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P.P.P. E BENI CULTURALI : RAGIONI DI UN CAMBIO DI ROTTA LEGISLATIVO
E CONSEGUENZE SULL'IMPIANTO ORDINAMENTALE
Salvatore Aurelio Bruno
The Italian legislator, for reasons of budget constraints imposed by the Fiscal Compact and by the recent
Constitutional reform, since one year has been proceeding to abolish the legislative and regulatory
provisions regarding the application of concessions, PPPs and project finance in the cultural heritage sector.
The new normative tool for private-public partnership is the “social partnership”, provided for in the Public
Contracts Code, and the "special forms of partnership", provided for in the cultural part of the Public
Contracts Code as well as in the new Third Sector Code. These are the new opportunities for the
involvement of privates in strategic plans for cultural development and valorization agreements as referred to
in Articles 112 and 115 of the Code of Cultural Heritage.
The private-public valorization of culture, under the new national legislation and International and European
laws is in a sort of "socialization progress".
From the concept of culture as a new social right comes a big news in Italian legislative order. In addition to
the constitutional provisions for the protection of landscape and historical and artistic patrimony of the
Nation, new constitutional obligations should also be added to the protection of the "essential levels of
performances for social and civil rights" as referred to in Article120, paragraph 2 of the Constitution. The
social value given to supply of cultural services to citizens should correspond to an equal social value given
to the demand from citizens, i.e. a "right to cultural fruition" as protected by art .1 of the Code of Cultural
Heritage.
Shall exist a right to the fruition of culture and art as an "essential level of performance" which the Republic
has to provide citizens?
The new creative opportunities in a “Culture 3.0. digital world” will provide new answers in terms of
participation and place-based approach?
ESPERIENZE DI FINANZA DI PROGETTO NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI
In altra parte dei nostri più recenti studii abbiamo espresso dei dubbi circa le conseguenze delle previsioni
del D.Lgs 228/11 e delle normative connesseii in ordine agli interventi per la tutela dei beni culturali, laddove
tale decreto delegato prevede l'obbligatorietà di piani economico-finanziari per la finanziabilità degli
interventiiii, l'obbligatorietà di analisi del rischio tipiche dei PPPiv, rinvi a documentazioni relative alla finanza
di progettov non coerenti con la documentazione prevista dalla normativa regolamentare sui beni culturalivi,
riferimenti obbligati ad indicatori bancari e finanziarivii tipici del PPPviii per la selezione degli interventi, etc.,
mentre, per come noto, la grandissima parte dei lavori per la conservazione dei beni culturali sono effettuati
con regimi contrattuali di appalto e non di concessione, finanza di progetto o PPP.
Abbiamo paventato anche che le possibili conseguenze dell'inopinata applicazione del Decreto Delegato
succitato potrebbero essere quelle di abbandono all'incuria del grande patrimonio culturale italiano causa
l'ineleggibilità a finanziamento di progetti privi della documentazione o degli indicatori sopra indicati.
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In altro saggioix abbiamo spiegato anche le gravi ragioni di congiuntura economica internazionale, poi
precipitate nell' Eurostat 2010x, che hanno condotto il legislatore a sceltexi, giustificate sul piano dell'urgenza,
ma forse non meglio ponderate dal punto di vista della costituzionalità e della coerenza con l'ordinamento
giuridico tanto in termini di contrattualistica pubblica come in quelli della specificità normativa dei beni
culturali.
Rimane il fatto che gli strumenti indicati dal legislatore della citata decretazione delegata sono quelli della
concessione, finanza di progetto, PPP, etc., tutti riassunti nella Parte III relativa alle concessioni e nella Parte
IV del Codice dei Contratti Pubblici relativa al Partenariato Pubblico Privato (PPP).
In proposito, resta da osservare che da tempo ci si interroga sin'anco sulla validità degli stessi strumenti del
project finance e del contratto di concessione per la realizzazione di interventi di conservazione e
valorizzazione per i beni culturalixii.
Chi scrive, come da nota 12, ha rilevato in tutta Italia solo 7 casi di finanza di progetto realizzata nel settore
culturalexiii.
La Sezione di Controllo della Corte dei Conti, però, in un suo recente rapporto sulle sponsorizzazioni ed il
partenariato pubblico privato ha evidenziato l'insuccesso degli istituti della finanza di progetto e concessione
nel periodo preso ad analisi causa la totale assenza di iniziativexiv.
In un recente studio del MIBACT sono stati presi ad esami due casi di project finance nel settore dei servizi xv.
Nessuno nel settore dei lavori pubblici per i beni culturali.
Idem in un testo del DIPE pubblicato nel 2015 non viene fatto alcun riferimento ad esperienze di successo di
concessioni e/o project financing nel settore dei lavori per i beni culturalixvi.
Uno studio commissionato a Studiare Sviluppo nell'ambito del progetto EPAS ha, poi, studiato una legge
regionale che trattava di finanza di progetto e finanziamento dei relativi studi di fattibilità per il settorexvii.
Trattavasi di una legge della Regione Liguria, l’art.11 della L.R. n. 31/2007, che metteva a disposizione
attraverso la FI.L.S.E. S.p.A, la finanziaria regionale, un fondo per la promozione di tecniche di
finanziamento delle opere di interesse pubblico che implicano il ricorso al partenariato pubblico privato
anche per la valorizzazione dei beni culturalixviii ed Infrastrutture per il tempo libero e attività culturali (ad es.:
teatro, cinema, spettacoli). Esaminando gli studi di fattibilità finanziati dal Fondo gestito dal FILSE si legge
che è stato approvato un Intervento di riqualificazione Castelletto Genovese di Porto Venere per un
investimento previsto di 2.000.000 di euro.
Attenzione, però, è stato finanziato solo lo studio di fattibilità non l'intervento né tanto meno sono state
avviate le procedure di garaxix. Siamo ovvero in una fase molto preliminare.
Il caso ligure non ci è, infatti, utile ad indicare un caso di best practice di progetto avviato con le procedure
della concessione e/o della finanza di progetto per l'area dei beni culturali.
Eppure tante speranze erano state suscitate dallo strumentoxx.
In tempi di ristrettezza di bilancio e Fiscal Compact, con la scure di Eurostat xxi gravante sulle speranze di
indebitamento, il project finance era sembrata un'alternativa vera xxii al fine della intrapresa di politiche di
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valorizzazione e conservazione dei beni culturali (ferma restando la tutela a carico dello Stato e della
Regione Siciliana).
Sciullo, in proposito, sulla scorta della vicenda della positiva risposta dalla Corte di Giustizia Europeaxxiii sulla
questione dell'ammissibilità della scelta del concessionario all'interno di un bando per la scelta del socio
privato, interpretò con grande favore gli effetti di tale sentenza come estesi anche alla questione dello
scollamento tra art.112 ed art.115 del D.Lgs 42/04xxiv. Sciullo, dunque, affermava che alle forme di gestione
testualmente previste dall'art. 115 del Codice (gestione diretta ed indiretta) dovevano aggiungersi, perché
“consentite dall'ordinamento comunitario, la gestione tramite entità mista con partner "d'opera" privato,
scelto mediante gara”. Ovvero un PPP istituzionalizzato. Concludeva Sciullo “non può che esprimersi la
speranza che le istituzioni pubbliche e i privati operatori, profit e non profit, valutino con attenzione le
possibilità che la pronuncia Acoset schiude”.
In altri termini, l'autore vedeva rispetto alle mancate attenzioni del mercato rispetto alla finanza di progetto
nel settore culturale una possibilità di rilancio a mezzo del PPP istituzionale oggi legittimato, non solo
sentenze della Corte di Giustizia Europeaxxv, ma anche dall'art.5 del D.Lgs 50/16 ed in particolare dal comma
3 dello stesso articolo sulla gestione in house.
In proposito, la Corte dei Conti nella Relazione citata in nota scrive che “interferisce con la disciplina
generale del project financing la normativa in materia di tutela contenuta nel codice dei beni culturali e del
paesaggio. Il codice prevede, infatti, un doppio regime di autorizzazioni in relazione ai beni appartenenti al
patrimonio culturale e, segnatamente:
-
- un controllo preventivo della soprintendenza sul progetto e sull’esecuzione dei lavori volto a
prevenire manomissioni o alterazioni pregiudizievoli dei caratteri distintivi del bene culturale (art. 21);
- - un controllo da parte della soprintendenza sull’uso del bene culturale diretto ad evitare pregiudizi
per la conservazione del bene e il decoro della sua immagine (artt. 57-bis e 106).
Tale doppio regime autorizzatorio della Soprintendenza, necessario per il peculiare valore del patrimonio
oggetto di investimento, ha verosimilmente reso non attrattivo l'investimento causa il forte rilievo del rischio
burocratico tanto in termini di rischio di costruzione e di rischio di disponibilitàxxvi, per rimanere nei termini
delle definizioni Eurostat 2004 e di cui all'art.3 aaa), bbb), ccc) del Codice Contratti Pubblici vigente.
E' ovvero comprensibile che un investitore privato si ritiri da ogni proposito di ingente investimento per la
realizzazione di opere pubbliche nel settore laddove incomba la spada di Damocle di una eventuale mancata
autorizzazione sull'esecuzione dei lavori o sulla gestione del bene oggetto di investimento.
Tanto considerato dal punto di vista della disastrosa esperienza applicativa della finanza di progetto e della
concessione lavori per la valorizzazione dei beni culturali dal punto di vista della conservazione, andiamo ai
più ostici profili normativi.
EUROSTAT E TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE
Prima di esaminare il tema giuridico occorre però fare una breve digressione al fine di capire le ragioni di un
certo recente cambiamento di atteggiamento da parte delle Istituzioni pubbliche e della esclusione de facto
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della finanza di progetto e delle concessioni dal novero dei sistemi per la realizzazione di interventi sui beni
culturali.
Da tempo l'Ufficio Eurostat della Commissione Europea, per obblighi legati ai vincoli di bilancio xxvii, vigila
sull'indebitamento degli Stati. Uno dei principali oggetti di attenzione è il settore della finanza di progetto.
Tra le tante condizioni per rimanere off-balance, ovvero non gravanti sull'indebitamento dello stato, i progetti
devono ricevere un totale di agevolazioni non superiore al 50% del valore degli asset oggetto di
investimentoxxviii.
Considerato che le opere in PPP nel settore dei beni culturali, per come visto sopra, di fatto imposte dal
D.Lgs 228/11, richiedono quasi sempre (causa la natura “non calda” del settore) contributi pubblici a titolo di
prezzo al fine del raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario, difficilmente si potrà rimanere sotto la
soglia del 50% di sostegno pubblico rispetto al valore degli asset oggetto di investimento (49% oggi è il limite
fissato dall’art. 180 comma 6 del Codice Contratti).
Il settore culturale richiede, sempre e comunque, qualche forma importante di sostegno: tali sostegni in
termini di agevolazione fiscale (exemptions from liabilities), di contributi a fondo perduto su stato di
avanzamento o in conto gestione (no-refundable milestone payments), di prestito bancario (loan), di
partecipazione di capitale (equity), in garanzia per la copertura del rischio (financing guarantees), ect.,
comunque cumulati non devono superare, però, il 50% sul valore secondo un documento Eurostat del
settembre 2016xxix.
Il problema è che Eurostat considera quale indebitamento pubblico da collocare on-balancexxx anche i
finanziamenti, equities, garanzie, etc, dati da finanziarie pubbliche (non solo , dunque,i fondi perduti!!) anche
a regime di mercato a progetti di investimento in project finance.
Ergo, a causa delle decisioni “soft-law” di Eurostat lo Stato Italiano dovrebbe essere obbligato, comunque, a
collocare tali progetti in PPP on-balance governativo, ovvero gravanti sul debito pubblico, rendendo,
probabilmente, vano il senso e l’impianto stesso del Decreto Legislativo 228 mirato a portare, invece il carico
debitorio off-balance ovvero sui privati concessionari.
La scelta che sembra, invece, avere prevalso, lo anticipiamo, è quella di sottrarsi al rischio della “censura” di
Eurostat e considerare le spese per il patrimonio culturale quale spese giustificate dagli obblighi di tutela
previsti dalla Costituzione per finalità sociali e non per finalità commerciali.
Si è probabilmente considerato che il rimanere nella definizione commerciale mercatistica del valore
finanziariamente “bancabile” e misurabile potrebbe comportare, comunque, il rischio di fare rientrare il tutto
nell'indebitamento pubblico, causa la necessità di contributi pubblici per il settore: dal 2016 Eurostat,
ripetiamo, considera quale indebitamento pubblico on-balancexxxi anche i finanziamenti dati da finanziarie
pubbliche (non solo i fondi perduti!!) a privati per progetti di investimento in project finance o concessioni o
PPP.
Sui motivi sentiamo, in proposito, ora il Carpentieri: “Lo schema concettuale all'interno del quale si è irrigidita
la burocrazia che si occupa, sia a livello nazionale che a livello europeo, della tematica degli aiuti di Stato
(più che della tematica degli aiuti di Stato si tratta delle regole Eurostat) implica, nonostante la motivata
opposizione del Ministero, ufficialmente rappresentata nelle sedi appropriate, che debba considerarsi
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“operatore economico” soggetto al regime dell'evidenza pubblica nella scelta dei partners privati e ai controlli
in tema di aiuti di Stato, non solo un teatro pubblico o una fondazione lirico-sinfonica (formalmente privata,
ma sostanzialmente pubblica) ma anche (addirittura) un museo ed un area archeologica, se ed in quanto
emetta biglietti per l'ingresso e offra servizi aggiuntivi di accoglienza del pubblico con l'effetto, dal nostro
punto di vista decisamente paradossale, per cui si assoggetterebbero ai controlli sugli aiuti di Stato,
ancorche nel regime semplificato del così detto regolamento di esenzione n. 651/2014, anche le spese
statali di investimento per interventi di manutenzione e restauro di beni culturali pubblici, considerati
infrastrutture culturali, spese che, invece per noi, sono chiaramente strumentali alla funzione di tutela, che è
una funzione indefettibile di conservazione dello Stato, che nulla ha a che vedere con la concorrenza ed il
mercato. Con la conseguenza che, dal lato del diritto europeo (e interno) della concorrenza, che investe
appieno il segmento delle commesse pubbliche, ogni rapporto tra una pubblica amministrazione ed un
privato che non sia di pura liberalità e che assuma, invece, una qualche connotazione di corrispettività e di
titolo oneroso e di scambio, tende ad essere attratto nell'orbita dell'evidenza pubblicaxxxii”.
Di più non è il
caso di aggiungere circa le ragioni della svolta.
Il legislatore sta, dunque, cominciando a smentire l'impostazione del D.Lgs 228/11, cui si cennava all'inizio,
virando verso un'accezione sociale dell'investimento nel settore culturale. Tra breve la esamineremo
compiutamente.
L'ART. 151 COMMA 3 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
L'art. 151 al 3 comma prevede che per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e
favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo può attivare “forme speciali di partenariato” con enti e organismi pubblici e con soggetti privati,
dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla
pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure semplificate di
individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1 dello stesso
articolo 151.
Il comma 1 dell'art. 151, a sua volta, rimanda alla disciplina di cui all’articolo 19 del Codice dei contratti. In
esso si stabilisce una procedura assolutamente incompatibile con quella della finanza di progetto. Ovvero,
“l'affidamento di contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture per importi superiori a quarantamila
euro, mediante dazione di danaro o accollo del debito, o altre modalità di assunzione del pagamento dei
corrispettivi dovuti, è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione
appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per
specifici interventi, ovvero si comunica l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione,
indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione
dell’avviso, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di
parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto
dell’articolo 80xxxiii”.
Con circolare interpretativa MIBACT del 9 giugno 2016xxxiv è stato chiarito che la proposta di
sponsorizzazionexxxv non configura di per sé alcun obbligo di pubblicare l'avviso sul sito del ministero in
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quanto l'amministrazione è tenuta a vagliare, in via preliminare, l'ammissibilità della proposta sotto il profilo
della compatibilità della controprestazione richiesta con le esigenze di tutela del bene culturale e della
congruenza dell'offerta economica o dell'utilità prospettata, compiendo ogni sforzo "ragionevole e
proporzionato" per colmare eventuali lacune o carenze della proposta suscettibili di miglioramento. In virtù
del principio del soccorso istruttorio ex-art. 6, comma 1, lett. b) della legge n. 241/1990, l'amministrazione,
eccezion fatta per i soli casi di assoluta irricevibilità della proposta, dovrà interloquire con il proponente
sollecitando chiarimenti e/o proponendo integrazioni per definire i contorni di una proposta in linea con le
esigenze di tutela e valorizzazione del bene culturale di cui all'art. 120 del codice dei beni culturalixxxvi.
E' importante sottolineare, per come rilevato da Carpentieri e da Sau, che l'avviso persegue solo finalità
informative di pubblicità e trasparenza e non sollecita un confronto concorrenziale tra imprese. Cambia
ovvero la finalità della comunicazione destinata non alla tutela della concorrenza ma alla trasparenzaxxxvii.
Ne consegue che decorsi trenta giorni dalla pubblicazione dell'avviso di avvenuta ricezione di una proposta
di sponsorizzazione e purché non siano presentate proposte contrattuali alternative l'amministrazione
dovrà procedere alla stipula del contratto con l'impresa proponente definendo nel dettaglio, attraverso la
negoziazione delle clausole accessorie il contratto. Estranei alla negoziazione sono gli elementi essenziali
del contratto citati nell'avviso di sponsorizzazione, sui quali si è formata la volontà a contrarre
dell'amministrazione, pena la violazione dei principi di trasparenza, pubblicità, parità di trattamento ed
imparzialità.
Nel caso dovesse pervenire una controproposta ulteriore di sponsorizzazione o di forma speciale di
partenariato nei trenta giorni si deve procedere al confronto concorrenziale.
Ai fini del detto confronto concorrenziale la circolare interpretativa MIBACT del 9 giugno 2016 afferma che
nel caso di sponsorizzazione pura il confronto potrà prevedere la fissazione di un termine per la
presentazione di offerte in aumento, con il conseguente affidamento in favore dell'impresa che avrà offerto la
somma maggiore. Sembra, dunque, che l'amministrazione, non potendo allargare la propria azione alla
valutazione di elementi non economici o non misurabili in termini quantitativi e aritmetici, non potrà
considerare gli elementi migliorativi che attengono alla controprestazione dello sponsee.
Secondo la Sau detti elementi migliorativi “oltre ad essere suscettibili di apprezzamento sul piano
economico, non sono affatto neutrali rispetto alle esigenze di protezione e di fruizione del bene che
dovrebbero (sempre) guidare la scelta amministrativa”xxxviii.
Nella ipotesi di sponsorizzazione tecnica, però, la circolare ammette una valutazione comparativa tra l'offerta
tecnica del primo proponente e quella o quelle successivamente presentate con un apprezzamento tecnicodiscrezionale dei progetti di intervento da realizzarsi a cura o a spese dello sponsor, escludendo però, anche
in tal caso, ogni valutazione dei profili relativi alle modalità promozionali.
Nell'ipotesi che l'amministrazione abbia manifestato l'interesse ad acquisire risorse private per la
sponsorizzazione di un'iniziativa di tutela o valorizzazione senza ottenere alcuna risposta, essa può
ripubblicare l'avviso con le modifiche (a partire dal tipo di sponsorizzazione richiesta) o le integrazioni (ad
esempio sul piano promozionale) che possano rendere il progetto maggiormente appetibile per le impresexxxix.
La Direzione Generale Bilancio del MIBACT ai sensi dell'art. 24, comma 2, lett. ee), d.p.c.m. n. 171/2014,
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deve promuovere progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta fondi, anche attraverso le
modalità di finanziamento collettivo, ovvero ha competenza generale per le forme contrattuali di
sponsorizzazione come per le nuove forme speciali di partenariato basate sulla stessa procedura.
In ottemperanza delle competenze ad essa assegnate dal regolamento, la DG Bilancio dovrebbe, dunque,
coordinare le strutture periferiche, da esso dipendenti, dei segretariati regionali, che a loro volta assistono gli
altri uffici territoriali, nella programmazione ed attivazione degli interventi da finanziare tramite
sponsorizzazione o con forme speciali di partenariato .
A ns avviso, a termini delle competenze regolamentari di coordinamento e sulla materia, la DG Bilancio
dovrebbe supportare tecnicamente il monitoraggio su scala nazionale di tali attività di gara per i profili legati
al diritto europeo sugli aiuti di Stato e sulla concorrenza. Tanto per i fini ricognitivi di cui agli obblighi di
monitoraggio dei PPP previsti dall'art.180, comma 8 del Codice dei Contrattixl, anche se, come ovvio, non
concentrando l'attenzione sul tema della distribuzione dei rischi, per come previsto da ANACxli.
Va da sé, che gli obblighi di monitoraggio di cui al D.Lgs 229/11 siano a carico della singola stazione
appaltante.
Tornando alla lettera del comma 3 dell'art.151 resta da osservare che le attività di conservazione,
valorizzazione e gestione del bene possono essere finanziate attraverso sponsorizzazioni, erogazioni liberali
o campagne di raccolta fondi ovvero nelle forme del finanziamento collettivo, al fine della valorizzazione
integrata dei beni culturali delineata dal d.lgs. n. 42/2004 e per il rilancio dei piani strategici di sviluppo
culturalexlii.
Osserviamo che, se si volesse poi coniugare in toto la forma speciale di partenariato con la normativa noprofit, si vedrà che, per come esamineremo tra breve, a norma dell'art.71 3° comma del D.Lgs 117/17
(Codice del Terzo Settore) deve essere applicato il comma 3 dell'art.151 relativo appunto alle forme speciali
di partenariato nel settore dei beni culturali. Ergo, potranno essere promosse iniziative per raccolte
occasionali di fondi al fine di reperire risorse finanziarie, sotto forma di titoli di solidarietà, social-lending e
social-bonus, etc., finalizzate solo ed esclusivamente all'obiettivo della valorizzazione integrata dei beni
culturali, per come previsto dal D.Lgs 117/17.
Il partenariato in questione può, inoltre, assumere spessore organizzativo con la previsione di cabine di regie
(o steering committee, per dirla come nei progetti europei) a composizione paritetica con il partner privato. A
tali comitati potrebbero essere demandati il compito della raccolta dei dati di monitoraggio, per i profili di cui
all'art.180 comma 8 del D.Lgs 50/16 e, come ipotizzato prima, con il supporto tecnico della Direzione
Generale Bilancio, e la connessa eventuale revisione e riformulazione contrattuale per la fase esecutiva.
E' evidente che il riferimento normativo alla pubblica fruizione e alla valorizzazione di beni culturali immobili,
non può essere stato casuale nell'art.151 comma 3.
L'istituto delle forme speciali di partenariato può dunque essere applicato anche in sede di accordi di
valorizzazione di beni culturali pubblici di cui all'art. 112 del Codice dei Beni Culturali tesi a creare piani
strategici di sviluppo culturale tra soggetti pubblici e privati (anche riuniti in soggetti giuridici) e a creare
servizi strumentali comuni per la detta valorizzazione dei beni culturali. Carpentieri in proposito sostiene che
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le forme speciali di partenariato potrebbero essere applicate tanto in fase ascendente o di definizione degli
accordi di valorizzazione quanto in fase discendente o di attuazione degli accordixliii.
Ci si consenta su un punto non essere d'accordo con il Carpentieri allorchè questi limita l'applicazione delle
forme speciali di partenariato “alla sola ricerca scientifica applicata alla tutelaxliv”. La lettera dell'art.151 invero
prevede azioni per “il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla
pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili” serventi rispetto all'obiettivo generale di
“assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e favorire la ricerca scientifica applicata alla
tutela”.
Concordiamo, invece, sulla eccessiva genericità del richiamo alle procedure semplificate per l'individuazione
del partner e di cui all'art. 19 del Codice contratti.
Il rapporto pubblico privato della forma speciale di partenariato, dice il Carpentieri., può raffigurarsi in una
dinamica a “formazione progressiva” resa favorevole dalla detta genericità delle previsione.
Con step
successivi, da un primo rapporto di mecenatismo, si potrebbe secondo l'autore sviluppare, un legame di
maggiore spessore all'interno del quale possono confluire apporti e rapporti di varia natura, la donazione di
servizi, la formazione sul campo, la collaborazione per gli scavi archeologici, azioni di informazione e
coesione sociale sul territorio, progetti di fruizione e valorizzazione, etc..
L'art.89 comma 17 del Codice del Terzo settore, che tra poco esamineremo, corroborerà la tesi della totale
estendibilità delle forme speciali di partenariato agli accordi di valorizzazione. Ci si consenta di osservare,
però, che è singolare che tale precisazione normativa venga fatta in un testo di legge esterno al Codice dei
Beni Culturali o al Codice dei Contratti Pubblici.
PECULIARITA' DEL SETTORE DEI BENI CULTURALI E ABROGAZIONE DEI RIFERIMENTI ALLA
FINANZA DI PROGETTO
Bisogna innanzitutto preliminarmente ricordare che è preclusa ai privati qualsiasi funzione o competenza in
ordine alla tutela dei beni culturali, che sia riservata in via esclusiva ai soggetti pubblici. In tal senso militano,
inequivocabilmente, le norme di cui agli artt. 4, 6 e 111 del codice dei beni culturali e del paesaggio.
La Corte dei Conti nella relazione succitata scrive: “L’applicabilità del project financing nel settore dei beni
culturali è espressamente ammessa sia dal d.lgs. n. 163/2006 che dal d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 207
(regolamento di attuazione dei lavori pubblici).
L’art. 197, c. 3, del d.lgs. n. 163/2006, prevede, infatti, che la disciplina del promotore finanziario e della
società di progetto si applichi anche all’affidamento di lavori e servizi relativi ai beni culturali, nonché alle
concessioni di cui agli artt. 115 e 117 del d.lgs. n. 42/2004.
L’art. 197, c. 1, richiama, inoltre, l’applicazione della parte II, titolo II, capo II, del d.lgs. n. 163/2006, ovvero le
norme sulla concessione di lavori pubblici”.
Quella descritta dalla Corte era la situazione del diritto positivo prima del nuovo Codice xlv. Nel nuovo Codice
quella posizione è stata confermata? La risposta è no e per una serie di considerazionixlvi.
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La prima è che l'art. 197, 3 comma del D.Lgs 163/06 è stato abrogato ma non sostituito con un simile
articolato. Il rinvio previsto dall'art.197 alla finanza di progetto ed alla concessione ritenute come applicabili
all’affidamento di lavori e servizi relativi ai beni culturali non è stato più esplicitamente fatto nel D.lgs 50/16.
Nel D.Lgs 50/16 art. 145 comma 3, si prevede che “per quanto non diversamente disposto nel presente
capo, trovano applicazione le pertinenti disposizioni del presente codice”. Tale norma residuale non richiama
dunque esplicitamente la finanza di progetto e la concessione come attuabile per l’affidamento di lavori e
servizi nel settore culturale.
Va ora considerato che lo stesso codice nella parte relativa ai beni culturali regolamenta, diversamente ed in
modo, come vedremo tra poco, non compatibile proceduralmente, la fattispecie del PPP con l'istituto delle
“forme speciali di partenariato”.
Questo nuovo istituto, come detto sopra, riguarda il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la
gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili.
La differenza sostanziale e grossa è di carattere procedurale. Mentre tutti gli altri PPP previsti dal Codice,
ovvero PPP puro, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, cessione di immobili in cambio di opere,
baratto amministrativo e interventi di sussidiarietà orizzontale, a norma del comma 16 dell'art. 183, fanno un
richiamo per la procedura alla finanza di progetto di iniziativa privata di cui al comma 15 dell'art. 183, molto
diversamente fa il citato articolo 151 comma 3 relativo al settore dei beni culturali.
Infatti il comma 3 dell'art. 151 rimanda a “procedure semplificate di individuazione del partner privato
analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dal comma 1”.
Il comma 1 dell'art. 151, come visto, a sua volta rimanda alla disciplina di cui all’articolo 19 del Codice dei
contratti. In esso si stabilisce una procedura, come già detto, assolutamente incompatibile con quella della
finanza di progetto. Ovvero, la sola previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per
almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici
interventi, ovvero si comunica l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando
sinteticamente il contenuto del contratto proposto e la successiva libera negoziazione.
Per come evincibile dal doppio rinvio del comma 3 alla procedura di sponsorizzazione e non alla procedura
di finanza di progetto per come previsto dalle altre forme di PPPxlvii (ex-art.183 comma 16xlviii), è evidente che
la “forma speciale di partenariato” è una specifica e particolare forma di partenariato propria delle
prerogative ordinamentali della fattispecie della tutela del patrimonio culturale.
Se ne ricava che la previsione dell'art. 145 comma 3, che “per quanto non diversamente disposto nel
presente capo, trovano applicazione le pertinenti disposizioni del presente codice”, fa sì che la previsione
unica della “forma speciale di partenariato” per i beni culturali, con una propria procedura nettamente diversa
da quella degli altri PPP, sia escludente e faccia si che non trovino applicazione le pertinenti disposizioni del
Codice nel capo III sui beni culturali, con riferimento alle concessioni, finanza di progetto e tutti gli altri PPP.
Tanto ribadisce la peculiare specificità della normativa sui beni culturali dotata di un proprio Codice dei Beni
Culturali, di un proprio Capo all'interno del Codice dei Contratti (il Capo III) e ora anche di un proprio
regolamento ovvero il DM 22 agosto 2017 n. 154.
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Dunque, in nome di tale peculiarità sembrerebbe che a norma dell'art. 151 comma 1 richiamato dall'art. 151
comma 3 “nel settore dei lavori, servizi o forniture relativi a beni culturali di cui al presente capo” non si
applichi altro PPP che quello delle forme speciali di partenariato.
A corroborare questa interpretazione sta ora anche il DM 154 del 2017 recante il regolamento sugli appalti
pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42" di
cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Il vecchio DPR 207/2010 al comma 7 art.. 242, infatti, sui “progetti preliminari per i lavori riguardanti i beni del
patrimonio culturale” richiamava espressamente “l'articolo 153 del codice in attuazione dell'articolo 197,
comma 3, del codice”, relativi appunto alla finanza di progetto nel vecchio codice di cui D.lgs 163/06.
Ed ancora il comma 8 dello stesso art. 242 sui “progetti preliminari per i lavori riguardanti i beni del
patrimonio culturale” faceva altro riferimento alle “concessioni affidate secondo le procedure previste
dall'articolo 153 del codice in attuazione dell'articolo 197, comma 3, del codice”.
Orbene tali riferimenti alla finanza di progetto ed alle concessioni nel nuovo regolamento sui lavori nei beni
culturali sono spariti.
E' un caso che siano spariti gli espressi riferimenti alla finanza di progetto e alle (quasi) gemelle concessioni
per i lavori tanto nel nuovo Codice dei Contratti Pubblici quanto nel nuovo Regolamento sugli appalti pubblici
di lavori riguardanti i beni culturali tutelati?
No, non è un caso.
Ancora nella documentazione elencata dall'art. 14 e ss. del dm 154/17 per i lavori sui beni culturali non
risultano da nessuna parte i piani economico-finanziari, previsti dall'art.183 per l'avvio della finanza di
progetto e della concessione ex-art. 165 comma 3, nonché dall'art.4 comma 4 del D.Lgs 228/11.
D'altronde, mancando piani economico finanziari nella documentazione prevista dal regolamento per i lavori
nei beni culturali quale banca finanzierebbe mai lavori da realizzarsi con concessioni o finanza di progetto?
La mancanza dello strumento del business plan nella documentazione per i lavori del settore crea
insormontabili problemi operativi.
Sembra, dunque, messa la pietra tombale su tutte le forme di PPP diverse dalle forme speciali di
partenariato.
E' corretta questa interpretazione quasi estremistaxlix?
Sì, con riferimento ad un certo tipo di lavori non specificamente legati alla valenza sociale dei beni. Vedremo
meglio tra breve cosa si intende. No, ove si faccia riferimento ai servizi.
A nostro avviso il dettato dello stesso Codice dei Contratti, se combinato con il Codice dei Beni Culturali e
con il nuovo Codice del terzo settore di cui al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, fa emergere, piuttosto, la
rinnovata vitalità del settore della valorizzazione del patrimonio culturale a mezzo di servizi resi dal privato, e
segnatamente, del privato sociale o del terzo settore in concessione e/o con altre forme di partenariato,
prima fra tutte, per come ovvio, quella delle forme speciali di partenariato. Esaminiamo ora il Codice dei
Contratti Pubblici.
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INTERVENTI DI PARTENARIATO SOCIALE PER LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI
Se stiamo sul dettato letterale del D.Lgs 50/16 e smi troviamo che espressamente l'art. 189, relativo agli
interventi di sussidiarietà orizzontale, al comma 1, prevede che essi siano relativi alle aree riservate al verde
pubblico urbano e agli immobili di origine rurale, riservati alle attività collettive sociali e culturali di quartiere e
finalizzati alla realizzazione di interventi (anche) su immobili sottoposti a tutela storico-artistica o
paesaggistico-ambientale e subordinati al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle
disposizioni di legge vigenti.
Dunque, ancorchè, in presenza di un mancato richiamo alle concessioni e finanza di progetto, la norma
prevede un eccezione di lavori su beni culturali con uno strumento relativo ai PPP di cui al titolo I della parte
IV del Codice Contratti.
Il punto è che l'intervento di lavori deve rientrare in un iniziativa di sussidiarietà orizzontale l, ovvero allorchè
le dette aree di verde e immobili rurali siano ceduti al comune nell’ambito delle convenzioni e delle norme
previste negli strumenti urbanistici attuativi, possono essere affidati in gestione, per quanto concerne la
manutenzione, con diritto di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette
convenzioni e su cui insistono i suddetti beni o aree, nel rispetto dei principi di non discriminazione,
trasparenza e parità di trattamento. I cittadini residenti costituiscono, allora, un consorzio del comprensorio
che deve raggiungere almeno il 66 per cento della proprietà della lottizzazione. Le regioni e i comuni
possono prevedere incentivi alla gestione diretta delle aree e degli immobili da parte dei cittadini costituiti in
consorzi anche mediante riduzione dei tributi propri. I gruppi di cittadini organizzati possono formulare
all’ente locale territoriale competente proposte operative di pronta realizzabilità,
indicandone i costi ed i
mezzi di finanziamento, senza oneri per l’ente medesimo. L’ente locale provvede sulla proposta, con il
coinvolgimento, se necessario, di eventuali soggetti, enti ed uffici interessati fornendo prescrizioni ed
assistenza. Gli enti locali possono predisporre apposito regolamento per disciplinare le attività ed i processi
del partenariato sociale. Cambia l'approccio: l'iniziativa ed il progetto sono rimessi a consorzi di cittadini
residenti, e non ad imprenditori o a società residenti altrove, le cui quote raggiungano almeno il 66 per cento
della proprietà della lottizzazione.
Il baratto amministrativo, invece, è relativo anche a servizi di valorizzazione culturale e non solo a interventi
fisici di manutenzione e di decoro urbano o recupero e riuso di aree ed immobili in disuso. Con il baratto gli
enti territoriali definiscono con apposita delibera i criteri e le condizioni per la realizzazione di contratti di
partenariato sociale, sulla base di progetti presentati da cittadini singoli o associati, purché individuati in
relazione ad un preciso ambito territoriale. I contratti possono riguardare la pulizia, la manutenzione,
l’abbellimento di aree verdi, piazze o strade, ovvero la loro valorizzazione mediante iniziative culturali di vario
genere, interventi di decoro urbano, di recupero e riuso con finalità di interesse generale, di aree e beni
immobili inutilizzati. In relazione alla tipologia degli interventi, gli enti territoriali individuano riduzioni o
esenzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dalla associazione ovvero comunque
utili alla comunità di riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini
alla stessa.
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Per come evidente, in tutte e due gli interventi, sia nella sussidiarietà orizzontale che nel baratto
amministrativo, devono essere proposti da cittadini singoli o associati, solo che nella sussidiarietà
orizzontale i proponenti devono essere consorziati in un consorzio di cittadini con il 66% delle quote della
lottizzazione nel primo caso.
Non trattasi di interventi di tipo economico-finanziario destinati alle istituzioni bancarie e con le tutele
straripanti ora loro dovute nel nuovo codiceli.
Non sono previsti, in atto, piani economico-finanziari, sistemi di garanzie bancarie per come tipiche della
finanza di progetto, né sostituzioni degli operatori economici da parte delle stesse banche, né asseverazioni
bancarie sugli stessi piani economico-finanziari.
L'asse è spostato sul valore sociale dell'intervento dei cittadini coinvolti nelle politiche di sviluppo e decoro
urbano, nell'attuazione di un principio partecipativo proprio delle politiche comunitarie ed incarnato in primo
luogo dai programmi Leaderlii e dalle altre politiche di sviluppo territoriale, tanto dal punto di vista urbanistico
che imprenditoriale.
Oggi nel nuovo Codice prende risalto la partecipazione dei gruppi organizzati dei cittadini come specifica
valenza per la fornitura di servizi culturali urbani integrati magari in un'ottica di sistema o distretto culturale
coordinato con l'offerta di servizi culturali da parte dei luoghi della cultura ministeriali e/o regionaliliii.
La partecipazione collettiva, in particolare, per come declinabile nell'impresa creativa, tanto può dare alla
creazione di valore aggiunto all'offerta turistico culturale italiana.
Siamo di fronte ad un passaggio da sistemi bancari-finanziari che, come visto, hanno fallito nel rispondere
alle aspettative di ingaggio per la valorizzazione dei beni culturali, a sistemi partecipativi di sviluppo locale a
livello cittadino per l'offerta tanto di piccoli interventi fisici come anche di servizi di valorizzazione.
“L'idea guida, che sembra oggi più proponibile, è quella di un sistema locale integrato che generi, secondo
un processo bottom-up di coinvolgimento delle forze economiche e sociali territoriali, condizioni e pratiche di
sviluppo sostenibile “intelligente”, imperniato sulla creatività e la cultura nella valorizzazione del patrimonio
come rigenerazione e rilancio delle proprie radiciliv”, dice il noto giurista Carpentieri.
Sembra di sentire parlare uno dei profetici teorizzatori delle ragioni dello sviluppo locale e territoriale. Oggi
quelle ragioni partite da lontano, rinforzate prima dal Rapporto Barcalv poi dall'assunzione nel tessuto
regolamentare unionale, sono diventate patrimonio comune e base della stessa migliore analisi giuridica.
LA SPECIFICITA' DEGLI INTERVENTI PER LA VALORIZZAZIONE DEI SERVIZI CULTURALI
L'assunto del passaggio da una concezione commerciale ad una concezione sociale dell'investimento sul
patrimonio culturale, è confermato dai principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni di
cui all'articolo 30 comma 1 del Codice Contratti che a prevede che “l'affidamento e l’esecuzione di appalti di
opere, lavori, servizi, forniture e concessioni garantisce la qualità delle prestazioni e si svolge nel rispetto dei
principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza. (...) Il principio di economicità può essere
subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri,
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previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio
culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico”.
Pertanto, il principio di economicità e i connessi criteri ed indicatori bancari e finanziari sottostanti la
finanziabilità dello strumento della finanza di progetto sono superati per legge dai principi del Codice relativi
alle esigenze di tutela del patrimonio culturale. Questo dovrebbe fare riflettere circa la semplice estendibilità
delle previsioni del D.Lgs 228/11 al settore culturale.
Nello stesso senso, l’art. 4 della convenzione UNESCO, definisce “attività, beni e servizi culturali” quei beni o
servizi che “...incarnano o trasmettono delle espressioni culturali indipendentemente dal loro eventuale
valore commerciale”lvi.
Se a ciò si aggiunge l'obbligo di tutela costituzionale del patrimonio culturale e le correlate previsioni del
diritto penalelvii per la tutela, ne riviene che la protezione dello stesso patrimonio non può essere superata da
valori o indicatori commerciali o finanziari, pena la finanziabilità di pochi interventi effettivamente bancabili
per come l'esperienza degli ultimi anni (a partire dalla Merloni-ter) ci insegna.
Il patrimonio deve essere, dunque, tutelato quale principio di identità collettiva e strumento della memoria
nazionale e di tutte le nazioni del mondo nonchè quale valore indefettibile della stessa convivenza umana,
mai rimesso a condizioni e subordinate di valore bancario o finanziario.
Prima di trattare le novità del Codice sul Terzo Settore, urge, però ora, chiarire ancora la posizione del
legislatore unionale e nazionale sul tema delle specificità e prerogative uniche dei servizi nel settore dei beni
culturalilviii.
Tali servizi sono separati e distinti rispetto agli appalti ordinari poiché inseriti nell'Allegato IXlix. Essi
beneficiano dunque di un regime particolare come quello dell'art.35 del Codice Contratti che prevede quale
soglie di rilevanza comunitaria quella di euro 750.000 per gli appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici
(tra essi quelli culturali) elencati all’allegato IX e le specifiche norme per la pubblicazione degli avvisi e dei
bandi di cui all'articolo 142lx.
Ancora alcuni di tali servizi culturali distinti per CPV sono relativi anche agli appalti riservatilxi. Trattasi dei
servizi di pubblica amministrazione e difesa e servizi di previdenza sociale, Servizi di istruzione e
formazione, servizi di organizzazione di mostre, fiere e congressi per i quali vige il regime degli appalti
riservatilxii. Con gli appalti riservati le stazioni appaltanti possono riservare a talune organizzazioni il diritto di
partecipare alle procedure per l’aggiudicazione di appalti pubblici per contratti che non durano più di tre anni.
I criteri che devono rispettare tali organizzazioni sono: a) l’organizzazione deve avere come obiettivo
statutario il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi culturali
sopra indicati; b) i profitti dell’organizzazione devono essere reinvestiti al fine di conseguire l’obiettivo
dell’organizzazione. Se i profitti sono distribuiti o redistribuiti, ciò dovrebbe basarsi su considerazioni
partecipative; c) le strutture di gestione o proprietà dell’organizzazione che esegue l’appalto sono basate su
principi di azionariato dei dipendenti o partecipativi, ovvero richiedono la partecipazione attiva di dipendenti,
utenti o soggetti interessati;
d) l’amministrazione aggiudicatrice interessata non ha aggiudicato
all’organizzazione un appalto per i servizi in questione negli ultimi tre anni.
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La peculiarità dei servizi in alcuni settori del mondo culturale ha determinato la individuazione della suddetta
categoria speciale chiamata appalti riservati.
Come sopra evidente, anche negli appalti riservati, cioè extra-partenariato sociale o forme speciali di
partenariato, ritorna prepotentemente la valenza sociale, partecipativa e no-profit degli interventi nel settore
sociale e culturale, ad es. con la previsione del reinvestimento degli utili e quella dell'azionariato dei
dipendenti.
I servizi culturali sono di fatto un mondo a sé. Il Codice dei Beni Culturali li disciplina in modo diverso da
quelli degli altri settori.
Ai sensi dell'art. 112 del D.Lgs 42/04 lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi
di valorizzazione,
per elaborare i conseguenti piani strategici di
relativamente ai beni culturali di
pertinenza
sviluppo culturale e i programmi,
pubblica. Tali accordi possono essere conclusi su base
regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l'integrazione,
nel processo di valorizzazione
concordato,
delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli
accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata, previo consenso degli interessati.
Lo Stato e i privati possono costituire appositi soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei
piani. A tali soggetti giuridici possono partecipare privati proprietari di beni culturali suscettibili di essere
oggetto di valorizzazione, nonché persone giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non
dispongano di beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l'intervento in tale
settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto. Anche indipendentemente dagli
accordi di valorizzazione, possono essere stipulati accordi tra lo Stato, per il tramite del Ministero, le regioni,
gli altri enti pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni destinati alla
fruizione e alla valorizzazione di beni culturali. Con gli accordi medesimi possono essere anche istituite
forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni. Per le stesse finalità, ulteriori accordi
possono essere stipulati dal Ministero, dalle regioni, dagli altri enti pubblici territoriali, da ogni altro ente
pubblico nonché dai soggetti giuridici, con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati
requisiti, che abbiano per statuto finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei beni culturali.
Anche qui, nel contesto del Codice dei Beni Culturali, ritorna il valore partecipativo e sociale a mezzo degli
accordi con le associazioni associazioni culturali o di volontariato.
Le attività di
valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta dal
pubblico o in forma indiretta con il supporto dei privati.
La gestione indiretta e' attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma
congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni o dei soggetti giuridici sulla base della valutazione
comparativa di specifici progetti. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il
concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di
pertinenza pubblica e ne curano l'aggiornamento periodico.
Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alla gestione indiretta al fine di assicurare
un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali. La scelta tra le due forme di gestione e' attuata
mediante valutazione
comparativa
in
termini
di
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sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia,
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sulla base di obbiettivi previamente definiti. Le amministrazioni cui i beni pertengono e, ove conferitari dei
beni, i soggetti giuridici costituiti regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione
mediante contratto di servizio correlato al contratto di concessione, nel quale sono determinati, tra l'altro,
i contenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione ed i relativi tempi di attuazione, i livelli
qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, nonché le professionalità degli addetti. Nel
contratto di servizio sono indicati i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la
pubblica fruizione del bene.
Alla concessione delle attività di valorizzazione può essere collegata la concessione in uso degli spazi
necessari all'esercizio delle attività medesime, previamente individuati nel capitolato d'oneri.
I servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene sono quelli
indicati dall'art. 117 con riferimento agli istituti e nei luoghi della cultura indicati all'articolo 101 ovvero servizi
di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico. Tra i servizi indicati a titolo esemplificativo dall'art. 117 vi
sono:il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i
sussidi
catalografici,
audiovisivi
e
informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; i servizi riguardanti beni
librari
e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;la
gestione
di
raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione
commerciale delle riproduzioni dei beni; i
servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di
intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; i
servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali,
nonché di iniziative promozionali. I servizi su indicati possono essere gestiti in forma integrata con i servizi
di pulizia, di vigilanza e di biglietteria.
Il DM 29 gennaio 2008 emanato dal Ministero per i Beni Culturali disciplina le modalità di affidamento ai
privati dei servizi su indicati consentendo il ricorso ai contratti di concessione e finanza di progetto in casi
particolari, portando, in quest'ultimo caso, la durata della concessione servizi da otto (4+4) anni alla durata
necessaria per l'ammortamento dell'investimento.
La genericità e il limite di durata ordinario previsto nel detto decreto forse ha contribuito al fallimento
applicativo dell'istituto concessorio esteso ai lavori.
E' vero, ma è anche vero che l'operazione di PPP richiede costi elevati già in fase di impostazione e per
giustificare tali costi (progettazione economico-finanziaria, tecnica, auditing bancari, valutazione dei rischi,
etc) è necessario un costo elevato di investimento minimo.
In altri termini l'investimento medio per i servizi essendo basso rispetto ai normali project per i lavori non si
rivela conveniente rispetto ai normali parametri dei mercati finanziari. Aumentare tali costi artificiosamente
porterebbe per contro a non rispettare il parametro del value for money, ovvero la giustificazione della
convenienza per l'amministrazione della scelta del PPP rispetto ai tradizionali appalti di servizilxiii.
“Affinchè tale convenienza sussista è auspicabile che le amministrazioni affidino la gestione di servizi
culturali utilizzando non soltanto un'integrazione dei servizi interna ad una medesima struttura, ma anche
un'integrazione territoriale, che coinvolga la gestione di più servizi relativi a più centri culturali disseminati sul
territorio. Ciò potrebbe favorire economie di scala nella gestione dei servizi e rendere più conveniente
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l'operazione anche per il soggetto privato che dovrà ottenere una remunerazione adeguata della gestione
del servizio in grado di generare, nella fase di gestione, flussi di cassa sufficienti a rimborsare il debito
contratto ed il capitale di rischiolxiv”.
IL CODICE DEL TERZO SETTORE E LA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI
Affrontiamo ora le norme del nuovo Codice del Terzo settore, di cui al Decreto Legislativo 3 luglio 2017
n.117, e, segnatamente, quelle in materia di valorizzazione dei beni culturali,
L'art. 5 rubricato attività di interesse generale prevede che gli enti del Terzo settore esercitano in via
esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di
finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si considerano di interesse generale, se svolte in conformità
alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio, le attività aventi ad oggetto, tra le altre, interventi di
tutela e valorizzazionelxv del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42; di organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale,
incluse attività, anche editoriali, di promozione e diffusione della cultura e della pratica del volontariato e
delle attività di interesse generale; di organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale,
culturale o religioso; di riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità
organizzata.
L'art. 71 comma 3 prevede che i beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali
e degli altri enti pubblici, per l'uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono
interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività
sopra indicate con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini
della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro,
ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate
allo svolgimento delle attività sopra indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 42.
Come si vede anche qui, come nel caso degli interventi di sussidiarietà orizzontale e del baratto
amministrativo, ritorna la possibilità di effettuare interventi fisici di recupero, restauro e ristrutturazione
mediante concessione lavori ad enti del terzo settore e non alle tipiche imprese commerciali, come nella
finanza di progetto.
Dal canone di concessione dovranno essere detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi
fisici di restauro entro il limite massimo del canone stesso.
La novità del Codice Terzo settore sta invece nella procedura che vede un inusitato riferimento alla
procedura per la sponsorizzazione.
L'individuazione del concessionario avviene, infatti, mediante le procedure semplificate di cui all'articolo 151,
comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 che, ricordiamo, rimandano alla procedura di cui
all'art. 19 del Codice relativo alle sponsorizzazioni.
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A norma dell'art. 89 comma 17 del Dlgs 117/17, in attuazione dell'articolo 115 del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42 per la valorizzazione a gestione indiretta dei luoghi della cultura, il Ministero dei beni e
delle attività culturali e del turismo, le regioni, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono attivare forme
speciali di partenariato con enti del Terzo settore che svolgono le attività sopra specificate. Tali enti del terzo
settore sono individuati attraverso le procedure semplificate di cui all'articolo 151, comma 3, e all'art. 19 del
decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, dirette alla prestazione di attività di valorizzazione di beni culturali
immobili di appartenenza pubblica.
Sembra, pertanto, che il combinato disposto del Codice del Terzo settore e del Codice dei Contratti con i
suoi mancati riferimenti espressi ed abrogazioni, dia un quadro chiaro di preferenza della procedura
semplificata di cui ai contratti di sponsorizzazione dell'art. 19 del Codice Contratti per le attività di
valorizzazione dei beni culturali di cui all'art.115 del Codice dei Beni Culturali.
A norma dell'art. 71 3° comma del D.Lgs 117/17, le concessioni sono assegnate per un periodo di tempo
commisurato al raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e comunque non
eccedente i 50 anni.
Per come si vede relativamente alla durata della concessione non vi è un'espressa distinzione tra
concessione per servizi e concessione per lavori. Teoricamente sarebbe, dunque, possibile una durata lunga
della concessione in caso di un programma di servizi di valorizzazione ed eventi di durata pluriennale e
molto complesso.
E' importante specificare che a norma dell'art. 79 2° comma, le attività di interesse generale sopra indicate si
considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di
corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui
sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall'ordinamento.
Con riferimento alle autorizzazioni temporanee per manifestazioni pubbliche l'art. 70 2° comma prevede che
gli enti del Terzo settore, in occasione di particolari eventi o manifestazioni, possono soltanto per il periodo di
svolgimento delle predette manifestazioni e per i locali o gli spazi cui si riferiscono, somministrare alimenti e
bevande, previa segnalazione certificata di inizio attività e comunicazione.
VERSO LA “SOCIALIZZAZIONE” DEI BENI CULTURALI
Infine, sul tema del valore sociale dei beni culturali può essere utile evidenziare che in un passaggio
dell'Allegato 1 al DPCM del 3 agosto 2012, punto 1.12.c), cui rimanda il D.Lgs 228/11, ove si prevede che
“Ai fini della definizione delle priorità di intervento, di cui all'art. 3, comma 2, lettera c), del decreto legislativo
n. 228/2011 (…) c) l'amministrazione può individuare proprie priorità anche sulla base della distinzione tra
infrastrutture sociali rivolte ai cittadini e infrastrutture finalizzate alla produzione”, sembrerebbe aprirsi uno
spiraglio per il reindirizzamento verso l'accezione “sociale” delle procedure per la programmazione,
valutazione ex-ante e selezione dei progetti per la tutela e valorizzazione. D'altronde, è vero che il fine della
tutela è, non solo quello dello studio e conservazione del patrimonio e dei valori della memoria storicoartistica, culturale e paesaggistica nazionale, ma anche quello della fruizione dello stesso patrimonio da
parte dei cittadini, ex art.1 comma 3, art. 6 comma 1, etc. del Codice dei Beni Culturalilxvi.
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Ove si vorrà, in coerenza con la sopra illustrata recente legislazione, dunque, continuare ad intendere la
tutela e valorizzazione come valore identitario della nazione e “servizio”, dunque, “sociale” di progresso
culturale e civilelxvii, si potrà fare valere la valenza sociale delle infrastrutture da programmare, valutare e
selezionare, a norma del D.Lgs 228/11, in quanto relative al patrimonio identitario e culturale collettivo.
Ovvero, si potrà intervenire, anche solo in via amministrativa, a chiarire condizioni e termini di deroga dei
punti dell'impianto del D.Lgs 228/11 e del DPCM 3 agosto 2012 rispetto alle specificità ordinamentali e
normative del settore culturale.
Ciò detto, bisogna chiarire alcuni aspetti di principio.
L'approntamento della condizioni per la fruizione culturale in quanto tale deve considerarsi, pertanto, servizio
sociale, e non quale produzione di beni, fisici (tangible assets) o immateriali (intangibles assets), id est,
licenze, know-how, brevetti e marchi.
Al fine del ripensamento completo della offerta dei servizi di tutela e valorizzazione culturale bisogna,
secondo noi, ripartire, però, dalle stesse definizioni UNESCO, aventi valore condiviso di convenzioni
internazionali.
Il già richiamato art 4 della Convenzione UNESCO, del 20 ottobre 2005 lxviii avente come oggetto la
protezione e la promozione della diversità culturale, ben definisce le “attività, beni e servizi culturali” quali
quei beni o servizi che “...incarnano o trasmettono delle espressioni culturali indipendentemente dal loro
eventuale valore commerciale”lxix. Dunque anche di solo valore socialelxx.
Ancora la stessa Convenzione all'art. 7 punto così recita “2. Le Parti contraenti s’impegnano inoltre a
riconoscere l’importante contributo fornito da artisti e da altre persone impegnate nei processi creativi, da
comunità culturali e da organizzazioni che li sostengono nella loro attività nonché il loro ruolo centrale che
consiste nell’alimentare la diversità delle espressioni culturali”lxxi.
Bisogna ora evidenziare la diversità concettuale e giuridica tra il termine “attività” e i termini “beni e servizi”. Il
termine attività è, infatti, più neutro dal punto di vista del valore giuridico commerciale e merceologico. Beni e
servizi fanno pensare a valori misurabili di mercato, ad assets o a valori prestazionali riferibili a listini
professionali o imprenditoriali nonché ad istituti e procedure del procurement amministrativo.
Bene aveva fatto, dunque, il gruppo di Stati guidato dagli Stati Uniti d'America a chiedere, in sede di
trattative, al fine del mantenimento della distinzione tra la Convenzione Unesco e gli altri Trattati
internazionali, di sostituire alle parole “beni e servizi”, la parola “attività”. Si è giunti ad una soluzione di
compromesso che crea però confusione tra servizio sociale (attività) e assets di valore commerciale (beni e
servizi).
Anche la Commissione Europea ha cominciato ad occuparsi del valore sociale della cultura, all'interno delle
programmazioni dei fondi strutturali, senza mai dare però dignità di primaria strategia politica europea al
settore. Purtroppo, il valore sociale, in generale, della cultura non è seriamente riconosciuto quale strategia
di lungo termine e, questo vale soprattutto per l'Unione Europalxxii.
Anche qui, la difesa delle competenze statuali in materia non ha consentito l'avvio di una grande campagna
culturale europea.
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Il Consiglio d'Europa, invece, con la Convenzione di Faro lxxiii ha riconosciuto il valore partecipativo della
culturalxxiv, seppure in termini di impegni generali.
All'articolo 5 rubricato “Leggi e politiche sull’eredità culturale”, si legge “Le Parti si impegnano a: (…) d.
favorire un clima economico e sociale che sostenga la partecipazionelxxv alle attività inerenti l’eredità
culturale” e all'articolo 8 “Le Parti si impegnano a utilizzare tutte le dimensioni dell’eredità culturale
nell’ambiente culturale per: (…) c. rafforzare la coesione socialelxxvi promuovendo il senso di responsabilità
condivisa nei confronti dei luoghi di vita delle popolazioni”.
Con la Convenzione di Faro, sottoposta alla ratifica del Senato mentre scriviamo, ritornano, dunque,
potentemente in gioco le ragioni dell'economia della partecipazione, quale strumento di coesione sociale.
Tali concetti, ripresi anche nel Barca Report, sono alla base della nuova strategia territoriale e partecipativa
disposta dal Regolamento generale sui Fondi Strutturali, Reg.UE 1303/13.
Se è, pertanto, vero che non esiste una vera strategia europea sulla cultura, rectius solo interventi
concorrenti rispetto alle competenze degli Stati, è anche vero che uno dei settori principali di ingaggio delle
politiche di sviluppo locale e partecipativo del Regolamento fondi strutturali, è proprio la cultura.
Sembra, pertanto, che tra Convenzioni Unesco, Convenzioni del Consiglio d'Europa e Regolamento per i
Fondi Strutturali, tutte fonti normative di rango superiorelxxvii o equivalente alle legge Italiana (come nel caso
dei regolamenti che, comunque, fanno disapplicare le norme nazionali confliggentilxxviii), si possa distinguere
un incardinamento forte e sovraordinato dei servizi ”socio-culturali” e di partenariato sociale nel settore.
Se a tali fonti legislative primarie, si aggiunge la permanenza degli obblighi di tutela costituzionale del tutela
del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione (art.9 della Costituzione), il quadro risulta
chiaro. La legge Italiana si disapplica in caso di contrasto con la normativa sovraordinata o deve essere, nei
casi estremi dichiarata, incostituzionale (art. 136 della Costituzione).
Osserviamo, infine, che, assunto il valore sociale della cultura tanto in forza della legislazione nazionale
ultima quanto delle convenzioni e regolamenti internazionali ed europei, cultura assunta dunque a “diritto
sociale”, ne discende una grossa novità nell'ordinamento Italiano. Ovvero, oltre agli obblighi costituzionali di
tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione, bisognerebbe aggiungere anche i nuovi
obblighi costituzionali di tutela dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” e di cui
all'art. 120 comma 2 della Costituzione.
Se l'accezione del valore sociale esiste, ovvero, sul fronte dell'offerta dei servizi culturali, non può non
esistere altrettanto valore sociale sul fronte della domanda da parte dei cittadini, ovvero sul fronte del “diritto
alla fruizione culturale” tutelato dall'art.1 del Codice dei Beni Culturali.
Esisterebbe, dunque, un diritto alla fruizione della cultura e dell'arte quale valore sociale identitario e “livello
essenziale delle prestazioni (LEP)” dovuto dalla Repubblica ai cittadini. In tal senso la Costituzione della
Repubblica assegna al Governo Nazionale poteri sostitutivi delle Regioni, delle Città Metropolitane, delle
Province e dei Comuni qualora lo richiedesse la tutela dei detti livelli essenziali delle prestazioni dovute al
cittadino.
19
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Si aggiungerebbe, pertanto, all'obbligo di tutela del patrimonio, anche un nuovo obbligo costituzionale, quello
di consentire l'espletamento del “diritto sociale alla fruizione” dello stesso paesaggio e patrimonio storicoartistico.
CONCLUSIONI
Dal punto di vista esperienziale la finanza di progetto (in tutte le diverse accezioni dei PPP commerciali) è
stata applicata, dunque, in pochissimi interventi importanti in Italia nel settore dei beni culturali, salvo i 7 casi
da noi rilevati.
Il legislatore, da un anno circa, per i motivi di vincolo di bilancio imposti dal Fiscal Compact e di cui alla
recente modifica costituzionale, ha proceduto ad eliminare dall'impianto ordinamentale le norme che
prevedevano tale applicazione normativa e procedurale laddove intesa quale forma di impresa commerciale
(per usare un espressione unionale “generatrice di entrate”), la cui bancabilità o finanziabilità sul mercato
obbligazionario, deve essere dimostrata da un business plan asseverato.
Il legislatore ha, pertanto, coraggiosamente virato sui partenariati sociali, quali quelli prima previsti nel
Codice dei Contratti Pubblici e, poi, nel Codice del Terzo Settore, quali strumenti nuovi destinati a realizzare
i piani strategici di sviluppo culturale e gli accordi di valorizzazione di cui agli articoli 112 e 115 del Codice
dei Beni Culturali.
Per fare ciò si è, come detto sopra, provveduto ad abrogare ogni rimando possibile al PPP, o alla finanza di
progetto o a concessioni per lavori di carattere commerciale o, comunque, da fare finanziare dalle banche a
mezzo di indicatori bancari-finanziari, analisi dei rischi e business plans da fare asseverare alle stesse
banche.
I rimandi, esistenti nel vecchio Codice dei Contratti Pubblici, sono stati eliminati. Altrettanto si è fatto con il
nuovo Regolamento per i lavori nel settore dei beni culturali che ha eliminato altrettanti riferimenti alla
finanza di progetto e concessioni.
Per eliminare ogni dubbio lo strumento regolamentare per i lavori di settore ha, infine, depennato dalla
documentazione necessaria per la progettazione nei vari livelli qualunque riferimento al piano economicofinanziario (business plan), invece richiesto dalla legge come parte fondante di qualunque progetto in finanza
di progetto o concessione lavori o PPP.
Ciò detto, è chiaro che nessun soggetto finanziario potrà mai finanziare un investimento nel settore culturale,
peraltro decisamente “tiepido” dal punto di vista della bancabilità, ove non dotato del detto business plan.
La normativa nel corso dell'ultimo anno ha, lo si ripete, puntato decisamente verso una socializzazione degli
interventi pubblico-privati per i beni culturali. A norma del Codice del Terzo Settore le attività ivi previste di
valorizzazione ex-art.115 del D.Lgs 42/04 possono essere svolte solo quando sono prestate a titolo gratuito
o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi.
Ovvero, il contrario degli indici finanziari e bancari e delle analisi del rischio previste dal D.Lgs 228/11.
Altrettanto può dirsi degli interventi di partenariato sociale per il recupero di beni culturali o per la
20
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valorizzazione degli stessi, effettuati da cittadini singoli o associati residenti, per dovere e senso, tanto
individuale quanto collettivo, di partecipazione civica o degli appalti riservati anch'essi rivolti al terzo settore.
Medesimo ragionamento vale per gli accordi di valorizzazione stipulati con associazioni di volontariato ai
sensi dell'art. 112 del Codice dei Beni Culturali.
L'approccio Place-Based di cui al Barca Report di qualche anno fa, pur se contrastato nell'approccio
programmatico in molti programmi operativi, a cominciare da quello del PON Cultura e Sviluppo 2014-2020
che non prevede né i Community Led Local Development né alcun approccio territoriale, ha alla fine vinto le
resistenze.
Non si dà sviluppo oggi senza integrazione a rete locale e globale e partecipazione. L'approccio sociale e di
micro-dimensioni dello sviluppo locale integrato ha prevalso sugli interessi forti oggetto delle mutue cautele
competitive dei grandi gruppi di interesse statali e multinazionali, pubblici e non.
Vale la pena, dunque, ancora ritenere inderogabile l'impianto normativo del D.Lgs 228/11 rispetto alla
specialissima posizione ordinamentale del settore della tutela e valorizzazione culturalelxxix?
Il decreto legislativo è figlio di altri tempi e, alla fine, è stato snobbato tanto dai Ministeri (unica eccezione il
Ministero Infrastrutture a cui si applica semmai l'art.201 del Codice dei Contratti Pubblici avente ad oggetto il
Documento Pluriennale di Pianificazionelxxx) e, poi, anche dallo stesso Consiglio di Stato che giudica le
previsioni del D.Lgs 228/11 quali “semplici petizioni di principio, prive di contenuto concreto”lxxxi.
E' ormai pressoché evidente che il D.Lgs 228/11, senza specifiche deroghe, modifiche ed adeguamenti al
peculiare sistema normativo relativo ai beni culturali, non è applicabile al settore della tutela e, come
dimostrato in questo saggio, oggi, anche in quello della valorizzazione dei beni culturali a mezzo
dell'intervento dei privati.
Curiosamente lo stesso Piano Junckerlxxxii non prevede il project finance per il settore dei beni culturali.
Eppure il Piano è sommamente basato su investimenti favoriti da garanzie comunitarie date alle banche
nazionali e alla BEI per investimenti in infrastrutture tipici del PPP e del Project financing.
Al contrario il Piano Juncker prevede solo il finanziamento delle imprese creative, quelle dell'arte, degli
eventi e della tecnologia applicata a tutte le forme di espressione artistica.
Questo il punto.
Le nuove forme di partenariato sociale o forme speciali di partenariato da contrattualizzarsi a beneficio di
cooperative di giovani artisti o semplici cittadini, ad enti del terzo settore, quali Associazioni di promozione
sociale, di volontariato, etc., sono ora gli istituti giuridici entro cui incardinare l'attivazione del meglio della
creatività e della capacità artistica con le innovazioni utili alla fruizione dei beni culturali.
Detto per inciso, sarebbe opportuno che si stabiliscano, pertanto, strumenti di qualificazione e/o
accreditamento degli stessi enti del terzo settore, al fine di dare esecuzione al dispositivo del Codice dei
Beni Culturali (art. 112) che prevede che le associazioni culturali e di volontariato “siano dotate di adeguati
requisiti”.
21
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Siamo in uno scenario Cultura 3.0 caratterizzato da varie forme di attiva partecipazione culturale dove la
distinzione tra produttori e utenti di contenuti culturali sta continuamente svanendo e nuove vie di creazione
di valore sociale ed economico emergono attraverso la partecipazionelxxxiii.
Spesso le ragioni dell'arte e della creatività non si accompagnano con le ragioni della grandi corporations,
attente agli indici finanziari o di borsa, ma alla partecipazione sociale.
Altrettanto spesso le migliori espressioni artistiche a supporto dell'offerta del patrimonio culturale sono fruite
meglio dai turisti se integrate con l'espressione dei sapori enogastronomici, con i saperi artigianali locali ed,
infine, con la stessa accoglienza quale valore umano e relazionale, piuttosto che con le sole tecnologie
avanzate.
In uno scenario Cultura 3.0. d'altra parte il cittadino utente, come abbiamo visto detentore di un “diritto
sociale alla fruizione” del patrimonio culturale, ne diventa contemporaneamente protagonista mediante la
partecipazione, anche solo in via digitale, ai processi. Egli stesso, in fin dei conti incarna il valore umano e
relazionale, facendo svanire i confini terminologici tra domanda ed offerta, tra produzione e utenza.
Ecco la nuova frontiera dei PPP, dunque: l'approccio locale ed integrato allo sviluppo culturale in un ottica
no-profit e partecipativa.
SALVATORE AURELIO BRUNO
22
i
sul tema del contrasto tra D.Lgs 228/11 e ordinamento giuridico in materia di beni culturali e contratti
pubblici di appalto, si veda, in modo di gran lunga più esteso, A.BRUNO “Profili applicativi del D.Lgs 228/11
e obblighi di conservazione/tutela nel settore culturale” su www.ildirittoamministrativo.it, settembre 2017.
Nelle note da 2 a 8 se ne da sommariamente conto. Per motivi di sintesi si rinvia, comunque, al saggio qui
citato.
ii
Si tratta del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3.8.2012 e del "Vademecum per l’applicazione
del Modello di Linee Guida ai fini della predisposizione del Documento Pluriennale di Pianificazione ai sensi
del D.Lgs. n. 228/2011", redatto dal Dipartimento per la Programmazione e il Coordinamento della Politica
Economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DIPE) e dal Dipartimento dello Sviluppo e della
Coesione Economica (DPS) integrato a mezzo di un Addendum nel marzo 2015.
iii
L'obbligo è previsto dal Punto b), comma 2 dell'art.4 del D.Lgs 228/11
iv
Il riferimento è all'art. 4 comma 4 del Dlgs 228/11
Nel caso la incompatibilità è relativa all'Art.14 comma 2 del Regolamento (cui rinvia pag. 15 del
v
Vademecum)
vi
Trattasi del rinvio all'art.14 comma 1 del Regolamento (cui rinvia l'art. 4, comma 2 del D.Lgs 228/11)
Sui possibili indicatori economici e finanziari nel settore vedi: Journal of Socio-Economics 31 (2002) 529–
vii
558 “Cultural heritage as multi-dimensional, multi-value and multi-attribute economic good: toward a new
framework for economic analysis and valuation” di M. Mazzanti
viii
Gli indicatori sono quelli del TIR/E e VAN/E (Vademecum pag. 18), TIR/F e VAN/F, (Vademecum pag. 19)
DSCR e LLCR (Vademecum pag.19/20)
ix
A.BRUNO in “Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” su www.diritto.it del 10 ottobre
2017
x
"Manual on Government Deficit and Debt" (MGDD), relativo all’ESA 2010,implementation of ESA 2010 di
Eurostat, paragrafo VI.4
xi
Il legislatore del 2011 era pressato dalla cosiddetta impennata dello spread e dalla grave crisi economica
internazionale si veda A.BRUNO ibidem pag.50
xii
I vari dubbi in ordine alla compatibilità del project financing con l’esercizio della funzione di tutela e
valorizzazione dei beni culturali sembravano essere stati superati dalla giurisprudenza nel caso relativo al
progetto di restauro del complesso monumentale noto come “Ospedale Vecchio” sulla quale si è espresso
(per ben due volte) in primo grado il TAR Emilia Romagna, Parma, con le sentenze 4 dicembre 2007, n. 618
e 3 giugno 2008, n. 304 e poi il CDS che smentiva la posizione assunta dai TAR. “Al contrario, proprio la
previsione del project financing dimostra che la fruizione pubblica può essere compatibile con la gestione
privata di una parte (minoritaria) del bene culturale” (così Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4639
riprendendo le parole di Consiglio di Stato, sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3507). Tra le pochissime applicazioni
dell’istituto si annoverano: l’ex Albergo Impiegati di Monfalcone (Go); Villa Tolomei a Firenze; l’ex Dogana
vecchia Molfetta (BA), il Museo Ex Depò a Ostia (Roma); Villa Porro Lambertenghi a Casina Rizzardi di
Como; centro storico di Burgio (Ag). Si veda “Strumenti giuridici della valorizzazione economica del
patrimonio monumentale” di M.Cammelli in “La valorisation économique des biens culturels locaux en
France et en Italie”, Toulouse, 21 novembre 2014 Pubblicato da Aedon www.aedon.mulino.it
xiii
A.BRUNO “Profili applicativi del D.Lgs 228/11 e obblighi di conservazione/tutela nel settore culturale” su
www.ildirittoamministrativo.it, settembre 2017, nota 47 a pag. 49
xiv
“L’indagine ha evidenziato, inoltre, come non vi sia stata alcuna esperienza applicativa di finanza di
progetto (project financing), rilevando che l’insuccesso di tale modello di partenariato pubblico-privato nel
campo della valorizzazione del patrimonio storico- artistico è ascrivibile, in massima parte, ad incertezze sul
piano della regolamentazione”, in Deliberazione n. 8/2016/G Corte dei conti Sezione centrale di controllo
sulla gestione delle amministrazioni dello Stato Adunanza dei collegi I e II e del collegio per il controllo sulle
entrate del 20 giugno 2016 e Camera di consiglio del 19 luglio 2016, pag. 14
xv
MIBACT, Servizi di assistenza tecnica e supporto all’attuazione del progetto operativo di assistenza
tecnica, rete per la governance delle politiche culturali 2012-2015, nell’ambito del programma operativo
nazionale - governance e assistenza tecnica (PON GAT, 2007- 2013 (obiettivo operativo 2.4) relativo alle
regioni dell’obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia). Il Partenariato Pubblico-Privato
(PPP) nel settore culturale, Deloitte, Sistema, gennaio 2015, pp. 54-55.
xvi
DIPE “il project financing per la realizzazione delle opere pubbliche in italia Stato dell'arte, criticità e
prospettive Cosa accade dopo l'aggiudicazione dei contratti di concessioni di lavori: da un'analisi di oltre
1.000 progetti tra il 2002 e il 2014” di Pasquale Marasco, Paolo Piacenza, Marco Tranquilli 2015
xvii
PROGETTO EPAS “Empowerment delle Pubbliche Amministrazioni regionali e locali nella gestione e
nell’utilizzo di strumenti innovativi e di ingegneria finanziaria per lo sviluppo economico locale” PON-GAS
FSE 2007-2013 - Ambito 3 “Programma di miglioramento delle competenze sull’utilizzo di strumenti finanziari
rotativi” - azione enti territoriali – i pilot packages studio – linee guida “il partenariato pubblico – privato:
normativa, implementazione metodologica e buone prassi nel mercato italiano”
xviii
Progetto EPAS, Ibidem pag. 143
xix
L'intervento proposto è finalizzato alla riqualificazione dell'edificio storico "Castelletto Genovese",
attraverso un accurato restauro e consolidamento dell'immobile finalizzato alla fruizione culturale e ad
ospitare un'attività di ristorazione-bar. L'intervento si inserisce nell'ambito dell'Accordo di valorizzazione
sottoscritto il 24/10/2013 dal Comune di Porto Venere, Agenzia del Demanio, Ministero Beni e Attività
Culturali, con cui si intende valorizzare 6 immobili che andranno a costituire il Polo Culturale di Porto Venere.
Grazie a quest'Intesa gli immobili, che appartenevano al Demanio storico-artistico, sono stati trasferiti a titolo
non oneroso dallo Stato al Comune di Porto Venere, si veda internet http://www.finanzadiprogetto.filse.it
xx
Chi scrive ne aveva cominciato a trattare estesamente nel 2002. Cfr. A.BRUNO “Il Project Financing nella
nuova normativa regionale siciliana: prime note sui rapporti con la Legge 166/02 e con la riforma del diritto
societario” pubblicato su “Rassegna Amministrativa Siciliana” DBI 2002, A.BRUNO “Sicilia prima della classe
nel recepimento”, Il Sole 24 Ore – Guida Normativa – Il Project Financing 2002 e ancora A.BRUNO in “Beni
Culturali e Paesaggistici: dalla Programmazione 2000-2006 a quella 2007-2013” 2008 Isbn 9781445223117,
Google Books Codice Ggkey:Padc3h1s4ep 2008. Da ultimo nel testo proponeva l'adozione di sistemi di PPP
misti a regimi di aiuto per l'integrazione delle linee di intervento destinate agli enti pubblici nell'Asse 1 del
PON Cultura e Sviluppo e quelle destinate ai privati nell'Asse 2 dello stesso PON su A. BRUNO in “PlaceBased. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020” con Aurelio Angelini (co-autore) ISBN
9788891742971 Prefazione di Giovanni Puglisi, pag. 220 – Franco Angeli Editore – 2016 pag. 176 e ss
xxi
Si consenta anche qui rinviare a A.BRUNO in “Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat”
su www.diritto.it del 10 ottobre 2017. Sul tema si veda EPEC, EUROSTAT, EIB “A guide to statistical
treatment of PPPs”, september 2016, L.PRADO URENA “European Conference on Quality in Official
Statistics (Q2016) Madrid, 31 May-3 June 2016 - Public investment: recording in EDP statistics and
treatment under the SGP e “A.VEGA in “Eurostat, Soft Law and the Measurement of Public Debt: The Case
of Public-Private Partnerships” - European Journal of Legal Studies, Volume 6, Issue 2 (Autumn/Winter
2013/14), pag. 96
xxii
Il 10 novembre 2009, protocollo 6336, l'Assessore ai beni culturali della Regione Siciliana emise un atto di
indirizzo, intitolato “Creazione di valore aggiunto economico e di nuove opportunità di lavoro nel settore della
valorizzazione dei beni culturali”. Tale atto metteva al centro di tutti i programmi di investimento finanziati con
POR e FAS lo strumento della finanza di progetto, sul quale dovevano convergere le risorse dei POR etc a
titolo di prezzo per motivi di equilibrio economico-finanziario. L'atto di indirizzo rimase sostanzialmente
inattuato. Si veda A.BRUNO in “Programmazione 2014-2020 in Sicilia – Manuale di sopravvivenza civica”,
2014 pag. 589 e ss
xxiii
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 ottobre 2009, causa C-196/08, Acoset. In sintesi, quando
la scelta del socio privato sia avvenuta nel rispetto dei principi comunitari (di libera concorrenza, trasparenza
e parità di trattamento) e sia stata operata previa verifica della sussistenza in capo al privato dei requisiti
finanziari, tecnici operativi e gestionali riferiti all'attività da svolgere (in breve quando si tratti di un socio
"d'opera" e non meramente finanziario) l'affidamento diretto dell'appalto o del servizio non trova ostacoli
nell'ordinamento comunitario.
xxiv
G.SCIULLO “I percorsi della valorizzazione Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione
dei beni culturali” in Aedon n. 2, 2009
xxv
Si vadano alcune sentenze storiche, quali quella del 18 novembre 1999, causa C-107/98, relativa al caso
Teckal, Corte di Giustizia UE, quella del 11 gennaio 2005, C-26/03, caso Stadt Halle e quella del 13 ottobre
2005, C-458/03, caso Parking Brixen. A termini della sentenza Teckal l'avvio di una procedura ad evidenza
pubblica per la scelta del contraente non è necessario ogniqualvolta, da una parte, l'Ente pubblico
aggiudicatore eserciti sull'aggiudicatario quello che viene definito come un "controllo analogo" a quello
esercitato sui propri servizi e, dall'altra, contestualmente l'aggiudicatario svolga la parte più importante della
propria attività a favore dell'Ente locale che lo controlla. Nelle altre due sentenze sul controllo analogo", i
giudici comunitari hanno dapprima sostenuto che, affinché sussista tale controllo, sia sufficiente una
partecipazione totalitaria dell'Amministrazione di riferimento e poi la necessità che l'Amministrazione, socio
al 100%, abbia l'effettiva possibilità di influenzarne sia le decisioni importanti sia, di conseguenza, gli obiettivi
strategici della società controllata. Si veda, infine, da ultimo la sentenza, Corte di Giustizia UE, sez. IV,
sentenza 08/12/2016 n° C-553/15, relativa al requisito dell'attività prevalente a termini del quale, ai fini della
tutela del principio del controllo analogo, non bisogna tener conto di quelle attività fornite a favore di enti
pubblici territoriali non soci e pertanto non dotati di alcun potere di controllo.
xxvi
Sul tema del rischio operativo si veda CONSIGLIO DI STATO “Parere sullo schema di linee guida recanti
“Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di
partenariato pubblico privato” Adunanza della Commissione speciale del 22 febbraio 2017, pag.17 e lo
scritto di M.G.GRECO, Sull'istituto giuridico di concessione nella Direttiva 2014/23/UE. Il rischio operativo nel
rapporto concessorio, www.lineeavcp.it. Sul tema interessanti le posizioni originali di B.BENITO, F.BASTIDA
e M.D.GUILLAMON, ‘Public-Private Partnerships in the Context of the European System of Accounts
(ESA95)’ (2012) 1 Open J of Accounting 9, “the risks should be allocated to the party that is the ‘least cost
avoider’, that is, the party in the best position to control or bear the risks, and not just to the private party in
order to improve public accounts in the short term at the expense of the global profitability of the project”. In
senso contrario P.POSNER, S.KUE RYU and A.TKACHENKO, ‘Public-Private Partnerships: The Relevance
of Budgeting’ (2009) 1 OECD J on Budgeting 13. Si rinvia comunque al ns testo citato prima sul tema.
xxvii
Con l'adozione del “six pack” è stata fatta una modifica all'art. 136 del TFUE al fine della creazione di un
“meccanismo di stabilità” poi confluito nel Trattato istitutivo del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)
firmato il 2 febbraio 2012 e nel Patto di Bilancio o Fiscal Compact, siglato nel marzo 2012 dagli stati UE
(tranne Regno Unito e Repubblica Ceca). Il Patto è stato, poi ratificato dall'Italia con legge 23 luglio 2012, n.
114, ha previsto l'obbligo per gli Stati di introdurre nei sistemi giuridici nazionali disposizioni di natura
costituzionale sancenti il principio del “pareggio di bilancio”. L'SGP (Stability and Growth Pact - Patto di
Stabilità e Crescita) si basa su ESA 2010. La Commissione europea (attraverso Eurostat) cerca di garantire
la corretta applicazione del sistema europeo di conti (ESA European System of Accounts), al fine di
raccogliere statistiche affidabili e comparabili sulla situazione del debito e del disavanzo degli Stati membri.
L’ESA 2010 è stato approvato dal Parlamento e dal Consiglio Europeo con il Reg.549/2013. Si veda
A.BRUNO in “Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” su www.diritto.it del 10 ottobre
2017 pag.5
xxviii
Sul tema dei possibili contributi pubblici che possono determinare la collocazione del PPP on-balance,
contributi individuati dalla Guida quali “milestone payments (non-refundable) made to the Partner during or at
the end of the Construction Phase” (fondi perduti, di cui al Theme 14.4.1), loans (prestiti, di cui al Theme
14.4.2), equity (partecipazioni di capitale di cui al Theme 14.4.3); financing guarantees (garanzie di cui al
Theme 14.4.4) exemptions from liabilities (esenzioni fiscali, e.g. corporale tax, value added tax, di cui al
Theme 14.4.5), la guida è vaga nell’individuare i termini esatti di tali contributi. Anzi fa di peggio. Li aggrega
creando una confusione dannosa (“Government’s total financing commitment must be considered by looking
in aggregate at all forms of commitments it has made across the project”). Si veda A.BRUNO in “Public
private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” su www.diritto.it del 10 ottobre 2017 pag.42.
xxix
EPEC, EUROSTAT, EIB “A guide to statistical treatment of PPPs”, september 2016. Sul tema prima del
documento congiunto EPEC EUROSTAT si veda anche A.BAJO – D.JURIČIĆ “When do liabilities from
public-private partnership and concession contracts become the part of the general government debt?”
Institute of Public Finance - Newsletter - , 2015/101
xxx
Si rimanda ancora al documento EPEC EUROSTAT di cui alla precedente nota. Sul tema si veda
L.MARTINIELLO “La contabilizzazione on-off-balance delle opere pubbliche realizzate in concessione”, pag.
49 in Azienda Pubblica 1-2011 e L.MARTINIELLO, Le regole di contabilizzazione delle operazioni di
concessione e di partenariato pubblico privato, in Finanza di Progetto e PPP: temi europei, istituti nazionali e
operatività a cura di G. F. Cartei e M. Ricchi, Editoriale Scientifica, 2015, pp. 441 – 460. Estensivamente sul
tema dei rischi e delle posizioni Eurostat si veda V.VECCHI - V.LEONE “Partnership pubblico privato”,
Bocconi , 2016 e ancora di recente in “Partenariato pubblico-privato e project finance” di M.NICOLAI e
W.TORTORELLA, Maggioli, 2017 il saggio “La contabilizzazione dei partenariati pubblico-privati nei bilanci
pubblici”, di L.BISIO e D.VALERIO, da pag. 217 a pag. 268
xxxi
Sul tema si veda L.MARTINIELLO “La contabilizzazione on-off-balance delle opere pubbliche realizzate
in concessione”, pag. 49 in Azienda Pubblica 1-2011 e L.MARTINIELLO, Le regole di contabilizzazione delle
operazioni di concessione e di partenariato pubblico privato, in Finanza di Progetto e PPP: temi europei,
istituti nazionali e operatività a cura di G. F. Cartei e M. Ricchi, Editoriale Scientifica, 2015, pp. 441 – 460.
Estensivamente sul tema dei rischi e delle posizioni Eurostat si veda V.VECCHI - V.LEONE “Partnership
pubblico privato”, Bocconi , 2016 e ancora “Partenariato pubblico-privato e project finance” di M.NICOLAI e
W.TORTORELLA, Maggioli, 2017
xxxii
P. CARPENTIERI in “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura
13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017 pag. 101 e 102
xxxiii
Il Carpentieri osserva che “la fiducia e l'intuitus personae giocano un ruolo fondamentale poiché questo
partenariato, pur restando di tipo contrattuale, tende ad assumere, in specie, come di frequente accade, ove
si dispieghi su un arco temporale, connotazioni quasi associative, implicando un percorso comune di
gestione di un determinato sito culturale, nelle diverse dimensioni della ricerca, dello studio, della
catalogazione, del restauro, dell'apertura alla pubblica fruizione, della valorizzazione etc”, si veda P.
CARPENTIERI, ibidem pag. 105
Sponsorizzazione di beni culturali - articolo 120 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 - articoli
xxxiv
19 e 151 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50"
Sulla disciplina delle sponsorizzazioni si veda G.D. COMPORTI, Sponsorizzazioni ed erogazioni liberali,
xxxv
in Aedon, 2015, 2 e SAU “La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali” su Aedon 1/2017 pag.
8/9
Le Linee guida in materia di sponsorizzazione adottate con d.m. 19 dicembre 2012 (vedi "Norme
xxxvi
tecniche e Linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazione di beni culturali, anche in
funzione di coordinamento rispetto a fattispecie analoghe o collegate di partecipazione di privati al
finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi su beni culturali", in Aedon, 2012, 3).
P.CARPENTIERI, “Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva)”, cit., pag. 1025 e
xxxvii
A.SAU “La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali” su Aedon 1/2017 pag. 8
xxxviii
xxxix
xl
A.SAU ibidem pag. 8
A.SAU ibidem pag. 8
Cfr, ANAC Documento di consultazione Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività
dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato, 2016, pag. 3. Sul tema si veda anche
CONSIGLIO DI STATO “Parere sullo schema di linee guida recanti “Monitoraggio delle amministrazioni
aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato” Adunanza
della Commissione speciale del 22 febbraio 2017, pag.17
xli
ANAC Documento di consultazione Monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull'attività
dell'operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato, 2016, pag. 4 e ss
xlii
xliii
P. CARPENTIERI, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), cit., pag. 1027
P. CARPENTIERI in “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura
13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017 pag. 106
xliv
P. CARPENTIERI in “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura
13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017 pag. 106
xlv
l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (Avcp), con deliberazione del 22 aprile 2009, n. 37, ha affermato
che è conforme al disposto dell’art. 197, c. 3, la concessione ai privati della gestione temporanea di beni
culturali sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 427/2004, mediante l’istituto del project financing, essendo la
fruizione pubblica di tali beni compatibile con la gestione privata di una parte minoritaria degli stessi
xlvi
Tra esse la Corte dei Conti nella citata Deliberazione n. 8/2016/G Corte dei conti Sezione centrale di
controllo lamenta “la mancanza di criteri certi in ordine alle linee guida da seguire per le relative operazioni,
mentre la peculiarità del settore meriterebbe di ricevere una disciplina particolare, in considerazione della
natura delle opere da finanziare”.
xlvii
Sui PPP in Europa si veda D.HALL nello studio “PPPs in the EU – a critical appraisal”, ASPE Conference,
october-november 2008
xlviii
xlix
Comma modificato dal decreto correttivo D.lgs 56/17
Ancora residua nell'ordinamento una norma di rango secondario quella del DM 29 gennaio 2008 recante
“Modalita' di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi della
cultura” (GU n. 88 del 14-4- 2008 ). Il comma 6 prevede che: “previa autorizzazione della direzione generale
per il bilancio e la programmazione economica, la promozione, la qualita' e la standardizzazione delle
procedure e delle direzioni generali competenti per materia, in presenza di particolari esigenze che
comportino, a titolo esemplificativo, l'apertura al pubblico di nuovi luoghi di cultura ovvero interventi
complessi, quali ristrutturazioni, restauri, adeguamenti funzionali, riallestimenti, inseriti nella programmazione
triennale o negli altri strumenti di programmazione del Ministero, l'amministrazione procedente puo' anche
ricorrere alle procedure di cui agli articoli 152 e seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e
successive modificazioni”. Certamente tale norma di rango secondario rispetto al complesso dei mancati
rimandi dovuti alle abrogazioni degli strumenti normativi e regolamentari non sarebbe più applicabile nel 6
comma relativo all'utilizzo della finanza di progetto all'epoca normata dagli articoli 152 e 153 e smi del
vecchio codice dei contratti.
l
Il principio di "sussidiarietà orizzontale" trova la sua compiuta formulazione nell'art. 118 ultimo comma della
Costituzione riformato dalla legge cost. n.3/2001. "Stato, Regioni, città metropolitane, Province e Comuni
favoriscano l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale". La sussidiarietà orizzontale concerne i rapporti tra i cittadini - e loro formazioni - e le
Amministrazioni pubbliche attribuendo alle prime la facoltà di svolgere una funzione pubblica. sussidiarietà
orizzontale significa che le funzioni pubbliche, laddove è possibile e conveniente, devono poter essere svolte
in via primaria dagli stessi cittadini, in particolare attraverso le loro formazioni sociali, adeguatamente
sostenuti allo scopo dalle Amministrazioni pubbliche. La norma sancisce per la prima volta che le attività di
interesse generale non sono monopolio esclusivo dei pubblici poteri, ma possono essere svolte anche da
privati. Si veda sul tema S.STAIANO “La sussidiarietà orizzontale: profili teorici” su Federalismi n. 5 del
2006. Sull'istituto dal punto di vista del Codice dei Contratti si veda I nuovi contratti pubblici dopo il decreto
correttivo di A. GIORDANO “I nuovi partenariati pubblico-privati di tipo sociale” di F. GIARDINA, a pag. 151
li
Tra le eccessive tutele prestate alle banche si vedano ad esempio il comma 8 dell'art.176 che prevede:
“Nei casi che comporterebbero la risoluzione di una concessione per cause imputabili al concessionario, la
stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l’intenzione di risolvere il
rapporto. Gli enti finanziatori, ivi inclusi i titolari di obbligazioni e titoli analoghi emessi dal concessionario,
entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, possono indicare un operatore economico, che
subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle
previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato
di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del subentro”. Ovvero l'impresa concessionaria
ancorché prima dell'esperimento delle tutele giudiziarie viene estromessa e sostituita dalla banca vero
dominus della concessione.
lii
Sul tema dei Leader e dell'approccio place-based ovvero dello sviluppo locale e territoriale si consenta
rinviare ancora a A. BRUNO in “Place- Based. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020” con Aurelio
Angelini (co-autore) ISBN 9788891742971 Prefazione di Giovanni Puglisi, pag. 220 – Franco Angeli Editore
– 2016
P. CARPENTIERI ha con un saggio lucidissimo intuito il cambiamento dello spirito del legislatore in “Il
liii
Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura 13° rapporto annuale
Federculture, Gangemi 2017
liv
Ibidem P. CARPENTIERI, PAG. 100
lv
Si veda ancora in proposito A. BRUNO nel testo sopraccitato
lvi
La Convenzione dell'UNESCO del 20 ottobre 2005 ha come oggetto la protezione e la promozione della
diversità culturale; essa è entrata in vigore il 18 marzo 2007 ed è oggi in vigore tra 115 Stati inclusa l’Italia
che l’ha ratificata con la legge 19 febbraio 2007, n.19
lvii
Sul tema dei profili penali si rimanda a “La protezione penale del patrimonio culturale nell’ordinamento
giuridico Italiano”, a cura di G.Gambogi, pag. 9, intervento al V Seminario International de Arte y Derecho –
Barcellona 17 maggio 2013, e tra le le tante sentenze a Cass. Pen., Sez. III, 15 Ottobre 1980; Cass. Pen.,
Sez. III, 7 Novembre 1974, Andracchio, in ‘Cass. Pen.’, 1976, 355, Cass. Pen., Sez. III, 24 Ottobre 2008 n.
42893, in ‘Cass. Pen.’, 2009, 7-8, 3057
lviii
Serve anche menzionare circa la specificità dei beni culturali il fatto che a norma del D.M. 10 novembre
2016, n. 248 le c.d. SIOS o qualifiche superspecialistiche prevedono anche le OS 2-A Superfici decorate di
beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico ed
etnoantropologico; OS 2-B Beni culturali mobili di interesse archivistico e librario; OS 25 Scavi archeologici,
etc..
lix
L'allegato IX elenca i servizi di cui agli articoli 140, 143 e 144 tra essi i Servizi amministrativi, sociali, in
materia di istruzione, assistenza sanitaria e cultura distinti per CODICE CPV 85321000-5 e 85322000-2,
75000000-6 [Servizi di pubblica amministrazione e difesa e servizi di previdenza sociale], 75121000-0,
75122000-7, 75124000-1; da 79995000-5 a 79995200-7; da 80000000-4 [Servizi di istruzione e formazione]
a 80660000-8; da 92000000-1 a 92700000-8 79950000-8 [Servizi di organizzazione di mostre, fiere e
congressi], 79951000-5 [Servizi di organizzazione di seminari], 79952000-2 [Servizi di organizzazione di
eventi], 79952100-3 [Servizi di organizzazione di eventi culturali], 79953000-9 [Servizi di organizzazione di
festival], 79954000-6 [Servizi di organizzazione di feste], 79955000-3 [Servizi di organizzazione di sfilate di
moda], 79956000-0 [Servizi di organizzazione di fiere ed esposizioni]
Art. 142. Pubblicazione degli avvisi e dei bandi. 1. Le stazioni appaltanti che intendono procedere
lx
all’aggiudicazione di un appalto pubblico per i servizi di cui all’allegato IX rendono nota tale intenzione con
una delle seguenti modalità: a) mediante un bando di gara, che comprende le informazioni di cui all’allegato
XIV, parte I, lettera F, conformemente ai modelli di formulari di cui all’articolo 72; b) mediante un avviso di
preinformazione, che viene pubblicato in maniera continua e contiene le informazioni di cui all’allegato XIV,
parte I. L’avviso di preinformazione si riferisce specificamente ai tipi di servizi che saranno oggetto degli
appalti da aggiudicare. Esso indica che gli appalti saranno aggiudicati senza successiva pubblicazione e
invita gli operatori economici interessati a manifestare il proprio interesse per iscritto. 2. Il comma 1 non si
applica, allorché sia utilizzata per l’aggiudicazione di appalti pubblici di servizi una procedura negoziata
senza previa pubblicazione in presenza dei presupposti previsti dall’articolo 63. 3. Le stazioni appaltanti che
hanno aggiudicato un appalto pubblico per i servizi di cui all’allegato IX rendono noto il risultato della
procedura d’appalto mediante un avviso di aggiudicazione, che contiene le informazioni di cui all’allegato
XIV, parte I, lettera H, conformemente ai modelli di formulari di cui all’articolo 72. Esse possono tuttavia
raggruppare detti avvisi su base trimestrale. In tal caso, esse inviano gli avvisi raggruppati al più tardi trenta
giorni dopo la fine di ogni trimestre. 4. Per gli appalti di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo
35, i modelli di formulari di cui ai commi 1 e 3 del presente articolo sono stabiliti dalla Commissione europea
mediante atti di esecuzione. 5. Gli avvisi di cui al presente articolo sono pubblicati conformemente all’articolo
72.
lxi
Previsti all'Articolo 20 e ai Considerando 36, 93, 99 della Direttiva 2014/24/UE e all'art.143 del D.Lgs 50/16
e smi
lxii
I servizi sono identificati con i codici CPV 75121000-0, 75122000-7, 75123000-4, 79622000-0, 79624000-
4, 79625000-1, 80110000-8, 80300000-7, 80420000-4, 80430000-7, 80511000-9, 80520000-5, 80590000-6,
da 85000000-9 a 85323000-9, 92500000-6, 92600000-7, 98133000-4, 98133110-8 (servizi di pubblica
amministrazione e difesa e servizi di previdenza sociale, Servizi di istruzione e formazione, Servizi di
organizzazione di mostre, fiere e congressi).
lxiii
R.CORI e I.PARADISI in “Il protagonismi privato a supporto degli investimenti locali, pag. 309
Partenariato pubblico-privato e project finance di M.NICOLAI e W.TORTORELLA, Maggioli, 2017
lxiv
R.CORI e I.PARADISI, ibidem pag. 309
in
lxv
l'art.117 Costituzione ha sancito la separazione anche istituzionale tra le due funzioni. Per una prospettiva
che vede negativamente la distinzione tra tutela e valorizzazione fonte di una pericolosa frammentazione del
sistema delle responsabilità, delle azioni e dei controlli, preferendo sorvolare sul +tema preferiamo
rimandare, fra i tanti, agli studi di A.FERRETTI “Manuale di diritto dei beni culturali e del paesaggio”, 2016,
pag. 44 e ss, P. CARPENTIERI in “Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali Relazione tenuta al
convegno “Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio. Prospettive applicative” su
AvvocatiAmministrativisti.it e A.ACCADIA, L.ALFIDI, G.PANASSIDI I beni culturali e paesaggistici 2006 Sole
24 Ore, pag. 43
Si veda l'Art. 1 comma 3
lxvi
del D.Lgs 42/04 “Lo Stato, le regioni, le citta' metropolitane, le province e
icomuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica
fruizione e la valorizzazione”, e l'art. 6 comma 1 dello stesso decreto delegato “La valorizzazione consiste
nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attivita' dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio
culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”
The socially embedded nature of cultural and artistic production in a grassroots regime has largely done
lxvii
without, for a very long phase of human history, the social recognition of culture as a clearly singled out,
socially legitimized sphere of activity, even in already advanced socio-economies such as those of the
Ancient Empires – where the arts were flourishing, but were also
celebration of political and religious power” in
mainly instrumental to the
“Culture 3.0. Cultural participation as a
source of new forms of economic and social value creation: A European perspective P.
L.SACCO, G. FERILLI, G. TAVANO BLESSI, pag. 5
lxviii
The UNESCO Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural
Expressions: Explanatory Notes di S. SCHORLEMER, P.-T.TOLL, Springer Science & Business Media, 23
mag 2012
lxix
Si veda sul tema “Measuring the economic contribution of cultural industries” A review and assessment of
current methodological approaches - 2009 UNESCO Framework for Cultural Statistics Handbook No. 1, da
cui traiamo la seguente conclusione: “Cultural industries are increasingly becoming important components of
the modern economy and knowledge-based society due to their impact on the enrichment of development.
The culture sector generates two types of impacts: non-economic and economic. The non-economic impacts
that cultural industries have on social development can be seen in the field of social cohesion and integration
of marginalised groups, building of a new value system, affirmation of creativity, talents and excellence
development of cultural diversity, national identity and the identity of different cultural groups, facilitating
creativity and innovation”.
lxx
“First is necessary to explain that the term activities was added by those concerned with the possible
overlap of this Convention with trade agreements. This group of countries, led by USA, was in favour of
deleting concepts of cultural goods and services and replacing them with activities. As a compromise, the
world “non-commercial” aspect, which is why, at the end of the first sentence, it is clearly stated that all
cultural goods and services irripsctive of the commercial value they may have are subject to the provisions of
the Conventions. The second sentence is an attempt to explain the term activities, stating that cultural
activities might be activities per se, or they may contribute to the production of cultural goods and services”
in The UNESCO Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of Cultural
Expressions: Explanatory Notes di S. SCHORLEMER, P.-T.TOLL, Springer Science & Business Media, 23
mag 2012 pag. 154. Ancora a pag. 55 dello stesso testo “The provision makes it clear that cultural ativities
should not be seen exclusively from a commercial perspective”.
lxxi
“In other words the provision highlights the outstanding social function and the social value of the art
sector an all the actors, including the artists as well as any other person or institution involved in the artistic
and cultural process”, in The UNESCO Convention on the Protection and Promotion of the Diversity of
Cultural Expressions: Explanatory Notes di S. SCHORLEMER, P.-T.TOLL, Springer Science & Business
Media, 23 mag 2012 pag. 218. Sul valore sociale e partecipativo della cultura si veda il caso della Sydney
Opera House in “Participatory Culture and the Social Value of an Architectural Icon: Sydney Opera House”
C.GARDUNO FREEMAN, 2017, Routledge
lxxii
CSES (2010) Study on the contribution of culture to local and regional development – Evidence from the
structural funds. Final report. Centre for Strategy and Evaluation Services, Kent.
lxxiii
Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, Consiglio
d’Europa - (CETS No. 199) Faro, 27.X.2005. Essa è entrata in vigore il 1 giugno 2011
lxxiv
“The social value of cultural heritage” in The Social and Economic Value of Cultural Heritage: literature
review di C.DÜMCKE E M.GNEDOVSKY EENC Paper, July 2013 European Expert Network on Culture
(EENC) pag. 139 da cui traiamo un passaggio: “Many authors stress that the economic and social values of
heritage are interrelated. On the one hand, economic growth brings prosperity and well-being to a territory.
On the other hand, social harmony – community cohesion, absence of conflicts, tolerance, etc – is a
prerequisite to economic development. Thus the ability of heritage to provide distinctiveness of a place is
seen as an advantage both for tourist development and for the well-being of local communities. Improvement
of the social climate also leads to the enhancement of the investment climate” e ancora “The social impact of
cultural heritage becomes particularly graphic in the cases where heritage is used for stimulating a dialogue
between different cultural groups. Fostering intercultural dialogue, cultural and social inclusion and creating
an atmosphere of tolerance through heritage projects or heritage institutions form part of a contemporary
agenda discussed by many authors”, a pag. 140
lxxv
A proposito della partecipazione e della cultura si veda il saggio “Culture 3.0. Cultural participation as a
source of new forms of economic and social value creation: A European perspective P. L.SACCO, G.
FERILLI, G. TAVANO BLESSI
Anche l'European Year of Cultural Heritage previsto nel 2018 riconosce il valore della cultura per la
lxxvi
coesione sociale come “an historic occasion to raise awareness of the importance of history and European
values and strengthen the sense of European identity focusing on the promotion of cultural diversity,
intercultural dialogue and social cohesion”.
A norma dell'art. 117 Cost. I° comma, nella nuova formulazione introdotta con la L. cost. n. 3 /2001,
lxxvii
l’esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è condizionata dal rispetto degli obblighi
internazionali e le sentenze nn. 348-349/07 della Corte Costituzionale, cfr. G.BIANCHI “L'efficacia dei trattati
internazionali alla luce dell'art. 117, comma 1 della Costituzione Note a margine delle sentenze 348/07 e
349/07 della corte costituzionale su Altalex 08/02/2008
lxxviii
lxxix
Si veda la storica sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 1984
Tra la minuscola pubblicistica in materia segnaliamo “Le valutazioni di sostenibilità economico-finanziaria
delle opere pubbliche nella normativa italiana: finzioni”, www.notavbrennero.info, 14.2.2015, pag. 15
lxxx
Sul tema si veda ancora A.BRUNO “Profili applicativi del D.Lgs 228/11 e obblighi di conservazione/tutela
nel settore culturale” su www.ildirittoamministrativo.it, settembre 2017, pag. 38
lxxxi
parere del Consiglio di Stato del 9/1/17 n.a. 02271/2016. Sul tema si veda ancora “Le linee guida per la
valutazione ex-ante degli investimenti pubblici nel d.lgs 228/2011 e nel nuovo codice Stato dell’arte,
l’esperienza dei Grandi progetti comunitari, alcune evidenze” di S.Maiolo Relazione per il convegno della
S.I.PO.TRA. A norma dell’articolo 7 del D.Lgs 228/11, il DIPE e l’ex-UVAL (oggi NUVAP, ai sensi del DPCM
del 19 novembre 2014) della Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno avviato da fine 2013 un calendario
di incontri presso varie AA.CC.. Ne è emerso un quadro di grandi ritardi nell'ottemperamento degli obblighi di
legge primo tra tutti quello della redazione delle Linee Guida. Il Maiolo fa, in proposito, quest'analisi: “il
personale preposto non sembra disporre delle competenze specialistiche necessarie per redigere né le
Linee Guida, né tantomeno il DPP; queste difficoltà sono acuite dall’assenza (in quasi tutte le
amministrazioni contattate) di un Nucleo di valutazione, lacuna che di fatto impedisce alle Amministrazione
di operare in modo autonomo”. “Il codice dei contratti pubblici: Commento al decreto legislativo 18 aprile
2016, 50” di F.Garella e M.Mariani, Giappichelli 2016, parla del Dlgs 228/11, come di un testo di legge
“praticamente mai applicato”
lxxxii
lxxxiii
Regolamento 2015/1017 del 25 giugno 2015, cosiddetto Piano Juncker
“By active cultural participation, we mean a situation in which individuals do not limit themselves to
absorb passively cultural stimuli, but are motivated to make use of their skills to contribute to the process:
Not simply hearing music, but playing; not simply reading texts, but writing, and so on. By doing so,
individuals challenge themselves to expand their capacity of expression, to re-negotiate their expectations
and beliefs, to reshape their own social identity” in “Culture 3.0. Cultural participation as a source of new
forms of economic and social value creation: A European perspective P. L.SACCO, G. FERILLI, G. TAVANO
BLESSI, pag. 29