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Atene 594-507 a.C. L'invenzione della democrazia

Lezione in powerpoint per studenti liceali ovvero per studenti universitari di corsi generali di Storia Greca (oltre al testo, contiene citazioni dalle fonti, immagini, mappe e cartine). Liberamente riutilizzabile per uso didattico, purché senza omettere la menzione dell'autore.

Gianfranco Mosconi Atene, 594-507 a.C. L’invenzione della politica e della democrazia Una lezione in powerpoint. Per studenti liceali e per studenti di corsi generali di Storia Greca Il cammino di Atene è opposto a quello di Sparta: • a Sparta l‟ordine politico e sociale si va cristallizzando, Atene vive una continua evoluzione sociale e sperimenta soluzioni politiche sempre nuove; • Sparta è una polis creata da un gruppo ristretto di invasori che si impone sulla popolazione preesistente, gli Ateniesi si vantavano di essere autoctoni, di essere cioè la popolazione originaria del luogo; • la storia spartana è segnata dal contrasto fra il nucleo degli Spartiati residenti a Sparta e la popolazione asservita della campagna, al contrario quella di Atene è caratterizzata dall‟eguaglianza di diritti fra abitanti della città e abitanti dei villaggi, e dalla fusione di centro urbano e campagna in una unica realtà politica; • Sparta risolve il conflitto politico solo imponendo l‟uguaglianza totale dei cittadini, Atene invece saprà coniugare eguaglianza di diritti politici e diseguaglianze economiche. • Sparta finisce per incarnare l‟ideale dell‟oligarchia (il dominio dei pochi sui molti: da olìgos „poco‟ e arché, „comando‟), ad Atene si imporrà infine quelle che gli stessi Ateniesi definiranno „isonomia‟, la „parità di diritti‟ di tutti di fronte alla legge e „democrazia‟, cioè il regime fondato sul potere del popolo. La geografia dell’Attica • Una parte di tale differente cammino ha le sue radici nella geografia. Diversamente dalla vallata di Laconia, l‟Attica è una penisola, come tale in stretto rapporto col mare e quindi aperta al commercio e ai contatti con l‟esterno; la stessa Atene, suo centro principale, sorge a pochi chilometri dalla costa, dove si svilupperà poi il comodo porto del Pireo. • L‟interno è in buona parte montuoso, il che riduce l‟importanza dell‟agricoltura e spiega l‟orientamento alle attività artigianali e commerciali: nello stesso tempo, non mancano varie pianure costiere, fra cui la più ampia è quella in cui sorge la stessa Atene. Quanto dista il Pireo dall’Acropoli • Sparta si trovava al centro di una vasta regione pianeggiante del Peloponneso meridionale, la Laconia, compresa fra le due catene dei monti Parnone e Taigeto e irrigata dal fiume Eurota, che scorre da nord a sud. Caso quasi eccezionale nel mondo greco, Sparta si trovava ad una notevole distanza dal mare (il porto di Gizio si trova 35 km a sud di Sparta): la distanza dal mare, e nello stesso tempo la posizione centrale nella fertile vallata della Laconia, spiegano in buona parte la successiva storia della città, in cui il possesso, la conquista e lo sfruttamento della terra hanno un ruolo determinante. La fertile piana dell’Eurota vista dal colle del Menelaion Il fiume è visibile in fondo a destra, coperto da piante acquatiche; sullo sfondo il Taigeto Dal potere di uno solo al collegio degli arconti • In ogni caso, anche ad Atene la forma di potere monarchico andò via via declinando fino a scomparire: la storia più antica e in gran parte leggendaria della „costituzione‟ ateniese è la storia di un progressivo passaggio dalla monarchia ad un sistema sempre più articolato di magistrature cittadine, non più ereditarie né a vita, ma a tempo e scelte per elezione, fra cui venne frazionato e articolato il potere originariamente concentrato nelle mani del re. • Il processo si svolse nei secoli successivi alla fine dell‟età micenea, ma come ciò avvenne precisamente è incerto, e le fonti sono inaffidabili. I nove arconti • • • • • il „basileus’ („re‟), che nacque forse dalla trasformazione in una carica elettiva dell‟originario titolo di basileus, e che infatti era erede delle antiche funzioni sacerdotali e religiose un tempo appartenute al wanax miceneo; il polemarco (da polemos, „guerra‟ e archein „comandare‟), che si aggiunse al „re‟ come capo delle spedizioni militari e che riflette la crescente importanza dell‟elemento oplitico; infine l’arconte (letteralmente „capo‟), chiamato in età molto successiva anche „arconte eponimo‟ perché dava il nome all‟anno, che fino agli inizi del V secolo fu la suprema carica dello Stato e che, anche in seguito, ebbe un ruolo. Tutti e tre questi magistrati vengono definiti complessivamente „arconti‟ (si parla quindi di „arconte re‟, arconte polemarco‟, „arconte eponimo‟). Ai tre arconti principali furono aggiunti infine, nel corso del VII secolo, sei arconti tesmoteti, cioè „responsabili delle leggi‟: con ciò il collegio degli arconti raggiunse il numero di nove membri. L’Areopago • Tutti gli arconti restavano in carica per un anno; usciti di carica, gli arconti entravano a far parte del consiglio dell‟Areopago, che rimase a lungo l‟organo principale di governo della città (simile, per certi versi, al Senato romano, anch‟esso composto di ex-magistrati). • Unici a poter eleggere gli arconti e a poter essere eletti arconti erano gli aristoi, gli aristocratici, appartenenti ai ghene, le grandi famiglie proprietarie terriere (singolare ghenos); perciò solo gli aristoi avevano la possibilità di entrare nell‟Areopago. La collina dell’Areopago vista dall’Acropoli Verso la crisi: prove di tirannide e legislazione scritta • Tale ordinamento iniziò a scricchiolare già nella seconda metà del VII secolo: da un lato lo sviluppo economico del commercio dovette creare nuovi ricchi, desiderosi di aver parte al governo, assieme agli aristocratici; dall‟altra una parte della popolazione, priva di possessi terrieri, dovette scivolare in condizione di miseria estrema e di asservimento. • Nel 636 o 632 un aristocratico, Cilone, imparentato con il tiranno di Megara, tentò di instaurare la tirannide anche ad Atene occupando l‟Acropoli. Il tentativo fallì per il pronto intervento dell‟importante famiglia aristocratica degli Alcmeonidi, che richiamò la popolazione dalle campagne riuscendo a ad assediare l‟Acropoli: ma il fatto stesso che qualcuno abbia potuto pensare di poter aspirare alla tirannide dimostra che contava su una situazione di instabilità politica e di malcontento sociale. La legislazione di Dracone • Pochi anni dopo, nel 624 o 622 a.C., un aristocratico, Dracone, ricevette lì incarico di stendere un codice di leggi scritte: un altro segno di una situazione di conflittualità interna, perché l‟esigenza di avere leggi scritte riflette il bisogno di una parte della popolazione di poter contare su norme certe e non interpretabili dai detentori del potere, di stirpe aristocratica. • Aristotele (Pol. 2, 9, 9) afferma che Dracone nei fatti non scrisse nuove leggi, ma si limitò ad definire e istituzionalizzare norme di fatto già operanti: la sua azione si colloca a conclusione del processo di definizione della polis e dei suoi ordinamenti. Le tensioni sociali e politiche esplosero infine in tutta la loro gravità nei primi anni del VI secolo • In una società che fonda la sua sussistenza e la sua prosperità sull‟agricoltura, la crisi sociale aveva la sua origine nel fatto che il possesso terriero era concentrato nelle mani di pochi, ed anzi andava sempre più concentrandosi. • In particolare, molti contadini, i cosiddetti hektémoroi („quelli della sesta parte‟) non avendo un proprio appezzamento o avendolo perduto per debiti, erano costretti a lavorare alle dipendenze dei grandi proprietari, versando loro una parte del raccolto (un sesto? più probabilmente i cinque sesti, cioè una gran parte?); molti contadini, indebitatisi, avevano prima perduto il pieno possesso dei loro piccoli campi, infine erano finiti schiavi dei propri creditori (con quella che si chiama „schiavitù per debiti‟). La città andava spaccandosi in due gruppi ferocemente contrapposti. Solone, il diallaktès E‟ in tale situazione che nel 594 o 592 a.C. venne eletto come arconte Solone, allora quarantenne. Ateniese di nobile famiglia, egli non era però ricchissimo, e perciò era rimasto estraneo alle lotte tra fazioni: venne visto, dunque, come un possibile mediatore fra gli opposti interessi (le fonti lo definiscono diallaktès, „conciliatore‟). Egli è la prima figura della storia politica ateniese di cui riusciamo a cogliere con una certa sicurezza i lineamenti, gli intenti, la biografia: personaggio di notevole vivacità intellettuale, egli fu infatti anche autore di numerosi testi poetici, molti dei quali conservatisi, in cui espone principi e motivazioni della propria opera politica. L’eunomia soloniana • Il suo obiettivo è quello di riportare equilibrio all‟interno della cittadinanza: • 1) risollevando la condizione di molti cittadini impoveriti e tutelandoli dallo strapotere e dall‟arbitrio degli aristoi, • 2) ma nello stesso tempo evitando misure radicali a favore delle masse popolari (la redistribuzione delle terre e quindi l‟annullamento delle differenze di ricchezza), come pure parte del demos avrebbe voluto. • Ciò avrebbe permesso di raggiungere – come scrive in altro suo componimento - l‟eunomia (dal greco eu „bene, e nomos, „legge‟), che potremmo tradurre con „la buona amministrazione‟ o il „buon governo‟: un ideale, insomma, di equilibrio e moderazione. Solone si vantava d’essersi posto «fra le due fazioni come pietra di confine» (fr. 37 W.) • «al popolo ho fatto questo dono: ciò che gli basta, senza togliere o aggiungere privilegi. E quelli che avevano il potere e per ricchezza erano illustri provvidi che non subissero nulla di scorretto. Saldo, con forte scudo, li protessi entrambi [poveri e ricchi], ma non permisi a nessuno di prevalere con vittoria ingiusta» (fr. 5 W., trad. M. Cavalli). I provvedimenti economici e legali • Il primo provvedimento fu l‟annullamento dei debiti esistenti (chiamato seisachteia, cioè „scuotimento‟ perché il popolo si liberò del peso dei debiti) [su cui Arist. Ath. Resp. 6] • e la proibizione di fare prestiti assumendo a garanzia la persona del debitore; • vennero anche liberati coloro che erano finiti in schiavitù, e che – scrive Solone - «qui subivano una schiavitù infame, tremanti dinanzi ai capricci dei loro padroni» (fr. 36 W.: testo completo in Arist. Ath. Resp. 12, 4); • vennero recuperati quei cittadini ateniesi che, divenuti schiavi, erano stati addirittura venduti all‟estero dai loro padroni e che, come scrive Solone nel medesimo testo, erano «ormai incapaci di parlare la lingua attica, tanto avevano errato ovunque»; • vennero tolti i cippi che, sui terreni, segnalavano l‟esistenza di vincoli legati all‟indebitamento dei coltivatori e così –scrive Solone nel medesimo componimento - «la Terra nera, che prima era schiava, fu libera». La riforma costituzionale • Ma le misure di carattere economico e legale non avrebbero avuto lunga durata senza un riequilibrio dei poteri all‟interno dello Stato: come osserva Plutarco (scrittore greco di I sec. d.C.) Solone «voleva riservare tutte le cariche, come già si faceva, ai proprietari, ma per il resto ammettere al governo della città anche il popolo, fin allora escluso» (Vita di Solone, 18, 1). Fino ad allora, infatti, il potere era rimasto tutto saldamente nelle mani delle stirpi aristocratiche; il principale consiglio della polis era l‟Areopago, che – essendo composto solo da exarconti – era accessibile solo agli aristocratici. • Nella visione di Solone, occorreva permettere anche chi non avesse origini illustri ma godesse comunque di un patrimonio adeguato di accedere alle più alte cariche; nello stesso tempo, tutti i cittadini, anche i più poveri, dovevano poter avere la possibilità di partecipare, sia pure in misura minoritaria, alla vita politica. Le classi censitarie [cfr. Arist. Ath. Resp. 7] • Per questo motivo Solone distinse la popolazione in quattro classi censitarie („timocrazia‟), sviluppando forse divisioni sociali preesistenti (a giudicare dai nomi della seconda, terza quarta classe): • i pentacosiomedimni, coloro che, dalle proprie terre, ogni anno producevano almeno 500 medimni di grano, pari ad oltre 25.000 litri, o avevano un reddito di valore analogo; questa classe fu forse creata selezionando i più ricchi all‟interno dei cavalieri • i cavalieri, con censo di almeno 300 medimni (ca. 15.000 litri), cioè il reddito sufficiente a mantenere un cavallo (tradizionale il legame fra possesso di un cavallo e alto livello sociale); • gli zeugiti (con censo di almeno 200 medimni, oltre 10.000 litri) che potevano mantenere una coppia di buoi (in greco zeugos); essi corrispondono alla classe degli opliti; • i teti („[lavoratori] dipendenti‟), coloro che producevano meno di 200 medimni: tale classe comprendeva quindi i contadini con proprietà molto piccole o povere, e coloro che erano del tutto privi di proprietà terriere, e lavoravano dunque come al servizio di altri; ovviamente a tale classe apparteneva la maggior parte della popolazione. Il ‘Cavaliere Rampin’ Nell‟Atene del VII-VI sec. numerosi aristocratici commissionavano statue dei propri familiari per le tombe oppure dedicate alle divinità nei santuari, anche con l‟obiettivo di celebrare la ricchezza e la raffinatezza della famiglia. Nella statua qui riprodotta, il„Cavaliere Rampin‟ (560 a.C. ca.), un giovane aristocratico, dai lineamenti raffinati e dalla capigliatura curata, viene raffigurato a cavallo, tipico attributo aristocratico. [cfr. Arist. Ath. Resp. 7, 4] La corona di foglie di quercia sul capo lo identifica come un vincitore di giochi atletici in cui il premio consisteva in una corona: le competizioni sportive erano tipico svago e vanto aristocratico. • Solo i pentacosiomedimni e (forse) i cavalieri potevano aspirare alla carica più importante, l‟arcontato; • solo i pentacosiomedimni potevano divenire „tesorieri‟; • agli zeugiti erano concesse solo le cariche minori; • infine, i teti erano esclusi dalla possibilità di farsi eleggere ad una qualsiasi carica. • Nonostante tali limitazioni, la riforma soloniana – sostituendo le distinzioni legate alla nobiltà di nascita con quelle legate al reddito introduceva una innovazione fondamentale: anche chi non era nobile, se era abile o fortunato, poteva, entrando nelle prime due classi censitarie, accedere (egli e i propri discendenti) alle più alte cariche dello Stato. • Una parte della popolazione si doveva certo già essere arricchita, perché l‟economia attica dell‟epoca era già piuttosto vivace: lo dimostra la nascita, nella prima metà del VI secolo, delle prime monete attiche; lo dimostrano le notevolissime esportazioni di vasi decorati attici che venivano smerciati nel Mediterraneo e in Italia (sono migliaia i vasi greci trovati nelle necropoli etrusche); ma lo dimostra anche una norma di Solone che permetteva solo le esportazioni di olio, riservando la produzione di grano al consumo locale. Verso la fine del VI secolo le monete attiche in argento (dette dracme: la dracma è una misura di peso) assunsero quegli emblemi che poi restarono stabili per gran parte della successiva storia cittadina (la testa della dea Atena e l‟immagine della civetta, uccello sacro alla dea). Qui vediamo un esemplare di dracma ateniese in argento risalente al 450 a.C. ca. Ekklesia, Heliaia, Boulé 2) Non è questo l‟unico aspetto „democratico‟ della riforma costituzionale soloniana. Tutti i cittadini, infatti, compresi quindi i teti, potevano partecipare all‟ekklesìa, l‟assemblea generale della cittadinanza, che poi nel V sec. a.C. sarebbe divenuta il supremo organo statale. 3) Inoltre Solone istituì un tribunale popolare (detto Elièa) alle cui giurie potevano partecipare tutti i cittadini: in tal modo l‟amministrazione della giustizia era sottratta in gran parte agli arconti e all‟Areopago (e quindi agli aristocratici e ai ricchi) e veniva gestita dal popolo, compresi dunque i teti: come osservava secoli dopo Plutarco, «quest’ultimo privilegio inizialmente parve trascurabile, ma in seguito si rivelò di grandissima importanza, perché la maggior parte dei contrasti finiva per cadere nelle mani dei giurati» (Vita di Solone, 18). La Boulé dei ‘Quattrocento’ [cfr. Arist. Ath. Resp. 8, 4] Ultimo elemento della riforma costituzionale soloniana fu una Boulé [da boulomai, „voglio per effetto di decisione‟], un Consiglio, composto di 400 membri tratti dalle prime tre classi (100 per ognuna delle tradizionali quattro tribù attiche): suo compito era preparare le proposte da presentare all‟ecclesia. In tal modo fu tolto potere all‟Areopago, ma nello stesso tempo il potere dell‟ecclesia, in cui i teti erano teoricamente maggioranza, fu in parte limitato dal fatto che ogni proposta di legge doveva prima essere vagliata dalla Bulé: ancora una volta era perseguito l‟equilibrio fra le varie classi. La politica come strumento di risoluzione intelligente e collettiva dei conflitti sociali • La riforma soloniana, dunque, non intervenne sulle disuguaglianze economiche (non vi fu la redistribuzione della terra) ma evitò che le disuguaglianze economiche portassero ad una spaccatura irrimediabile della cittadinanza, e cercò di aprire anche ai più poveri uno spazio di partecipazione alla vita politica. • Anzi, tale era l‟importanza della partecipazione politica nella visione di Solone che una delle leggi da lui introdotte fissava come pena la perdita della cittadinanza per chi, durante una situazione di conflitti interno (stasis) non parteggiava per nessuna delle due parti. (vd. Arist. Ath. Resp.8, 5] L’obbligo della partecipazione alla stasis • Per Solone, insomma, il cittadino, prendendo comunque posizione, è tenuto a contribuire alla soluzione dei problemi comuni. • La politica è lo strumento di risoluzione dei conflitti interni, attraverso la ricerca razionale di decisioni condivise, e non sulla base di dettami religiosi, o di prescrizioni fondate sulla rigida conservazione della tradizione data (Sparta). Bassorilievo c.d. d‟ „Atena pensierosa‟, databile al 460 a.C. ca.: immagine emblematica della associazione fra riflessione razionale e identità ateniese. • L‟Athena Parthenos di Fidia, la statua in oro e avorio posta all‟interno del Partenone, in una copia in marmo di prima metà III sec. d.C. • (c.d. Athena di Varvakeion, trovata ad Atene prsso la scuola Varvakeion; è la meglio preservata delle copie note dell‟Athena Pathenos; le dimensioni sono circa 1/12 dell‟originale; ora ad Atene. Museo Archeologico Nazionale). • La dea è armata di elmo e scudo; sostiene la dea Nike, la Vittoria, alata; nello scudo trova riparo un serpente, immagine del progenitore degli Ateniesi, l‟uomo-serpente Cecrope (nato dalla terra, così come gli Ateniesi si vantavano di essere autoctoni). Sul piano concreto, tuttavia, le riforme soloniane non posero fine alle tensioni sociali all’interno di Atene Sul piano concreto, tuttavia, le riforme soloniane non posero fine alle tensioni sociali all‟interno di Atene. Anzi, proprio la sua politica di mediazione finì per attirargli l‟ostilità di entrambe le fazioni: gli aristoi scontenti d‟aver perduto il loro assoluto predominio politico e sociale, i poveri insoddisfatti per non aver ottenuto la redistribuzione delle proprietà (Solone stesso si vanta d‟aver scontentato entrambi i gruppi, a riprova della sua imparzialità). • I contrasti sociali ad Atene ripresero, dunque, come e più di prima; in alcuni anni fu impossibile perfino giungere ad eleggere l‟arconte (anarchia: „assenza di arconte‟), oppure un arcontato ebbe, illegalmente, durata biennale e l‟arconte dovette essere deposto a forza. • Ne fornisce un resoconto (cronologicamente non chiarissimo) Arist. Ath. Resp. 13, 1-3: 592/1 arcontato di Solone; 587/6 anarchia; 582/1 anarchia? 580/2 arcontato biennale di Damasia; 580/570: regime dei dieci arconti. Le tre fazioni (Arist. Ath. Resp. 13, 4) • Al conflitto sociale si aggiunse quello politico. Emersero tre fazioni, espressione di interessi locali ed economici distinti e capeggiate da famiglie aristocratiche: • i pediakoi, gli abitanti della pianura (pedion), ovvero i grandi proprietari terrieri, favorevoli al mantenimento del potere nelle mani degli aristocratici; • i paralioi, „quelli della costa‟, più legati alle attività commerciali e capitanati da Megacle, della famiglia degli Alcmeonidi; • infine i diakrioi, cioè quelli delle montagne, piccoli coltivatori, possessori di terre poco produttive, che reclamavano un maggior spazio per i ceti più modesti. Brauron, località di origine di Pisistrato Dai contrasti sociali emerge Pisistrato • Un uomo abile avrebbe potuto approfittare della crisi per imporsi al potere, e lo stesso Solone sapeva bene che egli avrebbe potuto farsi tiranno, appoggiando le rivendicazioni del demos e ottenendone così il sostegno: come scrive egli stesso, «un altro che come me avesse in mano il potere [pungolo], un altro – disonesto e avido – non avrebbe trattenuto il popolo» (fr. 36 W: in Arist. Ath. Resp. 12, 4). • Il timore espresso da Solone trovò preso conferma, ed egli scrisse tali parole forse proprio vedendo la piega che prendevano gli eventi. • Nei contrasti fra il gruppo dei pediakoi e quello dei paralioi si impose come terzo incomodo un giovane aristocratico, Pisistrato, che si era distinto con i suoi successi militari quando aveva ricoperto la carica di polemarco: egli si era posto a capo del terzo partito in cui si divideva la cittadinanza ateniese, quello dei diakrioi, espressione dei contadini di condizione più modesta. Le tre ‘tirannidi’ di Pisistrato e la difficoltà di una tirannide ad Atene • Ma Atene era una polis troppo sviluppata perché l‟ascesa al potere tirannico fosse facile e lineare, e fondato sul banale uso della forza: Pisistrato due volte prese il potere e due volte ne fu cacciato. • La prima volta (nel 561 a.C.) ottenne il potere fingendosi vittima di un attentato e ricevendo perciò dalla polis il permesso di usare una guardia del corpo di trecento sostenitori, che però usò per imporre il proprio potere; • cacciato da Atene dopo cinque anni, vi rientrò grazie all‟appoggio della fazione dei paralioi con cui si era accordato, e rimase al potere per altri cinque anni (544-538) ma fu poi cacciato quando tale accordo venne meno. • Dopo altri anni di preparativi in esilio, solo nel 534 prese il potere definitivamente, stavolta con la forza militare, e lo tenne fino alla morte avvenuta nel 528/7. I tre diversi colpi di Stato di Pisistrato. • I modi con cui Pisistrato per tre volte si impadronì della tirannide ad Atene meritano di essere visti da vicino, perché sono piccoli capolavori di abilità politica e di propaganda: segno di come già allora Atene fosse un vero e proprio „laboratorio politico‟ anche sul piano delle forme della lotta politica. • La prima volta Pisistrato si impose approfittando del clima di scontri che regnava in città: procurandosi delle ferite, inscenò di essere rimasto vittima di un attentato ad opera dei suoi avversari politici. Sull‟onda dell‟emozione e dell‟indignazione collettiva, ottenne di scegliersi, fra i cittadini, trecento guardie del corpo personale (i cosiddetti „mazzieri‟, perché armate di mazze); poco dopo, Pisistrato, con i suoi trecento fedelissimi, occupò l‟Acropoli e impose il proprio potere. Felix Bonfils, Atene e la sua acropoli (foto del 1860) La seconda ascesa al potere • Nonostante la moderazione mostrata nell‟esercizio del potere, egli restò in sella solo per cinque anni (561-555 a.C.): contro di lui, infatti, si coalizzarono i capi dei pediakoi e quelli dei paralioi, che riuscirono così a cacciare Pisistrato. • Bastarono però pochi anni perché riemergessero i contrasti fra le due fazioni. Ancora una volta ne approfittò Pisistrato, che si accordò con Megacle, della famiglia degli Alcemonidi e capo dei paralioi, per ritornare in patria al potere (544-538). • Da abile politico, elabora una messinscena per trasformare il suo ritorno in un‟occasione per presentarsi come la guida indicata dagli dei per la tormentata Atene. Una donna di bell‟aspetto e alta statura viene fatta abbigliare come la dea Atena, con lancia, elmo e scudo, e viene fatta salire su un carro: su questo carro fa il suo ingresso in città, preceduto da araldi che annunciano «ciò che era stato loro ordinato, così dicendo: “Ateniesi, accogliete benevolmente Pisistrato, che la dea Atena in persona ha onorato sopra tutti gli uomini e riconduce nella sua acropoli”. Essi andando qua e là dicevano tali parole» (Erodoto, Storie, 1, 59, 4-5). La ‘tirannide illuminata’ di Pisistrato • Ciò che permise a Pisistrato di recuperare ogni volta con facilità il potere, imponendosi per ben tre volte sui suoi oppositori, fu il fatto che egli in realtà seppe esercitare il suo potere senza inutili violenze e prevaricazioni: come ci informano gli autori antichi, Pisistrato non sconvolse le cariche esistenti né abolì le leggi, ma si limitò a governare la città piazzando uomini di fiducia nei posti di potere: • Erodoto afferma che Pisistrato «governò la città sulla base delle istituzioni vigenti, amministrandola bene e saggiamente» (Storie, 1, 59, 6); • Aristotele, nel IV secolo, nella sua Costituzione degli Ateniesi scrive che Pisistrato governò «con equilibrio, più da cittadino che da tiranno» (16,3). • 1. 2. 3. In realtà, proprio per il fatto di esercitare un potere assoluto, Pisistrato impresse con la sua azione di governo un impronta forte sulla società ateniese, facilitando la soluzione dei problemi sociali ed economici di Atene. Fu introdotta una tassa del 5% o 10% sui raccolti: ad esserne colpiti furono soprattutto i grandi proprietari terrieri; nello stesso tempo la tassazione stimolava i proprietari a produrre di più. Il denaro raccolto servì a Pisistrato per offrire prestiti ai cittadini meno abbienti, permettendo a molti cittadini di diventare piccoli proprietari: si accrebbe così la superficie coltivata e quindi la produzione agricola; sempre a favore dei piccoli contadini, furono istituiti tribunali locali, che liberavano la popolazione delle campagne dalla necessità di recarsi fino in città perdendo tempo prezioso. La pace e la tranquillità interna favorirono lo sviluppo economico. • Le tasse furono utilizzate anche per un grandioso programma di opere pubbliche con la costruzione di un grande tempio di Atena sull‟Acropoli, l‟avvio di un grande tempio a Zeus nella città bassa (l‟Olympieion), e con la „fontana delle nove condotte‟, che portò acqua alla città: • i lavori pubblici dovettero dare possibilità di lavoro ad artigiani e manovali, ai quali giunse così il denaro raccolto dalla tassazione sull‟agricoltura; migliorarono le condizioni economiche di individui prima esclusi dal flusso dell‟economia. • Furono organizzati i primi agoni (competizioni) teatrali, dando occasioni di svago ma anche di crescita culturale ai cittadini di modesta condizione: nasce in questo periodo, in forme a noi ignote, la grande tradizione del teatro attico. • Non c‟è da sorprendersi se, in quegli anni, vi era chi poteva paragonare la tirannide di Pisistrato all‟età di Crono, all‟età d‟oro in cui il dio Crono regnava sugli uomini. Il grande tempio a Zeus Olympios (l‟Olympieion) nella città bassa di Atene Ca. 430 a.C. Politica estera di Pisistrato: l’avvio del controllo ateniese dell’Egeo nord-orientale In politica estera, sotto Pisistrato Atene inizia a mettere sotto controllo l‟area del Chersoneso tracico (sull‟Ellesponto) che poi diverrà vitale pei traffici ateniesi e l‟approvvigionamento di grano. I successori di Pisistrato (Arist. Ath. resp. 1718-19) • Così, non sorprende che quando Pisistrato morì, saldamente al comando, nel 528/7 a.C., il potere passò senza problemi ai figli. Ad assumere la guida del governo fu il figlio maggiore Ippia, che inizialmente cercò di seguire la politica „moderata del padre‟. • Nel 514, però, durante la processione delle feste Panatenee, tenute ogni anno in onore di Atena, Ipparco, fratello minore di Ippia, fu ucciso in un attentato ad opera di due aristocratici (Armodio e Aristogitone), mossi – pare – da risentimenti personali: da allora, per naturale reazione, Ippia assunse uno stile di governo più duro e dispotico, sicché di conseguenza fu ancora più forte l‟insofferenza generale e l‟avversione nei confronti della tirannide. • A capeggiare l‟opposizione fu l‟influente famiglia degli Alcmeonidi. Con l‟appoggio degli Spartani la fazione degli esuli attaccò Atene e obbligò Ippia a lasciare la città. Era il 511/10 a.C. • • Questo gruppo statuario in marmo, detto „Gruppo dei tirannicidi‟, è la copia romana di una statua in bronzo eretta attorno al 470 a.C. nell‟agorà di Atene per celebrare Armodio e Aristogitone, i due congiurati che uccisero Ipparco e tentarono di eliminare Ippia nella congiura del 514 a.C. L‟uno è giovane (Armodio), l‟altro più anziano: la tradizione aristocratica attribuiva grande importanza al legame affettivo fra un aristocratico adulto e un più giovane allievo, che imparava dall‟esperienza del più grande; i due avanzano brandendo le spade con cui si avventarono su Ipparco. Una prima coppia di statue fu realizzata già nel 509 a.C., ma fu poi portata via da Atene al tempo dell‟invasione persiana di Serse nel 480 a.C., e fu quindi fatta questa seconda versione. Nuove lotte dopo Ippia (Arist. Ath. Resp. 20) • Ma la definitiva caduta della tirannide non riportò immediatamente la stabilità politica. Anzi: ripresero violenti i contrasti fra fazioni, in cui si inserì perfino Sparta: molti aristocratici, capeggiati dal nobile Isagora e appoggiati inizialmente dalle truppe spartane penetrate in Attica, volevano infatti instaurare un regime di tipo oligarchico, e ridurre lo spazio che le riforme soloniane avevano dato al popolo; altri – e in particolare Clistene, principale esponente degli Alcmeonidi – erano a favore di un pieno ingresso delle masse popolari nella vita politica, comprendendo che solo un regime con una base sociale più ampia avrebbe potuto evitare il ritorno della tirannide. Clistene iniziò ad attuare la riforma in senso democratico della costituzione ateniese, ma fu obbligato all‟esilio dagli aristocratici di Isagora e dalle truppe spartane intervenute in loro favore. Diversamente da quanto avvenuto con Pisistrato, stavolta il demos prese le armi a favore di Clistene: fece sloggiare Isagora, i suoi sostenitori e gli occupanti spartani e Clistene poté ritornare vincitore. Clistene: l’isonomia e la democrazia • Divenuto arconte, nel 508, egli portò allora a termine la radicale riforma dell‟ordinamento costituzionale: il tutto avvenne attraverso un chiaro disegno razionale. • Il regime creato da Clistene venne inizialmente indicato col nome di isonomia (dal greco isos „eguale‟ e nomos „legge‟ ma anche „porzione‟) ad indicare l‟eguaglianza di fronte alla legge e l‟eguale compartecipazione di tutti alle decisioni, cioè i due aspetti più evidenti della riforma; si aggiunse ancora il termine isegoria, cioè l‟eguale diritto di parola per tutti nelle assemblee; tuttavia, nel corso del V secolo si imporrà il termine „democrazia‟, ad indicare un regime in cui il potere decisionale, il kratos, spetta al popolo nella sua interezza, il demos. L’obbligo della partecipazione alla stasis • Per Solone, insomma, il cittadino, prendendo comunque posizione, è tenuto a contribuire alla soluzione dei problemi comuni. • La politica è lo strumento di risoluzione dei conflitti interni, attraverso la ricerca razionale di decisioni condivise, e non sulla base di dettami religiosi, o di prescrizioni fondate sulla rigida conservazione della tradizione data (Sparta). Bassorilievo c.d. d‟ „Atena pensierosa‟, databile al 460 a.C. ca.: immagine emblematica della associazione fra riflessione razionale e identità ateniese. Le dieci tribù: come mescolare una popolazione divisa • Clistene puntò in primo luogo a spezzare il legame fra fazioni nobiliari e le diverse aree geografiche dell‟Attica, espressione di interessi e gruppi sociali diversi: la tirannide di Pisistrato si era imposta proprio sfruttando le spaccature fra abitanti della costa, della pianura e dell‟interno. • Per questo motivo, Clistene in primo luogo riorganizzò la divisione in tribù della cittadinanza ateniese, con il chiaro intento di «mescolarli, affinché partecipassero più numerosi al governo» (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi 21, 3): abolì le quattro tribù tradizionali, alle quali si apparteneva per discendenza; divise invece l‟intera cittadinanza in dieci tribù territoriali: il che significava che membri del medesimo clan familiare (genos) potevano appartenere a tribù diverse, perdendo così la possibilità di agire come un gruppo compatto. Le trittie • In secondo luogo ogni tribù doveva essere composta di tre parti (chiamate trittie) fisicamente separate e fra loro geograficamente diverse: un distretto della costa, uno della città, uno dell‟interno (esistevano dunque dieci trittie della città, dieci della costa, dieci dell‟interno). • Ogni tribù era dunque composta da cittadini residenti in tutte e tre le aree geografiche (le trittie della città, infatti, corrispondevano all‟area della pianura, sede dei pediakoi nell‟età di Pisistrato). • Mappa dell‟Attica modellata dalle riforme di Clistene; la linea spezzata indica i confini delle trittyes; i numeri nelle trittyes indicano a quale trinù appartengan o; i punti indicano alcuni demi I demi e il demotico • Ogni trittia, a sua volta, era composta da un numero variabile di demi (da uno a dieci), cioè in piccole circoscrizioni – corrispondenti in genere ai tradizionali villaggi della campagna attica e ai quartieri di Atene (qualcosa di simile ai nostri comuni). • L‟appartenenza al demo definiva il cittadino: il cittadino non era tale se non era registrato, alla nascita o in seguito, presso il registro del demo, e da allora ogni cittadino dovette essere identificato non solo con il proprio nome seguito dal patronimico ma anche, necessariamente, dal demotico, cioè dall‟indicazione del demo di nascita o di residenza (Eucrate figlio di Aristonimo del demo del Pireo). • Anche in questo aspetto è chiara la volontà di far prevalere l‟appartenenza alle strutture della polis rispetto alla forza tradizionale del legame familiare, pericolosa per la compattezza cittadina. La tribù come base dell’organizzazione civica • La tribù divenne la base dell‟organizzazione politica, militare, finanziaria della repubblica ateniese, perché l‟elezione dei magistrati, l‟organizzazione dell‟esercito, la raccolta delle tasse si fondava sulla divisione in tribù e in trittie. • Ciascuna tribù forniva un contingente di opliti; • ogni tribù eleggeva uno dei dieci strateghi, i generali ai quali era affidato – a rotazione – il comando delle truppe cittadine, sotto la supervisione dell‟arconte polemarco. L’Ecclesia • Ovviamente la nuova organizzazione della popolazione ateniese era funzionale ad un potenziamento della partecipazione popolare al governo cittadino. Clistene mantenne in vita i nove arconti e l‟Areopago, ma accanto diede il ruolo principale all‟ecclesia, l‟assemblea di tutti i cittadini, e ad una nuova boulè, secondo una precisa logica. L‟ecclesia divenne il supremo organo ateniese: eleggeva i magistrati o gestiva il loro sorteggio; controllava entrate e spese statali; determinava la politica estera dello stato; votava le leggi. • Ma Clistene comprese che da sola l‟ecclesia non sarebbe stata un valido organo di governo per la gestione ordinaria della polis. La Pnice, sede dell’ecclesia nel V sec. a.C.; al centro, la tribuna (bema) degli oratori Due vedute della Pnice Ca. 430 a.C. …e la Boulé dei Cinquecento • Per questo Clistene creò una nuova Boulé („Consiglio‟), composta non più di 400 membri, ma da cinquecento, cinquanta per tribù e soprattutto aperta a tutti cittadini (compresi i teti): compito del Consiglio dei Cinquecento, che si riuniva tutti i giorni tranne i festivi, era appunto preparare e selezionare le proposte da sottoporre poi al voto dell‟ecclesia, che invece si riuniva solo quaranta volte l‟anno. L‟ecclesia era libera di accogliere la proposta, bocciarla o anche chiedere che fosse modificato dalla Boulé e sottoposto ad una nuova votazione (cosa che invece l‟Apella spartana non poteva fare); ma non poteva votare proposte che non fossero prima passate per la Boulé, e questo serviva ad evitare che le decisioni dell‟ecclesia nascessero da proposte avanzate a sorpresa, sull‟onda dell‟emozione. Il rapporto fra Boulé ed Ecclesìa • Boulé ed Ecclesìa, insomma, operavano congiuntamente: all‟ecclesia spettava l‟approvazione finale delle decisioni, ma era la Boulé che permetteva alla volontà popolare di tradursi in scelte concrete e ponderate (e infatti le leggi ateniesi si aprono con la formula: “Così ha deciso il demos [riunitosi in ecclesia] e la boulé”). Alla Boulé inoltre, poiché si riuniva tutti giorni, toccava di controllare l'operato dei magistrati e gestire gli affari quotidiani. L’organizzazione interna della Boulé • Per rendere più efficaci i lavori, lo stesso Consiglio dei Cinquecento era organizzato dividendo i cinquecento buleuti in dieci gruppi di cinquanta, uno per tribù: ogni gruppo prendeva, a turno, la presidenza, aveva cioè il compito di preparare l‟ordine del giorno e di organizzare i lavori dell‟intera Boulé: tale incarico è detto pritanìa, e i cinquanta buleuti appartenenti alla stessa tribù che svolgevano erano detti prìtani (prytanis è „presidente‟, „primo‟); ogni pritania restava in carica per un decimo dell‟anno, periodo definito anch‟esso pritania. Così ogni tribù, per un decimo dell‟anno, si trovava ad esercitare il governo in nome e per conto della polis intera. • A loro volta ogni giorno i pritani sorteggiavano fra di loro un presidente (epitastes), che custodiva le chiavi degli edifici sacri, dei tesori pubblici e i sigilli statali; egli restava in carica un solo giorno, e così quasi tutti i buleuti, prima o poi, si trovavano ad essere, per un giorno, supremi „custodi‟ della polis. Partecipazione ed efficacia degli organi assembleari • Si ammira anche sotto questo l‟abile fusione fra la volontà di assicurare una ampia partecipazione democratica (la boulè aveva comunque cinquecento membri) e l‟esigenza di rendere tale assemblea efficace, affidando ad una sua parte la preparazione e l‟organizzazione del lavoro di tutti gli altri buleuti, così come a sua volta l‟intera Boulé preparava il terreno per le decisioni dell‟ecclesia. • Inoltre, siccome tutti i buleuti erano pritani per un decimo dell‟anno, e quasi tutti i pritani finivano per essere sorteggiati per essere presidenti per un giorno, ogni cittadino ateniese, fino al più modesto, aveva la forte probabilità di essere, un giorno nella vita, „presidente‟. • Fonte: https://cleisthenes-plus-democracy.weebly.com/legacy.html Il principio del sorteggio e della rotazione • Ma come si diveniva membri della Boulé? I buleuti venivano estratti a sorte, cinquanta per tribù, fra tutti i cittadini; nessuno poteva però diventare buleuta più di due volte nel corso della vita. • Il divieto di essere sorteggiati come buleuti per più di due volte assicurava una continua rotazione dei membri della Boulé; • il sorteggio apriva la partecipazione alla Boulé a tutti a cittadini, anche a quelli di condizione più modesta. • Dal 487/486 a.C. il sistema del sorteggio fu usato anche per gli arconti (anche se il sorteggio avveniva entro una lista di nomi, cinquecento, proposti dalle tribù): così la carica tradizionalmente riservata agli aristocratici ateniesi perse importanza, in quanto svincolata dall‟effettivo peso politico di chi la otteneva. Una democrazia fondata sulla partecipazione di tutti • Anche se il sorteggio mirava ad annullare i vantaggi politici derivanti dal prestigio sociale, e ad evitare la formazione di gruppi di potere legati a singole famiglie o personaggi in vista, in ogni caso alla base vi era un‟idea potente: che tutti i cittadini, nessuno escluso, possono e devono partecipare alla gestione dello Stato; • anzi, che proprio partecipando, giorno per giorno, ai meccanismi della politica, ogni cittadino era quasi obbligato ad acquisire maggior esperienza dei problemi della collettività. • Poiché i buleuti erano ben cinquecento su un totale di 20.000-30.000 cittadini, poiché il sorteggio e il divieto di essere buleuti più di due volte assicuravano una notevole rotazione, era inevitabile che ogni cittadino si trovasse, almeno una volta a far parte della Boulé. • Peraltro, il sistema del sorteggio e il divieto di ricoprire due volte una carica venne utilizzato via via per tutti i magistrati che – non essendovi un sistema burocratico – si occupavano dell‟amministrazione quotidiana (ad esempio i tesorieri, i cassieri, i controllori dei conti, gli ispettori del commercio, commissari per la manutenzione delle strade, ecc.): così tutti i cittadini avevano un‟altissima probabilità di doversi occupare, almeno una volta nella vita, della gestione pratica dei problemi cittadini. Gli esclusi Ovviamente, restavano esclusi dalla vita politica • le donne ateniesi; • i meteci, cioè gli stranieri residenti in città, i quali non acquisivano la cittadinanza neppure se nati su suolo attico; • infine gli schiavi. La democrazia ateniese – sia chiaro – non si allargò mai oltre la sfera dei cittadini (maschi,liberi, adulti): il demos è gelosissimo dei propri privilegi, e si comporta – nei confronti del resto della popolazione – come un club di privilegiati. Addirittura, alla metà del V secolo, la cittadinanza ateniese verrà limitata a coloro che nasceranno da genitori entrambi ateniesi, e non basterà avere solo il padre cittadino. Gli strateghi • Chiaramente, il sistema del sorteggio aveva le sue eccezioni: gli strateghi, i comandanti della cavalleria (detti ipparchi) e le altre cariche militari erano scelti per votazione, trattandosi di cariche delicate per la salvezza della città; solo le magistrature militari potevano essere ricoperte più volte. • Così gli strateghi, eletti inizialmente uno per tribù, finirono per essere la carica più importante del sistema politico ateniese, perché – da quando gli arconti furono sorteggiati e non più eletti - furono gli unici magistrati di alto livello la cui elezione era conquistata col voto popolare (vd. il caso di Pericle). Il ruolo costituzionale dell’Areopago • L‟Areopago, costituito dagli ex-arconti, conservò (o trovò?) un suo ruolo, come supremo supervisore dell‟operato di tutti gli altri organi dello stato e «custode dell‟ordinamento politico»: ma dopo che gli arconti furono scelti per sorteggio e non per elezione, il peso dell‟Areopago andò declinando, fino a che, nel 461 a.C., una ulteriore riforma ne limitò i compiti all‟ambito giudiziario. L'ostracismo: prevenire la tirannide • Un ultimo tassello completa il quadro della riforma clistenica: l‟ostracismo. Tale istituzione aveva il fine di stroncare sul nascere ogni tentativo di instaurare la tirannide: erano infatti passati appena tre, quattro anni dalla cacciata di Ippia, e ad Atene erano rimasti molti parenti e sostenitori dei Pisistratidi. In che cosa consiste l’ostracismo? • Su proposta di qualsiasi cittadino, l‟ecclesia poteva denunciare quel cittadino che fosse ritenuto troppo potente e perciò in grado di instaurare una tirannide; il cittadino ostracizzato doveva lasciare Atene per dieci anni, ma non perdeva né i suoi beni né i suoi diritti politici. • L‟idea di base è che il potere o l‟influenza eccessiva di un singolo individuo sono sempre un pericolo per una democrazia, e che un individuo che susciti timori in una vasta parte della popolazione sia un ostacolo al corretto funzionamento delle istituzioni; tuttavia, dopo pochi anni dalla prima applicazione, l‟ostracismo finì per essere utilizzato come strumento di lotta per il potere, utile togliere dalla scena un avversario politico. • il nome ostrakismòs deriva dal fatto che in tali votazioni il nome dell'accusato veniva scritto o inciso su un ostrakon, cioè su un coccio, preso da un vaso rotto e quindi divenuto inutile (un mezzo insieme economicissimo e sicuro, perché l‟ostrakon è indistruttibile e conservabile). Due ostraka: in alto, con il nome di „Cimone figlio di Milziade‟; in basso con il nome di „Temistocle, figlio di Neocle del demo di Frearrio‟ • Cumuli di ostraka rinvenuti nell‟agorà di Atene; se ne scorgono vari contro Temiustocle, Cimone, Megacle figlio di Ippocrate,