Emozioni e corporeità
a cura di
Valeria Bizzari e Leonardo Massantini
con una premessa di
Roberta Lanfredini
Con contributi di
Pietro Pasquinucci, Valeria Bizzari, Manuel Camassa
Leonardo Massantini, Danilo Manca, Beatrice Pratellesi
COPIA FUORI COMMERCIO
Edizioni ETS
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Volume con testi sottoposti a referaggio anonimo,
pubblicato con i contributi
per le attività studentesche autogestite
dell’Università di Pisa (att. n. 1521)
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ISBN 978-884675127-0
Indice
Premessa
di Roberta Lanfredini
5
L’intenzionalità incarnata
Sartre e le emozioni come modi di essere della coscienza
Pietro Pasquinucci
9
“(Ti) Sento quindi Sono”
Valeria Bizzari
19
Corpo ed empatia.
Sull’approccio fenomenologico al problema
Manuel Camassa
29
Il pudore come sentimento del sé
Leonardo Massantini
39
Schadenfreude e riso dianoetico in Finale di partita di Beckett
Danilo Manca
49
Le emozioni e il ricordo
La fusione delle prospettive attraverso l’apporto emotivo
Beatrice Pratellesi
61
Gli autori
71
Il pudore come sentimento del sé
Leonardo Massantini
Introduzione
Il pudore si delinea come un fenomeno complesso, la cui analisi richiede una rigorosa introspezione, che, se condotta correttamente, può rivelare
qualcosa di essenziale sulla natura stessa dell’uomo, sul suo agire e sul suo
essere. Trattandosi di un’emozione molto articolata, non mi sarà possibile
fornire un’analisi esaustiva in questa sede, né dal punto di vista storico né da
quello teorico: piuttosto cercherò di riflettere sul ruolo che il pudore ricopre
nel processo di presa di coscienza di sé.
Al contempo, è chiaro che il problema della definizione del pudore non
può essere del tutto eluso. Molti potrebbero dire che “pudore” altro non è
che un sinonimo di “vergogna” e che una fenomenologia del primo non può
che essere una fenomenologia della seconda. In effetti da qualche decennio
nel dibattito contemporaneo, piuttosto che del pudore si è discusso, anche
con deciso entusiasmo, di quello stato d’animo che nel linguaggio comune viene chiamato “vergogna”. Per quanto ritenga fondamentale studiare
questa emozione, temo che l’attenzione che le è stata rivolta abbia messo in
ombra il fenomeno del pudore, il quale viene spesso implicitamente sussunto sotto quello della vergogna. Le due emozioni di certo sono strettamente
imparentate, ma, se si vuole parlare del peculiare ruolo che il pudore svolge
nelle nostre vite, sarà necessario individuare almeno alcune delle differenze
principali esistenti tra le due.
Nell’affrontare queste problematiche farò riferimento principalmente ad
Aristotele – che per primo, sebbene indirettamente, ha delineato un confine
tra il concetto di pudore e quello di vergogna – e a Scheler il quale ha indagato approfonditamente il ruolo del pudore nell’acquisizione della coscienza di
sé. Entrambi, per quanto seguano due metodologie molto diverse, forniscono ottime argomentazioni, in qualità e quantità, per giungere a un’adeguata
comprensione di un fenomeno che è stato poco studiato nella storia della
filosofia. Questo contributo si dividerà quindi in due parti principali; nella
prima traccerò un confronto tra le tesi di Aristotele e di Scheler con l’intento
di capire almeno alcuni dei tratti fondamentali che distinguono il pudore;
nella seconda mostrerò come il soggetto fa esperienza di sé attraverso il sentimento del pudore.
40
Leonardo Massantini
1. Pudore e Vergogna
Ciò che generalmente chiamiamo “vergogna” è in realtà un fenomeno articolato, che si suddivide in più modalità distinte le une dalle altre. Il fenomenologo contemporaneo Dan Zahavi, ben consapevole di questa problematica, nota come una distinzione importante, quantunque non l’unica possibile,
ci venga fornita dal linguaggio quotidiano. In inglese, ad esempio, al termine
shame possono essere attribuite due diverse accezioni di significato: la prima
è l’emozione dolorosa che sorge dalla presa di coscienza di qualcosa di disonorevole nella propria condotta o condizione, la seconda è la percezione
di che cosa è improprio o disonorevole. In altre lingue questi due contenuti
semantici possono essere espressi con termini differenti. In francese, tedesco
e italiano ci si riferisce al primo utilizzando rispettivamente i vocaboli: honte,
Schande, vergogna. Per indicare il secondo, invece, si usano rispettivamente:
pudeur, Scham e appunto pudore1. D’ora in poi userò il termine “vergognarsi”
per riferirmi indistintamente alle due accezioni.
1.1. Aidos e aischyne in Aristotele
Sebbene Zahavi non lo noti, già Aristotele aveva impostato implicitamente la propria argomentazione basandosi su una simile distinzione tra due accezioni di “vergognarsi”. Lo Stagirita traccia implicitamente una differenza2,
fra i termini aidos (traducibile con “pudore” e analizzato principalmente
nell’Etica Nicomachea) e aischyne (trattata nella Retorica e traducibile con
“vergogna”). Egli definisce il pudore come “timore di avere cattiva fama”
(phobos tis adoxian)3 e la vergogna come “un certo dolore o turbamento relativo ai mali [kaka] presenti, passati o futuri, che appaiono condurre alla
perdita della reputazione”4, specificando successivamente che i mali di cui
ci si vergogna sono più precisamente detti aischra (letteralmente “brutti”,
“turpi”, ma anche “vergognosi”).
Lo Stagirita aggiunge che il soggetto non necessariamente è responsabile
dei mali per i quali prova vergogna, tantoché questi possono essere costituiti
sia da azioni compiute dal soggetto, che da condizioni subite da quest’ulti1
Cfr. D. Zahavi, Self and Other. Exploring Subjectivity, Empathy, and Shame, Oxford University Press, Oxford 2015, p. 214.
2
Cfr. D. Konstan, The Emotions of the Ancient Greeks: Studies in Aristotle and Classical Literature, University of Toronto Press, London 2006, pp. 94-101, e A. Fussi, Agire, patire,
temporalità: modi e funzioni della vergogna fra Retorica ed Etica Nicomachea, in B. Centrone (a
cura di), La Retorica di Aristotele e la dottrina delle emozioni, Pisa University Press, Pisa 2015,
pp. 178-182.
3
Aristotele, Etica Nicomachea, trad. it., intr. e note a cura di C. Natali, Laterza, Roma-Bari
1999, IV 15, 1128b 11.
4
Aristotele, Retorica, trad. it., intr. e note a cura di S. Gastaldi, Carocci Editore, Roma
2014, II 6, 1383b 12-14.
Il pudore come sentimento del sé
41
mo5. Certamente aidos e aischyne risultano molto simili, in quanto entrambe
sono rivolte alla perdita di buona reputazione causata dall’aischron. Tuttavia, come nota attentamente Konstan6, una differenza sostanziale va ricercata nelle rispettive temporalità: le cose turpi per le quali si prova vergogna
(aischyne) possono essere collocate nel passato, nel presente o nel futuro,
mentre le cose turpi per le quali si prova pudore (aidos), sono sempre nel
futuro. Possiamo capire il valore prospettico del pudore solo se prendiamo
in considerazione la sua natura essenzialmente inibitoria. Aristotele mette
in risalto questo aspetto quando, riferendosi ai giovani, gli unici secondo
lui lodabili per il loro pudore, afferma che: “vivendo sotto il dominio della
passione, compiono molti errori, errori da cui sono preservati dal pudore
(aidos)”7.
L’essenza dell’aidos è quindi il preservare la buona reputazione del soggetto, reputazione che verrebbe macchiata compiendo errori che derivano
dal dare sfogo a certe passioni. Tale salvaguardia avviene, dunque, attraverso
l’inibizione che il pudore esercita su queste pulsioni. Risulta chiaro che chi
prova pudore si trova in una condizione di disarmonia interna8: da un lato
avverte delle pulsioni, dall’altro queste non vengono assecondate dal soggetto, in quanto egli sa che cosa è, o dovrebbe essere, ritenuto vergognoso.
D’altro canto, nel provare aischyne ci relazioniamo ad eventi turpi rispetto ai quali non possiamo nulla, perché si sono verificati nel passato, oppure
perché sono presenti, ma al di là del nostro controllo, o ancora perché sono
futuri e ciò nonostante ritenuti ineluttabili. Nell’aidos, invece, come ho già
detto, ci rapportiamo sempre ad eventi futuri, ma evitabili, poiché quest’emozione è essenzialmente inibitoria e, se viene meno la possibilità di inibire,
viene meno anche il pudore stesso. Alla luce di queste considerazioni, possiamo capire meglio il senso dell’ osservazione di Zahavi citata sopra, secondo
la quale la vergogna è la spiacevole emozione della presa di coscienza di un
evento turpe che ci riguarda, mentre il pudore è il sentimento di che cosa è
ritenuto da noi o da altri proprio e improprio, di che cosa è vergognoso e di
che cosa non lo è.
1.2. Il concetto di Scham in Scheler
Dopo Aristotele, Scheler è forse l’autore che ha studiato il pudore in maniera più approfondita: egli espone le sue teorie nel suo Über Scham und
Schamgefühl9, libro redatto probabilmente nel 1913, purtroppo rimasto in5
A. Fussi, Agire, patire, temporalità…, cit., pp. 190-196.
D. Konstan, The Emotions of the Ancient Greeks…, cit., pp. 91-110.
7
Etica Ncomachea, IV 15, 1128b 16-18.
8
A. Fussi, Agire, patire, temporalità…, cit., p. 177.
9
M. Scheler, Über Scham und Schamgefühl (1913), tr. it, a cura di M. T. Pansera, Pudore
e sentimento del pudore, Mimesis, Milano 2013.
6
42
Leonardo Massantini
compiuto10, circostanza che crea non pochi problemi interpretativi. Secondo
Scheler il pudore, in tedesco Scham, si articola in numerose modalità distinte
e tra loro irriducibili; le due principali sono quella corporea (Leibesscham)
e quella psichica (Seelenscham). La prima è stata analizzata nel dettaglio da
Scheler e rientra tra i sensi del proprio corpo (Leibgefühle), i quali si riferiscono al corpo nel suo complesso: il soggetto di questi sentimenti è il Leib, cioè il
corpo-vivo. Tali sentimenti riguardano il benessere o il malessere dell’organismo nella sua totalità, tra questi, oltre al pudore, vi sono anche la stanchezza,
il sentirsi a proprio agio e l’imbarazzo11.
Il sentimento del pudore psichico, per converso, è stato approfondito di
meno da Scheler, avendo lasciato il suo lavoro incompiuto: esso rientra tra
i sentimenti dell’Io (Ichgefühle), i quali agiscono e vengono provati ad un
livello più profondo, non quello del corpo, ma appunto quello dell’Io (Ich),
e si manifestano in stati d’animo precisi e strettamente legati al successo o
insuccesso dell’Io stesso. Di conseguenza sono fortemente correlati al riconoscimento e al biasimo sociale, nonché alla capacità di rispettare oppure
no gli imperativi morali che il soggetto si autoimpone12. Esempi di questi
sentimenti sono l’orgoglio, la colpa, ma anche l’esser contenti, cioè il sentirsi
soddisfatti di essersi comportati nel modo che riteniamo giusto.
Protagonisti delle due modalità del sentimento del pudore sono quindi
l’Ich (Io) e il Leib (corpo-vivo). Un’attenta analisi di questi due concetti richiederebbe un lavoro a parte, in questa trattazione mi limito a ricordare che
Scheler13 tenta di metterli in correlazione, con il fine di superare il problematico dualismo pensiero-materia di origine cartesiana14. Infatti, la natura
dell’essere umano per Scheler non può essere ridotta né al corpo-vivo, né
all’io. Anzi, come rileva Sawicki15, i due sono uniti da una relazione essenziale,
tantoché si dovrebbe parlare di una vera e propria continuità tra io e corpo.
Questi, insieme alla persona, concetto fondamentale per Scheler, che qui però
non mi è possibile esaminare16, costituiscono aspetti essenziali della natura
umana: l’uomo in quanto tale è sempre al contempo persona, Io e corpo-vivo.
10 M. Tedeschini, Su Über Scham und Schamgefühl di Max Scheler: una lettura “estetica”, in
(a cura di) E. Antonelli e M. Rotili La vergogna/The Shame, Mimesis, Milano-Udine 2012, p. 333.
11 G. Cusinato, Scheler. Il Dio in divenire, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2002,
p. 52.
12 Ivi, pp. 52-53.
13 E. Kelly, Material Ethics of Value: Max Schler and Nicolai Hartmann, Springer, New York
2011, p. 184.
14 Cfr. M. Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik (1916), trad.
it., intr. e note a cura di R. Guccinelli, Il Formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Bompiani, Milano 2013, pp. [370] 721 ss.
15 Cfr. M. Sawicki, Body, Text, and Science: The Literacy of Investigative and the Phenomenology of Edith Stein, Springer, New York 1997, p. 36.
16 Cfr. G. Cusinato, Il concetto di spirito e la formazione della persona nella filosofia di Max
Scheler, in M. Pagano (a cura di), Lo spirito. Percorsi nella filosofia e nelle culture, Mimesis,
Milano-Udine 2011.
Il pudore come sentimento del sé
43
Prima di proseguire è bene riflettere su una differenza fondamentale nelle
metodologie dei nostri due filosofi; mi riferisco in primo luogo alla terminologia da loro impiegata. Lo Stagirita, nell’affrontare il fenomeno del vergognarsi, adotta, se pur implicitamente, una distinzione che veniva fornita dalla
sua lingua, quella appunto tra aidos e aischyne, e che, come abbiamo visto
con Zahavi, è individuabile anche in alcune lingue moderne.
Allo stesso modo, Scheler si rende conto di essere di fronte a un fenomeno
che richiede una terminologia articolata per essere descritto, ma, piuttosto
che affidarsi alla semplice distinzione Scham/Schande (che potrebbe corrispondere a grandi linee a pudore/vergogna, aidos/aischyne), si dedica esclusivamente a Scham, termine che utilizza per formare varie parole composte.
Dato che il vocabolo Scham è ambiguo e talvolta può essere considerato
sinonimo di Schande, non è chiaro se nella sua analisi Scheler si volesse rivolgere al pudore in senso stretto o al vergognarsi in generale17.
Al contempo abbiamo osservato come i due filosofi non scelgano lo stesso criterio di distinzione: aidos e aischyne si differenziano prima di tutto riguardo alle rispettive temporalità; le varie forme di Scham, invece, rispetto
alla sfera che coinvolgono, cioè quella psicologica o quella corporea. Questa
diversa impostazione rende impossibile riscontrare una completa coincidenza tra aidos e Scham. Tracciare una sintesi tra le due analisi è reso ancora
più difficile, ma comunque non impossibile, dal fatto che, pur conoscendo il
pensiero di Aristotele, Scheler non fa riferimento alle teorie sul pudore elaborate dallo Stagirita. In conclusione, non ritenendo che uno degli approcci
debba essere preferito all’altro, prenderò in esame le analisi di entrambi i
pensatori per riflettere sul fenomeno stesso del pudore, dedicando maggiore
attenzione agli aspetti su cui concordano.
1.3. Il ritorno su se stessi e la tensione
In questa sezione mi concentrerò sui concetti di ritorno su se stessi e
tensione che secondo Scheler sono due tratti essenziali del pudore, per poi
cercare di capire se le sue considerazioni siano conciliabili con quelle aristoteliche. Sostiene Scheler:
L’essenza del sentimento del pudore consiste, per un verso, nel ritorno dell’individuo su se stesso (Rückwendung auf ein selbst) e nel sentimento di dover necessariamente proteggere l’io individuale dalla sfera dell’universale; per un altro verso, nel
sentimento che manifesta, come fosse una tensione (Widerstreit) tra due strati della
coscienza, l’indecisione delle funzioni superiori della coscienza, in grado di scegliere
i valori, di fronte a oggetti che esercitano una forte attrattiva sulla tendenza istintiva
inferiore18.
17
18
Cfr. M. Tedeschini, op. cit., p. 333.
M. Scheler, Pudore e sentimento del pudore, cit., p. 57.
44
Leonardo Massantini
Per comprendere il concetto del ritorno su se stessi, riprendiamo questo
esempio di Scheler: una donna posa nuda per un pittore; in questo momento
la donna non prova necessariamente pudore, sebbene sappia di essere osservata mentre è svestita19. Scheler spiega questo fenomeno, sostenendo che ciò
avviene in quanto costei si sente “data” al pittore come luogo di fenomeni
estetici e come oggetto da ammirare per il suo valore artistico. In altre parole
in questo caso il pudore non si manifesta, in considerazione del fatto che la
donna si sente data esclusivamente come “oggetto generale” e non in quanto
individuo.
Tuttavia, qualora la donna notasse nel pittore un interesse non rivolto a
se stessa esclusivamente in quanto oggetto generale, ma in quanto individuo,
se ad esempio percepisse un desiderio amoroso o puramente sessuale, improvvisamente proverebbe pudore. In altre parole queste manifestazioni di
pudore sono dovute ad un sentirsi dati che si muove tra la sfera individuale e
quella generale. È proprio questo oscillare, questo sentirsi dati all’improvviso
non più o non solo come individuo, ma anche come oggetto20 e il prender
coscienza di questo oscillare, che costituisce l’essenza del ritorno su se stessi.
Come Scheler espone chiaramente in questo passo:
Ciò detto: quel ritorno su se stessi, nella cui dinamica sorge il pudore, non si presenta né quando si sa di essere ‘dati’ come qualcosa di generale, né quando si sa di
essere ‘dati’ nella propria individualità, ma soltanto quando l’intenzione percepibile
dell’altro oscilla tra un modo di intendere individualizzante e un modo di intendere
generalizzante, e quando l’intenzione propria e quella provata da colui che ci sta di
fronte, lungi dal coincidere, hanno una direzione opposta21.
È evidente che per Scheler il pudore cerchi in un qualche modo di sottrarre il soggetto dallo sguardo oggettivante degli altri, in questo senso il pudore
svolge per Scheler un’azione difensiva22.
È inutile sottolineare che, qualora volessimo riscontrare una funzione di
difesa anche nel pudore aristotelico, dovremmo tenere presente che essa sarebbe molto diversa da quella scheleriana. Potremmo dire che la funzione
di difesa in Aristotele consista nella protezione della buona fama, obiettivo
ottenuto tramite l’inibizione di quei comportamenti che seguono solo gli impulsi23. In ultima analisi, sebbene la funzione di salvaguardia sia presente in
entrambi, è chiaro che ciò che viene difeso è molto diverso: per Aristotele si
tratta della reputazione del soggetto, mentre per Scheler è il soggetto stesso
nella totalità della sua corporeità (o nella totalità della sua individualità, nel
caso del pudore psichico).
19
20
21
22
23
Ivi, p. 42.
O viceversa.
Ibidem.
Ivi, p. 40 ss.
Cfr. Etica Nicomachea, IV 15, 1128b 15-23.
Il pudore come sentimento del sé
45
Per quanto riguarda invece la tensione, Scheler adopera questo termine in
riferimento ad un conflitto interno all’individuo: essa consiste, infatti, nella
contrapposizione tra due strati della coscienza, quello relativo alle funzioni
superiori, in grado di scegliere i valori, e quello relativo alla tendenza attrattiva inferiore. Analizzeremo il fenomeno della tensione, rispetto a due
modalità distinte del sentimento del pudore corporeo. Abbiamo già rilevato
come questo sentimento si riferisca e venga provato dal corpo vivo nella sua
totalità. Esso tuttavia si articola in due ulteriori modalità: il sentimento del
pudore relativo alla libido (libidinöse Schamgefühl) e il sentimento del pudore
sessuale (geschlechtliche Schamgefühl). Per Scheler entrambe esercitano un’azione di inibizione sul soggetto; ciò che le differenzia è che la seconda inibisce gli impulsi sessuali, i quali per definizione sono rivolti agli altri, mentre
la prima inibisce la libido, cioè quell’impulso di piacere rivolto a sé e quindi
autoerotico24.
Per primo analizziamo il fenomeno della tensione nel sentimento del pudore sessuale. Immaginiamo un soggetto che prova un forte impulso sessuale
verso un’altra persona, e che, solo per pudore, non si avventi su di lei. Secondo Scheler in questo esempio si palesa come il sentimento del pudore sessuale sia la conseguenza della tensione stessa che sussiste tra due movimenti
fondamentali: da una parte un movimento che è rivolto ai valori, che intenziona l’altro come soggetto (portatore di valori); dall’altra l’impulso sessuale,
il quale non tende ai valori, ma è solo uno stato di piacere; esso non si riferisce all’altro come soggetto, ma solo come oggetto del soddisfacimento del
proprio piacere25. In altre parole, chi prova questo tipo di pudore, mentre
vede l’altro come possibile soddisfacimento del proprio impulso sessuale, al
contempo avverte un movimento interno che va in direzione opposta e che
gli impedisce di considerare l’altro come mero oggetto, inibendo pertanto
l’appagamento dei sensi.
Sebbene lo tratti solo brevemente, Scheler offre un esempio illuminante di
pudore corporeo relativo alla libido. Il filosofo tedesco immagina una ragazza
pudica che prova pudore persino nel guardare o toccare il proprio corpo
anche quando è sola e riguardo a ciò afferma che “nel processo inerente
all’autoerotismo il pudore svolge un ruolo inibitorio non inferiore a quello
che svolge nell’eterosessualità”26. Non solo per Scheler questo sentimento
non ha bisogno di alcuno spettatore, ma non è neanche il frutto dell’interiorizzazione dei giudizi altrui. Esso è piuttosto un sentimento “naturale”, la cui
funzione è inibire la libido affinché l’impulso di piacere non sia rivolto più
al sé, ma all’altro. Per Scheler in altre parole il sentimento del pudore relativo
24 Ivi, pp. 79-95. Come nota Emad, Scheler con questa distinzione si contrappone a Freud
Cfr. P. Emad, Max Scheler’s Phenomenology of Shame, «Philosophy and Phenomenological research», XXXII (1972), n. 3, pp. 361-370.
25 Ivi, p. 43.
26 M. Scheler, Pudore e sentimento del pudore, cit., p. 40.
46
Leonardo Massantini
alla libido sta a fondamento della formazione dell’impulso sessuale.
Sebbene Scheler adoperi questo esempio per dimostrare che il pudore
non è un sentimento esclusivamente sociale, possiamo sfruttarlo per notare anche come nel sentimento del pudore relativo alla libido, la tensione si
manifesti in maniera ancora più decisa. In esso il soggetto non solo vive una
vera e propria lotta interna tra due tendenze che vanno in direzione opposta:
una che vuole dare soddisfazione alla libido e una che cerca di sottrarsi a
tale soddisfazione, ma egli stesso (e non l’altro) è anche colui che subisce
l’oggettificazione.
Il ritorno su se stessi e la tensione interna di cui parla Scheler rispetto al
pudore sono, a mio avviso, aspetti diversi dello stesso fenomeno. È ormai
chiaro che non si possa avere il sentimento del pudore senza una dinamica tra
due tendenze opposte, una che considera l’essere umano oggetto e fonte di
piacere e una che lo considera invece come soggetto e sede di valori. In particolare quando tale dinamica è interna ad uno stesso individuo, cioè quando è
l’individuo stesso che si considera contemporaneamente e paradossalmente
come qualcosa che può e non può essere ridotto a mero oggetto, sembra
più conveniente parlare di tensione interna. Quando invece tale dinamica è
vissuta attraverso lo sguardo altrui, cioè ogni volta che ci sentiamo dati non
più solo come soggetto, ma anche come oggetto (o viceversa), sembra più
appropriato chiamarla ritorno su se stessi.
Riguardo alla funzione inibitoria, invece, Aristotele e Scheler sono piuttosto d’accordo. Per entrambi chi prova pudore è in una condizione di “disordine” interno. Per Scheler esso corrisponde alla tensione27, per Aristotele
è una disarmonia. La tensione è interna all’individuo e consiste nella contrapposizione tra due strati della coscienza: quello relativo alle funzioni superiori, in grado di scegliere i valori, e quello relativo alla tendenza attrattiva
inferiore. Similmente chi prova aidos dimostra di essere in una tensione tra
volontà e desiderio.
2. Pudore come sentimento del sé
Si è tentato finora di individuare alcuni tratti distintivi del pudore, non
rimane, dunque, che interrogarsi sul pudore come sentimento del sé.
È proprio Scheler ad affermare che: “fa parte dell’essenza del pudore essere una forma del sentimento di noi stessi e in tale misura appartiene alla sfera
dei sentimenti del sé”28. Il filosofo tedesco afferma che nel provare pudore:
L’uomo, nel suo essere più intimo si percepisce affettivamente e si coglie come
“ponte”, come “passaggio” tra due ordini di essere e essenza, nei quali egli è con pari
27
28
Ivi, pp. 57 ss.
Ivi, p. 41.
Il pudore come sentimento del sé
47
profondità radicato e ai quali non può, neppure per un attimo sottrarsi senza cessare
di essere “uomo”29.
Scheler interpreta questi due ordini distinti come il divino e l’animale. È
chiaro quindi che per il filosofo tedesco il pudore rivela un’essenziale verità
al soggetto che la prova. Egli attribuisce un forte valore metafisico a questa
intuizione30, tuttavia possiamo spostare il ragionamento su di un piano più
strettamente fenomenologico. Come ha già notato Guccinelli, il pudore rivela il nostro corpo nella sua “identità”, ci permette di sentirlo con discrezione,
come se fosse proprio quello che è: la nostra “casa”, il nostro guscio, come
quello di una lumaca. Proprio come una lumaca, con la stessa naturalezza,
portiamo con noi la vita del nostro corpo. Il pudore segnala l’istante in cui si
rompe il filo intimo che ci lega al nostro corpo-vivo31. Il soggetto tramite il
pudore sente il suo corpo come proprio e inseparabile: egli è cosciente di tale
rapporto proprio grazie a questo sentimento poiché nel provarlo, paradossalmente, per un momento, si rompe quella continuità che lega l’io al corpo.
Nel sentire pudore, improvvisamente, mi rendo conto che non sono solo
corpo-soggetto, ma anche che ho un corpo che può essere oggetto. Abbiamo
visto che il pudore, secondo Scheler, si fonda sui due fenomeni di ritorno e
tensione.
Proprio mediante il fenomeno del ritorno su se stessi, all’uomo è rivelata
la sua duplice natura di oggetto e soggetto. È in quell’oscillare caratteristico del ritorno su se stessi che appare chiaro che non siamo sempre e solo
soggetti, individui, ma che rispetto allo sguardo degli altri, nonché di noi
stessi, possiamo essere dati anche come oggetti. Non solo, poiché spesso il
pudore è accompagnato dal dolore, questa esperienza si carica di una forte
connotazione educativa, consentendo al soggetto di carpire immediatamente
la propria individualità. Nell’esperienza del pudore il soggetto prende coscienza del fatto che egli non deve esser oggettivato dagli altri, specialmente
nella sfera sessuale.
Attraverso il fenomeno della tensione, il soggetto comprende chiaramente
di essere un ponte, un passaggio, ma non tanto tra bestia e Dio, come sostiene il nostro filosofo, quanto piuttosto, io credo, tra essere e dover essere.
Chi prova pudore, sia che si voglia seguire l’analisi di Aristotele o quella di
Scheler, si trova combattuto tra ciò che desidera, perché mosso dagli impulsi, e ciò che vorrebbe fare perché lo ritiene giusto o appropriato. Non
solo, ma attraverso la coscienza di questo stato di tensione, acquisisce anche
la coscienza di avere una scelta. Come afferma Scheler: “Il pudore agisce
29
Ivi, p. 28.
Cfr. G. Cusinato, Scheler. Il Dio in divenire, cit, pp. 77-79.
31 R. Guccinelli, Value-Feelings and Disvalue-Feelings: A Phenomenological Approach to
Self-Knowledge, «Thaumàzein. Max Scheler and the Emotional Turn», III (2015), pp. 233-247,
p. 244.
30
48
Leonardo Massantini
soprattutto quando al momento in cui compiamo un’azione, se ne presenta
certamente anche una opposta”32.
Conclusioni
Il pudore, come abbiamo rilevato, può fare a meno dello spettatore, sia
esso reale o immaginario. È un’emozione esperibile non solo in completa
solitudine, ma persino nell’ipotetica condizione di chi non ha mai incontrato
un suo simile. Questo perché, specialmente nella modalità rivolta alla libido,
non necessita della mediazione offerta dallo sguardo altrui, in quanto sorge
naturalmente come inibizione rispetto alle pulsioni di piacere rivolte al sé.
Al contempo, però, abbiamo rilevato che il pudore permette di ottenere una
qualche coscienza di sé ed in questo caso particolare la coscienza è relativa
all’emergere di moti contrastanti. Nasce così l’idea di un’autocoscienza prodotta dal pudore, che può precedere l’incontro con l’altro, anche se lo suppone come esistente33. Tale autocoscienza è relativa alla propria corporeità,
sessualità e natura di soggetto, il quale può scegliere di dare sfogo o meno
alle proprie pulsioni. In conclusione, il rapporto tra il pudore e il corpo è
talmente intimo e naturale, da permettere di avere una qualche coscienza di
quest’ultimo senza dover passare necessariamente attraverso gli altri. Tuttavia, essendo un’esperienza così immediata, non è certo che tale coscienza
acquisti auto-trasparenza: non vi è infatti spazio per il riconoscimento di sé
nell’altro. Vi è maggiore possibilità che una coscienza di questo tipo assomigli ad una pre-coscienza, ovvero ad un percepirsi come soggetto ed oggetto
unitario di determinate pulsioni: uno stato, insomma, tra il riflessivo e l’irriflessivo.
32
M. Scheler, Pudore e sentimento del pudore, cit., p. 133.
Se il pudore inibisce le pulsioni di piacere rivolte al sé per rivolgerle all’altro, si suppone
che quest’ultimo sia potenzialmente esistente.
33