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2018, Paolo Bernardini

Il mio ricordo di Paolo Bernardini

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGIA BELLE ARTI E PAESAGGIO PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI CAGLIARI E LE PROVINCE DI ORISTANO E SUD SARDEGNA 29 2018 QUADERNI Rivista di Archeologia http: //www. quaderniarcheocaor. beniculturali. it Quaderni (ISSN 2284-083 4) Quaderni 29/2018 Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna Area funzionale Patrimonio Archeologico Piazza Indipendenza 7 09124 Cagliari Soprintendente Maura Picciau Direzione Alessandro Usai (Direttore), Massimo Casagrande, Sabrina Cisci, Giovanna Pietra, Chiara Pilo, Gianfranca Salis, Enrico Trudu, Maura Vargiu Redazione Giovanna Pietra, Stefania Dore, Sebastiana Mele, Giovanna Maria Vittoria Merella, Anna Piga In copertina Ferruccio Barreca Disegno di Michele Cara QUADERNI 29/2018 (ISSN 2284-0834) PAOLO BERNARDINI (01/11/1950 – 23/06/2018) CARLO TRONCHETTI Paolo Bernardini si è formato come archeologo nell’Ateneo di Cagliari, durante la ”bella stagione” dell’Archeologia Classica cagliaritana con docenti come Mario Torelli e Fausto Zevi, dai cui preziosi insegnamenti ha ricavato quell’attenzione alla problematicità storica e culturale del dato archeologico che ha dato l’impronta a tutta la sua attività scientifica. Dopo la Laurea ha collaborato con l’Istituto di Antichità, Archeologia e Arte dell’Università cagliaritana nell’edizione dei materiali della Villa di Tigellio (abitazioni romane imperiali di Cagliari), dove il suo lavoro sulle lucerne locali di età ellenistica mostrava già l’acribia di uno studioso di razza. Nel 1979, grazie alla Legge 285/77 sull’occupazione giovanile, entrava come Ispettore Archeologo nella Soprintendenza Archeologica di Cagliari ed Oristano, dove le nostre strade, che prima si erano solo incrociate, si intrecciarono strettamente. Nello stesso anno lo chiamai a collaborare allo scavo della statuaria nuragica di Monte Prama. Questa attività, protratta per alcuni mesi, e le lunghe discussioni sui problemi che una tale scoperta poneva, furono per entrambi lo stimolo ad affrontare lo studio dell’Età del Ferro sarda, che è stata poi nel tempo uno dei temi principali delle ricerche di Paolo. Considerato il suo valore, la comunanza di interessi e di metodologia di ricerca, lo volli con me nel 1983 a Sant’Antioco nello scavo dell’insediamento romano e fenicio del Cronicario, successivamente anche della necropoli punica, e come collaboratore nella gestione del settore territoriale del Sulcis-Iglesiente. Quando nel 1989 l’attività della progettazione e realizzazione del nuovo Museo Archeologico Nazionale di Cagliari nella Cittadella dei Musei mi rese impossibile proseguire in tali impegni, Paolo fu il mio naturale erede, portando avanti i lavori già iniziati cui aggiunse anche importanti ricerche al tofet. Quegli anni furono ricchi e fecondi di attività. Vivendo a Sant’Antioco per almeno tre o quattro giorni a settimana il nostro era un contatto continuo, condito da una discussione e riflessione continua. Dalle 6,30 alle 13,30 scavavamo; poi, dopo un breve pranzo, ci immergevamo nel magazzino a schedare e classificare i materiali dei giorni precedenti. Appena seduti al tavolo Paolo accendeva quella maledetta sigaretta, che io riuscivo a fargli spengere solo mettendomi a cantare con la mia voce incredibilmente stonata, finché cedeva e ci accordavamo per un periodo di tempo senza né fumo né canzoni. Talvolta, invece, andavamo con il nostro Assistente di Scavo, il caro Giuseppe Lai, a visionare la situazione dei numerosi siti archeologici sulcitani, prevalentemente nuragici, facendo progetti, sfortunatamente mai andati in porto, per ulteriori future ricerche. Mi sia concessa a questo punto una breve digressione sul forte legame di amicizia che era nato fra noi, consolidato da molti interessi comuni: dalla lettura (con amore condiviso per la fantascienza), alla passione per la musica (fra l'altro, in anni giovanili, lui batterista ed io chitarrista); amicizia estesa anche alle rispettive famiglie, con suo figlio Simone e mio figlio Fabio coetanei e compagni di scuola, e tanto altro ancora, conservato fra i ricordi più cari della mia vita. La sua attività di Funzionario Archeologo nella Soprintendenza è stata dedicata prevalentemente al territorio del Sulcis-iglesiente, area ricchissima di insediamenti (e dei relativi problemi), basti pensare a Sant'Antioco, Monte Sirai, Bithia, solo per citare i più noti, assicurandone la gestione e valorizzazione. Non è da dimenticare il forte impulso dato al settore notifiche della Soprintendenza nei suoi primi anni di servizio e, in seguito, la stretta collaborazione e anche personale curatela nell'organizzazione delle Mostre nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, di cui infine assunse la Direzione al momento del mio pensionamento (2006). Nel 2008 Paolo Bernardini vinceva il Concorso come Ricercatore presso l’Università degli Studi di Sassari, rimanendo confinato in questo ruolo sino alla sua pensione, nonostante avesse conseguito l’idoneità come Professore Associato e come Professore Ordinario. Un luminoso esempio di come la meritocrazia QUADERNI 29/2018 (ISSN 2284-0834) non sia prassi vigente presso le Università italiane. Di tutta questa sua lunga attività Paolo ha sempre dato un sollecito ed accurato riscontro scientifico. I temi della società sarda dell’Età del Ferro, dell’impatto con gli Orientali che approdavano nell’isola, dei diversi aspetti che assumevano le culture nel loro più ampio ambito mediterraneo, percorrono tutti i suoi lavori, di ampio respiro e potente problematicità. È difficile individuare quali possano essere gli scritti più significativi di Paolo. I suoi lavori “giovanili” sulle aristocrazie nuragiche, sui rapporti tra Pithekoussai e Sulci, erano assolutamente innovativi. Lo scavo di Monte Prama lo portò alla riflessione sulla bronzistica figurata ed alla produzione di un fondamentale articolo in cui proponeva lo sviluppo di tale manifestazione artigianale entro l’Età del Ferro sarda, con prolungamento dei suoi esiti finali nei secoli successivi, tema ancora non ripreso a fondo. In tutta la sua produzione scientifica il leitmotiv è senza dubbio, come già detto, l'ampia visione storica che si può ricavare dalla lettura dei dati archeologici. Su questa base si innestano diversi filoni di ricerca, che poi finiscono per intrecciarsi nei suoi scritti di carattere più generale per offrire un quadro della situazione della Sardegna nel Mediterraneo tra l'Età del Bronzo e l'Età del Ferro. Un primo filone è quello che si accentra sull'organizzazione della società sarda. I lavori sull'orientalizzante, sulle necropoli, sui bronzetti, sulla statuaria, fino a quello sui santuari, esaminano dall'interno i dati ricavati dalle indagini archeologiche, con acute osservazioni che formano la base per ulteriori ricerche. Parallelo a questo, ed inscindibilmente connesso, è il tema dei rapporti con le genti che frequentavano l'isola. Le sue riflessioni sul concetto di "precolonizzazione" sono ancora oggi più che valide, distaccando il fenomeno della "frequentazione" da quello della successiva "colonizzazione", termine sul quale vale la pena di discutere ancora. Il ruolo del vino, affrontato assieme all'analogo visto dall'ottica ellenica, è spunto per analizzare le modalità dei contatti "stranieri-indigeni" e la creazione della struttura sociale "mista" che caratterizza la piena Età del Ferro sarda. Fondamentale, poi, è il lavoro "I bronzi 'fenici' della penisola italiana e della Sardegna" redatto assieme a Massimo Botto, in cui Paolo esamina i bronzi figurati "orientali" sardi. Un'analisi approfondita, accurata, che riesce a definire come "imitazioni" e "derivazioni" figurine che erano state giudicate orientali tout-court decenni addietro, senza che la problematica fosse mai ripresa in esame. Adesso quegli esemplari si pongono come la testimonianza di una interazione culturale che si assomma a quella che recenti studi centrati sulla produzione ceramica vanno sempre più delineando. Un terzo filone, maggiormente legato all'attività didattica dei suoi ultimi anni, si rivolge ai Fenici nella loro madre patria ed alla espansione commerciale e stanziale in Occidente. Scendendo più in dettaglio, la sua analisi sui materiali ceramici fenici inquadrati nelle stratigrafie sulcitane costituisce una griglia cronologica (e culturale) fondamentale. Il quadro che emerge dalle sue ricerche è quello di un'isola che nell'Età del Ferro vede un mutamento sociale ed organizzativo interno, e si apre, ancor più di quanto era avvenuto precedentemente, ai contatti con le altre popolazioni che vivevano nel Mediterraneo occidentale o lo frequentavano. Come si sa bene, nel nostro settore di studio non esiste mai niente di definitivo e conclusivo. Le nuove ricerche possono portare (e portano) sempre nuovi dati, che propongono nuovi percorsi di lettura che possono seguire la linea di quelli precedenti o distaccarsene. Ma mai possono prescinderne. I lavori di Paolo possono definirsi "pietre miliari": segnano un punto fisso ed indicano una via. Non potranno mai essere trascurati e da loro si dovrà necessariamente partire per le nuove ricostruzioni. E questo, a mio avviso, è il miglior riconoscimento che si può dare all'opera di uno Studioso, con la S maiuscola. Addio Paolo, anzi ciao. Credi di essertene andato, ma sarai sempre con noi. Carlo Tronchetti QUADERNI 29/2018 (ISSN 2284-0834)