Karlheinz Stockhausen
Sulla musica
a cura di Robin Maconie
introduzione di Massimiliano Viel
postmedia books
7 INTRODUZIONE di Robin Maconie
9 MI chIaMI sEMplIcEMENTE sTOckhaUsEN
di Massimiliano Viel
41 la MIa INFaNZIa
Conversazione informale con un intervistatore anonimo, Londra 1971
47 Il TalENTO MUsIcalE
Conversazione informale con un intervistatore anonimo, Londra 1971
53 pUNTI E GRUppI
Dalla conferenza LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE, Londra 1971
61 cOMpORRE sTaTIsTIcaMENTE
Dalla conferenza LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE, Londra 1971
69 FORMa lIRIca E FORMa DRaMMaTIca
Dalla conferenza LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE, Londra 1971
75 FORMa a MOMENTI E “MOMENTE”
Dalla conferenza COSTRUZIONE E INTEGRAZIONE DI MOMENTI, Londra 1971
83 MIcROFONIa
Dalla conferenza MICROPHONIE I, Londra 1971
91 I QUaTTRO cRITERI DElla MUsIca ElETTRONIca, Londra 1971
109 MUsIca INTUITIVa
Dalla conferenza MUSICA INTUITIVA, Londra 1971
121 DOMaNDE E RIspOsTE
Intervista di Robin Maconie, Agosto1981
151 BEllEZZa E NEcEssITÀ
di Robin Maconie
Ho un grande debito nei confronti di Karlheinz Stockhausen per avermi concesso senza
riserve la sua collaborazione e il supporto nella stesura del presente testo. Sono anche
molto grato a Robert Slotover della Allied Artists di Londra, grazie ai quali sono stati
girati i ilm sulle conferenze di Stockhausen del 1971, per avermi permesso di accedere
ad essi e di utilizzare le trascrizioni delle conferenze e di un'intervista informale dello
stesso anno. Ringrazio anche Anthony Mulgan, Gwyneth Kathriyn e Alys per avermi
aiutato in vari modi nel processo di scrittura, nonché Marion Boyars per la sua
straordinaria pazienza.
Robin Maconie
INTRODUZIONE
di Robin Maconie
Nel 1971 Stockhausen arrivò in Inghilterra per una serie di concerti pubblici e di
conferenze. Era di umore allegro e comunicativo. Il suo ultimo lavoro, MANTRA
per due pianoforti e modulazione elettronica, segnava la ine di un periodo di
introspezione particolarmente diicile e il ritorno a uno stile che univa energia e
disciplina classiche con un uso controllato e teoricamente brillante dell’elettronica
più evoluta. Le sue conferenze furono un notevole successo poiché trattavano di
fronte a un pubblico sostanzialmente di non specialisti argomenti della musica
contemporanea che erano estremamente complessi e ino ad allora ritenuti esoterici,
con un linguaggio da profani. La loro pubblicazione avviene con notevole ritardo ed è
solo grazie al fatto che molte di quelle conferenze sono state preservate su pellicola da
Robert Slotover, che la presente edizione delle trascrizioni può essere resa disponibile,
dopo essere stata approvata da Stockhausen, al più ampio pubblico di lettori.
Come tutto il materiale presentato in questo libro, le conferenze sono state
tenute in inglese e spesso sono arricchite da momenti improvvisati. Ho cercato
di mantenere il più possibile il carattere dell’inglese di Stockhausen e l’atmosfera
informale all’interno della sala delle conferenze. (La conferenza “I quattro Criteri
della Musica Elettronica” ad esempio è molto diversa dalla versione pubblicata
in tedesco in Wulf Herzogenrath (a cura di): Seibsdarstellung: Künstelr über sich,
Droste Verlag Düsseldorf 1973.) Chi è interessato alla personalità di un grande
compositore, troverà in questi testi un autoritratto che sarebbe diicile ottenere in
altro modo. I musicisti, siano essi compositori, studenti e insegnanti che si occupano
della nuova musica, vi troveranno invece un signiicato più profondo. A partire dal
1950 il mondo della musica si è trovato di fronte una sida enorme: la ricerca di
una teoria della musica razionale ed oggettiva che potesse rimpiazzare il sistema
della tonalità convenzionale, ormai ritenuto limitato e inadeguato. Si era capito che
una qualsiasi teoria della musica avrebbe dovuto rendere conto al suo interno di
opposizioni sia culturali che teoriche, come quelle tra musica europea e musica non
europea, tra musica scritta e orale, tra musica esistente e musica immaginabile. Nel
numero di compositori del dopoguerra che hanno afrontato questa sida, nessuno
è più qualiicato di Stockhausen per poter articolare i temi ilosoici e pratici che
stanno alla base della musica d’avanguardia. Il suo straordinario successo è prima
di tutto quello di aver dimostrato sia con i suoi scritti che con le sue composizioni,
che il fondamento teorico della nuova musica, sia essa seriale, elettronica, statistica
o indeterminata, può essere eicace, razionale, coerente e universale.
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STOCKHAUSEN
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I musicisti e il pubblico di oggi sono sempre più in sintonia con le nuove
tecnologie apparse negli anni Ottanta. L’audio digitale e il suono immersivo
stanno portando una tale trasparenza e realismo nella riproduzione sonora
che le abitudini di ascolto ne vengono trasformate, mentre allo stesso tempo
la sensibilità musicale e tecnica del grande pubblico diventano più acute,
dimostrando in tal modo che più riusciamo a sentire, meglio ascoltiamo e
più rainati diventiamo come ascoltatori. Allo stesso tempo, l’introduzione
del microprocessore nella vita quotidiana, per non parlare del MIDI e
del campionamento, ha attirato l’attenzione di un’intera nuova cultura
di programmatori di computer e appassionati dei giochi elettronici sulle
possibilità pratiche della sintesi musicale elettronica.
Per le nuove generazioni, educate attraverso la tecnologia presente sul mercato,
senza passare dal sistema educativo, la teoria e l’estetica della musica tradizionale
sono di un’inutilità accecante. Ciò di cui hanno bisogno sono degli strumenti
descrittivi per la sintesi e la composizione che abbiano una corrispondenza
con le strutture i linguaggi della programmazione informatica. Queste persone
troveranno in Stockhausen una guida preziosa, da cui farsi condurre passo per
passo dalla musica per punti ai gruppi, dai gruppi alle masse statistiche, alle forme
mobili, ai processi compositivi e alla costruzione e allo sviluppo delle formule
musicali. La tecnologia di massa si è messa inalmente alla pari con i concetti nati
in quell’incredibile rinascimento che è stato il Dopoguerra. Una cultura popolare
radicata nelle nuove tecnologie ha la vitalità e i mezzi per continuare le ricerche
musicali di Stockhausen. Resta da vedere se ne svilupperà anche le motivazioni.
Le conferenze tenute da Stockhausen sono state ampliate e aggiornate con
una serie di domande e risposte che sono state registrate nel 1981, nelle quali
ho cercato di portare il compositore su temi più pratici e leggermente più
tecnici. Le sue osservazioni sulla pratica dello studio saranno di particolare
interesse per i compositori e per gli ingegneri del suono. Mi piace pensare che
i suoi suggerimenti riguardo ai sintetizzatori e all’ambiente di ascolto casalingo
del futuro riusciranno a stimolare lo sviluppo di nuovi prototipi. Quello che
il compositore ha da dire a tutto tondo sul comporre e sulla produzione di
teatro musicale dovrebbe essere una lettura obbligatoria per i produttori di
programmi televisivi e di video musicali. Ultimo ma non da meno, le idee
di Stockhausen sull’educazione musicale hanno a mio parere un’importanza
enorme sia oggi che per il futuro.
MI CHIAMI SEMPLICEMENTE STOCkHAUSEN
di Massimiliano Viel
Il 22 agosto 2012, appena due mesi fa e circa quattro anni e mezzo dopo la
morte del compositore, abbiamo avuto l’ultima occasione di assistere alla prima
esecuzione di un lavoro di karlheinz Stockhausen. Si tratta del MITTWOCH
(Mercoledì), la terza opera, nell’ordine progettuale, delle sette che compongono
il ciclo LICHT (Luce), ognuna dedicata a un giorno della settimana. A dir la
verità il Mercoledì era già stato rappresentato nelle sue singole sezioni e in versione
concertistica, il che nel contesto delle produzioni stockhauseniane signiica
essenzialmente senza scenograia o make-up particolarmente complessi, ma già
con i movimenti e le posizioni sul palco dei musicisti previste dal compositore e
possibilmente con costumi appropriati alla scena che viene rappresentata (quello
che Stockhausen chiama versione quasi-konzertante in opposizione alla versione
szenische). Certo la complessità dell’allestimento, che prevede tra le altre cose il
famigerato HELIkOPTER-STREICHQUARTETT (il Quartetto per Archi ed
Elicotteri) e un brano in cui è previsto che i musicisti suonino mentre volteggiano
per aria, ORCHESTER-FINALISTEN (I Finalisti dell’Orchestra) ha avuto senza
dubbio un ruolo importante nel ritardarne di ben quindici anni la realizzazione
teatrale rispetto alla data della sua composizione. Dobbiamo quindi ringraziare
la perseveranza della Fondazione Musicale Stockhausen e di chi la guida, le
paradigmatiche interpreti dell’opera del compositore Suzanne Stephens e kathinka
Pasveer, nonché sue compagne di vita, se l’opera di Stockhausen nel suo complesso,
al contrario di ciò che avviene per molti compositori a lui coevi seppure di notevole
importanza artistica e storica, è riuscita a mantenere desta su di sé l’attenzione di
festival e pubblico e a realizzare quindi la complessa rete di accordi e progettazioni
che l’allestimento di un lavoro come il Mercoledì da Luce può richiedere.
La Fondazione non nasce per caso, magari con il compito di mettere ordine nel
lascito scomposto di incartamenti e oggetti abbandonati dalla morte improvvisa del
compositore. Al contrario: è da sempre che Stockhausen insieme ai suoi assistenti
si prepara a immergersi nell’eternità della cultura, raccogliendo meticolosamente
documenti video, appunti, registrazioni e strumenti, in modo di scongiurare o
almeno cercare di prevenire l’arbitrarietà, i fraintendimenti e le negligenze che lo
scorrere del tempo comporta. La Fondazione Musicale Stockhausen nasce nel 1994,
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massimiliano viel
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quando il compositore ha 66 anni, ed è solo l’ultima delle iniziative promosse
dal compositore per garantire l’integrità del suo corpus artistico, dopo la
fondazione nel 1991, rivoluzionaria per l’epoca, di una propria e autonoma
casa editrice e la pubblicazione dei volumi, dieci ino ad ora, che raccolgono
i testi del compositore. A molto tempo prima, cioè almeno al periodo di
composizione di kONTAkTE (Contatti) nel 1960, risale invece il tentativo da
parte di Stockhausen di fondare consapevolmente una tradizione interpretativa
della propria opera non solo attraverso l’addestramento di interpreti di iducia,
ma anche attraverso un ferreo controllo delle esecuzioni delle sue opere, ino al
punto di diventare parte fondamentale dell’organizzazione stessa dei concerti
e di richiedere per essi non solo interpreti e tecnici “autorizzati”, ma anche, ad
esempio, marche e modelli precisi di altoparlanti per la difusione in sala.
Oggi la Fondazione Stockhausen organizza corsi estivi, cosa che fa dal 1998,
produce e vende CD, DVD, partiture, libri, poster e promuove persino degli
articoli di merchandising. Inutile quindi precisare che il catalogo completo delle
opere, di CD, libri e ilm nonché una bibliograia costantemente aggiornata sono
disponibili liberamente sul sito stesso della Fondazione (www.stockhausen.org)
e questo è anche il motivo per cui abbiamo scelto di non includerle in questa
traduzione del libro di Maconie, che invece le presentava, aggiornate alla data
di pubblicazione del libro, nelle appendici inali del suo testo.
Certo tutta questa furia del documentare, questo impeto quasi ansioso nel
raccogliere i frammenti deperibili dell’esistenza per congelarli e consegnarli alla
storia, questo desiderio di immortalarsi nel simulacro vengono incarnati da
Stockhausen in modo unico ed estremo, quasi ino a trasformarne il cognome in
un marchio, che non vuole essere accompagnato da formule di cortesia o epiteti
formali, e che arriva a oscurare la presenza del nome per essere semplicemente
“Stockhausen”, come il compositore richiedeva, a volte esplicitamente, di essere
chiamato. Il simulacro esiste per l’eternità, al di fuori del tempo e in efetti
non è un caso che proprio il tempo sia uno dei temi più importanti dell’intera
opera di Stockhausen: lo testimoniano in modo lampante i titoli delle opere
che compongono il ciclo LICHT, dedicate ai giorni della settimana, o ai brani
legati al successivo ciclo kLANG (Suono), che è rimasto incompleto e che è
dedicato alle 24 ore del giorno.
Abbandoniamo per un momento questo tema, che riprenderemo più tardi,
per tornare a MITTWOCH. Un’opera scenicamente complessa, dicevamo, ino
ad essere visionaria, in cui il pubblico è investito da un turbine di impressioni,
visive e sonore, con un continuo scivolamento di registri espressivi. Come in
WELT-PARLAMENT (Parlamento mondiale) in cui una seduta plenaria che si
svolge al di sopra delle nuvole, un vero “convivio” in cui i rappresentanti del mondo
discutono sul concetto di amore, viene interrotta dall’annuncio (fatto in tedesco e
con un forte accento regionale! ) di una macchina che essendo stata parcheggiata
in una zona a rimozione forzata, sta per essere portata via. E guarda caso è proprio
la macchina del Presidente. Oppure quando in MICHAELION, il centro galattico
per i delegati dell’universo, viene eletto come presidente un cammello, che poi si
esibisce in una danza durante la quale produce sette escrementi in forma di sfere
colorate, dedicate ognuna a un giorno della settimana. Se a tutto ciò aggiungiamo
una musica decisamente insolita, almeno per il pubblico di massa, che non si fa
facilmente catalogare all’interno dei generi musicali più o meno di consumo, non
c’è da stupirsi se Stockhausen ancora oggi, in un epoca assuefatta alla provocazione
e apparentemente lontana dalle esplicite reazioni, ostili o meno, del pubblico che
caratterizzavano le prime di cinquant’anni fa, venga descritto dai media generalisti
come una igura controversa, ad un tempo disprezzata da chi lo vede come un
lunatico megalomane che vive fuori dal mondo reale e contemporaneamente
stimata non solo da uno stuolo di seguaci (una recensione dell’Observer li chiama
addirittura “ferventi discepoli”)1, ma anche da chi semplicemente vede in lui un
artista emblematico, che ha saputo portare la musica ad lì là del proprio tempo nel
contesto di un’ampia visione dell’uomo e del mondo in cui vive.
L’opinione dei primi è stata ben rappresentata nella cultura italiana dal
famigerato episodio “Le vacanze intelligenti” di cui Alberto Sordi è a un tempo
regista e attore e che conclude il ilm a episodi “Dove vai in vacanza?” in cui il russare
dei due personaggi principali viene scambiato da un manipolo di passanti snob
come un’opera di Stockhausen o di “Chèghel”, epiteto che declina pudicamente
il nome del compositore Mauricio kagel. L’uno vale l’altro, perché, beh, “i toni
[ma sono i rumori prodotti dal russare dei due protagonisti] comunque sono
quelli”. L’intenzione del regista sembra in verità più quella di interpretare in modo
satirico, lo scarto culturale corrispondente allo salto generazionale tra genitori
provinciali e ignoranti e i igli acculturati e snob. Lo fa però un un po’ fuori tempo
(il ilm è del 1978) e con un certo qualunquismo: solo il piatto di pastasciutta è
in grado di mettere pace tra le generazioni. Il fatto è però che, come confermano
anche le tante vignette su Stockhausen raccolte dalla Fondazione, questo episodio
nel suo complesso ben descrive l’atteggiamento della cultura di massa nei riguardi
dell’arte contemporanea e in particolare della musica contemporanea, di cui
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STOCKHAUSEN
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se, come in questo caso, si tratta di una personalità complessa e non facilmente
riducibile a un solo semplice stereotipo di massa e che è quindi perfettamente
adattabile alle necessità di chiunque voglia costruire una propria identità.
Forse il punto culminante di questa “messa in crisi” di Stockhausen in
quanto personaggio pubblico è stata la famigerata e controversa intervista del
16 settembre 2001 ad Amburgo in cui il compositore sembra fare afermazioni
quanto meno avventate sull’attacco dell'11 settembre. È un punto culminante
sicuramente per l’entità culturale dell’argomento, così delicato e controverso,
e anche per la difusione a livello planetario dell’incidente, aiutata ancora
di più da internet, tanto da far gridare la stampa alla ine della carriera di
Stockhausen8. Non è importante sapere esattamente cosa è successo: chi scrive
sa che il compositore aveva l’accortezza di registrare in tutta autonomia le
interviste proprio per proteggersi legalmente e moralmente dall’uso avventato
e malizioso da parte della stampa di ciò che veniva detto durante le interviste.
Le accuse rivolte a Stockhausen, con le conseguenti ostracizzazioni del mondo
musicale e non, sono rientrate in breve tempo, una volta che la frase, secondo
cui l’attentato dell’11 settembre sarebbe stato “la più grande opera d’arte
mai realizzata”9, è stata inserita nel giusto contesto di ciò di cui si parlava
nell’intervista, e cioè della presenza di Lucifero nel mondo. Anche se l’opinione
pubblica ha breve memoria, internet invece non dimentica: i ilmati di accusa
su youtube sono lì a dimostrarlo. E così dobbiamo concludere la nostra pars
destruens aggiornando la lista delle accuse a Stockhausen con quelle, che pur
dimostrano la loro inconsistenza al primissimo approfondimento, di satanista
e antiamericano10.
Dunque karlheinz Stockhausen, il compositore su cui forse abbiamo più
documentazione in assoluto, è assurto, insieme a John Cage, al ruolo di icona,
anzi di icona pop, come mostrano i suoi mai cessati rapporti con il mondo
della popular music11. Se John Cage è il compositore della destrutturazione
dell’Io attraverso il contatto con l’altro, sia esso la struttura degli scacchi, le
imperfezioni della carta o l’YiJing12, Stockhausen è invece il simbolo del pensiero
costruttivista, anche, e direi soprattutto, quando questo si colora di religiosità
mistica, quella stessa che ha portato alla costruzione delle grandi cattedrali
gotiche. È, se ci è permesso l’azzardo di una metafora psicanalitica, il padre da
uccidere, il Super-Io, sia che lo vediamo dal punto di vista di un’arte che vuole
rinnovarsi, sia che lo vediamo dal punto di vista delle culture extraeuropee,
specie della cultura statunitense, nei confronti della vecchia Europa.
D’altra parte Cage, nonostante la natura culturalmente dirompente delle sue
idee, è sempre stato trattato bonariamente dai media e considerato quasi innocuo.
Sarebbe diicile immaginare uno Stockhausen docile nel prestarsi a vestire i panni
dell’artista strambo per il divertimento del pubblico televisivo, come è avvenuto
con la celebre partecipazione di John Cage alla trasmissione televisiva “I’ve got
a secret” del 1960. Non che l’opera di Stockhausen non contenga momenti di
umorismo anche solare, anzi l’intero lavoro del compositore è intriso di umorismo,
ma è sempre così avvolto da un’aura di “necessità storica”, di “imperativo morale”
da arrivare al punto di dichiarare “un’opera deve poter dare qualcosa di nuovo
all’umanità oppure non vale la pena di essere scritta”13.
Ed ecco forse da dove nasce un certo accanimento del mondo della cultura e della
stampa contro questo compositore; ecco da dove nasce la sua scomodità, al punto
da essere stato talvolta considerato addirittura pericoloso per la società (vedi intra
sull’intuizione) e cioè dalla celebrazione di un pensiero forte, quasi autoritario,
supportato da un misticismo pan-ecumenico. Un miscuglio che fa tremare e che
ha reso Stockhausen il bersaglio di battaglie che in fondo non avevano nulla a
che fare con lui. Le polemiche verranno dimenticate. E rimarranno gli scritti e le
musiche, a volte dei veri e propri “trattati sonori”, attraverso i quali il compositore
ha rilettuto su una vastissima gamma di problemi musicali e non, e che lo hanno
portato oltre il suo ruolo iconico, a diventare un punto di riferimento inevitabile
per chiunque voglia rilettere sulla musica, nel senso più generale possibile, e per
chiunque voglia produrre musica, riconoscendosi partecipe del percorso millenario
della musica occidentale.
Ad esempio: il tempo. Si dibatte oggi se la musica sia un’arte del tempo o dello
spazio14 perché se è vero che ciò che noi percepiamo deriva in essenza da vibrazioni
più o meno periodiche, queste vibrazioni hanno bisogno di uno spazio riempito
d’aria (o da un qualsiasi altro medium elastico) per giungere al nostro orecchio.
Ogni musicista sa però quanto il tempo sia fondamentale nella pratica musicale e
nella composizione, così che la storia della musica occidentale sembra dipanarsi
attraverso successive innovazioni nel modo di rendere la componente temporale
della scrittura musicale, ino a permettere il contrappunto, l’armonia, l’invenzione
formale e così via. Stockhausen sviluppa ulteriormente questo percorso in primo
luogo tematizzando il tempo nella propria produzione musicale. Forse il primo
titolo che si riferisce in modo esplicito al tempo è ZEITMASZE (Misure di
Tempo), del 1955, seguito da tre titoli dedicati alla circolarità della ripetizione
(ZYkLUS, REFRAIN e MANTRA) e dal lavoro fondamentale MOMENTE
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(Momenti), in cui il compositore afronta esplicitamente il tempo dal punto
di vista dell’esperienza, risolvendolo in frammenti costituiti da istanti eterni
(i “momenti”, appunto), qualità esperienziali legate tra loro da memoria
e speranza. Vi sono poi altri titoli come STOP (con il suo “spin-of” STOP
UND START) e i brani del periodo “intuitivo” riconducibili al tempo, come
RICHTIGE DAUERN (Durate corrette), VERkÜRZUNG (Accorciamento),
ANHALT (Fermata) e anche VORHANUNG (Presentimento). Ma è a
partire da SIRIUS (Sirio), un brano di novanta minuti per quattro solisti e
suoni elettronici del 1975, che Stockhausen inizia a utilizzare esplicitamente
sistemi culturali di misurazione del tempo per costruire la forma musicale. La
sezione centrale di SIRIUS, ad esempio, intitolata DAS RAD (La Ruota) è
strutturata come un intero anno e divisa quindi in quattro stagioni. Il compito
di rappresentare lo scorrere dei diversi momenti dell’anno è riservato ai segni
zodiacali, interpretati dalle melodie, che erano state composte nel 1974 sotto
il titolo collettivo di TIERkREIS (Zodiaco). In particolare, alle melodie di
Cancro, Bilancia, Capricorno e Ariete, associate a uno dei quattro solisti,
spetta il compito di rappresentare ognuna un’intera stagione e sono sottoposte
al complesso processo di metamorfosi compositiva che caratterizza la parte
elettronica, mentre le rimanenti otto melodie sono utilizzate in modo molto
riconoscibile, solo per scandire il passaggio da una stagione all’altra. Inine,
la struttura circolare della Ruota permette di orientare il brano a seconda del
periodo dell’anno in cui viene eseguito, così da iniziare con la stagione in corso.
DER JAHRESLAUF (titolo dalla diicoltosa traduzione che si può intendere
come “Il Corso degli Anni”, ma anche “La Corsa degli Anni”) è un brano del
1977 direttamente ispirato alle sonorità del Gagaku giapponese, che per la sua
struttura sonora a livelli gerarchici ben si presta a interpretare il rapporto tra
anni, decenni, secoli e millenni. Nella versione scenica di questo brano, che
non solo è incluso nel ciclo LICHT (Luce), ma che, con l’idea scenograica del
inale in cui una luce si accende gradualmente, è stato la vera fonte ispiratrice
almeno del titolo del ciclo di opere, quattro corridori, rappresentanti ognuno
gli anni, i decenni, i secoli e i millenni, gareggiano tra loro per arrivare dall’anno
0 all’anno di rappresentazione del brano. Il tempo scorre afannosamente per
raggiungere il traguardo del presente, ma quattro tentazioni lo interrompono:
è il Lucifero stockhauseniano che vuole fermare il tempo in quanto segno della
materia e della carne. Nella cosmologia del compositore Luzifer si oppone a
Michael, in quanto il primo rinnega la possibilità di un successo nel mischiare
spirito e materia, un esperimento che il personaggio di Eva conduce sotto la guida
di Michael e che ha come soggetto proprio gli esseri umani. Gli incitamenti di
Michael convinceranno i quattro corridori e i musicisti associati ad essi a continuare,
dopo le interruzioni di Lucifero, il faticoso lavoro di svolgere il tempo e la Storia.
Anche in questo caso gli elementi temporali sono individuati da musicisti e in
particolare da gruppi strumentali. Il brano è stato originariamente composto per
gli strumenti della tradizione giapponese che compongono l’orchestra Gagaku, ma
ne esiste anche una versione per strumenti occidentali: clavicembalo ampliicato,
chitarra e grancassa (anni), trio di sassofoni soprani e bongo (decenni), trio di
ottavini e incudine (secoli) e trio di harmonium (millenni).
A partire dal 1978 inizia la composizione del grande ciclo di sette opere intitolato
LICHT, che verrà completato solo venticinque anni dopo, nel 2003. Ogni opera è
dedicata a un giorno della settimana, la durata totale progettata dell’intero ciclo è di
16 ore e la matrice originaria da cui ha origine il materiale musicale di tutto il ciclo,
cioè la cosiddetta Superformula, dura soltanto un minuto. In realtà non è la prima
volta che Stockhausen progetta cicli o comunque modi che possano connettere
e coordinare singole opere in un insieme più ampio. Quello che potremmo
chiamare tensione verso l’unità era presente in dagli inizi della sua carriera,
almeno a partire dai pezzi per pianoforte che originariamente erano concepiti per
essere ventuno15 e di cui solo undici brani sono in vari modi testimoni del primo
progetto. D’altra parte il desiderio di arrivare a un durchkomponiren totale, e cioè
la volontà di superare le forme a suite per individuare i criteri uniicanti con cui
organizzare estensivamente anche materiali disomogenei, in modo che anche la
giustapposizione e il contrasto, non più semplici efetti, risultassero emergere da
un livello semantico sottostante, è stato dichiarato dal compositore in dall’inizio.
All’estremo, la vita stessa diventa una composizione di cui i brani composti sono
soltanto i frammenti. La composizione diventa un modo per trasformare la propria
vita. Allo stesso tempo, però i numeri limpidi della progettazione devono scontrarsi
con la carne e il sangue della vita e più i progetti sono ambiziosi, più rischiano
di infrangersi contro il muro dell’estemporaneità. Così le sedici ore di LICHT
diventano ventinove per sottostare alle esigenze del teatro, di una rinnovata
ispirazione o comunque dell’esistenza, grazie soprattutto all’aggiunta di “inserti”,
di cui il più ingente è proprio DER JAHRESLAUF che diventa il primo atto del
DIENSTAG (Martedì). Beninteso, le sette opere sono sì dedicate ai sette giorni
della settimana da cui prendono il titolo, ma sono articolate attraverso le relazioni
tra i personaggi di Luzifer, Michael ed Eva, all’interno di un universo simbolico
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che collega il tempo della vita quotidiana con quello del mito. A Michael (che
è un esplicito riferimento alla igura dell’arcangelo Michele) spetta il compito
di fare da tramite tra il tempo della vita isica e l’eternità dei cieli proprio
nell’opera dedicata interamente a lui, il DONNERSTAG (Giovedì), in cui a
partire dalla sua presenza incarnata in un “uomo qualunque”, che in una scelta
che non ha mancato di suscitare polemiche è il compositore stesso, attraverso
un percorso dall’humano al mundano torna gradualmente ad essere se stesso,
come trasigurazione dell’umano in puro spirito.
Al contrario, nonostante gli aspetti ritmici costituiscano la caratteristica
musicale di Luzifer, il suo tempo è maliziosamente svincolato dall’umano e
come tale viene celebrato nel brano per orchestra LUZIFERS TANZ (La Danza
di Lucifero) all’interno del SAMSTAG (Sabato), l’opera a lui dedicata, come
l’innaturalezza di una marionetta in balia di un meccanismo mostruoso di cui
possiamo vedere il volto gigantesco frammentato in mille tic e smorie.
La progettazione di un ciclo di opere assomiglia molto alla tentazione
luciferina di lottare contro il tempo, estendendo un istantaneo momento di
intuizione su un intervallo di tempo più vasto (nel caso di LICHT, venticinque
anni!). Si tratta di una vera e propria sida allo scorrere del tempo, la ricerca
di un frammento di eternità, che solo con la realizzazione del ciclo LICHT è
riuscita a sfuggire ai vincoli della carne. “Dopo... vorrei comporre Il Giorno”,
dice Stockhausen in un’intervista del 1987, “le 24 ore del giorno, così da dare
un nuovo signiicato musicale ad ogni ora del giorno. E poi voglio comporre
L’Ora, e poi Il Minuto e, come ultimo lavoro, Il Secondo”16. È il progetto di un
vero e proprio “ciclo di cicli”. E il compositore ha tenuto fede alle sue intenzioni
quando, nel 2004 ha iniziato a lavorare al ciclo kLANG (Suono) dedicato
alle 24 ore del giorno. Non si tratta più di opere che richiedono un ingente
allestimento scenico, ma di ventiquattro brani relativamente brevi, con durata
tra i 15 e il 41 minuti, scritti per organici cameristici con o senza la presenza di
elettronica e divisi in due parti dalla tredicesima ora: un lavoro per soli suoni
elettronici intitolato COSMIC PULSES (Pulsazioni Cosmiche), che raduna gli
strati elettronici che verranno utilizzati nelle ore dalla quattordicesima in avanti.
Se progettare è un modo per rinnovare la lotta tra Luzifer e Michael contro
o a favore del tempo, un modo per cercare di portare un frammento di eternità,
un “inserto” all’interno dello scorrere inesorabile del tempo, allora forse il
fatto che la realizzazione di kLANG è rimasta incompleta è, per così dire, la
migliore risposta di Michael. kLANG si interrompe con la ventunesima ora,
PARADIES (Paradiso), per lauto e musica elettronica, basato sui primi tre strati
sonori di COSMIC PULSES a cui si aggiunge, nella parte elettronica, la voce di
kathinka Pasveer che, seguendo la struttura prevista per i brani della seconda parte
di kLANG, analizza in tempo reale la composizione.
Se la tematizzazione del tempo può essere per un musicista il punto di arrivo di
una rilessione che si apre sull’antropologia e cioè su una visione dell’uomo nella sua
totalità, anche spirituale, il punto di partenza non può che venire dalla scrittura e
dai problemi che essa pone. L’eredità del pensiero musicale che Stockhausen aveva
accolto negli anni Cinquanta era innanzitutto quella della serialità dodecafonica,
che, specialmente attraverso l’atomizzazione weberniana, gli indicava una via per
ricostruire un senso musicale che la ripetizione di vecchi schemi sembrava negare:
“Voglio inventare una musica... Il prezzo che devo pagare è lo stile vecchio, così che
possa trovare una nuova bellezza”17. L’incontro con karel Goeywverts, in particolare
con la sua Sonata per due pianoforti, e con Mode de valeurs et d’intensités, lo studio per
pianoforte di Olivier Messiaen che è ormai uicialmente considerato il primo brano
scritto con la tecnica del serialismo integrale, portano Stockhausen ad avvicinarsi
a un pensiero musicale algebrico, in cui gli oggetti che nella scrittura musicale
popolano i pentagrammi appaiono trasigurati in anonimi elementi (tipicamente
si tratta di numeri interi) organizzati in insiemi, ai quali, attraverso una logica
tipicamente combinatoria deve venir restituito, vestito a nuovo, il senso musicale. Di
ciò si parla abbondantemente nel testo di Maconie per cui non ci sofermeremo sugli
esiti di questo pensiero nella produzione musicale del compositore. Quello che però
diferenzia l’attitudine di Stockhausen rispetto a quella di altri suoi contemporanei
è piuttosto il costante riferimento alla percezione. Se tradizionalmente, nella nostra
cultura, gli insiemi in cui sono raccolti i frammenti della scrittura musicale sono
legati a caratteri percettivi ben noti (le note con l’altezza, i coloriti con l’intensità,
i valori con le durate e gli strumenti con il timbro), uno studio più approfondito
di come si legano tra loro i simboli graici della notazione musicale, le misurazioni
acustiche del risultato sonoro e le reazioni psicoisiche dell’ascoltatore dimostrano
subito una complessità che non può accontentarsi di una semplice e manieristica
manipolazione di simboli graici musicali. Non si doveva ricostruire solo il senso
musicale, ma anche la pratica del comporre: bisognava ricondurre ad un’unica
visione il momento della scrittura, il momento della esecuzione e quello dell’ascolto.
Ecco quindi che il pensiero algebrico si trasforma subito in pensiero parametrico.
C’è una sottile diferenza tra i due: dove il primo è interessato a organizzare
elementi arbitrari in insiemi altrettanto arbitrari, ad esempio la nota la può
19
STOCKHAUSEN
20
essere considerata come l’elemento identiicato dal numero sei all’interno
dell’insieme costituito dalle sette note della scala diatonica su do, il secondo
si preoccupa invece di declinare e dimensioni dello spazio sonoro in cui si
muove la composizione musicale in unità di misura: il precedente viene visto
ora come espressione dei 440 Hz dell’intonazione standard o degli Hertz di
una qualsiasi altra intonazione scelta. Si tratta del passaggio da un pensiero
musicale del discreto algebrico (i numeri naturali), di cui troviamo forse gli
esiti estremi nell’opera di Brian Ferneyhough, verso il pensiero musicale del
continuo analitico (i numeri reali), che viene espresso al suo massimo nelle
tecniche compositive spettralistiche e nel programma di ricerca dell’IRCAM.
È in questa prospettiva che bisogna considerare la critica che Stockhausen
rivolge nel suo articolo “Wie di Zeit vergeht...” (Come passa il Tempo...)18
alla scala moltiplicativa di durate utilizzate da Messiaen nel suo celebre studio
per pianoforte e la sua ricerca di una proposta alternativa. Se la distanza tra
due valori adiacenti di una scala, cioè l’intervallo minimo, deve poter essere
percepita come uguale per tutti i valori della scala, allora la struttura che si
avvicina di più a questo e che va presa come modello è la scala cromatica. Ma
trasporre il continuo delle frequenze nella notazione tradizionale è impossibile:
l’unica soluzione praticabile è quella di riformare il metronomo, abitualmente
regolato da una scala disomogenea e proporre una nuova scala in cui l’intervallo
tra metronomi in proporzione doppia (cioè ad esempio 60 e 120) vengano
divisi in dodici gradi intermedi in proporzione logaritmica tra loro (cioè in
ragione della radice dodicesima di due) proprio come le frequenze delle note
che corrispondono ai dodici semitoni dell’ottava cromatica. Ma certo non si
poteva cambiare metronomo ad ogni nota, come pure Stockhausen ha cercato
di fare nel suo kLAVIERSTUCk VI (Pezzo per pianoforte VI) del 1954
attraverso l’introduzione di una sorta di pentagramma anche per i metronomi,
ma anche più recentemente in HIMMELFAHRT (Ascensione) del 2005, brano
corrispondente alla prima ora di kLANG in cui le mani del tastierista suonano
spesso simultaneamente in metronomi diversi.
Insomma il passaggio dal discreto al continuo non è stato indolore, ma
era inevitabile nel momento in cui i mutamenti sociali e culturali portavano
i compositori ad afrontare la musica non più dalla gabbia dorata del sistema
e della notazione tradizionale, ma attraverso le opportunità che la tecnologia,
specie quella radiofonica, ofriva. E quindi un compositore, se voleva porsi in
una prospettiva progressista, era in un certo qual modo costretto a capire cosa
fosse il suono, cioè a studiare l’acustica, e come funzionasse la percezione uditiva,
cioè a studiare psicoacustica.
Per un musicista, scoprire che il suono, una nota, è una pulsazione ritmica,
solo estremamente veloce, è quanto meno illuminante. Anche se già Ezra Pound e
Henry Cowell avevano intuito, come sottolinea Curtis Road19 le conseguenze di
una visione ritmica del suono, solo Stockhausen è riuscito a portare quest’idea alle
sue estreme conseguenze. Di ciò, il testo di Maconie tratta in abbondanza e quindi
possiamo limitarci a sottolineare che ancora una volta è la tensione verso l’unità che
ha portato il compositore a elaborare una cornice concettuale entro la quale ritmo,
timbro, melodia, velocità, nota e forma sono aspetti diversi di uno stesso fenomeno:
il tempo. E questa cornice ha portato ad esempio a concepire la corrispondenza tra
la suddivisione di un valore (mettiamo una semibreve) in due minime, tre minime
di terzina, eccetera con il relativo armonico (il secondo, il terzo, eccetera) di una
frequenza fondamentale; un’idea che sta alla base di GRUPPEN per tre orchestre.
Oppure una tecnica di sintesi, quella utilizzata in kONTAkTE, del 1960, che
ancora oggi dimostra un’accuratezza nel creare timbri credibili e naturali, ancorché
“alieni” come mai più Stockhausen, nemmeno quando ha cercato di ridestarla in
SIRIUS o ha cercato di riprodurla con sistemi digitali nelle parti elettroniche dei
lavori più recenti, è riuscito a raggiungere. Dunque la musica è essenzialmente
tempo? Risponde Stockhausen: “Non vogliamo dire che non esistono frequenze,
intensità e che tutto è percezione temporale. Equivarrebbe a una livellazione della
qualità di percezione che si è formata, nel corso di un lungo sviluppo, dal mare
magno delle diverse qualità. Ma a noi interessano le conseguenze compositive che
possiamo trarre dalla conoscenza di tali relazioni” (...)” È il compositore stesso a
proporre un parallelo tra il suo lavoro e la ricerca del principio uniicatore delle
forze isiche (oggi si direbbe dell’uniicazione tra relatività e meccanica quantistica),
il cui compito è quello di dare conto dell’ampio spettro di diversità fenomenica20.
Ma, come dicevamo, afrontare il continuo con rigore scientiico è diicile
senza l’aiuto di strumenti elettronici perché la isiologia umana non vincola
soltanto l’ascolto, ma anche l’esecuzione. Se, ad esempio, l’adozione simultanea
di tre gruppi orchestrali per GRUPPEN cerca di muoversi proprio alla ricerca
di una soluzione “umana” dei problemi connessi con il calcolo scientiicamente
“disumano”, era però evidente che la direzione in cui si sarebbe dovuto cercare
per risolvere l’espansione di un’unità di pensiero in diferenti scale temporali nel
caso della musica strumentale, doveva essere verso l’estensione delle durate, cioè
verso il dominio della forma, ino alle più ampie strutture macro-formali. Da
21
STOCKHAUSEN
22
un lato Stockhausen sviluppa una tassonomia in cui tre tipologie di oggetti
possono essere connessi indipendentemente in tre modalità per dare luogo a
tre tipologie di forme. Si tratta dei tre gruppi di concetti ampiamente descritti
nelle conferenze sulla genesi della forma incluse nel testo di Maconie e cioè
dei tre elementi: punti, gruppi e masse; delle tre modalità di connessione:
determinata, variabile, statistica e delle tre tipologie di forme: drammatica, lirica
e “a momenti”. Nonostante l’elaborazione di questo schema risalga al 196121,
il compositore non ha mai abbandonato il suo utilizzo e questo è ancora più
vero per la forma “a momenti”, che, dopo una pausa di ben venticinque anni,
quelli della composizione di LICHT, è stata a tutti gli efetti reintrodotta come
tecnica privilegiata per la composizione di kLANG.
Il contributo più alto e di maggior successo nell’elaborazione di una
tecnica, o di una famiglia di tecniche, in grado di uniicare la scrittura e
la produzione musicale attraverso una singola e originaria intenzione
compositiva, Stockhausen ce l’ha fornito con il nome di Tecnica della Formula.
Dal punto di vista tecnico l’idea di base consiste nel partire da un aggregato
di serie (vale a dire una successione di elementi) nei parametri compositivi
utilizzati (ad esempio altezze, durate, dinamiche eccetera), in modo che
questo possa essere presentato come un efettivo frammento musicale. Questo
frammento, che chiameremo “formula”, contiene in sé non solo i materiali
con cui verrà costruita la composizione, come ad esempio avviene per una
serie dodecafonica, ma anche i criteri stessi con cui questi materiali saranno
trasformati. Ad esempio, se noi vorremo trasporre le reiterazioni delle note
di una formula, le stesse note della formula ci potranno indicare l’intervallo
delle trasposizioni. Dunque attraverso gli elementi di cui è composta, una
formula orienta il compositore, ma non lo vincola, alle possibilità con cui
la formula stessa viene trattata nel processo compositivo. Per questo motivo
dal punto di vista tecnico non ci sarebbe altro da dire, se non un elenco dei
possibili modi di manipolazione della formula che la storia dell’utilizzo di
questa tecnica ci ha mostrato. In questo senso possiamo considerare l’intero
ciclo LICHT un po’ come l’arte della formula, il “Gradus ad Parnassum” delle
possibili applicazioni di questa tecnica. La sua ideazione è però molto più
remota e risale a uno dei lavori a cui Stochkausen assegna nel suo catalogo
un numero frazionario, un po’ come il conto alla rovescia verso quella che il
compositore considera l’opera numero uno, kONTRA-PUNkTE (Contrapunti): si tratta di FORMEL (Formula) per orchestra del 1951.
Il brano verrà considerato come un esperimento da accantonare perché “troppo
tematico”22 ino a che, quasi vent’anni dopo, Stockhausen sentirà l’esigenza di
distillare in un nucleo esemplare quanto costituisce la ripetitività e la riconoscibilità
nell’universo musicale per la composizione di MANTRA, del 1970, per due pianoforti
e modulatori ad anello. “La formula si compone di diversi elementi, a cominciare dal
Raga, dai Tala, dai temi delle fughe, dai temi delle sonate, arrivando ino alle cellule
dell’Impressionismo e quindi alla serie, la serie multipla. La formula è il compendio
e l’integrazione di tutti questi elementi preparati nel travaglio dei secoli da culture
di origine diversa”23. Bisognerà però aspettare ancora ino al 1973 con INORI,
“adorazioni” per orchestra e uno o due solisti, per avere un approccio così sistematico
e quasi didattico da essere costruito retoricamente sul progressivo disvelamento degli
elementi musicali: ritmo, dinamica, melodia, armonia e polifonia. A questo punto la
formula appare già come un frammento musicale in cui a ogni nota è associato un
metronomo, sempre determinato con il metodo della “scala cromatica”; una dinamica,
i cui valori sono indicati con un numero da 1 a 60; un timbro, parametrizzato
attraverso fonemi vocalici, come era già stato fatto in STIMMUNG (Sintonia) e gesti
di preghiera, indicati da numeri corrispondenti a un catalogo di posizione delle mani
per i solisti. La dinamica è sviluppata in scale di sessanta valori per poter rendere
conto delle possibilità espressive dell’orchestra. È dunque a partire dalla dinamica
complessiva risultante che viene determinato compositivamente il colorito assegnato
a ciascuno strumento (pensiero parametrico) e non il contrario (pensiero algebrico).
Inoltre, ogni nota è contraddistinta da un proprio carattere sonoro, costituito ad
esempio dall’articolazione oppure da una particolare connessione dinamica o melodica
con la nota successiva; in alcuni casi due note contigue nella successione sono ripetute
quasi a formare un “universo” a sé. Inine, la melodia viene divisa in cinque sezioni con
l’inserzione di pause e di echi, ovvero con una ripetizione lebile della nota precedente.
Insomma siamo di fronte a un vero e proprio brano, anche se della durata di circa un
minuto, in cui gli elementi musicali sono distribuiti con una estrema variabilità, ma
allo stesso tempo con un carattere ben deinito: ad esempio nel proilo della melodia,
che si espande da sol centrale in entrambe le direzioni per poi, alla ine, ricadere sul suo
centro e suggerire l’inizio di una nuova espansione. Il brano, curiosamente, sembra più
“mantrico” di MANTRA, perché utilizza più esplicitamente la ripetizione per passare
dal livello della singola enunciazione della formula a quello dell’intera composizione,
di circa settanta minuti, passando attraverso le strutture formali intermedie che sono
dedotte dilatando la formula per la durata totale della composizione. In questo modo, ad
esempio i caratteri della prima nota, che nella formula dura 1,6 secondi, domineranno
23
STOCKHAUSEN
24
i primi due minuti e mezzo dell’intera composizione e l’insieme delle prime tre
note, che nella formula durano complessivamente cinque secondi, costituiranno,
una volta dilatati per i settanta minuti del brano, la prima sottosezione della prima
parte (Ritmo), intitolata “Genesi” e lunga circa dieci minuti.
Dopo questa sorta di indagine musicale su come applicare le potenzialità della
formula a tutti i fondamentali parametri musicali, Stockhausen si è rivolto a un
progetto che lo ha tenuto impegnato per tre anni dal 1974 al 1977, se teniamo
conto di una pausa dedicata alla composizione di un altro brano fondamentale
nella carriera del compositore, HARLEQUIN (Arlecchino) per clarinetto. In
primo luogo il compositore si è concentrato sull’ainamento della composizione
di formule in TIERkREIS (Zodiaco), scrivendone ben dodici avendo in mente
per ognuna un segno zodiacale. In seguito si trattava di veriicare le potenzialità
della formula nell’uniicare, come già era stato fatto in kONTAkTE, il tempo
microscopico della forma d’onda con quello macroscopico della melodia.
SIRIUS, è l’opera in cui il compositore tenterà l’impossibile e cioè di portare
la tecnologia ai suoi limiti per poter trasformare le melodie dello Zodiaco in
timbri e naturalmente in tutto quello che sta a metà strada tra i due. In SIRIUS,
Stockhausen fa la summa delle tecniche di sintesi e di intermodulazione, vale a dire
dell’ibridazione sistematica tra fonti diverse, che aveva utilizzato nel corso di tutta
la sua ricerca compositiva, almeno a partire da kONTAkTE, ino a TELEMUSIk
e HYMNEN (Inni). A queste si aggiunge l’esperienza nell’elaborare astrattissime
strutture di controllo dei processi musicali che il compositore aveva enunciato per
la prima volta in PLUS-MINUS del 1963, costituito essenzialmente da istruzioni
per scrivere un brano, e che aveva sviluppato nel corso di tutti gli anni Sessanta
nella composizione di strutture per l’improvvisazione come PROZESSION
(Processione), kURZWELLEN (Onde Corte) e SPIRAL (Spirale).
SIRIUS rappresenta dunque un momento estremamente importante della
carriera di Stockhausen, un vertice che non si ripeterà più, almeno dal punto
di vista della musica elettronica. Dopo SIRIUS il compositore non si rivolgerà
infatti più alla costruzione meticolosa del micromondo sonoro per rivolgersi
essenzialmente, nella creazione delle parti elettroniche delle sue opere, al mondo
degli strumenti MIDI, con la grossolanità timbrica che li caratterizza almeno
ino all’introduzione della seconda generazione dei campionatori commerciali, o
tutt’al più a quello della musica concreta.
Per questo motivo SIRIUS rappresenta forse anche il vertice del pensiero
parametrico, nel senso della possibilità di un uso estremamente controllato del
continuo sonoro, come nella trasformazione di una melodia in un’altra melodia
o nella moltiplicazione di parametri complessi: “Il numero di parametri è sempre
aumentato. Alla ine anche il grado di presenza o il grado di attività sono stati
utilizzati in scale. Ed anche il grado di vitalità, cioè quanti parametri sono attivi
simultaneamente quindi non solo l’attività di un parametro, ma l’attività totale, la
vitalità di un fenomeno musicale, di un processo”24.
A questo punto, Stockhausen era pronto per il passaggio successivo: una grande
opera che potesse essere il monumento alla tecnica della formula e che in un certo
qual modo spostasse le scale temporali di SIRIUS verso l’estremo superiore. Il
rapporto che prima era tra la singola forma d’onda che enuncia in frazioni di un
decimo di secondo l’intera formula e l’esecuzione più dilatata di questa, diciamo di
quindici minuti, ora corrisponde al rapporto tra l’esecuzione più rapida possibile
di una versione sempliicata della formula (il cosiddetto “nucleo”) in, mettiamo,
un secondo, e quella più dilatata, di 16 ore. Per rendere conto di un tale sviluppo
gigantico, non bastava però una singola “melodia” e così alla base del ciclo di
sette opere LICHT abbiamo ora una “superformula”, vale a dire una polifonia
di tre formule simultanee, che non solo necessitano di criteri locali, propri di
ciascuna formula, ma anche di criteri che governino la polifonia e la disposizione
coordinata degli elementi nelle tre formule in modo che l’intera superformula,
struttura di partenza alla base dello sviluppo formale di LICHT sia a sua volta una
vera e propria composizione con un proprio disegno formale. Quindi da un lato la
superformula espande la sua struttura gerarchica a partire da un nucleo contenente
i parametri più fondamentali (altezze, durate, dinamica) già raggruppati in sezioni,
chiamate “membra” (Glieder), a ricordarci che l’idea di formula è debitrice anche
di un immaginario organicistico, che la concepisce come il DNA del brano inale,
i cui elementi sono parti di un tutto organico, il “corpo” della formula. Rispetto al
nucleo, ogni singola formula contiene degli inserti aggiuntivi che sono costituiti
da variazioni ornamentali degli elementi del nucleo, chiamati “accidenti”, da
momenti di respiro formale chiamati “pause colorate” e da brevi “improvvisazioni”,
che accentuano il carattere della singola formula. È quindi facile immaginare come
anche i parametri espressi dalla superformuala siano più complessi di tutte le
formule composte ino ad ora e includano anche, ad esempio, tipi di variazione
melodica, ritmica, dinamica e timbrica, nonché la presenza di rumore e anche della
voce, che espira/inspira, conta, schiocca la lingua e persino lancia dei baci. Ognuna
delle tre formule è legata a uno dei tre personaggi le cui relazioni vicendevoli sono
alla base della struttura narrativamente astratta di LICHT, e cioè a Michael (a cui è
25
STOCKHAUSEN
26
particolarmente dedicata la variazione dinamica), Eva (la variazione melodica)
e Luzifer (la variazione ritmica). “La formula, più di un leitmotif o di un proilo
psicologico, più di un tema da sviluppare o di una serie generativa: la formula è
la matrice e il piano della microforma e della macroforma ed è allo stesso tempo
la forma psichica e l’immagine vibrazionale di una manifestazione sopramentale”25. “La discesa e il salto verso l’alto, la tendenza a cadere verso il basso
o a risalire delle melodie, l’efetto rinforzante o indebolente delle articolazioni,
le relazioni tra strutture a momenti e strutture cicliche, l’indipendenza delle
“membra” e la loro relazione con il tutto organico, le possibilità di espansione e
compressione, di inversione o di penetrazione, di echi, scale e improvvisazioni,
di pause pure o colorate: caratteri così puramente musicali possono e devono
comunque essere percepiti come forze all’interno di una rappresentazione,
messa in atto dai protagonisti del ciclo di opere, che riguarda l’uomo e lo
sviluppo della sua consapevolezza spirituale”26.
Non c’è da stupirsi quindi se anche elementi ulteriori, oltre alla
caratterizzazione musicale nei termini stretti della superformula, vengono
introdotti a caratterizzare i singoli ruoli, in primo luogo gli strumenti: tromba
per Michael, corno di bassetto per Eva e trombone per Luzifer, ma anche
colori, odori, elementi della natura, simboli graici e molto altro. Ultimo, ma
non da meno, persino le tecniche di sviluppo della superformula sono scelte
per esprimere il carattere a cui sono dedicate, così che, ad esempio, a Lucifero
è dedicata la retrogradazione e la giornata della tentazione, il FREITAG
(Venerdì), è basata sulla fusione delle formule di Luzifer ed Eva in una nuova
formula chimerica. Insomma per LICHT possiamo certamente dire che non
solo la formula aggiunge al suo ruolo di “codice genetico” musicale, quello di
evocare musicalmente lo spirito a cui è dedicata, ma che persino la scrittura
musicale assume una funzione simbolica.
Prima di essere sottoposta alle tecniche di sviluppo più diverse, la
superformula deve poter, per così dire, lanciare una rete verso la macroforma
in modo da garantire la connessione tra i vari livelli formali. Questo viene
ottenuto essenzialmente attraverso due procedimenti di base: la ripetizione in
livelli nidiicati e lo sviluppo in strati. Nel primo caso, gli elementi strutturali
di cui è composta la superformula, una volta dilatata per la durata totale
dell’intero ciclo, vengono usati per segmentare il ciclo in sette opere, poi in atti
all’interno dell’opera e in sezioni all’interno degli atti, ino a che, ad esempio,
una nota della superformula può diventare l’espressione su scala totale di un
intero singolo brano. La superformula (o il suo nucleo, a seconda delle scelte
compositive) è poi presente nella scala della durata totale di ciascuna opera e poi
ancora in ciascun atto, in ciascun brano, sezione di brano e così via ino alle più
piccole determinazioni musicali, in modo da determinare una scomposizione del
tempo in frammenti proporzionali alle relazioni interne della superformula in cui
dominano i parametri musicali di quel frammento: quella nota, quella dinamica,
quel metronomo eccetera. Il compositore poi, per ciascun brano sceglie quali
espressioni della superformula utilizzare tra tutti quelli che sono stati determinati
dal processo di segmentazione nidiicata e li dispone quindi in uno schema formale
composto da strati, come parti di una polifonia. Su questo processo di scelta degli
elementi strutturali, che è rigoroso, ma permette comunque molte possibilità di
scelta, si innestano poi le tecniche di sviluppo individuate per ciascun brano.
Quello che si ascolta in LICHT, se si escludono gli inserti liberi, di cui il più
lungo è il brano DER JARHESLAUF, è sempre e solo la superformula, presente
in tutte o anche solo alcune delle tre formule parziali, in varie scale di velocità, di
trasformazione e anche di metamorfosi. In questo senso la tecnica della formula
può essere deinita come un procedimento di sviluppo frattale, che conferisce
all’intero ciclo la proprietà di essere autosimile, cioè di presentare una versione di
se stesso nella sua totalità ad ogni scala di osservazione-ascolto.
Ma un’opera è un’opera e allora, oltre alla musica vi sono scenograie, proiezioni
di ilmati, ballerini e mimi, persino, nel progetto del compositore, mostre e
installazioni coordinate al contenuto delle opere27 per non parlare di tutti gli
elementi simbolici che sono un po’ l’espansione della superformula nel dominio delle
altre percezioni sensoriali. Spesso, nel parlare di LICHT viene spontaneo evocare la
igura di Wagner e la sua proposta di un’opera d’arte totale, di un Gesamtkunstwerk.
Ma Stockhausen nega quest’associazione: “...tutto quel che ho creato di visibile è
un trasferimento visuale diretto di quel che ho composto musicalmente, con in più
la fantasia delle scenograie”28 e dei costumi, aggiungeremmo noi, realizzati da chi
ha collaborato con il compositore nell’allestimento delle sue opere.
Ciononostante non si tratta certo di una teatralità convenzionale. Un esempio
su tutti: la parte di danza prevista per il brano EXAMEN, il inale del primo atto di
DONNERSTAG (Giovedì). Qui Stockhausen cerca di creare un collegamento stretto
tra musica e movimento, utilizzando la partitura come una vera e propria notazione
di danza, una sorta di versione musicale della notazione Laban. Si tratta in efetti della
parametrizzazione di elementi spaziali e corporali, che era già stata utilizzata per la
prima volta nella scrittura della parte solistica di INORI, aidata a danzatori-mimi,
27
STOCKHAUSEN
28
e che permette di tradurre in movimenti una partitura, magari scritta seguendo
principi tutt’altro che coreograici. In sostanza la notazione consiste nell’associare le
coordinate spaziali di uno spazio bidimensionale ai parametri musicali dell’altezza
e della dinamica, così che la profondità del palco rappresenta l’asse delle dinamiche
e la sua larghezza quella delle altezze. Nello stesso modo, come avveniva per
INORI, la posizione verticale di una mano esprime l’altezza di una nota mentre la
distanza dal petto è fornita dalla dinamica. In questo modo è possibile scrivere una
polifonia a tre parti che il danzatore può tradurre rigorosamente con i movimenti
delle due braccia e con la posizione sul palco, essenzialmente gestita dalle gambe.
Certo la tentazione luciferina di sostituire i signiicati gestuali e motòri a cui siamo
abituati con le logiche assolutamente aliene al corpo della costruzione seriale è
dietro l’angolo e non c’è quindi da stupirsi se questa tecnica è stata poi utilizzata
intensivamente per realizzare il “balletto meccanico” che costituisce uno dei tre
strati di cui è composto il FREITAG, quello delle “scene sonore”, attraverso una
grottesca polifonia di dodici coppie di danzatori. Ma il grottesco in LICHT è
proprio il registro stilistico di Lucifero ed è sempre rappresentato in interventi
teatralmente appariscenti e con igure mostruose, come il Luzipolyp (Lucipolipo)
del MONTAG (Lunedì) o il Lucikamel (Lucicammello) del MITTWOCH e poi
soprattutto nell’opera dedicata a Luzifer, il SAMSTAG in tutti gli elementi che lo
compongono, compreso lo sciopero dell’orchestra che interrompe la LUZIFERS
TANZ o i monaci del inale, che irrispettosamente cercano di ricavare vaticini
dalla frantumazione di noci di cocco, condotta rumorosamente e in toni farseschi
in mezzo al pubblico, il quale a sua volta sta seduto, nel primo allestimento
milanese, in modo da comporre un gigantesco viso di Lucifero.
Dunque l’uso simbolico della tecnica compositiva e l’estro teatrale degli
allestimenti dimostrano un legame con il teatro che non nasce nell’ultima
ora, nella stagione della composizione di opere. Già kONTAkTE, del 1958
prevedeva che i musicisti si muovessero sul palco per raggiungere al centro un
grande tam-tam, illuminato da una luce rossa. Ma anche prima, in fondo la
disposizione degli altoparlanti di GESANG DER JÜNGLINGE (Il Canto dei
Fanciulli), che nel 1956 si pone agli albori della spazializzazione elettronica,
dimostra una tensione verso la teatralità, con la disposizione assolutamente
insolita per l’epoca, di un altoparlante sul soitto e persino nel precedente
GRUPPEN, il compositore aveva previsto che i trombettisti a un certo punto si
alzassero in piedi, così da parodiare “l’atteggiamento dei soliti solisti”29.
L’umorismo è una componente importante dell’opera di Stockhausen
e pervade la sua opera in una vasta gamma di espressioni. A partire dagli esiti
più goliardicamente triviali, come lo sfrontato peto musicale, che un dispettoso
Arlecchino emette con il clarinetto proprio in faccia al pubblico in HARLEQUIN,
alle visioni grottesche od oniriche della pièce di teatro musicale MUSIk IM
BAUCH (Musica nella Pancia), ispirata dai borborigmi della iglia Julika a due
anni e strutturata come una sorta di adorazione di un idolo, Miron, un pupazzo
dalla testa d’uccello che ricorda in modo inquietante il compositore stesso. Tra
i due estremi troviamo un umorismo esplicito, come le gag di cui è costellato
MOMENTE. Tra le tante: lo specchiamento del pubblico attraverso la riproduzione
delle proteste e dei commenti ad alta voce che imperversavano nelle esecuzioni di
musica contemporanea dell’epoca, per non parlare del momento in cui il coro,
inito l’applauso di rito del pubblico, inizia ad applaudire il pubblico stesso. Oppure
quello implicito e nascosto, come quello che a volte si mimetizza all’interno dei
testi cantati dal coro in LICHT. Un esempio su tutti: in MICHAELION, terzo atto
di MITTWOCH, sul inale della sezione intitolata SHOE-SHINE SERENADE
(La Serenata del Lustrascarpe), quando nell’elenco di stelle e costellazioni viene
nominata Sirio, i soprani commentano:“Sirio, la stella a cui Stockhausen ha
dedicato il suo lavoro elettronico. Sirisirio. Gli spiriti di Sirio hanno il senso
dell’umorismo”30. Ma l’umorismo è solo una parte dell’atteggiamento giocoso, che
oscilla in continuazione tra un’innocenza quasi infantile, una visionarietà onirica
che raggiunge esiti a volte grotteschi e morbosi; un ultimo esempio: l’indemioniato
BABY BUGGY BOOGIE (il Boogie dei Passeggini) del primo atto di MONTAG
e il piacere tutto joyciano (il compositore è stato un grande appassionato del
Finnegans Wake) di incrociare signiicati la cui radice più esplicitamente ispirativa
può essere fatta risalire a una delle idee più importanti per la musica del Novecento
e cioè quella di una morfologia generale, come è stata espressa da Hermann Hesse
nel suo “Gioco delle Perle di Vetro”31.
Tempo, tecnologia, musica e teatro, come abbiamo detto, sono temi che
Stockhausen coordina attraverso una antropologia, cioè una visione dell’uomo,
e una cosmologia, cioè una visione dell’universo e delle forze che lo guidano, che
sono maturate nel corso degli anni. Stockhausen è sempre stato legato alla religione
Cattolica, come testimonia il deo gratias che conclude la partitura di GRUPPEN,
e la dichiarazione di essersene allontanato32, ha il sapore dell’autoesilio, doloroso
ma necessario, causato dal non poterne seguire le regole, in particolare quelle
legate al matrimonio. Ciò non signiica naturalmente che Stockhausen non fosse
in contatto con altre dottrine. Tra tutti, gli inlussi più signiicativi sono forse stati
29
postmedia books
30
quelli esercitati dallo lo yoga e dal buddismo Zen. La dottrina dello yoga e in
particolare quella di Sri Aurobindo è molto presente nell’opera del compositore
specie a partire dalla ine degli anni Sessanta, sia nella scrittura dei testi e nello
sviluppo di una tecnica compositiva ed esecutiva basata sull’intuizione, sia nella
visione evolutiva dell’essere umano come uno spirito che attraverso successive
incarnazioni persegue l’ampliamento della coscienza. Bisogna rendersi
conto che la ragione è solo uno strumento, ma che è al mondo spirituale
che dobbiamo arrenderci divenendo “ricevitori radio” di quanto il mondo
spirituale ci comunica attraverso intuizioni.
In questa visione progressiva dell’uomo come fase transitoria verso una
più alta realizzazione va inquadrato il ruolo della musica e l’esperienza
dell’ascolto, come strumenti per accedere attraverso l’esperienza
smaterializzante del suono a una coscienza più alta. Forse il testo che
meglio esemplifica la visione di questo periodo è lo “Statuto per i giovani”,
un appello che il compositore aveva scritto rispondendo alla richiesta del
francese Journal Musical di rivolgersi agli studenti del 1968 in rivolta, in
cui Stockhausen invoca, pur con la cautela che l’occasione richiedeva, il
principio superiore della consapevolezza del tutto attraverso la musica33.
Con il buddismo Zen e in generale con la cultura giapponese, il compositore
si è trovato in contatto molte volte durante la sua carriera, riportandone
idee e suggestioni fondamentali, come quelle a proposito dell’esperienza del
tempo34. Fondamentale è stato l’incontro, alla ine degli anni Sessanta, con
un ultranovantenne Daisetsu T. Suzuki, il maestro Zen che è stato un po’
l’esportatore in occidente di questa dottrina. Dall’incontro con Suzuki, il
compositore ha tratto una rideinizione del rapporto tra naturalità e artiicialità,
che lo porterà a fuggire il più possibile le istanze culturali esterne, specie nella
deinizione della propria spiritualità per rimandare le sue basi il più possibile
alla propria esperienza35.
Ancora una volta siamo di fronte alla tensione verso l’unità, che ora viene
rivolta alla ricerca di una coesione tra il microcosmo dell’intuizione personale
e il macrocosmo della geometria di forze che governano il cosmo, attraverso un
principio che somiglia molto all’autarchia, con tutti i rischi, dall’isolamento
alla follia, che essa comporta.
All’inizio degli anni Settanta, Stockhausen è reduce dalla realizzazione di
STERNkLANG (Suono di Stelle), un’opera complessa dedicata a soniicare le
geometrie delle costellazioni, quando inizia a ricevere una serie di indizi legati
alla stella Sirio, la stella più brillante del nostro cielo che si trova nella costellazione
del Cane Maggiore, e al suo ruolo di centro del nostro universo, che culminano
con l’esperienza di sogni rivelatori, “sogni pazzeschi, dai quali risultava non solo
la mia provenienza dallo stesso Sirio, ma anche il fatto di avervi compiuto la mia
educazione musicale”36.
Ma il microcosmo trova un accordo con il macrocosmo quando, in quelli
stessi giorni, il compositore viene avvicinato in modo plateale a New York da un
personaggio strano che gli parla di un libro rivelatorio, il Libro di Urantia, che
poi gli vende!
Si tratta di un testo apparso tra il 1924 e il 1955 sotto forma di dettatura ad
un anonimo scrittore che in stato di trance scriveva quanto gli veniva trasmesso
da entità celesti come “un Corpo di Personalità Superuniversali di Uversa agente
per autorità degli Antichi dei Giorni di Orvonton”, il quale patrocina ad esempio
la prima parte del libro. Citiamo dal sito della Fondazione Urantia, che si occupa
della difusione del libro, che del resto è ormai di pubblico dominio: “Gli scritti
de Il Libro di Urantia ci informano sulla genesi, la storia e il destino dell’umanità
e sulla nostra relazione con Dio il Padre. Essi ci presentano una descrizione
unica ed irresistibile della vita e degli insegnamenti di Gesù. Essi aprono nuovi
orizzonti di tempo e di eternità allo spirito umano e forniscono nuovi dettagli
sulla nostra avventura ascendente in un universo accuratamente e amichevolmente
amministrato”37.
Il libro descrive dunque una visione del cosmo spirituale attraverso la igura
di Gesù, visto come l’incarnazione di Michael di Nebadon, e una cosmologia
complessa di universi locali disposti in strati concentrici, che pur essendo stata spesso
deinita una degenerazione fantascientiica del Cristianesimo, riesce comunque a
tener testa allo scetticismo in virtù della sua qualità letteraria, della complessità di
visione e di una grande coerenza intrinseca. La natura ecumenica de libro, che pur
essendo vicino al Cristianesimo se ne allontana per alcuni aspetti fondamentali,
lo rende aperto verso quanto di positivo può essere preso da tutte le religioni del
pianeta, specie dal Buddismo, e dalla personale esperienza di ciascun lettore. La
frase “si possono discutere le opinioni su Dio, ma l’esperienza con lui ed in lui è
al di sopra e al di là di ogni controversia umana e della mera logica intellettuale”38
ben si addice alla personalità creativa di Stockhausen, poco disposto ad accettare
un credo imposto dalle istituzioni, di cui in dall’infanzia ha imparato a sospettare.
Il Libro di Urantia diventerà quindi negli anni molto importante per
Stockhausen al punto da imporne la lettura ai suoi studenti di Colonia nel 197439
31
STOCKHAUSEN
32
e a diventare una fonte di ispirazione fondamentale per la composizione a
partire da SIRIUS ino agli ultimissimi lavori. In particolare il libro fornirà la
struttura semantico/narrativa dell’intero ciclo LICHT e ispirerà direttamente
i brani della seconda parte di kLANG, che prendono il titolo proprio dal
nome degli universi della cosmologia urantiana.
Vale la pena di dare una estremamente sommaria descrizione delle relazioni
tra i tre personaggi di LICHT, le cui formule individuali danno origine alla
superformula che è alla base del ciclo. Il signiicato di LICHT ruota intorno
all’esperimento-Terra (che per gli urantiani si chiama, appunto Urantia), vale
a dire: l’uomo “il grumo di materia pesante destinato dal Padre supremo (...) a
‘insidiarsi’, a raggiungere al condizione di puro spirito”40. Di coordinare questo
esperimento, realizzato da una sorta tecnico genetico-spirituale, Eva, è incaricato
il reggente del nostro universo locale, uno dei settecentomila universi esistenti,
con capitale Sirio: Luzifer, il quale si ribella perché ritiene blasfemo che si possa
contaminare lo spirito con la materia. Il Reggente Supremo, Dio, è costretto
a cacciarlo dal suo posto di comando e a sostituirlo con Michael, che diviene
quindi il promotore di questo esperimento e a Luzifer non rimarrà che farsi
da parte per cercare, non appena possibile, di impedire l’esperimento umano,
ponendosi dunque come l’antagonista della volontà di Dio. Queste vicende
rimangono sullo sfondo di LICHT, ma sono fondamentali perché determinano
la caratterizzazione, musicale o meno, dei tre personaggi e delle relazioni tra loro
in modo che nel ciclo LICHT tre opere sono dedicate a un singolo personaggio
(Lunedì per Eva, Giovedì per Michael e Sabato per Luzifer), tre opere sono
dedicate al rapporto tra due personaggi (Martedì per Michael e Luzifer, Venerdì
per Eva e Luzifer e Domenica per Eva e Michael) e una è dedicata all’incontro
dei tre (il Mercoledì), per un totale di sette opere.
Bisogna aggiungere che, come conseguenza dell’indipendenza e l’individualità
insite nella ricerca di una “naturalezza” della visione interiore, anche l’adesione
al Libro di Urantia non è stata esente da personalizzazioni, ad esempio il tema
di Sirio come capitale dell’universo locale, che non è presente nel libro, ma
anche il ruolo di Eva, che nell’opera di Stockhausen diventa parte di una triade
fondamentale, mentre nel Libro di Urantia è sullo sfondo delle vicende terrestri,
più semplicemente come colei che ha portato al fallimento l’esperimento
condotto insieme ad Adamo41. Il prezzo da pagare per l’indipendenza è la
solitudine, fosse anche quella del capo, così la comunità degli urantiani non ha
mai veramente riconosciuto Stockhausen come uno di loro.
Tempo, tensione all’unità, naturalità come indipendenza, teatralità, spiritualità
sono solo alcuni temi che possono essere rintracciati nella vita e nell’opera di
Stockhausen, che abbiamo scelto di afrontare in queste pagine pur in modo ben
lontano dall’essere esaustivo e con l’intento di introdurre quegli elementi che nel
testo di Maconie, per motivi di contingenza sono trattati in modo incompleto
o sono assenti. Abbiamo fornito delle chiavi di lettura, alcune delle quali, come
quella che lega l’incontro con Suzuki al suo rapporto con la fede, che sono
estranee alla ricerca musicologica attuale sul compositore, ma che hanno il pregio
di connettere punti molto lontani della biograia del compositore, aiutando,
specie chi si avvicina a Stockhausen da non esperto, ad avere una visione più
compatta di una personalità tanto espansiva e multiforme da apparire a tratti
contraddittoria.
Certo, Stockhausen è iglio del proprio tempo con una visione
fondamentalmente riduzionistica della scrittura musicale, la quale tuttavia non si
nega talvolta inserti intuitivi, nel contesto di un progressismo quasi teleologico. E
infatti il compositore situa il proprio lavoro all’interno della tradizione millenaria
della musica occidentale, ma nell’ottica di una continua trasformazione verso
una consapevolezza superiore, attraverso la presa di coscienza razionalistica
dei problemi connessi alla scrittura da un lato e l’esperienza dell’ascolto come
ainamento della sensibilità verso un mondo spirituale dall’altro.
In questo senso l’opera del compositore conduce le istanze della cultura a
cavallo tra Ottocento e Novecento, con l’ampliamento della visione dell’universo
portato dalle scienze isiche, ma anche da quelle biologiche, con la nuova
possibilità fornita della teoria dei sistemi e della cibernetica di connettere tra loro
elementi del sapere diversissimi e con la scoperta occidentale del valore spirituale
delle culture orientali e della loro capacità di fornire una teoria del tutto che alla
scienza sembrava essere preclusa, attraverso la tecnologia e il sogno di un uomo
rinnovato per mezzo di essa, nel pieno contesto del Ventesimo secolo.
Naturalmente Stockhausen in questo non è solo: se abbiamo detto che insieme
a Cage è diventato un’icona pop, ciò signiica anche che molti temi del suo lavoro,
come il riduzionismo della scrittura pur quando si occupa di alea, la rottura con
il passato che va recuperato come materiale l’idea di ricerca e il ripensamento
del tempo musicale che perde la sua linearità narrativa sono comuni a gran parte
dei compositori che vengono radunati non solo sotto l’egida della Scuola di
Darmstadt, ma anche dell’etichetta di “musica contemporanea” in generale e in
molte delle sue declinazioni individuali e nazionali
33
massimiliano viel
34
Quello che distingue Stockhausen da molti dei suoi contemporanei è il
desiderio e la capacità di articolare la pratica della composizione, una cosa
che molti compositori preferiranno avvicinare al concetto di “artigianato”, in
un pensiero sistematico e a tutto tondo, che cerchi di includere il fare musica
in una visione dell’uomo nella sua totalità e con un suo posto nel cosmo. E
dunque la musica è sì pensiero, conoscenza accumulabile, che ha in questo un
modello preciso da seguire nelle scienze, ma è soprattutto disciplina. È disciplina
individuale e cioè in primo luogo di Stockhausen stesso, sempre alla ricerca del
nuovo dal punto di vista sonoro-esperienziale: persino pochi istanti prima di
morire, come riporta l’urantiano Christian Ruch nel suo “addio” a Stockhausen42
il compositore dichiarava di avere scoperto un nuovo modo di respirare.
È disciplina per il musicista, che attraverso la composizione e l’esecuzione di
musica diventa un tramite, come un “ricevitore radio” tra il piano di esistenza
umano e quello spirituale, e che quindi ha una responsabilità verso la società
che deve svilupparsi in una deontologia.
La musica è inine l’occasione per la società di esercitare lo spirito con
l’ascolto di un qualcosa che, essendo eminentemente astratto e impalpabile,
riesce ad elevare l’attenzione dell’ascoltatore oltre la materia per portarlo a
contatto con un mondo sottile e nascosto, aiutati anche dalla tecnologia e dal
suo progressivo processo di smaterializzazione della cultura.
Ad oggi però il progetto sembra destinato, almeno temporaneamente, a
fallire, nonostante la tecnologia sembri volerci traghettare verso il post-umano
della singolarità tecnologica43, prima di aver veramente capito cosa signiica
essere umani.
L’alato progressista, il senso positivo di rinnovamento e l’idea di musica
come forma di pensiero sembrano essere essenzialmente venuti meno negli
ultimi trent’anni. In primo luogo, la tecnica compositiva, dopo quello che
sembra l’ultima scintilla portata dalla scuola spettralista, sembra essere
prevalentemente ricaduta nel privato, quindi non più patrimonio da discutere
e studiare, ma personalissima “rete per catturare signiicati”44, vero e proprio
attrezzo che ha perso la sua necessità di teorema per acquisire la contingenza
di uno strumento usa-e-getta. Di conseguenza oggi la musica contemporanea
sembra essere diventata essenzialmente uno stile tra i tanti, che può essere
utilizzato, magari nella colonna sonora di un teleilm, a ianco di citazioni
mahleriane o di successioni accordali pop.
Inine, la musica ha accolto in modo sempre più rassegnato il suo ruolo esclusivo
di intrattenimento prima nelle ontologie dei database online, poi nella coscienza
delle persone, compositori compresi.
Non che ci sia nulla di male: è importante andare oltre la visione ingenua di
scrittura come calcolo e riconoscere quindi la valenza alchemica del comporre
come lavoro su se stessi, inoltre è naturale che una tassonomia, come lo schema di
oggetti, relazione e forme stockhauseniana, possa, con l’uso, venire interiorizzata
ino a diventare più o meno inconsapevole. Per non parlare della ricerca di
divertimento, anche attraverso la danza, implicito nell’ascolto musicale, che non
solo è inevitabile, ma anche auspicabile, inché non entriamo nel meccanismo di
produzione globale di servizi, quello dei media e dell’industria dello spettacolo. E
allora il rischio è quello di tarare la nostra sensibilità su quello che non riusciamo
a evitare dei mass-media e così crediamo di essere liberi quando invece possiamo
scegliere solo tra musica “country” e “western”45.
Insomma oggi la musica di tradizione classica sembra aver intrapreso una
dissolvenza, anche dovuta a una deresponsabilizzazione delle istituzioni pubbliche nei
riguardi della cultura in genere, specialmente di quella che non si adegua al principio
populistico di privilegiare ciò che è più gradito alla massa, a cui bisogna aggiungere,
almeno in Italia, una apparentemente sistematica distruzione dell’educazione pubblica.
In compenso, i mass media sembrano voler ricondurre la società a un periodo in cui il
concetto di “musica classica” nel senso attuale non era stato ancora inventato46, cioè
alla prima metà dell’Ottocento, e in cui non si era ancora veriicato quello squilibrio
tra musica del proprio tempo e musica del passato, che ha caratterizzato almeno
gli ultimi 150 anni. E così se da un lato la musica contemporanea sembra essere
troppo imparentata con la musica del passato per essere ascoltabile oggi, negli ultimi
cinquant'anni sono state realizzate molte produzioni e sperimentazioni, come nel
“rock psichedelico”, nell’”industrial rock”, nel “noise”, nella “techno sperimentale”
eccetera, che, pur nella distanza dalla scrittura e con il rischio di ripetere cose già
fatte, presentano molte somiglianze con alcuni esiti della musica contemporanea.
Insomma, rispetto al 1952, anno in cui Stockhausen ha scritto la sua opera prima
uiciale kONTRA-PUNkE, il mondo è molto cambiato e dall’esplosione della
Nuova Musica si è giunti oggi a una situazione in cui “la tradizione della scrittura
musicale potrebbe dover proseguire sotterraneamente”47.
Tuttavia oggi, per parafrasare Boulez, “Stockhausen rimane”. Confrontarci
anche e soprattutto criticamente con il lavoro di Stockhausen è inevitabile se
35
STOCKHAUSEN
36
vogliamo capire dove siamo con la nostra pratica di musicisti e ascoltatori.
Studiare i suoi testi ci fornisce ininiti spunti di rilessione e ci fa capire quanto
egli abbia dedicato la sua vita alla musica nel senso più pieno cercando non
solo di indagarne gli aspetti storici, cognitivi e tecnici, ma anche di capirne il
ruolo profondo all’interno della società e in una visione dell’uomo come carne
e spirito. Analizzare le sue partiture ci fa capire come ogni elemento musicale
sia parte di un pensiero più vasto che lo comprende meticolosamente e che non
si discosta mai dalle problematiche pure della scrittura, per farsi ingabbiare da
concettualismi extramusicali. Ci fa inoltre capire come anche la stesura della
partitura sia una vera e propria componente della composizione a cui viene
dedicata da Stockhausen una grande attenzione, nella graica e nella scelta
di una notazione rispettosa dell’esecutore, che non si abbandona a graismi
manieristici ed è sempre inalizzata al risultato sonoro. Ascoltare la sua musica
ci fa capire quanto la curiosità e l’apertura al nuovo siano una componente
fondamentale della musica contemporanea in quanto pensiero e al contrario,
quanto la chiusura su generi musicali, stili e stilemi sia la morte dell’ascolto,
cioè dello sviluppo di una sensibilità musicale che vada oltre l’identiicazione
con un gruppo sociale e culturale per essere semplicemente umana.
1. Pritchard Stephen, “Mittwoch aus
Licht; BBC Proms 50 & 51 - review” in
“he Observer”, 26 agosto 2012 [WWW
Document]. URL www.guardian.co.uk/
music/2012/aug/26/mittwoch-aus-lichtbirmingham-review
2. Per una celebre disamina dei molteplici
rapporti tra rumore, musica e suono: Nattiez
Jean Jacques, Musicologia generale e semiologia,
EDT, Torino 1989, da pagina 36 in avanti.
3. Forse la più celebre critica alla
scientiicità delle formulazioni teoriche
di Stockhausen è contenuta in Backus
John, “Die Reihe: A Scientiic Evaluation”
in “Perspectives of New Music” vol. 1
n.1, 1962, pp 160-171, ristampata in
“Composer” n.14, 1964, pp. 16-20. Per
una discussione delle critiche: koenigsberg
Chrisyopher k., “karlheinz Stockhausen’s
New Morphology of Musical Time
[WWW Document]. URL www.music.
princeton.edu/~ckk/smmt/ (2007, Sep. 21)
4. Read Ronald C. e Lily Yen, “A Note
on the Stockhausen Problem” in “Journal
of Combinatorial heory” 76, n.1, ottobre
1996, pp 1–10.
5. Cardew Cornelius, Stockhausen serves
Imperialism, he Anchor Press Ltd,
Tiptree Essex, 1973 [trad. it.: Stockhausen
al servizio dell’Imperialismo, Edizioni di
Cultura Popolare, Milano, 1976 ] p.53
6. Gentilucci Armando, Introduzione alla
musica elettronica, Feltrinelli, Milano,1972,
p.76
7. Qui riportiamo i ricordi personali di
chi scrive.
8. Tommasini Anthony, “he Devil Made
Him Do It” in “New York Times”, 30
settembre. URL www.nytimes.com
9. Il 19 settembre 2001, con un
messaggio online (www.stockhausen.
org/message_from_karlheinz.html) il
compositore ha cercato di correggere la
mancanza del contesto con cui è stata
riportata l’intervista, di cui è possibile
leggere l’intera trascrizione a partire dal sito
www.stockhausen.org/hamburg.pdf.
10. Chi scrive ricorda che in occasione
della prima di FREITAG AUS LICHT
(Venerdì da Luce) a Lipsia, la stampa locale
aveva accusato Stockhausen di essere invece
antitedesco ed esteroilo, in quanto aidava
troppo spesso la realizzazione delle sue
opere a interpreti stranieri.
11. Oltre ai contatti personali, tra i
quali spicca l’amicizia con John Lennon,
Stockhausen appare anche in tributi
uiciali come quello che gli hanno rivolto
i Beatles con la copertina dell’album
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band e
quello di Frank Zappa nell’interno di
copertina del suo primo album . Altri
esempi di contatto con il mondo del
pop (più o meno sperimentale) sono
l’intervista realizzata da Björk per la rivista
“Dazed & Confused” nel 1996 (n.08) e
il tentativo, piuttosto maldestro secondo
la nostra opinione, di mettere in contatto
il compositore con gli enfants terribles
(per l’epoca) della musica elettronica cioè
Aphex Twin, Plastikman, Scanner e Daniel
Pemberton, realizzato da “he Wire”, il
cui risultato è stato pubblicato novembre
1995 con il titolo “karlheinz Stockhausen.
Advise to clever children...”. Se si pensa
che alla ine Aphex Twin (Richard D.
James) tratta Stockhausen come un
musicista che fa quello che fa perché non
è capace di far ballare il pubblico, si può
apprezzare l’accortezza con cui Plastikman
37
STOCKHAUSEN
38
(Richie Hatwin) ha declinato l’invito.
Ciononostante il legame tra Stockhausen
e la musica di massa persiste; così per
promuovere l’esecuzione di MOMENTE
a Zurigo del 1998, i manifesti dell’evento
inneggiavano a lui come “il Padre della
Musica Tecno” e in efetti nel 2000 il
compositore è stato anche invitato a uno
dei più importanti festival di musica
elettronica, prevalentemente dance: il
SÒNAR di Barcellona.
12. Qui e più avanti nel testo di
Maconie ci riferiremo alla trascrizione
uiciale cinese (il pinyin di quello che in
passato veniva indicato con “I king” o “I
Ching”).
13. Anche qui riportiamo i ricordi
personali di chi scrive riguardanti i Corsi
di Darmstadt del 1994.
14. Si veda ad esempio come testo
generale sull’argomento: Nudds M. e
O’Callaghan C., Sounds and Perception,
Oxford University Press, Oxford, 2009.
15. Smalley Roger. 1969. “Stockhausen’s
Piano Pieces: Some Notes for the
Listener”. in “Musical Times” 110, n.1
(Gennaio 1969, no. 1511), pp. 30–32.
16. Dufallo Richard, “Vibrato between
Intuition and Mental Work” in Trackings:
composers speak with Richards Dufallo,
Oxford University Press, Oxford,
1990 poi incluso in Stockhausen
karlheinz, TEXTE zur MUSIK Band
10, Stockhausen Verlag, kürten, 1998,
p.109. Anche online all’indirizzo: www.
stockhausen.org/vibrato.html
17. kurz Michael, Stockhausen. A
Biography, Faber and Faber, London,
1992, p.60
18. In Stockhausen karlheinz, TEXTE
zur MUSIK 1963-1984 Band 1,
DuMont Schauberg, köln, 1963 p.140.
19. Road Curtis, Microsound, he MIT
Press, Cambridge massachusetts, 2004,
p.73. 20.
20. Stockhausen karlheinz. "Actualia" in
“Die Reihe” (English Edition) 1 (1958):
pp.45-51 [trad. it.: “Problemi attuali” in
Pousseur Henry (a cura di ), La musica
elettronica, Feltrinelli, Milano, 1974, pp.
111-120.
21. La prima formulazione dello schema,
che nel corso degli anni ha subìto diversi
aggiustamenti, specie terminologici, risale
all’articolo “Erindung und Entdeckung”
incluso in Stockhausen karlheinz,
TEXTE zur MUSIK 1963-1984 Band 1,
DuMont Schauberg, köln, 1963 p.222.
22. Stockhausen karlheinz, TEXTE zur
MUSIK 1970-1977 Band 4, DuMont
Schauberg, köln, 1978 p.51.
23. Tannenbaum Mya, Karlheinz
Stockhausen. Intervista sul genio musicale,
Laterza, Bari, 1985, p.13.
24. Viel Massimiliano, “Incontro con
karlheinz Stockhausen di Massimiliano
Viel. Formeltechnick: ponte tra
razionalità, intuito e memoria” in “Sonus:
Materiali per la musica contemporanea”,
n.1/2, 1988-89, p.60.
25. Stockhausen karlheinz,
“Multiformale Musik” in Stockhausen
karlheinz, TEXTE zur MUSIK 19771984 Band 5, DuMont Buchverlag,
köln, 1989 p.667.
26. Peters Günter, Heiliger Ernst im
Spiel. Studien zur Musik von Karlheinz
Stockhausen / Holy Seriousness in the
Play. Essays on the Music of Karlheinz
Stockhausen, Stockhausen-Stiftung für
Musik, kürten, 2003, p.157.
40. Ferrari Luigi, “Donnerstag, giorno di
Michael” in “Stockhausen. Donnerstag aus
Licht” Libretto dell’opera, Milano, 1981,
p.174.
27. Obrist Hans Ulrich, “Interview:
karlheinz Stockhausen” in “Domus” n.876,
dicembre 2004.
41. Il libro di Urantia, Urantia
Foundation, Chicago, 2006, p.845.
28. Obrist Hans Ulrich, ibidem.
29. Tannenbaum Mya, 1985, p.126.
30. Stockhausen karlheinz,
MICHAELION, [Partitura] Stockhausen
Verlag, kürten, 1997, pp.55-56.
31. Sull’inluenza del romanzo di Hesse
nell’opera di Stockhausen, si veda ad
esempio: von Blumröder Christoph von
e kohl Jerome, “Orientation to Hermann
Hesse“ in “Perspectives of New Music”,
Vol. 36, No. 1 (Winter, 1998), pp. 65-96.
32. Dufallo Richard, 1990.
33. In Stockhausen karlheinz, TEXTE
zur MUSIK 1963-1970 Band 3, DuMont
Schauberg, köln, 1971 pp. 292-95.
34. Si veda ad esempio: Dufallo Richard,
1990.
35. kurz Michael, 1992, p.144.
36. Tannenbaum Mya, 1985, p.57.
42. www.urantia.org/news/2008-03/
famous-composer-and-urantia-bookreader-karlheinz-stockhausen-has-died
43. Hayles katherine N., How We Became
Posthuman: Virtual Bodies in Cybernetics,
Literature, and Informatics, University of
Chicago Press, Chicago, 1991.
44. L’espressione è di Brian Ferneyhough.
45. Ci riferiamo alla celebre scena del ilm
di John Landis he Blues Brothers in cui i
fratelli Blues chiedono al padrone del Bob’s
Bunker quale tipo di musica si suoni in
quel locale e ai quali viene risposto: “Di
tutti e due i tipi: il country e il western”.
46. Sorcekeller Marcello,
“Declassicizziamo la musica ‘classica’: alcune
rilessioni sul giardino botanico dell’arte dei
suoni” in “Musica/Realtà”, LXXIX (2006),
no. 1, pp. 23-34.
47. Comunicazione personale di
Stockhausen all'autore.
37. www.urantia.org/it/il-libro-di-urantia
38. Il libro di Urantia, Urantia
Foundation, Chicago, 2006, p.30.
39. kurz Michael, 1992, p.196.
39
LA MIA INFANZIA
Da una conversazione informale
con un intervistatore anonimo. Londra 1971
Vengo da una famiglia di contadini. Mio padre veniva da una famiglia di
contadini molto poveri e anche mia madre. Mio padre fu il primo della sua famiglia
a diventare, per così dire, un intellettuale. Aveva studiato per un breve periodo dopo
la Prima Guerra Mondiale e così era diventato insegnante. Mi raccontava spesso
di quando, per andare a scuola, doveva camminare ino alla stazione per più di
un’ora, nascondere le sue scarpe sporche dietro un albero, cambiarsi velocemente i
pantaloni, pettinarsi e saltare sul treno di corsa. Questa cosa mi aveva molto colpito.
Ho sempre goduto di buona salute. Sono dotato di un isico veramente buono.
Ciò è dovuto al fatto che in dall’infanzia ho dovuto fare lavori isici. Fin dai tre,
quattro anni lavoravo tutto il giorno in giardino oppure correvo a riscuotere i
contributi che mio padre doveva raccogliere per il partito o altre associazioni, come
era dovere di un insegnante nel Terzo Reich. Ogni mese bisognava riscuotere i
contributi tre o quattro volte. Una volta dicevano che era per il popolo Germanico
residente all’estero, un’altra volta era per il Winterhilfe, cioè a sostegno dei poveri
durante l’inverno. Ma in verità i contributi venivano tutti utilizzati per aumentare
a dismisura il potere nazionale: per l’esercito, le organizzazioni giovanili eccetera.
Gli insegnanti avevano il compito di raccogliere i soldi e toccava a me farlo nella
nostra zona, dato che, essendo poveri, mio padre doveva anche lavorare come
bracciante per guadagnare qualcosa di più.
La musica era presente nella mia famiglia. Mio padre suonava il pianoforte:
era autodidatta e suonava soltanto sui tasti neri, ma il suono che ne usciva era
incredibile. A me sembrava una cosa meravigliosa. Forse ogni tanto suonava anche
i tasti bianchi, ma fondamentalmente era un suonatore di tasti neri. Suonava
anche abbastanza bene il violino. Mia madre doveva avere un eccezionale talento
musicale; avevo intuito dai racconti dei suoi fratelli e sorelle che aveva goduto di
privilegi che nessun altro in famiglia aveva potuto avere. Le era stato concesso di
non andare a lavorare nei campi per poter stare a casa. Le era stato anche comperato
un pianoforte: si può immaginare cosa potesse signiicare.
Mi ricordo che, verso i due anni, mio padre mi portava sulla schiena in bicicletta,
mentre andava a caccia e a volte nello zaino insieme a me portava anche una
41
STOCKHAUSEN
46
che quando gli uomini sono determinati a vincere, come lo erano americani e
inglesi, non esitano a scegliere i metodi più disumani per farlo. Nonostante
un’enorme croce rossa dipinta sul tetto del nostro ediicio, chiaramente visibile
dal cielo, non si fecero alcun problema a bombardarci, proprio dove stavano i
feriti, un giorno dopo l’altro, per poi lanciarci addosso il fosfato. Mi resi conto
molto chiaramente che quando gli uomini agiscono collettivamente e su grande
scala possono trasformarsi in persone assolutamente impersonali e indiferenti,
con l’unica preoccupazione di vincere e basta.
Ma scoprii anche di poter suonare musica in tutti gli stili e quando i soldati
erano particolarmente depressi e demoralizzati, mi chiedevano sempre di
suonare qualcosa per loro. Nell’ospedale c’era un vecchio pianoforte e io lo
suonavo per loro. Quando non era rimasto più niente, la musica cominciava
a sembrare un valore. Di cibo ce n’era sempre, a loro non mancava, ma fu
solo quando iniziarono a sentire che le loro vite non avevano più signiicato
che cominciarono a desiderare che io suonassi per loro. E io suonavo per
ore, cercando di soddisfare i loro gusti. Uno desiderava sentire una sonata di
Beethoven, un’altro chiedeva una canzone molto volgare o sentimentale. Musica
di tutti i tipi. A loro piaceva molto.
Mio padre fu colpito in battaglia. Lo vidi l’ultima volta nel 1945 per circa
tre giorni, non avevo neanche diciassette anni. Era l’aprile del 1945, poco prima
della ine della guerra. Immaginate, durante la guerra lo avrò visto al massimo
tre volte. Non voleva tornare dalla guerra: mi disse che voleva morire. Credo
che potesse immaginare quello che sarebbe successo dopo la guerra, se fosse
tornato. Qualcuno al paese mi disse che sarebbe vissuto quattro o cinque anni
in un clima di terrore, temeva che inglesi e americani lo avrebbero portato
lontano da casa e accusato di attività politica per il semplice fatto di essere stato
membro del partito, il responsabile di quartiere [block lieder, N.d.T.] incaricato
di raccogliere nel paese le quote destinate al partito. Mi ricordo che diceva
sempre: “Vedi, ho fatto quello che potevo”. L’ultima volta che l’ho visto mi
disse: “Non tornerò indietro, adesso ti devi occupare di te stesso”.
Più mi è stato tolto, più sono diventato forte. Proprio a causa di questo, penso
di avere una relazione speciale con i miei genitori. Non sono mai stato arrabbiato
o critico nei loro confronti, come qualcuno dice. Credo che con la loro morte mi
abbiano aiutato più di quanto avrebbero potuto fare da vivi.
IL TALENTO MUSICALE
Da una conversazione informale
con un intervistatore anonimo. Londra 1971
Si pensa che il semplice fatto di avere due orecchie dia a chiunque il diritto
di dare giudizi sulla musica. Ciò non è per niente vero. Il talento musicale è
qualcosa di molto speciale e può essere riconosciuto anche dai membri di una
famiglia che non ha avuto una preparazione particolare, come quando il padre e la
madre capiscono che un iglio è musicale perché riesce a identiicare una melodia
e a cantarla, mentre altri bambini non ci riescono. O perché quando prende uno
strumento tra le mani, ci fa qualcosa di appropriato riuscendo a farlo suonare,
mentre gli altri non mostrano nessun talento di questo tipo.
Anche l’idea che la musica nella sua totalità sia adatta a chiunque è decisamente
ridicola. Ovviamente chiunque riceve delle impressioni dalla musica, questo è
naturale. Ma alcune persone sembrano reagire ai suoni meglio di altri.
Non ho mai ritenuto di essere dotato di un talento eccezionale. Se devo fare
un confronto tra il mio lavoro e quello dei miei colleghi, mi rendo semplicemente
conto di aver sempre lavorato sodo. E mi sembra che oggi il mio talento speciale
nell’esplorare nuove possibilità e nell’allargare la nostra coscienza sia più necessario
della capacità di mostrare alla gente quanto si è geniali nell’interpretazione o nella
composizione di brani in un determinato stile.
Viviamo in un’epoca in cui il numero di persone che si dedica a coltivare con grande
tenacia il proprio talento è in diminuzione. Mi accorgo che ovunque nella società di
oggi c’è sempre meno posto per chi ha talenti straordinari e che c’è una tendenza
generale a eliminare i dislivelli, a rendere tutti uguali, perché non si può accettare
che ci siano diferenze naturali tra le persone. È totalmente assurdo sentirsi in una
situazione in cui ci si sente obbligati a lottare per difendere la propria individualità.
Io reagisco ai suoni. Nel modo più diretto possibile. I suoni sono come l’aria per
me. Quando ho a che fare con i suoni, questi si organizzano, per così dire, da sé. Loro
interagiscono molto bene con me e io con loro. Quando un suono arriva tra le mie
dita, in studio, posso disporlo immediatamente al suo posto in un ambiente fatto di
suoni. Possiedo una visione intuitiva dei mondi sonori, della musica e provo un gran
piacere a sedermi e scrivere. Tutto qui. Ho visto diversi colleghi all’opera e loro non
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STOCKHAUSEN
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ho incontrato e che sono molto musicali sono anche quelle che hanno una
relazione particolarmente buona tra i loro centri mentali e quelli vocali.
L’orecchio non è un centro, ma solo un organo, un microfono.
L’artista è stato a lungo considerato uno che riletteva lo spirito dei tempi. Io
penso che ci siano sempre state diverse tipologie: quelli che erano principalmente
specchi del proprio tempo e poi quei pochissimi che avevano un potere visionario,
quelli che i Greci chiamavano gli àuguri [N.d.T.: In realtà gli augũres sono una
tradizione delle popolazioni italiche che i romani assorbiranno nella loro cultura].
Questi erano coloro in grado di annunciare lo stadio successivo nello sviluppo
dell’umanità, coloro che potevano ascoltare nel futuro e attraverso le loro opere
preparare la gente per quello che stava per avvenire. Solo pochi artisti in ogni
epoca hanno avuto questo talento. Oggi l’artista è obbligato ad assumere questo
ruolo e a prenderlo più seriamente che mai perché quello che sta per succedere
è semplicemente impossibile a credersi per la maggior parte degli esseri umani.
Lo studio della musica non ha nulla a che fare con la musicalità. Puoi allenare
qualcuno per anni in un conservatorio e sviluppare la sua abilità nel riconoscere
l’altezza, le forme, le armonie, gli accordi, le melodie, gli intervalli, tutto su base
intellettuale. Ma quello che io considero una persona musicale è qualcuno che può
imitare qualsiasi suono che sente, direttamente con la propria voce, senza pensare
e senza azzeccare la nota giusta, ma semplicemente facendolo. E non parlo di
imitare solo l’altezza, ma anche il timbro. I grandi musicisti cominciano sempre
con l’essere grandi imitatori. Solo in seguito, costruito sul talento dell’imitazione,
arriva la bravura nel saper trasformare quello che si sente. Molti non ce la fanno
a raggiungere questo livello, ma coloro che riusciranno ad acquisire l’abilità
di trasformare, interiorizzare e identiicare i suoni, quelli saranno i migliori
musicisti. Poi c’è l’ultimo stadio in cui questa attività è così perfezionata che è
diventata quasi automatica. Oggi, quando sento un suono qualsiasi che proviene
dalla natura o dal traico, so immediatamente come sintetizzarlo, ma so di molte
persone che hanno lavorato duramente e non ce l’hanno fatta perché dentro di sé
non possiedono in modo naturale la capacità di analizzare e di imitare.
È molto importante che il progresso della nostra epoca superi tutti i limiti a
cui siamo stati sottoposti ino ad ora. La gente pensa che l’arte debba soltanto
divertire, ma questa non è per niente la sua funzione. La funzione delle arti è
quella di esplorare il mondo interiore dell’uomo, in modo da scoprire in che
misura e quanto intensamente egli possa vibrare, sia che ciò avvenga attraverso il
suono o attraverso ciò che egli ascolta. Sono gli strumenti con i quali l’uomo può
espandere il proprio universo interiore.
PUNTI E GRUPPI
Dalla conferenza
LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE
ripresa da Allied Artists, Londra 1971
e da una conversazione informale
con un intervistatore anonimo. Londra 1971
Quando ho iniziato a scrivere, dopo la guerra, la ricerca musicale stava seguendo
strade diverse che erano state aperte dai grandi maestri Schonberg, Webern, Berg,
Stravinsky, Bartók e Varèse. Per trovare l’unità alla loro base sono dovuto andare alla
radice del lavoro individuale di questi compositori. Sentivo che il mio compito era
quello di portare nella seconda metà del secolo una sintesi di tutte queste diverse
tendenze, forse in modo simile al ruolo di Heisenberg, nella prima metà del secolo,
come uniicatore delle teorie di Planck e di Einstein in isica atomica.
Debuttai come compositore nel 1951. Avevo ventitré anni, studiavo musica
e pianoforte e preparavo gli esami inali al conservatorio statale di Colonia. A
conclusione dei miei studi scrissi kREUZSPIEL (Gioco incrociato) che fu poi
eseguito in pubblico l’estate successiva. Avevo scritto altri brani, ma li consideravo
semplici esercizi stilistici. Dovevamo scrivere un brano in stile barocco, una fuga
nello stile di Bach, e dei brani per pianoforte nello stile di Beethoven. Io andai
oltre scrivendo un brano nello stile di Schoenberg: non era un compito assegnatoci
dai professori, ma semplicemente una cosa che desideravo fare. Un altro brano
lo scrissi nello stile di Hindemith. Non le ho mai considerate delle vere e proprie
composizioni: ero assolutamente consapevole della diferenza tra imitazione e
originalità ed ero troppo intellettuale per vedere in questi plagi dei lavori originali,
quindi rimasero degli esercizi di stile.
kREUZSPIEL non è semplicemente caduto dal cielo. Sapevo del lavoro di Messiaen
grazie al compositore belga, karel Goeyvaerts. Era accaduto che, in quello che può
essere considerato un momento storico molto importante, che gli studenti di Messiaen
- Boulez, Barraqué, Philippot, Michel Fano, Yvonne Loriod e Yvette Grimaux - lo
convincessero a fare una sintesi dei diversi elementi che avevano inluenzato la sua opera.
Mi riferisco alle inluenze provenienti dalla Scuola di Vienna, dato che gli studenti
erano più interessati a questa che alla loro tradizione, quella di Debussy e Ravel, o alle
tecniche dei raga e tala che Messiaen aveva appreso dalla musica indiana.
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COMPORRE STATISTICAMENTE
Dalla conferenza LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE
ripresa da Allied Artists, Londra 1971
Quando non riusciamo più a contare il numero di note singole all’interno di un
gruppo, vuol dire che questo è diventato troppo grande. Se qualcuno vuole unirsi a
suonare con il nostro gruppo per me va bene - ma se cinque in un gruppo va bene,
sei comincia già ad essere pericoloso. E sette: a sette si incomincia ad essere una
massa, perché a questo punto cominciano a svilupparsi relazioni tra esseri umani
completamente diverse. Quando dicevo che non riusciamo più a contare il numero
di elementi, intendevo dire che ciò dipende dalla velocità: ovviamente se questa è
troppo alta noi non riusciamo più a contare e tredici note iniziano a apparirci come
un gesto che non ci viene naturale frammentare. Oppure ci sono troppi eventi che
accadono contemporaneamente, come in uno sciame d’api: quando percepiamo uno
sciame come una forma, questo diventa una singola entità. Se guardiamo un albero,
non possiamo contarne le foglie, ma riusciamo comunque a distinguere un pino da
un faggio. È il risultato dei singoli elementi, ma c’è anche qualcos’altro: il contorno,
la forma generale, che caratterizza la massa.
Mi ricordo ancora quando studiavo al Conservatorio di Colonia e mi davano
un compito di composizione. A quei tempi non avevo idea che sarei diventato un
compositore. Mostrai il compito al mio insegnante: erano due battute in cui un piccolo
ambito temporale era stato riempito con una grande quantità di note. Lui mi disse:
“Come si fa ad ascoltare una cosa del genere? Chi può essere in grado di percepire tutte
queste note? Non riesci a controllare quello che scrivi. Vedi? A cosa serve scrivere note
che nessuno riesce a distinguere?”. Io risposi: “Beh io non voglio che tu le conti”. Lui
rispose: “Cosa vuoi dire? Guarda quante note hai scritto!”. Dissi: “Ma io voglio questo:
‘frrp’!” E lui: “Allora scrivi soltanto un nota: sii preciso, è meglio”.
Una cosa del genere era impensabile. Poco tempo dopo, mentre cercavo delle basi,
feci un’analisi della musica di Debussy che in seguito fu trasmessa alla radio in un
programma che aveva come sottotitolo: “Rilessioni sulla forma statistica”. Parlavo
di tendenze nei registri di certe texture, di tendenze in crescita o diminuzione della
densità e nel carattere della densità complessiva, nello spostamento graduale di colori
predominanti, dallo scuro al chiaro, o dal timbro metallico a colori in sordina e così
via. Questo linguaggio era completamente nuovo per l’analisi musicale. Parlavo di
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FORMA LIRICA E FORMA DRAMMATICA
Dalla conferenza LA COSTRUZIONE DELLA FORMA MUSICALE
ripresa da Allied Artists, Londra 1971
Abbiamo a disposizione alcuni concetti tradizionali, come tema, sequenza e
sviluppo, per dirne solo alcuni, con i quali possiamo descrivere i processi della musica
classica. L’idea di sviluppo in particolare, che troviamo ad esempio nella forma del
primo tempo di una sonata, gioca un ruolo sempre più importante nella storia della
musica classica occidentale. Allo stesso tempo, mentre lo sviluppo tematico diventa
sempre più importante, il numero di temi si riduce sempre più da tre temi, a due
e in alcuni casi a uno solo. Il terzo Quartetto di Schoenberg porta questa tendenza
all’estremo secondo il suo motto: “tutto è sviluppo”. Hauer era un altro austriaco che
aveva la stessa idea e voleva costruire un intero universo a partire da un singolo modo.
In quel periodo storico c’era la convinzione generale che gli scienziati fossero molto
vicini ad annunciare la formula che sta alla base dell’intero universo, la cosiddetta
Einheitsformel o formula dell’uniicazione, che spesso sentiamo in legata al nome di
Einstein. Secondo questo principio ogni cosa può essere considerata lo sviluppo di
un singolo elemento, il che è esattamente quello che Schoenberg voleva dire con quel
brano e con l’idea di partire ad esempio da un tema o da una serie di altezze.
Ho utilizzato la parola “drammaticità” per parlare delle mie prime composizioni.
Quando sentiamo questa parola ci viene sempre in mente la sua accezione di carica
emotiva. Ciò non è necessariamente vero. “Drammaticità” signiica l’introduzione di
personaggi, di protagonisti come nelle tragedie greche, seguita dal uno sviluppo in cui
questi personaggi sono condotti in vari tipi di esperienze. Uno viene ucciso, un altro
viene incoronato e un terzo impazzisce. Un altro ancora va in America. Ovviamente
questo non avviene nelle tragedie greche, ma così va il mondo. “Drammaticità”
signiica che è sempre possibile seguire il ilo anche se qualche volta lo perdi e ciò
non fa che aumentare la tensione drammatica. La musica in Europa nel suo periodo
classico doveva rappresentare l’interpretazione dell’universo che era condivisa. Se il
inale era positivo allora ogni cosa andava bene e così qualsiasi cosa fosse successa nel
frattempo, c’era sempre un rivolgimento inale che rendeva ancora una volta tutti
felici e ottimisti. E questo era certamente quello che avveniva in musica.
Tutto ciò aveva a che fare con il concetto classico di tempo. Lo ritroviamo anche
nel teatro come convenzione secondo cui le forze del bene alla ine vincono sempre.
Ma ci sono autori teatrali molto più numerosi, come ad esempio Shakespeare in
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C’è del materiale testuale che ho trovato nell’appartamento a New York in
cui sono stato per qualche mese, nel periodo in cui insegnavo a Philadelphia, nei
libri lasciati dalla persona che aveva vissuto lì prima di me. In uno dei libri che ho
trovato lì, “La vita sessuale dei selvaggi” scritto dallo scienziato russo Malinowski,
ho letto molte trascrizioni di riti tribali dell’Amazzonia settentrionale e delle
isole del Paciico meridionale e qualcuna l’ho utilizzata come materiale. Quello
che contiene risate fragorose e risatine più piccole è il rito di iniziazione di una
giovane fanciulla. Se volete vi posso spiegare in privato il suo signiicato.
Altro materiale è preso dalle lettere di un amica: l’intero lavoro è in
efetti dedicato a una ragazza ed è una composizione che ha a che fare con le
relazioni amorose sotto molto aspetti. Ho preso frammenti dalle lettere che mi
arrivavano quotidianamente in posta. “Alles um mich herum ist nah und fern
zugleich” è uno di questi: “Ogni cosa intorno a me è allo stesso tempo vicina e
lontana”. Ci sono molte altre frasi come questa. In buona parte dei momenti ho
utilizzato il materiale proveniente dal Cantico dei Cantici, un poema d’amore
mitico in quanto nessuno sa più chi l’ha scritto. Molti conoscono questo testo
così possiamo dare per scontato che, oltre al fatto di essere bellissimo, questo
costituirà un materiale immediatamente riconoscibile. Per ciascun momento,
ho posto molta cura nel scegliere quali frammenti utilizzare a seconda che
fossero più isici, meno isici o più a un livello spirituale. “Come vorrei che
tu fossi mio fratello” ad esempio non ha niente a che fare con relazioni di tipo
sessuale quando appare per la prima volta, quindi io lo utilizzo ogni tanto con
il signiicato di afetto reciproco in senso assolutamente generale.
Il materiale più lirico e sottile, per così dire, è stato ricavato da quei libri
che non avevo avevo in mente quando ho iniziato a scrivere l’opera, ma che
ho trovato nello stesso appartamento di New York in una raccolta di poesie di
William Blake. C’è una frase che viene pronunciata molto velocemente e più
avanti viene cantata dal soprano solista molto lentamente e con chiarezza, senza
che nient’altro lo disturbi e che in qualche modo esprime quello che io intendo
per momento, istante, ora, qui, la pienezza, il grado di presenza:
Ma colui che bacia in volo la Felicità
Vive nell’alba dell’Eternità.
Tutto questo è MOMENTE.
MICROFONIA
Dalla conferenza MICROPHONIE I
ripresa da Allied Artists, Londra 1971
Per la realizzazione di MOMENTE ho acquistato alla iera di strumenti musicali
di Francoforte un grande tam-tam. Spesso questo strumento viene chiamato gong,
ma il suo nome corretto è tam-tam. Quello che ho preso ha un diametro di circa
155 cm. Con un singolo colpo è in grado di produrre un suono che dura più di
un minuto. Probabilmente avete presente il tam-tam mostruosamente grande che
si vede all’inizio dei ilm e che viene seguito da un leone che spalanca le fauci e
ruggisce. Io ho sempre associato il ruggito del leone a questo tam-tam. Nel mio caso
il tam-tam non viene dalla Cina, ma dalla Paiste, un’azienda famigliare composta
da un padre e dai due igli che un tempo era nella Prussia orientale e ora si trova
in Svizzera e nel nord della Germania. Il padre è andato in Cina e ha imparato lì la
tecnica di costruzione di questi strumenti.
Questo tam-tam era appeso nel mio giardino, dato che, essendo troppo grande,
non potevo metterlo in soggiorno. Ogni tanto, quando andavo a fare una passeggiata
in giardino, mi portavo una penna o una chiave e gliela stroinavo contro. Oppure
semplicemente gli battevo contro con le nocche oppure lo colpivo o ci scrivevo sopra
con un sassolino. Spesso mi mettevo con un orecchio molto vicino alla supericie
dello strumento e sentivo ogni sorta di strane vibrazioni sonore, che a una distanza di
quattro o cinque pollici non era più possibile percepire.
Un giorno ho chiesto al tecnico che lavorava con me allo studio di musica elettronica
della Radio di Colonia, di passare da casa mia portandosi dietro un iltro. In studio
avevamo dei bei iltri variabili con continuità che potevano essere suonati quasi come
uno strumento musicale: si tratta di iltri passa-banda che sono costruiti come i fader
di un mixer, con la particolarità di avere due potenziometri con cui si possono variare
indipendentemente o in parallelo le frequenze superiore e inferiore della banda.
Quando si immette un suono nel iltro ciò che ne esce sono soltanto le frequenze che
si trovano all’interno di quelle che sono state selezionate con i potenziometri.
Gli avevo anche chiesto di portare un potenziometro di volume, cioè un
apparecchio con cui si può controllare il livello sonoro di ciò che proviene da un
microfono. Avevo anche un registratore a bobine che avevo preparato nel soggiorno.
Ho preso un cesto, sono andato in cucina e l’ho riempito con ogni genere di
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Devo ammettere che in aggiunta alla partitura, che è piuttosto astratta dato
che lascia alla discrezione dei musicisti la scelta dei materiali che possono essere
utilizzati per generare i suoni corrispondenti alle istruzioni, ho anche preparato
per la stampa, come misura di sicurezza, una partitura di realizzazione. Nel
corso degli anni ho imparato che è sempre meglio fornire un esempio scritto
piuttosto che lasciare delle questioni aperte alla libera interpretazione. Come
sappiamo, le registrazioni delle performance possono andare perdute o possono
deteriorarsi e io vorrei che questo lavoro possa svilupparsi e possa essere eseguito
anche in futuro. È interessante immaginare che la partitura possa essere scoperta
tra, diciamo, cinquecento anni, quando anche la plastica sarà scomparsa e Dio
solo sa quali esseri viventi abiteranno questa terra. Potrebbe essere piuttosto
divertente dal punto di vista del futuro, vedere come noi interpretiamo la
partitura. E così ci sono fotograie di tutti gli oggetti che abbiamo utilizzato
ed è incredibile come sembra veramente un tavolo coperto di spazzatura. Il
cartoncino usato e gli articoli di gomma mostrano i segni di usura lasciati dalle
tante esecuzioni. I vetri sono mezzi rotti; ci sono bottiglie di vino e cose di tutti
i tipi. Il tutto dà un’impressione molto strana. Ho fotografato ogni oggetto,
ho numerato le fotograie e le parole corrispondenti sulla partitura e ho anche
scritto con dettagliato commento su come ogni cosa è stata utilizzata.
In deinitiva, quello che facciamo è auscultare un tam-tam, uno strumento
che ha più di tremila anni, allo stesso modo di un dottore che ausculta il corpo
di una persona con lo stetoscopio. Questa cosa ha molte implicazioni per il
futuro. Ormai un buon numero di compositori ha applicato microfoni ad attori,
cantanti e strumentisti in un modo simile: a partire da MIkROPHONIE I il
microfono è ormai considerato come uno strumento musicale. Qualcuno mi
ha chiesto: “Doveva proprio essere utilizzato un tam-tam?”. Ho risposto di
no. Non faccio fatica ad immaginare che la partitura possa essere utilizzata per
esaminare musicalmente una vecchia Volkswagen, entrando in questo vecchio
oggetto e iniziare a batterci su, a graiarlo, a farci ogni genere di cose e a suonarci
MIkROPHONIE I utilizzando il microfono. Suonate qualsiasi cosa. Andate alla
scoperta del microcosmo delle vibrazioni acustiche, ampliicatelo e trasformatelo
elettronicamente. Ed ecco perché io la chiamo “musica elettronica dal vivo” in
opposizione alla musica elettronica che viene prodotta in uno studio.
I QUATTRO CRITERI DELLA MUSICA ELETTRONICA
Dall'omonima conferenza ripresa da Allied Artists, Londra 1971
Questi sono i quattro criteri della musica elettronica: il primo è la struttura
uniicata del tempo, il secondo è la frammentazione del suono, il terzo è la
composizione dello spazio su più strati e il quarto è l’equivalenza tra suono e
rumore, o meglio tra altezza e rumore.
Nuovi mezzi cambiano le metodologie, nuove metodologie cambiano
l’esperienza e nuove esperienze cambiano l’uomo. Ogniqualvolta ascoltiamo suoni,
noi cambiamo. Dopo aver ascoltato certi suoni noi non siamo più gli stessi di prima
e questo vale ancora di più quando ascoltiamo suoni organizzati: suoni organizzati
da un altro essere umano, cioè musica.
Fino a circa il 1950 l’idea della musica in quanto suono era in gran parte ignorata.
L’idea che il comporre con i suoni potesse implicare anche la composizione dei suoni
stessi non era più così evidente. Si può piuttosto dire che quest’idea fu rilanciata
come punto di arrivo di uno sviluppo storico. La Scuola Viennese di Schoenberg,
Berg e Webern, quest’ultimo in particolare, aveva ridotto i temi e i motivi musicali a
entità di sole due note, a intervalli. Quando ho iniziato a comporre, ero certamente
iglio della prima metà del secolo e quindi quello che facevo era la continuazione e
l’espansione delle strade che i compositori della prima metà avevano aperto. È stato
necessario fare un piccolo salto ulteriore per poter raggiungere l’idea di comporre o
sintetizzare il suono nella sua individualità.
Per prima cosa, devo ammettere che questa idea è arrivata solo più tardi perché
all’inizio mi ero subito messo ad analizzare ogni sorta di suoni. Avevo ventitrè anni
e lavoravo nello studio di musique concrète di Parigi. Avevo registrato dei suoni
al Musée de l’Homme, in cui si possono trovare strumenti esotici di tutti i tipi,
di legno, di pietra, di metallo, strumenti che appartenevano a culture diverse e a
diferenti periodi storici. Analizzavo anche suoni e rumori che avevo registrato in
momenti della vita quotidiana e leggevo libri che contenevano le analisi spettrali
degli strumenti della musica classica. Poco a poco, dato che in conservatorio o
all'università non mi era stata data una preparazione seria in acustica, mi sono reso
conto che il suono è più che una semplice esperienza. Cominciai a interessarmi
alle diferenze tra i suoni: ad esempio della diferenza tra il suono del pianoforte
e la vocale “a” rispetto al suono del vento “shhh” o “whsss”. Fu soltanto dopo aver
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MUSICA INTUITIVA
Dalla conferenza MUSICA INTUITIVA
ripresa da Allied Artists, Londra 1971
Quando ho introdotto il termine “musica intuitiva” avevo uno scopo preciso
e cioè, non solo quello di esprimere il fatto che ho in mente qualcosa di
speciico, ma anche quello di escludere altre cose. Ad esempio, la musica suonata
liberamente senza una partitura a volte viene chiamata “libera improvvisazione”,
come avviene per il free jazz. Solo che il free jazz ha regole proprie perché,
come dice la parola stessa, deve continuare ad essere jazz, altrimenti la gente
la chiamerebbe semplicemente “free music”. C’è l’improvvisazione che si trova
nella musica etnica, come ad esempio in India, ma in questa musica c’è ben poco
di libero. Il sistema è molto chiuso, dato che un musicista indiano impara dal
proprio maestro le regole da seguire per realizzare piccole variazioni di raga e tala
e l’invenzione personale è minima, praticamente inesistente. Inoltre il metodo
utilizzato per improvvisare è cambiato molto poco nella storia della musica. Da
parte mia, cerco di evitare il termine “improvvisazione” perché è sempre legato
alla presenza di certe regole che riguardano lo stile, il ritmo, l’armonia, la melodia,
l’ordine delle sezioni e così via.
Dopo il 1964 ho iniziato a andare intensivamente in tournée con un gruppo di
musicisti. Avevo già fatto tournée, ma allora eseguivamo musica determinata, scritta
con precisione in notazione tradizionale. Ora invece cominciavo a volermi spingere
sempre più in là nel materiale graico che fornivo ai miei colleghi e a me stesso. La
partitura di PROZESSION (Processione) ad esempio era costituita solo dai segni
più, meno e uguale e diceva ai musicisti di “utilizzare eventi dalle mie composizione
precedenti” come materiale di base. Il pianista attingeva dai “Pezzi per pianoforte
I-XI”, il suonatore di tam-tam estraeva eventi da MIkROPHONIE I, il violista
prendeva i suoi materiali da GESANG DER JÜNGLINGE e MOMENTE, il
suonatore di elektronium li ricavava da SOLO, GESANG DER JÜNGLINGE e mi
sembra anche da MOMENTE. Così ogni musicista ricavava il materiale di base da
questi lavori precedenti e poi li trasformava seguendo i simboli di trasformazione.
Tutto quello che ho composto per PROZESSION sono simboli di trasformazione
che dicono cosa fare degli eventi che sono stati scelti.
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DOMANDE E RISPOSTE
La seguente intervista è stata registrata da Robin Maconie
a casa del compositore tra il 4 e 7 Agosto1981
RM: La sua musica più recente si avvantaggia dei procedimenti associati al
Synthi 100 e in particolare del sequencer. Ad esempio, le scale di espansione
delle altezze in MANTRA, le scale trasformabili di metronomi in JUBILÄUM
o la costruzione e trasformazione delle melodie di SIRIUS. Quanto è
importante il ruolo del Synthi 1000 nelle sue opere?
kS: Per quanto riguarda il mio lavoro, l’idea generale che l’innovazione artistica
possa essere spiegata da condizioni preesistenti, siano essere psicologiche,
sociologiche, tecniche o altro, è sbagliata. Già in conferenze che ho tenuto nel 1954
e nell’articolo “...come passa il tempo...” del 1955 avevo reso noto che mi sarebbe
piaciuto molto avere a disposizione strumenti che permettessero di comprimere ed
espandere scale, non solo di frequenza, ma anche di durata e dinamica. Spiegavo
che avrei voluto delle scale di gradi dinamici altrettanto precise quanto quelle di
frequenza. Questo è successo molto prima che chi si occupava del lato tecnico della
produzione di strumenti musicali si accorgesse di queste nuove richieste. Ne ho
incontrato alcuni e uno di loro, Zinovief, una volta mi disse che i suoi progetti di
strumenti controllati in voltaggio erano stati prevalentemente inluenzati dai miei
articoli sulla musica elettronica e da partiture come ELEkTRONISCHE STUDIE
II (Studio elettronico II) scritta tra il 1953 e il 54, un brano composto a partire
da una scala molto particolare basata sulla radice venticinquesima di 5, e come
GESANG DELR JÜNGLINGE e kONTAkTE, in cui le altezze sono organizzate
in quarantadue scale diverse. Il Synthi 100 era stato comperato dal nostro studio
elettronico di Colonia all’inizio degli anni Settanta. Avevo incontrato diverse volte
Zinovief a Londra per discutere le mie idee sulla possibilità di espandere e contrarre
le scale di velocità, di intervalli melodici e naturalmente anche di durata. Volevo
che si potessero raggiungere proporzioni estreme di espansione e compressione,
almeno di 1000 volte, una cosa che il Synthi 100 non poteva fare. Zinovief mi
disse che ci avrebbe lavorato su e in seguito mi giunse notizia del prototipo di un
nuovo strumento con possibilità ulteriori, ma non andò mai in produzione. Così, lo
strumento che ho utilizzato per SIRIUS e che fu la prova che i miei sogni potevano
essere realizzati, almeno in parte, fu il Synthi 100. È lo strumento che ancora
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STOCKHAUSEN
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delle mie due mani sui joystick, tastiere e pulsanti. E se possibile, anche a
quelli dei miei due piedi sui pedali. Non mi interessa quale tipo di cervello
governi tutto questo: l‘importante è non ci sia nessun ritardo percepibile tra i
miei gesti e il risultato sonoro.
Ci devono essere almeno quattro sequencer che possano funzionare allo stesso
tempo, con ben 256 gradini per ogni sequencer così che io possa diferenziare
maggiormente tra loro le sequenze musicali e riesca quindi a comporre con
molti più strati. La registrazione multicanale piò anche essere digitale, se si
vuole, ma è essenziale che i parametri siano accessibili separatamente durante
la sintesi. Questo è un punto fondamentale. Voglio poter essere in grado
di ascoltare il risultato e poter dire in un punto qualsiasi: “Adesso voglio
correggere solo le dinamiche”. Non devo essere costretto a rifare da capo tutta
la sezione. Non mi interessa se i parametri sono simulati invece che reali:
io penso in termini di dinamiche, altezze e timbri e voglio poterli cambiare
indipendentemente ino a che il lavoro non è completamente inito. Vorrei
avere a disposizione anche più parametri, ad esempio in modo da controllare
i gradi di densità e la distribuzione casuale di eventi musicali all’interno di
certe soglie. Alla ine, tutto dovrebbe essere parametrico. Anche il signiicato:
dovrebbe esserci un pulsante anche per il signiicato. Alla Deutsche
Grammophon ho visto in azione la sincronizzazione automatica con il
timecode: la possibilità di andare a un punto preciso del nastro semplicemente
indicando un numero è certamente un enorme passo in avanti. L’eliminazione
dei ritardi nel lavoro in studio è un risultato importante della registrazione
digitale. Ma la riduzione di tutti i diversi parametri musicali a uno solo, cioè
al solo lusso di numeri è infelice, perché ciò signiica che se si vuole cambiare
solo un aspetto della melodia o del timbro, non puoi perché non ha una
esistenza separata. Quindi quello che voglio è una produzione analogica e
voglio anche che qualsiasi risimulazione sia in forma analogica, così posso
controllare i parametri individualmente. Dopodiché la registrazione può
anche essere digitale, non mi interessa.
RM: Immagini della radio: del compositore come radio ricevitore
e della musica come messaggi dall’oltre appaiono ripetutamente
nella sua musica e nei suoi commenti sulla musica. Mi vengono in
mente ad esempio HYMNEN, OPUS 1970: kURZWELLEN MIT
BEETHOVEN (Onde corte con Beethoven) e TRANS. Quanto
deve questo immaginario radiofonico alle sue esperienze di gioventù?
Inine, raccomanderei a tutti gli studenti di andare a ballare almeno una volta
a settimana. E che ballino. Per favore, che ballino veramente: tre o quattro
ore a settimana. Qualsiasi tipo di ballo, qualsiasi tipo musica venga difusa
in discoteca o in luoghi dove si può ballare, anche se in efetti le discoteche
possono diventare monotone. Diversi tipi di danza. E dovrebbero ballare con
un partner, ritmi e velocità diverse: lente, medio, veloce, e con ritmi diversi
basati su due, tre o quattro tempi: danze austriache, spagnole, ungheresi,
sudamericane. Il corpo docenti dovrebbe comprendere un buon insegnante
di danza, che sia perfetto allo scopo, che non insegni danza classica, ma balli
sociali, quelli veri, una volta a settimana, come materia del corso di musica per
tutta la durata dello studio.
Balli sociali, canto, uno strumento ed educazione all’ascolto. E dopo, ma solo
allora, se si vuole, si può incominciare a poco a poco a studiare quello che io
chiamo “contrappunto tonale”, “armonia tonale”, “storia della musica”. La
storia della musica alla ine, per favore, come ultima cosa. Lo “studio degli stili
antichi”: alla ine, forse solo all’ultimo anno. Perché tutto quello che si deve
fare è dire quali libri li trattano e se gli studenti hanno voglia allora possono
leggerli. Non c’è bisogno di parlare troppo di questo: c’è a disposizione
una grande abbondanza di ottimi libri e di registrazioni. Lasciamo che
chi è interessato alla storia la studi e chi invece non è interessato faccia
qualcos’altro: saranno comunque musicisti ben addestrati.
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BELLEZZA E NECESSITÀ
di Robin Maconie
C’è chi vede l’arte del ventesimo secolo come espressione dell’ostinatezza
individuale. Per chi pensa che la funzione dell’arte classica sia quella di mantenere
gli atteggiamenti sociali e non quella di metterli in dubbio, il messaggio che
proviene da molta arte del giorno d’oggi è quanto meno sovversivo. Naturalmente
anche l’anarchia gioca una parte in questo. Essa è piacevole, divertente: e il
corollario che ne deriva è che non dovrebbe essere presa sul serio. Il mondo libero è
facile a condannare la dittatura politica quando pratica la censura dell’espressione
artistica. Ma l’idea che circola nelle democrazie secondo cui l’arte è inalizzata
meramente alla decorazione o all’intrattenimento può anch’essa essere vista come
uno strumento di propaganda più sottile, ma non meno potente, che ha il potere
di neutralizzare la forza delle idee nuove.
Oggigiorno un compositore può farsi guidare dall’opinione pubblica e dal
desiderio di raggiungere il successo come uomo di spettacolo oppure può lottare
per dominarli e inire con l’essere condannato a una vita all’ombra della povertà
e del pubblico scetticismo. Molti dei personaggi più inluenti nella composizione
degli ultimi cento anni hanno pagato per i propri principi musicali con la soferenza
isica e materiale. Non ci sono monumenti commemorativi dedicati ai sacriici
di uno Schoenberg, di un Webern, di un Varèse o di un Bartók. Al contrario,
l’indiferenza familiare che le burocrazie occidentali dimostrano verso gli artisti in
vita viene giustiicata con l’idea che la grande arte debba necessariamente nascere
nelle avversità individuali o con la certezza compiacente che saranno le generazioni
future a decidere se un artista è stato giustamente lasciato a se stesso oppure no.
Il compositori sono costretti a sovvenzionare la loro attività primaria attraverso
la pratica concertistica come esecutori o direttori. Solo pochi di essi, tra i quali
Boulez e Stockhausen, hanno voluto sidare l’inerzia dell’industria musicale e dei
media, obbligandoli a considerare la loro musica e le idee che essa incarna con il
rispetto che meritano. Grazie a queste persone la scena musicale più recente si è
trasformata negli ultimi anni un ambiente più sano e di solidi principi.
Come ci ha mostrato Aaron Scharf (in Art and Photography, London, 1978),
alla radice della straordinaria ioritura di estetiche diverse nelle arti visive del
diciannovesimo e ventesimo secolo vi è un rinnovamento della visione, dei
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STOCKHAUSEN
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Varèse fu il compositore che considerava la propria attività come un
contributo essenziale alla conoscenza umana. Lui ha sidato la decenza e il
giudizio della società contemporanea che negavano ai compositori gli stessi
diritti e le sovvenzioni che invece erano destinati agli scienziati e agli ingegneri
nel campo della acustica e della comunicazione.
Il tipo di rapporto di collaborazione che Varèse cercò di realizzare negli
anni Trenta con i Bell Telephone Laboratories, una rapporto che il direttore
Stokowski ha dimostrato essere fattibile e proicua con una famosa serie di
esperimenti di registrazione stereofonica e multicanale, riuscì inalmente a essere
realizzata negli anni Settanta quando fu fondato a Parigi un istituto di ricerca
sotto la guida di Boulez, in cui compositori, musicisti e scienziati potevano
collaborare in un programma sistematico comune rivolto all’innovazione nella
scienza musicale e in quella acustica.
La tecnologia può creare immagini che sono stimolanti in se stesse, ma può
anche suggerire nuovi modi di generare immagini che, a causa del fatto che
sono autosuicienti e che non devono rispondere all’idea tradizionale di gusto,
possono condurre a risultati che sono stimolanti e rivelatori. Le arti sono da
lungo tempo impegnate nello sforzo di riconciliare il determinismo classico
(il quale rappresenta la responsabilità umana verso il mondo naturale) con
procedimenti che portano a risultati che sono imprevedibili ma dotati di un
carattere riconoscibile (i quali rilettono i processi naturali che si pongono oltre
la predizione umana o il loro completo controllo). Questa attenzione per il caso
e il sopra-razionale, o “caos” come viene oggi per lo più chiamato, è vecchia
quanto la scienza statistica e inalmente comincia ad attrarre un interesse più
vasto nell’opinione pubblica, sotto forma di informatica ricreativa.
Xenakis e Cage hanno entrambi cercato, ciascuno con i propri metodi,
di comporre sistemi di scelte che rilettessero i processi indeterminati della
natura o le strategie matematiche che li deiniscono. La loro musica rilette il
fatto che i processi indeterminati, dai capitali azionari al tempo atmosferico,
pur facendo parte della realtà delle organizzazioni sociali contemporanee,
rimangono al di là della portata delle descrizioni classiche in termini musicali.
È interessante constatare che in Europa, dove la composizione viene presa
seriamente, un libro sulla ilosoia della nuova musica può venire pubblicato
con il titolo Par volonté et par hasard, che in tedesco viene tradotto con
Wille und Zufall, ma in inglese viene invece intitolato semplicemente Pierre
Boulez in conversation with Célestine Delieège (Conversazioni tra Pierre Boulez
e Célestine Delieège). È con questi piccoli sotterfugi che nel mondo di lingua
Inglese, la musica viene tenuta a bada.
Rispetto al lavoro dei suoi contemporanei, la musica di Stockhausen possiede
una profondità e una integrità razionale che davvero eccezionale. Non c’è un solo
aspetto o un qualche grado di indeterminatezza che non sia stato analizzato e
assimilato. Le sue ricerche, iniziate sotto la guida di Meyer-Eppler, mostrano una
coerenza che non possiamo trovare in nessun altro compositore, ora come allora.
Stockhausen ha scoperto e deinito un intero nuovo linguaggio notazionale. Ha
padroneggiato le tecnologie dello studio di registrazione e della sintesi elettronica
del suono. Come ha detto Stravinski, nessuno pensa a Beethoven come a uno
superbo orchestratore perché la qualità della sua invenzione trascende il mero
artigianato. Lo stesso vale per Stockhausen: l’intensità della sua immaginazione dà
origine a un’impressione musicale di una bellezza elementale che è apparentemente
insondabile e nasce dalla necessità più che dalla progettazione.
Ciò che chiamiamo bellezza è normalmente associato a un ordine percepito. E
questo è un ordine umano, dato che la natura viene rappresentata secondo modalità
concepite per adulare la scala umana e la sensibilità, ossia la discriminazione percettiva.
Alla radice della carica emozionale che viene associata al riconoscimento della bellezza
nelle immagini vi è l’idea dell’autorità umana sopra una creazione ribelle. Quando
l’artista ritrae la creazione come un qualcosa di intelligibile, lui sta rappresentando
l’universo osservabile come il dominio naturale dell’umanità. Ne segue che la parte
di carica emozionale che è legata all’impressione della bellezza consiste nel senso
di potere che proviene dall’intuizione di una più chiara comprensione dei modello
naturale e in conseguenza dal desiderio di possedere e governare.
Al contrario, la bellezza che viene rivelata dalla tecnologia suggerisce una
neutralità estetica e sceglie di non intervenire sul modello naturale. Non si chiede
alle stelle di disporsi in ile ordinate o ai batteri di muoversi a piccoli passi. Queste
immagini in qualche modo sono già naturalmente piacevoli, la soddisfazione estetica
arriva dalla qualità dell’immaginario e non necessariamente dall’immagine in sé.
Possiamo anche alterare il nostro criterio di soddisfazione estetica per accordarci
con le implicazione della qualità di immagine, in modo tale che l’impressione di
una sfumatura che può apparire falsa in una natura morta diventa piacevole quando
è associata all’intenzione di rappresentare un movimento.
Come è quindi possibile riconciliare l’estetica classica, che è basata sulla
distorsione umanizzata della natura, con l’estetica opposta dell’accettare le immagini
come talismani di processi naturali incorrotti? Come è possibile confrontare
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STOCKHAUSEN
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il senso della bellezza che è associato alla natura idealizzata di un Botticelli
con il senso di bellezza che è associato a un’arte che imita le immagini della
collisione di particelle cariche o delle galassie in formazione? Tutte le intuizioni
della bellezza possono essere riconciliate in quanto immagini di una percezione
estesa, la quale viene espressa in modo aperto nella sempliicazione regolare
della rappresentazione classica e implicitamente nelle complessità rivelate
dell’astrazione. Anche nella sua forma più artiiciale il caos dovrebbe sembrare
naturale. E si possono trovare delle regolarità anche nella distribuzione delle
stelle, nella struttura del fogliame o nella formazione delle nuvole.
Verrà il giorno in cui il contributo di Stockhausen sarà universalmente
riconosciuto. Non tanto per la sua musica in sé, questo sta già avvenendo oggi,
quanto per il suo “lavoro mentale”, un lavoro che già in passato la generazione
di Helmoltz ha riconosciuto come scienza della musica.
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