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Una "lettera aperta" agli storici circa la necessità di un dibattito sull'Unità d'Italia che coinvolga il grande pubblico

Lettera aperta di un profano agli storici (quelli veri) La proposta di istituire una “giornata della memoria” per ricordare le vittime meridionali del processo di unificazione italiana ha provocato una vera e propria sollevazione negli ambienti accademici. La prima reazione è venuta dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea, con una dichiarazione in cui lamentava il mancato coinvolgimento del mondo accademico e paventava che l’iniziativa si inserisse nel filone di una lettura del momento dell’unificazione nazionale in termini di «conquista piemontese» delle regioni meridionali, di rapina delle loro ricchezze e di distruzione dei presunti primati borbonici. Alla dichiarazione della SISSCO aderivano il Coordinamento delle Società storiche e la Società Napoletana di Storia Patria, mentre dichiarazioni analoghe venivano dall’Associazione Italiana di Public History, oltre che da associazioni risorgimentaliste. Nel risentimento accademico, Gigi Di Fiore 1 intravvede un duplice “vizio di fondo”: una sorta di “chiusura di casta” rispetto al “mondo esterno” e l’effetto divisivo che ancora oggi, a 150 anni di distanza, ha la ridiscussione di un “mito condiviso” come il Risorgimento (e la Resistenza). Nella mia modesta condizione di profano, sto cercando di capire quale sia il motivo di questa posizione. Perché, rispetto alla semplice proposta di istituire una giornata in ricordo dei meridionali caduti nel corso della cosiddetta “lotta al brigantaggio” si allarga la discussione, inserendo temi che nulla hanno da vedere con la questione? Perché Angelo Massafra 2 riconosce: Si è trattato di una «guerra civile» (a tappe, ma in un contesto sostanzialmente unitario e analogo ad altri Paesi europei!), e si adonta per chi vuole ricordare i caduti che combatterono quella guerra “dalla parte dei vinti”? Perché uno storico del calibro di Paolo Macry 3 si lascia andare ad un’affermazione pericolosissima: Sarebbe bene, insomma, che anche i Cinque Stelle prendessero atto che semplicemente non esiste, al di là di sparutissime eccezioni, una storiografia antiunitaria. Non siete stati voi storici ad insegnarmi che nella storiografia non c’è mai nulla di acquisito? E perché ad opporsi alla giornata della memoria è quello stesso Paolo Macry che altrove 4 afferma: La letteratura, spesso d’ispirazione antirisorgimentale, che denuncia l’aspra repressione messa in atto dai governi liberali, non inventa nulla. Torino manda nel Mezzogiorno quasi i due terzi di tutte le sue forze armate, sostituisce prefetti e sindaci, accresce i poteri dei comandanti militari, proclama lo stato d’assedio. A decine di migliaia gli insorgenti, le loro famiglie e i presunti manutengoli vengono arrestati, uccisi in combattimento o giustiziati. Perché – dunque – opporsi al ricordo di questi “caduti”? Perché un altro storico di vaglia come Aurelio Musi 5 attribuisce ad una sorta di cupio dissolvi la decisione di revocare la cittadinanza onoraria a Cialdini? Nota Eugenio Di Rienzo 6: A chi ha scelto la professione di storico, non si può domandare di unire la sua voce al coro di … intellettuali di varie discipline che parlano del “Il prezzo pagato dal Sud non può essere più nascosto” – Il Mattino 12 agosto 2017 “Non si confonda la Storia con la politica e il gossip” – Corriere del Mezzogiorno 29 luglio 2017 3 “Revisionismo sudista dei 5 stelle” - Corriere del Mezzogiorno 6 agosto 2017 4 “Unità a Mezzogiorno: Come l'Italia ha messo assieme i pezzi” Bologna, Il Mulino, 2012 5 “Chi usa la memoria per cercare consenso” Repubblica – Napoli, 2 agosto 2017 6 “Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee” – Soveria Mannelli, Rubbettino 2012 1 2 1 Risorgimento come se fosse un avvenimento accaduto ieri, carico di valori da rispettare proprio come se fossero in perfetta sintonia con la nostra vita 7. Altrove 8 si chiede come mai altri Paesi (Come il Regno Unito, la Germania, gli Stati Uniti), abbiano potuto fare i conti con la guerra civile ed in Italia, ancora, non si riesca a farli nonostante siano trascorsi più di 150 anni. Ed è quello che mi chiedo anch’io. Perché noi no, mentre la Spagna ha potuto fare i conti con una guerra civile finita quasi settant’anni dopo il “brigantaggio”, tanto da dedicare ai caduti di ambo gli schieramenti la Abadía de la Santa Cruz del Valle de los Caídos, tanto che esistono vari giochi di strategia ispirati a quella guerra (il più diffuso è stato ideato da Arturo García)? Certo, in Francia succede di peggio. Se – infatti – dal 1972 9 è in corso un dibattito sulla figura di Napoleone III senza particolari asperità tra le diverse posizioni, un vero e proprio terremoto ha suscitato il “revisionismo” sulla Vandea, a partire da un libro del 1986 10. Il libro ha suscitato un vespaio, con particolare virulenza tra le tesi contrapposte, tanto che l’Autore ha denunciato di essere stato oggetto di minacce e di ritorsioni, ma la diffusione di esso (e dei seguenti) ha portato alla presentazione di varie proposte di legge per il riconoscimento del “genocidio vandeano”. Dobbiamo concludere che il Risorgimento (come la Resistenza) in Italia e la Grand Révolution in Francia sono Miti intoccabili perché riguardano la memoria condivisa? Dal tenore degli interventi non parrebbe così, perché parecchi degl’intervenuti contro l’iniziativa della Regione Puglia hanno chiarito: Al di là della storiografia strettamente sabaudista dei primi anni postunitari, impegnata ad attribuire una vocazione italiana ai re piemontesi, le critiche al Risorgimento furono immediate 11. Però, a ondate, si assiste ad una sorta di “reazione” ai tentativi di rilettura del Risorgimento, rispolverando una retorica degna di Cesare Maria de’ Vecchi e del libro Cuore 12. Perché? Ci ritornerò. Emerge certo una preoccupazione, che lega come un fil rouge tutti gl’interventi: che l’istituzione della Giornata sia un pretesto per un utilizzo strumentale della storia da parte della politica. È sempre stato così: come non ricordare il révirement della sinistra sul Risorgimento 13, visto che Togliatti respingeva ogni riferimento al Risorgimento in quanto “rivoluzione borghese”, affermando nel 1929: Il Risorgimento è, per il piccolo borghese italiano, come la fanfara militare per gli sfaccendati. Fascista o democratico, egli ha bisogno di sentirsela squillare agli orecchi per credersi un eroe e nel 1931 … il Risorgimento ebbe un carattere stentato, una impronta reazionaria, mancò del tutto dello slancio di altre rivoluzioni borghesi. Appunto per ciò è assurdo pensare che vi sia un Risorgimento da riprendere, da finire, da fare di nuovo, e che questo sia il compito dell’antifascismo democratico. La rivoluzione antifascista non L’A, cita stralci dell’articolo di Alberto Mario Banti “Il Risorgimento non è un mito”, in Repubblica, 16 novembre 2010. 8 “L’Europa e la «questione napoletana» 1861-1870”, Nocera Inferiore, D’Amico Editore 2016 9 Jeanne Henri-Pajot – “Napoléon III L’empereur calomnié” - Paris, Éditions Beauchesne 10 Reynald Secher – “ Le Génocide franco-français - La Vendée-Vengé” – Paris, P.U.F., in Italia apparso come “Il Genocidio Vandeano” – Proceno, Effedieffe 1989 11 Così la Presidente della Società Napoletana di Storia Patria, Renata De Lorenzo, in “Cinquestelle e neoborbonici il dovere di schierarsi”, in Repubblica 11 agosto 2017 12 cfr. Eugenio Di Rienzo, “Storici smemorati, A proposito del centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia”, in NRS, 2010, vol. II, pp. 381-406. Il concetto è ripreso dallo stesso A. in “L’Europa …”, cit. 13 Eugenio Di Rienzo – “Storici smemorati …” – cit. 7 2 potrà essere che una rivoluzione contro il Risorgimento 14 per poi cambiare idea nel 1941: Gli spiriti più illuminati del tempo del Risorgimento nazionale, gli uomini come Garibaldi e Mazzini, … proclamavano che l’indipendenza di tutti i popoli è condizione dell’indipendenza e del benessere del popolo italiano. Non d’un impero conquistato colla violenza hanno bisogno gli italiani, ma della libertà nel loro paese e su scala internazionale 15 … uso strumentale della “memoria storica” …: per il suo continuo ripresentarsi, non vedo motivo di particolare preoccupazione per questo aspetto, né comprendo le valutazioni di Francesco Barbagallo 16 circa la “ignoranza” dei politici pentastellati. Abbiamo un ministro dell’Istruzione che confonde Vittorio Amedeo III con Vittorio Emanuele III, abbiamo avuto un Ministro degli Esteri celebrato per una sua presunta o reale carriera accademica che ignorava che, fino al 1940, delle Repubbliche Baltiche annesse all’URSS, fossero tre stati indipendenti, ed andiamo a indagare sulla cultura storica degli esponenti di un partito di opposizione? Ed allora? Qual è il reale problema? Paolo Macry, nell’articolo citato supra, forse dà una chiave di lettura, in un passaggio illuminante, in cui parla di nomi fatti “a sproposito” dai “revisionisti”. E la reazione di certi personaggi al sopra citato articolo di Aurelio Musi fa chiaramente capire a quale “mondo” si riferisca Macry, accomunandolo al nome del giornalista Pino Aprile. Anche Guido Pescosolido 17 ha dei passaggi illuminanti su quale sia il problema reale: lo studioso dell’economia parla del revisionismo dei mirabolanti primati del genocidio, del saccheggio delle “immense” ricchezze del Regno delle Due Sicilie; cita passi di un libro di Pino Aprile 18 diventato in breve un best seller: il regno delle Due Sicilie era, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo dopo Inghilterra e Francia…) … Il Piemonte era pieno di debiti; il Regno delle Due Sicilie pieno di soldi … L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia … la repressione del brigantaggio provocò, su una popolazione di 9 milioni di abitanti, da almeno ventimila a un milione di morti – che è la stima accettata dall’autore. Alla luce di ciò, si comprende l’essenza della annotazione di Angelo Massafra nell’articolo già ricordato: Gli storici «accademici» rifuggono dal confronto? Non è vero: semplicemente hanno difficoltà a farlo con chi punta solo alla polemica fine a sé stessa e confonde storia, polemica politica e gossip retroattivo. Ma allora, perché non accettare il confronto con chi propone una “lettura” del Risorgimento diversa dalla vulgata senza fare di tutte le erbe un fascio? Perché non poter dire che Cialdini non ha alcun motivo per esser ricordato con gratitudine, annotando che per aver ragione di una sparuta guarnizione di zuavi ad Ancona dovette aspettare Persano che bombardasse la città inerme, che anche nella “lotta al brigantaggio”, indipendentemente dalla “discutibile” metodologia utilizzata, non ottenne grossi successi, e che – infine - il suo comportamento a Custoza sarebbe stato da punire con la pena di morte non solo per le leggi dell’epoca, ma perfino nella Repubblica Italiana fino al 1994 (art. 121, 2° comma, del codice penale militare di guerra)? È possibile dire questo senza essere accusati di cupio dissolvi? Palmiro Togliatti - La politica nel pensiero e nell'azione: Scritti e discorsi 1917-1964 a cura di Michele Ciliberto e Giuseppe Vacca, Milano Bompiani 2014 15 Articolo L’Italia nella morsa del fascismo, ora in Palmiro Togliatti, cit. 16 “Sudismo dei Cinque Stelle e politica d'avanspettacolo”, in Repubblica 8 agosto 2017 17 “Lo spirito anti nazionale grillino è tutto in una pazza idea neo-borbonica”, in Il Fatto, 13 agosto 2017 18 “Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali”, Milano, Piemme, 2010 14 3 E perché – ad esempio – non poter dire con serenità che la “questione nazionale” nel Risorgimento italiano non fu prevalente, perché a prevalere fu l’ideologia liberale 19, senza essere confusi con chi scrive “Itaglia”? E, se dico che tra i “trecento giovani e forti” di Pisacane parecchi erano “ladri usciti dalle tane” e “portaron via” ben più di “un pane”, vengo immediatamente additato come iconoclasta? E dobbiamo per forza “sposare” la tesi di Leibniz della ragione sufficiente sbeffeggiata da Voltaire con il personaggio del dr. Pangloss nel Candide e dire che l’unificazione dell’Italia avvenne “nel migliore dei modi possibili”? È sicuro che l’espansionismo del Regno di Sardegna fosse l’unico mezzo di unificazione o comunque il migliore? Infrangiamo qualche tabù se abbiamo un’idea diversa? E se dovessi dire, rifacendomi a Gioacchino Volpe 20 che uno dei grossi vizi di fondo del Risorgimento fu quello del prevalere della fazione anticattolica, cioè l’esclusione dal processo unitario di quella forza che aveva più di tutte contribuito alla formazione di una Kulturnation italiana, verrei confuso con quelli che usano gli articoli clericali di Civiltà Cattolica come “fonte storica”, magari inventandosi anche qualche articolo mai pubblicato? E, se vi dico che amo il tricolore per la Beatrice Dantesca 21 e non per la Repubblica Cispadana fantoccia dell’occupazione straniera, verrei assimilato ai sedicenti “identitari” che bruciano il tricolore? Ed anche la “nostalgia” per la dinastia borbonica, ove non ridondi nella mistificazione storica, può essere un “pericolo” per la Repubblica Italiana? Perché in Russia possono pullulare i “nostalgici” dello Zar, di quel Nicola II demonizzato dalla settantennale propaganda bolscevica, ma santificato dalla Chiesa Ortodossa 22 ed in Italia sarebbe “eretico” avere nostalgia dei Borbone (o degli Asburgo)? Ed è possibile ignorare che, se c’è gente per la quale Cialdini è tout cour un criminale di guerra, dall’altra parte c’è gente che lo eleva a grande stratega che avrebbe “debellato la piaga secolare del brigantaggio” e che dunque i meridionali dovrebbero essergli grati? È possibile ignorare che c’è ancora gente che crede davvero ai plebisciti come attuazione del “principio di autodeterminazione dei popoli”? È possibile solo vedere le “favole” raccontate dai “neoborbonici” e non vedere che c’è una “favolistica” di segno contrario? E come non rendersi conto che l’una e l’altra sono alimentate proprio dal rifiuto del confronto, come giustamente nota Luigi Musella 23 che sostiene: Sul piano degli studi è mancata una ricerca rinnovata e si è pensato che tutto fosse stato già detto. Ricordiamo che una reazione del mondo “revisionista” agli interventi accademici sul punto sono stati commentati con lo slogan Musi, Macry e Galasso hanno paura della verità 24 Ed anche nelle reazioni circa l’arte, esiste questo “strabismo”. Si lanciano strali contro Povia, si è “censurato” il film di Squitieri “Li chiamarono briganti”, perché non aderenti alla realtà storica, come se l’artista fosse obbligato al rigore filologico, e – correlativamente – ci si astiene da qualunque valutazione di rigore storico nelle 19 È stato notato da diversi storici, da ultimo: Eugenio Di Rienzo – “Il Regno …” – cit. e Gigi Di Fiore – “La Nazione Napoletana” – UTET 2015 20 “XX settembre – Italia e Papato”, discorso pronunciato a Venezia il 20 settembre 1924, pubblicato in Gioacchino Volpe, Pagine risorgimentali, II, Giovanni Volpe, Roma 1967 21 Purg. XXX, vv. 31 ss. 22 Zar Nostalghia, La Stampa 15 marzo 2017 23 “Un errore snobbare i neoborbonici” – Repubblica 20 agosto 2017 24 Curioso notare che in quel “mondo neoborbonico” Paolo Macry era tra gli autori più citati “a sproposito” … 4 opere propagandistiche legate alla “epopea risorgimentale”. Il “lettore medio” sarebbe fuorviato da Povia o Squitieri, ma può tranquillamente essere indotto a credere che la spedizione di Pisacane è correttamente descritta nella “Spigolatrice di Sapri” e che quella dei Mille si svolse come la racconta Abba? Questo “oscillare del pendolo” non è nuovo. È stato ricordato 25 come già nel Ventennio Gioacchino Volpe avesse dovuto “lottare” da un lato contro gli antirisorgimentalisti e dall’altro contro la retorica risorgimentale di Cesare Maria De Vecchi. Ma il punto è che a noi “profani” è consentito “tifare” (logicamente senza stravolgere i “fatti”), a voi storici no. L’esigenza di “neutralità” dello storico, già proclamata da Tacito 26 è una costante nelle dichiarazioni metodologiche degli storici (non sempre, in realtà, coerenti con la petizione di principio): sul punto specifico, Gioacchino Volpe, nell’ambito di un progetto per la scrittura di una Storia d’Italia a più mani 27, il 12 febbraio 1925 rimprovera a Guido De Ruggiero di non aver scritto una storia del liberalismo, ma un suo elogio. Ed in un’opera storica Non hic locus 28. E sul tema della “neutralità” dello storico, proprio Aurelio Musi 29 parlando della colonizzazione europea delle Americhe, afferma: Bisogna evitare due approcci entrambi inadeguati: quello di stampo coloniale che vuole celebrare i fasti delle potenze europee civilizzate sui «selvaggi» e su popoli cosiddetti «senza storia» e quello che vuole dare spazio solo ai vinti. Bene: se è stato possibile superare il pregiudizio circa popoli “senza storia”, senza cadere nel mito del buon selvaggio, perché non è possibile superarlo nei confronti di un Regno considerato “arretrato” senza alimentare il mito di una Borbonia Felix? Allora, si apra un confronto con gli storici, anche non professionisti, senza cadere nelle retoriche di segno opposto. Il mondo accademico ha difficoltà a confrontarsi con chi utilizza la polemica fine a sé stessa? Il problema è quello sollevato da Giuseppe Galasso in un articolo di qualche anno fa 30, secondo cui non mancano “studi seri” di cui non accetta le tesi, ma la moneta cattiva scaccia la buona? Sta a voi storici impedire che ciò avvenga: ci si apra al grande pubblico, spendete solo la moneta buona da qualunque parte venga, ed il fenomeno dei “favolisti” si spegnerà per mancanza di ossigeno per la combustione 31. Luigi Morrone Eugenio Di Rienzo – “Storia d’Italia e identità nazionale” – Firenze, Le Lettere 2006 Hist. 1.1 27 Ampiamente analizzato da Eugenio Di Rienzo – “Storia d’Italia – cit. 28 La lettera è conservata nell’Archivio Guido De Ruggiero 29 “Le vie della modernità” – Firenze, Sansoni 2000 30 «Il paradiso borbonico? È solo un’invenzione nostalgica» - Corriere del Mezzogiorno, luglio 2015 31 L’apertura al “grande pubblico” è stata auspicata da Aurelio Musi in una specie di postfazione al dibattito intorno alla “Giornata della Memoria”, apparsa su Repubblica del 27 agosto 2017 con il titolo “La ricerca storica sull'unità d'Italia”, ma dal contesto appare più un auspicio di divulgazione della vulgata che un’apertura al dibattito 25 26 5