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Profondo Sud. Un viaggio nella cultura del Dixie

Roma, Giulio perrone Editore, 2017, pp. 228.

Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 Profondo Sud. Un viaggio nella cultura del Dixie Seba Pezzani Roma, Giulio perrone Editore, 2017, pp. 228. Recensione di Marco Petrelli* Seba Pezzani, musicista, giornalista, traduttore e interprete (ha lavorato tra gli altri con Joe R. Lansdale e Jeffrey Deaver), pubblica per la collana “Passaggi di dogana” dell’editore Giulio Perrone, serie dedicata alle geografie letterarie e più ampiamente culturali, un agile e interessante saggio sugli Stati Uniti del Sud. L’idea di avvicinarsi a una cultura sottolineandone la dimensione geografico-spaziale è senza dubbio una scelta più che azzeccata per quel che riguarda il Dixie, area che dall’immaginario collegato al territorio ha storicamente tratto la propria definizione identitaria. Il saggio si snoda attraverso sette capitoli dedicati ad altrettante micro-regioni del Sud, milieux generalmente ricondotti a un’omogenea cultura meridionale ai quali Pezzani restituisce un’identità personale, anche attraverso rapide considerazioni sulla morfologia del territorio, come del resto ci si aspetta da uno sguardo che si potrebbe definire tendenzialmente ‘geopoetico.’ I capitoli in questione (“La via del tabacco,” “Sale e sangue,” “Panchine,” “Sweet Home Alabama,” “Vita sul Mississippi,” “Yellow Moon,” “Mucho Mojo”) compiono un ideale percorso sulla mappa del Sud, toccando North e South Carolina, Georgia, Alabama, Mississippi, Louisiana e Texas orientale. Il risultato è un catalogo variegato delle espressioni culturali dei luoghi trattati, comprendendo letteratura, cinema, folklore e, naturalmente, musica. La percepibile inclinazione di Pezzani verso il folk, il blues e il rock ‘n’ roll è ovviamente giustificata dal suo essere un appassionato (ed eccellente) musicista; ma ogni seria indagine del Dixie non può evitare di prendere in considerazione quella che è forse l’espressione più forte di questa regione. A riprova dell’importanza della musica popolare nella più vasta congerie culturale meridionale, si consideri come il monumentale Companion to Southern Literature, pubblicato nel 2002 a cura di Joseph M. Flora, Todd W. Taylor e Lucinda Hardwick MacKethan, annoveri “Elvis” tra i suoi lessemi. Restando nell’ambito delle ponderose opere Marco Petrelli ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in letterature di lingua inglese presso l’Università di Roma “La Sapienza” con una tesi dedicata al rapporto tra spazio e mito nei romanzi di Cormac McCarthy. Tra i suoi interessi di ricerca vi sono la letteratura e la cultura del Sud statunitense, la geocritica, il postmoderno. Ha pubblicato saggi su Cormac McCarthy e William Faulkner. * Recensioni/Reviews Issue 9 – Spring 2017 273 Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 enciclopediche dedicate alla storia, alla letteratura e alla cultura del Sud, è impossibile non menzionare come il saggio di Pezzani vanti anche l’approvazione di William Ferris, una delle massime autorità nel campo dei Southern Studies e curatore insieme a Charles Reagan Wilson della Encyclopedia of Southern Culture, forse il testo più importante del suo genere; di sicuro il più ambizioso. Per quel che riguarda l’aspetto musicale, tra nomi che compaiono in Profondo Sud troviamo artisti ormai saldamente inseriti nel canone come Randy Newman, Hank Williams, Bob Dylan e Robert Johnson, sempre colti nel momento in cui le canzoni si fanno testimoni della storia e della caleidoscopica umanità meridionale – l’autore presenta al lettore pietre miliari della musica folk americana come Sail Away di Newman, dedicata alla tratta degli schiavi, o High Water Everywhere del leggendario bluesman Charley Patton, rievocazione dell’esondazione del Mississippi del 1927 attraverso gli occhi della povera gente. Nel saggio trovano spazio anche musicisti relativamente di nicchia (per quel che riguarda il mercato italiano) come l’ottimo Grayson Capps, figlio dell’altrettanto poco noto scrittore Ronald Everett Capps. Quest’ultimo, un personaggio decisamente bizzarro le cui idiosincrasie sono raccontate da Pezzani con affettuosa ironia, è l’autore di Off Magazine Street, bel romanzo dal quale è stato tratto un (poco fortunato) film con John Travolta e Scarlett Johansson, pubblicato in Italia nel 2008 da Mattioli 1885 e tradotto dallo stesso Pezzani con il titolo Una canzone per Bobby Long. Questo continuo intreccio e dialogo tra musica, letteratura, cinema e televisione (vi trova spazio anche Stephen Colbert, caustico presentatore del Late Show) è la cifra stilistica fondamentale del saggio, che accumula citazioni e riferimenti senza curarsi di essere sistematico né esaustivo, ma fornendo piuttosto una prospettiva il più possibile inclusiva, seppur caotica, delle espressioni artistiche autenticamente Southern. Il tono colloquiale e il coinvolgimento diretto del lettore impediscono però che quest’ultimo si perda nel dedalo di nomi, date e toponimi presentato da Pezzani, avvicinando Profondo Sud a un’informale ma istruita discussione su una delle realtà più complesse e indecifrabili degli USA. Durante la presentazione del libro, Pezzani ha dichiarato di non aspettarsi che il suo lavoro interessi il lettore casuale, considerando l’opera come idealmente destinata a chi possegga perlomeno un’infarinatura di cultura meridionale. Credo invece che Profondo Sud funzioni alla perfezione soprattutto come primer, per via della sua fruibilità e grazie all’ampiezza dello sguardo adottato dall’autore. A riprova di ciò, il saggio si cura di presentare un gran numero di scrittori del Sud solitamente considerati parte di quella che viene spregiativamente definita “paraletteratura” o, meno sbrigativamente, “letteratura di genere.” Una maggiore accessibilità non è necessariamente sinonimo di qualità inferiore, e la scelta ricade comunque su autori d’indiscutibile talento, come i già citati Joe R. Lansdale e Jeffrey Deaver – scrittori che Pezzani conosce personalmente e per i quali non nasconde di provare una stima umana oltre che artistica. Tra gli altri autori menzionati in Profondo Sud si trovano Tom Franklin (suo il fortunato Crooked Letter, Crooked Letter, pubblicato in Italia da Piemme come L’avvoltoio), James Sallis (la cui opera più nota, almeno in patria, è Drive, dal quale è stato tratto il film omonimo premiato a Venezia nel 2011) e Ernest J. Gaines. Ognuna delle figure presentate da Pezzani è inserita nell’ideale percorso on the road che il libro compie, in linea con le osservazioni di Eudora Welty riguardo alla sostanziale identità di luogo e narrazione contenute in Place in Fiction, e con il concetto ubiquo di sense of place – l’idea tanto radicata quanto sfuggente che la letteratura del Sud possegga e trasmetta innanzitutto un forte senso dello spazio, con il quale si pone in un rapporto biunivoco che sfuma progressivamente i confini di opera e setting, in sostanziale accordo con le precedenti intuizioni di Welty. Non manca naturalmente una rassegna dei narratori meridionali ormai canonizzati, rappresentata dal quartetto imprescindibile di William Faulkner, Flannery O’ Connor, Carson McCullers e la già citata Eudora Welty (oltre a Harper Lee, evidentemente tra le favorite dell’autore). Riguardo alla maggiore attenzione per autori “minori” o non altrettanto attestati come quelli elencati, lo stesso Pezzani afferma: Per quanto intrigato e, talvolta, sbalordito dalla forza dei narratori del Sud, non sempre ne sono un fan, e spesso faccio persino fatica a coglierne il senso. […] Eppure è con un senso quasi trascendentale che mi accosto immancabilmente alla loro prosa, cosciente che tra le righe […] si celi buona parte della magia del Sud, l’idea stessa dello scorrere quotidiano della vita, della sua routine implacabile. (68) Recensioni/Reviews Issue 9 – Spring 2017 274 Iperstoria – Testi Letterature Linguaggi www.iperstoria.it Rivista semestrale ISSN 2281-4582 Che si condividano o meno i gusti dell’autore, è interessante notare come la menzione della “routine implacabile” della vita apra a quello che è forse il tema-madre della letteratura meridionale: il lavorio inarrestabile dei giorni che, con il suo inevitabile apporto di decadenza e oblio, si contrappone all’immagine cristallizzata e astorica (Lewis P. Simpson la definirebbe “gnostica”) con la quale l’autorappresentazione del Sud si è progressivamente identificata, soprattutto a seguito della resa di Appomattox. Questo atteggiamento nei confronti della Storia, che si traduce politicamente in un conservatorismo cieco istintivamente associabile alle comunità che abitano al di sotto della linea Mason-Dixon, continua a riproporsi con modalità magari diverse, ma conservando la stessa dinamica di rifiuto della modernità, che è inevitabilmente rifiuto del diverso, di ciò che non è incasellabile all’interno di nomenclature ormai fermamente depositate nell’immaginario collettivo. Il fatto che Profondo Sud torni ciclicamente a interrogarsi (e a interrogare i personaggi che vi compaiono) sulla recente vittoria elettorale di Donald Trump, che al Sud ha indubbiamente trovato il sostegno più incondizionato alla sua agenda politica, è in definitiva riconducibile al radicamento di una filosofia esistenziale che il già citato Lewis P. Simpson aveva liquidato come singolarmente reazionaria. Ancora una volta il Sud ha deciso in blocco di trincerarsi dietro i suoi confini, colpevole forse anche l’arroganza dello schieramento democratico, più preoccupato di dare continuità dinastica ai suoi rappresentanti che di compiere una reale svolta progressista alla quale l’amministrazione Obama aveva pure (timidamente) aperto. Gli autori interpellati da Pezzani non forniscono nulla di simile a un’organica analisi sociopolitica, ricollegando spesso i loro discorsi a un passato prossimo nel quale la tolleranza era giocoforza imposta dalla coesistenza di bianchi, neri e immigrati d’ogni provenienza. Interrogato in merito, Tom Franklin risponde: “Una volta ho sentito dire una cosa interessante: al Nord la gente ama i neri come gruppo, ma li detesta individualmente, mentre al Sud li adora individualmente, ma li detesta come gruppo” (111). Questa e altre affermazioni dello stesso calibro rischiano di svelare ancora una volta il paternalismo del meridione nei confronti degli afroamericani, piuttosto che indicare un reale superamento delle contraddizioni che da sempre affliggono il Sud. C’è forse un’involontaria ma inevitabile apologia del Dixie nelle parole degli autori cui Pezzani dà voce? La risposta a tutto questo è forse da trovarsi nel classico studio di W. J. Cash, The Mind of the South (1941), nel quale lo storico e scrittore cercava di far fronte alle apparentemente inconciliabili dualità della regione sottolineando come, a seguito della sconfitta confederata, la regione piombò in una nuova fase di frontiera, divenendo uno spazio grigio e interstiziale, continuamente definito e ridefinito dall’interazione di forze disomogenee quando non in aperta opposizione. Resta intatta nel libro di Pezzani la fluidità degli spazi meridionali, in oscillazione perenne tra i poli dell’utopia e della distopia sociale. A fronte di quest’apparente paralisi cognitiva, alla quale si cercherebbe invano di trovare una soluzione stabile, ciascun interprete fornisce la propria lettura, inevitabilmente filtrata dalle maglie dell’ideologia. E Pezzani, come i suoi scrittori, sceglie alla fine di guardare positivamente a quest’intrico, affermando: “nel Sud più che altrove, gli estremi si sfiorano, gli opposti si mischiano e i confini sbiadiscono. Non una brutta cosa, in fondo” (62). Una bella cosa davvero, nella speranza che tutto questo non resti una sterile possibilità teorica, l’ennesima utopia. Recensioni/Reviews Issue 9 – Spring 2017 275