Gianfranco Mosconi
Atene, 594-507 a.C.
L’invenzione della politica e
della democrazia
Una lezione in powerpoint.
Per studenti liceali e per studenti di corsi
generali di Storia Greca
Il cammino di Atene è opposto
a quello di Sparta:
• a Sparta l‟ordine politico e sociale si va cristallizzando,
Atene vive una continua evoluzione sociale e sperimenta
soluzioni politiche sempre nuove;
• Sparta è una polis creata da un gruppo ristretto di invasori
che si impone sulla popolazione preesistente, gli Ateniesi si
vantavano di essere autoctoni, di essere cioè la
popolazione originaria del luogo;
• la storia spartana è segnata dal contrasto fra il nucleo
degli Spartiati residenti a Sparta e la popolazione asservita
della campagna, al contrario quella di Atene è caratterizzata
dall‟eguaglianza di diritti fra abitanti della città e abitanti dei
villaggi, e dalla fusione di centro urbano e campagna in una
unica realtà politica;
• Sparta risolve il conflitto politico solo imponendo
l‟uguaglianza totale dei cittadini, Atene invece
saprà coniugare eguaglianza di diritti politici e
diseguaglianze economiche.
• Sparta finisce per incarnare l‟ideale
dell‟oligarchia (il dominio dei pochi sui molti: da
olìgos „poco‟ e arché, „comando‟), ad Atene si
imporrà infine quelle che gli stessi Ateniesi
definiranno „isonomia‟, la „parità di diritti‟ di tutti
di fronte alla legge e „democrazia‟, cioè il regime
fondato sul potere del popolo.
La geografia dell’Attica
• Una parte di tale differente cammino ha le sue
radici nella geografia. Diversamente dalla vallata
di Laconia, l‟Attica è una penisola, come tale in
stretto rapporto col mare e quindi aperta al
commercio e ai contatti con l‟esterno; la stessa
Atene, suo centro principale, sorge a pochi
chilometri dalla costa, dove si svilupperà poi il
comodo porto del Pireo.
• L‟interno è in buona parte montuoso, il che
riduce l‟importanza dell‟agricoltura e spiega
l‟orientamento alle attività artigianali e
commerciali: nello stesso tempo, non mancano
varie pianure costiere, fra cui la più ampia è
quella in cui sorge la stessa Atene.
Quanto dista il Pireo
dall’Acropoli
•
Sparta si trovava al
centro di una vasta
regione pianeggiante del
Peloponneso
meridionale, la Laconia,
compresa fra le due
catene dei monti Parnone
e Taigeto e irrigata dal
fiume Eurota, che scorre
da nord a sud.
Caso quasi eccezionale nel mondo greco, Sparta si trovava ad una notevole
distanza dal mare (il porto di Gizio si trova 35 km a sud di Sparta): la distanza
dal mare, e nello stesso tempo la posizione centrale nella fertile vallata della
Laconia, spiegano in buona parte la successiva storia della città, in cui il
possesso, la conquista e lo sfruttamento della terra hanno un ruolo
determinante.
La fertile piana dell’Eurota
vista dal colle del Menelaion
Il fiume è visibile in
fondo a destra,
coperto da piante
acquatiche; sullo
sfondo il Taigeto
Dal potere di uno solo al collegio degli arconti
• In ogni caso, anche ad Atene la forma di potere
monarchico andò via via declinando fino a
scomparire: la storia più antica e in gran parte
leggendaria della „costituzione‟ ateniese è la
storia di un progressivo passaggio dalla
monarchia ad un sistema sempre più articolato
di magistrature cittadine, non più ereditarie né a
vita, ma a tempo e scelte per elezione, fra cui
venne frazionato e articolato il potere
originariamente concentrato nelle mani del re.
• Il processo si svolse nei secoli successivi alla
fine dell‟età micenea, ma come ciò avvenne
precisamente è incerto, e le fonti sono
inaffidabili.
I nove arconti
•
•
•
•
•
il „basileus’ („re‟), che nacque forse dalla trasformazione in una
carica elettiva dell‟originario titolo di basileus, e che infatti era erede
delle antiche funzioni sacerdotali e religiose un tempo appartenute
al wanax miceneo;
il polemarco (da polemos, „guerra‟ e archein „comandare‟), che si
aggiunse al „re‟ come capo delle spedizioni militari e che riflette la
crescente importanza dell‟elemento oplitico;
infine l’arconte (letteralmente „capo‟), chiamato in età molto
successiva anche „arconte eponimo‟ perché dava il nome all‟anno,
che fino agli inizi del V secolo fu la suprema carica dello Stato e
che, anche in seguito, ebbe un ruolo.
Tutti e tre questi magistrati vengono definiti complessivamente
„arconti‟ (si parla quindi di „arconte re‟, arconte polemarco‟, „arconte
eponimo‟).
Ai tre arconti principali furono aggiunti infine, nel corso del VII
secolo, sei arconti tesmoteti, cioè „responsabili delle leggi‟: con ciò
il collegio degli arconti raggiunse il numero di nove membri.
L’Areopago
• Tutti gli arconti restavano in carica per un anno;
usciti di carica, gli arconti entravano a far parte
del consiglio dell‟Areopago, che rimase a lungo
l‟organo principale di governo della città (simile,
per certi versi, al Senato romano, anch‟esso
composto di ex-magistrati).
• Unici a poter eleggere gli arconti e a poter
essere eletti arconti erano gli aristoi, gli
aristocratici, appartenenti ai ghene, le grandi
famiglie proprietarie terriere (singolare ghenos);
perciò solo gli aristoi avevano la possibilità di
entrare nell‟Areopago.
La collina
dell’Areopago vista
dall’Acropoli
Verso la crisi: prove di tirannide e legislazione
scritta
• Tale ordinamento iniziò a scricchiolare già nella seconda
metà del VII secolo: da un lato lo sviluppo economico del
commercio dovette creare nuovi ricchi, desiderosi di aver
parte al governo, assieme agli aristocratici; dall‟altra una
parte della popolazione, priva di possessi terrieri, dovette
scivolare in condizione di miseria estrema e di
asservimento.
• Nel 636 o 632 un aristocratico, Cilone, imparentato con il
tiranno di Megara, tentò di instaurare la tirannide anche
ad Atene occupando l‟Acropoli. Il tentativo fallì per il
pronto intervento dell‟importante famiglia aristocratica
degli Alcmeonidi, che richiamò la popolazione dalle
campagne riuscendo a ad assediare l‟Acropoli: ma il
fatto stesso che qualcuno abbia potuto pensare di poter
aspirare alla tirannide dimostra che contava su una
situazione di instabilità politica e di malcontento sociale.
La legislazione di Dracone
• Pochi anni dopo, nel 624 o 622 a.C., un
aristocratico, Dracone, ricevette lì incarico di
stendere un codice di leggi scritte: un altro
segno di una situazione di conflittualità interna,
perché l‟esigenza di avere leggi scritte riflette il
bisogno di una parte della popolazione di poter
contare su norme certe e non interpretabili dai
detentori del potere, di stirpe aristocratica.
• Aristotele (Pol. 2, 9, 9) afferma che Dracone nei
fatti non scrisse nuove leggi, ma si limitò ad
definire e istituzionalizzare norme di fatto già
operanti: la sua azione si colloca a conclusione
del processo di definizione della polis e dei suoi
ordinamenti.
Le tensioni sociali e politiche esplosero infine
in tutta la loro gravità nei primi anni del VI
secolo
• In una società che fonda la sua sussistenza e la sua
prosperità sull‟agricoltura, la crisi sociale aveva la sua
origine nel fatto che il possesso terriero era concentrato
nelle mani di pochi, ed anzi andava sempre più
concentrandosi.
• In particolare, molti contadini, i cosiddetti hektémoroi
(„quelli della sesta parte‟) non avendo un proprio
appezzamento o avendolo perduto per debiti, erano
costretti a lavorare alle dipendenze dei grandi proprietari,
versando loro una parte del raccolto (un sesto? più
probabilmente i cinque sesti, cioè una gran parte?); molti
contadini, indebitatisi, avevano prima perduto il pieno
possesso dei loro piccoli campi, infine erano finiti schiavi
dei propri creditori (con quella che si chiama „schiavitù
per debiti‟). La città andava spaccandosi in due gruppi
ferocemente contrapposti.
Solone, il diallaktès
E‟ in tale situazione che nel 594 o 592 a.C. venne eletto
come arconte Solone, allora quarantenne. Ateniese di
nobile famiglia, egli non era però ricchissimo, e perciò
era rimasto estraneo alle lotte tra fazioni: venne visto,
dunque, come un possibile mediatore fra gli opposti
interessi (le fonti lo definiscono diallaktès, „conciliatore‟).
Egli è la prima figura della storia politica ateniese di cui
riusciamo a cogliere con una certa sicurezza i
lineamenti, gli intenti, la biografia: personaggio di
notevole vivacità intellettuale, egli fu infatti anche autore
di numerosi testi poetici, molti dei quali conservatisi, in
cui espone principi e motivazioni della propria opera
politica.
L’eunomia soloniana
• Il suo obiettivo è quello di riportare equilibrio all‟interno
della cittadinanza:
• 1) risollevando la condizione di molti cittadini impoveriti e
tutelandoli dallo strapotere e dall‟arbitrio degli aristoi,
• 2) ma nello stesso tempo evitando misure radicali a
favore delle masse popolari (la redistribuzione delle terre
e quindi l‟annullamento delle differenze di ricchezza),
come pure parte del demos avrebbe voluto.
• Ciò avrebbe permesso di raggiungere – come scrive in
altro suo componimento - l‟eunomia (dal greco eu „bene,
e nomos, „legge‟), che potremmo tradurre con „la buona
amministrazione‟ o il „buon governo‟: un ideale,
insomma, di equilibrio e moderazione.
Solone si vantava d’essersi posto «fra le due
fazioni come pietra di confine» (fr. 37 W.)
• «al popolo ho fatto questo dono: ciò che
gli basta, senza togliere o aggiungere
privilegi. E quelli che avevano il potere e
per ricchezza erano illustri provvidi che
non subissero nulla di scorretto. Saldo,
con forte scudo, li protessi entrambi
[poveri e ricchi], ma non permisi a
nessuno di prevalere con vittoria ingiusta»
(fr. 5 W., trad. M. Cavalli).
I provvedimenti economici e legali
• Il primo provvedimento fu l‟annullamento dei debiti esistenti
(chiamato seisachteia, cioè „scuotimento‟ perché il popolo si
liberò del peso dei debiti) [su cui Arist. Ath. Resp. 6]
• e la proibizione di fare prestiti assumendo a garanzia la
persona del debitore;
• vennero anche liberati coloro che erano finiti in schiavitù, e
che – scrive Solone - «qui subivano una schiavitù infame,
tremanti dinanzi ai capricci dei loro padroni» (fr. 36 W.: testo
completo in Arist. Ath. Resp. 12, 4);
• vennero recuperati quei cittadini ateniesi che, divenuti schiavi,
erano stati addirittura venduti all‟estero dai loro padroni e che,
come scrive Solone nel medesimo testo, erano «ormai
incapaci di parlare la lingua attica, tanto avevano errato
ovunque»;
• vennero tolti i cippi che, sui terreni, segnalavano l‟esistenza di
vincoli legati all‟indebitamento dei coltivatori e così –scrive
Solone nel medesimo componimento - «la Terra nera, che
prima era schiava, fu libera».
La riforma costituzionale
• Ma le misure di carattere economico e legale non
avrebbero avuto lunga durata senza un riequilibrio dei
poteri all‟interno dello Stato: come osserva Plutarco
(scrittore greco di I sec. d.C.) Solone «voleva riservare
tutte le cariche, come già si faceva, ai proprietari, ma per
il resto ammettere al governo della città anche il popolo,
fin allora escluso» (Vita di Solone, 18, 1). Fino ad allora,
infatti, il potere era rimasto tutto saldamente nelle mani
delle stirpi aristocratiche; il principale consiglio della polis
era l‟Areopago, che – essendo composto solo da exarconti – era accessibile solo agli aristocratici.
• Nella visione di Solone, occorreva permettere anche chi
non avesse origini illustri ma godesse comunque di un
patrimonio adeguato di accedere alle più alte cariche;
nello stesso tempo, tutti i cittadini, anche i più poveri,
dovevano poter avere la possibilità di partecipare, sia
pure in misura minoritaria, alla vita politica.
Le classi censitarie [cfr. Arist. Ath. Resp. 7]
• Per questo motivo Solone distinse la popolazione in quattro classi
censitarie („timocrazia‟), sviluppando forse divisioni sociali preesistenti
(a giudicare dai nomi della seconda, terza quarta classe):
• i pentacosiomedimni, coloro che, dalle proprie terre, ogni anno
producevano almeno 500 medimni di grano, pari ad oltre 25.000 litri, o
avevano un reddito di valore analogo; questa classe fu forse creata
selezionando i più ricchi all‟interno dei cavalieri
• i cavalieri, con censo di almeno 300 medimni (ca. 15.000 litri), cioè il
reddito sufficiente a mantenere un cavallo (tradizionale il legame fra
possesso di un cavallo e alto livello sociale);
• gli zeugiti (con censo di almeno 200 medimni, oltre 10.000 litri) che
potevano mantenere una coppia di buoi (in greco zeugos); essi
corrispondono alla classe degli opliti;
• i teti („[lavoratori] dipendenti‟), coloro che producevano meno di 200
medimni: tale classe comprendeva quindi i contadini con proprietà
molto piccole o povere, e coloro che erano del tutto privi di proprietà
terriere, e lavoravano dunque come al servizio di altri; ovviamente a
tale classe apparteneva la maggior parte della popolazione.
Il ‘Cavaliere
Rampin’
Nell‟Atene del VII-VI sec. numerosi
aristocratici commissionavano
statue dei propri familiari per le
tombe oppure dedicate alle
divinità nei santuari, anche con
l‟obiettivo di celebrare la
ricchezza e la raffinatezza della
famiglia.
Nella statua qui riprodotta,
il„Cavaliere Rampin‟ (560 a.C.
ca.), un giovane aristocratico, dai
lineamenti raffinati e dalla
capigliatura curata, viene
raffigurato a cavallo, tipico
attributo aristocratico. [cfr. Arist.
Ath. Resp. 7, 4]
La corona di foglie di quercia sul
capo lo identifica come un
vincitore di giochi atletici in cui il
premio consisteva in una corona:
le competizioni sportive erano
tipico svago e vanto
aristocratico.
•
Solo i pentacosiomedimni e (forse) i cavalieri potevano aspirare alla
carica più importante, l‟arcontato;
• solo i pentacosiomedimni potevano divenire „tesorieri‟;
• agli zeugiti erano concesse solo le cariche minori;
• infine, i teti erano esclusi dalla possibilità di farsi eleggere ad una
qualsiasi carica.
• Nonostante tali limitazioni, la riforma soloniana – sostituendo le
distinzioni legate alla nobiltà di nascita con quelle legate al reddito introduceva una innovazione fondamentale: anche chi non era
nobile, se era abile o fortunato, poteva, entrando nelle prime due
classi censitarie, accedere (egli e i propri discendenti) alle più alte
cariche dello Stato.
• Una parte della popolazione si doveva certo già essere arricchita,
perché l‟economia attica dell‟epoca era già piuttosto vivace: lo
dimostra la nascita, nella prima metà del VI secolo, delle prime
monete attiche; lo dimostrano le notevolissime esportazioni di vasi
decorati attici che venivano smerciati nel Mediterraneo e in Italia
(sono migliaia i vasi greci trovati nelle necropoli etrusche); ma lo
dimostra anche una norma di Solone che permetteva solo le
esportazioni di olio, riservando la produzione di grano al consumo
locale.
Verso la fine del VI secolo le monete attiche in argento
(dette dracme: la dracma è una misura di peso)
assunsero quegli emblemi che poi restarono stabili
per gran parte della successiva storia cittadina (la
testa della dea Atena e l‟immagine della civetta,
uccello sacro alla dea). Qui vediamo un esemplare di
dracma ateniese in argento risalente al 450 a.C. ca.
Ekklesia, Heliaia, Boulé
2) Non è questo l‟unico aspetto „democratico‟ della riforma
costituzionale soloniana. Tutti i cittadini, infatti, compresi
quindi i teti, potevano partecipare all‟ekklesìa,
l‟assemblea generale della cittadinanza, che poi nel V
sec. a.C. sarebbe divenuta il supremo organo statale.
3) Inoltre Solone istituì un tribunale popolare (detto Elièa)
alle cui giurie potevano partecipare tutti i cittadini: in tal
modo l‟amministrazione della giustizia era sottratta in
gran parte agli arconti e all‟Areopago (e quindi agli
aristocratici e ai ricchi) e veniva gestita dal popolo,
compresi dunque i teti:
come osservava secoli dopo Plutarco, «quest’ultimo
privilegio inizialmente parve trascurabile, ma in seguito si
rivelò di grandissima importanza, perché la maggior
parte dei contrasti finiva per cadere nelle mani dei
giurati» (Vita di Solone, 18).
La Boulé dei ‘Quattrocento’
[cfr. Arist. Ath. Resp. 8, 4]
Ultimo elemento della riforma costituzionale
soloniana fu una Boulé [da boulomai, „voglio per
effetto di decisione‟], un Consiglio, composto di
400 membri tratti dalle prime tre classi (100 per
ognuna delle tradizionali quattro tribù attiche):
suo compito era preparare le proposte da
presentare all‟ecclesia. In tal modo fu tolto
potere all‟Areopago, ma nello stesso tempo il
potere dell‟ecclesia, in cui i teti erano
teoricamente maggioranza, fu in parte limitato
dal fatto che ogni proposta di legge doveva
prima essere vagliata dalla Bulé: ancora una
volta era perseguito l‟equilibrio fra le varie classi.
La politica come strumento di risoluzione
intelligente e collettiva dei conflitti sociali
• La riforma soloniana, dunque, non intervenne sulle
disuguaglianze economiche (non vi fu la redistribuzione
della terra) ma evitò che le disuguaglianze economiche
portassero ad una spaccatura irrimediabile della
cittadinanza, e cercò di aprire anche ai più poveri uno
spazio di partecipazione alla vita politica.
• Anzi, tale era l‟importanza della partecipazione politica
nella visione di Solone che una delle leggi da lui
introdotte fissava come pena la perdita della
cittadinanza per chi, durante una situazione di conflitti
interno (stasis) non parteggiava per nessuna delle due
parti. (vd. Arist. Ath. Resp.8, 5]
L’obbligo della
partecipazione alla stasis
• Per Solone, insomma, il cittadino,
prendendo comunque posizione,
è tenuto a contribuire alla
soluzione dei problemi comuni.
• La politica è lo strumento di
risoluzione dei conflitti interni,
attraverso la ricerca razionale di
decisioni condivise, e non sulla
base di dettami religiosi, o di
prescrizioni fondate sulla rigida
conservazione della tradizione
data (Sparta).
Bassorilievo c.d. d‟ „Atena pensierosa‟, databile al
460 a.C. ca.: immagine emblematica della
associazione fra riflessione razionale e identità
ateniese.
• L‟Athena Parthenos di Fidia, la
statua in oro e avorio posta
all‟interno del Partenone, in una
copia in marmo di prima metà III
sec. d.C.
• (c.d. Athena di Varvakeion,
trovata ad Atene prsso la scuola
Varvakeion; è la meglio
preservata delle copie note
dell‟Athena Pathenos; le
dimensioni sono circa 1/12
dell‟originale; ora ad Atene.
Museo Archeologico Nazionale).
• La dea è armata di elmo e
scudo; sostiene la dea Nike, la
Vittoria, alata; nello scudo trova
riparo un serpente, immagine
del progenitore degli Ateniesi,
l‟uomo-serpente Cecrope (nato
dalla terra, così come gli
Ateniesi si vantavano di essere
autoctoni).
Sul piano concreto, tuttavia, le riforme
soloniane non posero fine alle tensioni sociali
all’interno di Atene
Sul piano concreto, tuttavia, le riforme soloniane non
posero fine alle tensioni sociali all‟interno di Atene. Anzi,
proprio la sua politica di mediazione finì per attirargli
l‟ostilità di entrambe le fazioni: gli aristoi scontenti d‟aver
perduto il loro assoluto predominio politico e sociale, i
poveri insoddisfatti per non aver ottenuto la
redistribuzione delle proprietà (Solone stesso si vanta
d‟aver scontentato entrambi i gruppi, a riprova della sua
imparzialità).
• I contrasti sociali ad Atene ripresero, dunque, come e più
di prima; in alcuni anni fu impossibile perfino giungere ad
eleggere l‟arconte (anarchia: „assenza di arconte‟),
oppure un arcontato ebbe, illegalmente, durata biennale
e l‟arconte dovette essere deposto a forza.
•
Ne fornisce un resoconto (cronologicamente non chiarissimo) Arist.
Ath. Resp. 13, 1-3: 592/1 arcontato di Solone; 587/6 anarchia; 582/1
anarchia? 580/2 arcontato biennale di Damasia; 580/570: regime
dei dieci arconti.
Le tre fazioni (Arist. Ath. Resp. 13, 4)
• Al conflitto sociale si aggiunse quello politico.
Emersero tre fazioni, espressione di interessi
locali ed economici distinti e capeggiate da
famiglie aristocratiche:
• i pediakoi, gli abitanti della pianura (pedion), ovvero i
grandi proprietari terrieri, favorevoli al mantenimento del
potere nelle mani degli aristocratici;
• i paralioi, „quelli della costa‟, più legati alle attività
commerciali e capitanati da Megacle, della famiglia degli
Alcmeonidi;
• infine i diakrioi, cioè quelli delle montagne, piccoli
coltivatori, possessori di terre poco produttive, che
reclamavano un maggior spazio per i ceti più modesti.
Brauron, località di origine di Pisistrato
Dai contrasti sociali emerge Pisistrato
• Un uomo abile avrebbe potuto approfittare della crisi per
imporsi al potere, e lo stesso Solone sapeva bene che
egli avrebbe potuto farsi tiranno, appoggiando le
rivendicazioni del demos e ottenendone così il sostegno:
come scrive egli stesso, «un altro che come me avesse
in mano il potere [pungolo], un altro – disonesto e avido
– non avrebbe trattenuto il popolo» (fr. 36 W: in Arist.
Ath. Resp. 12, 4).
• Il timore espresso da Solone trovò preso conferma, ed
egli scrisse tali parole forse proprio vedendo la piega che
prendevano gli eventi.
• Nei contrasti fra il gruppo dei pediakoi e quello dei
paralioi si impose come terzo incomodo un giovane
aristocratico, Pisistrato, che si era distinto con i suoi
successi militari quando aveva ricoperto la carica di
polemarco: egli si era posto a capo del terzo partito in
cui si divideva la cittadinanza ateniese, quello dei
diakrioi, espressione dei contadini di condizione più
modesta.
Le tre ‘tirannidi’ di Pisistrato
e la difficoltà di una tirannide ad Atene
• Ma Atene era una polis troppo sviluppata perché l‟ascesa al
potere tirannico fosse facile e lineare, e fondato sul banale
uso della forza: Pisistrato due volte prese il potere e due
volte ne fu cacciato.
• La prima volta (nel 561 a.C.) ottenne il potere fingendosi
vittima di un attentato e ricevendo perciò dalla polis il
permesso di usare una guardia del corpo di trecento
sostenitori, che però usò per imporre il proprio potere;
• cacciato da Atene dopo cinque anni, vi rientrò grazie
all‟appoggio della fazione dei paralioi con cui si era accordato,
e rimase al potere per altri cinque anni (544-538) ma fu poi
cacciato quando tale accordo venne meno.
• Dopo altri anni di preparativi in esilio, solo nel 534 prese il
potere definitivamente, stavolta con la forza militare, e lo
tenne fino alla morte avvenuta nel 528/7.
I tre diversi colpi di Stato di Pisistrato.
• I modi con cui Pisistrato per tre volte si impadronì della
tirannide ad Atene meritano di essere visti da vicino,
perché sono piccoli capolavori di abilità politica e di
propaganda: segno di come già allora Atene fosse un
vero e proprio „laboratorio politico‟ anche sul piano delle
forme della lotta politica.
• La prima volta Pisistrato si impose approfittando del
clima di scontri che regnava in città: procurandosi delle
ferite, inscenò di essere rimasto vittima di un attentato
ad opera dei suoi avversari politici. Sull‟onda
dell‟emozione e dell‟indignazione collettiva, ottenne di
scegliersi, fra i cittadini, trecento guardie del corpo
personale (i cosiddetti „mazzieri‟, perché armate di
mazze); poco dopo, Pisistrato, con i suoi trecento
fedelissimi, occupò l‟Acropoli e impose il proprio potere.
Felix Bonfils, Atene e la sua
acropoli (foto del 1860)
La seconda ascesa al potere
• Nonostante la moderazione mostrata
nell‟esercizio del potere, egli restò in sella
solo per cinque anni (561-555 a.C.):
contro di lui, infatti, si coalizzarono i capi
dei pediakoi e quelli dei paralioi, che
riuscirono così a cacciare Pisistrato.
• Bastarono però pochi anni perché
riemergessero i contrasti fra le due fazioni.
Ancora una volta ne approfittò Pisistrato,
che si accordò con Megacle, della famiglia
degli Alcemonidi e capo dei paralioi, per
ritornare in patria al potere (544-538).
• Da abile politico, elabora una messinscena per
trasformare il suo ritorno in un‟occasione per
presentarsi come la guida indicata dagli dei per
la tormentata Atene. Una donna di bell‟aspetto e
alta statura viene fatta abbigliare come la dea
Atena, con lancia, elmo e scudo, e viene fatta
salire su un carro: su questo carro fa il suo
ingresso in città, preceduto da araldi che
annunciano «ciò che era stato loro ordinato, così
dicendo: “Ateniesi, accogliete benevolmente
Pisistrato, che la dea Atena in persona ha
onorato sopra tutti gli uomini e riconduce nella
sua acropoli”. Essi andando qua e là dicevano
tali parole» (Erodoto, Storie, 1, 59, 4-5).
La ‘tirannide illuminata’ di Pisistrato
• Ciò che permise a Pisistrato di recuperare ogni volta con
facilità il potere, imponendosi per ben tre volte sui suoi
oppositori, fu il fatto che egli in realtà seppe esercitare il
suo potere senza inutili violenze e prevaricazioni: come
ci informano gli autori antichi, Pisistrato non sconvolse le
cariche esistenti né abolì le leggi, ma si limitò a
governare la città piazzando uomini di fiducia nei posti di
potere:
• Erodoto afferma che Pisistrato «governò la città sulla
base delle istituzioni vigenti, amministrandola bene e
saggiamente» (Storie, 1, 59, 6);
• Aristotele, nel IV secolo, nella sua Costituzione degli
Ateniesi scrive che Pisistrato governò «con equilibrio, più
da cittadino che da tiranno» (16,3).
•
1.
2.
3.
In realtà, proprio per il fatto di esercitare un potere
assoluto, Pisistrato impresse con la sua azione di
governo un impronta forte sulla società ateniese,
facilitando la soluzione dei problemi sociali ed
economici di Atene.
Fu introdotta una tassa del 5% o 10% sui raccolti: ad
esserne colpiti furono soprattutto i grandi proprietari
terrieri; nello stesso tempo la tassazione stimolava i
proprietari a produrre di più.
Il denaro raccolto servì a Pisistrato per offrire prestiti ai
cittadini meno abbienti, permettendo a molti cittadini di
diventare piccoli proprietari: si accrebbe così la
superficie coltivata e quindi la produzione agricola;
sempre a favore dei piccoli contadini, furono istituiti
tribunali locali, che liberavano la popolazione delle
campagne dalla necessità di recarsi fino in città
perdendo tempo prezioso. La pace e la tranquillità
interna favorirono lo sviluppo economico.
• Le tasse furono utilizzate anche per un grandioso
programma di opere pubbliche con la costruzione di un
grande tempio di Atena sull‟Acropoli, l‟avvio di un grande
tempio a Zeus nella città bassa (l‟Olympieion), e con la
„fontana delle nove condotte‟, che portò acqua alla città:
• i lavori pubblici dovettero dare possibilità di lavoro ad
artigiani e manovali, ai quali giunse così il denaro
raccolto dalla tassazione sull‟agricoltura; migliorarono le
condizioni economiche di individui prima esclusi dal
flusso dell‟economia.
• Furono organizzati i primi agoni (competizioni) teatrali,
dando occasioni di svago ma anche di crescita culturale
ai cittadini di modesta condizione: nasce in questo
periodo, in forme a noi ignote, la grande tradizione del
teatro attico.
• Non c‟è da sorprendersi se, in quegli anni, vi era chi
poteva paragonare la tirannide di Pisistrato all‟età di
Crono, all‟età d‟oro in cui il dio Crono regnava sugli
uomini.
Il grande tempio a
Zeus Olympios
(l‟Olympieion) nella
città bassa di Atene
Ca. 430 a.C.
Politica estera di Pisistrato: l’avvio del
controllo ateniese dell’Egeo nord-orientale
In politica estera, sotto Pisistrato Atene inizia a mettere sotto
controllo l‟area del Chersoneso tracico (sull‟Ellesponto) che poi
diverrà vitale pei traffici ateniesi e l‟approvvigionamento di grano.
I successori di Pisistrato (Arist. Ath. resp. 1718-19)
• Così, non sorprende che quando Pisistrato morì,
saldamente al comando, nel 528/7 a.C., il potere passò
senza problemi ai figli. Ad assumere la guida del
governo fu il figlio maggiore Ippia, che inizialmente cercò
di seguire la politica „moderata del padre‟.
• Nel 514, però, durante la processione delle feste
Panatenee, tenute ogni anno in onore di Atena, Ipparco,
fratello minore di Ippia, fu ucciso in un attentato ad opera
di due aristocratici (Armodio e Aristogitone), mossi –
pare – da risentimenti personali: da allora, per naturale
reazione, Ippia assunse uno stile di governo più duro e
dispotico, sicché di conseguenza fu ancora più forte
l‟insofferenza generale e l‟avversione nei confronti della
tirannide.
• A capeggiare l‟opposizione fu l‟influente famiglia degli
Alcmeonidi. Con l‟appoggio degli Spartani la fazione
degli esuli attaccò Atene e obbligò Ippia a lasciare la
città. Era il 511/10 a.C.
•
•
Questo gruppo statuario in
marmo, detto „Gruppo dei
tirannicidi‟, è la copia romana
di una statua in bronzo eretta
attorno al 470 a.C. nell‟agorà
di Atene per celebrare
Armodio e Aristogitone, i due
congiurati che uccisero
Ipparco e tentarono di
eliminare Ippia nella congiura
del 514 a.C. L‟uno è giovane
(Armodio), l‟altro più anziano:
la tradizione aristocratica
attribuiva grande importanza
al legame affettivo fra un
aristocratico adulto e un più
giovane allievo, che imparava
dall‟esperienza del più
grande; i due avanzano
brandendo le spade con cui si
avventarono su Ipparco.
Una prima coppia di statue fu
realizzata già nel 509 a.C., ma
fu poi portata via da Atene al
tempo dell‟invasione persiana
di Serse nel 480 a.C., e fu
quindi fatta questa seconda
versione.
Nuove lotte dopo Ippia (Arist. Ath. Resp. 20)
•
Ma la definitiva caduta della tirannide non riportò immediatamente la
stabilità politica. Anzi: ripresero violenti i contrasti fra fazioni, in cui si
inserì perfino Sparta: molti aristocratici, capeggiati dal nobile Isagora
e appoggiati inizialmente dalle truppe spartane penetrate in Attica,
volevano infatti instaurare un regime di tipo oligarchico, e ridurre lo
spazio che le riforme soloniane avevano dato al popolo; altri – e in
particolare Clistene, principale esponente degli Alcmeonidi – erano
a favore di un pieno ingresso delle masse popolari nella vita politica,
comprendendo che solo un regime con una base sociale più ampia
avrebbe potuto evitare il ritorno della tirannide. Clistene iniziò ad
attuare la riforma in senso democratico della costituzione ateniese,
ma fu obbligato all‟esilio dagli aristocratici di Isagora e dalle truppe
spartane intervenute in loro favore. Diversamente da quanto
avvenuto con Pisistrato, stavolta il demos prese le armi a favore di
Clistene: fece sloggiare Isagora, i suoi sostenitori e gli occupanti
spartani e Clistene poté ritornare vincitore.
Clistene: l’isonomia e la democrazia
• Divenuto arconte, nel 508, egli portò allora a termine la
radicale riforma dell‟ordinamento costituzionale: il tutto
avvenne attraverso un chiaro disegno razionale.
• Il regime creato da Clistene venne inizialmente indicato
col nome di isonomia (dal greco isos „eguale‟ e nomos
„legge‟ ma anche „porzione‟) ad indicare l‟eguaglianza di
fronte alla legge e l‟eguale compartecipazione di tutti alle
decisioni, cioè i due aspetti più evidenti della riforma; si
aggiunse ancora il termine isegoria, cioè l‟eguale diritto
di parola per tutti nelle assemblee; tuttavia, nel corso del
V secolo si imporrà il termine „democrazia‟, ad indicare
un regime in cui il potere decisionale, il kratos, spetta al
popolo nella sua interezza, il demos.
L’obbligo della
partecipazione alla stasis
• Per Solone, insomma, il cittadino,
prendendo comunque posizione,
è tenuto a contribuire alla
soluzione dei problemi comuni.
• La politica è lo strumento di
risoluzione dei conflitti interni,
attraverso la ricerca razionale di
decisioni condivise, e non sulla
base di dettami religiosi, o di
prescrizioni fondate sulla rigida
conservazione della tradizione
data (Sparta).
Bassorilievo c.d. d‟ „Atena pensierosa‟, databile al
460 a.C. ca.: immagine emblematica della
associazione fra riflessione razionale e identità
ateniese.
Le dieci tribù: come mescolare una
popolazione divisa
• Clistene puntò in primo luogo a spezzare il legame fra
fazioni nobiliari e le diverse aree geografiche dell‟Attica,
espressione di interessi e gruppi sociali diversi: la
tirannide di Pisistrato si era imposta proprio sfruttando le
spaccature fra abitanti della costa, della pianura e
dell‟interno.
• Per questo motivo, Clistene in primo luogo riorganizzò la
divisione in tribù della cittadinanza ateniese, con il chiaro
intento di «mescolarli, affinché partecipassero più
numerosi al governo» (Aristotele, Costituzione degli
Ateniesi 21, 3): abolì le quattro tribù tradizionali, alle
quali si apparteneva per discendenza; divise invece
l‟intera cittadinanza in dieci tribù territoriali: il che
significava che membri del medesimo clan familiare
(genos) potevano appartenere a tribù diverse, perdendo
così la possibilità di agire come un gruppo compatto.
Le trittie
• In secondo luogo ogni tribù doveva essere
composta di tre parti (chiamate trittie)
fisicamente separate e fra loro geograficamente
diverse: un distretto della costa, uno della città,
uno dell‟interno (esistevano dunque dieci trittie
della città, dieci della costa, dieci dell‟interno).
• Ogni tribù era dunque composta da cittadini
residenti in tutte e tre le aree geografiche (le
trittie della città, infatti, corrispondevano all‟area
della pianura, sede dei pediakoi nell‟età di
Pisistrato).
• Mappa
dell‟Attica
modellata
dalle riforme
di Clistene;
la linea
spezzata
indica i
confini delle
trittyes; i
numeri nelle
trittyes
indicano a
quale trinù
appartengan
o; i punti
indicano
alcuni demi
I demi e il demotico
• Ogni trittia, a sua volta, era composta da un numero
variabile di demi (da uno a dieci), cioè in piccole
circoscrizioni – corrispondenti in genere ai tradizionali
villaggi della campagna attica e ai quartieri di Atene
(qualcosa di simile ai nostri comuni).
• L‟appartenenza al demo definiva il cittadino: il cittadino
non era tale se non era registrato, alla nascita o in
seguito, presso il registro del demo, e da allora ogni
cittadino dovette essere identificato non solo con il
proprio nome seguito dal patronimico ma anche,
necessariamente, dal demotico, cioè dall‟indicazione del
demo di nascita o di residenza (Eucrate figlio di
Aristonimo del demo del Pireo).
• Anche in questo aspetto è chiara la volontà di far
prevalere l‟appartenenza alle strutture della polis rispetto
alla forza tradizionale del legame familiare, pericolosa
per la compattezza cittadina.
La tribù come base dell’organizzazione civica
• La tribù divenne la base dell‟organizzazione
politica, militare, finanziaria della repubblica
ateniese, perché l‟elezione dei magistrati,
l‟organizzazione dell‟esercito, la raccolta delle
tasse si fondava sulla divisione in tribù e in trittie.
• Ciascuna tribù forniva un contingente di opliti;
• ogni tribù eleggeva uno dei dieci strateghi, i
generali ai quali era affidato – a rotazione – il
comando delle truppe cittadine, sotto la
supervisione dell‟arconte polemarco.
L’Ecclesia
• Ovviamente la nuova organizzazione della popolazione
ateniese era funzionale ad un potenziamento della
partecipazione popolare al governo cittadino. Clistene
mantenne in vita i nove arconti e l‟Areopago, ma accanto
diede il ruolo principale all‟ecclesia, l‟assemblea di tutti i
cittadini, e ad una nuova boulè, secondo una precisa
logica. L‟ecclesia divenne il supremo organo ateniese:
eleggeva i magistrati o gestiva il loro sorteggio;
controllava entrate e spese statali; determinava la
politica estera dello stato; votava le leggi.
• Ma Clistene comprese che da sola l‟ecclesia non
sarebbe stata un valido organo di governo per la
gestione ordinaria della polis.
La Pnice, sede dell’ecclesia nel V sec. a.C.;
al centro, la tribuna (bema) degli oratori
Due vedute della
Pnice
Ca. 430 a.C.
…e la Boulé dei Cinquecento
• Per questo Clistene creò una nuova Boulé („Consiglio‟),
composta non più di 400 membri, ma da cinquecento,
cinquanta per tribù e soprattutto aperta a tutti cittadini
(compresi i teti): compito del Consiglio dei Cinquecento,
che si riuniva tutti i giorni tranne i festivi, era appunto
preparare e selezionare le proposte da sottoporre poi al
voto dell‟ecclesia, che invece si riuniva solo quaranta
volte l‟anno. L‟ecclesia era libera di accogliere la
proposta, bocciarla o anche chiedere che fosse
modificato dalla Boulé e sottoposto ad una nuova
votazione (cosa che invece l‟Apella spartana non poteva
fare); ma non poteva votare proposte che non fossero
prima passate per la Boulé, e questo serviva ad evitare
che le decisioni dell‟ecclesia nascessero da proposte
avanzate a sorpresa, sull‟onda dell‟emozione.
Il rapporto fra Boulé ed Ecclesìa
• Boulé ed Ecclesìa, insomma, operavano
congiuntamente: all‟ecclesia spettava
l‟approvazione finale delle decisioni, ma era la
Boulé che permetteva alla volontà popolare di
tradursi in scelte concrete e ponderate (e infatti
le leggi ateniesi si aprono con la formula: “Così
ha deciso il demos [riunitosi in ecclesia] e la
boulé”). Alla Boulé inoltre, poiché si riuniva tutti
giorni, toccava di controllare l'operato dei
magistrati e gestire gli affari quotidiani.
L’organizzazione interna della Boulé
• Per rendere più efficaci i lavori, lo stesso Consiglio dei
Cinquecento era organizzato dividendo i cinquecento
buleuti in dieci gruppi di cinquanta, uno per tribù: ogni
gruppo prendeva, a turno, la presidenza, aveva cioè il
compito di preparare l‟ordine del giorno e di organizzare i
lavori dell‟intera Boulé: tale incarico è detto pritanìa, e i
cinquanta buleuti appartenenti alla stessa tribù che
svolgevano erano detti prìtani (prytanis è „presidente‟,
„primo‟); ogni pritania restava in carica per un decimo
dell‟anno, periodo definito anch‟esso pritania. Così ogni
tribù, per un decimo dell‟anno, si trovava ad esercitare il
governo in nome e per conto della polis intera.
• A loro volta ogni giorno i pritani sorteggiavano fra di loro
un presidente (epitastes), che custodiva le chiavi degli
edifici sacri, dei tesori pubblici e i sigilli statali; egli
restava in carica un solo giorno, e così quasi tutti i
buleuti, prima o poi, si trovavano ad essere, per un
giorno, supremi „custodi‟ della polis.
Partecipazione ed efficacia degli organi
assembleari
• Si ammira anche sotto questo l‟abile fusione fra la
volontà di assicurare una ampia partecipazione
democratica (la boulè aveva comunque cinquecento
membri) e l‟esigenza di rendere tale assemblea efficace,
affidando ad una sua parte la preparazione e
l‟organizzazione del lavoro di tutti gli altri buleuti, così
come a sua volta l‟intera Boulé preparava il terreno per
le decisioni dell‟ecclesia.
• Inoltre, siccome tutti i buleuti erano pritani per un decimo
dell‟anno, e quasi tutti i pritani finivano per essere
sorteggiati per essere presidenti per un giorno, ogni
cittadino ateniese, fino al più modesto, aveva la forte
probabilità di essere, un giorno nella vita, „presidente‟.
•
Fonte: https://cleisthenes-plus-democracy.weebly.com/legacy.html
Il principio del sorteggio e della rotazione
• Ma come si diveniva membri della Boulé? I buleuti
venivano estratti a sorte, cinquanta per tribù, fra tutti i
cittadini; nessuno poteva però diventare buleuta più di
due volte nel corso della vita.
• Il divieto di essere sorteggiati come buleuti per più di due
volte assicurava una continua rotazione dei membri della
Boulé;
• il sorteggio apriva la partecipazione alla Boulé a tutti a
cittadini, anche a quelli di condizione più modesta.
• Dal 487/486 a.C. il sistema del sorteggio fu usato anche
per gli arconti (anche se il sorteggio avveniva entro una
lista di nomi, cinquecento, proposti dalle tribù): così la
carica tradizionalmente riservata agli aristocratici
ateniesi perse importanza, in quanto svincolata
dall‟effettivo peso politico di chi la otteneva.
Una democrazia fondata sulla partecipazione di
tutti
• Anche se il sorteggio mirava ad annullare i
vantaggi politici derivanti dal prestigio sociale, e
ad evitare la formazione di gruppi di potere
legati a singole famiglie o personaggi in vista, in
ogni caso alla base vi era un‟idea potente: che
tutti i cittadini, nessuno escluso, possono e
devono partecipare alla gestione dello Stato;
• anzi, che proprio partecipando, giorno per
giorno, ai meccanismi della politica, ogni
cittadino era quasi obbligato ad acquisire
maggior esperienza dei problemi della
collettività.
• Poiché i buleuti erano ben cinquecento su un totale di
20.000-30.000 cittadini, poiché il sorteggio e il divieto di
essere buleuti più di due volte assicuravano una
notevole rotazione, era inevitabile che ogni cittadino si
trovasse, almeno una volta a far parte della Boulé.
• Peraltro, il sistema del sorteggio e il divieto di ricoprire
due volte una carica venne utilizzato via via per tutti i
magistrati che – non essendovi un sistema burocratico –
si occupavano dell‟amministrazione quotidiana (ad
esempio i tesorieri, i cassieri, i controllori dei conti, gli
ispettori del commercio, commissari per la manutenzione
delle strade, ecc.): così tutti i cittadini avevano
un‟altissima probabilità di doversi occupare, almeno una
volta nella vita, della gestione pratica dei problemi
cittadini.
Gli esclusi
Ovviamente, restavano esclusi dalla vita politica
• le donne ateniesi;
• i meteci, cioè gli stranieri residenti in città, i quali non
acquisivano la cittadinanza neppure se nati su suolo
attico;
• infine gli schiavi.
La democrazia ateniese – sia chiaro – non si allargò mai
oltre la sfera dei cittadini (maschi,liberi, adulti): il demos
è gelosissimo dei propri privilegi, e si comporta – nei
confronti del resto della popolazione – come un club di
privilegiati. Addirittura, alla metà del V secolo, la
cittadinanza ateniese verrà limitata a coloro che
nasceranno da genitori entrambi ateniesi, e non basterà
avere solo il padre cittadino.
Gli strateghi
• Chiaramente, il sistema del sorteggio aveva le sue
eccezioni: gli strateghi, i comandanti della cavalleria
(detti ipparchi) e le altre cariche militari erano scelti per
votazione, trattandosi di cariche delicate per la salvezza
della città; solo le magistrature militari potevano essere
ricoperte più volte.
• Così gli strateghi, eletti inizialmente uno per tribù,
finirono per essere la carica più importante del sistema
politico ateniese, perché – da quando gli arconti furono
sorteggiati e non più eletti - furono gli unici magistrati di
alto livello la cui elezione era conquistata col voto
popolare (vd. il caso di Pericle).
Il ruolo costituzionale dell’Areopago
• L‟Areopago, costituito dagli ex-arconti,
conservò (o trovò?) un suo ruolo, come
supremo supervisore dell‟operato di tutti
gli altri organi dello stato e «custode
dell‟ordinamento politico»: ma dopo che gli
arconti furono scelti per sorteggio e non
per elezione, il peso dell‟Areopago andò
declinando, fino a che, nel 461 a.C., una
ulteriore riforma ne limitò i compiti
all‟ambito giudiziario.
L'ostracismo: prevenire la tirannide
• Un ultimo tassello completa il quadro della
riforma clistenica: l‟ostracismo. Tale
istituzione aveva il fine di stroncare sul
nascere ogni tentativo di instaurare la
tirannide: erano infatti passati appena tre,
quattro anni dalla cacciata di Ippia, e ad
Atene erano rimasti molti parenti e
sostenitori dei Pisistratidi.
In che cosa consiste l’ostracismo?
• Su proposta di qualsiasi cittadino, l‟ecclesia poteva
denunciare quel cittadino che fosse ritenuto troppo
potente e perciò in grado di instaurare una tirannide; il
cittadino ostracizzato doveva lasciare Atene per dieci
anni, ma non perdeva né i suoi beni né i suoi diritti
politici.
• L‟idea di base è che il potere o l‟influenza eccessiva di
un singolo individuo sono sempre un pericolo per una
democrazia, e che un individuo che susciti timori in una
vasta parte della popolazione sia un ostacolo al corretto
funzionamento delle istituzioni; tuttavia, dopo pochi anni
dalla prima applicazione, l‟ostracismo finì per essere
utilizzato come strumento di lotta per il potere, utile
togliere dalla scena un avversario politico.
• il nome ostrakismòs deriva dal fatto che in
tali votazioni il nome dell'accusato veniva
scritto o inciso su un ostrakon, cioè su un
coccio, preso da un vaso rotto e quindi
divenuto inutile (un mezzo insieme
economicissimo e sicuro, perché
l‟ostrakon è indistruttibile e conservabile).
Due ostraka: in alto, con il nome di „Cimone figlio
di Milziade‟; in basso con il nome di „Temistocle,
figlio di Neocle del demo di Frearrio‟
• Cumuli di
ostraka rinvenuti
nell‟agorà di
Atene; se ne
scorgono vari
contro
Temiustocle,
Cimone,
Megacle figlio di
Ippocrate,