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La crisi ucraina e il ruolo dell'Italia

2018

Tesi di Laurea triennale in Storia delle Relazioni Internazionali Relatore: Ch.mo Prof. Paolo Wulzer Questa tesi ha per oggetto l’analisi della politica estera italiana nel contesto della crisi in Ucraina. Tra le diverse tensioni geopolitiche che affliggono la comunità transatlantica e la Federazione russa sulla scena mondiale, la crisi ucraina, anche se gradualmente trascurata e accantonata dai media internazionali, continua a rappresentare una delle principali fonti di discordia tra un Occidente sempre meno coeso e una Russia sempre più assertiva nella costante ricerca di un nuovo equilibrio internazionale di potere.

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE” DIPARTIMENTO DI SCIENZE UMANE E SOCIALI CORSO DI LAUREA IN SCIENZE POLITICHE E RELAZIONI INTERNAZIONALI TESI DI LAUREA IN STORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI LA CRISI UCRAINA E IL RUOLO DELL’ITALIA Candidato: Relatore: Ch.mo Prof. EMANUELE D’ANGELO PAOLO WULZER PR/02000 ANNO ACCADEMICO 2017/2018 Indice 2 Introduzione Capitolo I La genesi della crisi ucraina: alcuni 3 aspetti del dibattito Capitolo II Il ruolo dell’Italia nella crisi ucraina 12 Capitolo III Come evolvono le relazioni con la Russia nello scenario di crisi 18 Conclusioni 23 Bibliografia 26 Sitografia 28 !1 Introduzione Questa tesi ha per oggetto l’analisi della politica estera italiana nel contesto della crisi in Ucraina. Tra le diverse tensioni geopolitiche che affliggono la comunità transatlantica e la Federazione russa sulla scena mondiale, la crisi ucraina, anche se gradualmente trascurata e accantonata dai media internazionali, continua a rappresentare una delle principali fonti di discordia tra un Occidente sempre meno coeso e una Russia sempre più assertiva nella costante ricerca di un nuovo equilibrio internazionale di potere. L’annessione russa della Crimea e la guerra a bassa intensità nel Donbass hanno lasciato segni gravi sia nell’ordine mondiale post-sovietico che nella dimensione giuridica internazionale. Le dinamiche della crisi, infatti, possono essere interpretate in due modi: analizzandone l’evoluzione storica o focalizzandosi sul diritto internazionale. Ovviamente, nel presente elaborato si tratterà l’argomento dal punto di vista storico, nel tentativo di illustrare gli aspetti più rilevanti che hanno determinato lo scenario di crisi. Questo avverrà nel primo capitolo, presentando il pluralismo ucraino come chiave di lettura, con l’apporto delle disamine di politologi quali Samuel Huntington e John Mearsheimer. Con il conseguente deterioramento delle relazioni tra Occidente e Russia, l’Italia ha avuto maggiori difficoltà a bilanciare i suoi interessi euro-atlantici con il tradizionale desiderio di cooperazione con Mosca. L’attivismo diplomatico italiano sullo scacchiere ucraino sarà centrale nel secondo capitolo, ove si approfondirà il dibattito sulle sanzioni, elemento di divisione all’interno dei consessi europei, e l’intervento dell’OSCE, favorito dalla corrente presidenza italiana. Dopo una panoramica sulla politica estera di Roma in Ucraina, nel terzo capitolo si illustreranno le mosse dell’Italia nel suo rapporto con Mosca rispetto agli interessi comuni riguardanti da un lato l’economia e l’energia, dall’altro le questioni strategiche di sicurezza. Nel capitolo conclusivo si tireranno le somme della riflessione neorealista di Mearsheimer sulla crisi ucraina, ponendo l’attenzione sui possibili sviluppi e sull’evoluzione dell’approccio diplomatico italiano. Per ovvie ragioni di spazio e di coerenza, questo lavoro non ha alcuna pretesa di esaustività. L’obiettivo principale è quello fornire una valutazione accurata della politica estera italiana in Ucraina, tra sostanza e apparenza. !2 Capitolo I La genesi della crisi ucraina: alcuni aspetti del dibattito Una nazione si riferisce ad una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni come la lingua, il luogo geografico, la storia, le tradizioni, la cultura, l’etnia ed, eventualmente, un governo1 . Alla luce della definizione di Chabod, risulta difficile concepire l’Ucraina indipendente in questi termini. Senz’altro la posizione geografica riveste un ruolo imprescindibile, avendone condizionato non solo lo sviluppo culturale ma ancor di più l’evoluzione politica. L’appartenenza dell’Ucraina a un mondo plurinazionale, plurilingue e plurireligioso nonché la circostanza di essere il Paese di frontiera per eccellenza (lo stesso toponimo Ukrajina ne conferma la genesi) è un fattore determinante della sua identità. Da un punto di vista squisitamente geopolitico, l’Ucraina si configura come Stato cuscinetto naturale, la cui situazione costituisce sostanzialmente una risposta alla plurisecolare rivalità tra Occidente e mondo russo. Una rivalità che, a partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, pareva trasformarsi in un rapporto di dialogo e cooperazione. Washington aprì la stagione del doppio filo: da un lato battezzando la Russia come partner fondamentale nella gestione delle nuove sfide di sicurezza internazionale, dall’altro promuovendo il processo di allargamento della NATO nell’Europa centro-orientale, ossia l’estero vicino che Mosca riconosce e considera quale sua sfera d’influenza. Qualche mese prima della rivoluzione arancione in Ucraina, nel maggio del 2004, l’Unione Europea aveva celebrato il suo allargamento a un gruppo di dieci Paesi fra cui quattro (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria) già membri del Patto di Varsavia e tre (Estonia, Lettonia e Lituania) ex Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nulla da obiettare, se non il fatto che tra il marzo del 1999 e il marzo del 2004 quegli stessi Paesi, con l’aggiunta della Bulgaria e della Romania, erano diventati membri della NATO, in barba alla celebre promessa2 fatta a Michail Gorbačëv nel 1990. Le adesioni all’Alleanza atlantica non furono soltanto gesti politici destinati a celebrare l’ingresso dei vecchi satelliti di Mosca nel club 1 Cfr. F. CHABOD, L’idea di nazione, in A. SAITTA, E. SESTAN (a cura di), Bari, 1992, Laterza, pp. 14-15. 2 Il segretario di Stato USA J. Baker disse a Gorbačëv che la giurisdizione della NATO “non si sarebbe mossa di un pollice verso est”. Si veda M. E. SAROTTE, Not One Inch Eastward? The Origin of Russian Resentment toward NATO Enlargement, Diplomatic History, vol. 34, n. 1, January 2010, pp. 119-140. !3 delle democrazie occidentali. Gli Stati Uniti aprirono basi nei territori e lungo frontiere che erano state, vent’anni prima, quelle dell’Unione Sovietica. Non sorprende, quindi, che già nel 2004 la posta in gioco fosse l’appartenenza dell’Ucraina a una delle due grandi sfere d’influenza che si stavano progressivamente delineando nell’Europa centro-orientale. All’interno della società ucraina questo nuovo scontro tra Russia e Occidente si esprime attraverso la contrapposizione tra una parte europea, i cui membri sono definiti da Brzezinski come europeanized slavs3 dell’Ucraina occidentale, e una neo-sovietica, che popola le oblasti orientali del Paese. L’esistenza di due Ucraine rigidamente contrapposte, dunque, è una chiave di lettura condivisa da Samuel Huntington, che nel suo celebre lavoro Lo scontro delle civiltà immaginava già verso la fine degli anni Novanta la possibilità che “l’Ucraina si spacchi in due distinte entità e che la parte orientale del Paese venga annessa alla Russia”4, anche se si ritiene “più probabile lo scenario che l’Ucraina resti unita, resti divisa, resti indipendente”.5 La realtà eterogenea che caratterizza l’Ucraina sin dall’inizio della sua storia da Stato sovrano e indipendente induce a privilegiare letture complesse e plurali del Paese. In tal senso, è opportuno rilevare come il dualismo russo-ucraino non possa essere assunto come unica e sola chiave di lettura della realtà ucraina odierna6. Infatti, senza spinte esogene, difficilmente la situazione sarebbe precipitata. Difficilmente, oggi, avremmo parlato di Jevromajdan. Le pressioni americane in occasione del summit di Bucarest del 2008 per avvicinare Ucraina e Georgia alla NATO sono indicative in tal senso, e portano in dote una diversa interpretazione a seconda delle latitudini: per Kiev, la possibilità di abbracciare un sistema occidentale di struttura sociale, politica, giuridica e istituzionale; per Mosca, invece, il tentativo di Washington di acquartierarsi a pochi passi dal Cremlino, alimentando la sua storica psicosi dell’accerchiamento. 3 Cfr. S. ERLANGER, Ukrainian Leader's Defeat Worries Kiev Bureaucrats, The New York Times, 13/07/1994, p. 8. 4 S.P. HUNTINGTON, The clash of civilizations and the remaking of world order, New York, 1996, Simon & Schuster (trad. it., Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, 2001, Garzanti, pp. 239-242). 5 Ibidem. 6 Cfr. A. ROCCUCCI, La matrice sovietica dello Stato ucraino, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014, p. 43. !4 Germano Dottori, in un articolo pubblicato su Limes, prende le distanze da questa visione, affermando che Jevromajdan non sia scaturita dalla spinta statunitense a Bucarest, che tra l’altro Germania e Italia negarono, ma sia stata invece “l’esito degli sforzi convergenti di alcuni Paesi europei, con il gruppo Visegrád in testa, determinati ad attrarre nell’orbita comunitaria gli Stati post-sovietici che ne erano rimasti esclusi”.7 Una seconda spinta esogena, dunque, è quella rappresentata dall’iniziativa di Eastern Partnership dell’Unione Europea, un programma volto a promuovere la prosperità in alcuni Paesi come l’Ucraina per integrarli nell’economia comunitaria. Non sorprendentemente, i leader russi percepirono questo piano come ostile ai loro interessi. Infatti, l’accordo di associazione che l’Ue, su iniziativa polacco-svedese, propose all’Ucraina nel 2009 andava a scontrarsi con il progetto del Cremlino di coinvolgere Kiev in quell’Unione Economica Eurasiatica con la quale Vladimir Putin intendeva consolidare la fragile presa della Russia sul suo estero vicino. Sebbene l’Unione Eurasiatica, almeno secondo i canoni della retorica russa, non debba essere concepita in opposizione all’Unione Europea, bensì come un polo economico complementare ad essa, Germano Dottori osserva come la situazione in cui si è trovata Kiev, almeno fino al novembre del 2013, era in primo luogo uno scontro sulla futura collocazione geopolitica dell’Ucraina, destinato a determinare se il Paese avesse dovuto gravitare sull’asse euro-atlantico o rifluire definitivamente verso Mosca8 . L’associazione con l’Ue, l’ingresso nell’area di libero scambio e la membership dell’Unione Economica Eurasiatica rappresentava, infatti, una previsione irrealistica, implicando tra l’altro progressi politici e riforme economiche inconciliabili tra loro. L’arrivo o, meglio, il ritorno alla presidenza di Viktor Janukovyč nel 2010, a seguito di elezioni che l’OSCE definirà “trasparenti ed oneste”9, segna un punto di svolta nel contesto del dibattito ucraino in quanto la divisione etnico-linguistica del Paese, adesso, si ripropone a livello politico: nelle oblasti orientali, in particolare quelle di Donec’k e Luhans’k, e nella Repubblica autonoma di Crimea si registrarono percentuali bulgare in favore del neo7 G. DOTTORI, Anche Berlino ha perso Kiev, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014, pp. 217-218. 8 Cfr. ivi, p. 221. 9 P. CALZINI, Ucraina 2004-2014: un decennio allo specchio, in S. TETI, M. CARTA (a cura di), Attacco all’Ucraina, Roma, 2015, Sandro Teti Editore, p. 68. !5 presidente russofono e russofilo, mentre nelle regioni occidentali prevalse la candidata filooccidentale Julija Tymošenko. Si osservi, dunque, come la piattaforma elettorale di Janukovyč, essendo sensibile alle istanze provenienti dal Donbass e da Simferopoli, ne condizioni l’orientamento in politica estera, esplicitamente rivolto verso Mosca. Al contempo, si ricordi che fin dall’inizio la partnership tra Unione Europea ed Ucraina era legata allo sviluppo del dialogo bilaterale tra Bruxelles e Kiev, che prendeva le mosse già nel settembre del 2008 con l’ambizione di pervenire in tempi ragionevoli alla negoziazione del celebre accordo tra l’Ucraina e l’Ue. Viktor Juščenko era all’epoca ancora presidente, seppure la fiamma della rivoluzione arancione si fosse da tempo attenuata. Alla luce dei fatti, pare evidente che le spinte esogene mosse dall’Occidente, le pesanti pressioni di Mosca, accompagnate da un generoso prestito10, e una situazione socio-politica interna tutt’altro che idilliaca non abbiano fatto altro che versare benzina su un fuoco che aspettava di accendersi. A Vilnius, al termine del lungo e incerto negoziato con l’Unione Europea, nel novembre del 2013 Viktor Janukovyč avrebbe dovuto apporre la sua firma sull’accordo. Polacchi e baltici in primis, consapevoli delle implicazioni del passo, mobilitarono le proprie diplomazie affinché non si verificassero sorprese dell’ultima ora. Molti di loro temevano, ad esempio, un ripensamento dell’Italia, che proprio poche settimane prima del summit lituano avrebbe ospitato a Trieste un importante vertice bilaterale con la Russia, alla presenza Vladimir Putin11. L’Ue, infatti, era praticamente divisa tra “chi avrebbe fatto volentieri a meno degli ucraini” in ragione del rapporto con Mosca, e “chi, invece, voleva ad ogni costo una Kiev Europe friendly”.12 Ma, com’è noto, i margini d’azione di cui disponeva il governo italiano erano assai limitati. Tuttavia, sebbene non fosse possibile per l’Italia replicare il “no” enunciato a Bucarest soltanto qualche anno prima dinanzi gli alleati della NATO, ci pensò lo stesso Janukovyč ad appiccare il fuoco: il 21 novembre 2013 l’Ucraina si sfila dalla firma dell’accordo di 10 Cfr. S. ROMANO, Ucraina, una crisi post-sovietica, in A. COLOMBO, P. MAGRI (a cura di), In mezzo al guado. Scenari globali e l’Italia - Rapporto ISPI 2015, Edizioni Epoké, p. 54. 11 Cfr. G. DOTTORI, Anche Berlino ha perso Kiev, op. cit., p. 220. 12 S. CANTONE, O. MOSCATELLI, Ucraina, anatomia di un terremoto, 2014, goWare, p. 21. !6 associazione con l’Ue e quasi inconsapevole entra nella fase più turbolenta dei suoi 23 anni d’indipendenza. In quel frangente si posero le basi per la seconda rivoluzione ucraina, Jevromajdan, molto più bellicosa e sanguinosa della prima. Se la decisione di Janukovyč può considerarsi legittima sotto tutti i punti di vista, anche i movimenti di piazza lo sono. Il dissenso dell’opposizione fa parte del processo democratico. La rivendicazione principale della protesta di Piazza dell’Indipendenza è l’adozione da parte dell’Ucraina degli standard europei di governance e di lotta alla corruzione, ma l’intervento dei berkut, squadroni antiterrorismo con una concezione sovietica dell’ordine pubblico e dello Stato di diritto13 , avvia l’escalation di violenza e morte. L’illusione per l’accordo raggiunto tra Janukovyč e l’opposizione con la garanzia franco-germano-polacca viene spezzata dalla fuga a Mosca del presidente. Nel frattempo a Kiev viene nominato un governo ad interim con Arsenij Jacenjuk premier, fortemente appoggiato da Victoria Nuland14 e dagli Stati Uniti, che resta stretto tra la necessità di normalizzazione, le pretese di Majdan e le pressioni internazionali. L’evoluzione politica che ha portato alla destituzione di Janukovyč e alla formazione a Kiev di un nuovo governo dichiaratamente filo-occidentale ha messo in moto una rapida reazione di Mosca che, facendo leva sui sentimenti della maggioranza russa presente in Crimea, ha portato alla secessione della regione dall’Ucraina attraverso il referendum del 16 marzo 2014. Per Putin, il tempo di agire contro l’Ucraina e l’Occidente era arrivato. L’anti-majdan che in modo speculare anima le proteste in Crimea contro il governo ad interim comporta la nomina di un nuovo primo ministro che, prima ancora di indire il referendum che avrebbe definito il destino della penisola, chiede aiuto alla Russia. Con quale autorità un primo ministro autoproclamato di uno Stato non indipendente chiede aiuto per l’ordine interno ad una potenza straniera? A conti fatti, la Crimea è ancora Ucraina. 13 S. CANTONE, Cronaca di una rivoluzione improbabile, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014, p. 118. 14 Per meglio comprendere il peso di Victoria Nuland, assistente segretario di Stato USA per gli affari europei ed euroasiatici, nel contesto della crisi ucraina, si veda G. PASTORI, Ucraina: i tanti padri di una crisi orfana, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/ucraina-i-tanti-padri-di-una-crisi-orfana-9884, 21/02/2014. !7 Le opzioni offerte nel referendum sono indicative in tal senso: la scelta era tra reunification o restoration. Ma per riunificazione non s’intendeva quella con l’Ucraina, dalla quale de facto non si era ancora staccata, bensì con la Russia. Infatti, la Crimea è stata parte integrante del territorio della RSFSR fino al 1954, quando Nikita Chruščëv, per guadagnarsi il sostegno dell’establishment politico ucraino o, semplicemente, facendo ammenda per le repressioni di massa degli anni Trenta, ne trasferì all’Ucraina il territorio includendo la città federale di Sebastopoli, la base più importante della flotta del Mar Nero. Al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Crimea si è quindi trovata integrata nell’Ucraina indipendente con lo status di repubblica autonoma. Il risultato plebiscitario del referendum, non riconosciuto dall’OSCE e da gran parte della comunità internazionale, fa sì che i vertici autoproclamati di Simferopoli si rivolgano nuovamente a Putin, il quale dal 16 al 18 marzo, in soli due giorni, riesce a redigere un piano per l’annessione della Crimea: lo si potrebbe definire contingency plan, ma è evidente che il progetto era già stato previsto dal Cremlino. L’importanza strategica della Crimea e, ancor di più, del porto di Sebastopoli per Mosca è di facile comprensione. Da sempre, la penisola rappresenta per i russi l’avamposto verso il mare nostrum, essenziale proiezione di Mosca nel Mediterraneo. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica le sorti politiche della Crimea sono state gestite in modo diretto dalla relazione trilaterale fra Kiev, Simferopoli e Mosca, con un limitato coinvolgimento di attori esterni come Stati Uniti, Unione Europea e NATO15. La Crimea, circondata a sud-ovest dal Mar Nero e a est da quello di Azov, è unita all’Ucraina unicamente dal sottile istmo di Perekop e non ha nessun collegamento geografico col territorio russo. La costruzione del ponte di Kerč, dall’alto valore strategico, geopolitico ma anche simbolico16, si configura come strumento indispensabile per Mosca al fine di legittimare ulteriormente la scelta secessionista. Analogamente, sulla scia di quanto avvenuto in Crimea, le province di Donec’k e Luhans’k dichiarano unilateralmente l’indipendenza il 12 maggio 2014, sancendo l’inizio della guerra del Donbass: da una parte l’esercito ucraino, inviato dal governo per sopprimere 15 Cfr. G. CELLA, A. FERRARI, Crimea, faro russo sul Mediterraneo, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014, p. 150. 16 Cfr. N. MACFARQUHAR, Putin Opens Bridge to Crimea, Cementing Russia’s Hold on Neighbor, The New York Times, www.nytimes.com/2018/05/15/world/europe/putin-russia-crimea-bridge.html, 15/05/2018. !8 l’embrione di Stato federale della Novorossija e ristabilire l’ordine interno, dall’altra i separatisti filo-russi coadiuvati da non meglio precisati little green men, ossia apparati militari senza insegne e senza bandiere. La guerra, dunque, assume caratteristiche che lascerebbero pensare ad una guerra ibrida17, ma parlare di guerra ibrida pare fuorviante. Infatti, l’ingerenza russa in Ucraina non ha preso le forme di una guerra ibrida perché, ad oggi, non abbiamo assistito a una guerra da parte russa, né convenzionale né non convenzionale. Il ruolo russo nella crisi ucraina, anche quello militare, è molto più tradizionale di quanto le nuove etichette facciano pensare18. Tuttavia, secondo il giudizio prevalente in Occidente, la responsabilità della crisi ucraina può essere addossata quasi interamente all’aggressione russa. Si dibatte sul fatto che Vladimir Putin, in pieno revanscismo, abbia annesso la Crimea in virtù di un desiderio di lunga data di resuscitare l’Impero sovietico che, riprendendo le teorie di Brzezinski, senza l’Ucraina non può essere definito come tale. Dando per buona tale visione, la cacciata di Janukovyč nel febbraio del 2014 ha semplicemente fornito il pretesto per la decisione di Putin di ordinare alle forze russe in loco di impadronirsi di parte dell’Ucraina. La “demonizzazione” di Putin nella propaganda occidentale, d’altro canto, non è per Henry Kissinger una politica, “ma l’alibi per l’assenza di una politica”.19 Anche secondo Mearsheimer questo resoconto è sbagliato, in quanto “sia gli Stati Uniti che i suoi alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità di questa crisi”. Mentre accusa i promotori dell’accordo di associazione con l’Ue di miopia, egli individua la radice del problema nella questione dell’allargamento della NATO, elemento centrale di “una più ampia strategia volta ad estromettere l’Ucraina dall’orbita russa ed integrarla nell’Occidente”.20 Dal suo punto di vista, di evidente matrice neorealista, l’idea liberale non funziona. Stati Uniti e 17 La guerra ibrida, facendo leva sulla vaghezza del concetto, può a secondo dei casi comprendere una dimensione, parallela a quella militare e operativa, relativa alla propaganda, alla guerra psicologica, al controllo/ infiltrazione dei sistemi informatici e altro ancora. 18 Cfr. A. CARATI, Falsi miti: la guerra ibrida russa, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/falsi- miti2-la-guerra-ibrida-russa-11363, 10/10/2014. 19 H. KISSINGER, To settle the Ukraine crisis, start at the end, The Washington Post, www.washingtonpost.com/ opinions/henry-kissinger-to-settle-the-ukraine-crisis-start-at-the-end/2014/03/05/46dad868-a496-11e3-8466d34c451760b9_story.html?utm_term=.d58a4072721b, 05/03/2014. 20 J. MEARSHEIMER, Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, Foreign Affairs, vol. 93, n. 5, September/ October 2014, p. 1-12. !9 alleati europei, sostiene Mearsheimer, dovrebbero abbandonare il loro piano per occidentalizzare l’Ucraina e puntare, invece, “a farne un cuscinetto neutrale tra la NATO e la Russia”.21 Passata l’euforia di Majdan, restano i problemi concreti con in più la minaccia di secessione di pezzi importanti del Paese capaci di portare in piazza folle più che sufficienti a destabilizzare la politica interna. Un accordo sulle cose da fare per smetterla di ammazzarsi in teoria c’è e si chiama Minsk II, siglato in pompa magna l’11 febbraio 2015 da Russia, Ucraina, Francia e Germania, con la supervisione dell’OSCE, la stessa che dispiega gli osservatori lungo il fronte. Figlio del fallito Minsk I firmato nel settembre 2014, Minsk II è stato da molti considerato una vittoria diplomatica di Vladimir Putin. L’Ucraina di Petro Porošenko, l’uomo del dialogo eletto nel giugno 2014, allora non ruppe le relazioni diplomatiche con la Russia, non pretese di avere al tavolo anche Stati Uniti e Regno Unito (suoi principali alleati ma anche firmatari, insieme a Mosca, del Memorandum di Budapest del 1994 che garantiva all’Ucraina la sicurezza e la tutela dell’integrità territoriale) e non riuscì a includere nella trattativa la Crimea, riannessa alla Russia con un atto di forza.22 Tuttavia, nonostante la missione OSCE abbia prodotto un altro conflitto congelato, si continua a sparare. Minsk II, quindi, non è meno fallito di Minsk I. Ma a nessuno conviene dirlo. Non all’Unione Europea, che da anni gioca con le sanzioni contro la Russia ma di fatto non ha voce in capitolo e va stancamente al traino di Germania e Francia. Non agli Stati Uniti, ispiratori e protagonisti del cambio di regime del 2014 e oggi tutto sommato contenti di come vanno le cose23: c’è una guerra a bassa intensità al confine con la Russia e c’è lo spavento russofobico, ben radicato nella storia, che rinfocola il classico atlantismo prima antisovietico, oggi anti-russo. È plausibile ritenere che l’attuale situazione di stallo in Ucraina sarà estesa almeno per il prossimo futuro. Una soluzione del conflitto, così come la mediazione degli attori globali, dovrà procedere parallelamente attraverso una delicata ma necessaria ricostruzione e 21 Ibidem. 22 Cfr. F. SCAGLIONE, La finta pace del Donbas va bene a tutti, in Limes, Trimarium, tra Russia e Germania, n. 12/2017, p. 249. 23 Ivi, p. 250. !10 riparazione del tessuto socio-culturale ucraino lacerato da anni di violenza. Lacerazione che, d’altro canto, Samuel Huntington aveva previsto con vent’anni d’anticipo.24 24 S.P. HUNTINGTON, op. cit., pp. 239-242. !11 Capitolo II Il ruolo dell’Italia nella crisi ucraina Roma aveva accolto con un sospiro di sollievo l’arretramento di Janukovyč e la mancata firma dell’accordo di associazione dell’Ucraina all’Ue, essendo consapevole delle implicazioni che questo avrebbe potuto comportare nelle proprie future relazioni con la Russia, vista non solo come insostituibile fornitrice di risorse energetiche, ma altresì come un partner economico promettente sul quale investire, all’occorrenza cooperando con Mosca anche a livello geopolitico, in quanto l’Italia riconosce alla Russia un ruolo essenziale in diverse crisi internazionali (Libia, Siria, il processo di pace in Medio Oriente, Afghanistan, ecc.), così come nella sfida globale della lotta al terrorismo. Evidente, dunque, perché l’Italia abbia evitato di esporsi in occasione di Jevromajdan, malgrado l’opinione pubblica italiana fosse indotta a simpatizzare per la causa dei dimostranti. A Roma si temeva che da un’associazione dell’Ucraina all’Unione Europea potessero derivare nuovi costi da sostenere per stabilizzare Kiev e soprattutto si intuiva che a questo punto sarebbe stato necessario prendere in considerazione la prospettiva di un’adesione vera e propria25 . L’azione svolta dal nostro Paese nel contesto della crisi ucraina, nonostante il susseguirsi di quattro governi e cinque ministri degli esteri26 , non pare aver risentito di alcun cambiamento sostanziale da Jevromajdan ad oggi. La nostra diplomazia, malgrado gli interessi nazionali, si è adeguata alle condanne espresse dagli Stati Uniti e da tutti i nostri partner europei, concentrando però i propri sforzi sulla ricerca della maniera migliore di limitare i danni in sede di definizione delle sanzioni27 da adottare nei confronti della Russia per l’appoggio dato ai secessionisti in Crimea e ai ribelli nel Donbass. 25 Cfr. G. DOTTORI, Anche Berlino ha perso Kiev, op. cit., p. 225. 26 Della crisi ucraina se ne sono occupati, in ordine, il Governo Letta (si ricordi l’incontro con Putin a Soči) con Emma Bonino alla Farnesina, il Governo Renzi con Mogherini prima e Gentiloni poi, il Governo Gentiloni con Alfano e, infine, l’odierno Governo Conte con Enzo Moavero Milanesi agli Esteri, già ministro per gli Affari Europei nel Governo Letta. 27 Cfr. A. FERRARI, E. TAFURO AMBROSETTI, Rilancio del dialogo con la Russia, ISPI, www.ispionline.it/it/ pubblicazione/rilancio-del-dialogo-con-la-russia-19716, 26/02/2018. !12 Si ricordi che le sanzioni, aventi carattere politico, economico e commerciale nei confronti della Russia, sono state imposte dall’Unione Europea sin dal mese di luglio 2014 come conseguenza dell’annessione della Crimea e della destabilizzazione del Paese. Lo scopo delle sanzioni era quello di colpire l’economia russa al fine di costringere Mosca a ritirarsi dal territorio ucraino. Scopo che non è stato raggiunto e che ha comportato l’introduzione di contro-sanzioni da parte di Putin. Tali contromisure prevedono il divieto di importare alcune categorie di prodotti, in particolare nel comparto agroalimentare, settore vitale per le esportazioni europee e, soprattutto, per quelle italiane. Logico, dunque, che l’Italia sia tra i paesi che più spingono sull’abolizione delle sanzioni contro la Russia (si ricordi che è stato proprio il governo italiano, nel 2015, ad ottenere che non ci sia il rinnovo automatico del regime sanzionatorio europeo). Ma l’Italia non è l’unica che ha compreso come le sanzioni, con le contro-sanzioni, abbiano un effetto negativo sull’economia nazionale. Ne parla anche l’Austria, chiedendo all’Ue di riconsiderare la propria posizione sulla Russia. Sebbene prima di ogni proroga semestrale il Consiglio europeo debba necessariamente procedere al riesame sullo stato di attuazione degli accordi di Minsk II, Roma continua a lamentare l’assenza di un vero dibattito politico a livello comunitario. Sulle sanzioni pare chiaro quale sia l’orientamento dominante in seno all’Unione. Anche se formalmente occorra l’unanimità per ogni loro rinnovo, il governo italiano, oggi sostenuto da partiti che enfatizzano l’amicizia con Mosca e fanno dell’eliminazione delle sanzioni uno degli obiettivi principali in politica estera, non ha ancora giocato il jolly del veto per timore delle possibili ripercussioni nell’ambito dei consessi occidentali 28. Esistono, infatti, Paesi come la Polonia, i Baltici, ma anche tra gli europei occidentali, che guardano a Mosca con risentimento e sospetto. La percezione della condotta di Putin nella crisi ucraina varia cromaticamente a seconda della collocazione geografica: è intensa vicino alle frontiere russe; marcata tra quelli nordici come la Svezia e la Finlandia, che si sentono direttamente minacciate dal ritorno dell’imperialismo russo; opaca, se non trasparente, ad 28 Cfr. G. ARAGONA, UE e Russia: che fare con le sanzioni?, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/ pubblicazione/ue-e-russia-che-fare-con-le-sanzioni-20859, 25/06/2018. !13 Ovest, in Germania, Italia, Francia, per ovvie ragioni economico-commerciali29. Tale divergenza di opinioni circa l’approccio nei confronti della Russia sintetizza il grande limite della politica estera comunitaria, che raramente riesce a mobilitare i suoi associati se non sulla base della loro vicinanza geografica all’emergenza del momento. Incapace di agire come un’unica entità, infatti, fin dall’inizio della crisi ucraina l’Unione Europea è stata lacerata dalle differenze tra i suoi Stati membri, ancora una volta guidati dai rispettivi interessi nazionali. Dal punto di vista italiano, dunque, essere percepiti come “aprioristicamente sbilanciati verso la Russia”30 di certo non giova, e non ha giovato, alla nostra capacità di influenza. Nel contesto della crisi ucraina, l’Italia, volente o nolente, alla fine si è adeguata a tutte le decisioni europee e atlantiche: oltre ad avallare il regime sanzionatorio, non ha riconosciuto l’annessione della Crimea né il risultato elettorale delle regioni separatiste di Donec’k e Luhans’k. Il risultato o, meglio, la conseguenza più tangibile della politica filo-russa italiana è stata quella di mettere a rischio, nel 2014, la nomina di Federica Mogherini, allora Ministro degli Esteri, come Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, fortemente ostacolata dalla c.d. Nuova Europa, Polonia in testa31 . Già a capo della Farnesina, la Mogherini mantenne un canale di comunicazione molto intenso con Mosca, rispettando “la tradizione italiana del compromesso diplomatico e di un’ostpolitik antica di mezzo secolo”32 , salvo poi improntare la politica estera europea sulla base di neutralità e dialogo, al fine di preservare gli interessi economici e gli equilibri politici dell’Unione Europea. In uno scenario critico come quello ucraino, l’Italia, non facendo parte del formato Normandia, è stata esclusa dai negoziati, forse perché considerata poco adatta ad offrire o a formulare un qualche tipo di soluzione per la questione o semplicemente per via delle “staffette” avvenute a Palazzo Chigi in un momento in cui la crisi ucraina era già ad uno 29 Cfr. U. TRAMBALLI, La politica estera del governo Renzi, in A. COLOMBO, P. MAGRI (a cura di), In mezzo al guado. Scenari globali e l’Italia - Rapporto ISPI 2015, op. cit., p. 110. 30 G. ARAGONA, UE e Russia: che fare con le sanzioni?, op. cit. 31 Cfr. G. DE MAIO, The EU and the Ukraine Crisis. Italy, Germany and the Case of Convergence, CGI - Center on Global Interests, Washington DC, Spring 2017, p. 2. 32 U. TRAMBALLI, La politica estera del governo Renzi, op. cit. !14 stadio avanzato. Quello che però emerge chiaramente è che Roma, nonostante gli interessi diretti su Kiev e nonostante l’importanza geografica dell’Ucraina dalla quale si snodano i gasdotti russi che riforniscono mezza Europa, è ancora una volta relegata ad un ruolo, se non del tutto marginale, sicuramente non di primo piano o tale da rispecchiare la portata reale degli interessi nella regione. L’instabilità in Ucraina risulta estremamente dannosa per l’Italia, tra i primi investitori stranieri nel Paese. Ma il legame tra Italia e Ucraina non è esclusivamente legato al business: negli anni, infatti, i governi hanno firmato diversi accordi bilaterali per facilitare l’ingresso e il soggiorno dei cittadini ucraini in Italia, ove oggi risiede una delle più grandi comunità ucraine d’Europa33. Tuttavia, se Trump riuscisse a recuperare spazio di manovra verso la Russia, sciogliendosi dai severi condizionamenti impostigli dalle indagini sulle interferenze nelle elezioni presidenziali e dalla resistenza del Congresso, si dischiuderebbe un clima diverso, che influenzerebbe il dibattito tra gli alleati europei, a vantaggio della linea italiana. Le difficoltà non scomparirebbero in tempi brevi perché è difficile superare le divergenze su questioni critiche come la rivendicazione di sfere d’influenza e lo sbilanciamento determinato ad Est dall’allargamento della NATO. Ma l’Italia, agendo nei modi e con i toni appropriati, può svolgere una funzione di stimolo ed indirizzo34. Stretta tra la necessità di mantenere dei buoni rapporti con Mosca, quella di tutelare gli interessi degli operatori italiani in Ucraina e, al contempo, di contenere senza irrigidire i rapporti con Washington, l’Italia potrebbe avere la capacità di fluidificare le trattative tra le parti. Letta in questi termini, la presidenza italiana dell’OSCE nel 2018 rappresenta la più grande opportunità della nostra recente storia diplomatica di testare se davvero l’Italia possa giocare ancora “quel ruolo di facilitatore del dialogo tra Est e Ovest”35. Sebbene lo spirito di Helsinki si sia perduto da tempo e malgrado gli Stati Uniti ed altri importanti Stati membri abbiano sempre guardato con reticenza, comprimendone il potenziale, vi è forse ancora tempo, nei mesi finali della nostra presidenza, per esplorare come l’Organizzazione possa contribuire a distendere le tensioni. 33 Cfr. G. DE MAIO, The EU and the Ukraine Crisis, op. cit., p. 3. 34 Cfr. G. ARAGONA, UE e Russia: che fare con le sanzioni?, op. cit. 35 V. G UTTUSI , Osce: conservare il ruolo della missione in Ucraina, Affari internazionali, www.affarinternazionali.it/2018/01/osce-missione-ucraina, 04/01/2018. !15 D’altro canto, l’Italia si era schierata apertamente sin da subito contro il coinvolgimento dell’Alleanza atlantica nella gestione della crisi ucraina, proponendo il suo deferimento all’OSCE. Una scelta per l’apertura al dialogo e, quindi, per l’implicita accettazione come fait accompli in Crimea, purché all’incorporazione nella Federazione della penisola secessionista non seguano ulteriori acquisizioni territoriali36 . Con la NATO esclusa e l’Unione Europea responsabile, secondo molti, di aver innescato le proteste dopo la mancata firma dell’accordo di associazione con l’Ucraina, l’Organizzazione di Vienna rappresentava, all’indomani dello scoppio della crisi, l’unico forum inclusivo dei Paesi occidentali e di Mosca che potesse occuparsi della gestione del conflitto. Non a caso, l’Italia ha indicato quale priorità del suo mandato il pieno sostegno politico, in continuità con l’azione delle precedenti presidenze, agli sforzi per la ricerca di una soluzione alla crisi ucraina basata sul dialogo, le misure di confidence-building e sugli accordi di Minsk, in raccordo con il formato Normandia. In primo luogo, dunque, la presidenza italiana si propone come sostegno principale all’iniziativa franco-tedesca di rianimare il formato Normandia e gradualmente alleviare il peso delle sanzioni, focalizzandosi sull’implementazione degli accordi di Minsk, più che sui principi. Tuttavia, il via libera statunitense al fornimento di “armi letali” all’Ucraina e l’abbandono del Centro congiunto di controllo e coordinamento da parte del contingente russo, che aveva ricevuto dagli accordi di Minsk anche il compito di contribuire alla sicurezza degli osservatori della missione speciale di monitoraggio37, non indicano certo segnali collaborativi per l’Italia, che dovrà negoziare una soluzione politica, tale per cui la missione possa continuare a svolgere il suo ruolo e facilitare i lavori di normalizzazione. La missione OSCE non avrà risolto il conflitto tra i ribelli filo-russi e le forze armate ucraine, ma l’effetto deterrente del monitoraggio costante ha indubbiamente permesso il contenimento del conflitto e bloccato un’ulteriore escalation militare. Già contribuire a conservare come tale il ruolo della missione di monitoraggio sarebbe un successo, ma il ruolo dell’Italia nell’azione diplomatica tesa alla risoluzione della crisi in Ucraina dovrà necessariamente esplicarsi all’interno dell’Ue e tramite gli strumenti della PESC. 36 Cfr. G. DOTTORI, Anche Berlino ha perso Kiev, op. cit., p. 226. 37 Cfr. V. GUTTUSI, Osce: conservare il ruolo della missione in Ucraina, op. cit. !16 Sebbene il dossier ucraino non passi direttamente per Roma ma per antiche o emergenti capitali della diplomazia internazionale, l’Italia ha il diritto-dovere di esercitare un’azione di politica estera nell’estero vicino europeo che sia funzionale ai nostri sistemi di alleanze, ma anche incentrato attorno al nostro interesse nazionale e compatibile con le sfide e i tempi della geopolitica globalizzata e instabile. !17 Capitolo III Come evolvono le relazioni con la Russia nello scenario di crisi Sulla base di quanto esposto nei precedenti capitoli, la crisi in Ucraina rappresenta una sfida di politica estera molto impegnativa per l’Italia, le cui ragioni vanno ricercate nella difficoltà di conciliare le responsabilità derivanti dalla cornice euro-atlantica con i legami economici e strategici con la Federazione russa. Ogni considerazione sulle iniziative e le posizioni dell’Italia sullo scacchiere ucraino non può quindi prescindere da un quadro più ampio in cui rientrano, in primis, le relazioni tra l’Italia e la Russia. L’Italia, da una parte interessata a preservare l’unità europea e transatlantica e a fare in modo che la Russia cessi di rappresentare, nell’ottica alleata, una minaccia per l’architettura di sicurezza europea, dall’altra intenta a limitare i danni sul piano interno e a non pregiudicare i rapporti con il Cremlino, si ritrova in una posizione delicata. Tra Italia e Russia non ci sono ferite storiche e nemmeno una sovrapposizione di aree geografiche d’interesse. Raramente gli interessi strategici di Roma e Mosca configgono, anzi, c’è una storia d’interdipendenza economica, commerciale, energetica, di amicizia e di obiettivi non concorrenti ma complementari38. A differenza di paesi come Romania e Polonia, infatti, l’Italia non si sente minacciata da Mosca, e a differenza della Germania non è interessata alle aree che il Cremlino percepisce come propria sfera d’influenza39. L’intensificazione del dialogo con la Russia, a prescindere dal colore politico dei governi che si sono avvicendati a Palazzo Chigi, resta un tema centrale per trovare intese su questioni di mutuo interesse, come la lotta al terrorismo, o sulle quali, pur essendovi delle divergenze, è possibile una maggiore cooperazione, come la stabilizzazione del Medio Oriente. Si osservi che, oltre alle preoccupazioni di natura strategica, legate alla necessità di assicurare una governance multilaterale delle sfide globali, sono soprattutto gli interessi economici e 38 Cfr. G. DE MAIO, D. FATTIBENE, Il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia, in E. GRECO, N. RONZITTI (a cura di), Rapporto IAI sulla politica estera italiana ed. 2016, Roma, 2016, Edizioni Nuova Cultura, pp. 79-83. 39 Cfr. A. COLIBASANU, Lo specchio delle crepe. La funzione tattica dell’Italia per gli USA, in Limes, Quanto vale l’Italia, n. 5/2018, pp. 241-245. !18 commerciali a spingere l’Italia a rilanciare le relazioni con la Russia40. Tuttavia, la situazione in Ucraina, verosimilmente congelata, resta in realtà molto fluida e ciò impedisce una normalizzazione dei rapporti con Mosca. Sotto il profilo commerciale, il 2014 ha rappresentato uno spartiacque tra un periodo relativamente positivo per l’interscambio tra gli Stati membri dell’Ue e la Federazione russa e l’inizio di una fase regressiva in cui le tensioni politiche e internazionali dovute all’escalation degli eventi in Ucraina sono state accompagnate da una pesante crisi economica41 . Il crollo del prezzo del petrolio ha infatti determinato una vertiginosa svalutazione del rublo che, unitamente al regime di sanzioni e contro-sanzioni, ha influito sulla drastica riduzione del volume d’affari dell’export italiano. Con l’obiettivo di ridurre le importazioni del 50% entro il 2020, Mosca ha cercato di rafforzare la produzione industriale locale e di consolidare la pratica dell’import substitution, proponendo all’Italia la strategia del made in Russia with Italy per spingere le nostre aziende ad assistere la politica russa di sostituzione delle importazioni e di ammodernamento attraverso il trasferimento di tecnologie, know-how e investimenti diretti. Sebbene la politica del made with Italy sia di particolare richiamo per le produzioni meccaniche e per l’industria pesante, ossia produzioni dove la tecnologia è standardizzata e che in genere hanno alti costi di trasporto delle merci che spingono alla creazione di unità produttive dislocate all’estero, le aziende che hanno scelto questa strada devono comunque fare i conti con il rallentamento dell’economia russa che certo non ha favorito il ritorno del capitale investito. Nonostante le difficoltà riscontrate, è nell’interesse dell’Italia cercare di verificare le possibilità di cooperare con Mosca su più fronti, evitando un suo isolamento. Si osservi che, tuttavia, le conseguenze della crisi ucraina sulle relazioni italo-russe non sono circoscritte al solo, seppur nevralgico, interscambio commerciale. Infatti, la rilevanza strategica che i buoni uffici con la Russia hanno per l’economia italiana investono in particolare il settore energetico che, dopo il ritiro del progetto South Stream quale risultato dell’intervento russo in Ucraina, 40 Cfr. R. ALCARO, N. MIKHELIDZE, L’incerto equilibrio della politica verso la Russia, in E. GRECO (a cura di), L’Italia al bivio. Rapporto IAI sulla politica estera italiana ed. 2018, Roma, 2018, Edizioni Nuova Cultura, pp. 159-163. 41 Si veda C. PAGANI, Italia-Russia, quattro anni dopo: il business resiste se si rinnova, ISPI - Russia Watch, www.ispionline.it/it/pubblicazione/italia-russia-quattro-anni-dopo-il-business-resiste-se-si-rinnova-21032, 24/07/2018. !19 ha visto una riduzione delle opportunità di collaborazione. La raison d’être di South Stream, emblema di una strategia energetica comune tra l’Italia e la Russia, non andava esclusivamente ricercata nei profitti economici che avrebbe generato ma, come osserva lo storico Antonello Folco Biagini, “nei suoi benefici geo-strategici”.42 Avrebbe determinato, infatti, la diversificazione delle rotte dei gasdotti russi verso l’Europa oltre al “disinnesco del potere di ricatto dell’Ucraina”43 , il cui peso politico è principalmente dovuto al fatto di essere uno dei principali Stati di transito delle pipeline che riforniscono di gas russo la Mitteleuropa, la penisola balcanica e l’Italia. Sebbene il Memorandum d’intesa siglato a Roma nel febbraio del 2016 tra Gazprom, Edison e la compagnia greca Depa persegua l’obiettivo di riproporre una versione ridotta di South Stream ed Eni abbia in piedi una serie di progetti di collaborazione nel Mar Nero col gigante energetico Rosneft, la dimensione energetica delle relazioni italo-russe copre naturalmente un orizzonte molto più ampio rispetto ai singoli partenariati tra compagnie. La collaborazione con Mosca in questo settore risulta essenziale per l’Italia che vuole, tra l’altro, evitare di essere messa ai margini dalla partnership energetica russo-tedesca, considerato che la costruzione di Nord Stream 2 sotto il Baltico renderebbe la Germania il principale distributore di gas russo in Europa44. In questo quadro rientra il piano italiano di creare un collegamento tra il nuovo gasdotto TurkStream nel Mar Nero e uno che porti il gas russo in Italia attraverso la via balcanico-adriatica invece che quella balcanico-alpina45. Sul piano politico, l’Italia è interessata a un coinvolgimento della Russia nei principali contesti internazionali, in particolare nella gestione della crisi libica. La necessità di ripristinare la normalità dei rapporti con Mosca, infatti, riguarda anche la nostra sicurezza nazionale. L’Italia è preoccupata dall’instabilità della Libia, da cui provengono massicce ondate di rifugiati che si infrangono sulle coste della penisola. Considerando anche il proprio fabbisogno energetico, Roma spera di mantenere nella propria sfera d’influenza il Paese 42 A. FOLCO BIAGINI, Quanto conta l’Ucraina per la Russia. Quanto conta la Russia per l’Italia, Commentary ISPI, 2015, ISPI, pp. 2-3. 43 Ibidem. 44 Cfr. R. ALCARO, N. MIKHELIDZE, L’incerto equilibrio della politica verso la Russia, op. cit. 45 Si veda N. SARTORI, Le direttrici della politica energetica, in E. GRECO (a cura di), L’Italia al bivio. Rapporto IAI sulla politica estera italiana ed. 2018, op. cit., pp. 93-98. !20 nordafricano, ricco di idrocarburi. Per questo sostiene le trattative delle Nazioni Unite tra le fazioni libiche belligeranti e cerca di rilanciarle ogni volta che entrano in una fase di stallo46 . L’obiettivo dell’Italia, esplicitato ulteriormente alla Conferenza di Palermo sulla Libia nel novembre 2018, è quello di invocare il sostegno della Russia nel processo negoziale, in ragione dei suoi interessi nel Nordafrica e dei suoi rapporti con l’Egitto di al-Sisi47. Ma per Mosca stabilizzare la regione, men che meno ridurre i flussi migratori, non è una priorità. Semmai, gradirebbe espandere il proprio accesso al Mediterraneo e stabilire una presenza in una consolidata sfera d’influenza europea, riducendo la libertà di manovra militare degli Stati Uniti. In ultima analisi, un dato importante da sottolineare è quello relativo alla tradizionale affidabilità della politica estera russa. Storicamente, infatti, molte delle scelte della Russia appaiono agli occidentali come aggressive, caratterizzate da assenza di democrazia interna, ma si ricordi che nei momenti topici, sottolinea Folco Biagini, “la Russia ha sempre assunto un atteggiamento responsabile e collaborativo”.48 L’Italia ne è consapevole e, infatti, malgrado l’annessione della Crimea, la guerra in Donbass e la generale destabilizzazione dell’Ucraina, il dialogo politico tra Roma e Mosca persiste e sviluppa strategie di adattamento a seconda delle posizioni assunte dai principali attori globali. I rapporti con la Russia, partner di riguardo 49, si sono conservati intensi e positivi anche in una fase delicata, caratterizzata da un regime di misure restrittive imposte a Mosca. L’opzione russa, del resto, è sempre stata una tentazione storica per l’Italia, alla quale “a fatica resistevano Giulio Andreotti e Vittorio Valletta già in tempi più lontani”50, quando l’Italia apriva fabbriche d’automobili a Togliatti sul Volga e contemporaneamente era chiamata “la Bulgaria della NATO” per la sua fedeltà all’Alleanza51. Anzi, intensificare il dialogo con la 46 Cfr. A. COLIBASANU, Lo specchio delle crepe. La funzione tattica dell’Italia per gli USA, op. cit. 47 Cfr. A. FOLCO BIAGINI, Quanto conta l’Ucraina per la Russia. Quanto conta la Russia per l’Italia, op. cit. 48 Ibidem. 49 Si veda il sito del Ministero degli Esteri: I rapporti tra Italia e Russia, www.esteri.it/mae/it/politica_estera/ aree_geografiche/europa/i_nuovi_rapporti.html. 50 U. TRAMBALLI, La politica estera del governo Renzi (anno III), in A. COLOMBO, P. MAGRI (a cura di), L’età dell’incertezza. Scenari globali e l’Italia - Rapporto ISPI 2017, Edizioni Epoké, p. 130. 51 Cfr. Ivi. !21 Russia su questioni di governance globale è tanto più opportuno nel momento in cui gli Stati Uniti di Trump tendono a disimpegnarsi da soluzioni concertate a questioni come commercio e clima. La flessibilità diplomatica era una prerogativa che l’Italia, oggi, può riproporre non solo in modo funzionale alla risoluzione della crisi in Ucraina, ma nel generale contesto di tensioni internazionali. !22 Conclusioni Una volta esaminate le dinamiche che hanno determinato lo scenario di crisi e la condotta degli attori coinvolti, è facile comprendere i motivi per cui Zbigniew Brzezinski definisca l’Ucraina come un perno geopolitico, in quanto la sua reale esistenza come Stato indipendente contribuisce a trasformare la Russia. Come esposto in precedenza, senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. Secondo quest’immagine di Brzezinski, dunque, dall’orientamento internazionale e dalle trasformazioni interne dell’Ucraina dipenderebbe la capacità della Federazione russa d’influenzare le dinamiche politiche europee e riconquistare il suo rango di grande potenza che agisce anche al di fuori dei confini dello spazio postsovietico. Se il paradigma neorealista, ben rappresentato dalla visione di Mearsheimer, invoca la rinuncia dei leader occidentali nel “riconoscere che in Ucraina non si possa sostenere un regime anti-russo”52, d’altro canto ciò non vuol dire che un futuro governo ucraino debba essere pro-russo o anti-NATO. Al contrario, l’obiettivo dovrebbe essere un’Ucraina sovrana che non cada né nello spettro russo, né in quello occidentale. Anzi, gli Stati Uniti e i leader europei dovrebbero incoraggiare l’Ucraina a rispettare i diritti delle minoranze, specialmente i diritti linguistici dei russofoni, la cui protezione emerge come elemento essenziale del nuovo soft power russo. Anche se si rigetta questa analisi, comunque, non c’è ragione per l’Occidente di accogliere l’Ucraina se è propensa nel perseguire una politica estera sbagliata, soprattutto se la sua difesa non è un interesse vitale, come la contrarietà a usare la forza militare per venire in suo aiuto ha dimostrato. Sebbene l’Ucraina cerchi in tutti i modi di coinvolgere le cancellerie occidentali nella risoluzione del conflitto, l’esecutivo guidato da Porošenko incombe all’avvicinarsi di elezioni presidenziali dall’esito incerto in programma nel marzo 2019, che potrebbero tra l’altro sconfessare l’orientamento atlantista ed europeista adottato negli anni del post Jevromajdan. Non avrebbe senso, quindi, integrare un nuovo membro nell’Alleanza che gli altri alleati non hanno intenzione di difendere. Mearsheimer osserva come la NATO si sia espansa perché i liberali davano per scontato che questa non avrebbe 52 J. MEARSHEIMER, Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, op. cit., pp. 10-12. !23 mai dovuto onorare le sue nuove garanzie in tema di sicurezza, ma il recente gioco di potere della Russia, esplicitato nel recente scontro con tre navi da guerra ucraine nello stretto di Kerč, dimostra che garantire la membership NATO all’Ucraina potrebbe spingere la Russia e l’Occidente in rotta di collisione53. Il tentativo italiano di cercare un equilibrio tra esigenze contrastanti ha portato a risultati più concreti nell’ultimo biennio che negli anni precedenti. Il mantenimento del sostegno italiano alla politica europea sull’Ucraina è ora diventato più compatibile con una politica di dialogo con Mosca su questioni bilaterali o di interesse comune. L’incremento dei flussi commerciali (nel 2017 le esportazioni verso la Russia sono aumentate del 19,7%54) indica che governo e imprese italiane stanno imparando a muoversi in un ambiente fortemente condizionato dalle sanzioni, e le iniziative sul piano energetico segnalano una certa determinazione dell’Italia a non farsi emarginare dalla partnership energetica russo-tedesca. Proprio in virtù di queste peculiarità, l’Italia avrebbe forse potuto giocare un ruolo di mediazione più incisivo in Ucraina. Tuttavia, questo compito non era affatto semplice anche a causa dello scarso coordinamento a livello europeo. In linea con la posizione dei suoi partner ed alleati, l’Italia continua a legare un’eventuale revoca dell’impianto sanzionatorio all’attuazione degli accordi di Minsk. In assenza di progressi significativi su questo fronte, il governo italiano avrebbe difficoltà a intensificare l’azione politica per un riavvicinamento con Mosca, rischiando uno strappo con i partner euro-atlantici senza concrete contropartite55 . Se invece Kiev e i separatisti trovassero un’intesa per le elezioni nel Donbass e se il voto si svolgesse nel rispetto dei parametri OSCE, l’Italia potrebbe legittimamente adoperarsi se non per una revoca, quanto meno per un’attenuazione delle misure restrittive contro il Cremlino. Un ordinato svolgimento delle elezioni locali sarebbe infatti accolto, nei consessi alleati, come un concreto segnale di impegno da parte russa per la pacificazione e stabilizzazione dell’Ucraina. Intanto rimane sullo sfondo il problema dello status della Crimea, in relazione al quale l’Italia ha fatto propria la strategia dell’ambiguità costruttiva56 già affermatasi a livello europeo: vista l’inconciliabilità delle posizioni sulla Crimea, si è 53 Ivi. 54 Dati SACE. 55 Cfr. G. DE MAIO, D. FATTIBENE, Il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia, op. cit., p. 82. 56 Ivi. !24 preferito concentrare gli sforzi sul Donbass, anche a costo di dare l’impressione che l’annessione fosse ormai considerata un fatto compiuto. La strategia dell’ambiguità costruttiva, tuttavia, non attiene all’approccio di Mearsheimer, il quale delinea due possibili scenari. L’uno in cui le potenze coinvolte perseverano nell’attuazione della politica corrente, che esacerberà le ostilità con la Russia e devasterà l’Ucraina: uno scenario in cui tutti ne uscirebbero sconfitti. Un rischio reale, enfatizzato dalla promulgazione della legge marziale in territorio ucraino, che non vale la pena correre né per l’Italia, né per l’Europa. L’altro, suggerito da Mearsheimer, dove si “lavora per creare un’Ucraina prospera ma neutrale, che non minacci la Russia e conceda all’Occidente di ripristinare le sue relazioni con Mosca”.57 Con un approccio del genere, teso alla ricerca di un modus vivendi compatibile, è evidente che tutte le parti in causa vincerebbero. L’azione dell’Italia deve essere letta in questi termini, in un’ottica realista, tesa a riguadagnare il ruolo di collante distensivo tra Est e Ovest, in quanto tutte le crisi che si svolgono a pochi chilometri dalla nostra penisola hanno un potenziale impatto sulla nostra sicurezza interna, mettono in discussione la nostra sicurezza energetica, producono forti tensioni nei nostri sistemi di alleanze fino a mettere a rischio la stessa stabilità e compattezza dell’Unione politica europea58. 57 J. MEARSHEIMER, op. cit., p. 12. 58 Cfr. P. QUERCIA, Il valore del vuoto. Finestra di opportunità o inizio della fine?, in Limes, Quanto vale l’Italia, op. cit., pp. 141-146. !25 Bibliografia - ALCARO RICCARDO, MIKHELIDZE NONA, L’incerto equilibrio della politica verso la Russia, in E. GRECO (a cura di), L’Italia al bivio. Rapporto IAI sulla politica estera italiana ed. 2018, Roma, 2018, Edizioni Nuova Cultura. - CALZINI, PAOLO, Ucraina 2004-2014: un decennio allo specchio, in S. TETI, M. CARTA (a cura di), Attacco all’Ucraina, Roma, 2015, Sandro Teti Editore. - CANTONE, SERGIO, Cronaca di una rivoluzione improbabile, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014. - CANTONE SERGIO, MOSCATELLI ORIETTA, Ucraina, anatomia di un terremoto, 2014, goWare. - CELLA GIORGIO, ALDO FERRARI, Crimea, faro russo sul Mediterraneo, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014. - CHABOD, FEDERICO, L’idea di nazione, in A. SAITTA, E. 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Quanto conta la Russia per l’Italia, Commentary ISPI, 2015, ISPI. !26 - HUNTINGTON, SAMUEL, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, 2001, Garzanti (The clash of civilizations and the remaking of world order, New York, 1996, Simon & Schuster). - MEARSHEIMER, JOHN, Why the Ukraine Crisis Is the West’s Fault, Foreign Affairs, vol. 93, n. 5, September/October 2014. - QUERCIA, PAOLO, Il valore del vuoto. Finestra di opportunità o inizio della fine?, in Limes, Quanto vale l’Italia, n. 5/2018. - ROCCUCCI, ADRIANO, La matrice sovietica dello Stato ucraino, in Limes, L’Ucraina tra noi e Putin, n. 4/2014. - ROMANO, SERGIO, Ucraina, una crisi post-sovietica, in A. COLOMBO, P. MAGRI (a cura di), In mezzo al guado. Scenari globali e l’Italia - Rapporto ISPI 2015, Edizioni Epoké. - SAROTTE, MARY ELISE, Not One Inch Eastward? 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Scenari globali e l’Italia - Rapporto ISPI 2017, Edizioni Epoké. !27 Sitografia - ARAGONA, GIANCARLO, UE e Russia: che fare con le sanzioni?, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/ue-e-russia-che-fare-con-le-sanzioni-20859, 25/06/2018 [URL consultato il 23/10/2018]. - CARATI, ANDREA, Falsi miti: la guerra ibrida russa, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/falsi-miti2-la-guerra-ibrida-russa-11363, 10/10/2014 [URL consultato il 18/10/2018]. - FERRARI, ALDO, TAFURO AMBROSETTI, ELEONORA, Rilancio del dialogo con la Russia, ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/rilancio-del-dialogo-con-la-russia-19716, 26/02/2018 [URL consultato il 25/10/2018]. - GUTTUSI, VINCENZO, Osce: conservare il ruolo della missione in Ucraina, Affari internazionali, www.affarinternazionali.it/2018/01/osce-missione-ucraina, 04/01/2018 [URL consultato il 02/11/2018]. - KISSINGER, HENRY, To settle the Ukraine crisis, start at the end, The Washington Post, www.washingtonpost.com/opinions/henry-kissinger-to-settle-the-ukraine-crisis-start-at-thee n d / 2 0 1 4 / 0 3 / 0 5 / 4 6 d a d 8 6 8 - a 4 9 6 - 11 e 3 - 8 4 6 6 - d 3 4 c 4 5 1 7 6 0 b 9 _ s t o r y. h t m l ? utm_term=.d58a4072721b, 05/03/2014 [URL consultato il 02/12/2018]. - MACFARQUHAR, NEIL, Putin Opens Bridge to Crimea, Cementing Russia’s Hold on Neighbor, The New York Times, www.nytimes.com/2018/05/15/world/europe/putin-russiacrimea-bridge.html, 15/05/2018 [URL consultato il 17/10/2018]. - PAGANI, CAMILLA, Italia-Russia, quattro anni dopo: il business resiste se si rinnova, ISPI - Russia Watch, www.ispionline.it/it/pubblicazione/italia-russia-quattro-anni-dopo-ilbusiness-resiste-se-si-rinnova-21032, 24/07/2018 [URL consultato il 16/11/2018]. - PASTORI, GIANLUCA, Ucraina: i tanti padri di una crisi orfana, Commentary ISPI, www.ispionline.it/it/pubblicazione/ucraina-i-tanti-padri-di-una-crisi-orfana-9884, 21/02/2014 [URL consultato il 16/10/2018]. !28 Ringraziamenti Prima di scrivere queste poche righe ho sprecato più di un’ora del mio tempo dinanzi a questa pagina vuota. Anzi, credo sia più corretto utilizzare il verbo impiegare, in quanto ho impiegato quel tempo per trovare un filo logico da seguire nel ringraziare tutte quelle persone che, in misura diversa ma ugualmente importante, mi hanno accompagnato nei tre anni che precedono questi momenti. Il filo logico, ahimè, non l’ho trovato. Chi mi conosce sa che l’arte sottile di ringraziare come si deve non mi appartiene, ma converrà che sono bravo a ripescare spezzoni di vita vissuta che trovo molto più significativi rispetto al semplice ringraziamento rivolto ad una persona o l’altra. Di papà, ad esempio, ricordo con simpatia quando quasi due anni fa mi negò di lavorare come receptionist in un albergo poco lontano da casa. Sebbene non fosse l’ambito lavorativo dei miei sogni, per me rappresentava la possibilità di misurarmi in un contesto nuovo e l’occasione per iniziare a guadagnare qualche spicciolo (anche per non continuare a gravare sulle sue spalle), ma lui non volle in alcun modo che mi distraessi dallo studio. Non lo disse esplicitamente, ma con il suo ischemico savoir-faire rese bene l’idea. Senza mio padre, senza il suo aiuto, questo percorso sarebbe stato inevitabilmente più complesso. Con mia madre trascorro gran parte del tempo, per cui risulta assai difficile scegliere un episodio in particolare. A differenza del canonico rapporto tra madre e figlio, accentuato nella sua accezione napoletana, noi viviamo in una perenne condizione di amore-odio, una coesistenza più o meno conflittuale. Tuttavia, credo sia proprio la conflittualità a renderci interdipendenti. Senza di lei, senza l’educazione che mi ha impartito, forse non sarei la persona che sono oggi, ovvero ancora nessuno ma almeno una persona educata. Per tutti i mal di testa che le ho provocato con le mie brillanti esposizioni, una laurea la meriterebbe anche Karyna, la persona con cui ho condiviso e condivido gioie, successi, angosce e trepidazioni. E non solo, perché con lei ho condiviso soprattutto la mia maniacale preparazione agli esami, il che la rende una sorta di martire. Farò tesoro del suo sacrificio e del suo prezioso sostegno. D’altro canto, non avrei potuto desiderare una compagna migliore. !29 Avrei potuto desiderare una sorella che non si addormenti con i fogli tra le mani mentre mi interroga per l’esame di inglese, ma questo è un altro discorso. Le voglio un bene dell’anima e questo trascende ogni cosa. Potrei rendere tanti altri aneddoti, perché sento di dover condividere con tante altre persone questo traguardo, che del resto è un punto di partenza: da Natasha ai miei amici e colleghi, figure che hanno contribuito a sviluppare la mia personalità, le mie posizioni e le mie idee. Purtroppo farlo mi è impossibile, quindi mi limito a dire grazie a coloro i quali, in questi tre anni, non hanno mai fatto mancare la loro approvazione ad ogni mia scelta. Anche chi non è riuscito a farlo, avrà sempre un posto nel mio cuore. Emanuele !30