CULTURE
IN TRADUZIONE:
UN PARADIGMA
PER L’EUROPA
Cultures in translation: a paradigm for Europe
a cura di Irena Fiket,
Saša Hrnjez, Davide Scalmani
MIMESIS
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
[email protected]
Collana: Studi italiani, n. 1
Isbn: 9788857554341
© 2018 – MIM EDIZIONI SRL
Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
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INDICE
Preface
Davide Scalmani
9
introduction
Bojanić Petar, Fiket Irena, Hrnjez Saša and Scalmani Davide
11
children of science
Aleksandra Mančić
21
Globalization and the translation of imaGinaries
Michael Oustinoff
The paradox of translation
Lost and gained in translation: gained
Lost and gained in translation: lost
Conclusion
33
34
37
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42
l’antroPoloGia e la traduzione come modello della comunicazione
interculturale
Silvana Borutti
Premessa
La traduzione e l’intraducibile ontologico in antropologia
La traduzione e l’alterità asimmetrica
43
43
46
51
the limits of translation: the Power of the untranslatable
with JorGe luis borGes
Djurdja Trajković
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i dottori del triennio – doktori troGodišnJih studiJa?
le sfide della traduzione Giurata dall’italiano in monteneGrino
e viceversa
Deja Piletić
1. Introduzione
2. Linguaggio giuridico – testi giuridici
2.1. Peculiarità lessicali del linguaggio giuridico
2.2. Peculiarità morfosintattiche, sintattiche e testuali
del linguaggio giuridico
3. La traduzione giuridica
4. La traduzione giurata di diplomi e certificati di studio
dall’italiano in montenegrino e viceversa - introduzione
a una ricerca qualitativa
4.1. Metodologia e corpus della ricerca
4.2. Indagini preliminari e scelta delle strategie traduttive
4.2.1. Analisi dei fattori pragmatici che costituiscono
il contesto traduttivo
4.2.2 Analisi del corpus comparabile e individuazione
dei problemi traduttivi
Conclusioni
intersemiotic leGal translation. how to visualize a leGal text?
Olimpia G. Loddo
A concrete problem and a theoretical presupposition
Incommensurability of pictures and linguistic expressions
Strategies for an intersemiotic translation
Legal translation: a specific kind of translation
How to translate a legal text into pictures or others non-verbal
forms of visualisation?
Other strategies of translations
Translating norms into images. Practical advantages
translatinG animals
Luca Illetterati
Introduction
In the Beginning was Translation
Translation as Problem
The impossibility of translation?
Translation and Tradition
Conclusions
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61
63
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66
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93
97
98
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la storicità della traduzione: asimmetria, irreversibilità, entroPia
Gaetano Chiurazzi
103
la traduzione Politicamente imPeGnata della filosofia: il caso
del termine aGency
Adriana Zaharijević
Come tradurre la filosofia?
Cosa/chi è l’agency e cosa fa l’agency?
Le condizioni della possibilità di azione
Azione e cambiamento
La teoria del potere d’azione di Judith Butler
La traduzione politicamente impegnata
113
113
115
117
119
122
127
traduzione e trasformazione
tre modelli, una ProPosta
Zdravko Kobe
129
authors
141
Gaetano chiurazzi
LA STORICITÀ DELLA TRADUZIONE:
ASIMMETRIA, IRREVERSIBILITÀ, ENTROPIA
In questo testo, mi propongo di discutere della traduzione come fenomeno intrinsecamente storico. Ogni tentativo di evitare la traduzione (con
la ricerca, ad esempio, di una lingua perfetta) ha sempre avuto anche il significato di superare la storicità delle lingue, e anzi la storicità in generale.
Ciò è dovuto al fatto che la logica della traduzione non è una logica reversibile, proprio perché non sottostà al principio di identità, ovvero perché
le relazioni tra le lingue non sono mai delle relazioni di perfetta sinonimia.
Questa considerazione è supportata da alcune caratteristiche che possono essere attribuite alla traduzione, che ne fanno una pratica più simile ai
fenomeni biologici che a quelli meccanici e che sono riassumibili sotto i
seguenti titoli: analogia, asimmetria, irreversibilità, entropia. Ai quali va
aggiunto, come segno del suo carattere non meramente fisico ma, appunto,
storico, la trasformazione.
Quel che ha sempre ispirato la riflessione filosofica sulla traduzione è la
constatazione assolutamente lampante che, nelle lingue naturali, una completa adeguazione tra una lingua e l’altra è impossibile. La traduzione mostra che il significato non è un’entità atomica che possa essere facilmente
trasposta da una lingua all’altra, ma è risultato, in ogni lingua, anche dei
rapporti che ogni parola intrattiene con altre parole: ha, cioè, una dimensione tendenzialmente olistica. La resa di queste relazioni semantiche nel
passaggio da una lingua all’altra comporta perciò sempre una qualche perdita. Aspetti del senso che sono più o meno espliciti in una lingua devono
essere lasciati cadere nella traduzione in un’altra lingua. Questo fatto – che
ci sia un inevitabile resto nel processo traduttivo – ha fatto parlare di incommensurabilità tra le lingue, un concetto che è ripreso dalla matematica,
con il quale si intende, ad esempio, il fatto che la diagonale del quadrato
non è commensurabile al lato, e cioè che il tentativo di misurarli tramite
una misura comune è semplicemente impossibile. Questo concetto è per
me importante per tanti motivi, sui quali non mi soffermo qui, alcuni dei
quali però emergeranno gradualmente nel corso di questo mio intervento.
104
Culture in traduzione: un paradigma per l’Europa
Si può dunque paragonare la traduzione al tentativo di commisurare i significati di una lingua con quelli di un’altra: a volte questo tentativo riesce,
quando abbiamo una parola che corrisponde esattamente al significato di
un’altra nella lingua di destinazione, a volte non riesce, e dobbiamo allora
risolvere il problema in altro modo. Uno di questi modi è di tipo analitico:
esso consiste nello scomporre il significato originario nelle sue parti componenti elementari, ed esprimerlo quindi nell’altra lingua con una “somma
di parole” corrispondenti a questi significati elementari. Un altro modo è
invece imitativo: esso comporta una presa di coscienza dell’incommensurabilità tra le lingue e quindi la rinuncia a una trasposizione totale del
significato. Schleiermacher, in “Sui diversi metodi del tradurre”, chiamava
il primo metodo, che secondo lui era più adatto ai testi filosofico-scientifici,
“parafrasi” (Paraphrase), il secondo, più adatto invece ai testi letterari,
“rifacimento” (Nachbildung)1. Ma, ovviamente, può accadere che molti
testi scientifici possano solo essere rifatti (accade spesso per tante opere filosofiche, che nelle loro edizioni in lingua straniera sono piene di “note del
traduttore”, nelle quali si sottolineano quelle sfumature di senso che sono
andate perdute nella traduzione) e che tanti testi letterari vengano di fatto
parafrasati. Non c’è però dubbio che il senso stesso della scientificità esige
che un testo possa essere reso nella traduzione senza resto, letteralmente o
al massimo parafrasato: la parafrasi corrisponde infatti a una razionalizzazione, cioè, per dirla in termini matematici, al tentativo di esprimere una
grandezza tramite sue parti analitiche, cioè tramite frazioni. Di qui il tentativo che gli scienziati, e anche certi filosofi, e persino fondatori o seguaci
di religioni, hanno sempre perseguito: costruire una lingua universale – la
characteristica di Leibniz, la logica matematica, una qualche presunta lingua delle origini, ecc. – che potesse esprimere analiticamente tutti i significati veri, nella quale tradurre tutte le proposizioni vere. Perché il problema della traduzione incrocia inevitabilmente il problema dell’espressione
adeguata per la verità, del linguaggio che si deve usare per esprimerla,
e dell’accessibilità a una tale lingua. Problemi che hanno avuto un ruolo
fondamentale nella storia europea, ad esempio nel dibattito intorno alla
Riforma protestante, di cui quest’anno ricorre il Cinquecentenario. È noto
come Lutero sia stato il primo ad aver proposto programmaticamente la
traduzione della Bibbia in una lingua volgare, il tedesco, iniziando però
un processo inverso a quello della ricerca della lingua vera, un processo di
democratizzazione della verità, che in tal modo diventava e doveva essere
1
Friedrich Schleiermacher, ‘Sui diversi metodi del tradurre’, in Siri Nergaard (a
cura di), La teoria della traduzione nella storia (Milano: Bompiani, 2002), p. 152.
G. Chiurazzi - La storicità della traduzione: asimmetria, irreversibilità, entropia 105
attingibile da tutti, esponendola però allo stesso tempo alla deriva che la
traduzione poi inevitabilmente comporta. Alcuni problemi teologici che lo
opposero alla Chiesa – ad esempio quello della giustificazione – derivavano da o coinvolgevano problemi di traduzione2.
La mia idea comunque non è tanto, qui, quella di esaminare i problemi sistematici che l’esperienza elementare dell’intraducibilità pone, la quale implica importanti questioni di carattere teorico, come emerge anche dagli altri
contributi presenti in questo volume, e persino etico e politico. Come questo
volume cerca di mettere a fuoco, la riflessione sulla traduzione è infatti inevitabilmente anche una riflessione sulle sue implicazioni etiche e politiche.
Indicare nella traduzione un paradigma per l’Europa, significa sottolineare
il carattere comunque plurale di questa realtà politica che è l’Europa, la
quale non nasce da un tentativo di assimilazione di una nazione da parte di
un’altra, ma intende preservare, anche nell’uso fattuale della traduzione nelle molteplici lingue che la costituiscono, una tendenziale pari dignità delle
culture. Certo, questo comporta una serie di difficoltà concrete proprie di
ogni convivenza multiculturale, ma il punto, a mio parere, è proprio quello
di realizzare la con-vivenza, dove quel che conta è il prefisso “con-”, una
modalità di connessione, di stare insieme, pur nelle inevitabili differenze: la
traduzione dice questa possibilità di comunicazione nella differenza. Un’espressione con cui intendo significare il fatto che la comunicazione stessa è
trasformativa, arricchente. Schleiermacher usa una bella immagine per indicare questo potere trasformativo della traduzione: riferendosi alla cultura
tedesca, egli la paragona a un terreno che, grazie all’innesto di molte piante
straniere, è diventato più ricco e fecondo; allo stesso modo, solo attraverso
i contatti più diversi con le lingue straniere una cultura si può mantenere
giovane e può sviluppare pienamente la propria energia3. La traduzione, le
cui operazioni possono essere paragonate agli innesti, alle contaminazioni
da parte di piante e organismi diversi, all’assimilazione di contenuti e significati originariamente estranei, consente quindi di rendere un terreno incolto
coltivato; di arricchirlo e di contribuire alla sua prosperità, al rinvigorimento
della sua vitalità e allo sviluppo della sua energia; svolge cioè una funzione
eminentemente culturale, formativa e accrescitiva, in senso lato etica. Essa,
come molte riflessioni filosofiche hanno sottolineato – da Schleiermacher a
Ortega y Gasset, da Benjamin a Derrida –, è una pratica aperta all’alterità e
alla trasformazione. L’etica e la politica della traduzione sono un’esperienza
e un’educazione all’alterità.
2
3
Ivi, pp. 99-119.
Ivi, p. 177.
106
Culture in traduzione: un paradigma per l’Europa
Partendo dalle difficoltà, dai rischi, ma anche dalle possibilità positive
aperte dalla traduzione, che qui ho brevemente tracciato, vorrei allora proporre una riflessione su quella che nel titolo del mio intervento ho chiamato “la storicità della traduzione”: col che intendo l’idea che la traduzione
svela il carattere storico del nostro stare al mondo ed è in se stessa una
pratica intrinsecamente storica. Da quest’idea potranno emergere ulteriori
considerazioni di carattere etico e politico.
Permettetemi di partire da un esempio molto semplice e alla portata di
tutti: si trovano su internet vari programmi di traduzione automatica, da
Google Translator a bab.la, i quali funzionano tutti allo stesso modo: si
inserisce un’espressione o una frase in una lingua e si ottiene la sua traduzione in un’altra lingua a scelta. Uno di questi, scaricabile anche su cellulare, ha un nome molto significativo: Reverso. Simbolo di Reverso sono
due frecce di diverso colore che formano un cerchio: esse simboleggiano
la possibilità di passare da una lingua all’altra, e viceversa. Si è quindi
portati a pensare che, partendo da un testo, si possa ottenere una traduzione
e poi tornare indietro da questa all’originale. Una traduzione reversibile,
come appunto suggerisce il nome. Si tratta di un punto determinante: nelle
riflessioni sulla traduzione ci si è infatti sempre concentrati sul rapporto
unidirezionale dalla lingua di origine a quella di destinazione, e non si è
mai pensato che una traduzione efficace dovrebbe permettere anche il passaggio inverso, che anzi può costituire la prova – l’unica davvero incontestabile – della adeguatezza della traduzione. La reversibilità implica infatti
che sia possibile passare da una lingua a un’altra senza residui, secondo
una logica sinonimica o analitica – che possiamo anche chiamare digitale –
di corrispondenza “1 : 1”. Una traduzione perfetta, quindi, dovrebbe essere
anche reversibile, dovrebbe cioè permettere di ricostruire il testo originale
a partire dalla sua traduzione: è questo, anzi, come si è detto, l’unica vera
prova della assoluta correttezza di una traduzione.
Un facile esperimento su Reverso fa tuttavia vedere quanto questo sia
impossibile. Anche solo per una parola, Reverso dà come traduzione in
un’altra lingua (come fa ogni dizionario bilingue) più di una parola, il che
mostra che la corrispondenza sinonimica è inevitabilmente compromessa.
Se si passa alle frasi, la cosa si fa molto più problematica. Una semplice
frase tedesca “Ich fahre nach Hause”, viene tradotta in italiano con “Vado
a casa”, ma se si cerca di tornare da qui all’originale, Reverso non restituisce “Ich fahre nach…”, bensì “Ich gehe nach…”. In tedesco, come si
sa, questi due verbi veicolano un significato che difficilmente può essere
ripreso nell’italiano “andare”. La sottigliezza di significato del “fahren”
tedesco (andare, ma non a piedi, bensì con un mezzo di trasporto) è andata
G. Chiurazzi - La storicità della traduzione: asimmetria, irreversibilità, entropia 107
perduta. La reversibilità è compromessa. Questo esempio, fin troppo semplice e banale, ha lo scopo di mettere in luce una difficoltà che chiunque
sia minimamente e non superficialmente pratico di traduzione conosce perfettamente. Pensiamo se sia anche solo minimamente possibile, a partire
dalla traduzione in una qualsiasi lingua di un testo, ad esempio un classico,
che sia l’Iliade o la Divina Commedia, l’Amleto o la Critica della ragion
pura, per non dire del libro più tradotto al mondo, la Bibbia, ritornare al o
ricostruire perfettamente il testo originale.
Possiamo quindi stabilire un primo assunto: la traduzione è un processo
intrinsecamente irreversibile. È questo il primo carattere della sua storicità: la traduzione cioè ha in comune con i processi storici l’impossibilità di
tornare indietro. Non c’è alcuna reversibilità nel passaggio da una lingua
a un’altra, ma questo è ancora una conseguenza del suo carattere non digitale. Se infatti fosse possibile una traduzione digitale (col che possiamo
anche intendere una traduzione assolutamente automatica, come si cerca
di fare appunto con i tanti programmi che si trovano su internet), sarebbe anche possibile tornare indietro senza alcuna perdita di senso, perché
“digitale” significa scomponibile in elementi semplici, atomi o frazioni
di significato, che possono essere composti e ricomposti in maniera puramente combinatoria, passando da una configurazione a un’altra, come
si fa con i Lego. La parafrasi di cui parlava Schleiermacher suppone una
tale scomponibilità analitica. Ma il fatto che le lingue non siano digitalizzabili è solo un altro modo per dire che sono incommensurabili. Una
traduzione, infatti, non può essere rappresentata da rapporti semplici, da
frazioni, quanto piuttosto da rapporti analogici, a indicare il fatto che quel
che si cerca di preservare nella lingua di destinazione sono dei rapporti di
significato così come essi si danno nella lingua di origine. A questo tende
quel che Schleiermacher chiamava “rifacimento”. In questo caso, si tratta
di riprodurre un’identità di rapporti, e non di elementi semplici, secondo
il canone mimetico che Platone ha tracciato nel Sofista. Ma, ovviamente,
anche questo può non essere totalmente possibile, e il rapporto analogico
si configura, non come una proporzione di identità, cioè simmetrica, ma
come una proporzione asimmetrica. Anche le relazioni semantiche proprie
di una lingua non vengono mai fedelmente riprodotte nell’altra, e questo,
nuovamente, comporta l’irreversibilità della traduzione. Persino nel caso
della lingua aymara, una lingua ancora oggi parlata tra Bolivia e Perù, che
è stata per anni considerata come una lingua perfetta, adamitica, a causa
della sua estrema flessibilità, tanto da essere stata oggetto di studi da parte
di IBM allo scopo di utilizzarla per sviluppare un traduttore automatico
universale, si osserva che le espressioni delle altre lingue naturali sono fa-
108
Culture in traduzione: un paradigma per l’Europa
cilmente traducibili in essa, ma le frasi ottenute non sono poi perfettamente
ritraducibili nelle lingue da cui sono state tratte.
Possiamo dunque concludere che la traduzione è un processo analogico,
asimmetrico e irreversibile: essa orienta, come si direbbe in fisica, in una
direzione la freccia del tempo. Il simbolo di Reverso, quindi – le due frecce
di diverso colore che girano formando un circolo – non dice propriamente
quel che la traduzione è. La traduzione, una volta realizzata, direi, con quel
che sembra solo apparentemente un gioco di parole, imprime un senso preciso al senso, il cui risultato è una asimmetria, l’impossibilità di tornare al
senso originario. Questo movimento orientato si dice in greco con il verbo
“trépein”, che significa “andare verso, dirigersi”. Per questo, riprendendo
ancora un concetto tratto dalla fisica, possiamo dire che la traduzione è un
processo entropico: un processo orientato, che imprime una direzione alla
freccia del tempo, perché comporta una perdita energetica irrimediabile.
L’entropia corrisponde a una perdita di informazione, nel senso che non
si può sapere né quindi ricostruire esattamente, in base allo stato finale,
come era lo stato originario. Non che questo significhi necessariamente un
aumento di disordine, poiché, almeno localmente, non si può dire che una
traduzione sia un testo “più disordinato” di quello originario. E però, se
localmente una traduzione è un che di ordinato, il fatto stesso di avere una
traduzione in più aumenta il disordine complessivo, il “caos” delle informazioni intorno al testo originario, che diventa così, non più chiaro e trasparente, ma più opaco, immerso in una pluralità di voci altre (bisogna ricordare,
del resto, che “Babele”, il nome della torre dalla cui costruzione si originò
la moltiplicazione delle lingue, significa “confusione”). Nel caso della traduzione l’entropia corrisponde al fatto che, partendo dai significati del testo
tradotto, è impossibile ricostruire pienamente i significati del testo originale.
Il modello della traduzione digitale, e quindi reversibile, corrisponde a
una sorta di razionalizzazione per la quale possiamo assumere come modello ancestrale il mito platonico di Crono nel Politico. Crono è il kybernétes del cosmo (un nome che nel contesto in cui ne stiamo parlando diventa anche allusivo dei tentativi cibernetici, e cioè automatici, di praticare
la traduzione): egli ha cura del mondo e, scrive Platone, periodicamente lo
abbandona a se stesso, facendo sì che il tempo ritorni indietro, cosicché i
vecchi tornano giovani, i capelli bianchi ridiventano neri, e tutti gli esseri
viventi tornano a essere neonati per poi scomparire del tutto. Questa reversibilità della storia è, dice Platone, il più grande ed il più perfetto di tutti
i rivolgimenti che avvengono nel cielo. La storia del cosmo che Platone
racconta con questo mito è simile a quella di un film che si riarrotola su
se stesso; meglio, è esattamente l’immagine che del movimento e degli
G. Chiurazzi - La storicità della traduzione: asimmetria, irreversibilità, entropia 109
eventi fisici ci offre la meccanica razionale, la scienza del movimento e
dell’equilibrio dei corpi, che si fonda su una sostanziale reversibilità del
tempo, tramite l’idealizzazione di un mondo senza urti né attriti, senza perdite di energia né squilibrio. È chiaro che si tratta di una costruzione ideale:
la reversibilità del tempo è anzi l’essenza stessa dell’idealità. La versione
scientifica del mito di Crono è rappresentata dal demone di Laplace, che
ad ogni istante è in grado di osservare velocità e posizione di ogni massa
dell’Universo e di dedurne l’evoluzione universale, sia verso il passato sia
verso il futuro. Come Crono, il demone di Laplace sarebbe in grado di invertire totalmente l’ordine degli eventi semplicemente cambiando di segno
quel parametro che la meccanica razionale chiama “tempo”.
Possiamo paragonare il demone di Laplace, e il dio Crono del Politico,
al Grande Traduttore che, a partire da una traduzione data, è in grado di
risalire al testo originario? Se la traduzione fosse un processo meccanico e
digitale, sì, il Grande Traduttore potrebbe ricostruire il testo originale, ma
non solo, potrebbe anche immaginare l’unica traduzione corretta possibile
in tutte le lingue possibili. Ma, se la traduzione comporta una irreversibilità e quindi una asimmetria, se essa è un processo entropico che comporta
inevitabilmente una perdita di senso, questo ideale razionalistico, proprio
della meccanica razionale, non è ad essa adeguato. I processi traduttivi
somigliano infatti piuttosto ai processi vitali, e cioè ai processi biologici,
che sono per questo intrinsecamente storici. Già nel XVII e XVIII secolo la
concezione reversibile dei fenomeni fisici si scontrava apertamente con l’esperienza – di cui si fece carico soprattutto lo sviluppo della termodinamica
– dei fenomeni biologici, dissipativi ed entropici, nei quali il tempo assume
una direzione ben precisa, proprio a causa dell’inevitabile perdita energetica che essi comportano. Le caratteristiche che abbiamo ritrovato nella
traduzione sono dunque le caratteristiche stesse della storia. Parliamo di
“storia” infatti nel caso di processi irreversibili, asimmetrici ed entropici,
laddove cioè avvertiamo che non è possibile ritornare indietro, laddove siamo di fronte a eventi che cambiano il corso del mondo o della nostra vita,
eventi che non hanno bisogno di essere eclatanti: in fondo, eventi di questo
tipo accadono a ogni istante, sono la nostra storia ad ogni istante. Chi sta e
opera nella storia, scrive Gadamer, ha coscienza del fatto che nulla ritorna.
Possiamo quindi concludere sulla base di queste considerazioni che la
traduzione è un fenomeno storico perché condivide con la storia quelle
caratteristiche che l’idealizzazione cosmologica del mito di Crono o fisica
della meccanica razionale vorrebbero eliminare: l’asimmetria, l’irreversibilità e l’entropia. L’asimmetria, perché non c’è una riproduzione esatta
né degli elementi né delle relazioni presenti in una lingua quando si passa
110
Culture in traduzione: un paradigma per l’Europa
alla sua traduzione in un’altra lingua. L’irreversibilità, perché, stante questa asimmetria, non è possibile ricostruire perfettamente il testo originale, e
cioè tornare indietro; l’entropia, perché questa stessa irreversibilità implica
una perdita dei significati originari, e cioè una perdita di informazione. Tutte queste caratteristiche costringono a rinunciare a ogni concezione digitale
e composizionale delle lingue, delle quali si deve perciò piuttosto dire che
hanno la natura del continuo, che hanno, cioè, una natura analogica. Proprio per questo ha allora senso, a mio parere, parlare di incommensurabilità: perché l’incommensurabilità è la condizione del continuo. E i Greci
chiamavano le grandezze incommensurabili con una parola che riconduce
alle considerazioni appena fatte, ovvero asymmetron, che letteralmente significa appunto “incommensurabile”.
Che cosa può significare tutto questo per una politica della traduzione? Quali possono essere le conseguenze dell’affermazione del carattere
storico della traduzione, nei termini in cui ho cercato di parlarne? È evidente da quanto detto che la traduzione non è un processo conservativo: è
un processo inevitabilmente trasformativo, segnato dall’irreversibilità, e
quindi, possiamo dire, progressivo. Una volta iniziato, il processo traduttivo – che è un processo inevitabile, in quanto nessuna cultura, e persino
nessun organismo, può esistere senza tradurre – non si può tornare indietro. Questo significa che tutti i movimenti identitari, che in qualche modo
hanno sempre un carattere conservativo, se non regressivo, sono in fondo
antistorici. Il mito di Crono si trova non a caso in un dialogo dedicato al
politico: l’ordine politico dovrebbe, secondo Platone, ispirarsi il più possibile all’ordine cosmologico, e il mito di Crono rappresenta la quintessenza
dell’elevazione della conservazione, del ripristino dell’equilibrio e quindi
della necessità di evitare ogni deviazione, a principi politici. A una tale
idea si ispira del resto il concetto più politico di tutti, quello della giustizia,
tant’è che il suo simbolo è la bilancia, il segno dell’uguaglianza. E tuttavia,
dobbiamo chiederci se mai la giustizia possa davvero ripristinare l’ordine
precedente, riportare indietro l’orologio, far sì che quel che è successo non
sia successo: cosa forse neanche auspicabile, perché il senso stesso dell’irreversibilità delle azioni è, a ben vedere, il miglior deterrente contro ogni
azione distruttiva. Se si è consapevoli che il male che si fa non può essere
mai completamente riparato, si è forse meno propensi a farlo.
C’è quindi un insegnamento che possiamo trarre dalla traduzione come
pratica irreversibile: che non si può mai rendere completamente giustizia,
perché è la storia stessa a impedirlo. Ma questo, più che a rinunciare alla
giustizia, può spingerci forse verso un’altra idea di giustizia, non più come
ripristino dell’equilibrio, emblematicamente rappresentato dalla legge del
G. Chiurazzi - La storicità della traduzione: asimmetria, irreversibilità, entropia 111
taglione, “occhio per occhio, dente per dente”, una formula che potrebbe
ben essere assunta come formula della traduzione perfetta. La traduzione insegna però che questa equivalenza non è possibile, e proprio perché
ogni evento storico è irreversibile. Ma, affinché si possa fare strada un’altra
idea di giustizia, occorre osservare che in questo movimento entropico, che
porta con sé una inevitabile perdita, c’è anche qualcos’altro. Dal punto di
vista fisico, l’entropia ha un significato quasi esclusivamente negativo: un
aumento di entropia in un sistema, in quanto comporta una perdita di informazioni, equivale a un aumento del disordine complessivo. La traduzione,
invece, è una pratica trasformativa, e in questo senso anche creativa, come
creativo è ogni processo vitale. Il suo movimento entropico non è solo
negativo, non porta solo a un aumento del disordine, ma permette il passaggio a un altro ordine, a una nuova configurazione concettuale e semantica.
Tradurre è trasformare. È questo, alla fine, che fa della traduzione un fenomeno non meramente temporale, e cioè meramente fisico, ma, come ho
detto, storico: perché la storia è più che tempo, è costruzione, elaborazione
e trasformazione di significati, non un aumento del disordine, ma una trasformazione dell’ordine, e cioè del mondo. Comprendere perciò la storia,
e quindi la politica e l’etica, e addirittura il loro concetto fondamentale, la
giustizia, alla luce della traduzione, e cioè non come equilibrio, secondo la
clausola “occhio per occhio dente per dente”, ma come trasformazione e
creazione, è forse la sfida più grande a cui la traduzione ci conduce.
Finito di stampare
nel mese di ??? 2018
da Digital Team – Fano (PU)