, con un esito finalmente positivo: in questa fase
i Britannici vogliono ad ogni costo portare a buon termine le trattative, a tal punto da mettere in secondo piano gli oneri economici che
l'adesione avrebbe comportato61. A tal fine, Heath si avvale di due
importanti personalità, Sir Con O' Neil, capo della delegazione britannica per le riunioni dei Deputati, e Geoffrey Rippon, capo della
delegazione per le riunioni dei Ministri durante le trattative62.
Il trattato di adesione, firmato il 22 gennaio 1972 e ratificato un
anno dopo dalla Gran Bretagna, segna un nuovo slancio della politica
britannica in Europa: l'allargamento della Comunità si sarebbe dovuto tradurre in nuove sfide in campo economico, politico e istituzionale. È in vista di un Summit a Parigi tra il 19 e il 21 ottobre 1972 che le
autorità britanniche si impegnano al massimo per cercare di rilanciare una "nuova" Comunità, che abbandonasse la sua esclusività agricola per puntare sulla crescita industriale, superando anche gli squilibri
regionali e sociali, e che rafforzasse i meccanismi di decision- making
in senso intergovernativo63. La speculazione monetaria internazionale
a seguito della fine degli accordi di Bretton-Woods64, porta Heath a
61
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64
«Il libro Bianco britannico del febbraio 1970 stimava che il conto dell'adesione per la
bilancia dei pagamenti britannica sarebbe stato, probabilmente, intorno ai 1,100 milioni di sterline, ma aggiungeva anche che questo costo "sostanziale" doveva essere
visto nella prospettiva di prevedibili effetti dinamici sull'economia nazionale che sarebbero derivati dall'ingresso nella CEE» A. Sked, C. Cook, Post- war Britain. A political History 1945- 1992, Penguin, 1993 p. 263 in I. Poggiolini, Alle origini dell'Europa allargata. La Gran Bretagna e l'adesione alla CEE (1972-1973), cit, p. 33, nota n. 5.
C. O' Neil, Britain's entry into the European Community. Report by Sir Con O'Neil on
the negotiations of 1970- 1972, edited by D. Hannay, Frank Cass, London, 2000.
NA, FCO 30/111718, Record of a conversation between the Prime Minister and the Federal Chancellor held at 10 Downing Street at 10.30 am on Friday 21 April, 1972.
Nel 1971 il Presidente statunitense Richard Nixon annuncia l'imposizione temporanea di una sovraimposta del 10 per cento su tutte le importazioni, la riduzione
degli aiuti economici all'estero e la sospensione della convertibilità internazionale
del dollaro in oro, ossia la fine del sistema di Bretton Woods basato sul gold standard. L'iniziativa di Nixon destabilizza le economie europee, soprattutto la già precaria situazione britannica. F. Catalano La crisi del sistema monetario internazionale,
Milano, Etas Kompass, 1973, pp. 19- 20.
68
L'EUROPA della
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CRISI
L’Europa
vedere nel Summit anche l'occasione per presentare la nuova Europa
come un unico negoziatore nelle trattative internazionali inerenti
l'ordine monetario65. Sebbene l'incontro a Parigi avesse ribadito l'obiettivo di realizzare un'Unione Economica e Monetaria, nel corso del
1973, subito dopo la ratifica del Trattato di adesione, si avvia una polemica in Gran Bretagna sui costi e benefici di tale scelta, a seguito del
primo shock petrolifero: il deficit della bilancia commerciale tocca proprio in quell'anno la cifra di 3,25 miliardi di sterline, a cui l'aumento
del greggio fa aggiungere l'anno successivo altri due miliardi66.
La successiva campagna elettorale laburista si concentra sulla
promessa di rinegoziare la permanenza britannica in Europa e, una
volta ritornato al potere nell'ottobre 1974, Wilson riesce a ottenere la
ridefinizione del contributo britannico al bilancio comunitario, con il
Vertice di Dublino del marzo 1975. Il 5 giugno successivo Wilson decide di indire anche un referendum per mettere a tacere i disaccordi
interni sull'argomento: a dispetto di un'affluenza al voto piuttosto
bassa, il dibattito era stato alquanto vivace, premiando infine, col 67,2
% delle preferenze, la permanenza del Regno Unito nella Comunità67.
L'argomento europeo rimane, tuttavia, problematico nella politica
britannica per molto tempo, a cominciare dal tentativo dei Laburisti di
vincere le elezioni nel 1983 proponendo, all'interno del proprio programma, il ritiro britannico dalla CEE, proposta terminata poi in un fallimento sancito dalla conferma dei conservatori al governo sotto la guida
di Margaret Thatcher. Né la Lady di ferro si mostra più indulgente nei
confronti della Comunità: ancora una volta è il contributo economico britannico al centro della diatriba, con l'indimenticabile battuta della Thatcher «I want my money back»68. O ancora la promessa, caduta nel vuoto,
di un referendum sulla partecipazione britannica all'Unione Europea69
fatta dal Referendum Party di Sir James Goldsmith, che alle elezioni generali del 1997 ottiene però solo il 2,6% dei voti e neanche un seggio in
65
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I. Poggiolini, Alle origini dell'Europa allargata. La Gran Bretagna e l'adesione alla CEE
(1972-1973), cit, p. 123.
F. Venn, "Intrnational Cooperation versus National Self- Interest: the United States
and Europe during the 1973- 1974 oil crisis", in The United States and the European
Alliance since 1945, a cura di K. Burk e M. Stokes, Oxford, Berg, 1999, pp. 72- 73.
R. Jerkins, A life at the Centre, London, Macmillan, 1994, pp. 418-419.
P. Cacace, G. Mammarella, Storia e politica dell'Unione europea: 1926-2013, cit., pp. 185-186.
Si rammenta che l'Unione Europea sostituisce la Comunità Europea con il Trattato
di Maastricht, firmato il 7 febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 Novembre 1993.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
69
Parlamento70. Negli ultimi anni è inoltre cresciuto il peso politico degli
euroscettici britannici71, basti pensare che durante le elezioni europee del
22 maggio 2014 lo United Kingdom Independent Party (UKIP), di cui
Nigel Farange era leader sin dal 2006, ha ottenuto, con il 26,6 %, più di
quattro milioni di voti e 24 seggi a Bruxelles72.
Con l'obiettivo di mettere a tacere le critiche degli oppositori, soprattutto proprio degli euroscettici, nel 2016 l'allora Primo Ministro
conservatore David Cameron decide di giocare il tutto per tutto per
riaffermare la propria leadership. Nonostante l'accordo con Bruxelles
raggiunto nel febbraio, con il quale negozia uno status speciale per la
Gran Bretagna73, il Primo Ministro indice un referendum sull'argomento europeo, già promesso durante la campagna elettorale del
2015. Per la seconda volta, il 23 giugno 2016 i Britannici sono così
chiamati a decidere se lasciare o meno l'Europa: il sì vince sul no con
il 51.9%74. Il risultato, probabilmente non per tutti inaspettato, determina la sconfitta politica e personale di Cameron, che annuncia le
dimissioni durante la prima uscita pubblica dopo il voto: il referendum, definito precedentemente dal leader conservatore come una festa della democrazia, si rivela piuttosto «the most irresponsible act by
a British government in his lifetime»75.
L'esito del 23 giugno rende evidente l'incapacità della classe politica britannica di comprendere e gestire quell'opinione pubblica che,
sull'argomento europeo, già Heath nel 1961 ammetteva essere «slow
to accept the logic of this»76; ma soprattutto segna il culmine dell'indecisione da sempre manifestata dalla Gran Bretagna nei confronti
70
71
72
73
74
75
76
«The Indipendent», How Britain came to the brink of leaving the European Union,
16th June 2016.
Si veda M. Gilbert, Alle origini dell'euroscetticismo britannico, in D. Pasquinucci, L. Verzichelli, Contro l'Europa? I diversi Scetticismi verso l'integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2016.
«The Telegraph», Ukip storms European election, 25th May 2014.
Cameron ottiene tra l'altro un «'freno d'emergenza' per l'accesso dei benefici al welfare dei
cittadini comunitari». Cfr. «La Repubblica», Bruxelles, accordo su Brexit. Cameron: "Ora al referendum posso chiedere di restare nell'Ue". Nuovo scontro sui migranti, 19 febbraio 2016.
L'Inghilterra ha votato per la Brexit, con una percentuale tra il 53.4 e il 46.6; il Galles ha scelto per l'uscita con il 52.5%; Scozia e Nord Irlanda hanno invece entrambe optato per il rimanere, rispettivamente con il 62% e il 55.8% (Fonti della BBC, 17th December 2018).
«The New York Times», In 'Brexit' vote, David Cameron Faces Problem of his own making, 21st June 2016.
NA, FO 371/158290, Negotiations with the EEC: opening statement by the Lord Privy
Seal, 15 September 1961.
70
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
della propria partecipazione alla Comunità Europea. Nel corso della
storia, infatti, tanto il Partito Laburista quanto quello Conservatore
hanno palesato incertezze e perplessità al riguardo, compensate tuttavia, sin dall'inizio, dalla convinzione di non poter fare troppe concessioni ai partner europei e di dover difendere le prerogative del
Paese: come non ricordare la formula del «take-in-or-leave-it»77 che
accompagna il Plan G per una Free Trade Area o la politica del «all or
nothing» portata avanti dopo il secondo veto di de Gaulle.
Dopo le dimissioni di Cameron, è Theresa May a dare avvio concretamente al processo della Brexit, parola nata dall'unione di BRitan
e EXIT, nella primavera 2017: secondo l'articolo 50 del Trattato di Lisbona del dicembre 2007, le due parti devono accordarsi in circa due
anni sui termini di questa separazione. Dopo alcuni incontri a Bruxelles, la May è giunta a formulare un Brexit Deal, un testo di quasi 600
pagine contenente tematiche importanti: tra queste, la cifra dovuta
dalla Gran Bretagna agli Europei, stimata intorno a 39 bilioni di sterline; cosa accadrà ai cittadini britannici che vivono all'estero e ai cittadini europei che vivono Oltremanica; la questione della frontiera
del Nord Irlanda, che costituirà il confine tra Gran Bretagna ed Europa; nonché le future relazioni in termini di commercio, difesa e sicurezza. Approvato dal Gabinetto il 14 novembre scorso, il testo ha
creato malumori e dimissioni, tra cui quelle del Segretario Brexit
Dominic Raab, il quale, subentrato nel luglio 2018 a David Davis anche egli dimessosi, durante un evento dedicato proprio alla Brexit a
inizio novembre aveva affermato: «I hadn't quite understood the full
extent of this, but if you look at the UK and look at how we trade in
goods, we are particularly reliant on the Dover-Calais crossing»78.
Nei mesi passati le discussioni in Parlamento per l'approvazione finale
del Deal formulato dalla May non hanno determinato nulla di concreto,
anzi le successive votazioni si sono trasformate in ben tre bocciature. Un
voto parlamentare è comunque obbligatorio prima che anche il Parlamento Europeo si pronunci sull'accordo, motivo ulteriore per cui il clima rimane acceso in Gran Bretagna e un po' in tutta Europa. La mancata approvazione del testo ha portato così a vagliare nuove possibilità: si è
77
78
D. Gowland, A. Turner, A. Wright, Britain and European integration sice 1945: on the
sidelines, London and New York, Routlegde, 2010, p. 49.
«The Guardian», All at sea: Raab's ignorance of Dover-Calais stuns critics, Thursday
8th November, 2018.
3. I tentativi britannici di entrare a far parte della Comunità europea
71
parlato di una Brexit senza Deal, senza cioè un accordo scritto e condiviso;
di un nuovo referendum sull'argomento o più semplicemente di nuove
negoziazioni per giungere a un nuovo patto con l'Europa.
L'incertezza mostrata dalla classe politica ha avuto d'altra parte,
come conseguenza, anche l'incapacità della Gran Bretagna di rispettare la scadenza prevista per l'ufficiale uscita dall'Unione Europea,
fissata inizialmente dalla stessa May per il 29 marzo 2019, poi d'intesa
con Bruxelles prorogata al 22 maggio, e ad oggi nuovamente posticipata per il prossimo 31 ottobre.
A fine maggio, la situazione si è infine ulteriormente complicata con
le dimissioni annunciate dalla May79 e con la tornata elettorale europea,
a cui, quasi a sorpresa, gli elettori britannici sono stati chiamati a partecipare: il successo ottenuto da Farange e dal nuovo partito da lui lanciato
lo scorso aprile, il Brexit Party, che ha ottenuto 29 seggi al Parlamento
europeo, è stato letto da alcuni come una conferma della volontà britannica di giungere a un distacco dal Continente.
Oltremanica, in realtà, di conferme sembrano essercene ben poche al
momento. Qualcuno ha sarcasticamente commentato che chiunque si troverà a scrivere di Brexit non tratterà certo di una bella storia: l'obiettivo di
questo saggio non è, ad ogni modo, commentare troppo nel dettaglio quella che continua a essere una vicenda in fieri, sulla quale è dunque difficile
poter già emettere un giudizio. In attesa di vedere chi sarà il nuovo Premier, come e se riuscirà a gestire una responsabilità tanto grande, è interessante, tuttavia, oltre che opportuno, ripercorrendo la storia della Gran
Bretagna in rapporto ai progetti di integrazione europea, riflettere attentamente sui corsi e ricorsi storici così da possedere gli strumenti opportuni
per interpretare al meglio un presente certamente ancora poco chiaro.
79
«The Guardian», Theresa May announces she will resign on 7 June . Di fronte al numero 10 di Downing Street, il 24 maggio scorso, la May ha annunciato le dimissioni
da leader del partito conservatore per il successivo 7 giugno, ammettendo un profondo rammarico per non essere riuscita ad attuare la Brexit.
72
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
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4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo:
il Front National, la Lega Nord e l'UKIP
Marianna Clelia Fazzolari
4.1. Introduzione
La definizione di euroscetticismo potrebbe apparentemente non suscitare particolari difficoltà: un'interpretazione letterale permette di comprendere che si tratta dell'orientamento di chi non nutre particolare fiducia, lo "scettico", nei confronti dell'Europa. Il rischio in cui ci si imbatte
altrettanto facilmente, tuttavia, è quello di generalizzare, di rendere l'euroscetticismo un "concetto container"1 e far ricadere all'interno della categoria tutto ciò che non si dichiara apertamente europeista. Non a caso,
già all'inizio del nuovo millennio Aleks Szczerbiak e Paul Taggart evidenziavano un'importante distinzione tra le dinamiche di opposizione
all'Europa: essi individuavano la presenza di un euroscetticismo "hard",
proprio di chi manifesta una contrarietà distruttiva e si pone come obiettivo il recupero delle sovranità nazionali, e un euroscetticismo "soft", cioè
di chi non vi si oppone aprioristicamente, ma antepone la difesa degli
interessi nazionali al processo di integrazione2.
Per indagare le cause di questo fenomeno è opportuno tener presente che, sebbene questa denominazione abbia trovato grande fortuna a partire dagli anni Novanta3, le origini di un sentimento contra1
D. Pasquinucci e L. Verzichelli (a cura di), Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso
l'integrazione europea, Bologna, Il Mulino, 2016.
2
A. Szczerbiak, P. Taggart, Parties, Positions and Europe: Euroscepticism in the EU Candidate
States of Central and Eastern Europe, Sussex European Institute Working Paper 46, 2001.
3
Secondo quanto affermato nella Information Guide - Euroscepticism, a cura della Cardiff
University, il termine "euroscetticismo" è apparso per la prima volta sul giornale inglese
"The Times" l'11 novembre 1985 con riferimento a una forma di opposizione all'Europa
di natura più flessibile rispetto alle cosiddette "eurofobia" e "anti-europeismo".
76
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
rio all'Europa sono ben più antiche4. Partendo dagli albori del processo di integrazione europea, la periodizzazione operata da Antonio
Varsori risulta particolarmente efficace5.
Negli anni che vanno dall'avvio del Piano Marshall alla firma dei
Trattati di Roma vi è senza dubbio un'opposizione di tipo ideologico,
che ha come protagonisti i partiti comunisti, alcune frange dei socialisti e la destra nazionalista. Sempre in questa fase, vi è anche una forma di scetticismo "di natura governativa", di cui massima espressione
è il Regno Unito, dove sia i laburisti che i conservatori avevano deciso di non partecipare al progetto europeo.
A partire dagli anni Sessanta, grazie anche agli effetti positivi del
boom economico e della ricostruzione democratica, il consenso cresce e
crescono anche gli sforzi orientati a rafforzare l'integrazione, che culminano con la firma del Trattato di Maastricht. Tuttavia, con gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, il clima di apparente serenità
sembra incrinarsi6 e iniziano a emergere le contraddizioni della costruzione europea. Si apre così la fase "della disillusione", ulteriormente
alimentata prima dalla crisi economica, poi dalla contorta gestione del
fenomeno migratorio e dai recenti attacchi terroristici. La sensazione di
distacco tra l'élite politica e l'opinione pubblica, in questa fase, aumenta
sensibilmente, rafforzando il clima di scontento e lasciando ampio spazio alle forze politiche euroscettiche, che iniziano a incrementare i loro
consensi sia nelle arene nazionali che in quella europea.
Se a questa ondata di malcontento si sommano le contraddizioni
delle scelte compiute negli anni Settanta per la realizzazione di un
Parlamento europeo elettivo7 e che hanno contribuito all'attribuzione
4
Per un'analisi storica dell'euroscetticismo si vedano D. Pasquinucci, Uniti dal voto?
Storia delle elezioni europee 1948 – 2009, Milano, Franco Angeli, 2013; D. Pasquinucci
e L. Verzichelli (a cura di), Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso l'integrazione
europea, cit.; A. Varsori, Per un'interpretazione storica del processo di integrazione europea, in "Ventunesimo secolo", 32, ottobre 2013.
5
A. Varsori, L'euroscetticismo nella storia dell'integrazione europea, in D. Pasquinucci e
L. Verzichelli (a cura di), Contro l'Europa? I diversi scetticismi verso l'integrazione europea, cit., pp. 27-47.
6
Cfr. A. Varsori, L'Europa e gli Stati Uniti dopo l'11 settembre, in "Ventunesimo secolo", cit., pp. 11-32.
7
Fino al 1979 gli eurodeputati erano selezioni dai parlamenti nazionali secondo modalità differenti tra i singoli Stati membri. Nel vertice di Parigi presieduto da Valéry Giscard d'Estaing del 1974, tuttavia, i capi di stato e di governo degli ormai nove paesi
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
77
dell'appellativo di second order elections8, ecco che la presenza di forze
euroscettiche nell'emiciclo europeo diventa sempre più significativa.
Ma cosa spinge i partiti euroscettici a entrare in un'arena politica
che essi stessi non considerano tale? Questo fenomeno si può intanto
spiegare con un'analisi politica stricto sensu, cioè tenendo conto degli
elementi tecnici che caratterizzano questa competizione. Infatti, l'utilizzo del sistema proporzionale in quasi tutti i paesi membri agevola
di gran lunga le forze minoritarie, che nell'arena nazionale non riescono a ritagliarsi il loro spazio e ne rimangono frequentemente ai
margini. Sommando a questo aspetto il carattere di second order delle
elezioni europee, risulta più chiaro il perché questi partiti siano riusciti, in più di un'occasione, a ottenere percentuali apparentemente
irraggiungibili nelle competizioni interne e, anzi, ad aumentare il loro
consenso interno proprio sulla scia di questi successi.
4.2. Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen
La nascita del Front National pour l'unité française risale al 5 ottobre
1972, a Parigi, su impulso dei dirigenti di Ordre Nouveau, con l'obiettivo
di creare una fédération de la droite, cioè l'organizzazione di un partito
unico che riunisse le diverse destre francesi di orientamento estremista e
superasse la sola dimensione attivistica. La fonte precipua di ispirazione
era il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, che da poco si
era fuso con le forze monarchiche dando vita alla Destra Nazionale e ottenendo risultati significativi alle elezioni legislative del 1972.
membri decisero che era giunto il momento di procedere all'elezione diretta a suffragio universale, attuando quanto previsto dall'articolo 138 del Trattato CEE ("L'Assemblea elaborerà progetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una
procedura uniforme in tutti gli Stati membri." (Art. 138, par. 3). L'Atto di Bruxelles adottato il 20 settembre 1976 delineò un Parlamento composto da 410 membri, per la cui
ripartizione si scelse di attribuire ai quattro paesi maggiori lo stesso numero di seggi,
utilizzando un metodo che unisse la proporzione alla ponderazione di quote progressive di popolazione e si lasciò ai singoli stati la libertà di stabilire il sistema elettorale da utilizzare per designare i propri rappresentanti, rimandando a data da destinarsi la definizione di una procedura comune. Cfr. D. Pasquinucci, Uniti dal voto?
Storia delle elezioni europee 1948-2009, Milano, Franco Angeli, 2013
8
R. Reif, H. Schmitt, "Nine second-order national elections. A conceptual
framework for the analysis of European election results" in European Journal of
Political Research, Vol. 8, March, 1988, pp. 3-44.
78
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
La figura più celebre, nonché pilastro del partito, è senz'altro JeanMarie Le Pen, veterano di guerra, ex paracadutista in Indocina e ufficiale in Algeria, antigollista, sostenitore dell'esperienza di Pétain e
della grandeur della Francia. Le Pen è stato presidente del partito dalla sua nascita, nel 1972, fino al 2011, ed è ritenuto dalla maggior parte
degli studiosi9 l'artefice della fortuna del partito grazie alla sua personalità carismatica, tale da coniare il termine "lepénisme" per indicare
l'insieme della cultura politica espressa dal partito stesso.
Tuttavia, il Front National sarà destinato a rimanere nell'ombra
della politica francese per circa un decennio.Il primo risultato significativo10 arrivò solo alle elezioni europee del 17 giugno 1984, quando
il partito, presentatosi con la lista Front d'opposition nationale pour
l'Europe des patries e con lo slogan "LesFrançais d'abord!", ottenne più
di due milioni di voti, pari a circa l'11%, e 10 seggi al Parlamento Europeo11. Furono eletti: Antony Bernard; Dominique Chaboche; Michel
Collinot; Michel De Camaret, poi sostituito da Roger Palmiéri; Olivier
D'Ormesson; Jean-Marie Le Chevallier; Jean-Marie Le Pen; Martine
Lehideux; Gustave Pordéa; Jean Pierre Stirbois.
9
Vi è anche chi, come Nicola Genga, ritiene fuorviante considerare questo come l'unico fattore che ha permesso la crescita e la sopravvivenza del partito nell'arena
politica sia francese sia europea, ricordando come la nomina di Le Pen a presidente
del partito nel 1972 non fu la prima scelta dei dirigenti di Ordre Nouveau ma piuttosto una sorta di cooptazione, avvenuta in seguito all'indisponibilità di altri esponenti ad assumere la carica e, non a caso, egli fu inizialmente affiancato da un vicepresidente, François Brigneau, e un segretario generale, Alain Robert, appartenenti
a Ordre Nouveau. Cfr. N. Genga, Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen. La
destra nazional-populista in Francia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2017.
10
Il 1983 è considerato il vero spartiacque della vita politica del Front National, che
consegue una serie di risultati positivi al livello locale tra cui, in particolare,
l'11,27% di Jean-Marie Le Pen, candidato al XX arrondissement di Parigi, e il 16,7%
di Jean Pierre Stirbois, che entra a far parte della maggioranza municipale di destra. Si tratta però di risultati sconnessi tra loro, che ancora non costituiscono prova
del funzionamento del partito. Cfr. S. Gentile, Il populismo nelle democrazie contemporanee. Il caso del Front National di Jean Marie Le Pen, Milano, FrancoAngeli, 2008;
M. Gervasoni, La Francia in nero. Storia dell'estrema destra dalla Rivoluzione a Marine
Le Pen, Venezia, Marsilio Editori, 2017.
11
Il risultato frontista di queste elezioni va ovviamente letto alla luce degli altri dati,
tra cui in particolare: l'adozione di un sistema proporzionale per la ripartizione dei
seggi e un'astensione elevata (43,3%); una vittoria significativa della destra repubblicana, che ottenne più del 40%; una flessione del consenso verso le sinistre, che
colpì sia il partito di governo sia il PCF che scese al'11% con una differenza di poco
più di 50.000 voti rispetto al FN.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
79
Una volta entrati a Strasburgo, gli eletti si ricongiunsero con la loro fonte di ispirazione, il Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale, dando vita, con la partecipazione dell'Unione Politica Nazionale
greca e il Partito Unionista dell'Ulster, al Gruppo delle Destre Europee, primo gruppo di estrema destra nazionalista nella storia del Parlamento, al cui vertice viene posto proprio Le Pen.
Fin dal principio presero parte a diverse e importanti commissioni
parlamentari: nella seconda legislatura parteciparono alla Commissione politica (D'Ormesson, Le Pen), a quella dedicata ad agricoltura,
pesca e alimentazione (Stirbois), alla Commissione per l'ambiente, la
sanità e la protezione dei consumatori (Bernard, Collinot, Le Pen), alla Commissione istituzionale (Collinot, De Camaret, Le Pen) e a quella per i diritti della donna (Lehideux).
Il loro interesse e i loro interventi si incentrarono sulle questioni del terrorismo e della difesa, inevitabilmente legati al discorso sul Mediterraneo,
ma anche sulla delicata questione della futura costruzione europea. Il vero
nemico dell'Europa occidentale è rappresentato, almeno in questa fase, dai
comunisti dell'Unione Sovietica, le cui organizzazioni sono giudicate il
veicolo dell'internazionalizzazione del terrorismo. I deputati del Front National, e in generale tutto il Gruppo delle Destre Europee, si dedicheranno
molto al tema del terrorismo presentando una proposta di risoluzione nel
dicembre 1985, che tuttavia non sarà nemmeno discussa in aula. Quello
che chiedevano era l'istituzione di un organo speciale di prevenzione del
terrorismo, composto da elementi delle forze dell'ordine degli Stati membri, e di un organismo europeo specializzato nelle indagini e nella lotta al
terrorismo. Ancor più significativo risultava l'invito a una regolamentazione europea in materia di diritto d'asilo che, senza limitare il rispetto di
tale diritto, permettesse di delinearne i confini in maniera più nitida così
da evitarne l'abuso da parte dei "simples criminels". La revisione della disciplina concernente i rifugiati politici doveva portare alla creazione di un
regime differente per i cittadini europei rispetto a "les autres", rendendo
più stringenti i criteri di riconoscimento dello status12.
Il tema della lotta al terrorismo era strettamente legato a quello della difesa europea: nel dicembre 1984, Le Pen affermava: "si nous voulons jouer un rôle dans le monde, il faut disposer d'une force euro-
12
Dal testo della proposta, riportato in J.-M. Le Pen, Europe. Discours et interventions
1984–1989, Strasbourg, Groupe des Droites Européennes, 1989, pp. 22-26.
80
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
péenne intégrée rapide […] cette force serait le premier noyau d'une
armée européenne commune destinée à défendre les intérêts de l'Europe dans le monde"13. Sono gli anni della delicata questione degli Euromissili, che per i frontisti costituiscono la prova della minaccia sovietica nonché della necessità di dotarsi di una difesa europea, un
proposito che non verrà meno neanche con il successivo smantellamento14. Dopo più di trenta anni dal fallimento della CED, proposta e
affossata dai francesi stessi, un altro francese ritiene la difesa europea
la condizione necessaria per la realizzazione della piena unità.
In termini più generali, per quanto riguarda il futuro della costruzione
europea, l'atteggiamento di Le Pen e degli eurodeputati frontisti in quegli
anni non è privo di contraddizioni: la critica all'Europa è presente pur non
avendo ancora assunto quei toni di marcata opposizione che avrà qualche
anno più tardi e allo stesso modo il FN sembra mostrare un atteggiamento
propositivo, come quello che emerge dallo slogan "L'Europe doit oser d'être
européenne", lanciato a Strasburgo nel 1988. L'Europa, infatti, rappresenta
ancora il mezzo per la lotta al comunismo sovietico.
Già in quegli anni, tuttavia, nel pieno del dibattito sulla realizzazione del mercato unico, Le Pen aveva sollevato le proprie critiche: "La vision qu'a le Parlement européen de l'avenir économique de l'Europe
est une vision strasbourgeoise qui ne tient pas suffisamment compte
des réalités dangereuses qui existent autour de nous. […]. Il faut donner à l'Europe des patries et des nations, celle pour laquelle nous œuvrons, une dimension économique mais aussi politique, qui soit à la
hauteur de la compétition mondiale de notre temps et puisse rivaliser
avec les grands empires que sont l'Union Soviétique, les États-Unis
d'Amérique, la Chine ou le Japon"15.
13
Estratto dell'intervento tenuto ad Atene nel dicembre 1984, in J.-M. Le Pen, Europe,
cit., pp. 29-33.
14
Interveniva così Le Pen a Strasburgo il 17 ottobre 1987 : "Je pense, pour ma part,
que les deux grandes puissances militaires continentales que sont la France et l'Allemagne doivent résolument s'engager dans la voie de la création d'un noyau de
défense européenne autour duquel viendraient d'agréger les nations qui le désireraient. Je demeure convaincu que si l'Europe a le courage d'assumer seule sa défense dans le cadre de ses alliances par un effort budgétaire adapté, elle sera l'une
des trois grandes puissances du XXIe siècle et saura réaliser son unité", in J.-M. Le
Pen, Europe, cit. pp. 72-73.
15
Cfr. alle parole pronunciate da Le Pen il 4 ottobre 1988, in J.-M. Le Pen, Europe,
cit. pp. 138-139.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
81
L'atteggiamento del FN muta drasticamente, al punto da condurre
un'intensa campagna sul piano nazionale contro la ratifica del Trattato di Maastricht16, contro la moneta unica e contro l'ipotesi di una Costituzione per l'Europa. Sull'argomento, Le Pen terrà uno degli interventi più duri a Strasburgo, accusando i costituenti di aver "trahi leur
patrie. Leur responsabilité est écrasante. Ils seront maudits par l'Histoire et par les générations qui viennent"17.
In termini elettorali, nell'arco di un decennio il FN vede una sostanziale stabilità del partito, che si assesta sempre intorno ai due milioni di voti: alle europee del 1989 il FN ottiene l'11,73% e 10 seggi,
mentre nel 1994 ne ottiene 11 con circa il 10,5% dei voti. Una brusca
inversione di rotta, invece, si ha a partire dal successivo appuntamento alle urne, a seguito del quale il consenso verso il partito si dimezza
in termini di voti e di seggi conquistati: nel 1999 il FN ottiene poco
più di un milione di preferenze e solo 5 seggi. Una parziale ripresa si
avrà nel 2004, pur restando sotto il 10% ma guadagnando due seggi
in più mentre le elezioni del 2009 segnano il punto più basso del
Front National, non tanto in termini di voti, maggiori rispetto al 1999,
quanto perché si vedrà attribuire soltanto 3 seggi.
Tabella 1 – Risultati conseguiti dal Front National nelle elezioni europee
Anno
Voti
%
Seggi
1979
-
-
-
1984
2.210.334
10,95
10
1989
2.129.668
11,73
10
1994
2.050.086
10,52
11
1999
1.005.285
5,70
5
2004
1.684.947
9,81
7
2009
1.091.691
6,34
3
2014
4.712.461
24,86
24
Fonte: www.france-politique.fr
16
Nel settembre del 1992 i cittadini francesi furono chiamati a rispondere sull'approvazione e l'autorizzazione alla ratifica del Trattato di Maastricht, avvenuta grazie a
quello che fu definito un "petit oui" poiché ottenne solo il 51% dei voti favorevoli.
17
Parlamento europeo, Discussioni, intervento di Jean-Marie Le Pen, 11 gennaio 2005.
82
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Le elezioni del 2014 rappresentano, al contrario, il picco più alto
del Front National, che si è affermato primo partito del paese, quadruplicando il risultato precedente.
I fattori di questo successo sono senz'altro molteplici ma un ruolo
predominante è stato giocato dal passaggio della presidenza del partito, nel gennaio 2011, da Jean-Marie Le Pen alla figlia Marine. La
nuova leadership si è concentrata fin dall'inizio su un'intensa attività
di dédiabolisation18, cioè di ristrutturazione e di superamento di quella
demonizzazione mediatica a cui il FN è stato sottoposto a partire dagli anni Ottanta, al fine di creare una nuova immagine del partito,
rinnovando sia il gruppo dirigente sia il discorso politico, e di allontanarsi progressivamente dalla figura e dalle posizioni paterne al
punto di approvarne l'espulsione nell'agosto 2015.
Il pensiero politico di Marineè ben delineata nel programma Mon projet
pour la France et les Français19, presentato in occasione degli appuntamenti
elettorali del 2012: limitazione dell'immigrazione e abolizione della doppia
cittadinanza; attuazione del "principio di solidarietà nazionale" basato su
una visione etnosocialista del welfare state che dia la precedenza ai cittadini francesi; rinegoziazione dei trattati europei20 e della moneta unica21, al
fine di recuperare la propria sovranità nazionale; affermazione della laicità
dello Stato come difesa verso il pericolo dell'islamizzazione. È con questa
offerta politica che il FNsi presenta alle elezioni europee, invitando i cittadini a utilizzare l'arma del voto contro "le monstre froid", contro la "prison
des peuples" che è l'Europa di Bruxelles22.
18
In tal senso, per la prima volta dalla sua formazione, il partito ha cambiato denominazione in Rassemblement National nel giugno 2018.
19
Consultabile sul nuovo sito del partito al link https://www.rassemblementnational
.fr/pdf/projet_mlp2012.pdf.
20
A tal proposito, nel programma del 2012 si afferma: "une rénegociation des traité
[…] afin de rompre avec la construction européenne dogmatique en total échec"
per porre le basi di una nuova Europa che rispetti la sovranità e l'identità nazionale; "il sera proposé la mise en place d'une Union paneuropéenne (des des États
souverains) incluant la Russie et la Suisse" .
21
Per quanto riguarda la moneta unica, invece, si afferma: "La France doit préparer
avec ses partenaires européens, l'évolution de l'euro, qui deviendrait une monnaie
commune, coexistant avec le franc qui sera rétabli. Ce dispositif, proposé aux Français dans le cadre d'un réferendum, permettrait d'oxygéner notre économie et de retrouver la voie de la prosperité ".
22
L'intervento di Marine Le Pen si è tenuto a Marsiglia il 20 maggio 2014, nella chiusura della campagna elettorale.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
83
Il 25 maggio 2014 si sono tenute le elezioni, con un tasso di astensione del 57,6%. Il Front National è il primo partito del paese, con il
24,86% dei voti e l'attribuzione di 24 seggi23, precedendo i due principali partiti,i gollisti dell'Union pour un Mouvement Populaire(20,81%) e il
Parti socialiste (13,98%). Sono eletti: Louis Aliot; Marie-Christine Arnautu; Nicolas Bay; Joëlle Bergeron; Dominique Bilde; Marie-Christine
Boutonnet; Steve Briois; Aymeric Chauprade; Mirelle D'Ornano;
Edouard Ferrand; Sylvie Goddyn; Bruno Gollnisch; Jean-François
Jalkh; Jean-Marie Le Pen; Marine Le Pen; Gilles Lebreton; Dominique
Martin; Joëlle Mélin; Bernard Monot; Sophie Montel; Florian Philippot;
Jeanne Pothain24; Jean-Luc Schaffhauser; Mylène Troszczynski.
La prima vera sfida degli eurodeputati frontisti è quella di dare vita a un gruppo parlamentare di forze euroscettiche, così come promesso in campagna elettorale. Sotto questo punto di vista si può affermare che la vittoria del FN non è stata immediata25poiché la costicostituzione di Europe des nations et des libertés arriverà dopo più di un
anno, il 16 giugno 2015. Questo rallentamento è dovuto alla difficoltà
di raggiungere i requisiti richiesti dal Regolamento interno del Parlamento26. Le trattative erano state avviate già prima dell'inizio della
legislatura ma era pesata la difficoltà di riunire diverse forze eterogenee, complice il rifiuto del britannico Nigel Farage, così il partito di
23
I seggi che formalmente appartengono al Front National si riducono a 23 pochi
giorni dopo le elezioni, per via dell'invito a dimettersi che la direzione del partito
ha rivolto a Joëlle Bergeron, attivista da più di quaranta anni, perché si era dichiarata a favore dell'attribuzione del voto agli stranieri. Tuttavia, la Bergeron non si è
dimessa dalla carica di parlamentare e ha scelto di sedersi come indipendente, per
poi unirsi al gruppo EFDD.
24
Le dimissioni dell'eurodeputata Jeanne Pothain, dopo appena un mese dall'elezione, hanno portato Philippe Loiseau a sedere al suo posto nell'emiciclo europeo. La
questione ha destato qualche perplessità non tanto per le motivazioni alla base, definite come ragioni personali di salute causate da una forma di depressione, quanto
più che altro dal fatto che nel corso dell'intera campagna elettorale Mme Pothain
non ha fatto alcuna apparizione pubblica, nonostante risultasse la seconda della lista nella sua circoscrizione, fornendo terreno fertile ai media per ipotizzare che
fosse una "candidate phantôme".
25
Marine Le Pen annonce la création d'un groupe au Parlement européen, in "Le Monde",
16 giugno 2015.
26
L'articolo 32 del regolamento interno del Parlamento europeo disciplina la costituzione e lo scioglimento dei gruppi politici, prevedendo che "un gruppo politico è
composto da deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri. Per costituire
un gruppo politico occorre un numero minimo di venticinque deputati" (Art. 32.2).
84
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Marine Le Pen, insieme a quello di Matteo Salvini e dell'olandese
Geert Wilders, si sono temporaneamente seduti con i Non Iscritti,
proseguendo le loro negoziazioni27.
Benjamin Biard ha utilizzato i dati del portale MEP Ranking per analizzare l'attività dei deputati frontisti nel primo anno di vita della legislatura, dal 25 maggio 2014 al 18 agosto 201528. Ne è emerso che gli eletti
sono intervenuti su una vasta gamma di argomenti, prevalentemente di
politica internazionale, economia, sanità, sicurezza alimentare, impiego,
immigrazione, agricoltura e sicurezza pubblica. Biard conclude che la
loro attività risulta per certi versi molto simile a quella dei partiti europeisti ma ne evidenzia una differenza di fondo: il contenuto dei loro interventi è rivolto principalmente a sottolineare l'incapacità o la mancanza di legittimità dell'Unione Europea. Questo trend è sostanzialmente
confermato anche dai dati aggiornati, da cui emerge anche una scarsa
attività29. Inoltre, in questi anni, diverse sono state leprocedure d'inchiesta30 che hanno coinvolto i deputati frontisti e che hanno portato alla revoca dell'immunità di Marine Le Pen in più di un'occasione: l'ultima nel
marzo 201731, pochi mesi prima della sua elezione all'Assemblée Nationale
e alle sue dimissioni a Strasburgo.
27
Nel Parlamento 2014-2019 il Gruppo ENF contava 37 iscritti, provenienti da 8 Stati
membri: Front National (15 deputati); Lega (6 deputati); FPÖ (4 deputati); UKIP (4
deputati); Partij voor de Vrijeid (4 deputati); Kongres Nowej Prawicy (2 deputati);
Vlaams Belang (1 deputato); Die Blaue Partei (1 deputato). Significativa è la diminuzione dei membri eletti con ilFront National, che nel corso della legislatura hanno abbandonato il gruppo, tra cui Jean-Marie Le Pen e Bruno Gollnisch, fin da subito fra i non iscritti.
28
B. Biand, "Le Front National et les élections européennes de 2014", in J. Jamin (a
cura di), L'extrême droite en Europe, Bruxelles, Bruylant, 2016.
29
La più attiva del partito, Dominique Bilde, non è che 24° tra i suoi connazionali e
260° nell'intero emiciclo, con uno score units di 50.25
30
Nel marzo 2015, il presidente del Parlamento Martin Schulz si è rivolto all'OLAF, l'ufficio
europeo per la lotta antifrode, sospettando che l'assunzione di 20 assistenti parlamentari
da parte dei deputati frontisti non fosse che una finzione volta a percepire un maggiore finanziamento. Schulz chiedeva, pertanto, che fosse aperta una procedura d'inchiesta per
possibile frode ai danni del bilancio europeo, essendo loro contestata la cifra di 7.500.000
euro. Nell'agosto 2016, è stata richiesta a Marine Le Pen la somma di 339.946 euro per l'impiego fittizio di Catherine Griset e Thierry Légier. Cfr. Vingt assistants du FN au Parlement
européen visés par une procédure pour fraude, in "Le Monde", 9 marzo 2015.
31
L'immunità è stata revocata su richiesta della magistratura francese in vista di possibili citazioni in giudizio per aver pubblicato sul suo profilo Twitter alcune immagini cruente delle esecuzioni dell'Isis. Già nella precedente legislatura, l'immunità
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
85
4.3. La Lega Nord tra etnoregionalismo ed euroscetticismo
La Lega Nord nasce come partito a carattere regionalista, sviluppatosi progressivamente a partire dal fenomeno delle leghe del Nord
Italia sul finire degli anni Settanta.
Nel suo rapporto con l'Europa, la Lega Nord presenta alcune specificità che ne rendono interessante l'analisi, sia per l'atteggiamento
discontinuo che ha caratterizzato la sua storia ma anche per la sua retorica, tipica del populismo di destra, che si incentra sulla contrapposizione tra popolo ed élite e che tenta di integrare alcuni aspetti
dell'etnoregionalismo ad altri di nazionalismo, identificando l'Unione
Europea come il nemico comune32.
Le radici della Lega Nord sono europeiste, se non addirittura euro-entusiaste, e tali saranno per più di un decennio. Si tratta sicuramente di una visione strumentale della costruzione europea, vista
come necessaria a condurre la propria battaglia autonomista e a rimettere in discussione il sistema centro-periferia italiano. L'obiettivo
era quello di costruire "un'Europa fondata sull'autonomia, il federalismo, il rispetto e la solidarietà diretta tra tutti i popoli, e quindi tra i
Lombardi e ogni altro popolo"33e il processo di integrazione europea
era accolto positivamente perché considerato un valido strumento al
servizio delle regioni del Nord34.
La forza della Lega di Umberto Bossi è stata fin dall'inizio, e lo è
ancora oggi nonostante il cambio di leadership, la semplicità del linguaggio utilizzato e la conseguente l'abilità di coniare slogan efficaci,
in grado di arrivare rapidamente agli elettori, tra cui ilcelebre "Roma
ladrona, la Lega non perdona".
era stata revocata a seguito di talune affermazioni in cui paragonava le preghiere
musulmane in strada all'occupazione tedesca durante il secondo conflitto mondiale. Cfr. "Marine Le Pen compare les « prières de rue » des musulmans à une occupation", in Le Monde, 11 dicembre 2010; "Le Parlement européen lève l'immunité de
Marine Le Pen", in Le Monde, 2 luglio 2013.
32
M. Caiani, N. Conti, L'estrema destra, la destra radicale e l'Europa, disponibile sul sito di
Società Italiana di Scienza Politica (http://www.sisp.it/files/papers/2011/manuela-caianie-nicolo-conti-971.pdf).
33
Cronistoria della Lega Nord. Dalle origini a oggi – Prima parte (1979 – 1987), pp. 33-34, disponibile su http://www.leganord.org/il-movimento/la-nostra-storia/la-storia-della-lega.
34
G. Passarelli, D, Tuorto, Lega & Padania. Storie e luoghi delle camicie verdi, Bologna, Il
Mulino, 2012, pp. 125-126.
86
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
È proprio uno di questi slogan che permette di comprendere a
pieno il legame che intercorre tra la Lega e l'Europa nell'arco degli
anni Ottanta: "Più lontani da Roma, più vicini all'Europa" è lo slogan
con cui la coalizione elettorale autonomista Alleanza Nord si presenta alle elezioni europee del 1989. Si trattava di un cartello elettorale in
cui erano confluiti sei distinti movimenti autonomisti: Piemonte Autonomista, Union Ligure, Alleanza Toscana, Lega Emiliano- Romagnola, Liga Veneta e Lega Lombarda.
Il 18 giugno 1989 si tennero le consultazioni elettorali in Italia35. La lista
autonomista ottenne l'1,8%, cioè più di 600.000 voti, conquistando due
seggi. Furono eletti i leghisti Francesco Enrico Speroni e Luigi Moretti, i
quali, una volta giunti nell'emiciclo europeo, confluirono nel Gruppo Arcobaleno insieme ad altri partiti regionalisti di diversi Stati membri36.
Il buon risultato raggiunto con l'esperimento coalizionale delle elezioni europee del 1989 convinse Umberto Bossi che i tempi fossero sufficientemente maturi per dare vita all'unione delle forze autonomiste
dell'Alleanza Nord. A dicembre dello stesso anno, durante il congresso
di Segrate, fu approvato uno statuto che sanciva la nascita del nuovo
movimento, la Lega Nord, seguito dall'immancabile giuramento di
Pontida, il 20 maggio 1990.In questa fase i progetti leghisti di federalismo si fanno sempre più concreti, delineando una proposta di organizzazione federale che coinvolgesse sia l'Italia sia l'Europa perché "il federalismo europeo per nascere dovrà essere anche infranazionale e
35
Le elezioni europee del 1989 rivestirono un ruolo di particolare importanza in Italia perché gli elettori furono contestualmente chiamati a esprimersi in un referendum di indirizzo, il cui quesito proponeva "la trasformazione delle Comunità europee in una effettiva unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al
Parlamento". Tale trasformazione sarebbe avvenuta attraverso il conferimento di
un mandato costituente al Parlamento europeo per la redazione di un progetto costituzionale da sottoporre alla ratifica degli organi competenti nei singoli Stati
membri. Cfr. S. Guerrieri, "Il contributo degli europarlamentari italiani ai progetti
di unione politica: dall'Assemblea ad hoc al progetto Herman (1952-1994) ", in P.
Craveri, A. Varsori (a cura di), L'Italia nella costruzione europea. Un bilancio storico
(1957-2007), Milano, FrancoAngeli, pp. 165-185.
36
Infatti, oltre alla Lega Lombarda, partecipavano gli eletti del Partito Sardo d'Azione e dell'Unione del Popolo Corso, dell'Unione Popolare belga, i baschi di Eusko
Alkartasunae il Partido Andalucista, lo Scottish National Party, nonché l'Indipendent
Fianna Fáil e i danesi del Movimento Popolare contro l'UE, per un numero complessivo di quattordici eurodeputati.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
87
non solo sovranazionale"37. Si trattava di una struttura istituzionale organizzata su quattro livelli: la Comunità, gli Stati Membri, le Regioni e
i Comuni, i quali vedevano le loro funzioni ripartite secondo il principio di sussidiarietà, al fine di "costruire un'Europa rispettosa delle autonomie, anzi su di esse fondata"38 e non un'Europa centralistica nata
dalla somma di tanti stati a loro volta centralistici.
Al termine degli anni Ottanta, la Lega di Bossi si distinse nel panorama nazionale per il suo giudizio favorevole circa "la luce di Maastricht"39 che sarebbe arrivata di lì a poco. Contestualmente, tuttavia,
iniziò anche una nuova fase della politica italiana dopo Tangentopoli,
sfociata nel sistema di coalizioni messo in atto da Silvio Berlusconi e
che portò la Lega al governo, insieme alla neonata Alleanza Nazionale.L'alleanza con gli "ex-fascisti" provocò immediate ripercussioni al
livello europeo. In tal senso, è significativo il comunicato del Gruppo
Socialista presso il Parlamento europeo, nel quale si affermava:
"Nel pieno rispetto del risultato delle recenti elezioni e, dunque, del
potere sovrano del Parlamento italiano […] incombe sottolineare i problemi di incompatibilità politica e morale che porrebbe la presenza di
ministri neofascisti all'interno dell'Unione Europea, fondata sui valori
di democrazia, della libertà e della giustizia sociale. Non è una coincidenza se, all'interno della maggioranza di governo che si sta formando
in Italia, si levano voci assai inquietanti che mostrano un possibile indebolimento per la costruzione di un'Europa democratica"40.
Ovviamente, tali polemiche coinvolsero anche la Lega: dodici eurodeputati del Gruppo Arcobaleno esortarono i due colleghi leghisti
ad abbandonare il gruppo autonomista per via dell'alleanza con
Gianfranco Fini. La prima legislatura europea dei leghisti si concludeva, pertanto, con la loro fuoriuscita dal gruppo a poco più di un
mese dalle nuove elezioni.
37
U. Bossi, Discorso di apertura del Congresso della Lega Nord, I Congresso Lega Nord,
Pieve Sant'Emanuele, 8-10 febbraio 1991.
38
L. Moretti, Le Regioni in Europa, I Congresso Lega Nord, Pieve Sant'Emanuele, 8-10
febbraio 1991.
39
U. Bossi, "La"lettera" di Bossi: Maastricht, una luce federalista", in Lega Nord Centro
e Sud, a. II, n. 337-343, 26-31 dicembre 1991, cit. in M. Piermattei, Crisi della Repubblica e sfida europea. I partiti italiani e la moneta unica, Bologna, CLUEB, 2012, p. 83.
40
G. Martinotti, F. Papitto, "L'Italia di destra allarma l'Europa", in La Repubblica,
30 aprile 1994.
88
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Le elezioni europee del 12 giugno 1994segnarono il grande trionfo
di Silvio Berlusconi nell'arena politica italiana con il 30,6% dei voti.
Queste elezioni rappresentano la peculiarità del caso italiano sotto
diversi punti di vista: nessun partito in competizione, a eccezione della Lega, aveva partecipato a una precedente tornata europea; inoltre,
l'Italia si distinse sia per il più alto numero di liste in competizione,
addirittura 78, sia perché ben 14 partiti riuscirono a inviare un proprio rappresentante a Strasburgo, caratterizzandosi come il sistema
politico più frammentato41. La Lega partecipò da sola, al fine di rivendicare la propria identità e le proprie radici42 e, soprattutto, dare
nuovamente vigore al suo spirito europeista. Complice probabilmente anche il ridimensionamento dei toni antimeridionalisti, il partito
ottenne il 6,6%, cioè più di due milioni di voti, e 6 seggi. Furono eletti
Umberto Bossi, Gipo Farassino, Raimondo Fassa, Marco Formentini,
Marilena Marin e Luigi Moretti.
L'avvio della IV legislatura pose il problema della scelta del gruppo parlamentare: escluso il gruppo autonomista, la Lega scelse di
confluire nel Gruppo Europeo dei Liberali, Democratici e Conservatori, al quale aveva aderito anche il PRI di La Malfa. In tale occasione
il presidente del gruppo, l'olandese Gijs de Vries, elogiò l'ingresso dei
leghisti affermando che si trattava di "un partito che difende con forza le sue idee nell'ambito della coalizione di Governo e il fatto che
abbia deciso di aderire al Gruppo LDR è per noi un fatto molto positivo e rassicurante. […] I nostri amici della Lega Nord condividono i
valori e i principi liberali di pace, sono contro ogni forma di xenofobia e di razzismo, fascismo e antisemitismo e siamo lieti che in Italia
ci sia una forza impegnata a difendere questi valori e principi"43.
In realtà, anche in questa legislatura, il rapporto tra la Lega e ELDR
non sarà destinato a durare a lungo, al punto che il 19 febbraio 1997 gli
eurodeputati leghisti fuoriuscirono per confluire tra i Non Iscritti.Questo per via dei rapporti sempre più stretti che la Lega stava intessendo con diversi partiti xenofobi ed estremisti, come l'FPÖ austriaco
41
M. Piermattei, Crisi della Repubblica e sfida europea, cit., p. 131.
42
Cronistoria della Lega Nord, dalle origini a oggi – Seconda parte (1988-1995), p. 20, disponibile su http://www.leganord.org/il-movimento/la-nostra-storia/la-storia-della-lega.
43
Cfr. Europarlamento: la Lega aderisce al gruppo liberal-democratico, AGELEGA, a. 6, n.
243, 20 luglio 1994.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
89
di Jörg Haider. Bossi tentò anche di riprendere i rapporti con il gruppo
autonomista, abbandonato nel 1994, che pose come condizione per
un'eventuale collaborazione la rottura di tutti i contatti con le forze
estremiste ma questo non avvenne, e anzi dal novembre 1997 si aprì
una fase di "doppia politica" della Lega che intrattenne rapporti sia con
i partiti regionalisti e autonomisti sia con i partiti estremisti, tenendo il
piede in due staffe fino alla conclusione della legislatura.
L'europeismo della Lega, sebbene di natura strumentale, termina
proprio in questi anni, in un arco temporale che va sostanzialmente
dal 1995 al 199844. Sul piano nazionale, la Lega inizia a radicalizzare
le sue posizioni, in chiave sempre più secessionista45, dettata dal timore di restare esclusi dai criteri di convergenza di Maastricht, e
quindi dalla moneta unica. L'Europa a geometria variabile, che nel
settembre del 1994 era stata proposta dai tedeschi nel Documento
Schaüble-Lamers46, con l'ipotesi di posticipare l'integrazione italiana
al momento di una maggiore stabilizzazione economica, sembrava
essere l'unica opzione possibile per la Lega. Era giunto il momento di
sganciarsi dallo Stato centralistico per salvaguardare la Padania e per
farlo era necessario applicare la teoria della geometria variabile a partire dalle diverse realtà regionali47. In tal senso, la teoria leghista del
44
Con riferimento alla svolta antieuropeista attuata dalla Lega, si veda l'analisi operata da
Nicolò Conti ed Elisabetta Giorgi in N. Conti, E. Giorgi "L'Euroscetticismo a parole: Lega
Nord e Rifondazione Comunista, tra retorica e comportamento istituzionale", in Rivista Italiana di Scienza Politica, Bologna, Il Mulino, n. 2, agosto 2011, pp. 265-290.
45
Nel corso del 1996, il passaggio dal federalismo alla secessione si articola in una
serie di iniziative volte a sfidare lo Stato centrale. Tra queste, assumono particolare
rilevanza il "Parlamento di Mantova", che il 4 maggio, pochi giorni dopo le elezioni
politiche, si trasformò nel "Parlamento della Padania" (che riuniva i parlamentari, i
sindaci e tutti gli eletti nelle liste provinciali e regionali della Lega Nord) e la costituzione di un Comitato di Liberazione Padana (CLP), che doveva ricalcare il Comitato di Liberazione Nazionale che aveva guidato l'Italia nella resistenza al nazifascismo durante la seconda guerra mondiale.
46
Il documento era intitolato Riflessioni sulla politica europea e fu presentato al Bundestag il
1° settembre 1994 da Wolfgang Schaüble e Karl Lamers a nome del gruppo CDU/CSU.
La proposta riguardava il consolidamento di un "nocciolo duro" di Stati membri dal
quale l'Italia rimaneva esclusa sino alla risoluzione dei suoi problemi interni.
47
Dando per scontata la mancata adesione dell'Italia alla terza fase dell'UEM, il 25
settembre del 1996 Moretti e Bossi rivolsero due distinte interrogazioni parlamentari al Consiglio: il primo chiedeva di pervenire al riconoscimento della personalità
giuridica europea delle regioni, in particolare della Padania, in occasione della revisione dei Trattati; il secondo, invece, chiedeva delucidazioni in merito alle pro-
90
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
"due stati, due monete" prevedeva l'immediata partecipazione del
Nord alla moneta unica mentre il Centro-Sud avrebbe mantenuto la
lira italiana fino al momento in cui più idoneo per l'adozione.
Ma nel 1998 Umberto Bossi è costretto a constatare che le sue previsioni erano errate: grazie agli sforzi del governo Prodi, l'Italia è
nell'Euro. L'immediata reazione fu quella di scagliarsi contro l'Unione Europea, che lo aveva permesso, e contro la moneta unica:
Quello che dobbiamo chiederci è quindi cosa abbia pagato l'Italia per farsi accettare nell'Europa monetaria. Non l'oro, perché continua a perdere di valore. Non le lire […] Resta l'ipotesi
di un pagamento in merce o apertura del paese all'immigrazione extracomunitaria. […] Numerosi sono i dubbi nei confronti dell'Europa. L'idea nata nel dopo-guerra per scongiurare
altre guerre tra Stati Europei sta ora partorendo un mostro che
non genererà né democrazia, né stabilità, né vantaggi economici per tutti […] Alla Padania non interessa un'Europa che sarà piena d'instabilità di tutti i tipi e che distrugge le nostre medie e piccole imprese […] quindi se l'Europa non riconosce la
Padania, la Padania non può riconoscersi nell'Europa48.
Il 2 maggio 1998 Luigi Moretti interveniva a Strasburgo affermando che l'Euro non rappresentava altro che "la vittoria del grosso capitale sovvenzionato, la vittoria dei potentati economici", e che con esso
moriva il sogno di un'Europa federale49. Con l'Euro si concludeva anche la fase europeista della Lega.
I risultati delle elezioni europee del 1999 videro la flessione del consenso verso la Lega, che ottenne il 4,48% e 4 seggi, due in meno rispetto
alla precedente consultazione. Dei quattro deputati che andarono a
Strasburgo, solo uno non aveva partecipato alla IV legislatura: infatti
furono eletti Umberto Bossi, nel 2001 sostituito da Mario Borghezio,
Marco Formentini, Gian Paolo Gobbo e Francesco Enrico Speroni, i
quali confluirono nel Gruppo Tecnico dei deputati indipendenti, un
cedure di adesione della Padania all'Unione Europea. Cfr. Interrogazione scritta E2448/96 di Luigi Moretti (ELDR) al Consiglio, 25 settembre 1996 e Interrogazione scritta
E-2450/96 di Umberto Bossi (ELDR) al Consiglio, 25 settembre 1996, entrambe in
GUUE, 14 marzo 1997.
48
Intervento di Umberto Bossi al Congresso Federale Straordinario della Lega Nord
a Milano, 27-29 marzo 1998.
49
Intervento di Luigi Moretti, 2 maggio 1998, Supplemento al Bollettino CEE, n. 4-518/139.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
91
gruppo misto di cui Speroni fu co-presidente. Marco Formentini, tuttavia, riallacciò i rapporti con i liberal-democratici dopo pochi mesi, aderendo al gruppo ELDR. Borghezio, Gobbo e Speroni, invece, andarono
a sedere nel gruppo dei Non Iscritti fino alla fine della legislatura.
La svolta euroscettica e l'avvicinamento all'estrema destra aveva
avuto l'effetto di accentuare l'attenzione dei deputati leghisti per i
temi della sicurezza sociale e dell'immigrazione, che il partito affrontava con toni sempre più marcatamente xenofobi. La Lega ha saputo
abilmente adattare le sue posizioni alle mutazioni del contesto sociale
degli anni Novanta, spostando il centro del dibattito dalla questione
meridionale all'immigrazione, quale pericolo per la stabilità sociale e
l'ordine precostituito.50Una visione che trovò terreno fertile a seguito
degli attentati dell'11 settembre 2001.In particolare, Mario Borghezio,
il principale sostenitore di un'affiliazione con i partiti estremisti, si
spese molto a Strasburgo, intervenendo più volte per sottolineare la
necessità di "delimitare (il diritto d'asilo) entro paletti ben precisi, se
si vuol evitare il rischio, grave e oggettivo, di vederlo utilizzato al fine, non certo condivisibile, di veicolare l'entrata di clandestini nel territorio dell'Unione europea"51.
Le elezioni del 2004 confermarono sostanzialmente i risultati precedenti. Mario Borghezio, Umberto Bossi e Francesco Enrico Speroni
furono riconfermati nel loro incarico mentre la novità fu costituita
dall'elezione di Matteo Salvini. Questa volta i leghisti presero parte al
gruppo di Indipendenza e Democrazia, che riuniva le forze euroscettiche di destra tra cui l'UKIP, il Mouvement pour la France e i danesi di
Juni Bevægelsen. Tuttavia, nel 2006 i quattro deputati vennero espulsi
dal gruppo a seguito delle polemiche nate dalla maglietta anti-islam
indossata da Roberto Calderoli e scelsero di unirsi al gruppo di
Unione per l'Europa delle Nazioni, al quale già partecipano i connazionali di Alleanza Nazionale.
Un risultato più significativo si registra invece alle elezioni del giugno
2009, in cui la Lega supera i tre milioni di voti, ottenendo il 10,21% e 9 seggi, cioè più del doppio rispetto alla precedente legislatura. Umberto Bossi
è rieletto in tre circoscrizioni; Mario Borghezio, Matteo Salvini e Francesco
Enrico Speroni vengono confermati nel loro incarico ed entrano per la
50
G. Passarelli, D. Tuorto, Lega & Padania, cit., p. 118.
51
Parlamento europeo, Discussioni, intervento di Mario Borghezio, 23 settembre 2002.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
92
prima volta Mara Bizzotto, Lorenzo Fontana, Claudio Morganti, Fiorello
Provera e Giancarlo Scottà. Gli eletti prendono parte al gruppo euroscettico Europa della Libertà e della Democrazia, riprendendo la collaborazione
con le forze dell'ex gruppo IND/DEM. Nel corso della VII legislatura, il
Gruppo si è dichiarato più volte a favore di una maggiore trasparenza
dell'operato dell'Unione, ma soprattutto di una maggiore legittimità del
ruolo del Parlamento europeo, schierandosi contro l'attività della seconda
Commissione Barroso.Tuttavia, anche questa volta qualcosa va storto nei
rapporti tra i deputati leghisti e il loro gruppo: il 22 maggio 2013 Mario
Borghezio viene sospeso per le affermazioni razziste sul ministro italiano
per l'immigrazione Cécile Kyenge, per poi essere definitivamente espulso
il 3 giugno con la votazione favorevole di più di due terzi dei membri.
Tabella 2 – Risultati conseguiti dalla Lega Nord nelle elezioni europee
Anno
Voti
%
Seggi
1979
-
-
-
1984
-
-
-
1989*
636.242
1,83
2
1994
2.162.586
6,56
6
1999
1.391.595
4,48
4
2004
1.613.506
4,96
4
2009
3.126.181
10,21
9
2014
1.688.197
6,15
5
(fonte: www.elezionistorico.interno.it)
* I dati delle elezioni del 1989 fanno riferimento alla coalizione Alleanza Nord
Il 2013 si rivela essere un anno fondamentale per gli sviluppi della
Lega: a dicembre Umberto Bossi subisce una dura sconfitta alle primarie che incoronano Matteo Salvini nuovo Segretario federale del
partito, dopo la parentesi di Roberto Maroni avviata nel luglio 2012.
La posizione del nuovo leader rispetto all'Europa è chiara fin dal
principio: poco dopo l'elezione, oltre a paragonare l'Unione Europea
ai gulag sovietici52, afferma che la priorità è quella di "sgretolare questo euro e rifondare questa Europa. Sì, quindi alle alleanze anche con
gli unici che non sono euro pirla: i francesi di Marine Le Pen, gli
52
"Matteo Salvini è il nuovo segretario della Lega Nord:"No all'Ue, è un gulag", in La
Repubblica, 7 dicembre 2013.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
93
olandesi di Wilders, gli austriaci di Mölzer, i finlandesi […]insomma,
con quelli dell'Europa delle patrie"53.
Il programma elettorale per il 2014 rispecchia questa impostazione54. Si tratta di un opuscolo di circa quaranta pagine in cui la Lega di
Salvini illustra i punti nodali della propria visione europea, presentandosi come l'antesignana della nuova riflessione che sta maturando
fra i cittadini europei e che condurrà alla creazione di un'altra Europa, l'Europa dei popoli e delle Regioni. Viene criticato il deficit democratico dell'Unione, che si sta trasformando in "un impero medievaleggiante" in cui il popolo è posto ai margini della costruzione
europea55; viene ribadita la campagna anti-euro, con la segnalazione
del sito www.bastaeuro.org, in cui "vengono smentite tutte le falsità" di
quelli che si schierano per una maggiore integrazione56; infine, sul
piano dell'immigrazione, viene denunciata la totale assenza di solidarietà europea, "una frottola per creduloni", e si propone un nuovo sistema che permetta ai singoli Stati membri di poter decidere le regole
dell'immigrazione extracomunitaria nel proprio territorio57.
Queste le principali linee programmatiche con cui la Lega Nord si
è presentata alla competizione del 25 maggio 2014. Al contrario
dell'exploit registrato dal FN e dall'UKIP, Salvini non otterrà lo stesso
trionfo, complice la concorrenza del Movimento 5 Stelle di Beppe
Grillo: LN si assesta sul 6,15% dei voti, ottenendo solamente 5 seggi.
Sono eletti: Mara Bizzotto; Mario Borghezio; Angelo Ciocca; Lorenzo
Fontana e Matteo Salvini che più avanti formeranno, con Marine Le
Pen, il gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà.
I temi più cari, stando alle proposte di risoluzione e agli interventi
in aula dei suoi eurodeputati, sono perfettamente in linea con quelli
frontisti e riguardano prevalentemente la sicurezza dei cittadini, la lotta al terrorismo e al fondamentalismo islamico, l'instaurazione di un'adeguata gestione delle politiche migratorie. In linea con gli elementi
caratterizzanti il discorso populista, la retorica leghista è incentrata sul53
G. Caldiron, "Dal verde al nero. La Lega di Salvini sceglie Marine Le Pen", in Europa, 12 dicembre 2013.
54
Elezioni europee del 25 maggio 2014 – Programma elettorale della Lega Nord, disponibile
sul sito www.leganord.org
55
Ivi, p. 4.
56
Ivi, pp. 15-16.
57
Ivi, p. 29.
94
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
la critica all'Europa, che viene identificata nella causa del depauperamento delle classi sociali più deboli e delle piccole e medie imprese, e
che si traduce nelle battaglie che i suoi portavoce conducono contro i
nemici-simbolo dell'integrazione e della globalizzazione.
Consultando i dati MEP Ranking per analizzare l'attività istituzionale dei deputati leghisti ne emerge che il più attivo è Marco Zanni, eletto con il Movimento 5 Stelle e approdato nel ENF nel maggio
2018, con uno score units di 47.40 che lo posiziona al quarto posto per
attività all'interno del suo gruppo ma ben 279° nell'emiciclo europeo.
Tuttavia, il dato può risultare fuorviante, considerando lo scarso arco
temporale di cui si parla, così come è da ritenersi fuorviante un'analisi dell'attività per alcuni degli eletti non più presenti, come Lorenzo
Fontana e Matteo Salvini: entrambi, a seguito delle elezioni politiche
tenutesi in Italia il 4 marzo 2018, hanno lasciato la carica di eurodeputato alcuni giorni dopo per assumere le rispettive cariche nazionali.
Nel complesso, l'attività degli eurodeputati leghisti della VIII legislatura sembra essere in linea con quella dell'eurogruppo di appartenenza: quasi allo scadere della legislatura, tra i membri dell'ENF, solo
l'austriaca Barbara Kappel (FPÖ) si posiziona entro i primi cento (al
67° posto). Quattro di loro hanno una posizione compresa tra il 250° e
il 300°58 mentre i restanti 32 membri si posizionano ben oltre.
4.4. Lo United Kingdom Independence Party
e il withdrawal britannico
Il rapporto tra l'Unione Europea e il Regno Unito è storicamente
contraddittorio e caratterizzato dalla costante ricerca di equilibrio tra
integrazione e salvaguardia della sovranità nazionale da parte degli
inglesi. Ciò che differenzia lo United Kingdom Independence Party dagli
altri partiti britannici è l'aver incentrato la propria offerta politica sul
contrasto all'Unione Europea e aver fatto del withdrawal l'obiettivo
precipuo a cui tendere; ma è importante ricordare che l'attività
dell'UKIP si inquadra in un contesto politico e sociale in cui l'euroscetticismo rappresenta una tendenza che va per la maggiore, e i cui
58
Gli eurodeputati Marcel De Graaff, Dominique Bilde, Marco Zanni e Dominique
Martin hanno rispettivamente uno score units di 52.30 (251°), 50.25 (260°), 47.40
(279°), 44.60 (299°).
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
95
elementi sono rinvenibili sia nella maggioranza delle forze politiche,
sia nella maggioranza della popolazione.
La nascita dell'UKIP è legata alla figura di Alan Sked, docente presso la London School of Economics. Paradossalmente, proprio negli anni in
cui fu coordinatore degli European Studies alla LSE, negli anni Ottanta,Sked maturò l'ostilità nei confronti dell'Europa: dopo una parentesi
di adesione al Gruppo di Bruges59, Sked fondò, nel novembre del 1991,
l'Anti-Federalist League,col fine di opporsi al Trattato di Maastricht.
Dopo la ratifica di Maastricht, tuttavia, la AFL decise di darsi la
struttura di un partito, piuttosto che restare un gruppo di pressione
accademico, iniziando a porre le basi per una campagna incentrata
sul ritiro del Regno Unito dall'Unione Europea. L'UKIP nasce formalmente la sera del 2 settembre 1993, due mesi dopo la ratifica del
Trattato di Maastricht, in un incontro tenutosi presso la LSE.
Pochi mesi dopo, alle elezioni europee del 1994, il neonato UKIP
presentò 24 candidati in 87 constituencies e ottenne più di 150.000 voti,
non conquistando nessun seggio, ma guadagnando in compenso una
grande visibilità. Si trattava ancora di una forza embrionale, che si
preparava a crescere in vista del successivo appuntamento del 1999.
Alle elezioni del 1999, l'UKIP ottenne quasi il 7% dei voti e conquistò 3 seggi. Furono eletti Nigel Farage, Michael Holmes, nuovo leader
del partito dopo l'abbandono di Alan Sked60, e Jeffrey Titford; i quali,giunti nell'emiciclo europeo, aderirono al gruppo di Europa delle
Democrazie e delle Diversità, insieme ad altri partiti euroscettici61.
59
Il Gruppo di Bruges è una formazione politica indipendente, nata nel febbraio del
1989 e ispirata al celebre discorso, intitolato "La Famiglia Europea delle Nazioni",
che Margaret Thatcher tenne il 20 settembre 1988 al Collegio europeo di Bruges. In
tale discorso, il cui testo è reperibile nella versione integrale sul sito della Margaret
Tatcher Foundation (www.margaretthatcher.org), la Iron Lady illustrò i tre assi
principali della visione britannica di Comunità Europea: a) il rifiuto di qualsiasi
forma di governo sovranazionale europeo: b) la volontà di preservare la sovranità
dei singoli stati sul controllo dei confini; c) il rifiuto del modello di "mercato sociale" di stampo tedesco. Si veda sull'argomento M. Gilbert, Storia politica dell'integrazione europea, Roma, Laterza, 2015, pp. 166-171.
60
Sull'argomento, diversi anni dopo Alan Sked dichiarerà che una delle ragioni fu
che "the party was becoming too right-wing for my liberal sensitivities" in A. Sked,
"A crumbling Union", in The European, 17 dicembre 2012
61
Vi facevano parte lo Juni Bevægelsen danese, i Combats souverainistese Chasse, pêche, nature
et traditions francesi, la Lega delle Famiglie Polacche e il Christen Unie-SPG olandese.
96
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
Fin dal principio, i neodeputati manifestarono la loro ostilità verso
l'Unione Europea e le sue istituzioni.Per lo stesso motivo per cui si era
opposto tenacemente al Trattato di Maastricht, l'UKIP denunciò spesso
a Strasburgo lo strapotere della Commissione europea, che non era ritenuta legittimamente democratica, e l'impossibilità di instaurare un
dibattito che fosse davvero democratico in seno al Parlamento europeo, non mancando di ricordare il vero obiettivo del partito:
The United Kingdom Independence Party supports the EDD
and rejects the dangerous and unworkable scheme to create a
new nation called Europe. We campaign for a Europe that once
again respects the political, economic and cultural diversities
of all the individual nations and their right to democratic selfgovernment. That is why the UK Independence Party campaigns for the withdrawal of our county from membership of
the European Union by repealing the European Communities
Act so misguidedly signed by Prime Minister Heath in 197262.
L'opposizione non mancò neanche nelle successive tappe del processo di integrazione: sia in occasione della discussione della Carta
dei diritti fondamentali del 2000, sia nel delicato dibattito sul progetto di una Costituzione europea63, l'atteggiamento dell'UKIP fu drasticamente critico, in linea con le altre forze euroscettiche che si opponevano con vigore al superamento delle sovranità nazionali e alla
creazione di un super-stato europeo privo di legittimità democratica.
Nel corso della V legislatura, inoltre, l'UKIP ha dovuto ha dovuto
fare i conti con una lotta interna scaturita dall'atteggiamento del leader, Michael Holmes, che agli occhi del partito sembrava più orientato a chiedere una maggiore democraticità dell'Unione che a portare
avanti la battaglia del withdrawal. Questo fu visto dai membri del partito come un tradimento rispetto alla tradizionale impostazione programmatica e pertanto ne chiesero le dimissioni nel 200064. Holmes
rimase nel gruppo EDD fino al luglio 2001, per poi sedersi tra i Non
62
Parlamento europeo, Discussioni, intervento di Michael Holmes, 14 settembre 1999.
63
Ampia discussione fu dedicata all'articolo 59 del Trattato che adotta una Costituzione
per l'Europa che disciplinava l'ipotesi del ritiro volontario dall'Unione, il wtihdrawal,
con un iter pressoché identico a quello che oggi è previsto dall'articolo 50 TUE.
64
M. White, "Former UKIP leader quits "bitterly divided" party", in The Guardian,
21 marzo 2000.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
97
Iscritti e, infine, dimettersi definitivamente da eurodeputato nel 2002.
Fu sostituito da Graham Booth, il secondo candidato della lista nel
suo collegio, mentre la leadership del partito passò a Jeffrey Titford.
Malgrado le turbolenze interne, alle elezioni del 10 giugno 2004
l'UKIP è riuscito a ottenere dieci punti percentuali in più rispetto al
1999, arrivando al 16,10% e quadruplicando i seggi che passavano dai 3
della precedente legislatura a 12. Sono eletti: Gerard Batten; Godfrey
Bloom; Derek Clark; Trevor Colman; Robert Kilroy-Silk; Roger Knapman, a capo del partito dal 2002; Ashley Mote; Mike Nattrass; John
Whittaker e Tom Wise, oltre a Farage e Titford che vengono confermati. Nella VI legislatura, dunque, l'UKIP fonda il gruppo Indipendenza e
Democrazia, erede del precedente EDD, che riuniva diversi partiti della destra euroscettica e di cui Nigel Farage diviene co-presidente.
Nel giro di due anni, nel settembre 2006, Farage viene eletto anche
nuovo leader del partito, ottenendo il 44% dei voti. La visione europea di Farage ben si riassume in un suo intervento, tenutosi a Strasburgo nel maggio 2005, a pochi giorni dal referendum francese che
avrebbe negato la ratifica del Trattato costituzionale:
I sometimes wonder what the arguments are for the European
Union. They certainly cannot be economic, because we do not
live in a world of huge trade tariffs and certainly there is now a
global economy. They certainly cannot be democratic, because
this Parliament is the only democratic element within the European Union, and it is almost as good as useless. However, if
there were one argument for the European Union that would
make me change my mind, it would be the argument that the
European Union would give us, and would guarantee, peace.
However, all of this is based on a series of false assumptions. It
was not democratic nation-states that caused the First and Second World Wars. If you look back through history, you find
that mature democracies do not go to war with each other. It is
also wrong and quite false to claim that the EU has kept the
peace in Europe for the last 50 years. What war has it stopped?
[…] If there has been a guarantor of peace over the last 50
years, surely it must be NATO, an example of intergovernmental cooperation. […] The important thing is: will the EU guarantee peace? Does federation guarantee peace? It did not in
Yugoslavia or in the USSR and it did not in the United States of
America […] What we must do is tell the peoples of Europe the
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
98
truth about our ambitions and give them free and fair referendums, otherwise we are heading for disaster65.
Complessivamente, l'atteggiamento degli eurodeputati dell'UKIP
si è sempre caratterizzato per l'aperta ostilità verso l'Europa dei burocrati. Farage ha accusato costantemente le istituzioni e gli stessi
membri, suoi colleghi, del Parlamento europeo di essere prepotenti,
incompetenti e antidemocratici66.Il dato interessante è che, rispetto
alle altre due forze euroscettiche fin qui esaminate, l'UKIP non ha
mai subito flessioni di consenso alle elezioni bensì ha costantemente
aumentato, di quinquennio in quinquennio, la propria base elettorale:
una considerazione che assume maggior rilievo se si tiene presente,
come già enunciato, che il contesto britannico è tradizionalmente euroscettico e gli elettori hanno quindi maggiori possibilità di scelta, secondo il grado di opposizione all'Europa che più li rappresenta.
Tabella 3 – Risultati conseguiti dall'UKIP nelle elezioni europee
Anno
Voti
%
Seggi
1979
-
-
-
1984
-
-
-
1989
-
-
-
1994
155.487
1,0%
-
1999
696.057
6,96%
3
2004*
2.650.768
16,1%
12
2009
2.498.226
16,5%
13
2014
4.376.635
26,6%
24
fonte: www.bbc.co.uk
* I dati delle elezioni del 2004 non includono l'Irlanda del Nord
Anche alle elezioni del 2009, in cui l'UKIP perde circa 150.000 voti,
riesce comunque a conquistare un seggio in più rispetto alla VI legislatura e ad affermarsi secondo partito, superando il Labour Party di
Brown. Questo risultato si deve in gran parte all'abilità politica di Nigel Farage, che seppe sfruttare a proprio vantaggio il colossale scan-
65
Parlamento europeo, Discussioni, intervento di Nigel Farage, 11 maggio 2005.
66
Parlamento europeo, Discussioni, intervento di Nigel Farage, 6 maggio 2009.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
99
dalo sui rimborsi spese dei parlamentari britannici, esploso sul "The
Telegraph "poco prima delle elezioni67.
Il grande trionfo, in linea con l'andamento registrato in tutta Europa, si avrà alle elezioni del 2014, dove l'UKIP si afferma primo partito del Regno Unito, ottenendo il 26,77%dei voti e 24 seggi. Come noto, questo non è stato l'unico traguardo significativo conseguito
dall'UKIP nel corso di questo quinquennio: il 23 giugno 2016 il popolo della Gran Bretagna ha votato a favore del leave nel referendum
consultivo sulla Brexit68che, sebbene proposto dai conservatori, costituiva l'obiettivo precipuo del partito di Farage. Proprio quest'ultimo,
lo stesso giorno, ha dichiarato: "Let June 23 go down in our history as
our independence day"69.
Se nel corso della VII legislatura l'UKIP aveva partecipato al
gruppo di Europa della Libertà e della democrazia, che comprendeva
anche la Lega Nord, nel 2014 si sono registrate alcune difficoltà nella
formazione del nuovo gruppo: innanzi tutto la Lega Nord, che dopo
l'UKIP aveva costituito la forza più consistente di EFD, aveva annunciato la volontà di trovare un accordo con Marine Le Pen, accordo al
quale Nigel Farage ha scelto di non partecipare, per via dell'orientamento razzista e antisemitadi partiti di destra estrema come il Front
National70. Persi i principali alleati, quindi, Farage si è rivolto al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che in Italia si era aggiudicato 17
seggi con circa il 21% dei voti. Nasce così il gruppo di Europa delle
Libertà e della Democrazia Diretta.
L'attivazione dell'articolo 50 TUE, avvenuta il 29 marzo 2017, non
ha inficiato lo status degli eurodeputati britannici, che resteranno
nell'emiciclo europeo sino al termine della legislatura. Tuttavia, se si
consultano i dati di MEP Ranking relativi all'VIII legislatura, né i de-
67
Gli atti di questa inchiesta pubblicati dal "The Telegraph" a partire dall'8 maggio
2009 sono disponibili nell'archivio del quotidiano britannico
(www.telegraph.co.uk/archive).
68
Il quesito del referendum domandava: "Should the United Kingdom remain a
member of the European Union or leave the European Union?". Su un'affluenza
del 72,2%, il 51,89% si è espresso in favore della Brexit.
69
A. Withnall, "EU referendum: Nigel Farage's 4 am victory speech – the text in full",
in Independent, 24 giugno 2016.
70
Cathy Newman, "A canny Nigel Farage is right to shun Marine Le Pen's advances",
in The Telegraph, 29 maggio 2014.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
100
putati dell'UKIP né i britannici in generale risultano particolarmente
attivi. Il gruppo EFDD conta attualmente41 membri, provenienti da
sette Stati membri, di cui il più rappresentato è proprio il Regno Unito con 17deputati, divisi fra indipendenti, appartenenti all'UKIP e al
The Brexit Party, la nuova formazione politica nata nel gennaio 2019
con il fine di "salvare la Brexit" e costituita prevalentemente da ex
membri dell'UKIP, tra cui Nigel Farage.
4.5. Conclusioni
È quindi lecito domandarsi se e in che modo l'attività di queste
forze politiche, nella loro apparente contraddizione di partenza, e
cioè euroscettiche ma allo stesso tempo inserite a pieno titolo nel cuore stesso dell'apparato istituzionale dell'Unione, abbiano effettivamente potuto influenzare, o frenare, il processo di integrazione europeo e quanto ancora potranno farlo in futuro.
Per quanto riguarda ciò che è avvenuto in passato, gli ostacoli che
tali forze hanno posto sul percorso di integrazione variano a seconda
del singolo partito e del momento storico. Sotto questo punto di vista
il Front National è la forza politica attiva da più tempo, nata nel 1972
e sostanzialmente operativa a partire dal 1984. Da quel momento il
FN si è ritagliato lentamente il suo modesto spicchio di emiciclo fino
all'exploit del 2014, partecipando costantemente, anche se con toni
critici, alla definizione delle politiche europee in seno al Parlamento
ma ottenendo anche storici risultati sul piano nazionale71.
Per la Lega Nord è necessario un discorso a parte, poiché il revirement compiuto nei confronti dell'Unione Europea si inquadra in un
processo più ampio di ricerca della propria identità, che sin dalle origini ha oscillato tra la destra estrema e la destra di carattere moderato-istituzionale. L'arrivo di Matteo Salvini alla leadership sembra
71
Al primo turno delle elezioni presidenziali, tenutesi nella primavera del 2017, Marine Le Pen ha ottenuto il 21,3% dei voti, una percentuale che le ha permesso di accedere al ballottaggio, da cui è uscita sconfitta con il 33,9% contro il 66,1% ottenuto
da Emmanuel Macron. Un traguardo che Jean-Marie Le Pen ha raggiunto solo in
una occasione nel corso della sua lunga attività politica, nel 2002, quando Jacques
Chirac trionfò con l'82% dei voti al secondo turno. Inoltre, alle elezioni legislative
del giugno 2017, il partito è riuscito a far eleggere 8 deputati e Marine Le Pen, per
la prima volta, è entrata al Palais Bourbon.
4. L'euroscetticismo nel Parlamento europeo
101
aver risolto questo dilemma identitario del partito, che ha intrapreso
con decisione la strada del populismo di estrema destra e, non a caso,
ha inasprito i toni del suo euroscetticismo72. Toni che hanno premiato
la Lega e il suo leader nelle elezioni nazionali tenutesi il 4 marzo
2018: la Lega ha quadruplicato i suoi consensi ed è arrivata al governo del paese, insieme al Movimento 5 Stelle.
L'UKIP, la più recente di queste forze, nell'arco dell'ultimo decennio è riuscita ad affermarsi come primo partito del suo paese alle elezioni europee e a ottenere il grande obiettivo che costituiva la sua ragion d'essere, la Brexit. I risultati conseguiti risultano molto più
significativi rispetto a quelli degli altri partiti proprio in considerazione dell'arco temporale di attività dell'UKIP, che è più ristretto. Eppure, all'apice della sua popolarità, il partito sembra aver intrapreso
una rapida discesa, che è culminata nello scarso risultato ottenuto alle
general elections del 201773.
In termini più generali, quello che emerge èche la capacità di
queste forze politiche di influenzare il processo d'integrazione si è
storicamente manifestata più sul piano nazionale, attraverso la propaganda delle campagne elettorali e referendarie, piuttosto che attraverso il proprio ruolo nel Parlamento europeo, dove si mostrano
in prevalenza fra i meno attivi.
Maurizio Cotta,nel saggio conclusivo di Contro l'Europa?74, porta
come esempio il caso di Syriza in Grecia per sottolinearne la peculiarità, ma anche le contraddizioni: Syriza è stato il primo partito apertamente euroscettico ad arrivare al governo di uno Stato membro, e
questo ha fatto sì che Alexis Tsipras e i suoi ministri entrassero nel
Consiglio europeo, diventando parte integrante del "governo europeo". Al contrario, nel Parlamento europeo gli eletti di Syriza si collocano tra gli oppositori, in quanto euroscettici. Tuttavia, la posizione
minoritaria nel governo europeo, nonché la peculiarità del caso gre-
72
G. Passarelli, D. Tuorto, La Lega di Salvini. Estrema destra di governo, Bologna, Il
Mulino, 2018.
73
Il partito, che dopo le dimissioni di Nigel Farage il 4 luglio 2016 era sotto la guida
di Paul Nuttall, ha ottenuto poco meno di 600.000 voti e una percentuale di circa
1,8%, non guadagnando alcun seggio ai Comuni. Nella precedente tornata elettorale, nel 2015, l'UKIP aveva ottenuto il 12,6% e più di 3.000.000 di voti.
74
M. Cotta, "Un concetto ancora adeguato? L'euroscetticismo dopo le elezioni europee del
2014", in D. Pasquinucci, L. Verzichelli (a cura di), Contro l'Europa?, cit. pp. 233-247.
102
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
co, hanno costretto Tsipras e i suoi a ridimensionare l'atteggiamento
euroscettico. Per ora, dunque, il sistema istituzionale europeo si è
dimostrato capace di riassorbire anche le posizioni più estreme di
opposizione. Ma cosa accadrà se in futuro vi saranno altri partiti euroscettici alla guida di più Stati membri?
Oltre a questo, il futuro dell'Europa sembra dipendere anche da
un successivo e ben più importante interrogativo: riusciranno i diversi euroscetticismi a costituire un fronte politico unitario nell'arco del
prossimo quinquennio? Allo stato attuale è senz'altro difficile dare
risposte certe ma è bene ricordare che molto dipenderà dalla capacità
dell'Europa stessa di fornire riposte adeguate alle crisi che la stanno
travolgendo senza sottovalutare il messaggio populista, che arriva
ben prima dei consensi e la cui capacità di influenzare la società va
oltre i risultati elettorali.
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5. La Germania europea
tra euroscetticismo e xenofobia.
Recenti sviluppi dell'estremismo di destra
Andrea Grippo
5.1. Introduzione
L'Unione Europea ha assunto un crescente peso nei dibattiti nazionali, tanto che l'orientamento nei suoi confronti è divenuto un connotato importante di specifici partiti e correnti politiche. Le formazioni
che fanno della sua critica il proprio vessillo, i partiti xenofobi ed anti-Islam, fino a qualche tempo fa ostracizzati dal dibattito politico,
siedono oggi in numerosi parlamenti.
La progressiva crescita di consensi dei partiti estremisti di destra,
antiestablishment o di protesta è seguita all'ondata di sfiducia diffusasi
dal 2008 nei confronti del sistema politico, che ha fortemente indebolito
la capacità dei partiti tradizionali di canalizzare i bisogni all'interno di
binari convenzionali1. Ad aver avuto una influenza non secondaria su
questo processo anche l'instabile contesto internazionale e le crescenti
diseguaglianze economiche e sociali, nonché i molteplici casi di corruzione – dalla Tangentopoli italiana a quella tedesca degli anni '90, dalla
Parmalat alla Volkswagen – elementi antitetici alla decennale propa1
A. Bengtsson, "Economic Voting: The Effects of Political Context, Volatility and
Turnout of Voters' Assignment of Responsibility", European Journal of Political Research, 43, 5, 2013, pp. 551-573; V. Emanuele, A. Chiaromonte, "A growing impact of
new parties: Myth or reality? Party system innovation in Western Europe after 1945",
Party Politics, DOI: 10.1177/1354068816678887, 2016, pp. 1-13; M. Giuliani, S.A. Massari, It's the economy, stupid. Votare in tempi di crisi, Bologna, Il Mulino, 2018; H. Kriesi,
"The political consequences of the financial and economic crisis in Europe: Electoral
punishment and popular protest", Swiss Political Science Review 18, 4, 2012, pp. 518522; L. Morlino, F. Raniolo, Come la crisi economica cambia la democrazia. Tra insoddisfazione e protesta, Bologna, Il Mulino, 2018, ed. orig. The Impact of the Economic Crisis on
South European Democracies, London, Palgrave Macmillan, 2017.
106
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
ganda della società della crescita e della stabilità2. Lo scoppio delle contraddizioni strutturali dell'ultimo decennio avrebbe quindi prodotto
dei mutamenti, tanto di prospettiva personale quanto collettiva, che
hanno toccato le corde più profonde della società.
In Germania questi fattori hanno indotto una consistente crescita delle formazioni che si pongono all'estremità destra dell'asse politico nazionale. Tra di esse, ad egemonizzare la nuova primavera dell'estremismo,
le neocostituite Alternative für Deutschland e Pegida, impostesi repentinamente nella compagine tedesca quali attori politicamente rilevanti, capaci di un importante potenziale di ricatto-intimidazione3.
La prima parte del presente elaborato si pone l'obiettivo di fornire
una panoramica dell'estensione sociale dell'estremismo di destra, ovvero quanto i suoi valori siano radicati e cristallizzati nel tessuto sociale. A tal fine è stata operata una comparazione diacronica degli
studi pubblicati dall'Università di Leipzig sull'estensione della Weltanschauung estremista di destra. I cardini della sua definizione riprendono quelli proposti dal Bundesamt für Verfassungsschutz, l'Ufficio federale a difesa della costituzione: ″Nell'estremismo di destra
predomina una visione in cui l'appartenenza ad una etnia, nazione o
razza è decisiva per il valore di un uomo. Nell'etnica-razziale Volksgemeinschaft, comunità organica di popolo, vengono disprezzati i
fondamentali valori del libero e democratico ordinamento. Gli aspetti
principali dell'agitazione estremista di destra sono la xenofobia e il
razzismo, l'antisemitismo e il revisionismo storico, nonché una fondamentale ostilità alla democrazia″4.
Si intende inoltre verificare la validità della teoria dei Modernisierungsverlierer5, i perdenti della modernizzazione, mettendo in evidenza la di2
M. Cotta, Un'altra Europa è possibile, Roma-Bari, Laterza, 2017; H. Kriesi et al.,
"Globalization and the transformation of the national political space: Six European
countries compared", European Journal of Political Research, 45, 6, 2006, pp. 921-956;
D. Muro, G. Vidal, "Political mistrust in southern Europe since the Great Recession", Mediterranean Politics, DOI: 10.1080/13629395.2016.1168962, 2016, pp. 1-21.
3
G. Sartori, Parties and Party Systems: a Framework for Analysis, Cambridge, Cambridge University Press, 1976.
4
Bundesamt für Verfassungsschutz, Verfassungsschutzbericht 2014, Berlin, Bundesministerium des Innern, 2015, p. 31.
5
H.G. Betz, Radical Right-Wing Populism in Western Europe, Basingstoke, Macmillan,
1994; H.G. Betz, "Contemporary right-wing radicalism in Europe", Contemporary
European History, 8, 2, 1999, pp. 299-316; F. Decker, Parteien unter Druck: Der neue
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
107
stribuzione dell'impostazione valoriale d'estrema destra nei diversi gruppi
della popolazione, ripartiti sulla base di distintivi fattori sociografici.
Parimenti si analizzeranno i principali indicatori economici e si
porranno in rilievo le eventuali divergenze regionali al fine di avanzare delle ipotesi di correlazione con la diffusione dell'estremismo di
destra6. In ultima analisi si intende verificare l'impatto regionale
dell'immigrazione, un altro fenomeno che la letteratura politologica,
per lo più di macro livello, indica tra le concause dello sviluppo delle
forze d'estrema destra7. Ulteriore oggetto d'analisi saranno i rapporti
del Dipartimento federale della polizia criminale tedesca sulla violenza politicamente motivata. Ci si propone di sottoporre a verifica
l'ipotesi di relazione positiva tra lo sviluppo delle forze d'estrema destra e la violenza8, in questo caso analizzando la specifica fattispecie
dei reati aventi una matrice politica di destra.
Alla seconda parte dello scritto, suddivisa in due diversi capitoli,
è demandato il compito di ricostruire il profilo politico e organizzativo dell'Alternative für Deutschland e del movimento pegidista. A tal
Rechtspopulismus in den westlichen Demokratien, Vs Verlaf für Sozialwissenschaften,
Opladen, Leske Budrich, 2000; H. Kriesi, "Bewegungen auf der Linken, Bewegungen auf der Rechten: Die Mobilisierung von zwei neuen Typen von sozialen
Bewegungen in ihrem politischen Kontext", Swiss Political Science Review, 1, 1, 1995,
pp. 1-46; M. Minkenberg, die neue radikale Rechte im Vergleich: USA, Frankreich und
Deutschland, Opladen, Westdeutscher, 1998.
6
J. Bayer, "Rechtspopulismus und Rechtsextremismus in Ostmitteleuropa", Österreichische Zeitschrift für Politikwissenschaft, 31, 3, 2002, pp. 265-280; R. Stöss, Politics
against Democracy: Right-Wing Extremism in West Germany, Oxford, Berg, 1991; T.
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7
M. Golder, "Explaining variation in the success of extreme right parties in Western
Europe", Comparative Political Studies, 36, 4, 2003, pp. 432-466; P. Knigge, "The electoral correlates of right-wing extremism in Western Europe", European Journal of
Political Research, 34, 2, 1998, pp. 248-279; D. Swank, H.G. Betz, "Globalization, the
welfare state and right-wing populism in Western Europe", Socio-Economic Review,
1, 2, 2003, pp. 215-245.
8
M. Kreidl, K. Vlachovà, "Rise and Decline of Right-Wing Extremism in the Czech
Republic in the 1990s", Prague, Sociologický časopis/Czech Sociological Review 8, 1,
2000, pp. 69-91; G. Pop-Eleches, Radicalization or protest vote? Explaining the electoral
success of unorthodox parties in Eastern Europe, paper presented at the 2002 annual
AAASS meeting, Pittsburgh, November 21-24, 2003; C. Wendt, Toward a majoritarian model for Western Europe, paper presented at the 99th annual APSA meeting,
Philadelphia, August 28-31, 2003.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
108
riguardo si prediligerà l'analisi di fonti primarie, quali piattaforme
programmatiche e documenti congressuali; le fonti secondarie assolveranno funzione ausiliare.
Si tenga conto che la categoria dell'estremismo di destra non è qui
definita meramente dal legame con l'ideologia fascista poiché, come
suggerisce anche Piero Ignazi, per le nuove formazioni che non si rifanno direttamente a quell'esperienza ″va abbandonato il riferimento
ad una ideologia strutturata e definita quale quella fascista e va rivolta l'attenzione piuttosto alle credenze e agli atteggiamenti politici etichettabili come antisistemici, indipendentemente dalla coerenza e/o
fedeltà dei vari partiti all'ideologia fascista″9.
5.2. L'estensione sociale dell'estremismo di destra
L'esperienza del nazionalsocialismo si è tradotta in un vitale lascito
che ha permeato l'intero sistema nazionale. A settant'anni dall'entrata in
vigore della Legge Fondamentale l'ordinamento tedesco esprime ancora
uno stringente grado di controllo sulle organizzazioni politiche che non
ha eguali tra i sistemi liberaldemocratici dell'Europa continentale.
Un ″sistema militante″, come lo definirebbe Pizzorusso, un ordinamento che si autodifende, che ″esprime una statuizione di ordine
generale che risolve il ′paradosso della tolleranza′ [...] in senso sfavorevole agli intolleranti, leggi limando le norme preventive e repressive stabilite nei loro confronti″10. A tal fine la Grundgesetz prevede la
privazione dei più elementari diritti fondamentali se esercitati ″per
combattere l'ordinamento costituzionale democratico e liberale″ e,
quale corollario, la messa al bando delle formazioni politiche che perseguono i medesimi scopi11. All'inizio del millennio, seguendo i cardini normativi che l'Ufficio federale a difesa della costituzione adopera per definire un'organizzazione politica estremista di destra,
l'università di Leipzig ha avviato lo studio dell'estensione sociale del-
9
P. Ignazi, L'estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 54.
10
A. Pizzorusso, Limiti alla libertà di manifestazione del pensiero derivanti da incompatibilità del
A. Pizzorusso, Limiti alla libertà di manifestazione del pensiero derivanti da incompatibilità del
pensiero espresso con principi costituzionali in P. Allegretti (a cura di), Diritti, nuove tecnologie,
trasformazioni sociali. Scritti in memoria di Paolo Barile, Padova, Cedam, 2003, pp. 663-666.
10
11
Art. 18 e art. 21 della Grundgesetz.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
109
la sua ideologia, ovvero come suoi valori vengono percepiti, interiorizzati e come si cristallizzano all'interno della società. L'obiettivo
della ricerca è indagare quanto sia esteso ″l'atteggiamento estremista
di destra″, inteso quale ″pluridimensionale concezione del mondo:
l'estremismo di destra è un modello di atteggiamento, il cui tratto caratteristico è una visione fondata sulla disuguaglianza″. Secondo il
simposio di ricercatori riunitosi nel 2001, esso ″si esprime sul terreno
politico con l'affinità a forme di governo dittatoriali, un'impostazione
sciovinista e la banalizzazione e la giustificazione del nazionalsocialismo. Sul terreno sociale è peculiare un atteggiamento antisemita, xenofobo e socialdarwinista″12. La disamina della sua estensione è funzionale a cogliere gli elementi valoriali fondamentali radicatisi nel
tessuto sociale ove operano e si radicano le formazioni d'estrema destra che, seppur ″non invocano apertamente un assetto istituzionale
non democratico, tuttavia minano la legittimità del sistema veicolando insofferenza per le procedure e i dibattiti parlamentari e per il
preponderante ruolo dei partiti, e opposizione verso l'eccessiva libertà, la debolezza dello stato, la distruzione delle comunità naturali
tradizionali spazzate via dall'′innaturale′ egualitarismo″13.
L'accentuazione dell'elemento psicopolitico nelle ricerche dell'Università di Leipzig è la risultante dell'approccio tedesco degli anni
'90 alla trattazione dell'area politica. Nel revival estremista di destra
successivo alla riunificazione della Germania, alcuni autori tentarono
di definirne le credenziali ponendo un preminente accento su una visione del mondo fondata sulla diseguaglianza14. Pur dissentendo da
tale ottica, Pierre-Andrè Taguieff condivide con questi autori che ″le
mobilitazioni etichettate come ′populiste′, ′di destra′ e ′radicali′ devono essere considerate sostanzialmente un sintomo, [...] I segni di un
12
O. Decker et al., Die stabilisierte Mitte. Rechtsextreme Einstellung in Deutschland 2014,
Gießen, Psychosozial Verlag, 2014, p. 29.
13
P. Ignazi, L'estrema destra in Europa, cit., p. 54.
14
U. Backes, P. Moreau, Die Extreme Recht in Deutschland, München, Akademischer Verlag, 1993; H.G. Betz, Radical Right-Wing Populism in Western Europe, Houndmills, Palgrave Macmillan, 1994; R. Stöss, Extremismus von rechts. Einige Anmerkungen aus rechtlicher und politikwissenschaftlicher Perspektive in Angriff von rechts. Rechtsextremismus und
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110
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
profondo malessere sociale″15. Per comprendere quanto estesi siano
questi sintomi nella società tedesca e quanto radicate siano le credenze, i valori e gli atteggiamenti politici etichettabili come estremisti di
destra sono state analizzate le ricerche pubblicate dall'Università di
Leipzig dal 2013, periodo in cui hanno cominciato ad esplicarsi prodromicamente i segni della nuova primavera estremista di destra16.
A raggiungere valori apicali negli studi recenti la dimensione della xenofobia, la quale si corrobora per le strade attraverso il richiamo
Wir sind das Volk, noi siamo il popolo, che riecheggia ancor oggi nelle
manifestazioni di Pegida e tra gli aderenti dell'AfD. Ripescato dal periodo della riunificazione, di cui fu il motto, esso è oggi utilizzato non
per unire ma per separare, per rimarcare le divergenze tra Noi e l'Altro, tra il popolo tedesco e gli immigrati, i Sinti e i Rom, i musulmani
e i richiedenti asilo politico. Nel 2014 il 27,5% degli intervistati era
dell'idea che ″la Repubblica federale [fosse] caratterizzata in pericolosa misura dall'eccessiva presenza di stranieri″. La ″crisi dei migranti″
che ha investito l'Europa l'anno successivo potrebbe essere una delle
concause del prominente 36,5% registrato nel 2018. Il considerevole
incremento è addebitabile al contributo delle regioni orientali: se i cittadini dell'ovest dichiaratisi ostili all'alterità etnica aumentano dal
26,5 al 33,3%, gli abitanti delle orientali Dresden e Magdeburg accrescono progressivamente fino al 44,6%.
Alla preoccupazione socio-politica dell'immigrazione si lega quella
economica, che ha spinto il 32,4% degli intervistati dell'est ad avallare la
possibilità di ricacciare gli stranieri nei loro paesi d'origine ″se i posti di lavoro in Germania diventano appena sufficienti″. Costante negli anni il divario con le regioni occidentali di circa sette punti percentuali. Molto più
incidente è invece il differenziale territoriale di consenso in merito all'item
″Gli stranieri vengono qui solo per usufruire del nostro stato sociale″. A
condividere questo item è il 47,1% della componente orientale, di circa
quattordici punti maggiore rispetto al tasso dei concittadini dell'ovest, in
rialzo al 32,7%. In ambo i versanti tedeschi l'incremento dal 2014 ha superato i dieci punti. Un'espansione del fenomeno del welfare chauvinism, lo
sciovinismo dello stato sociale che chi scrive considera scaturito dall'attua-
15
P.A. Taguieff, L'illusione populista, Milano, Mondadori, 2006, p. 75.
16
D. Canetti, A. Pedahzur, The effects of contextual and psychological variables on extreme
right-wing sentiments, «Social Behavior and Personality» 30, 4, 2002, pp. 317-334.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
111
le instabilità economica piuttosto che da un meccanico trade-off tra eterogeneità etnica e performance del welfare state, come proposto da alcuni
autori17. La presenza degli stranieri viene mal digerita da una fetta crescente di tedeschi, la cui strisciante xenofobia mal s'addiceva alla Willkommenskultur, la cultura del benvenuto inaugurata dalla cancelliera Angela Merkel nel 2015. Invero una quota crescente di intervistati condivide la
necessità di ″una forte ed energica imposizione degli interessi tedeschi
contro quelli stranieri″, che dal 21,1% del 2014 è giunta al 33,6% nel 2018.
Più contenuto invece l'aumento di coloro che credono che ″La politica tedesca dovrebbe porsi quale più alto obiettivo la conquista del potere e del
prestigio che compete alla Germania″, la cui condivisione non supera il
quarto degli intervistati. L'ostilità nei confronti degli stranieri potrebbe essere il mero tassello di un più ampio schema di intelligibilità del mondo
fondato sulla differenziazione qualitativa dell'uomo, una rappresentazione gerarchica tanto dell'ordine biologico che di quello sociale. Non casualmente, in un settore crescente di tedeschi, si è fatta strada l'idea che
possano esservi ″vite di gran valore e vite senza valore″ e che, ″come in
natura, anche nella società dovrebbe imporsi il più forte″.
In linea con questi risultati, nell'indagine del 2016 la Friedrich Ebert
Stiftung ha registrato che il 13,3% degli intervistati asseriva che ″nel
mondo i bianchi sono a buon diritto al comando″18. Ai meno espliciti
riferimenti alla razza sembra svilupparsi un più chiaro ″sostegno a
forme di governo dittatoriali″. La prospettiva di affidare il potere ″ad
un capo [Führer] che governi con mano dura per il bene di tutti″ è stata
avallata nel 2018 dall'11,1% degli intervistati. In crescendo rispetto al
9,3% del 2014 e al 10,6% del biennio successivo, questo item ha riscontrato maggior successo tra i tedeschi dell'est, i quali conservano un
vantaggio costante di tre punti percentuali rispetto ai teutoni occidentali. Una analoga quota ha asserito che ″Sotto talune circostanze la dittatura è la migliore forma statale per la difesa degli interessi nazionali″.
A incidere su di essa il grado d'approvazione dei nuovi Länder, il qua-
17
Cfr. A. Alesina, E. Glaeser, Fighting Poverty in the US and Europe: A World of Difference, Oxford, Oxford University Press, 2004; A. Alesina, R. Baquir, W. Easterly,
Public Goods and Ethnic Divisions, MBER Working Paper 6009, 2001; W. Kymlicka,
K. Banting, "Immigration, Multiculturalism and the Welfare State", Ethics and International Affairs, 20, 3, 2006, pp. 281-304.
18
A. Zick et al., Gespaltene Mitte - Feindselige Zustände. Rechtsextreme Einstellungen in
Deutschland 2016, Bonn, J.H.W. Dietz Nachf, 2016, pp. 44-45.
112
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
le ha oscillato dall'11,6% del 2014 e il 13,8% del 2018, duplicato rispetto
all'intervallo 4,8-6,5% rilevato nelle regioni occidentali.
Più consistente l'incremento di consensi ottenuto dall'item per cui
″Ciò di cui ha bisogno la Germania in questo momento è un partito forte che possa impersonare la Volksgemeinschaft″. In calo di pochi decimali nel 2018, nei due anni precedenti è stato registrato il picco del 21,9%,
in aumento dal 15,6% del 2014. Non secondario il carattere evocativo
del termine comunità organica di popolo, Volksgemeinschaft, adoperato
dal Terzo Reich per esacerbare il legame tra razza e comunità, il primo
a fondamento del secondo. Una rappresentazione della nazione che
esalta le tradizioni del popolo definito in termini etnico-razziali, che
pone il legame tra ethnos e nazione a cardine dell'intero ordinamento19.
L'affinità ad una tale concezione statuale pare svilupparsi parallela alla
″banalizzazione e giustificazione del nazionalsocialismo″. Un settore
crescente di tedeschi, che si avvicina sempre più a rappresentare un
decimo dell'intera popolazione, ritiene che ″Il nazionalsocialismo ha
avuto anche degli aspetti positivi″ (8,4%) e che i suoi ″crimini sono stati
ampiamente ingigantiti dalla storiografia″ (8,2%). Allo stesso modo si
fa strada la rivalutazione dell'operato del massimo leader del Terzo
Reich, in quanto il 9% degli intervistati ritiene che, ″Senza il genocidio
degli ebrei, Hitler sarebbe considerato ancora oggi un grande statista″.
Valori contrapposti a quelli universalistici della liberaldemocrazia, che
si pongono a livello intermedio tra la Kulturnation di prussiana memoria e la Volksgemeinschaft del Terzo Reich.
Dall'analisi delle caratteristiche sociografiche degli intervistati emergono delle importanti indicazioni circa la propensione a condividere, consciamente o meno, l'impostazione valoriale d'estrema destra. La componente maschile mostrerebbe una inclinazione maggiore al suo
assorbimento in tutte le dimensioni analizzate. È inoltre individuabile una
chiara correlazione positiva con l'età degli intervistati; infatti, ad eccezione
degli item concernenti il socialdarwinismo, nel gruppo con più di 60 anni
sono stati registrati i più alti livelli di concordanza. Il livello di istruzione si
conferma essere un fondamentale discrimine circa le potenzialità di diffusione dei valori d'estrema destra, tanto più contenuti quanto più alto il tito19
Cfr. M. R. Lepsius, "Nazione e nazionalismo in Germania" in F. Goio, D. Spizzo (a
cura di), Nazione, istituzioni, politica, Trieste, Edizioni Università Trieste, 2002, pp.
48-59; P.P. Portinaro, "Ethnos e Demos: per una genealogia del populismo", Meridiana, rivista di storia e scienze sociali, 77, 2, 2013, pp. 47-65.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
113
lo di studio dell'intervistato. Per ciò che concerne il fattore professionale le
indagini mostrano delle tendenze strutturate, in quanto gli stralci della
popolazione in cui si concentra una espansione maggiore della Weltanschauung analizzata sono i pensionati – come già riscontrabile per le fasce
d'età – e, soprattutto, i disoccupati. La popolazione attiva si pone in posizione mediale. A rappresentare, però, il più incidente discrimine è la provenienza degli intervistati: per tutti gli item e le dimensioni esaminate i cittadini residenti nelle regioni orientali hanno espresso una più manifesta
concordanza con gli elementi cardine della ″pluridimensionale concezione
del mondo estremista di destra″.
Tabella 1: Estremismo di destra per sesso, istruzione e provenienza
Sesso
Istruzione
M
F
Diploma
Sostegno a una dittatura
autoritaria di destra
Sciovinismo
4,8**
2,7**
21,1*
Xenofobia
26,3*
Antisemitismo
Socialdarwinismo
Est
Ovest
2,0*
7,0**
2,7**
17,3*
10,5**
21,2**
18,5
19,2
22,2*
12,6**
27,0**
30,9**
22,3**
5,3*
3,6*
2,0**
5,0**
5,2
4,2
4,1*
2,4*
2,0
3,5
4,6*
2,8*
3,1*
3,0
2,6
Banalizzazione
3,7**
1,8**
1,0*
del nazionalsocialismo
Test chi quadrato di Paerson: **p < .01, *p < .05
Tabella 2: Estremismo di destra per occupazione
Popolazione
Studenti
Disoccupati
attiva
Sostegno a dittatura autoritaria
di destra**
Sciovinismo**
Provenienza
Senza
diploma
4,0*
Casalinghi/e
Pensionati/e
2,9
3,4
9,4
-
3,5
12,1
17,2
30,5
12,7
24,3
Xenofobia**
16,9
22,9
32,0
25,0
27,3
Antisemitismo*
1,6
3,8
6,4
8,5
6,0
Socialdarwini1,9
3,1
6,3
smo
Banalizzazione
1,5
2,4
4,7
nazionalsocialismo
Test chi quadrato di Paerson: **p < .01, *p < .05
1,4
3,4
1,4
3,5
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
114
Tabella 3: Estremismo di destra per età
14-30 anni
31-60 anni
Over 60
Sostegno ad una dittatura
autoritaria di destra**
Est
4,4
7,2
8,3
Ovest
3,4
2,8
1,9
Sciovinismo**
Est
12,0
19,1
21,3
Ovest
13,7
19,2
23,7
Est
27,2
36,7
24,9
Ovest
15,8
22,7
26,8
Est
3,8
4,6
6,6
Ovest
3,4
4,1
5,0
Est
2,2
6,3
3,6
Ovest
2,9
2,8
2,6
Est
1,1
3,4
3,6
Ovest
3,1
2,2
3,0
Xenofobia**
Antisemitismo*
Socialdarwinismo
Banalizzazione
del nazionalsocialismo
Test chi quadrato di Paerson: **p < .01, *p < .05
Se la maggioranza dei tedeschi rigetta risoluta ogni asserzione
razzista, xenofoba e sciovinista, è d'altro canto palese che in una
quota crescente di essa, minoritaria ma non irrisoria, aumenta la
loro accettazione e interiorizzazione. Essa rivela una sempre più
stabile propensione per le cosiddette maniere forti. Non a caso l'ex
ministro dell'Interno Thomas de Maizièr ha denunciato che
″l'aumento della criminalità politicamente motivata mostra un minaccioso sviluppo sociale. Si osserva″, continua il ministro cristiano-democratico, ″una crescente e sempre più frequente accentuata
disponibilità alla violenza″20. Le dichiarazione di de Maizièr trovano un preciso riscontro negli studi dell'Università di Leipzig, i
cui ricercatori hanno indagato quanto estesa fosse la sua accettazione e la propensione al suo utilizzo all'interno della società tedesca. Circa il 20% degli intervistati si è detto pronto a giungere alla
″violenza fisica contro gli stranieri al fine di imporsi su di essi″ o
″di imporre i propri interessi″. Di poco inferiore la percentuale
20
M. Stärzenhofecker, "Zahl rechter Straftaten so hoch wie nie", Zeit online, 26.05.2016,
www.zeit.de/politik/deutschland/2016-05/kriminalstatistik-zahl-rechter-straftaten-sohoch.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
115
d'adesione di coloro che ritengono che ″la violenza fisica [appartenga] per natura al comportamento umano″, tendente all'imposizione. Un terzo degli intervistati, inoltre, encomia l'operato di chi,
″attraverso la violenza fisica, si occupa dell'ordine″, pur dichiarandosi restio ad adoperarla personalmente.
La crescente accettazione della violenza quale strumento di risoluzione delle controversie potrebbe giustificare l'esplosione dei
reati politicamente motivati. In questa particolare fattispecie criminale rientrano gli atti che esprimono ″un manifesto obiettivo politico o sono direzionati contro la realizzazione di una decisione politica″, gli atti diretti contro l'ordinamento democratico tedesco, i
suoi organi e rappresentanti, nonché l'Hasskriminalität, i crimini
d'odio perpetrati sulla base dei pregiudizi e dell'intolleranza nei
confronti di specifici gruppi sociali. Essi vengono catalogati dalla
polizia criminale tedesca nel Politisch Motivierte Kriminalität
(PMK), un rapporto sui reati di matrice politica poiché, spiega lo
stesso Ministero dell'Interno che lo pubblica, ″la particolare minaccia che grava sui diritti fondamentali e il libero ordine democratico impone decise e conseguenti misure contro ogni forma di
criminalità politicamente motivata″. Dopo una fase di crescita registrata nel 2008 e rientrata due anni più tardi, la mole di reati
PMK è stata pressoché stabile sui livelli del 2001, anno d'applicazione dei nuovi criteri di monitoraggio21. Dal 2015 la polizia tedesca ha registrato un aumento del 19,2% dei reati ascrivili a tale fattispecie. Nel 2016, con un ulteriore incremento del 6,6%, ha
raggiunto l'acme con 41.549 casi. Di questi ben il 57% erano PMKrechts, ovvero reati scaturiti da motivazioni politiche di destra22.
La quota maggioritaria dei 23.555 reati di destra è legata agli hate
crimes, i crimini d'odio con i quali si indicano i reati perpetrati
″contro una persona a causa del suo orientamento politico, nazionalità, appartenenza etnica, colore della pelle, religione, visione
del mondo, provenienza, orientamento sessuale o il suo status so-
21
In virtù dell'ulteriore modifica dei criteri classificatori, il Bundeskrimanalamt riconosce
″una limitata possibilità di comparazione tra la casistica del 2017 e quella degli anni precedenti″, Bundeskriminalamt, Politisch Motivierte Kriminalität im Jahr 2017, p. 2.
22
Ai PMK-destra seguono PMK-sinistra (9.389), PMK-criminalità straniera (3.372) e
PMK altri (5.233).
116
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
ciale″23. I reati contro i centri di accoglienza, meritevoli di un'apposita catalogazione in seguito alla loro propagazione negli anni
'90, hanno raggiunto la quota di 923 casi nel 2015, in aumento del
421,5%. Nel 2016 si è reiterata la performance dell'anno precedente
con 929 casi. Se è vero, come dice de Maizièr, che ″la criminalità
politicamente motivata è un sismografo dello stato d'animo della
società″24, l'aumento del 128% dei reati xenofobi scaturirebbe proprio dall'incremento del sentimento di avversione per gli immigrati e i rifugiati rilevato dall'università di Leipzig.
Le statistiche dell'Ufficio federale criminale delineano un processo di normalizzazione della violenza che investe l'intero territorio
federale. Un'analisi più approfondita, però, rivela delle importanti
differenze territoriali. Nelle regioni orientali il Bundeskriminalamt
ha rilevato un salto qualitativo della fattispecie criminosa politicamente motivata: se nell'ovest aumentano gli atti di vandalismo e i
reati di propaganda, nel levante tedesco si concentrano i casi più
cruenti, come gli omicidi, i tentati omicidi, le lesioni personali e gli
incendi dolosi. La concentrazione statistica potrebbe dar la misura
del processo di radicalizzazione di questo fenomeno: sebbene i tedeschi occidentali abbiano commesso, in termini assoluti, più atti di
violenza caratterizzati da un movente di destra (824), il restante
48,3%, pari a 774 casi, è stato perpetrato da cittadini dell'est, i quali
rappresentano soltanto il 19,5% della popolazione teutonica.
La Wutbürger, la rabbia dei cittadini osannata da Pegida e AfD
quale fautrice del cambiamento, sembra diffondersi principalmente nelle regioni dell'ex DDR. Tra di esse, come visto in precedenza,
trova anche una più ampia eco la denuncia della Überfremdung,
l'eccessiva presenza di stranieri che metterebbe a rischio l'integrità
storica e culturale della Germania. I dati pubblicati dall'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati sconfessano il quadro percettivo dei suoi cittadini, poiché è proprio nelle regioni orientali che
23
Bundesamt für Verfassungsschutz, Verfassungsschutzbericht 2014, Köln, Bundesministerium des Innern, 2015, p. 23.
24
S.
Fisher,
Zeichen
der
Verrohung,
″Süddeutsche
Zeitung″,
24.04.2017,
https://www.sueddeutsche.de/politik/kriminalitaet-zeichen-der-verrohung-1.3476615.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
117
si registrano percentuali minori di immigrati25. Tra le prime del
ranking nazionale si trova la multiculturale Berlino, con una percentuale di stranieri rispetto alla popolazione autoctona del 16,7%.
Ad essa seguono le città di Bremen con il 16,5% e Hamburg con il
15,6%. Seguono le altre regioni occidentali, sino all'8,5% della
Niedersachsen e il 7,3% dello Schlewig-Holstein. Gli 8.099.060
stranieri d'istanza nei territori occidentali rappresentano il 12,1%
della popolazione, di poco sopra la media nazionale dell'11,2%.
Sensibilmente più contenuta l'incidenza nelle regioni orientali, che
ospitano 522.668 immigrati, rappresentativi del 4,2% degli abitanti
dei nuovi Länder. A occupare gli ultimi gradini della classifica il
Brandenburg e il Mecklenburg-Vorpommern 26.
Lo stesso trend si è reiterato anche per la ripartizione dei rifugiati
politici, la cui gestione ha animato lungamente il dibattito tedesco.
Nel 2016 l'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati ha registrato
lo storico record di 722.370 nuove richieste d'asilo politico, in aumento del 63,5% rispetto all'anno precedente (441.899)27. Le regioni orientali hanno accolto dall'1 al 3,2% delle richieste pervenute agli uffici
immigrazione tedeschi, con un range che spaziava dalle 7.273 richieste del Mecklenburg-Vorpommern e le 23.633 della Sachsen. Copiose,
invece, le istanze di riconoscimento di asilante registrate in alcune regioni occidentali, pari al 90% circa del totale: in testa le 196.734 pratiche amministrate dal Nordrhein-Westfalen28. Nel 2017 e nel 2018, in
seguito alla ricusazione della cultura del benvenuto da parte del governo nero-rosso, le richieste sono diminuite rispettivamente a 222.683 e
185.853, tornando così ai livelli del 201429.
La tendenza verso una sperequazione a danno delle regioni orientali
sembra riproporsi in ambito economico. Nel 2016 l'Agenzia federale del
25
Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, Bundesministerium des Innern, für Bau
und Heimat, Migrationsbericht der Bundesregierung 2016/2017, Nürnberg-Berlin,
Bundesministerium des Innern, für Bau und Heimat, 2016.
26
Statistisches Bundesamt, Statistisches Jahrbuch 2018, Wiesbaden, Statistisches Bundesamt, 2019, p. 26.
27
Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, Bundesamt in Zahlen 2016. Asyl, Migration und Integration, Nürnberg, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, 2017 p. 13.
28
Ivi, p. 16.
29
Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, Bundesamt in Zahlen 2018. Asyl, Nürnberg, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, 2019, p. 11.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
118
lavoro ha registrato un tasso di disoccupazione del 6,1%, in calo al 5,7 e
al 5,2 nel biennio successivo30. Dei nuovi Länder la Sachsen-Anhalt detiene il record con il 9,6%, di poco superiore alle altre regioni orientali, la
cui media si è attestata all'8,5%. Significativa la divergenza con i Länder
occidentali, in cui quote più contenute, come il 3,5% del Bayern e il 3,8%
del Baden-Württemberg, hanno concorso alla media regionale del 5,6%.
Una ripartizione favorevole ai cittadini dell'ovest si è reiterata in
merito al reddito pro capite, la cui disomogenea distribuzione regionale, seppur ridottasi nel tempo, resta significativa31. Il primato di ricchezza è detenuto dall'anseatica Hamburg, i cui cittadini vantano un
PIL annuo di 64.567€, seguono Bremen (49.570€), Bayern (45.810€), Baden-Würrtemberg (44.886€) e gli altri Länder occidentali, la cui media
supera quella nazionale, attestatasi a 39.447€ annui. Nelle regioni
dell'est questa diminuisce a 28.343€ annui, racchiusa tra i 26.560€ del
Meckenburg-Vorpommern e i 29.856€ della Sachsen. I nuovi Länder
sono fanalini di coda anche nel ranking del potere d'acquisto32.
Le condizioni del sistema produttivo e la distribuzione della
ricchezza mostrano delle differenze territoriali considerevoli, che
condannano tutt'oggi alcune aree orientali ad una parziale arretratezza. Seppur ridottosi drasticamente nel tempo, il tasso di rischio
di povertà nelle regioni dell'est ha registrato un saldo positivo di
3,4 punti percentuali rispetto al 15% dei Länder occidentali33.
Nel quadro appena descritto si innesca la "spirale del discredi34
to" che allontana i cittadini dai partiti, ormai impegnati a "governare il vuoto"35. La Grande Recessione sembra accelerare il processo
di erosione della loyalty nei confronti delle formazioni appartenenti
all'arco parlamentare tradizionale36 ed amplificare le possibilità di
30
Bundesagentur für Arbeit, Arbeitsmarkt 2017, Nürnburg, Bundesagentur für Arbeit,
2018, p. 110.
31
Der Beauftragte der Bundesregierung für die neuen Bundesländer, Jahresbericht der
Bundesregierung zum Stand der Deutschen Einheit 2018, Berlin, Bundesministerium
für Wirtschaft und Energie, 2018.
32
GfK GeoMarketing, GfK Kaufkraft Deutschland 2016, Bruchsal, GfK GeoMarketing, 2018.
33
Statistisches Bundesamt, Statistisches Jahrbuch 2017, cit., p. 190.
34
F. Raniolo, I partiti politici, Roma-Bari, Laterza, 2013.
35
P. Mair, Ruling the Void: the Hollowing of Western Democracies, London-New York,
Verso, 2013.
36
H. Kriesi, The political consequences of the financial and economic crisis in Europe, cit.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
119
successo delle organizzazioni estremiste di destra37, le quali, almeno
nel caso tedesco, hanno riattivato una parte dell'elettorato che aveva
optato per l'exit, la fuoriuscita dall'arena politica38.
Tabella 4: Popolazione straniera e ripartizione rifugiati per Bundesländer
Bundesländer
Popolazione
Berlin
3.574.830
598.261
16,7
18.112
3,7
Bremen
678.753
112.011
16,5
8.771
1,2
Hamburg
1.810.438
282.132
15,6
17.512
2,42
Hessen
6.213.088
935.746
15,1
65.520
9,0
10.951.893
1.586.216
14,5
84.610
11,7
17.890.100
2.214.250
12,4
196.734
27,2
BadenWürtemberg
NordrheinWestfalen
Bayern
Saarland
RheinlandPfalz
Niedersachsen
SchleswigHolstein
SachsenAnhalt
Sachsen
Stranieri
Quota
di
stranieri(%)
Rifugiati
2016
Ripartizione
rifugiati (%)
12.930.751
1.569.586
12,1
82.003
11,2
996.651
100.702
10,1
6.865
1,0
4.066.053
410.612
10,1
36.985
5,1
7.945.685
677.390
8,5
83.024
11,5
2.881.926
210.415
7,3
28.982
4,0
2.236.252
98.581
4,4
19.484
2,7
4.081.783
171.631
4,2
23.663
3,2
Thüringen
2.158.128
87.853
4,1
15.422
2,1
Brandenburg
2.494.648
100.864
4,0
18.112
2,5
MecklenburgVorpommern
Ovest
1.610.674
63.739
4,0
7.273
1,0
63.876.147
7.704.917
12.1
638.416
88,4
Est
12.581.485
522.668
4.2
83.954
11,6
Germania
82.521.653
9.219.989
11,2
722.370
100
Fonte: Bundesamt für Migration und Flüchtlinge, Statistisches Bundesamt.
37
D. Loch, W. Heitmeyer, Schattenseite der Globalisierung - Rechtsradikalismus,
Rechtspopulismus und separatistischer Regionalismus in westlischen Demokratien,
Frankfurt am Mein, Suhrkamp Verlag, 2001; T. Spier, Modernisierungsverlierer?
Die Wählerschaft rechtspopulistischer Parteien in Westeuropa, Wiesbaden, Vs Verlaf
für Sozialwissenschaften, 2010.
38
A.O. Hirshman, Exit, voice and loyalty, Cambridge, Cambridge University Press, 1970.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
120
Tabella 5: Indicatori economici per Bundesländer
Bundesländer
Disoccupazione
%
Reddito procapite
Potere
quisto
Berlin
9,8
38.032
19.990
Bremen
10,5
49.570
20.224
Hamburg
7,1
64.567
24.024
Hessen
5,3
44.804
23.293
Baden-Würtemberg
3,8
44.886
23.368
Nordrhein-Westfalen
7,7
38.645
21.876
Bayern
3,5
45.810
23.843
Saarland
7,2
35.460
20.463
Rheinland-Pfalz
5,1
35.455
21.500
Niedersachsen
6,0
36.164
21.409
Schleswig-Holstein
6,3
32.342
22.058
Sachsen-Anhalt
9,6
27.221
18.335
Sachsen
7,5
29.856
18.615
Thüringen
6,7
28.747
18.587
Brandenburg
8,0
27.675
19.691
Mecklenburg-Vorpommern
9,7
26.560
18.216
Ovest
5,6
41.659
22.205,8
Est
8,5
28.343
18.905,6
Germania
6,1
39.477
21.879
d'ac-
Fonte: Bundesagentur für Arbeit, Der Beauftragte der Bundesregierung für die neuen
Bundesländer, GfK GeoMarketing
.
5.3. Alternative für Deutschland, l'estrema destra
in Parlamento
L'AfD della prima ora potrebbe essere definita un esperimento di
commistione tra neoliberali, conservatori e correnti più estremiste. Fu il
tentativo di ricompattare diversi settori di destra al fine di sfruttare l'intercapedine politico creatosi tra i cristiano-democratici, ormai spostatisi
verso il centro, e i partiti d'estrema destra. Tale prospettiva politica sopravvisse poco più di anno, fin quando le ali più a destra, organizzatesi, non presero il sopravvento e costrinsero alla fuga i settori moderati.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
121
L'Alternative für Deutschland fu lanciata dal suo fondatore, il professore liberale Bernd Lucke, come ″la nuova forza che si apprestava
a rompere la camicia di forza dei rigidi ed usurati vecchi partiti″39. Un
partito che al congresso fondativo del 14 aprile 2013 decise di lottare
″per la democrazia, il diritto statale ed una pacifica ed economicamente efficace Europa″. La platea congressuale rivendicò ″la reintroduzione della moneta nazionale o la creazione di piccole e stabili
unioni monetarie″, così come l'interdizione all'acquisto di obbligazioni ad alto rischio da parte della BCE. Venne rigettata ″la scellerata politica salva stati condotta da CDU, CSU, SPD e Grüne″ e, di rimando,
la socializzazione delle perdite degli istituti bancari perché, come asserì Lucke, ″è antisociale e ingiusto che le imposte di una qualunque
cassiera del supermercato Aldi debbano preservare dalle perdite le
azioni delle banche″40. Di là da una selettiva legge sull'immigrazione,
che ammettesse i soli immigrati qualificati e volenterosi di integrarsi,
i membri dell'AfD rivendicarono che ″coloro i quali sono politicamente perseguitati devono poter trovare in Germania il riconoscimento di rifugiato. Quale diritto proprio della dignità umana″, inoltre, ″i richiedenti asilo politico avrebbero potuto lavorare″41.
"L'Alternative für Deutschland è un nuovo tipo di partito″, dichiarò Lucke dalla tribuna dell'Hotel Intercontinental, ″né di sinistra né di
destra. In qualità di alternativa per la Germania esso non abbisogna
di alcuna indicazione ideologica″42. Eppure, in una quota crescente
del partito, si consolidava una visione politica radicalmente differente da quella proposta da Lucke, più affine alle possibilità prospettate
da Frauke Petry, l'altra portavoce nazionale, di ″sparare sui rifugiati
[...], seppur quale ultima ratio″, pur di difendere i confini nazionali43,
39
Bernd Lucke, AfD Grundsatzrede, Alternative für Deutschland, alternativefuer.de,
2013, p. 1, https://www.alternativefuer.de/bernd-lucke-afd-grundsatzrede-2/.
40
Ivi, p. 6.
41
Alternative für Deutschland, Wahlprogramm Perteitagsbeschluss vom 14.04.2013, Berlin, AfD, 14.04.2013, p. 4.
42
Bernd Lucke, AfD Grundsatzrede, cit., p. 13.
43
S. Mack, W. Serif, Sie können es nicht lassen, «Mannheimer Morge», 30.01.2016,
http://www.morgenweb.de/nachrichten/politik/sie-konnen-es-nicht-lassen-1.2620328.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
122
oppure di ″trasferire tutti i richiedenti asilo in due isole extraeuropee,
una solo con donne e bambini e una con gli uomini″44.
Le profonde divergenze maturate tra le diverse anime del partito
emersero a due anni dalla sua fondazione. L'opposizione ai liberali si
riunì nella Der Flügel, la piattaforma intrapartitica coagulatasi intorno
a Björn Höcke e Andrè Poggenburg, presidenti dell'AfD Thüringen e
Sachsen-Anhalt e autori dell'Erfurter Resolution, la scintilla della virata
a destra del partito. L'iniziativa nacque dalla necessità di costruire
″un'alternativa patriottica e democratica ai vecchi partiti, un movimento del popolo contro gli esperimenti sociali degli ultimi decenni (Gender Mainstreaming, multiculturalismo, educazione arbitraria ecc.), un
movimento di resistenza contro ogni ulteriore cessione di sovranità o
identità della Germania, un partito che possedesse ancora il coraggio
per la verità″45. Il sostegno all'Erfurter Resolution giunse da tutte le sezioni regionali, mentre restarono senza udienza i tentativi liberali di
delegittimare le correnti d'estrema destra accusandole di voler ″ridurre
il partito alla provocazione e alla protesta″46, di voler ″integrare le forze
radicali, sostanzialmente antististemiche, opposizionali e nazionaliste
[...] e condurre il partito alla sicura degenerazione″47.
Su queste basi si aprì il congresso straordinario del 4 e 5 luglio 2015,
il crocevia fondamentale dell'attuale ″AfD 2.0″, come l'ha definita Götz
Kubitschek, uno dei più influenti intellettuali dell'estrema destra tedesca. Terminato il dibattito congressuale, i 3.412 delegati furono chiamati ad esprimersi sulla presidenza nazionale. L'elezione di Jörg Meuthen
e Frauke Petry, sostenuti dalle ali meno moderate, convinse i settori
moderati ad abbandonare il partito, perché, come suggerì il cofondatore Hans-Olaf Henkel, la Germania ″ha bisogno di un terzo partito di estrema destra, vicino ai REPs e l'NPD, come un buco in testa″48.
Il congresso di luglio trasformò radicalmente il mosaico interno
44
E. Giovannini, "Frauke Petry, l'anti-Merkel: ″La mia Germania? Di destra, patrottica e nazionalista″, L'Espresso, 01.12.2016,
45
B. Hoche et al., Erfurter Resolution, AfD, 14.03.2015.
46
B. Kölmel et al, Deutschland Resolution, AfD, 07.04.2014.
47
Bernd Lucke, Weckruf
lucke.de/weckruf-2015/.
48
B. Kollenbroich, "Henkel verlässt die AfD", Spiegel Online, 05.07.2015,
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/alternative-fuer-deutschland-hans-olafhenkel-verlaesst-die-afd-a-1042192.html.
2015,
bernd-lucke.de,
18.05.2015,
https://bernd-
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
123
dell'AfD e permise alla sua linea programmatica di accogliere soluzioni
radicali e posizioni estremiste. La xenofobia e il revisionismo storico
sembrano essere il lungo filo rosso che ha unito la nuova dirigenza da
est ad ovest. Il medico württemburghese Wolfgang Michael Gedeon,
eletto nel 2016 al Parlamento regionale tra le fila dell'AfD, ha fatto strada nel partito rifiutando di considerare ″gli ebrei quali sistematiche vittime dell'Olocausto″, altresì sostenendo una complicità degli stessi nel
genocidio nazista. Ne Il comunismo verde e la dittatura della minoranza
Gedeon ha tratteggiato il secolare scontro di civiltà tra l'Occidente e
l'invasore straniero, giudeo prima, islamico poi:
Così come l'Islam era un nemico esterno, i giudei del ghetto talmudico
erano i nemici interni dell'occidente cristiano [...]. Allorquando nel
ventesimo secolo il centro di potere si spostò dall'Europa verso gli
Usa, il giudaismo nella sua secolare forma sionistica divenne addirittura un fattore di potere e di influenza della politica occidentale. [...] Il
vecchio nemico interno dell'occidente si presenta oggi ad ovest come
un dominante fattore di potere, mentre il vecchio nemico esterno
dell'occidente, l'Islam, attraverso l'immigrazione di massa ha sopraffatto le frontiere divise, ha fatto irruzione nella società occidentale e
ha trasformato quest'ultima in molteplici modi49 .
Una tale visione è stata riaffermata dalla maggioranza del congresso nazionale riunitosi a Stuttgart dal 30 aprile al 1° maggio del
2016 con la risoluzione Der Islam gehört nicht zu Deutschland:
L'islam non appartiene alla Germania. Nella sua proliferazione e nella
crescente presenza di musulmani, l'AfD vede un grosso pericolo per il
nostro stato, per la nostra società e per i nostri valori. [...]L'AfD vuole
evitare che si costruisca una società basata sul diritto della Scharia″50 .
A tal fine i delegati congressuali rivendicarono che ″Gli Imam devono riconoscere incondizionatamente il nostro ordine costituzionale
e recitare il corano in lingua tedesca. [...] Le cattedre d'insegnamento
49
W.M. Gedeon, Der grüne Kommunismus und die Diktatur der Minderheiten - eine Kritik
des westlichen Zeitgeists. Eine Kritik des westlichen Zeitgeists, Frankfurt a. M,
R.G.Fischer-Verlag, 2012, pp. 296-297.
50
H.T. Tillschneider, Der Islam gehört nicht zu Deutschland in Alternative für Deutschland, Programm für Deutschland, Stuttgart, AfD, 01.05.2016, p. 10.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
124
di teologia islamica nelle università tedesche devono essere soppresse″51. Autore della risoluzione non poteva che essere Hans-Thomas
Tillschneider, anima della radicale Patriotische Plattform e massimo
esperto di studi islamici del partito. Seguirono le dichiarazione di
Aiman Mazyek, presidente dell'ente di rappresentanza musulmana
Zentralrat der Muslime in Deutschland (ZDM), il quale rivendicò
″nessuna tolleranza dell'intolleranza″, poiché ″se gli estremisti di destra attaccano i musulmani, attaccano le religioni tutte, attaccano la
Germania e la nostra costituzione″52.
Simili le considerazioni del Zentralrat der Juden in Deutschland
(ZdJ), analogo istituto della comunità ebraica, in relazione all'intervento revisionista tenuto da Björn Höcke presso la sede sassone
dell'organizzazione giovanile del partito. Il capo della corrente Der
Flügel denunciò ″i bombardamenti [alleati] di Dresden che distrussero la Firenze dell'Elba″ quali ″crimini di guerra″ e contestò al popolo
tedesco ″lo stato mentale e la disposizione d'animo di popolo vinto″
che si trascinava dal dopoguerra:
Si voleva rubare la nostra identità collettiva, si voleva la nostra radicale distruzione, si volevano estirpare le nostre radici. E ci si è quasi riusciti grazie alla sistematica azione rieducativa avviata dopo il 1945. Io
vorrei che ciò si capovolgesse [...]. Noi tedeschi siamo l'unico popolo
del mondo ad aver piazzato un monumento della vergogna nel cuore
della propria capitale53.
Josef Schuster, presidente dello ZdJ, asserì che ″descrivere il monumento dell'Olocausto sito a Berlino quale ′monumento della vergogna′, così come ha fatto Björn Höcke, è profondamente indignante
e totalmente inaccettabile. [...] L'AfD, con queste parole antisemitiche
e in massima misura misantropiche, ha mostrato il suo vero volto″54.
51
Ibidem.
52
A. Mazyek, Rede des Vorstandsvorsitzenden Aiman Mazyek, Zentralrat der Muslime in
Deutschland, 05.09.2016.
53
COMPACTTV, 17.01.2017: Dresdner Gespräche mit Björn Höcke, video YouTube,
1:50:01 (B. Höcke 56:25-1:44:30), 17.01.2017, https://www.youtube.com/watch?v=st
i51c8abaw&feature=youtu.be&t=3417.
54
J. Schuster, Statement des Zentralratspräsidenten DR. Schuster zur AfD-Rede von Björn
Höcke, Zentralrat der Juden in Deutschland, www.zentralratderjuden.de,
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
125
Nonostante le diffuse critiche per quel processo di radicalizzazione politica, l'AfD guidata dalla Petry e sostenuta dalle frange estremiste continuava a cumulare importanti successi elettorali.
Al deludente 4,7% delle elezioni federali del 2013, seguirono le
elezioni europee del 25 maggio 2014, in cui la formazione guidata
dall'europeista liberale Lucke ottenne il 7,1% dei consensi su base nazionale55. Qualche mese più tardi fu la volta delle elezioni regionali.
Dapprima la Sachsen, dove il 31 agosto 2014 l'AfD, con il 9,7% dei
consensi, superò lo storico risultato del Nationaldemokratische Partei
Deutschlands del decennio precedente (9,2%)56. Circa due settimane
dopo, il 14 settembre, furono chiamati alle urne altri due nuovi Länder, il Brandenburg e la Thüringen, le cui sezioni AfD erano rispettivamente guidate dai Alexander Gauland e Björn Höcke, pilastri delle
frange d'estrema destra. Il primo registrò 120.077 preferenze, pari al
12,2%, Höcke il 10,6% con 99.545 voti57. Seguirono le tre consultazioni
elettorali del 13 marzo 2016: nel Baden-Württemberg l'AfD conquistò
il 15,2% dei voti e nella Rheinland-Pfalz il 12,6%, occupando in entrambi i casi il terzo posto sul podio. Pur essendo dei risultati molto
positivi, che la neoeletta portavoce nazionale Petry salutò come il tripudio del ″profilo pantedesco del partito″, essi sconfessarono solo
parzialmente coloro che credevano nel peculiare carattere orientale
dell'AfD. Nella Sachsen-Anhalt, infatti, André Poggenburg conseguì
la più consistente quota del 23,1% dei voti, inferiore solo a quella dei
cristiano-democratici (29,6%). Ancora più sensazionale l'esito delle
elezioni nel Mecklenburg-Vorpommern, in cui Leif-Erik Holm, con il
20,8%, riuscì scavalcare la CDU della Merkel.
Il profilo prevalentemente orientale dell'Alternative für Deutschland
è stato confermato anche alle ultime elezioni federali del 24 settembre
2017, grazie alle quali i dirigenti dell'AfD hanno occupato 94 scranni sotto la Kuppel, la cupola di vetro del Parlamento tedesco. Nonostante i consensi diffusi, il successo è ascrivibile al supporto pervenuto dalle regioni
dell'ex DDR, in cui l'AfD ha conquistato il 22,5% dei voti validi, seconda
18.01.2017, http://www.zentralratdjuden.de/de/article/5919.das-andenken-an-dieermordeten-wird-mit-f%C3%BC%C3%9Fen-getreten.html.
55
Der Bundeswahlleiter, Europawahl 2014, Wiesbaden, Statistisches Bundesamt, 2014.
56
Der Bundeswahlleiter, Ergebnisse frühere Landtagswahlen, Stand: 24 Januar 2019,
Wiesbaden, Statistisches Bundesamt, 2019, p. 19.
57
Ivi, pp. 9-21.
126
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
alla sola CDU (28,2%). Dei nuovi Länder, la Sachsen rappresenta la punta di diamante del partito, poiché, in essa, è stato registrato il più alto
supporto elettorale a livello regionale, con il 27% delle preferenze, e a livello di collegio locale, in quello più orientale della Sächsische SchweizOsterzgebirge, a confine con la Repubblica Ceca, con il 35,5%. I due migliori risultati dal giorno della sua fondazione, lontani dalla media
dell'11,1% rilevata nelle regioni occidentali.
L'appuntamento del 24 settembre ha inoltre consolidato le direttrici
dell'espansione elettorale dell'AfD. Confermando quanto osservato nelle
precedenti tornate, l'indagine dell'istituto statistico Infratest dimap58 ha
suggerito che l'AfD abbia carpito gran parte dei 5.878.115 voti dal bacino
elettorale del partito cristiano-democratico e, in parte, dalla FDP, la quale
ha registrato delle importanti contrazioni elettorali con la discesa in
campo dell'Alternative für Deutschland. I partiti d'estrema destra, soprattutto l'NDP, seguono il medesimo trend negativo del partito liberale.
Per ciò che concerne l'affluenza alle urne può far fede l'analisi operata da
Andrè Poggenburg del Der Flügel: ″Noi dell'AfD abbiamo fatto ciò che i
partiti istituzionali tentavano da anni: noi abbiamo reso la politica nuovamente interessante. Noi abbiamo riportato la gente alle urne″59. Ad
avere un notevole impatto è stato, infatti, l'andamento crescente della
partecipazione elettorale, attestatasi al 76,2% - la più alta dal 1972 - in
aumento del 4,7% rispetto al 2013. L'incremento delle tornate regionali
ha mediamente raggiunto la doppia cifra.
Queste elezioni hanno inoltre confermato l'accusa mossa da Lucke nei
confronti delle frange estremiste di voler ″recidere il legame con la borghesia, colonna portante del partito, per farne un partito della piccola gente″60.
A confronto con l'era liberale, l'elettorato dell'AfD delle destre ha registrato
una diminuzione considerevole del livello d'istruzione – divenuto simile a
quello degli astenuti – e una penetrazione minimale nella fascia reddituale
sopra i 2.500€, prima ossatura portante del partito. Ad aumentare è stato
soprattutto il consenso di pensionati e disoccupati, che potrebbe spiegare
58
R. Heinrich et al., WahlREPORT Bundestagswahl. Eine Analyse der Wahl vom 24. September 2017, Berlin, Infratest dimap, 2017.
59
L. Groß, Polarisierung durch Polarisierung, «Freier Rundfunk Erfurt International»,
17.03.2016, http://www.radio-frei.de/index.php?iid=7&ksubmit_show=Artikel&kartikel.
60
S. Weiland, "Henkel tritt als AfD-Vize zurück", Spiegel Online, 23.04.2015,
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/afd-hans-olaf-henkel-tritt-zurueck-a1030243.html.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
127
l'estensione dei consensi nella fascia reddituale inferiore ai 1.250€, dove i
partiti storici raccolgono percentuali minimali.
Ad essere mutata è anche la posizione nei confronti dell'assetto comunitario. Nonostante le serrate critiche, l'AfD dei liberal-conservatori
faceva salva l'essenza dell'Unione Europea e la partecipazione tedesca al
comune processo costitutivo. L'AfD influenzata dalle frange estremiste
di destra, invece, nel programma per le elezioni europee del 2019 ha rivendicato la soppressione dello stesso organo per i quali si candidavano:
″Noi vogliamo abrogare l'antidemocratico Parlamento Europeo con i
suoi attuali 751 privilegiati deputati [perché] riconosciamo la competenza legislativa esclusivamente agli stati nazionali″61. Una proposta consequenziale al processo di destrutturazione dell'attuale Unione Europea
propugnato dall'AfD 2.0, che vorrebbe costruire ″l'Europa delle patrie″,
imperniata sulla ″amicizia e una buona convivenza del vicinato″, in opposizione ″al tentativo di sostituire i funzionanti democratici stati nazionali con una sorta di superstato europeo″62. A tal fine l'AfD ha paventato
la possibilità di una Dexit, ″l'uscita della Germania o una ordinata dissoluzione dell'Unione Europea″63.
Queste trasformazioni rappresentano plasticamente il percorso
politico che ha portato l'Alternative für Deutschland all'iscrizione nei
registri federali delle organizzazioni estremiste di destra passibili
d'osservazione. Dal 15 gennaio 2019 il Bundesamt für Verfassungsschutz ha indagato soprattutto il profilo politico delle sezioni
orientali, in cui, secondo il presidente Thomas Hanldenwang, la dirigenza e le sezioni giovanili avrebbero espresso crescenti posizioni
xenofobe, antisemitiche e revisioniste, nonché una più stretta collaborazione con i partiti estremisti da anni sotto osservazione.
5.4. Patrioti Europei contro l'islamizzazione
dell'Occidente, l'estrema destra per le strade
Dalla fine del 2014 una großer Abendspaziergang, una grande passeggiata serale ha scandito i lunedì sera dello storico quartiere Altstadt di
61
AfD, Programm der Alternative für Deutschland für die Wahl zum 9. Europäischen Parlament 2019, Riesa, Europawahlversammlung AfD, 14.0.2019, p. 12.
62
Ivi, p. 11.
63
Ivi, p. 13.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
128
Dresden, centro nevralgico di Pegida, il movimento dei Patrioti europei contro l'islamizzazione dell'Occidente.
La fondazione dei Patriotische Europäer gegen die Islamisierung
des Abendlandes (Pegida) scaturì dall'esigenza di ricostruire una resistenza conservatrice all'″islamizzazione dell'occidente″, che la CDU,
bacino di provenienza della direzione pegidista, stava incondizionatamente avallando con la Wilkommenskultur. Come visto in precedenza, fu una delle concause della fondazione dell'Alternative für
Deutschland, con la quale, col passare del tempo, Pegida ha moltiplicato le intersezioni e le concordanze politiche. Intanto, mentre la
Wutbürger, la rabbia dei cittadini confluiva nei canali partecipativi offerti da Pegida, i suoi organizzatori cercarono di sistematizzare i binari sui quali stava viaggiando il movimento. Il 10 dicembre 2014, a
poco più di un mese dalla sua fondazione, sulla pagina Facebook dei
Patrioti europei venne pubblicato un Positionspapier, un documento
programmatico di sintesi in 19 punti, discusso tra i soli vertici di Pegida64. La piattaforma programmatica si caratterizza dall'estrema
semplicità delle rivendicazioni, peculiarità della comunicazione pegidista. Le parole d'ordine e gli slogan si reiterano quasi ossessivamente in formulazioni destrutturate che riducono la realtà ad un livello di semplificazione elementare. Con questi mezzi comunicativi
Pegida è riuscita a catalizzare i consensi di migliaia di tedeschi, soprattutto nelle regioni dell'est. A rafforzare le sue fila non solo i
″normali cittadini″, come professato dai vertici del movimento, ma
anche e soprattutto le preesistenti forze estremiste di destra. Tra queste è possibile rintracciare gli Hooligans gegen Salafisten (HoGeSa),
la rete che racchiude le frange dell'uliganismo tedesco votate alla battaglia contro il salafismo, avversato quale simbolo del più stringente
integralismo islamico. Il Rapporto a difesa della costituzione pubblicato nel 2014 dal Ministero dell'Interno aveva già denunciato ″il
grande pericolo del confronto tra Hooligans ed estremisti″65. L'entrismo66 effettuato nel movimento pegidista è stato il tentativo di uscire
64
Pegida, Positionspapier der PEGIDA, 10.12.2014
65
Bundesamt für Verfassungsschutz, Verfassungsschutzbericht 2014, Berlin, Bundesministerium des Innern, 2015, p. 51.
66
Il termine entrismo indica la pratica politica posta in essere da alcuni gruppi trotskisti di affiliazione nei grandi partiti di massa allo scopo di trasformarli da moderati a rivoluzionari. Per estensione, secondo il Dizionario Garzanti, con entrismo si
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
129
dalla logica minoritaria tanto delle curve calcistiche d'estrema destra
quanto delle formazioni politiche della stessa area. Il succitato rapporto dichiarava che ″ dall'autunno del 2014 gli estremisti di destra
avevano preso parte alle manifestazioni organizzate contro
′l'islamizzazione dell'occidente′, sebbene nella pluralità degli eventi
non era rintracciabile un'influenza assoluta sulla direzione″. Tuttavia,
secondo il rapporto, era possibile individuare ″singole manifestazioni
organizzate sul territorio nazionale che erano fortemente influenzate
dagli estremisti di destra o addirittura da essi completamente dominate″67. La penetrazione di queste forze nelle versioni cadette di Pegida disseminate su tutto il territorio nazionale è stata meglio chiarita
nel rapporto dell'anno successivo
Le intenzioni e la retorica del movimento contro l'islamizzazione dell'occidente ha offerto importanti spunti agli estremisti di destra. Le dinamiche e
l'espansione delle proteste venivano interpretate quale inizio di uno scenario di crisi, in cui la popolazione si ribellava alle minacce contro
″l'identità popolare″. Gli estremisti di destra speravano nell'esacerbazione
dell'ostilità e nel sostanziale distacco dal sistema politico. Malgrado talune
differenze ideologiche [...] i gruppi estremisti di destra chiamavano i loro
sostenitori a rafforzare la partecipazione delle manifestazioni oppure tentavano di strumentalizzare le GIDA-filiali nella loro ottica68.
Un lungo filo rosso che lega l'ampio scenario delle formazioni
estremiste di destra al movimento pegidista, le cui versioni locali si
potrebbero considerare un'organizzazione di facciata delle prime:
Sotto la denominazione Thügida [versione di Pegida nella Thüringen,
N.d.A.] agiscono quali forze trainanti i funzionari dell'NPD e dell'Europäischer Aktion (EA). Nelle sue manifestazioni ″l'islamizzazione dell'Occidente″ si tramutò presto nel completo rifiuto dell'immigrazione e dell'attuale
politica d'asilo. Anche nel Meckenburg-Vorpommern l'NPD riesce particolarmente ad estendere la sua egemonia all'interno delle manifestazioni di
MVgida. A Magdeburg, nella Sachsen-Anhalt, l'orientamento estremista ha
consolidato l'iniziativa Magida 2.0 alla fine dell'anno 2015. Altri manifestaindica «in politica, la tendenza ad entrare in organizzazioni e istituzioni per modificarle dall'interno».
67
Ivi, p. 56.
68
Bundesamt für Verfassungsschutz, Verfassunsschutzbericht 2015, Berlin, Bundesministerium des Innern, 2016, p. 65.
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
130
zioni riconducibili al movimento di Pegida influenzate o condotte dagli
estremisti di destra si trovano tra le altre nei Länder di Berlino (Bärgida),
Brandenburg (BraMM-Pegida) e Bayern (Pegida Franken)69.
Allo stesso modo l'Ufficio regionale a difesa della costituzione sassone ha rilevato nelle iniziative di Legida, contraltare lipsiano all'originale di Dresden, ″il sostegno primario della struttura regionale
dell'NPD, della Junge Nationaldemokraten e della frazione sassone del
partito Die Rechte″70. In ragion della diffusa influenza giocata dai vecchi partiti estremisti di destra su Pegida, la dirigenza dell'AfD aveva da
sempre osteggiato l'interlocuzione ufficiale con il movimento, reiterando una scomoda separazione in casa. Ad avallarlo, invece, erano le ali
più esterne, la Patriotische Plattform di Tillschneider e il Der Flügel di
Björn Höcke, le quali avevano ormai conquistato un diffuso controllo
dell'AfD. Il 3 marzo 2018 la segreteria del partito si pronunciò a favore
della partecipazione di iscritti e dirigenti alle manifestazioni contro l'islamizzazione dell'Occidente. Con le dimissioni della Petry, presentate a
ragion del potere conquistato dagli estremisti all'interno del partito,
cadde l'ultimo baluardo al naturale matrimonio tra ″Pegida, un movimento che è in prima linea sulle strade, e l'Alternative für Deutschland,
un partito in prima linea nella battaglia in Parlamento″71.
5.5. Conclusioni
Nonostante dall'analisi dei risultati si possano individuare alcune
relazioni di correlazione ben strutturate, quanto riportato è da considerarsi quale mero stimolo a future ricerche e non l'affermazione di
meccaniche relazioni di causalità.
Sulla base delle indicazioni politologiche sul tema, nel primo capitolo ho cercato di individuare eventuali correlazioni tra la Weltanschauung estremista di destra e alcuni fattori demografici ed economici.
69
Ivi, pp. 66-67.
70
Landesamt für Verfassungsschutz Sachsen, Verfassungsschutzbericht 2015, Dresden,
Sächsisches Staatsministerium des Innern, 2016, p. 28.
71
Björn Höcke in S. Weiland, Da habe sich zwei gefunden, «Der Spiegel», 20.05.2016,
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/afd-und-pegida-da-haben-sich-zweigefunden-a-1093081.html.
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
131
Nel secondo capitolo, grazie a fonti primarie e secondarie, ho tentato di
delineare il profilo organizzativo e quello politico dell'Alternative für Deutschland e di Pegida, nonché le principali direttrici del loro consenso.
Per superare il semplice carattere intuitivo della relazione tra la
diffusione dei valori d'estrema destra nel tessuto sociale e i consensi
ottenuti dalle formazioni della stessa natura possono considerarsi indicative le intenzioni di voto rilevate dai ricercatori dell'università di
Leipzig. Pur conscio de «le aggravanti della défaillances della memoria e la riluttanza degli intervistati ad ammettere il loro eventuale
astensionismo»72, i dati suggeriscono che vi sia una diretta relazione
tra i due elementi in quanto tra coloro che hanno palesato una manifesta impostazione valoriale d'estrema destra è stata registrata una
concentrazione apicale di elettori dell'AfD. Questa relazione sembra
rafforzata se consideriamo la distribuzione della Weltanschauung in
base al fattore territoriale: in tutte le dimensioni considerate, a prescindere dall'età, hanno fatto registrare i più alti valori di condivisione gli intervistati provenienti dalle regioni orientali, nelle quali l'AfD
e Pegida hanno costruito le proprie roccaforti consensuali.
Sostegno ad una ditta-
2,3
1,9
4,3
1,2
1,8
13,1
4,5
3,7
2,5
Sciovinismo**
17,5
19,5
15,4
11,6
12,7
40,0
19,2
12,4
18,7
Xenofobia**
22,0
22,8
18,5
11,0
15,0
55,6
26,6
18,3
26,2
Antisemitismo**
2,5
4,3
3,3
1,2
3,7
12,5
7,1
3,7
1,5
Socialdarwinismo**
2,9
2,1
6,5
1,2
1,2
7,5
3,5
2,2
4,5
Banalizzazione del
0,9
0,9
-
-
3,0
10,0
4,2
2,9
2,5
tura
autoritaria di destra**
nazionalsocialismo**
Test chi quadrato di Paerson: **p < .01
72
M. Valbruzzi (a cura di), L'Italia sovranista e la sfida all'Europa, Bologna, Istituto Carlo
Cattaneo, 2019, p. 183.
cipazione
to
Non chiara parte-
Insicuri sul parti-
Astenuti
AfD
Die Linke
Grüne
FDP
SPD
CDU/CSU
Tabella 6: Estremismo di destra per scelta elettorale
132
L'EUROPA della
DELLA crisi
CRISI
L’Europa
In questi stessi Länder i ricercatori tedeschi hanno registrato un
consistente aumento della propensione e della disponibilità all'utilizzo della violenza quale strumento di risoluzione delle controversie.
Alla luce di ciò si potrebbe comprendere l'esponenziale incremento
negli stessi territori dei reati caratterizzati da una matrice politica di
destra. Sembrerebbe quindi validata la tesi che individua nello sviluppo della violenza e dei reati un terreno fertile per le forze d'estrema destra. Secondo il Ministero dell'Interno e la polizia criminale tedesca la maggioranza dei suddetti reati hanno una scaturigine
xenofoba. Il pericolo dell'«islamizzazione dell'occidente» denunciato
dai sostenitori di Pegida, dall'Alternative für Deutschland e da tutti i
partiti estremisti di destra troverebbe quindi un'espressione plastica
nella violenza. Come riportato nel primo capitolo, tale minaccia è
percepita come incombente nelle regioni orientali, seppur in esse siano presenti soltanto quote minimali di immigrati e rifugiati politici. I
dati dell'Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati spingono a sostenere quindi l'ipotesi di una correlazione negativa tra la presenza di
immigrati e la crescita dei consensi per l'estrema destra. A differenza
di quanto sostenuto da alcuni autori (cfr. nota 7), almeno nel caso tedesco, sembrerebbe rafforzarsi l'ipotesi che la desuetudine al confronto consolidi le barriere tra «Noi» e l'«Altro», alimenti i pregiudizi e
l'intolleranza nei confronti di ciò che è estraneo al gruppo di appartenenza, considerato invero una minaccia verso il proprio status.
Analizzando gli indicatori economici risulterebbe invece rafforzata l'ipotesi che il successo delle formazioni estremiste di desta funga
da pretesto per far emergere precise questioni sociali ed economiche,
un veicolo di espressione dello scontento sedimentatosi in precise
stratificazioni della società. Nelle regioni orientali, difatti, tanto la disoccupazione quanto il reddito procapite e il potere d'acquisto assumono delle dimensioni peggiorative rispetto ai vecchi Länder occidentali. Dai dati vagliati si evince che ad essere più ricettivi alla
propaganda d'estrema destra sono coloro che vivono condizioni economiche non ottimali e condizioni di marginalizzazione sociale. A
rappresentare il bacino preferenziale dell'estremismo di destra sarebbero quindi coloro che vantano un basso titolo di studio e un livello
reddituale non ottimale. Valori prominenti sono stati registrati inoltre
nella componente maschile e, in misura progressivamente crescente,
5. La Germania europea tra euroscetticismo e xenofobia
133
nel gruppo 31-60 anni e over 60. Tali elementi validerebbero pertanto
la tesi dei Modernisierungsverlierer, i perdenti della globalizzazione.
In questo contesto si diffondono precise istanze di democrazia identitaria, legate ai vecchi concetti costitutivi dello stato-nazione fondato
sull'ethnos e al richiamo degli ancestrali miti sui quali la patria si fonda.
Le mutate condizioni economiche e il processo di destrutturazione e
trasformazione della rappresentanza tradizionale, proprie di un'epoca
di crisi e di transizione come quella attuale, sembrano acuire la sfiducia
nei confronti dell'esistente, producendo così lo stimolo verso nuovi canali di comunicazione e forme non convenzionali di difesa dei propri
interessi. Le probabilità di successo o fallimento dell'Alternative für
Deutschland e dei Patrioti Europei Contro l'Islamizzazione dell'Occidente sembrano quindi essere legate alla strategia che il sistema politico nel suo complesso riuscirà a mettere in campo per risolvere le ragioni del sostegno alle forze estremiste di destra.
Riferimenti bibliografici
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ALESINA A., E. GLAESER, Fighting Poverty in the US and Europe: A World of Difference, Oxford, Oxford University Press, 2004.
ALESINA A., R. BAQUIR, W. EASTERLY, Public Goods and Ethnic Divisions, MBER
Working Paper 6009, 2001.
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Comitato Editoriale
Sapienza Università Editrice
Coordinatore
Giuseppe Ciccarone
Membri
Beatrice Alfonzetti
Gaetano Azzariti
Andrea Baiocchi
Maurizio Del Monte
Giuseppe Familiari
Vittorio Lingiardi
Comitato Scientifico
Serie Studi politici
Coordinatore
Luca Scuccimarra (Sapienza Università di Roma)
Membri
Paolo Armellini (Sapienza Università di Roma)
Gabriella Cotta (Sapienza Università di Roma)
Augusto D’Angelo (Sapienza Università di Roma)
Franco Di Sciullo (Università di Messina)
Valeria Ferrari (Sapienza Università di Roma)
Fabrizio Fornari (Università di Chieti)
Alessandro Guerra (Sapienza Università di Roma)
Sandro Guerrieri (Sapienza Università di Roma)
Roberta Iannone (Sapienza Università di Roma)
Maria Cristina Marchetti (Sapienza Università di Roma)
Tito Marci (Sapienza Università di Roma)
Luca Micheletta (Sapienza Università di Roma)
Gianluca Passarelli (Sapienza Università di Roma)
Giovanni Ruocco (Sapienza Università di Roma)
Mario Toscano (Sapienza Università di Roma)
Collana Materiali e documenti
Per informazioni sui precedenti volumi in collana, consultare il sito:
www.editricesapienza.it
40. Progettare nei territori delle storture
Sperimentazioni e progetti per aree fragili
Daniela De Leo
41. Le sinistre italiane e il conflitto arabo-israelo-palestinese
1948-1973
Claudio Brillanti
42. Basilea 3 e shock sistemici
a cura di Nicola Boccella e Azzurra Rinaldi
43. La responsabilità dell’ente da reato nel sistema generale degli illeciti
e delle sanzioni
anche in una comparazione con i sistemi sudamericani
In memoria di Giuliano Vassalli
a cura di Antonio Fiorella, Alfredo Gaito, Anna Salvina Valenzano
44. Abu Tbeirah Excavations I. Area 1
Last Phase and Building A – Phase 1
edited by Licia Romano and Franco D’Agostino
45. ANCRiSST 2019 Procedia
14th International Workshop on Advanced Smart Materials
and Smart Structures Technology
edited by Vincenzo Gattulli, Oreste Bursi, Daniele Zonta
46. L’Europa della crisi
a cura di Maria Cristina Marchetti
Materiali e documenti
Studi politici
G
li ultimi dieci anni sono stati cruciali per l’Ue: hanno evidenziato
i limiti e le contraddizioni di un processo di integrazione che
ha perso la sua spinta propulsiva. Se nelle elezioni del 2014 la crisi
si è manifestata in un euroscetticismo scomposto e disaggregato,
nel 2019 molti cittadini hanno intravisto nel ritorno allo stato-nazione la soluzione ai problemi che affliggono il continente.
L’Europa del 2019 è ancora l’Europa della crisi o forse più semplicemente, un’Europa in crisi che ha rinunciato ai grandi progetti in
nome di una chiusura in se stessa.
A partire da questo scenario di fondo, il volume attraverso i contributi di giovani studiosi, ripercorre le tappe che hanno condotto
alla situazione attuale, alla ricerca di fenomeni che hanno caratterizzato fin dalle origini la storia dell’Unione europea o che sono
maggiormente legati ai cambiamenti socio-politici scaturiti dalla
crisi economica.
Il volume contiene saggi di: Vanessa Bilancetti, Marianna Clelia Fazzolari, Andrea Grippo, Stefania Rampello, Elania Zito.
Maria Cristina Marchetti è professore associato di Sociologia
dei fenomeni politici presso il Dipartimento di Scienze Politiche
di Sapienza Università di Roma, dove insegna anche Sociologia
dell’integrazione europea. Si occupa dei temi del mutamento sociale e dei processi politici, con particolare riferimento all’analisi
del processo di integrazione europea e alla governance delle sue
istituzioni. È autrice di numerosi saggi e articoli su riviste; tra i suoi
lavori più recenti: L’Europa dei cittadini. (Milano, 2015); Partecipazione civica, beni comuni e cura della città, con Andrea Millefiorini
(Milano, 2017); Lobbying e rappresentanza di interessi nell’Unione
europea, con G. Pirzio Ammassari (Milano, 2018).
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e sottoposta a licenza Creative Commons
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