Vivanti Carla
La letteratura in giudeo-spagnolo a Venezia
עבודה לקורס לאדינו למתקדמים (27830)
של פרופ. דוד בוניס
Gerusalemme, Università Ebraica, 2016
Contenuto:
1. La tipografia ebraica in Italia;
1.1. La tipografia ebraica a Venezia;
2. La letteratura dei profughi spagnoli e portoghesi in Italia
2.1. La letteratura giudeo-spagnola a Venezia
3. Haggadah di Pessah, Venezia, 1609
4. I diversi tipi di lingua
5. Conclusioni
6. Bibliografia
7. Illustrazioni
1. La tipografia ebraica in Italia
La tipografia ebraica in Italia inizia verso il 1470, quando a Roma viene stampato il primo libro in caratteri ebraici Sefer ha-shorashim, un lessico ebraico di David Kimhi.
Nella seconda metà del Quattrocento, in alcune parti d'Italia, fiorisce una notevole produzione ebraica. A Piove di Sacco (Padova), il rabbino Meshulam Cusì ed i suoi figli pubblicano nel 1475 il primo libro ebraico del Veneto: gli Arbà Turim di Yaakov ben Asher, un compendio del Talmud.
Nel 1475, a Reggio Calabria, esce presso il tipografo Abraham Ben Garton il Commentarius in Pentateuchum del rabbino Salomon ben Isaac.
A Venezia, Ferrara, Livorno, Mantova, Firenze, Riva di Trento, Sabbioneta, Pisa, Reggio Calabria, Roma, ecc. vengono pubblicate numerose opere liturgiche, halakhiche, esegetiche e filosofiche in lingua ebraica, secondo le tradizioni sefardita, italiana e tedesca, come: 1486: il Sidurello secondo il rito romano, 1490: a Napoli un Sidur di rito spagnolo, 1503 a Fano «Elu me'a Brahot», 1509 un Sidur tedesco, ecc.
Tra il 1483 ed il 1527 opera in Italia il più grande e famoso stampatore ebreo Gershòm Soncino a Soncino, Brescia, Napoli, Pesaro, Fano, ecc. Soncino cercò di lavorare a Venezia, ma i regolamenti della Repubblica non lo permisero.
1.2. La tipografia ebraica a Venezia
Gli ebrei a Venezia potevano svolgere solo poche attività, come prestito nei banchi di pegno, compravendita di cose usate e l'arte medica. A differenza di quanto avveniva altrove, fu vietata loro la stampa dei libri, attività che nel mondo ebraico era stata una vera vocazione, perché gli ebrei nei libri avevano trovato il modo di trasmettere la loro cultura e tradizione.
Venezia divenne il più importante centro editoriale ebraico d'Europa per volume, alto livello di qualità e fornitura di materiale librario alle comunità orientali ed occidentali, ma non per opera di stampatori ebrei, almeno ufficialmente. Gli ebrei potevano solo lavorare come curatori di testi, compositori e correttori di bozze.
Nel 1501, Aldo Manuzio utilizzò dei caratteri ebraici nella sua Bibbia poliglotta ed in Introductio per brevis ad hebraicam linguam.
Nel 1516, quando Bomberg iniziò la sua attività, Venezia chiudeva gli ebrei nel Ghetto. La coincidenza dei due avvenimenti, anche se indipendenti, finì per rivelarsi un fattore determinante a causa della presenza di una stabile comunità ricca di cultura e di tradizioni. La chiusura nel Ghetto significò per gli ebrei un incentivo verso uno sviluppo culturale e scientifico, come reazione allo stato di emarginazione. Nel ghetto si concentrarono molti ingegni, in grado di curare edizioni di testi.
La produzione libraria in ebraico trovò in Daniel Bomberg, un cristiano di Anversa, il suo più illustre promotore. Grazie ai suoi capitali, riuscì ad affermarsi come l'unico editore di cose ebraiche operante in laguna. Egli stampò, tra il 1516 e il 1549, circa 230 volumi in ebraico, distribuiti in Italia ed in tutto il mondo ebraico, tra cui nel 1517 la prima Bibbia rabbinica (Mikra'ot gedolot). Tra il 1524-1525 realizzò l'edizione della Bibbia in 4 volumi in folio, curata da Yaakov ben Chayyìm, contenente il testo ebraico, la traduzione aramaica e i più importanti commenti, che la resero per secoli un testo fondamentale. Tra il 1520 e il 1523 apparvero i grossi volumi in folio del Talmud babilonese, tra il 1522 e il 1523 quello di Gerusalemme e il primo libro caraita. Le edizioni del Talmud furono memorabili, non solo per l'accuratezza filologica e la bellezza dei caratteri, ma anche per l'impaginazione, che poneva al centro il testo ebraico "quadrato", i commenti ai lati in corsivo rabbinico e l'indicazione delle pagine (a = recto, b = verso) secondo una numerazione ancor oggi utilizzata.
Non conoscendo l'ebraico ebbe bisogno di aiutanti ebrei o apostati, come Cornelius Adelkind (Israel ben Baruch).
L'attività di Bomberg cominciò a declinare verso la metà del secolo: la polemica antiebraica di papa Paolo III e il controllo sempre più severo dei Riformatori dello Studio lo costrinsero ad abbandonare la laguna, lasciando l'editoria nelle mani di alcuni patrizi veneziani, che operavano per motivi economici. La loro attività non fu facile, perché limitati da misure restrittive imposte dalla Repubblica nel 1544-45 e perché si facevano sempre più acuti gli attacchi della Chiesa contro il Talmud.
Marco Antonio Giustiniani, aiutato da Cornelius Adelkind e da Meir ben Yaakov Parenzo, pubblicò in 7 anni di attività (1545-1552), 86 opere in ebraico, con marca tipografica raffigurante il Tempio di Gerusalemme, edizioni tutte di alta qualità.
Meir Parenzo fu l'unico ebreo ad aver avuto, tra il 1545 e il 1549, la possibilità di stampare in proprio: avvalendosi della sua esperienza di correttore di bozze, pubblicò volumi di salmi, di ritualistica, testi scientifico-geografici, letterari e anche un'importante edizione della Mishnà commentata da Ovadyàh da Bertinoro.
Una disputa provocata da motivi economici tra il Giustiniani e Alvise Bragadin portò a risultati drammatici. Entrambi avevano pubblicato il Mishné Torà di Maimonide, con il commento del rabbino di Padova Meìr Katzenellenbogen, il Giustiniani senza il permesso del commentatore. I due editori si accusarono a vicenda, si appellarono a Roma, in un clima fortemente ostile alla cultura ebraica: la contesa finì per offrire nuovi pretesti agli attacchi all'ebraismo. Nel 1553 il papa Giulio III decretò la confisca e la distruzione del Talmud. Migliaia di libri ebraici furono pubblicamente bruciati a Roma e a Venezia. La stampa in ebraico fu sospesa a Venezia per 10 anni fino al 1563, poi, nonostante i divieti, riprese lentamente.
Nobili famiglie veneziane, come i Bragadin e i di Gara, riportarono l'editoria veneziana a competere a livello europeo.
Alvise Bragadin, che aveva già iniziato nel 1550, ricominciò a stampare scritti biblici, commentari, a ristampare il suo Maimonide fino al 1574. Il suo prestigio resta legato all'edizione del Shulchàn Arùch di Yosef Karo, che, con le aggiunte del 1578 di Moshé Isserles, diverrà uno dei testi più importanti della cultura ebraica.
Nel 1575 ad Alvise successe il figlio Giovanni, che stampò una quindicina di libri, solo ristampa di opere già note o testi illustri con nuovi apparati, a causa delle difficili condizioni in cui operava la stampa di fine secolo. Nel 1571, un nuovo divieto proibiva agli ebrei non solo di stampare libri, ma anche di fare i compositori o di servirsi di prestanomi cristiani. La confisca e la distruzione, nel 1568, di circa 8.000 libri della Comunità ebraica, sospettata di simpatie verso il nemico turco, causò un disastro economico ai commercianti di libri ed agli ebrei.
Altri tentarono in quegli anni difficili la via dell'editoria, come gli Zanetti, il Cavalli, il Grifio. Nel 1593 la Chiesa condannò nuovamente il Talmud e nel 1595 pubblicò il Sefer ha-Ziqqùq (Libro della purificazione) con l'elenco dei passi che dovevano essere cancellati dai libri ebraici.
Giorgio de Cavalli pubblicò 20 titoli (1565-1567), Giovanni Grifio 10 titoli (1564-1567), alcuni membri della famiglia Zanetti riuscirono a pubblicare più di 60 titoli tra il 1567 e il 1608.
Il più interessante editore di fine '500 –inizio '600 è Giovanni di Gara, che aveva lavorato con Bomberg e stampa, tra il 1564 e il 1611 circa 270 titoli. Le ragioni del suo successo si devono, in gran parte, all'uso dei caratteri di Bomberg, alla collaborazione di curatori di alto prestigio come Leone da Modena, alla pubblicazione di autori molto noti. La sua fama rimane legata alla stampa, nel 1599 e nel 1609, dei primi testi illustrati dell'editoria ebraica veneziana, come la celebre Haggadah di Pessah, le cui xilografie furono poi riprese in tutte le più famose Haggadoth veneziane (Fortis 1991).
Nel 1600, Venezia con Amsterdam sono le capitali dell'editoria ebraica in Europa e stampano da 600 a 700 titoli. Venezia resta nel '600 la più importante sede della stamperia ebraica, anche per l'alta qualità della stampa.
La stamperia Bragadina è la più importante del periodo: Giovanni continua l'attività fino al 1614, poi lo sostituiranno il figlio Pietro e fratelli, e successivamente i nipoti Vincenzo II ed Alvise III.
Nel 1631 sorge una nuova stamperia ebraica ad opera di Giovanni Vendramin, che si fonde in seguito, nel corso del 1700, con quella dei Bragadin.
Dalla seconda metà del '600 si assiste al declino dell'editoria ebraica a Venezia (Campos: 2).
Appaiono nuovi piccoli editori, come Domenico Bona, David Buoeno, Giovanni Cajun, Giovanni Calleoni o Coleoni, ecc. (Pavoncello 1990).
Nel '700 furono attivi a Venezia i Foa di Sabbioneta, celebri stampatori ebrei da secoli. Gad ben Yitzhaq Foa pubblicò una raccolta di preghiere penitenziali e una Bibbia presso la Bragadina ed altre due opere nel 1760-1762. Fino al 1795 sembra che egli abbia tenuto una tipografia propria. Prestarono la propria opera nel ramo tipografico anche alcuni membri della famiglia Aboab nel '600 e '700. (Venezia, in Italia Judaica: 10).
2. La letteratura dei profughi spagnoli e portoghesi in Italia
Nella vita culturale degli ebrei espulsi dai regni iberici alla fine del sec. XV, l'esperienza svoltasi in Italia riveste un ruolo di primo piano. Qui gli esuli trovano un terreno propizio ad attività di mediazione culturale. Senza sottovalutare la produzione nel campo degli studi ebraici, è importante riconoscere il valore della loro attività di traduzione e pubblicazione anche di testi spagnoli e portoghesi. Gli ebrei sefarditi sono spesso, nei territori italiani dove è permesso loro di risiedere, un elemento propulsore della vita intellettuale, segnalandosi in particolare nel campo dell'editoria come traduttori e tipografi; rappresentano un anello di congiunzione tra la cultura italiana e l'iberica e partecipano, in forme e modi peculiari, al complesso fenomeno del Rinascimento (Minervini 1993: 35).
La loro attività, concentrata principalmente a Ferrara, Venezia e Livorno, fu importante sia dal punto di vista culturale che da quello editoriale. Per provvedere alla rieducazione di quanti si erano convertiti al cristianesimo, perché costretti dalle circostanze, e che ora vogliono tornare all'ebraismo ma non sanno leggere l'ebraico, vengono tradotti in spagnolo testi liturgici e fonti ebraiche classiche: Bibbia, letteratura rabbinica, opere filosofiche medievali, trattati di precettistica, codici di Halachà, ecc. Si costituisce così il primo importante corpus di pensiero ebraico in una lingua moderna europea, lo spagnolo, che acquista un ruolo fondamentale in tutta la diaspora sefardita, assumendo la funzione di lingua della comunicazione scritta e parlata in ambito religioso e intellettuale.
Le tipografie ferraresi, veneziane e livornesi sono al centro di una complessa rete di scambi di manoscritti, libri, idee, uomini ed esperienze: a volte lo stesso libro viene stampato a Salonicco o Istanbul e poi ristampato in Italia o in Olanda. La produzione locale è solo in piccola parte destinata al mercato italiano: Venezia stampa per l'Oriente, Livorno, a partire dalla metà del Seicento, servirà soprattutto le comunità del Nord Africa (Bonfil 1992: 233).
Il risultato più importante di questa attività è la traduzione della Biblia en lengua españyola traduzida palabra por palabra dela verdad hebrayca, edita a Ferrara nel 1553, presso la tipografia di Yomtov ben Levi Atias ed Abraham Usque. Ne esiste anche una versione dedicata al duca di Ferrara, don Ercole da Este, dove i traduttori si chiamano Jeronimo de Vargas e Duarte Pinel, i nomi cristiani di Atias ed Usque. I traduttori ferraresi sono consapevoli di seguire un'antica tradizione di volgarizzamenti biblici, di cui restano solo testimonianze indirette: le Bibbie spagnole medievali, destinate ai cristiani ma tradotte dal testo ebraico, quindi con la collaborazione di ebrei (Minervini 1993: 230). Mi sembra strano che i cristiani spagnoli traducano dall'ebraico: perché non traducono dalla Vulgata o dai Settanta?
Usque ed Atias ricalcano la struttura del testo ebraico, con una tecnica letteralista «muy differente del polido que en nuestros tiempos se usa» e spiegano nell'introduzione che non si poteva far diversamente «por que queriendo seguir verbo a verbo y no declarar un vocablo por dos, lo que es muy dificultoso, ni anteponer ni posponer uno a otro, fue forçado seguir el lenguaje que los antiguos Hebreos Espanñoles usaron» , il che testimonia che esistevano traduzioni spagnole precedenti (Minervini 1995: 230).
Mentre il Pentateuco di Costantinopoli (1547) è in caratteri ebraici, i redattori della Bibbia di Ferrara, scegliendo l'alfabeto latino, si rivolgono ai marrani, e quindi lo spagnolo usato è povero di ebraismi e vicino allo spagnolo contemporaneo.
All'attività della tipografia Atias-Usque di Ferrara si deve la traduzione dall'ebraico del Libro dei Salmi (Psalterium de Dauid en Hebraico dicho Thehylim 1553) e di alcuni rituali, tutti in caratteri latini : Libro de Oracyones de todo el año, 1552; Sedur de oraciones de mes, 1552; Orden de Silhoth, 1552; Orden de Roshashanah y Kipur, 1553; Orden de oraciones de mes arreos sin boltar de una a otra parte. Y la orden de Hanucah, Purim y Pasquas de Pesah, Sebuoth y Succoth, 1555.
Nel 1552 Shemuel figlio di Askarâ Sarfati stampa a Ferrara un Mahzor di rito sefardita per i Giorni Penitenziali (Piattelli 1996).
Nel 1552 fu pubblicata a Venezia la traduzione spagnola delle Slihot, le suppliche per i giorni penitenziali, senza il testo ebraico, con pochissime parole in caratteri ebraici inserite nella volgarizzazione: Celihot Segùn la orden del uso español hebraico.Delos quarentas dias ante del dia de Quipur. El qual va seguido de luengo sin tornar atras, En Venecia, Alvise Bragadin, MDLII. Mancano i nomi del traduttore e del compositore, forse perché nel 1550 Venezia aveva cacciato i marrani ed erano iniziati i processi dell'Inquisizione contro i giudaizzanti, così gli ex-cristiani preferivano non essere nominati.
Isac Cavallero pubblica a Venezia: Orden de oraciones segundo el uso ebreo en lengua ebraica y vulguar español, traduzido por el dotor Isac fijo de Dom Sem tov Cavallero, Venecia, senza data e senza casa editrice, ma secondo Leoni, che ha trovato un esemplare con la data, è del 1552. Ci sono testo ebraico e traduzione spagnola nella pagina a lato (Leoni 2001: 47-51, fot. 44). Sempre nel 1552 a Venezia, Cavallero pubblica Ordenanca delas oraciones del Cedur del mes Ebraico y vulgar español, presso Alvise Bragadin.
Questi Sidurim sono in ladino o in spagnolo?
Secondo l'articolo di Cohen, a Ferrara e Venezia sono stati stampati due Mahzorim in ladino nel 1552, quindi devono essere quelli di Cavallero e di Usque, ma quali? (Cohen 2007: 151).
Questi libri di preghiere, sono all'origine di una serie di ristampe e riadattamenti, che si susseguono per alcuni secoli, contribuendo all'affermazione dello spagnolo, assieme all'ebraico, come lingua liturgica dell'ebraismo sefardita ed anche delle comunità portoghesi del Nordeuropa.
Le più antiche traduzioni dei Pirqê 'Avôt e del Seder Haggadah shel Pesah sono incluse nel Libro de Oraciones de todo el anyo, edito a Ferrara (1552).
Dei Pirqê 'Avôt si pubblicano a Venezia nel '600 tre diverse traduzioni, due in caratteri ebraici (1601, 1696), una in caratteri latini (1651).
La traduzione ladina dell'Haggadah, edita per la prima volta in caratteri ebraici a Venezia nel 1609, fa parte di un'antica tradizione, anteriore all'espulsione dalla Spagna, che si trasmette senza differenze sostanziali sia alla diaspora orientale che a quella occidentale (Schwarzwald 1993).
Esistono infatti testi in castigliano dell'Haggadah precedenti all'espulsione, come «Rituales de Pascua» in un Mahzor della fine del XIII secolo. (Minervini 1993a).
Fra le numerose traduzioni di Haggadôt, figura quella di Livorno del 1654, in caratteri latini: Orden de la Hagadah de Noche de Pascoa de Pesah Traducida: questa pubblicazione inaugura la stagione dell'editoria giudeo-spagnola della città, che avrà nel secolo successivo la sua massima fioritura (Toaff 1990: 359-360).
Dopo la traduzione della Biblia di Ferrara, non ci saranno altre traduzioni complete della Bibbia, ma solo di libri singoli, come il Libro dei Salmi (Ferrara 1553, Livorno 1655) e il Cantico dei Cantici (Venezia 1609). Vengono pubblicati alcuni glossari della Bibbia, come il Sefer Hesheq Shelomoh. Libro de ladinos de los bierbos caros de toda la Miqrà entitulado Cobdisia de Shelomoh, in caratteri ebraici, pubblicato a Venezia nel 1588, e di nuovo nel 1617, a cura di Gedalyah ben Mosheh Cordovero. Nell'introduzione Cordovero afferma che il glossario è stato scritto da un autore ignoto ed edito nel Levante (verso il 1572-1588 ca.), questo è confermato dalla varietà dello spagnolo usato, che corrisponde agli sviluppi iniziali del giudeo-spagnolo come documentato da testi di provenienza orientale (Bunis 1992).
Nel 1606 a Venezia, Abraham de Reuben ben Nahman, proveniente dal Marocco, fa stampare le Misnajot con el comento de el Haham, la Aquila grande, Rabbenu Moseh hijo de Maimon, y perficionó despues del Haham el Rab Obadia de Bartenora. Si tratta di un'edizione della Mishnah in ebraico, con il commento di Maimonide e 'Ovadyah da Bertinoro, con traduzione spagnola parziale in caratteri latini.
Negli stessi anni appaiono le traduzioni di alcuni importanti trattati di normativa religiosa: nel 1602 si pubblica a Venezia una traduzione-riadattamento dello Shulhan 'aruk di Yosef Caro (XVI sec.), già edita a Salonicco nel 1568: Libro llamado en lashon ha-qodesh Sefer sulhan ha-panim y en ladino Mesa del alma. L'opera è scritta in caratteri ebraici ed è, insieme allo Hesheq Shelomoh, una delle più precoci testimonianze linguistiche del giudeospagnolo. Secondo Cohen, l'autore è rabbi Meir ben Shmuel Benvenisti (Cohen 2011: 178- 185).
Nel 1609, a Venezia, Mosè Altaras fa pubblicare una versione in alfabeto latino della Meza del alma, affinché possa essere letto da quelli che non sanno leggere l'ebraico, come spiega nell'introduzione del suo Libro de Mantenimiento de la alma enel qual se contiene el modo con que se à de regir el Iudio en todas sus actiones traduzido dal hebraico al spagnol:
« por ver que ay muchos que non saben leer ottra letra que la presente» (Altaras 1609: 2r.). La lingua usata da Altaras risente dell'influenza del giudeospagnolo e si allontana spesso dallo spagnolo letterario del tempo.
Sempre per quelli che non sanno l'ebraico si espongono «en letra y lenguage espanyol» i 613 comandamenti, spiegati sul modello del Sefer ha-mizvot: Tesoro de preceptos donde se encierran las joyas de los Seys cientos y treze Preceptos, que encomendó el Señor à su Pueblo Israel con su declaración, Razón y Diním, (Venezia, 1627). È opera del rabbino Yizhaq Atias di Amburgo, che nell'introduzione spiega di aver scritto in spagnolo, anziché in portoghese, sua lingua materna, perché in spagnolo è stata tradotta la Bibbia.
Nel 1639, vede la luce a Venezia un'edizione della Bibbia ebraica con commento, in ebraico, di Ya'aqov Lumbrozo, in cui sono glossati in spagnolo molti termini difficili. La lingua è in una varietà di spagnolo fra la lingua letteraria di Spagna e il giudeospagnolo di Hesheq Shelomoh (Bunis 1994).
Nel 1656 a Livorno, Ya'aqov Hagiz, capo di un'accademia rabbinica a Gerusalemme, pubblica la traduzione spagnola in caratteri latini del Menorat ha-ma'ôr di Yishaq Aboab (XIV sec.). La chiama: Almenara de luz. Tratado de mucho provecho de Isac Aboab nuebamente traducido en lengua vulgar.
Benché i libri di argomento religioso siano i più numerosi in questo ambiente di conversos, si pubblicano anche opere di argomento profano.
Così, per esempio, nel 1554 Abraham Usque pubblica a Ferrara la prima edizione del romanzo pastorale-cavalleresco Menina e Moça di Bernardim Ribeiro: il perché un autore cristiano portoghese faccia pubblicare la sua opera da un ebreo in Italia, fa sorgere dubbi sulla sua origine e religione (Faiolo 2010: 178-189).
Salomon Usque traduce in spagnolo i Sonetti del Petrarca: De los sonetos canciones mandriales y sextinas del gran poeta y orador Francesco Petrarca Traduzidos de Toscano por Salusque Lusitano, parte primera, Venezia 1567.
Usque, emigrato poi a Istanbul, è anche autore, insieme a Lazzaro di Graziano Levi, della commedia Ester (1559), il più antico dramma ebraico in italiano. Ha scritto inoltre un sonetto in spagnolo ed un poemetto in italiano, Canzone sull' opera de' sei giorni, comparso in un'antologia nel 1572 (Piattelli 1968).
Negli stessi anni, Yosef Sarfatti prepara una versione ebraica della commedia spagnola Celestina, di Fernando de Rojas, anche lui un cristiano nuovo.
Ludovico Ariosto abita a Ferrara, sede di un comunità ebraica importante, ed ha un grande successo tra gli ebrei. Leone Modena traduce in ebraico alcuni canti dell' Orlando Furioso, Leone de' Sommi s'ispira alla Lena per la sua Zahût bedîhûta' de-qiddushin, che segna la nascita del teatro in lingua ebraica.
In Italia le volgarizzazioni in lingua iberica ebbero anche un certa diffusione in forma manoscritta: un manoscritto in portoghese è conservato nella Biblioteca di Piacenza, catalogato come «Ordo precum iudaicarum lingua lusitana versus» (Leoni 2001: 60).
Un altro manoscritto, che testimonia il successo dell'Ariosto, è conservato alla Bodleian Library di Oxford (MS Canonici Oriental 6): vi si trova, assieme ad altri testi in ebraico, spagnolo e portoghese, la trascrizione in caratteri ebraici dei primi 36 canti dell' Orlando Furioso, nella traduzione castigliana di Jéronimo de Urrea. L'anonimo redattore usa la seconda edizione, pubblicata ad Anversa nel 1554; il manoscritto non è datato, solo al f. 199v figura la data 5360, che corrisponde al 1600. Il manoscritto è in corsivo italiano (Neubauer 1886: 687) e secondo Cecil Roth apparteneva alla comunità sefardita di Venezia (Roth 1984: 307).
La trascrizione è di grande interesse linguistico perché riflette la pronuncia spagnola del redattore; questo Orlando Furioso risulta un esempio precoce della varietà linguistica poi conosciuta come giudeospagnolo o giudezmo, che appare qui già differenziata dal castigliano di Urrea (Minervini 1993).
La letteratura profana esercita una grande attrazione sugli ebrei del tempo: nel 1652, Ya'aqov Alpron premette ai Doveri delle donne, traduzione italiana del Seder mizvot nashim (1577), di Benjamin 'Aharon Slonik, questa introduzione:"…e assai manco male sarà che leggano questo libretto, che l'Ariosto, le cento novelle, Amadis de Gaula e simili libri profani, che non è lecito leggerli al sabbat…e che da quelli non s'impara se non lascività, e cose vane" (Sholod 1982: 40).
L'articolo di Dov Cohen su 400 anni di stampa ladina in Italia si occupa di numeri e statistiche, è generico e contiene errori, come: «El primer livro en Italia ke kontiene tekstos en ladino se estampò en el anyo 1544 en Venecia. Se trata de un livro de orasiones entitulado Temunot Tehinot Tefilot Sefarad», (Coen 2007: 149), mentre invece questa è la seconda edizione, la prima è del 1524. L'errore è stato poi corretto nella sua tesi (Cohen 2011: 54).
Nella tesi Dov Cohen ha esaminato alcune delle principali biblioteche del mondo e raccolto tutti i libri in giudeospagnolo che ha trovato: questo non significa che le sue statistiche siano complete, perché non ha esaminato tutte le biblioteche, anzi: non esiste un capitolo sull'Italia (Coen 2011).
Stranamente brillano per la loro assenza biblioteche italiane come Padova (Tamani 2005), Venezia (Tamani 1972), Mantova (Busi 1996), le Biblioteche Nazionali Centrali di Venezia, Firenze, Roma, Napoli, le biblioteche delle Comunità ebraiche di Livorno (Piattelli 1992), Venezia, Ferrara (Busi 1987), le Biblioteche di Roma, le Biblioteche Vaticane, di cui parte si trova on-line, anche se in trascrizione latina.
Inoltre, poiché non pubblica la lista dei libri che ha trovato, non si può sapere che libri manchino: per esempio nella tesi scrive che a Ferrara è stato pubblicato un solo libro in ladino, penso sia la Bibbia (Cohen 2011: 142), mentre nell'articolo scrive che ne sono stati pubblicati 2 (Cohen 2007: 150).
Tutti i libri di preghiera pubblicati dalla tipografia Atias-Usque a Ferrara non sono in ladino? Qual'è la differenza tra quest'ultimi e la Bibbia, visto che sono tutti scritti in spagnolo e in alfabeto latino?
Nella tesi di Dov Cohen non esiste un indice per paese, città, tipografi, autori o titoli ed è difficile rintracciare le opere. Dalle citazioni bibliografiche ha eliminato la casa editrice, perché secondo lui è inutile (Cohen 2011: tet-zain).
Cohen ha eliminato tutti i libri scritti in alfabeto latino stampati prima del XIX secolo, così buona parte della letteratura giudeo-spagnola viene ignorata e così risolve anche il problema se si tratta di ladino, giudeo-spagnolo o spagnolo (Cohen 2011: 107).
2.1 La Letteratura giudeospagnola a Venezia
Secondo le statistiche di Cohen, a Venezia sono stati pubblicati in ladino 105 libri, però senza quelli in caratteri latini (Cohen 2011: 138).
Non è sempre facile per me distinguere tra spagnolo e ladino: è ladino solo
quello scritto in caratteri ebraici? Allora perché la Bibbia di Ferrara è in ladino e gli altri libri stampati da Usque o da Cavallero no?
I principali libri pubblicati a Venezia, in spagnolo o ladino, che ho trovato nelle varie pubblicazioni consultate di D. Cohen, Leoni, Yaari, Minervini sono:
a) testi biblici:
1619: Sir ha-shirim, tradotto in ladino da A.Laniado col titolo: Sefer nequdot ha-kesef, Venezia, Bragadin e Giovanni Cajon, 1619: in caratteri ebraici.
1639: Hamishà Humshei Torà, Venezia, Vendramin, testo ebraico con spiegazioni in ladino a cura di Y. Lumbrozo;
b) Glossari della Bibbia in ladino:
1588: Sefer Hesheq Shlomo, Libro de ladinos de los bierbos caros de toda la Miqrà entitulato Cobdisia de Shelomoh, in caratteri ebraici pubblicato nel 1588 e nel 1617 a cura di Gedalya ben Mosheh Cordovero.
c) Liturgia e letteratura rabbinica:
1524: Temunot Tehinot Tefilot Sefarad, cioè «Immagini, Suppliche e Preghiere di Sefarad», curato da Cornelio Adelkind per Daniel Bomberg, secondo D. Cohen in ladino, secondo Leoni in ebraico (Leoni 2001: 37): in realtà ci sono alcune spiegazioni in ladino all'Haggadah di Pessah.
1552: Orden de Oraciones segundo el uso ebrèo en lengua ebraica y vulguar espanyol: traduzido por el dotor Isac fijo de Dom Sem tov Cavallero, en Venecia: senza data, senza casa editrice. Secondo Leoni, che ha trovato un esemplare col frontespizio a New York nella Biblioteca del Jewish Theological Seminary, è del 1552. Il testo ebraico e spagnolo sono a fronte, il traduttore fa una traduzione "calco", seguendo parola per parola l'ebraico, usando molte abbreviazioni affinché ogni riga dello spagnolo coincida con l'ebraico: è ladino o no? (fot.45)
1552: Celihot, Segun la orden del uso español hebraico. Delos quarenta dias antes del dia de Quipur. El qual va seguido de luengo sin tornar atras. En Venecia, Alvise Bragadin, MDLII.
1552: Ordenança delas Oraciones di Isac Cavallero, Venezia, Alvise Bragadin, che costituisce una variante ampliata del precedente.
1585: Luah Halahot, Zuan de Gara, Venezia, ca. 1585 (Cohen 2011: 197).
1590: Seder Arba' Ta'niot, Venezia, Zuan de Gara, 1590. Aftarat 9 di Av in ebraico e ladino, versetto dopo versetto (Yaari 1934: 23).
1601: Pirké Aboth, si pubblicano a Venezia nel corso del '600 tre diverse traduzioni, due in caratteri ebraici (1601, 1696), una in caratteri latini (1651). La versione del 1601 si segnala per alcune caratteristiche che la distinguono da tutte le versioni successive, raggruppate, su base linguistica, in due famiglie, orientale e occidentale: si deve forse a queste particolarità, che la connotano in senso arcaico e popolare, se la traduzione del 1601 non serve da modello a nessuna di quelle posteriori (Schwarzwald 1990). Non si conoscono gli autori delle traduzioni.
1602: Shulhan ha-panim, o libro llamado en ladino «Meza de el alma», trasladado del libro del Gaon Rabbi Josef Karo, lo truzo a la estampa Moshé ben R. Shlomo Aschkenazi, Venezia, Stamperia Bragadina, 1602. L'opera, scritta in caratteri ebraici è, insieme allo Hesheq Shelomoh, una delle più precoci testimonianze linguistiche del giudeospagnolo. Non si tratta solamente di una traduzione, il libro contiene riassunti, elaborazioni ed anche parti originali. Cohen ha stabilito che l'autore è Meir ben Shemuel Benvenisti, in base ad un altro libro dell'autore Seder Qeddushà dove figura il nome (Coen 2001: 183-185).
1606: Misnajot con el comento de el Haham, la Aquila grande, Rabbenu Moseh hijo de Maimon, y perficionò después del Haham el Rab Obadia de Bartenora, Venezia, 1606.
1609: Orden de Oraciones del mes arréo, di Abraham Usque (1555), viene ristampato a Venezia da Pietro e Lorenzo Bragadin.
1609: Libro de Mantenimiento de la alma enel qual se contiene el modo con que se à a regir el Iudío en todas sus actiones, traduzido dal hebraico al spagnol: è una versione in alfabeto latino di Mesa del Alma, fatta da Mosè Altaras, perché ci sono molti che non sanno leggere l'ebraico, come scrive nell'introduzione. La lingua usata da Altaras risente l'influenza del giudeospagnolo, allontanandosi dallo spagnolo classico.
1609: Seder Haggadah shel Pesah con su ladino…mizmorim shel Pessah u-Birkat ha-mazon, a cura di Israel Zifroni, Venezia, Joani di Gara (Yaari 1934: 18). Sembra sia la prima Haggadah in ladino in caratteri ebraici. Giovanni di Gara pubblica un' Haggadah in ebraico in tre diverse versioni secondo il rito italiano, ashkenazita e sefardita, con traduzione, rispettivamente, in italiano, in yiddish e ladino in lettere ebraiche utilizzando, per la parte comune, lo stesso impianto stampa. È illustrata con incisioni su legno e servirà da modello per molti anni. Non si conoscono gli autori delle traduzioni in ladino, italiano e tedesco. Verrà ristampata anche su pergamena e con il commento in ebraico di Leone da Modena al posto delle traduzioni nelle tre lingue (Yaari 1955: 113-117).
1614: Seder Arba Ta'aniot halo hem 'Assarà be-tevet…Venezia, Joani Cajon. Aftarat 9 be-Av in ebraico e ladino.
1620: Haggadah shel Pessah: appare a Venezia una volgarizzazione spagnola in caratteri latini (Leoni 2001:60).
1622: La Declaracion de los Puntos è un prontuario di preghiere in lingua ebraica con traduzione spagnola. Fu pubblicato a Venezia, nella tipografia dei Bragadin, da Abraham Netto, però è attribuito a Isac Cavallero e quindi questa deve essere una ristampa. Lo stile della traduzione e la scelta dei vocaboli sono tipicamente quelli di Cavallero (Leoni 2011: 55).
1627: Tesoro de preceptos donde se encierran las joyas de los Seys y treze Preceptos, que encomendó el Señor à su Pueblo Israel con su declaración, Razón y Diním, Venezia, 1627. È opera del rabbino Izhaq Atias di Amburgo, che è di madre lingua portoghese, ma scrive in spagnolo perché è la lingua più diffusa (Atias 1627: 4v.). La dichiarazione di Atias conferma il ruolo svolto dalla traduzione della Bibbia e dei testi liturgici nella diffusione dello spagnolo presso le comunità portoghesi.
1629: Seder Haggadah shel Pessah be-lashon ha-kodesh u-pitrono be-lashon sefardim…mossif al ha-rishonim …don Izhak Abarbanel, Venezia, Joani Calleoni (Yaari 1934: 18).
1638: Seder Arbà Ta'aniot,…Venezia, be-mizvat ha-comisaria shel ha-sar Joani Vendramin, Joani Martinelli. Aftarat 9 be-Av in ebraico e ladino in lettere quadrate (Yaari 1934: 23).
1642: Seder arba'a T'aniot, ke minhag k"k Sefardim…be lashon sfaradì, ha-madpis Meshulam Aschkenazi Finzi, Venezia, Bragadina. Ebraico e ladino, il ladino in lettere Rashi.
1696; Pirké Aboth con su ladino, Venezia, Bragadin (JNL)
1703: Seder Tefilot…ke-minhag kahal kadosh sefardim…a cura di Israel Isserl ben Elikim Ge"z, Venezia, Bragadin (Yaari 1934: 23).
1706: Pirké Aboth. Estos son los Perakim los quales se dizen los Sabathoth que ay entre Pesah y Sebuoth cada Sabath uno, Venezia, nella Stamparia Bragadina. Stampato in ebraico e ladino in lettere latine, a cura di Moshé ben Josef Venturin (Yaari 1934: 13).
1713: Sefer Shulhan ha-Panim, libro llamado en ladino Meza de el Alma porké es konpuesto de todos los dinim nesesarios para el ombre, trasladado del libro de Gaon Rabbi Josef Karo… lo trujo a la estampa el sinyor Moshé ben rav Shlomo Ashkenazi, Venezia, Bragadina (in caratteri ebraici); (Repertorio 1970: 264).
1713: Sefer hovat ha-Levavot: Bachye ben Yosef Ibn Paquda, Obligación de los Coraçones. Trasladó esto libro di Bechaiji R.B. Josef in ladino porque esta lengua es la màs usada entre nosostros R.Zaddik Formon. Lo tragó al istampa Mosé ben R. Shlomo Aschkenasi. Venezia, Stamperia Bragadina, (esto, di, in: sono così nel testo); (Repertorio 1970: 56)
1738: Sefer arba'a essrim: Torah Neviim Ketubim, pirush ha-milot be-lashon ha-sefardim, le-teshukat Izhaq Foa, Venezia, Bragadina, 1738
1739-1941: Kelalè diqduqè leshon 'ever, di Simone Simhah Calimani, Venezia, Bragadin, in lettere ebraiche, ci sono esemplari con glosse in italiano ed altri con glosse in spagnolo.
1753: Ketuba le-Hag ha-Shevu'ot,…en ladino en lengua espanyiola...stampato a cura di Gad ben Shmuel Foa, Venezia, Stamparia Bragadina, in caratteri ebraici (Yaari 1934: 56).
1756: Mahzor le iamim ha-noraim ke-minhag k"k sefardim…nidpas le-tesukat ha-bahur Mordehai ben ha-rofé Shlomo Foa, Venezia, Stamperia Bragadina, 1756 : il ladino in lettere Rashi (Yaari 1934: 15-16).
d) Teatro:
1590 Ma'assé Yossef, Venezia, 1590 ca. : alcuni resti di questa commedia sono stati trovati da Avner Perez nella rilegatura di un libro. Perez ha stabilito questo titolo, perché figura in una lista di libri di Mantova del 1595
(Cohen 2011: 154)
1590: Aquilana, Venezia, 1590 ca. È la traduzione in giudeospagnolo della commedia Aquilana di Bartolomé de Torres Naharro (1480 ca.-1530). La traduzione è stata stampata per la prima volta a Napoli nel 1520 ca. Nella Genizah del Cairo ne è stata trovata una pagina di Venezia (Gutwirth 1992).
3. L'Haggadah di Pessah, Venezia, 1609
L'Haggadah con traduzione in ladino è una delle tre Haggadoth stampate a Venezia nel 1609 presso lo stesso editore, Giovanni di Gara (Habermann 1982: 128-129), a cura di Israël ben Daniel Haziforni secondo la Schwarzwald (Schwarzwald 1991: 51), Israel ben rav Daniel Zifroni da Guastalla secondo la Biblioteca Nazionale Ebraica (JNL).
La prima Haggadah ha una traduzione in giudeoitaliano, la seconda in yiddish e la terza in ladino. Tutte e tre le edizioni hanno le stesse illustrazioni e la stessa impaginazione: il testo ebraico è stampato al centro di un edificio a copertura a timpano (e non a capitello come dice la Schwarzwald), mentre le traduzioni si trovano sui lati, dentro alle colonne di sostegno (Foto 2). Solo la Birkat ha-mazon (pag.31) è su una pagina senza decorazioni architettoniche.
In molti casi ci sono illustrazioni sotto le colonne, a volte anche sopra le colonne, al posto del timpano, che spiegano gli episodi salienti del Seder.
3. 1. L'Haggadah in ladino
L'Haggadah in ladino ha 43 pagine, 44 con il frontespizio, le altre ne hanno 44. Ci sono delle differenze nei canti e le benedizioni tra le tre edizioni, l'ordine delle quattro domande di Ma nishtanà è diverso.
I passaggi in ladino comprendono la traduzione del testo ebraico, le direttive per lo svolgimento del Seder e le diciture delle illustrazioni. Mentre la traduzione è molto vicina al testo ebraico, lo spagnolo usato per le spiegazioni delle illustrazioni, spesso in rima, e le direttive per il Seder sono in una lingua libera da ogni riferimento all'ebraico.
La maggior parte del frontespizio è in ebraico, con la sola eccezione dell'intestazione: «seder hagadah shel Pessah kon su ladino», dove «kon su ladino» è in ladino. L'unica scritta in lettere latine è « con licentia de' superiori».
Sul frontespizio ci sono quattro immagini con spiegazioni in italiano.
Da destra in alto: 1) «la bona dona ke va tuta via kasheriando la sua masaria» = la buona donna che sta cascerizzando tutta la sua masseria, 2) «e questa ke il suo rame è molto vekio, frega per moed, lustro kome un spekio» = e questa che il suo rame è molto vecchio sfrega per mo'ed lustro come uno specchio. Da sinistra in alto: 3) «questaltra kui fa pessah ala kasa e niente di hamez dentro ci lasa » = quest'altra qui fa Pessah alla cassa e niente di hamez dentro ci lascia; 4) «questa buratta la farina, è il fiore, per le mazot kava, de tuto kore» = questa setaccia la farina, è il fiore, cava (estrae) per le mazot, con tutto il cuore.
La lingua mi sembra italiano, non giudeo-italiano e non veneziano, a parte alcune parole in ebraico: mo'ed, hamez, mazot, cascerare.
«Mazot» è strano perché in italiano si dice «azzime», a Roma «azzimelle». «Masseria» in it. = «fattoria, casa colonica», non è un termine che si usa a Venezia, forse la traduzione è stata fatta sulla terraferma.
Forse «va via + gerundio» è dialettale veneto.
Sembra che la prima edizione dell'Haggadah fosse quella in italiano e che le altre siano state copiate, dimenticando di tradurre le spiegazioni del frontespizio.
3.2. Le lingue dell'Haggadah in ladino
Oltre alla traduzione del testo ebraico e alle spiegazioni delle illustrazioni, la nostra Haggadah comprende delle direttive in ebraico e ladino per aiutare nello svolgimento del Seder. Lo stesso apparato di traduzioni, spiegazioni e direttive si trova anche nelle altre edizioni.
3.2.1: Direttive che non traducono un testo ebraico: pag.3
Nota: ch= ch spagnolo, problemi con la traslitterazione di zain e zadiq, het, caf, quf.
1) «Kadesh: hinchirá el bazo de vino i dirá el kidush» = riempirà il bicchiere di vino e dirà il qiddush;
2) «u-rehaz: labará las manos i no dira 'al netilat yadayim» = laverà le mani e non dirà al netilat yadaym;
3) «Karpas: tomará del apyo i entenyera enel vin agre i dirá baruk 'ata A…» = prenderà il sedano lo immergerà nell'aceto e dirà "baruh atà"…;
4) «Yahaz : partirá la maza de medyo, i ponrá la medya entre la dos, i la otra medya ponrá son los manteles para afikoman» = dividerà l'azzima del mezzo, e metterà la metà tra le due e l'altra metà la metterà tra le tovaglie per l'afikoman;
3.2.2: Direttive che traducono un testo ebraico: pag. 4-5
5) « ve-ahar kah mozegin kos rishon ve-yvarek al hayayin» = poi versano (presente ind. pl.) il primo bicchiere e benedirà (futuro ind. sing.) sul vino;
«Kadesh: i inchiran el primer vazo i diran kidush» = Kadesh – e riempiranno il primo bicchiere e diranno Qiddush;
6) «Im hal Pessah lihyot be-hol 'omerim ze = i si kaesió paskwa en dia dela semana diran este» = e se cadde Pessah in un giorno della settimana diranno questo;
7) «ve-shotim be-hasibat shemol= i beberan kada uno su vazo areskobdado» = e berranno ognuno il suo bicchiere appoggiato sul gomito;
8) pag. 5: «ve-rohez yadav ve-eino mevarek = u-rehaz- despwes se lavaran (pl.) las manos i en esta lavadura no dirá (sing.) beraka porke no es obligado dela dezir» = poi si laveranno le mani e in questo lavaggio non dirà berakà perché non è obbligato a dirla;
9) pag. 5: «ve-yikah ha-apyio (in spagnolo nel testo ebraico) ve-yitbol ba-haroset u-mevarek baruk ata» = e prenderà il sedano e lo immergerà nel haroset e benedice "baruh atà»;
«Karpas- i tomarà del apyo i entenyera en el vinagre. I si no tubyere vinagre sale de obligasyon kon tinyer en agua de sal. I dira esta beraka: baruk ata» = e prenderà il sedano e immergerà nell'aceto. E se non avesse (tenesse: imperfetto cong. di tener) aceto, esce di obbligo intingendo in acqua di sale. E dirà questa berakà "Baruh atà».
10) pag.5:« u-bozea maza ha-emza'it min haslosha lishnaim ve-noten hezya be-zad ha-shulhan la-afikomen ve-hezya yahzor ben shetei ha-shelemot» = e rompe l'azzima di mezzo tra le tre a metà e dà metà sul lato del tavolo per l'afikomen e metà tornerà tra le due intere;
«Yahaz: i partirá la maza de enmedyo. i desara la medya en su lugar i la otra medya metera debaso del mantel para afikomen» = e dividerà in due l'azzima del mezzo, e lascerà la metà al suo posto e l'altra metà metterà sotto la tovaglia per l'afikomen.
Possiamo vedere che la traduzione non sempre è fedele al testo ebraico: per esempio nella direttiva 5, nel testo ebraico si passa dal plurale al singolare, mentre nella traduzione i due verbi sono al plurale. Nella direttiva 8, il testo ebraico è al singolare, mentre la traduzione è più lunga e dettagliata e passa dal plurale al singolare.
Lo stesso nella direttiva 9: la spiegazione della halakha sul sedano e l'acqua salata è più dettagliata di quella della direttiva 3. La traduzione non rispetta nemmeno l'ordine del Seder del testo ebraico. Ci sono anche differenze di rito tra la descrizione dell'illustrazione in 4 e la direttiva in 9. Perciò possiamo dire che la lingua delle direttive in ladino non aderisce alla versione ebraica delle direttive che è comune alle altre Haggadoth del 1609.
Ci sono anche differenze di ordine ortografico tra le prime e le seconde direttive: in 5 è scritto inchir, che è l'ortografia della lingua parlata, mentre in 1 abbiamo hinchir (sp. henchir) che è la lingua letteraria.
Sempre in 5 c'è vazo, mentre in 7 è b'azo e in 1 bazo (sp. vaso).
In 8, l'ortografia di lavare è lavar, e in 2 labar (sp. lavar): tutte queste ortografie rappresentano il suono «v».
Nell'esempio 9 l'ortografia di aceto è vinagre, mentre in 3 è in due parole vin agre
3.2.3. Descrizione delle incisioni che non traducono un testo ebraico.
11) pag. 7: «los g'iudyos esklavos a par'o en eg'yto» = gli ebrei schiavi del Faraone in Egitto;
12) pag. 8: «lo ke akontesyo a ribi 'el'azar i sus kompaniero(s)» = quello che successe a Rabbi Eleazar e ai suoi compagni;
13) pag 15 in alto: «la mucha afreisyon lazeryo i apretamyento. ke en eg'yfto les davan kon grande tormyento» = la grande afflizione, lavoro penoso e angoscia, che in Egitto gli davano con gran tormento;
14) pag.19: «zefardea : ranas- las ranas ke en ayfto ub'yeron. Sobre las personas sub'yeron» = le rane che furono in Egitto sopra le persone salirono.
«Ubyeron» = perfetto indicativo di haber, sp. hubieron = it. ebbero, ma in italiano si usa l'ausiliare «essere» e non «avere».
15) pag.19: «'arov: mestura –manyas malas i serpentes en mestura. Ke en ayfto fwe kontra natura» = miscuglio – animali feroci e serpenti in miscuglio, che in Egitto fù contro natura.
Non è chiaro cosa è manyas. L'illustrazione mostra bestie feroci, forse è abbreviazione di alimanyas, deformazione di animalia?
16) pag.19: «makat bekorot: ferida de mayores- por los primos g'enitos todos lyoravan, ke mwertos la manyana los falyavan » = ferita dei maggiori : per i promogeniti tutti piangevano, perché morti il mattino / l'indomani li trovavano.
«Falyavan» = imperfetto indicatico di sp. hallar
Les incisioni 1-4, pag.3, spiegano la cerimonia, l'incisione 12 illustra il testo e il resto è costituito da istruzioni varie: pag. 2 «l'ordine de bushkar el hamez i de kemarlo» = l'ordine di cercare il hamez e di bruciarlo.
Nota «l'ordine» in italiano.
Pag. 6 : tutti sono seduti a tavola ed uno va ad aprire la porta per «kol difkin»= «chiunque ha fame venga e mangi» e non ci sono sottotitoli.
Oppure le incisioni illustrano episodi biblici e midrascici. Negli angoli delle pagine in basso ci sono le figure di Mosé e Aronne o di Davide e Salomone.
Dei 16 esempi citati sopra, solo quattro, da 13 a 16 sono in rima. La versificazione si trova solo nelle diciture delle illustrazioni in alto e in basso della pagina, così come alla pag.19, la pagina delle piaghe d'Egitto.
I titoli delle illustrazioni a volte sono dettagliati, a volte brevi, e non tutti sono in rima, come a pag. 14, che descrive le città che gli ebrei hanno costruito in Egitto: Pitom e Ramses, con edifici italiani del Rinascimento!
17) pag.11 in alto: «la tyenda de ketura i sus fig'os, tyenda de avraham i sarah i izhak. Tienda de hagar y isma'el» = la tenda di Ketura e i suoi figli. Tenda di Abramo e Sara e Isacco. Tenda di Agar e Ismael.
Fig'o=lat. filius, sp. hijo,
18) p. 11 in basso: «denota la 'akeda de izhak: i izhak kon Ya'akov i 'esav» = mostra il sacrificio di Isacco: Isacco con Giacobbe ed Esaù. .
4. I diversi tipi di lingua dell'Haggadah
4.1. Il ladino della traduzione dall'ebraico
Il ladino della traduzione dall'ebraico o dall'aramaico segue da molto vicino la sintassi ebraica: è una lingua che cerca di essere fedele all'ebraico e conserva certi tratti arcaici dello spagnolo medievale, assenti dal giudeo-spagnolo e dallo spagnolo moderno.
Pag. 6: 1) «Ha lahma 'anya di akalu avhatana»: la frase aramaica è senza verbo, la traduzione non introduce il verbo essere : «este el pan de la 'afreision ke comyeron nuestros padres» = questo il pane di miseria che mangiarono i nostri padri.
Pag. 6, 2) «be-'ar'a de-mizraim. Kol dikfin yete ve-yekul » = « en tyera de egipto. Todo kyen tubyere fambre venga y koma» = in terra d'Egitto. Chiunque avesse (tenesse) fame, venga e mangi.
Tubyere= sp. tuviera = congiuntivo imperfetto di «tener». In italiano si usa «avere» e non «tenere»
Pag. 6, 3) «Kol dizrik yete ve-yekul» = «todo kyen tubyere de menester venga y pasqwe» = chiunque tenesse bisogno, venga e faccia Pasqua.
Pag. 6, 4) «ha-shata haka, le-shana ha-ba'a be-'ar'a de-iyisra'el» = «este anyo aki, ael anyo el vinyen en tyera de israel» = quest'anno qui, l'anno che viene (prossimo) in terra d'Israele.
-«este anyo akì»: senza ausiliare come l'originale aramaico;
-«le-shana ha-ba'a» è tradotto «el anyo el vinyen» usa un presente arcaico vinyen = sp. vinien, invece di viniente, mentre la forma usuale in spagnolo e in giudeo-spagnolo è el ano que viene; «el vinyen» mette l'articolo perché c'è in «ha-ba'a».
Pag. 6, 5) «ha-shata haka 'avde – le-shana ha-ba'a be-'ar'a de-yisra'el» = «este anyo aki syerbos, ael anyo el vinyen en tyera de israel » = quest'anno qui servi, l'anno che viene in terra d'Israele.
4. 2. La lingua delle istruzioni e dei sottotitoli
La lingua delle direttive e delle spiegazioni è completamente libera e non rispetta la sintassi dell'ebraico, come dimostrano gli esempi da 1 a 12.
Gli esempi da 5 a 10 mostrano che, nonstante il testo ebraico di partenza della direttiva, il ladino della traduzione non lo segue. Ugualmente la lingua dei sottotitoli non versificati mostra una certa autonomia, anche se il vocabolario utilizzato è quello dei racconti biblici.
22) pag. 12: «lavan el arami kuando lo persegito a ya'akov» = Labano l'arameo quando lo inseguì a Giacobbe;
23) pag. 13 in alto: «los ermanos de yosef kuando disheron a par'o por pelegrinar en la tyera venimos» = i fratelli di Giuseppe quando dissero a Faraone per pellegrinare/ abitare nella terra venimmo;
24) pag. 13 in basso: «denota ke muchiguavan en kantitad» = mostra che aumentavano in quantità.
25) pag.17: «denota la mortandad ke fue en la alimaryas de los eg'ipsanos» = mostra la mortalità che fu negli animali degli egiziani.
Qui mortandad, ma nella stessa pagina, nella traduzione dall'ebraico, si ha mortaldad.
Nei sottotitoli, si usa egipsanos o mizriyin, designazione abituale nel giudeo-spagnolo, mentre nel ladino delle traduzioni si usa eg'iftanos.
26) pag.18 « par'o ke se lavava ne la sangre de los ninyos por guarir la sarna» = Faraone che si lavava nel sangue dei bambini per guarir la scabbia.
-«guarir» = mi sembra italiano, perché in sp. sanar, curar, giudeo-sp. amahar.
-« ne la » = è veneziano, italiano nella
27) pag.27 «los mizriyim las vidas de los g'udyos amargaron, ke kon baro i kon adobes byen los kargaron» = gli egiziani la vita degli ebrei amareggiarono, che con fango e mattoni crudi li caricarono.
Alcuni sottotitoli hanno il verbo, altri no, come in 11, 17 e 18 ed altri:
28) pag. 19 «hoshek : eskuridad- tres dias de tenyebla i eskuridad, i los g'udios kon gran claridad» = oscurità – tre giorni di tenebra e buio, e gli ebrei con grande chiarità/ luce;
29) pag. 20 «los mizriyim kon limunyo i negrigura, i israel alegres i kon buena figura» = gli egiziani con lutto e male, gli ebrei allegri e con faccia buona;
C'è un unico caso in cui il titolo di un'illustrazione è in ladino, cioè traduzione fedele del testo ebraico: l'incisione rappresenta a destra una madre che allatta due gemelli ed è circondata da molti bambini. A sinistra, sotto un melo, siedono un uomo ed una donna, la donna legge un libro:
30) pag. 14 «lo ke dize: milarya komo ermolyo del kanpo te di – i loke dize: debaso del mansano te desperti» = è detto : moltitudine come germoglio del campo ti ho dato (= ti ho moltiplicata come l'erba del campo); ed è detto : sotto un melo ti ho risvegliata.
Questo titolo, che sta sopra l'immagine, è formato da due citazioni bibliche: Ezechiele 16, 7 e Cantico dei Cantici 8, 5. Le citazioni sono introdotte da «lo ke dize» cioè «come sta scritto».
C'è una certa libertà nella lingua versificata per rapporto alla sintassi ebraica.
Secondo la terminologia di H.V.Sephiha, si tratta di giudeo-spagnolo vernacolare.
5) Conclusioni
L'Haggadah del 1609 in ladino è interessante dal punto di vista linguistico, perché comprende diversi tipi di giudeo-spagnolo: il ladino della traduzione del testo ebraico, la lingua delle direttive per lo svolgimento del Seder e la lingua delle diciture delle illustrazioni.
Il ladino calca in modo fedele la sintassi dell'ebraico (Schwarzwald 1989: 6-15). La lingua delle direttive è libera: anche quando ci sono delle direttive in ebraico, le direttive in giudeo-spagnolo non sono calcate sul testo ebraico.
Le diciture delle illustrazioni rappresentano un altro aspetto della lingua degli esiliati spagnoli: riflettono il giudeo-spagnolo scritto, che è diverso dal ladino di traduzione (Schwarzwald 1991).
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5. Illustrazioni
Foto 1- 44: Haggadah shel Pessah con su ladino
Foto 45 : Isac Cavallero, Orden de oraciones
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