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Per un riesame dell’empiriocriticismo

2017, Archivio di storia della cultura

A reappraisal of Empiriocriticism. The paper questions the assumptions that underlie the habit of considering Richard Avenarius and Ernst Mach as representatives of the same philosophical current: Empiriocriticism. The essay firstly retraces the different backgrounds, aims and intellectual trajectories of the two authors, and then indicates the various points of convergence of their thoughts. In so doing, it is possible to outline the defning topics of Empiriocriticism without the risk of overlapping the famous Mach and the lesser-known Avenarius.

ARCHIVIO DI STORIA DELLA CULTURA ANNO XXX - 2017 ESTRATTO LIGUORI EDITORE L’«Archivio di Storia della Cultura» è una pubblicazione periodica della Fondazione Pietro Piovani per gli Studi Vichiani. Autorizzazione del Tribunale di Salerno n. 688 del 16.11.1988 «Archivio di Storia della Cultura» is a Peer-Reviewed Journal Volume XXX - Anno 2017 ISSN 1124 - 0059 (edizione a stampa) eISSN 2037 - 688X (edizione digitale) Periodicità annuale. Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. 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Segreteria di redazione: Chiara Cappiello, Antonio Michele Cappuccio, Raffaele Carbone, Giuseppe D’Alessandro, Giuseppe D’Anna, Rosario Diana, Giovanni Morrone, Leonardo Pica Ciamarra, Chiara Russo Krauss, Domenico Spinosa, Pierluigi Venuta, Roberta Visone. Ciascun contributo ricevuto dalla rivista per la pubblicazione è preventivamente sottoposto a una doppia procedura di “blind peer review”. I contributi, la corrispondenza e i libri vanno inviati al prof. Edoardo Massimilla, Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, via Porta di Massa, 1 - 80133 Napoli, [email protected] Ogni richiesta di informazione attinente all’amministrazione va indirizzata a Liguori Editore - via Posillipo, 394 - 80123 Napoli - Tel. 0815751272 - Fax 0815751231 - email: [email protected] ARCHIVIO XXX (2017) SOMMARIO FULVIO TESSITORE, Trent’anni pag. 1 ANNA MOTTA, La virtù basta da sola a dare la felicità? Sulle fonti platoniche dell’etica stoica ciceroniana ” 9 SALVATORE GIAMMUSSO, Liberalità e virtù pratiche nel De Officiis di Cicerone ” 27 ROBERTO BORDOLI, Critica e Aufklärung. La controversia su Mosè (1685-1686): Jean Le Clerc contro Richard Simon ” 63 FRANCESCO TOTO, Dom Deschamps e «il grido della verità». L’epurazione del linguaggio tra antropologia e politica ” 79 GIOVANNI MORRONE, Intuizione e interesse nella conoscenza storica. Il “primo” Croce e Windelband ” 97 MATTEO PIETROPAOLI, Heidegger e la critica del soggetto fenomenologico tra dogmaticità e tradizione moderna. Sul corso universitario Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (1925) ” 137 DOMENICO CONTE, Im Brunnen der Vergangenheit. Thomas Mann und die Geschichte ” 153 ANTONELLO GIUGLIANO, Imago – imitago. Note filosofiche sullo status storico e metafisico del concetto di immagine (Warburg, Benjamin, Heidegger, Nancy) ” 171 MEMORIE VIII Sommario GIUSEPPE AUTERI, La teoria kantiana del male radicale e la riflessione hegeliana sull’esperienza comune del dolore nella fenomenologia dell’esistenza di Giuseppe Capograssi ” 209 PAOLO CASTALDO, “Lorenzo Valla filosofo”: studi e problemi ” 223 MARIANNINA FAILLA, La dialettica della giustificazione. Lutero versus Lutero ” 237 ILARIA FERRRA, Bellezza e moralità: note generali per un concetto di ” 257 GIOVANNI SGRO’, Forgiata con l’«unico metallo della libertà». L’interpretazione e lo sviluppo critico della Filosofia del diritto di Hegel in Eduard Gans ” 285 CHIARA RUSSO KRAUSS, Per un riesame dell’empiriocriticismo ” 309 GIAN PAOLO CAMMAROTA, Esperienza come sapere, conoscere, esserenel-mondo ” 325 MARIA DELLA VOLPE, Benedetto Croce e la Germania anticristiana ” 347 FULVIO TESSITORE, Quarte note critiche di storia della cultura. I. Ancora su Droysen politico e non solo; II. Storicismo e relatività, una divagazione a partire da Otto Hintze; III. Francesco Gabrieli a trent’anni dalla morte; IV. Una nota di Cesare Segre su Américo Castro; V. Minima Senilia (aut Optima?) ” 357 FRANCESCO DONADIO, Nota alla traduzione italiana della Lettera a Voltaire sul carattere del Dr. Martin Lutero e sulla sua riforma, di Justus Möser ” 387 JUSTUS MÖSER, Lettera a Voltaire sul carattere del Dr. Martin Lutero e sulla sua riforma ” 401 ROBERTA VISONE, Un progressista con «antipatie per la riforma»: Herbert Spencer tra gradualismo e anarchia ” 413 HERBERT SPENCER, Il diritto di ignorare lo stato ” 437 GIANCARLO MAGNANO SAN LIO, Maometto nella cultura europea del diciannovesimo secolo: alcune considerazioni diltheyane ” 449 WILHELM DILTHEY, Maometto ” 457 DISCUSSIONI E RASSEGNE καλοκαγαθία nel pensiero di Immanuel Kant TESTI Sommario IX EDOARDO MASSIMILLA, Tipi ideali, storicismo come Weltanschauung e altro ancora: intorno a quattro lettere di Max Weber a Heinrich Rickert ” 465 MAX WEBER, Quattro lettere a Heinrich Rickert (1904-1905) ” 487 ANDREA DI MIELE, Socialismo, nazione e pacifismo nel giovane Banfi attraverso alcuni inediti ” 499 ANTONIO BANFI, Inediti (1915-1916) ” 519 PER UN RIESAME DELL’EMPIRIOCRITICISMO* di Chiara Russo Krauss 1. Il termine “empiriocriticismo” nella storia della filosofia viene utilizzato d’abitudine per indicare il pensiero di due autori: Ernst Mach e Richard Avenarius. Quest’uso è tanto sedimentato che spesso non ci si interroga sul fondamento e la legittimità di tale associazione, che viene accettata acriticamente come un dato acquisito. La tendenza a trattare questi due pensatori come una sorta di entità unica è stata facilitata tanto dalla fama indiscussa di Mach, quanto dalla speculare, sostanziale ignoranza che affligge il pensiero di Avenarius negli studi contemporanei. Il risultato è che nella “stella doppia” Mach-Avenarius, l’astro “minore” è stato progressivamente attratto nell’orbita di quello più grande e luminoso, finché non ha finito per fondersi e scomparire in esso. Così, se il nome di Avenarius continua a comparire ancora oggi, è per lo più come mero accompagnamento a quello di Mach, privato però di una identità filosofica propria. Di certo anche Avenarius non è esente da colpe per la scarsa considerazione delle sue opere, avendo adoperato un linguaggio tanto ostico e saturo di neologismi da far dire allo stesso Mach che «è chiedere troppo a un uomo già avanti negli anni di imparare, oltre alle molte lingue dei popoli, anche la lingua di un singolo»1. Non a caso, l’impressione che si ricava leggendo i molti studi che citano Avenarius schiacciandolo sulle idee di Mach, è che quest’ultimo venga utilizzato * Questo saggio è una traduzione e rielaborazione dell’intervento tenuto al Colloque international “Ernst Mach: genèse et actualité d’une philosophie de l’expérience”, 7-8 ottobre 2016, Université Paris 1 - Panthéon-Sorbonne. 1 E. Mach, Die Analyse der Empfindungen und das Verhältniss des Physischen zum Psychischen, Jena, 19002, pp. 35-36; tr. it. a cura di. L. Sosio, L’analisi delle sensazioni e il rapporto fra fisico e psichico, Milano, 1975, p. 72. 310 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 come una scappatoia per evitare di confrontarsi con i difficili testi di Avenarius, dando quindi per presupposta quella somiglianza tra le loro idee che dovrebbe invece essere tutt’al più un risultato dello studio delle loro rispettive concezioni filosofiche. Lo scopo di questo lavoro è quindi proporre un breve confronto delle posizioni di Avenarius e Mach, così da evidenziare le eventuali somiglianze e differenze tra le loro idee e, per ciò stesso, le condizioni e i limiti dell’impiego del termine “empiriocriticismo” come etichetta comune. 2. Prima di addentrarci nel contenuto delle loro filosofie sarà bene però fissare alcuni dati di carattere storico sull’origine del termine “empiriocriticismo”, nonché sui rapporti personali tra Mach e Avenarius. Il primo a nascere fu l’aggettivo “empiriocritico”, chiaro esempio di quei tanti neologismi impiegati da Avenarius nelle sue opere di cui or ora dicevamo. Fu solo in un secondo momento, durante uno degli incontri colloquiali tra Avenarius e i suoi allievi, che si scelse di adoperare il sostantivo corrispondente – “empiriocriticismo” – per indicare l’indirizzo filosofico inaugurato da Avenarius e sostenuto dai suoi seguaci2. Per quel che riguarda i rapporti personali tra Mach e Avenarius bisogna invece rilevare come essi rimasero sempre su un piano esclusivamente epistolare3. In particolare il primo scambio di lettere risale al 1882, quando i due si inviarono a vicenda le loro opere già pubblicate, ovvero Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung der Arbeit (1872) di Mach, e Philosophie als Denken der Welt gemäss dem Princip des kleinsten Kraftmasses: Prolegomena zu einer Kritik der reinen Erfahrung (1876) di Avenarius. In entrambi gli scritti si sostiene quella concezione economica della conoscenza che è tradizionalmente considerata uno dei tratti distintivi dell’empiriocriticismo. Difatti nel suo testo Mach afferma che «se tutti i fatti individuali, tutti i singoli fenomeni fossero immediatamente accessibili una scienza non sarebbe mai nata», ma «poiché la forza di comprensione [Fassungskraft] del singolo, la sua memoria, è limitata, allora il materiale deve essere organizzato»4; similmente, Avenarius dichiara che, «dal momento che l’energia a disposizione dell’anima per sviluppare le rappresentazioni non è infinita, ci aspettiamo che l’anima si sforzi di eseguire i processi appercettivi con un impiego di forza relativamente minimo»5. Dunque tanto Mach quanto Avenarius ritengono che il sapere umano – e più in particolare la scienza – sia mosso dal contrasto tra la limitata capacità di 2 F. Carstanjen, Der Empiriokritizismus: zugleich eine Erwiderung auf W. Wundts Aufsätze “Über naiven und kritischen Realismus”, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie», XXII (1898), pp. 45-95, pp. 190-214, pp. 267-293, p. 54. 3 Stesso Mach in una delle sue opere sottolinea di non aver mai conosciuto il collega di persona (cfr. E. Mach, Die Analyse der Empfindungen, cit., p. 37; tr. it. cit., p. 72. 4 E. Mach, Die Geschichte und die Wurzel des Satzes von der Erhaltung der Arbeit, Prag, 1872, p. 31. 5 R. Avenarius, Philosophie als Denken der Welt gemäss dem Princip des kleinsten Kraftmasses: Prolegomena zu einer Kritik der reinen Erfahrung, Leipzig, 1876, p. 3. Per un riesame dell’empiriocriticismo 311 tenere a mente i fatti da un lato, e la quantità di fatti da tenere a mente dall’altro, contrasto che induce a cercare di comprendere, riassumere e organizzare quanti più fatti possibile nel modo meno dispendioso possibile. Considerando ciò, non stupisce che dopo lo scambio di opere i due pensatori si felicitassero della scoperta di questa convergenza di opinioni. Nella sua risposta a Mach, Avenarius – pur non mancando di sottolineare di essere venuto a conoscenza dell’opera del collega «solo dopo la composizione e pubblicazione del mio libretto» – esprime la sua felicità nel notare che «un approccio simile ha portato, sotto diversi aspetti, a concezioni simili»6. Mach, invece, dichiara pubblicamente la sua affinità con Avenarius in Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt (1883), affermando: «Oggi non sono più il solo a sostenere la mia idea fondamentale che la scienza sia essenzialmente una economia di pensiero […]. Infatti concetti molto simili ha trattato, a suo modo, R. Avenarius, e con ciò mi ha procurato molta soddisfazione»7. Qualche anno più tardi Mach torna a esprimersi più diffusamente sulla sua affinità con Avenarius in un capitolo di Die Analyse der Empfindungen (1900), intitolato appunto “I miei rapporti con Richard Avenarius”. Ancora una volta Mach segnala l’economia di pensiero come uno dei temi su cui le loro posizioni convergono, ma ora aggiunge anche altri due punti in comune: il fatto che «in conformità con lo stimolo dato da Darwin, interpretiamo tutta la vita psichica, inclusa la scienza, come un fenomeno biologico» e, soprattutto, «la concezione del rapporto tra l’ambito fisico e quello psichico», ovvero l’idea che se si parte dall’unità dell’esperienza non c’è contrapposizione tra sfera mentale e materiale8. Considerando quanto detto finora la situazione sembra piuttosto semplice, in quanto l’“empiriocriticismo” appare caratterizzato da tre temi: la concezione economica della conoscenza, l’interpretazione biologica del pensiero umano, e il monismo dell’esperienza in opposizione al dualismo psico-fisico. Se però ci fermiamo a questa affinità superficiale rischiamo di non vedere come questa intersezione tra Mach e Avenarius nasca da due traiettorie differenti. E se non si considerano queste traiettorie differenti si ricade nel vecchio errore di sovrapporre Mach ad Avenarius. 3. Rivolgendo l’attenzione al percorso intellettuale compiuto da Avenarius possiamo subito notare una peculiarità, ovvero il fatto che la sua carriera è divisa in due fasi, separate da una assenza quasi decennale dalle pubblicazioni. Dopo aver dato alle stampe l’opera precedentemente citata e alcuni articoli tra il 1876 e il 1879, Avenarius torna infatti sulla scena filosofica solo nel 1888, quando esce il 6 Lettera di Avenarius a Mach del 10 giugno 1882, pubblicata in J. Thiele (a cura di), Briefe deutscher Philosophen an Ernst Mach, in «Synthese», XVIII (1968), p. 287. 7 E. Mach, Die Mechanik in ihrer Entwicklung historisch-kritisch dargestellt, Leipzig, 1883, pp. VI-VII; tr. it. a cura di A. D’Elia, La meccanica nel suo sviluppo storico-critico, Torino, 2008, p. 28. 8 E. Mach, Die Analyse der Empfindungen, cit., p. 37; tr. it. cit., p. 72. 312 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 primo volume della Kritik der reinen Erfahrung, cui seguono nel giro di pochi anni il secondo volume (1890), il breve Der menschliche Weltbegriff (1891) e la serie di articoli Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie (1894-1895). Da una lettura di queste ultime opere salta immediatamente all’occhio la completa scomparsa del tema del “minor dispendio di forza” dalle problematiche affrontate da Avenarius, tema che era invece il focus del primo libro. Questo significa che la questione dell’economia di pensiero non fa parte del pensiero maturo di Avenarius. Questa constatazione introduce sin d’ora un elemento problematico nella suddetta definizione dell’“empiriocriticismo”, spingendoci inoltre a domandare quale sia, allora, il contenuto di questa seconda fase della filosofia di Avenarius. Per rispondere a questa domanda il miglior punto di partenza è il brano del Weltbegriff, in cui Avenarius scrive: Credo di poter affermare, sulla base di osservazioni personali, che c’è un’intera schiera di fautori dell’idealismo filosofico, formatisi sulle scienze naturali, che vivrebbero con sollievo la restituzione del loro precedente ‘realismo’, e che lascerebbero con gioia che ciò accadesse, se solo sapessero come poter sfuggire dall’‘idealismo’ con la coscienza pulita – da un punto di vista logico. Ma per loro è un fatto ineliminabile che, non appena si riflette sulle cose, si giunge allo schema di causa ed effetto, per cui le cose sono la causa e le ‘sensazioni’ = ‘percezioni’ = ‘fenomeni di coscienza’ sono l’effetto; questi effetti sono valori ‘idealistici’ e questi valori ‘idealistici’ sono ‘ciò che è immediatamente dato’, e quindi – conseguentemente – ‘l’unica cosa che è data’, a partire dalla quale si potrebbe forse ‘dedurre’ ‘ciò che si trova fuori dalla coscienza’, stante che ogni ‘dedotto’ dovrebbe nuovamente essere soltanto ‘nella nostra coscienza’9. Come si può notare, Avenarius parla di “idealismo” per indicare la concezione secondo cui avremmo a che fare sempre e solo con i nostri contenuti di coscienza, ovvero quello che potremmo chiamare, più precisamente, “fenomenismo”. Da quanto affermato nella citazione si evince che per Avenarius il fenomenismo, sotto un certo aspetto, ha ragione, in quanto, se non vogliamo “sporcarci la coscienza” (ovvero commettere un peccato contro la logica), non possiamo negare di avere a che fare sempre e solo con le nostre esperienze. E in effetti, sebbene Avenarius parli genericamente di “fautori dell’idealismo filosofico”, è in primo luogo a se stesso che si sta riferendo. Come ricorda nell’Introduzione dell’opera, all’inizio del suo percorso filosofico egli aveva infatti adottato proprio un punto di vista “idealistico” (fenomenistico), per poi allontanarsene successivamente10. Come scrive: Quel che allora mi portò a chiedermi se la “vecchia strada” fosse anche quella giusta fu la convinzione, divenuta ormai insopprimibile, dell’infruttuosità dell’idea9 R. Avenarius, Der menschliche Weltbegriff, Leipzig, 1891, pp. 108-110; tr. it. a cura di C. Russo Krauss, Il concetto umano di mondo, Brescia, 2015, p. 225. 10 Cfr. ibid., p. IX; tr. it. cit., p. 53. Per un riesame dell’empiriocriticismo 313 lismo filosofico-teoretico […] nel campo della psicologia, alla quale la conoscenza e l’esperienza dovevano pur appartenere come concetti in primo luogo psicologici. In effetti la trattazione di questi “fatti della coscienza” appariva molto più fruttuosa se si fosse potuto muovere, con buon diritto gnoseologico, dal campo delle relazioni tra l’ambiente e l’organo nervoso centrale dell’uomo, e di là “partire”! Ma l’accesso a questo campo è bloccato dalla scoperta idealistica della “immediata datità della coscienza”11. In altre parole Avenarius racconta di come egli fosse diviso dal riconoscimento di due fatti contrastanti: quello che potremmo chiamare “il fatto della psicologia”, per cui esperienza e conoscenza dipendono dal rapporto tra ambiente e cervello; e “il fatto dell’idealismo” (o del fenomenismo), in base al quale l’esperienza e la conoscenza sono necessariamente il punto di partenza di ogni indagine, in quanto sono ciò che è dato immediatamente. Dunque il fenomenismo e la psicologia risultano in conflitto tra loro perché il primo afferma che l’esperienza è qualcosa di originario, di immediato, laddove invece la psicologia sostiene che l’esperienza è il risultato dell’interazione tra il cervello e l’ambiente. Il problema di Avenarius è dunque l’impossibilità da parte del fenomenismo di rendere contro dell’altro fatto, per cui oltre, prima e al di là dell’esperienza ci sono un ambiente e un cervello da cui l’esperienza stessa dipende. Per questo motivo lo scopo fondamentale della filosofia di Avenarius nella seconda fase della sua carriera è risolvere questa contraddizione, conciliando il monismo fenomenistico, proprio in particolare della filosofia, con il dualismo realistico che caratterizza invece il pensiero comune, le scienze e in particolare la psicologia. Il problema che muove Mach è invece del tutto diverso, potremmo dire quasi opposto. Egli lotta infatti contro le pretese della fisica meccanica, la quale ritiene di essere l’unica vera scienza perché sola, tra tutte, ad essere in grado di scoprire la vera realtà materiale al di là dell’apparenza dell’esperienza sensibile. In altre parole, Mach vuole sconfiggere il realismo dualistico-metafisico secondo cui gli oggetti di cui tratta la fisica indicherebbero una supposta effettività, contrapposta e sottostante al mero apparire fenomenico. Per questo motivo Mach vede il fenomenismo come una soluzione. Perché se abbiamo a che fare sempre e solo con le esperienze, allora non c’è più alcuna contrapposizione tra la fisica e le altre scienze, in quanto tutte hanno a che fare con un’unica realtà, quella empirica, i cui dati sono chiamate a organizzare secondo criteri economici. Viceversa, per Avenarius il fenomenismo non è tanto la soluzione, quanto il problema. Perché – come sosteneva nella citazione precedente – il suo scopo è superare l’idealismo dell’immediata datità della coscienza per riconquistare la capacità di affermare “realisticamente”, come fa la psicologia, che la coscienza dipende da corpi (ambiente e cervello) esterni ad essa. Dal momento però che la psicologia parte direttamente dalla dipendenza tra coscienza, ambiente e cervello, 11 Ibid., pp. IX-X; tr. it. cit., pp. 53-54. 314 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 senza passare prima per l’unico punto di partenza logicamente legittimo, quello dell’immediata datità della coscienza, essa non risulta (ancora) giustificata da un punto di vista filosofico-gnoseologico. Quel che bisogna fare è quindi arrivare al realismo della psicologia partendo dalla prospettiva fenomenista. Se si parte dal punto di partenza fenomenistico, che è il nostro orizzonte primario e fondamentale, secondo Avenarius dobbiamo riconoscere che l’esperienza presenta due contenuti fondamentali: «io, con tutti i miei pensieri e sentimenti» e «l’ambiente»12. Poiché entrambi questi contenuti fanno parte dell’esperienza, questa concezione non implica affatto quel tipo di contrapposizione per cui da un lato v’è l’ambiente come “mondo esterno” e dall’altro pensieri e sentimenti come “esperienza interna”. Ambiente, io, pensieri, sentimenti fanno tutti parte dell’esperienza, e al di fuori di questa non c’è nulla, perché qualunque cosa, per darsi, deve darsi empiricamente. Ovviamente può esservi una differenza tra un oggetto dell’ambiente e il pensiero o il ricordo dell’oggetto. Ma tanto l’oggetto, quanto il suo pensiero o ricordo sono comunque parte dell’esperienza. In questo senso Avenarius afferma che nell’esperienza c’è una «dualità», ma nessun «dualismo»13. Come non c’è alcun “mondo esterno” al di là dell’esperienza, così non può esservi nemmeno un “cervello esterno”, da cui tale esperienza dipenda, perché anche questo cervello potrebbe darsi solo se fosse esperito, se ricadesse anch’esso all’interno dell’esperienza. Naturalmente si potrebbe obiettare che è ben possibile fare esperienza del cervello. E lo stesso Avenarius ammette la possibilità di osservare il proprio cervello attraverso un’apertura del cranio e uno specchio14 (o, traducendo il discorso in termini più attuali, tramite una tomografia computerizzata). Tuttavia, anche se in questo caso il mio cervello fa parte della mia esperienza, non posso comunque affermare che la mia esperienza dipende da esso, perché così facendo incorrerei in due problemi logici: 1) il fatto che la totalità dell’esperienza dipenderebbe da una sua parte; 2) il fatto che il cervello, proprio in quanto esperienza, dipenderebbe anch’esso dal cervello, risultando così una sorta di esperienza che è causa di se stessa. Dunque, come affermava in precedenza Avenarius, partendo dalla pur legittima prospettiva fenomenistica sembra impossibile poter affermare che l’esperienza dipende dal cervello, sia esso fuori o dentro l’esperienza. Per evitare questo cul de sac bisogna quindi fare un passo avanti. Ovvero riconoscere che nella mia esperienza non ci siamo solo io e l’ambiente, perché di questo ambiente fanno parte anche altre persone, i miei simili, i quali – proprio in quanto simili a me – sono anche loro dotati di un’esperienza. Il punto da chiarire, però, è proprio in che modo possa darsi tale esperienza del mio prossimo. Appare infatti evidente che l’esperienza dell’altro uomo non è parte della 12 13 14 R. Avenarius, Der menschliche Weltbegriff, cit., p. 4; tr. it. cit., p. 81. Cfr. ibid., pp. 11, 13, 56, 64; tr. it. cit., pp. 89, 93, 145, 158. Cfr. ibid., p. 20; tr. it. cit., p. 101. Per un riesame dell’empiriocriticismo 315 mia esperienza, appunto in quanto appartiene all’altro e non viene esperita da me (altrimenti sarebbe la mia esperienza). Ma se l’esperienza altrui non è parte della mia esperienza, allora dov’è? Solitamente si risponde a questa domanda collocando l’esperienza del prossimo dentro di lui. Ovvero affermando che noi non percepiamo l’esperienza dell’altro uomo perché questa è nascosta al suo interno, nella sua sfera interiore. Ed è così che secondo Avenarius nasce il concetto di “interiorità”, precisamente in risposta al problema delle esperienze altrui. Infatti in origine, rispetto a me stesso, io non sento le mie esperienze come qualcosa di “interno”. È solo dopo aver iniziato ad attribuire agli altri un’interiorità che inizio a considerare anche me stesso in questo modo, abituandomi a trattare pure i miei vissuti d’esperienza come un qualcosa che accade dentro di me. Questo processo – definito da Avenarius “introiezione” – sarebbe la radice nascosta di tutti i principali problemi della filosofia, perché per causa sua l’esperienza non coincide più con l’intero orizzonte del reale, ma corrisponde a quel che è dentro di noi, così che la realtà si trova spezzata tra il mondo esterno e il mondo interno, tra res cogitans e res extensa, tra il soggetto e l’oggetto, tra la “vera realtà” e la sua rappresentazione. Per superare il fenomenismo – conciliando i due fatti che l’esperienza dipende dall’interazione tra il cervello e gli oggetti del mondo, e che non possiamo procedere al di là dell’esperienza verso la realtà esteriore dove questo cervello e questi oggetti dovrebbero risiedere – bisogna dunque evitare la trappola dell’introiezione, dal momento che l’idea di un “mondo esterno” e quella di un “mondo interno” sono soltanto due facce della stessa medaglia. Ma come possiamo sfuggire all’introiezione? In precedenza abbiamo visto come l’introiezione fosse la risposta alla domanda “dov’è l’esperienza del mio prossimo?”. Ebbene, per Avenarius è possibile anche un’altra risposta a questa domanda. Infatti – a ben vedere – non è vero che i vissuti degli altri uomini non possono darsi nella nostra esperienza, in quanto essi sono comunicabili sotto forma di «asserzioni» (dove il termine è inteso in senso lato, come significatività delle espressioni verbali e corporee altrui). Il linguaggio è dunque il modo in cui l’esperienza dell’altro può darsi all’interno della mia esperienza. Ed è proprio in questa possibilità che Avenarius ritiene di poter trovare la via d’uscita per superare il fenomenismo senza ricadere nel dualismo di mondo esterno ed esperienza interna. Infatti delle esperienze del mio prossimo io posso dire che dipendono dall’interazione tra cervello e ambiente, senza per questo andare al di là dell’esperienza. Quando affermo che l’esperienza “albero” del mio prossimo dipende dal suo cervello e dall’oggetto-albero, nessuno di questi elementi si trova nel metafisico e non empirico “mondo esterno”, dal momento che tutti e tre questi contenuti sono comunque parte dell’esperienza, ovvero della mia esperienza. Ricorrendo all’esperienza altrui è quindi possibile risolvere il contrasto tra l’idealismo o fenomenismo della filosofia e il realismo della psicologia, perché 316 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 l’affermazione che l’esperienza è qualcosa di primario e immediato non è più in contraddizione con l’affermazione secondo cui l’esperienza è il risultato del rapporto tra cervello e ambiente. Adesso è infatti chiaro che solo la mia esperienza è qualcosa di primario e immediato, mentre è l’esperienza del mio prossimo, comunicatami tramite il linguaggio, a dipendere dall’interazione tra il suo sistema nervoso e gli oggetti del mondo. In altre parole, il conflitto tra il fenomenismo della filosofia e il realismo della psicologia viene risolto da Avenarius riconducendolo a due differenti punti di vista: il fenomenismo corrisponde al mio punto di vista – per così dire – “in prima persona”, che Avenarius definisce «prospettiva assoluta»; mentre il realismo della psicologia corrisponde al punto di vista – per così dire – “in terza persona”, indicato invece con il termine «prospettiva relativa»15. Ovviamente viene subito da domandarsi se per Avenarius sia lecito affermare che anche le mie esperienze dipendono dal mio cervello e dall’ambiente. E in effetti ciò è possibile, ma appunto cambiando prospettiva, considerando me stesso come se fossi un altro, mettendomi al suo posto: Nell’istante in cui un altro uomo vuole comprendere un “trovato da se stesso” come correlato dipendente del suo stesso “cervello”, egli stesso si deve osservare dalla “prospettiva relativa”, come la abbiamo chiamata. Ma poiché egli non può porsi da un punto di vista al di fuori di quello suo proprio, allora in quella “autoosservazione” egli è in grado soltanto di imitare l’“osservazione degli altri individui”16. Bisogna comunque sottolineare che questo gioco tra le due prospettive non va interpretato come una sorta di trucchetto filosofico escogitato da Avenarius per evitare la contraddizione tra fenomenismo e realismo. Difatti, a ben vedere, bisogna ammettere che in un certo senso è vero che io non posso in alcun modo esperire la dipendenza delle mie esperienze dal mio cervello e dall’ambiente. Non foss’altro che per il fatto che nella mia esperienza l’oggetto che è parte dell’ambiente e il mio vissuto di esso coincidono, così da rendere assurda l’idea stessa di una dipendenza di un termine dall’altro. Quel che io esperisco è piuttosto la dipendenza delle esperienze del mio prossimo dal suo cervello e dall’ambiente, in quanto questi tre termini sono concretamente, empiricamente distinti: sono tre diversi contenuti della mia esperienza. Come scrive Avenarius: In favore del riferirsi all’altro uomo c’è inoltre il fatto che le determinazioni analitiche dell’individuo umano io le ho effettivamente tratte dagli altri individui: ciò che “conosco” della costituzione interna del mio corpo, della mia muscolatura – compresi i suoi vasi –, dei vasi stessi, del sangue e del nutrimento, dei nervi e infine del sistema C, lo “conosco” in misura nettamente predominante solo attraverso l’analisi del corpo altrui, che poi trasferisco al mio solo in un secondo momento17. 15 16 17 Cfr. ibid., pp. 15 sgg.; tr. it. cit., pp. 95 sgg. Cfr. ibid., pp. 89-90; tr. it. cit., p. 192. Cfr. ibid., p. 22; tr. it. cit., p. 106. I corsivi sono miei. Per un riesame dell’empiriocriticismo 317 4. Dopo aver presentato gli aspetti salienti della filosofia di Avenarius, possiamo ora tornare a Mach, così da mostrare le affinità e le differenze tra le loro idee. All’inizio abbiamo visto come lo stesso Mach indicasse tra i punti di contatto con il collega il modo di intendere il rapporto tra fisico e psichico. Infatti, entrando nel dettaglio, entrambe i pensatori propongono una nuova definizione di psicologia, basata non più sulla delimitazione di uno specifico oggetto di indagine (per cui essa sarebbe la scienza che si occupa dello psichico, dell’interiorità), quanto sull’indicazione del punto di vista da cui essa considera l’esperienza. È chiaro, infatti, che se non esiste una contrapposizione tra la sfera di ciò che è “esterno” e quella di ciò che è “interno”, perché c’è un unico orizzonte di riferimento – l’esperienza –, allora la psicologia non può caratterizzarsi per l’ambito di realtà che indaga, ma solo per il modo in cui tratta quell’unica esperienza che è l’oggetto di studio comune a tutte le scienze. In particolare, secondo Mach e Avenarius, la psicologia considera l’esperienza secondo il punto di vista della sua dipendenza dall’individuo. Come scrive Mach in un noto passo de L’analisi delle sensazioni: Il grande distacco tra ricerca fisica e psicologica sussiste solo per il punto di vista usuale e stereotipato. Un colore è un oggetto fisico fintanto che prestiamo attenzione alla sua dipendenza dalla fonte luminosa. Se rivolgiamo l’attenzione alla sua dipendenza dalla retina esso è un oggetto psicologico, una sensazione. Non è l’oggetto, bensì l’orientamento della ricerca ad essere diverso nei due ambiti18. Analogamente, in Avenarius leggiamo che: […] persino “l’albero di fronte a noi”, il “movimento delle foglie” o il “movimento del mondo corporeo in generale” possano diventare oggetti della psicologia: ovvero nella misura in cui li possiamo pensare in relazione con l’individuo asserente, e in qualche modo come (logicamente) dipendenti dalle caratteristiche di questo individuo19. Sebbene le due concezioni di primo acchito sembrino praticamente coincidenti, se si entra più nel dettaglio è possibile accorgersi delle differenze. Mach sostiene che un dato complesso di sensazioni ABC… che di solito consideriamo essere un corpo fisico (supponiamo sia un albero) di per sé non è qualcosa né di fisico né di psichico, ma diventa o l’uno o l’altro a seconda che se ne indaghino le connessioni con altri complessi di sensazioni simili (ad esempio se studiamo i processi di fotosintesi dipendenti dal sole), oppure la sua dipendenza da quel complesso di sensazioni KLM… che è l’organismo umano (per esempio se consideriamo il fatto che all’occhio le foglie appaiono verdi)20. 18 E. Mach, Die Analyse der Empfindungen, cit., p. 13; tr. it. cit., p. 48. Traduzione modificata. R. Avenarius, Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie, in «Vierteljahrsschrift für Wissenschaftliche Philosophie», XVIII (1894), pp. 137-161, pp. 400-420; XIX (1895), pp. 1-18; pp. 129-145, XIX, p. 2. 20 Cfr. E. Mach, Die Analyse der Empfindungen, cit., pp. 11 sgg.; tr. it. cit., p. 46 sgg. 19 318 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 Anche Avenarius sostiene che l’albero di per sé non è né fisico né psichico, ma diviene oggetto della psicologia solo quando lo osserviamo nella sua dipendenza dall’individuo, il punto però è che per poter mettere in relazione l’albero e l’organismo dell’uomo dobbiamo passare dal punto di vista in prima persona a quello in terza persona. È questo il “punto di vista” che caratterizza la psicologia, non tanto e non solo “la dipendenza dall’individuo”, ma in primo luogo “la prospettiva relativa” che è l’unica a consentirci di parlare di quella dipendenza. Sebbene la differenza possa apparire sottile, per notare come questa vada a modificare in profondità i sistemi elaborati dai due pensatori basti osservare come questi si comportano di fronte alla domanda “Chi esperisce l’esperienza?”. In particolare Mach sostiene che: […] se chiediamo chi ha questo complesso di sensazioni? Chi lo esperisce? Allora sottostiamo alla vecchia abitudine di voler ricondurre ogni elemento (ogni sensazione) a un complesso non analizzato, ricadendo così inavvertitamente in un vecchio, inferiore e limitato modo di vedere21. Sebbene Mach con queste parole voglia polemizzare principalmente contro il concetto filosofico di “soggetto” – che viene rifiutato anche da Avenarius – ciò non toglie che la sua concezione non è in grado di rispondere in modo soddisfacente alla domanda su chi ha le sensazioni, e così è costretto a rifiutarla in toto. Infatti dalla prospettiva di Mach le uniche connessioni possibili sono quelle che sussistono tra le sensazioni, così che è impossibile domandare da cosa dipendono le sensazioni nel complesso (o, il che è lo stesso, da cosa dipendono le sensazioni in quanto sensazioni ) se con ciò si cerca qualcosa che non sia a sua volta un complesso di sensazioni. Ma poiché per Mach l’unico modo legittimo di pensare la dipendenza delle esperienze dal corpo è quello di una relazione tra i complessi di sensazioni esperiti e il corpo dell’uomo in quanto è anch’esso un complesso di sensazioni, egli non è in grado di evitare i due assurdi logici che avevamo discusso in precedenza parlando di Avenarius, in quanto Mach non spiega né come possa la totalità delle sensazioni dipendere da un corpo umano che, in quanto complesso di sensazioni, è necessariamente una parte di quella totalità; né in che modo il complesso di sensazioni che costituisce il corpo umano possa dipendere da se stesso nel suo essere esperito. Invece, come abbiamo visto, Avenarius risolve questo problema grazie alla distinzione tra le due prospettive, per cui è possibile tanto affermare che le uniche connessioni legittime sono quelle che sussistono tra le esperienze (le mie), quanto affermare senza timore di cadere in paradossi che la totalità dell’esperienza e i vissuti che costituiscono il corpo (intesi come quelli dell’altro, comunicatimi tramite asserzioni) dipendono dal corpo (ovviamente sempre quello altrui). In altre parole, anche se le concezioni di Mach e Avenarius sembrano simili, è evidente che Mach si muove ancora all’interno di un sistema di pensiero 21 Ibid., p. 17; tr. it. cit., p. 48. Per un riesame dell’empiriocriticismo 319 integralmente fenomenistico, con tutti i problemi che questo comporta, mentre Avenarius è andato al di là del fenomenismo. Ma dal confronto tra le concezioni di Mach e Avenarius si evince anche qualcos’altro. Mach, infatti, distingue il modo in cui i complessi di sensazioni vengono considerati dalla fisica dal modo in cui essi sono trattati nelle indagini psicologiche. Avenarius, al contrario, chiarisce ciò che caratterizza il punto di vista della psicologia, ma non propone una teoria altrettanto compiuta per spiegare quand’è che un’esperienza diviene oggetto della fisica. Non a caso proprio su questo punto si divisero gli autori influenzati dalla definizione avenariusiana della psicologia, tra chi – come Oswald Külpe – riteneva implicito il passaggio successivo, secondo cui oggetto della fisica sono le esperienze in quando indipendenti dal corpo22, e chi – come Edward B. Titchener – sosteneva che fosse più corretto affermare che la fisica si occupa dell’esperienza «considerata come interdipendente »23. Ad ogni modo, quel che ci interessa è come questa relativa “disattenzione” di Avenarius vada a confermare quanto abbiamo affermato in precedenza circa i diversi interessi di fondo di Mach e Avenarius. In quanto filosofo, Avenarius è interessato principalmente a risolvere la contrapposizione tra l’approccio idealistico-fenomenistico dell’immediata datità della coscienza, il quale costituisce il necessario punto di partenza della filosofia della conoscenza, e l’approccio realistico-dualista della psicologia della conoscenza, che prende invece le mosse dalla dipendenza della coscienza dal sostrato fisiologico. Data la sua formazione come fisico e studioso di psicofisiologia, e come rivela in modo lampante la citazione precedente, Mach vuole invece colmare “il grande distacco tra ricerca fisica e psicologica”. La differenza tra i punti di partenza dei due pensatori chiarisce anche perché Avenarius ritenesse fondamentale combattere contro l’introiezione, laddove Mach in Die Analyse der Empfindungen afferma di voler lottare piuttosto contro l’extraiezione. Infatti agli occhi di Avenarius il problema da affrontare è l’idea che siamo confinati entro noi stessi, nelle nostre esperienze, nel nostro cervello, senza poter mai afferrare ciò che c’è al di fuori; di contro il nemico principale di Mach è l’opposta tendenza della fisica a voler considerare i suoi oggetti come esistenti in una presunta realtà esterna al di là dell’apparenza dell’esperienza. Dunque, riassumendo, sebbene tanto Mach quanto Avenarius sostengono che il “fisico” e lo “psichico” non corrispondono a una divisione originaria, sostanzia22 Cfr. O. Külpe, Einleitung in die Philosophie, II ed. cit., p. 66. E. B. Titchener, Systematic Psychology: Prolegomena, New York, 1929, p. 142. Il corsivo è mio. Nel volume Titchener non manca di evidenziare come Avenarius avesse lasciato la questione dell’oggetto delle scienze naturali relativamente aperta: «Poiché non c’è dubbio che Avenarius, nel definire la psicologia, intendesse delimitare questa scienza empirica rispetto alle altre scienze empiriche, e allo stesso tempo rispetto alla filosofia, dobbiamo supporre che egli ritenesse la definizione complementare di scienza naturale come autoevidente» (ibid., p. 118). Per un approfondimento sulla recezione della definizione avenariusiana di psicologia in Külpe, Titchener e altri autori del periodo rimando al mio volume Con Wundt, oltre Wundt. Richard Avenarius e il dibattito sulla psicologia scientifica tra Otto e Novecento, Soveria Mannelli, 2016, in particolare pp. 67 sgg. 23 320 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 le, ma sono solo due modi di considerare quell’esperienza che è l’unico piano di realtà, le loro concezioni presentano comunque alcune differenze apparentemente minori, ma in realtà profondamente significative. Differenze che discendono dai distinti e per certi versi opposti punti di partenza dei due autori: in quanto Avenarius parte da una prospettiva fenomenistica, sentendo quindi la necessità di andare di là da essa per riconciliarla con il realismo ingenuo delle scienze naturali e della psicologia, mentre Mach parte dal realismo metafisico della fisica, che intende superare approdando a una concezione fenomenistica. 5. Dopo aver affrontato i primi due dei tre punti in comune con Avenarius evidenziati da Mach24, e dopo aver mostrato come sia quanto meno problematico identificare le loro posizioni sui temi dell’economia di pensiero e del rapporto tra fisico e psichico, possiamo passare all’ultimo punto: la concezione biologica della conoscenza. Non v’è dubbio che entrambi i pensatori fanno proprio il principio secondo cui l’uomo è un organismo biologico, il cui intero comportamento è interpretabile in base a meccanismi fisiologici e alla relativa spinta all’autoconservazione, che lo porta ad adattarsi all’ambiente in cui vive. Tuttavia nell’applicare questo principio Avenarius si concentra di più sull’adattamento del cervello agli stimoli ambientali, mentre Mach rivolge la sua attenzione più in generale all’adattamento dell’individuo. Per Avenarius l’adattamento biologico è alla base dell’evoluzione della conoscenza perché quest’ultima si fonda sull’evoluzione del cervello, il quale modifica le proprie funzioni, e finanche la propria costituzione fisiologica, sviluppando e consolidando le risposte neurologiche agli stimoli esterni. Per Mach, invece, l’adattamento è fondamentale per comprendere come funzionano i nostri meccanismi conoscitivi in quanto proprio la conoscenza è uno dei principali – se non il principale – strumento in possesso dell’uomo per sopravvivere all’interno di un ambiente ostile. In altre parole, potremmo affermare che in Avenarius la concezione biologica della conoscenza prende le forme di una fisiologia del cervello, mentre in Mach essa tende più in direzione di una epistemologia di stampo pragmatista. Ad ogni modo per entrambi il legame tra conoscenza e adattamento biologico è intimamente connesso con l’importanza detenuta dalla costanza dell’esperienza, dove con ciò si intende il fatto che noi vediamo ritornare continuamente gli stessi oggetti e le stesse connessioni (seppur con delle differenze). In Avenarius la costanza è fondamentale perché sono proprio gli stimoli costanti ad imprimersi nel cervello, il quale può così sviluppare alcune risposte neurologiche standard da riutilizzare in futuro. Per Mach, invece, la costanza è fondamentale per ragioni di utilità, in quanto rivolgendo l’attenzione a ciò che è costante possiamo “restringere 24 Cfr. supra, p. 311. Per un riesame dell’empiriocriticismo 321 la nostra aspettativa”25 in conformità con ciò che accade regolarmente, riuscendo così ad anticipare gli eventi futuri senza dispendio di energie mentali. Anche sul tema della costanza dell’esperienza bisogna però evidenziare una differenza tra le concezioni di Avenarius e Mach. Quest’ultimo, infatti, si serve della costanza dell’esperienza non soltanto per spiegare secondo quali direttrici si sviluppano le nostre conoscenze, ma anche per rispondere al problema della realtà oggettiva di queste conoscenze o, meglio, per dimostrare che esso è in effetti un falso problema. Come si legge in un passo molto citato delle Populär-wissenschaftliche Vorlesungen, a detta di Mach «i corpi o le cose sono simboli intellettuali abbreviati di un gruppo di sensazioni, simboli che non hanno esistenza fuori del nostro pensiero»26. Secondo Mach non ha senso chiedere se un oggetto o una legge naturale è “reale”, se con questo termine si intende sapere se essi sono effettivamente esistenti al di là della nostra esperienza. Quel che ha senso è solo chiedere se quell’oggetto o quella legge naturale sono dei modi legittimi per organizzare le esperienze. In particolare noi ordiniamo i dati empirici in base alla costanza che essi presentano, e siamo giustificati a procedere così perché questo modo di organizzare le esperienze funziona. Dunque, invece di interrogarci sull’esistenza “reale”, “esterna” dei contenuti della nostra conoscenza – questione insolubile perché metafisica – dobbiamo accontentarci di cercare modi sempre più “economici” di organizzare i dati empirici, perché così facendo assolviamo l’unico compito legittimo che è posto al sapere umano. In questo senso possiamo dire che Mach affronta quello che potremmo chiamare “il problema epistemologico dell’oggettività”, ovvero la questione di quali siano i requisiti affinché si possa dichiarare valida una conoscenza, ma rifiuta quello che potremmo chiamare invece “il problema filosofico della realtà”, ossia la questione se le nostre esperienze si riferiscono effettivamente a qualcosa di là da esse. Difatti, dal momento che quello della costanza è un criterio interno all’esperienza, essa non può in alcun modo rispondere al secondo problema, quello della relazione tra l’esperienza e la realtà esterna. Avenarius, invece, pur concordando con Mach sul tema della costanza delle esperienze come risposta alla questione dell’organizzazione delle nostre conoscenze, non rinuncia ad affrontare anche il problema di come sia possibile l’idea di una connessione tra le esperienze e la realtà che è fuori di esse. Tale questione è infatti risolta grazie al rapporto tra il punto di vista in prima e in terza persona, ovvero grazie al passaggio dalla prospettiva assoluta a quella relativa. Tramite a quest’ultima posso infatti affermare che gli oggetti esistono effettivamente al di fuori dell’esperienza (dell’altro), perché quando osservo il mio prossimo io esperisco la differenza tra un oggetto e la sua esperienza di esso. 25 Cfr. E. Mach, Erkenntnis und Irrtum. Skizzen zur Psychologie der Forschung, Leipzig, 1905, pp. 442 sgg. 26 E. Mach, Populär-wissenschaftliche Vorlesungen, Leipzig, 1896, p. 217. 322 Archivio di Storia della Cultura – Anno XXX-2017 Ancora una volta si evince quindi come Mach si muova all’interno di un orizzonte fenomenista, con i problemi e le soluzioni che sono tipici di questa corrente di pensiero, laddove invece Avenarius parte dal fenomenismo per andare di là da esso. 6. Terminata questa breve panoramica sulle affinità e divergenze tra Mach e Avenarius possiamo trarre le nostre conclusioni in merito all’uso del termine “empiriocriticismo”. In primo luogo bisogna riconoscere che l’associazione tra Mach e Avenarius, per quanto problematica, ha avuto tanto successo nel corso del tempo, dagli anni in cui essi stessi erano ancora viventi fino ai giorni nostri, ed è stata recepita da così tanti autori, da essere ormai diventata un fatto della storia della filosofia contro cui avrebbe poco senso lottare. Ad ogni modo ciò non toglie che accostare i loro nomi non deve significare sovrapporre le loro idee. Per questo motivo, quando si usa la comune etichetta di “empiriocriticisti”, bisognerebbe sempre tenere presenti le seguenti considerazioni: 1) che la teoria economica della conoscenza non fa parte del pensiero maturo di Avenarius; 2) che lo scopo di Mach era riavvicinare fisica e psicologia, mostrando che entrambe hanno lo stesso oggetto di studio e la stessa dignità, laddove l’obiettivo di Avenarius era invece conciliare filosofia e psicologia; 3) che per tale ragione Avenarius considera il fenomenismo filosofico un punto di partenza da superare, reintegrando in esso il realismo ingenuo delle scienze e della psicologia, mentre per Mach il fenomenismo – lungi dall’essere un problema – è invece la soluzione da adottare contro il realismo metafisico della fisica, che pretende di conoscere la vera realtà oltre l’apparenza empirica. Tenendo ferme in particolare queste ultime due considerazioni, che rivelano i diversi punti di partenza da cui muovono Avenarius e Mach, possiamo quindi individuare i temi su cui le loro differenti traiettorie intellettuali finiscono per convergere, quei temi che costituiscono pertanto il contenuto positivo del termine “empiriocriticismo”: 1) l’assunto che l’esperienza è il nostro unico orizzonte di riferimento, dal momento che ogni conoscenza non può che fondarsi su ciò che esperito; 2) l’idea che l’esperienza in sé è unitaria e omogenea, non essendovi differenze tra “esperienze interne” ed “esterne”, tra la sfera del soggetto e quella dell’oggetto, del fisico e dello psichico; 3) come conseguenza del punto precedente, la concezione secondo cui “fisico” e “psichico” non indicano due ambiti della realtà contrapposti o due tipi diversi di esperienza, bensì due modi diversi di trattare le esperienze; 4) il principio secondo cui l’uomo è un organismo biologico impegnato a conservarsi nell’ambiente, così che la conoscenza deve essere compresa in quanto fondamentale funzione biologico-adattiva. In questo modo si può continuare a parlare di “empiriocriticismo” non più sulla base dell’acritico perpetuarsi di un’abitudine, che finisce per di più con il cancellare le specificità di Avenarius identificandolo de facto con Mach, bensì sulla base di uno studio del pensiero di questi due autori nella loro specificità, che ne mostri le affinità senza tacerne le differenze. Per un riesame dell’empiriocriticismo 323 A REAPPRAISAL OF EMPIRIOCRITICISM. The paper questions the assumptions that underlie the habit of considering Richard Avenarius and Ernst Mach as representatives of the same philosophical current: Empiriocriticism. The essay firstly retraces the different backgrounds, aims and intellectual trajectories of the two authors, and then indicates the various points of convergence of their thoughts. In so doing, it is possible to outline the defining topics of Empiriocriticism without the risk of overlapping the famous Mach and the lesser-known Avenarius.