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All'ombra di "Semiramide": Ferdinando Paini e "La figlia dell'aria

2009

Innanzitutto una doverosa precisazione: di Semiramide in realtà ce ne sono due, una buona ed una cattiva. La prima, che trae origine dalle cronache di Diodoro Siculo (I sec. a.C.), ha gli attributi sì del soprannaturale (dall'essere figlia di una ninfa e dall'essere stata nutrita da amorevoli colombe -nonché protetta da Venere in persona -le viene l'appellativo di figlia dell'aria, inteso come originata non da mortale) ma anche della regnante saggia e guerriera, che per amore del suo sposo e del suo popolo depone il despota Nino e regna con giustizia in sua vece; la seconda, ben più nota, risente della visione moraleggiante cristiana che autori del III-IV secolo d.C. (Giustino, Paolo Orosio) sovrapposero all'originale diodoreo, non senza riferimenti storici trasversali ad Agrippina minore: incestuosa, uxoricida, guerrafondaia, «che libido fé licito» per dirla col Sommo Poeta, la demolitrice di quel presupposto sul quale si basa la società degli uomini, ossia il rapporto genitore-figlio ed i tabù sessuali ad esso connessi. 1 Convertitosi da mito in letteratura, al primo filone fa capo un certo gusto del fantastico e del boschereccio: del 1653 è La hija del aire di Calderòn de la Barca, fonte diretta della successiva ed omonima commedia di Carlo Gozzi del 1786; inutile precisare che invece la Semiramide cattiva, attraverso una serie di autori Muzio Manfredi, Berlinghiero Gessi e Metastasio in Italia, Jolyot de Crèbillon in Francia), porterà nel 1748 alla nota Semiramis di Voltaire (gravata nella fabula da influenze atridiche, edipiche e shakespeariane) che, tradotta in italiano dal Cesarotti nel 1772, sarà fonte primaria del libretto di Gaetano Rossi per Rossini nel 1823. Se le intonazioni di Semiramide sono state un'infinità (la metastasiana LE MESSEDEI GIGLI D'ORO 211 1 Sull'argomento, cfr. l'eruditissimo CESARE QUESTA, Semiramide redenta : archetipi, fonti classiche, censure antropologiche nel melodramma,

(08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 211 LE MESSEDEI GIGLI D’ORO 211 FEDERICO GON UNA SEMIRAMIDE VIRTUOSA: LA FIGLIA DELL’ARIA DI FERDINANDO PAINI 1. Due versioni opposte del mito Innanzitutto una doverosa precisazione: di Semiramide in realtà ce ne sono due, una buona ed una cattiva. La prima, che trae origine dalle cronache di Diodoro Siculo (I sec. a.C.), ha gli attributi sì del soprannaturale (dall’essere figlia di una ninfa e dall’essere stata nutrita da amorevoli colombe – nonché protetta da Venere in persona – le viene l’appellativo di figlia dell’aria, inteso come originata non da mortale) ma anche della regnante saggia e guerriera, che per amore del suo sposo e del suo popolo depone il despota Nino e regna con giustizia in sua vece; la seconda, ben più nota, risente della visione moraleggiante cristiana che autori del IIIIV secolo d.C. (Giustino, Paolo Orosio) sovrapposero all’originale diodoreo, non senza riferimenti storici trasversali ad Agrippina minore: incestuosa, uxoricida, guerrafondaia, «che libido fé licito» per dirla col Sommo Poeta, la demolitrice di quel presupposto sul quale si basa la società degli uomini, ossia il rapporto genitore-figlio ed i tabù sessuali ad esso connessi.1 Convertitosi da mito in letteratura, al primo filone fa capo un certo gusto del fantastico e del boschereccio: del 1653 è La hija del aire di Calderòn de la Barca, fonte diretta della successiva ed omonima commedia di Carlo Gozzi del 1786; inutile precisare che invece la Semiramide cattiva, attraverso una serie di autori (Muzio Manfredi, Berlinghiero Gessi e Metastasio in Italia, Jolyot de Crèbillon in Francia), porterà nel 1748 alla nota Semiramis di Voltaire (gravata nella fabula da influenze atridiche, edipiche e shakespeariane) che, tradotta in italiano dal Cesarotti nel 1772, sarà fonte primaria del libretto di Gaetano Rossi per Rossini nel 1823. Se le intonazioni di Semiramide sono state un’infinità (la metastasiana 1 Sull’argomento, cfr. l’eruditissimo CESARE QUESTA, Semiramide redenta : archetipi, fonti classiche, censure antropologiche nel melodramma, Urbino, Quattroventi 1989. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 212 19:12 Pagina 212 DANIELE TORELLI Semiramide riconosciuta può vantarne da sola più di una ventina), a Ferdinando Paini (Valera, Parma 1773 – ? 1821)2 spetta la palma di primo compositore che abbia intonato La figlia dell’aria (Venezia, S. Moisè, primavera 1815), sempre su libretto di Gaetano Rossi. Opera tra le più riuscite3 del suo autore (ne da conferma Giovanni Pacini nelle sue Memorie, che riferisce anche delle disavventure occorse nella composizione della farsa a otto mani - con lui e Paini anche Pavesi e Farinelli - Il mazzetto di fiori)4 assieme alla Cameriera astuta ossia il Marcotondo (libretto di Angelo Anelli, che nel 1816 ebbe l’onore di essere nello stesso cartellone dell’Argentina in Roma ove debuttava il Barbiere rossinano)5 ed al Portantino (debutto al veneziano S.Benedetto nel medesimo 1813 de L’Italiana in Algeri),6 questa Figlia dell’aria è a ragione un melodramma eroicomico, dove ben si mischiano il patetico, il buffo e l’eroico. 2 La traduzione dell’atto di battesimo recita «Pietro Maria Ferdinando Francesco figlio di Giuseppe Paini (fu Gaudenzio) e di Caterina Furlotti, sua moglie, da Valera, nato il giorno 26, fu battezzato il 27, presenti i padrini Francesco Ferrari e la Signora Maria Buja Girardi» (Parma, Archivio del Battistero, Libro dei Battezzati, in data 27 aprile 1773). Per notizie specifiche sulla biografia di Paini si rimanda a FEDERICO GON, All’ombra di Rossini: Ferdinando Paini, compositore parmigiano, in Parma per l’arte, Parma, Grafiche Step 2009, pp.131-158. 3 Venne allestita anche al Königliches Hoftheater di Monaco per tre sere, il 24, il 25 ed il 29 agosto del 1817 (libretto -non recante il nome di Gaetano Rossi - conservato presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera). 4 «[...] I fischi aumentavano a dismisura al duetto finale, e così il povero Paini, che aveva meritato qualche applauso con la sua Figlia dell’Aria, non ebbe a gloriarsi di miglior sorte della nostra»; cfr. GIOVANNI PACINI, Le mie memorie artistiche, a cura di Luciano Nicolosi e Salvatore Pinnavaia, Lucca, Pacini Fazzi 1981, pp. 25-26. A p. 5 così si esprime: «Nel declinare dell’anno 1812 [...] il grande riformatore Rossini, la di cui fama di già ingigantiva, era stato preceduto da uomini sommi, quali erano un Paisiello, un Cimarosa, un Guglielmi, etc... e quindi da un Mayer, un Paer, un Generali, da un Morlacchi, da uno Spontini, da un Cherubini, da Coccia, da Fioravanti, da Pavesi, da Melara, da Farinelli, da Niccolini, Paini, Orlandi, Marinelli, Mosca, i quali tutti tenevano in quell’epoca lo scettro melodrammatico». 5 Così Luigi Zamboni alla cognata Elisabetta Gafforini: «Ho sentito con piacere da Sua E. il Duca Cesarini, che voi sarete la nostra prima donna buffa a questo suo teatro d’Argentina nel prossimo Carnevale. Mi lusingo che non vi sarà discaro che io sia il vostro compagno buffo. Venite dunque presto, che vogliamo passare tale stagione in allegria. Sento che si farà per prima opera il Marco Tondo, ossia La cameriera astuta. Vi consiglio però a non fare giammai quell’operaccia di Mosca, ma bensì quella del maestro Paini, la quale trovo assai più bella di musica, anzi non v’è confronto, massima la vostra parte è scritta divinamente, e vi deve star bene per la tessitura [...]»; cfr. BRUNO CAGLI- SERGIO RAGNI, Gioachino Rossini, Lettere e documenti, Pesaro, Fondazione Rossini 1992, pp. 113-114. Nel “Diario Chigi” del 5 febbraio si legge inoltre: «Andò ieri sera in scena col solito cattivo esito un’opera di tal maestro Paini, intitolata Marcotondo», mentre nella Dimostrazione dell’introito e Spese avute nell’Impresa del Teatro Argentina Nella Stagione di Carnevale del Corrente Anno 1816 si dice che le recite furono 39, di cui appunto una sola relativa alla Cameriera astuta. Entrambe le fonti sono citate da SAVERIO LAMACCHIA, Il vero Figaro ed il falso factotum. Riesame del “Barbiere” di Rossini, Torino, EDT 2008, pp. 31-32. 6 Ne riferisce anni dopo da Verona nientemeno che Meyerbeer, nella lettera al fratello datata 11-17 settembre 1818: divagando dal tema di loro discussione – l’Otello rossiniano – di essere venuto a conoscenza del cartellone relativo all’imminente stagione lirica (del Morando?), che (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 213 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 213 Paini, che si formò alla scuola del napoletano Gaspare Ghiretti (maestro tra gli altri di Paer e Niccolò Paganini) e che trovò probabilmente la morte nella Bucarest rivoluzionaria del 1821,7 ben conosceva la macchina teatrale: lui stesso fu direttore dei Cori, cantante8 ed una delle prime figure direttoriali tout court apparse in Italia (negli stessi anni di Alessandro Rolla);9 sicurezza ed esperienza che traspaiono anche dall’organizzazione vocale e drammatica della Figlia, attraverso scelte formali al passo coi tempi e decisivi interventi sul libretto. 2. Dal testo alla scena: il fil rouge Calderòn - Gozzi - Rossi Giocoforza che, nel passaggio dalla versione del Siglo de Oro a quella di Rossi, vi siano state delle modifiche dettate non solo dal mutato gusto dei secoli, ma anche dalla necessità di rendere adatto al teatro musicale un lavoro che in origine constava dei canonici cinque atti; tra Gozzi e Rossi si riscontrano infatti le variazioni più significative, mentre tra Calderòn e l’autore di Turandot la drammaturgia (più incline alla favola, per vocazione di entrambi) rimane sulle stesse corde, seppur non totalmente identica.10 vedeva assieme alla Clotilde di Coccia, a Barbieredi Siviglia, Italiana in Algeri, Gazza ladra e Matrimonio segreto, anche Il portantino; cfr. The Diaries of Giacomo Meyerbeer: 1791-1839 translated, edited, and annotated by Robert Ignatius Letellier, Madison, N.J., Fairleigh Dickinson University Press 1999, p. 358. 7 Così nel manoscritto 18337 conservato presso la Österreichische Nationalbibliotek di Vienna: Canzonetta / in Dialetto Veneziano / nell’Opera / La Lanterna di Diogene / di Ferdinando Pajni / Composta in Venezia L’Autunno del 1820 / Originale / ridotta dallo stesso per Fortepiano avanti la sua partenza / per Bukarest. Dal 7al 19 agosto 1821 la repressione turca - in risposta alla rivolta antiottomana del 21 marzo - costò 800 vittime fra i civili. Sull’ argomento CONSTANTIN GIURESCU, Istoria Bucurefltilor. Din cele mai vechi timpuri pîn? în zilele noastre (History of Bucharest. From the earliest times until our day, Translated by Sorana Gorjan, The Publishing House for Sports and Tourism 1976, pp.114-119). 8 Nel 1804 diresse cori sia nel Teatro Ducale di Parma che nel Nuovo Teatro di Piacenza , e interpretò Agistrato nella Climene si Bonfichi, andata in scena al Ducale per il Carnevale; cfr. GASPARE NELLO VETRO, Dizionario dei musicisti del Ducato di Parma e Piacenza, sub voce «Paini», www.lacasadellamusica.it/vetro. 9 GIUSEPPE RADICIOTTI, Teatro musica e musicisti in Sinigaglia, Milano, Ricordi 1893 (rist. anast. Sala Bolognese, A. Forni 1997, p. 58). 10 Ce lo dice il Gozzi stesso nella Prefazione alla Figlia dell’ aria: «Temerei d’offendere ed annoiare i miei Lettori ponendo in questo ragionamento un fedele estratto della commedia di Calderone per far rilevare quella differenza che passa dall’intreccio e dai dialoghi dell’Autore Spagnolo, all’intreccio ed ai dialoghi miei»; cfr. Opere del Conte Carlo Gozzi, Venezia, Giacomo Zanardi 1813, Tomo XI, pp.111-112. Sull’argomento, il datato ma ancora valido ENRICO CARRARA, Studio sul Teatro ispano-Veneto di Carlo Gozzi, Cagliari, Valdes 1901 ed i più recenti CARMELO ALIBERTI, Carlo Gozzi scrittore di teatro, Roma, Bulzoni 1996 e Studi gozziani, a cura di Mariagabriella Cambiaghi, Milano, CUEM 2006. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 214 19:12 Pagina 214 DANIELE TORELLI La fabula in Calderòn-Gozzi è presto detta: il buono [Mennone] trova in una grotta la buona [Semiramide] e se ne innamora ricambiato; il despota [Nino] però se ne invaghisce anch’esso e minaccia di accecare Mennone (che peraltro è il suo più fido generale) se esso non acconsentirà. Vari incontri-scontri (con l’aiuto del buffo poeta, Sgorbio) fino allo scioglimento: Nino, orbato Mennone, viene pugnalato da Semiramide che così salva patria e – in parte – amore. Ma c’è di più: Venere appare attivamente in scena (non solo nel Prologo) e l’indovino Tiresia arringa così la folla al termine dell’azione: «La mia voce / È voce di Minerva. Assiri, avrete / Una Regina splendida, e guerriera / Ma scellerata. Infernal arte, inganni / Le sue guide saranno. Mille amanti / alle libidinose avide brame / Di costei, saran pochi [...]. Per la mano medesima di quel germe / che nutri in sen di Nino, caderai / In punizion, per non pensate vie / Vittima di tuo figlio a terra esangue»,11 fornendo un prezioso assist alla drammaturgia volterriana, che si serve della presente come antefatto. Rossi espunge dalla vicenda sia Venere (nel 1815 un deux ex machina presente fisicamente in scena sarebbe stato insostenibile)12 che Tiresia (per necessità di lieto fine), e ne varia sensibilmente la conclusione: non solo Semiramide evita che Nino accechi Mennone, ma non lo uccide, limitandosi a disarmarlo. Da navigato poeta per il teatro,13 Rossi ha ben presente la peculiarità più importante che un libretto d’opera deve avere per essere internamente coerente: essere «dramma del presente assoluto, dove l’antefatto decade al rango di una mera, onerosa delucidazione degli eventi scenici da liquidare in fretta, e non è invece un fattore propulsivo dell’azione che lo spettatore debba tenere costantemente presente».14 Il libretto di Rossi mantiene il focus sul triangolo Semiramide-NinoMennone, presentando a latere anche Nèride e Cerinto (coppia di villici), 11 Opere del Conte Carlo Gozzi cit., p.256. Per dirla col Jacopo Ferretti della Prefazione a Cenerentola, «[il pubblico] non soffre sul palco scenico ciò che lo diverte in una storiella accanto al fuoco»; cfr. LA | CENERENTOLA | ossia LA BONTA’ IN TRIONFO | DRAMMA GIOCOSO | POESIA DI GIACOMO FERRETTI ROMANO | DA RAPPRESENTARSI | NEL TEATRO VALLE |degl’Illustrissimi Sig. Caprinica | NEL CARNEVALE DELL’ ANNO 1817 | con musica del Maestro | GIOACCHINO ROSSINI PESARESE | [...] ROMA | Nella stamperia di Crispino Puccinelli. 13 Sulla prima produzione di questo sedicente ’parolaio’ - in realtà figura capitale della librettistica primottocentesca – si veda MARIA GIOVANNA MIGGIANI, Gli esordi operistici di Gaetano Rossi: i numeri introduttivi nella produzione 1798-1822, in L’aere è fosco, il ciel s’imbruna : arti e musica a Venezia dalla fine della Repubblica al Congresso di Vienna, Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia, Palazzo Giustinian Lolin 10-12 aprile 1997, Venezia, Fondazione Levi 2000, pp. 255-298. 14 CARL DAHLHAUS, Le strutture temporali nel teatro d’opera, in Drammaturgia musicale, a cura di Lorenzo Bianconi, Bologna, il Mulino 1986, p. 186. 12 (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 215 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 215 Lisia, gran sacerdote ed il poeta, che da Sgorbio diventa Timotèo. L’azione si dipana in due atti: il primo consta di dodici scene, il secondo di diciannove, mentre i singoli numeri sono così distribuiti: N° Definizione Incipit Personaggi Scene 1 Sinfonia / / / 2 Introduzione + Cavatinetta Timoteo Già l’aurora rosseggiò Ner; Cer; Tim; Coro I 3 Cavatina di Semiramide Alma mia, chi mai ti desta? Sem; Ner; Cer; Tim; Coro III 4 Duetto Nino-Mennone Dai perigli, dai cimenti Nino; Men; IV 5 Terzetto SemiarmideMennone-Timoteo Non andar da me lontano Sem; Menn; Tim; VI 6 Aria Neride Basta un’occhiata Ner; VII 7 Duetto Nino-Mennone Là di sì vago oggetto Nino; Menn; VIII 8 Finale Primo Più dolci e placide Tutti X-XI-XII ATTO PRIMO ATTO SECONDO 9 Coro Tanto avanti non andiamo Coro I 10 Aria Mennone Voi l’affanno mio vedete Menn; II 11 Duetto SemiramideTimoteo Và: ritrova il caro amante Sem; Tim; IV 12 Aria Cerinto Torna con me in campagna Cer; V 13 Quartetto No non temer che mai Sem; Menn; Nino; Tim; VII-VIII 14 Aria Neride Sempre ben tu mi vorrai Ner; IX 15 Duetto SemiramideNino Tu vedi le mie lagrime Sem; Nino XI 16 Aria Timoteo Ah fortuna tu sei donna Tim; XIV Scena e Rondò di Eh non lo vedo Semi; Coro XVI-XVII Semiramide-Finaletto D’Assiria al trono omai Tutti (meno Nino) XIX 17 Finale Secondo - (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 216 216 DANIELE TORELLI Tralasciando l’Introduzione ed i due Finali (numeri dove partecipano sempre Timotèo, Neride Cerinto ed il Coro), eccone un breve riassunto Tipologia Semiramide Arie / Duetti 2 Terzetti 1 Quartetti 1 Arie con Coro 2 Nino / 3 / 1 1 Mennone / 1 1 1 1 Timotèo 1 2 1 1 / Neride 2 / / / / Cerinto 1 / / / / Se a Semiramide, Nino e Mennone viene negata una vera e propria aria solistica in favore di sortite più complesse (duetti, assiemi), il Coro, pur avendo solamente un unico brano che ne rechi la dicitura (N° 9) è presente in ben 10 scene sulle 22 totali senza recitativo, 7 numeri su 16, sinfonia esclusa. Queste caratteristiche peculiari del libretto possono sottendere all’intento di privilegiare l’azione coram populo a scapito dell’azione del singolo, che si risolve praticamente nell’inserimento delle pagine solistiche in forme più complesse e strutturate: quando Semiramide e Nino fanno le loro rispettive sortite (N° 3 e N° 4), è il Coro ad accompagnarli ed a interagire più o meno direttamente con loro, destino che coinvolge anche Timotèo, dato che anche la sua cavatinetta all’interno dell’Introduzione (N° 2) avviene mentre si sta riunendo un festoso coro di villici e villanelle. La costante presenza in scena del Poeta è inoltre indice di quella imprescindibile componente buffa atta a blandire i contenuti seri e drammatici in seno ad un contesto semiserio come questo. Che storicamente le cose stiano cambiando è indubbio:15 già all’epoca un’opera come la Clotilde di Carlo Coccia era conosciuta come «l’opera de’cori»;16 che anche questo libretto sia di Gaetano Rossi e che i due lavori vadano in scena a Venezia (Coccia al S. Benedetto) a pochi mesi di distanza non è dettaglio da poco. Nella Clotilde il Coro è usato in sette 15 In verità, processo di ben più lunga gestazione, se già Giovanni Agostino Perotti nella sua Dissertazione sullo stato attuale della musica italiana (Venezia, 1811, pp. 36-37) così riferisce «A merito di lui [Piccinni] e degli altri testè ricordati autori [Sacchini, Sarti, Bretoni, Borghi, Paisiello, Bianchi, Anfossi, Guglielmi, Prati, Gazzaniga, etc..] si ascriva, se vennero introdotte le Arie di varj caratteri, i Rondò, le vivaci Polacche, le Preghiere, se venne data novella forma alle Arie dette di bravura, tolti gli Unisoni dagl’Istrumenti colla parte del cantante, per cui restava soffocato il Cantore, introdotti i Cori legati coll’azione, composti i gran pezzi concertati, inseriti i Finali nelle Opere serie[...] »; cfr. AGOSTINO ZIINO, La “Dissertazione sullo stato attuale della musica italiana (Venezia, 1811) di Giovanni Agostino Perotti ed una lettera inedita di Giovanni Paisiello, «Quadrivium», XXII, 1981, p.207. 16 «Nella Clotilde il Coccia fu il primo dopo Mayr a introdurre i cori come parte drammatica essenziale all’azione, tutt’affatto diversi dai cori delle tragedie greche, estranei alla favola del dramma. I cori, fuor dall’usato fino ad allora, oltre a cantare agivano, e la loro comparsa produsse un grandissimo effetto»; GAUDENZIO CAROTTI, Biografia di Carlo Coccia, Asti, Pagleri e Raspi 1922, p. 10. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 217 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 217 scene su 26 (e in più della metà dei numeri, ben 7 su 13): pertanto la tendenza alla modernità della Figlia (e di Rossi) è da ascriversi alle nuove istanze estetico-drammaturgiche cui fa capo anche l’opera di Coccia,17 che porteranno poi, attraverso i lavori del Rossini maturo e di Meyerbeer, ai grandi affreschi corali verdiani; anche la cavatina della protagonista è simile in entrambe le opere – avviene fra due interventi del Coro – e trova un fresco precedente in quella di Isabella ne L’Italiana in Algeri (così come a Semiramide spetta un rondò con coro nel secondo atto, degno di «Pensa alla patria»). 3. La moral di tutto questo? Le intenzioni di fondo sono evidenti: l’antica Ninive come la Venezia del XIX secolo; è pacifico che il legame amoroso tra Semiramide e Mennone, per quanto nasca sulla scena, è legittimato in quanto trova fondamento nell’ottica cristiana (la vicenda per quanto ambientata in Babilonia, contiene un certo germe controriformista correlato al Seicento iberico di Calderòn), mentre la mera pulsione erotica di Nino è quanto di più lontano vi sia dal puro sentimento amoroso. I vertici del triangolo: Ragazza virtuosa – Eroe innamorato – Tiranno libidinoso, non possono che vedere Nino sconfitto. Se si aggiunge anche la fedeltà che Mennone ha nei confronti del suo Re (al contrario presto dimentico del fido generale) non si può che convenire con Carl Dahlhaus quando afferma che «il conflitto tra amore e politica o tra amore e onore, centralissimo nel dramma dell’età moderna, è un tema in apparenza consunto, ma di fatto pressoché inesauribile».18 La situazione ricorda per certi versi quella dell’Italiana in Algeri,19 con qualche sostanziale differenza: Isabella, a parità di situazione (subisce le mire del capo mentre ne ama a tutti gli effetti un sottoposto), non si 17 Modernità avallata anche da due intonazioni successive dello stesso libretto, entrambe del 1826: La figlia dell’aria (The daughter of air) di Manuel Garcia (New York, Park Theatre), ed un presunto tentativo di Rossini: «[R.] è un gran furbo, e sa tenersi. Ora scrive alla campagna -‘La figlia dell’aria’ per la Pasta»; cfr. Lettera di Päer a Benelli, 4 -7 ottobre 1826, in BRUNO CAGLI, Rossini a Londra e al Théatre Italien di Parigi. Documenti inediti dell’impresario G. B. Benelli, «Bollettino del Centro Rossiniano di Studi» XXI, 1981. Interessante soprattutto la seconda, se si pensa che Rossini aveva già dato alle scene Semiramide tre anni prima e si apprestava a rielaborare il Maometto II nel Siége de Corinthe, opere corali per antonomasia. 18 CARL DAHLHAUS, Drammaturgia dell’opera italiana, in Storia dell’opera italiana, a cura di Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli, Torino, EDT 1988, VI, p. 93. 19 Per tacere dei plautini Miles gloriosus e Rudens: ancora, illuminante, CESARE QUESTA, Il ratto dal serraglio. Euripide Mozart Rossini, Urbino, Quattroventi 1997. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 218 19:12 Pagina 218 DANIELE TORELLI lascia di certo mettere i piedi in testa da Mustafà. Non per sua vis però; Nino non è Mustafà: il Re di Ninive detiene il potere in qualità di comandante dei suoi eserciti, mentre il Bey di Algeri è in realtà soltanto un satiro pronto a perder la testa dietro alle gonnelle. Nino esercita fisicamente, Mustafà burocraticamente: mai Nino direbbe (come Mustafà ad Haly ) «io ti faccio impalar», semmai lo impalerebbe in prima persona (tant’è che Mustafà dice di Taddeo «Sia subito impalato», delegando a terzi, così come delega ad Haly il reperimento di una sposa italiana, a Lindoro la tratta della moglie Elvira, a Taddeo le ambasciate per Isabella, etc...). Che poi lo stesso Nino si lasci blandire da Semiramide con una falsa promessa d’amore – nel tentativo di salvare Mennone - (Nino: «Dunque dì, sperar poss’io?» – Sem: facendosi forza «Spera si, te lo concedo», I,12), lo fa rientrare a pieno titolo nella categoria dei Pappataci: il “melo-dramma eroicomico” è compiuto. Tutto ciò Rossi lo ordisce con lucida consapevolezza, dando ai caratteri dei personaggi attributi peculiari: Semiramide, inizialmente ingenua e scostante (ai limiti del grossier, essendo cresciuta raminga in una grotta) e poi donna energica e pragmatica (non bisogna dimenticare che l’opera è dedicata a Maria Luigia d’Asburgo,20 seconda moglie del Grande Corso e amatissima Duchessa di Parma post Restaurazione); Mennone, diviso tra l’amor di patria (la fedeltà a Nino, nonostante tutto) e l’amore per Semiramide, sostanzialmente però eroe a metà (Semiramide “porta i pantaloni”, non lui); Nino, tiranno antonomastico, autore del divieto che innesca la parabola tragica della vicenda;21 Timotèo, ridicolo parente di tutti i Poeti buffi (Pacuvio e Isidoro, ma in primis dell’omonimo Timotèo del Corradino ossia il trionfo delle belle22 farsa di Pavesi su libretto sempre di Gaeta20 Così nel manoscritto: «Maestà / Alle tante virtù, che rendono degna la M.V. del sublime grado in cui il Cielo l’ha posta, non poteva andar disgiunto il dolce genio della Musica, e conoscendo quanto la M.V. sia a cognizione di questa scienza, mi sento animato a presentarle questa mia piccola, e debole composizione. / Si degni V.M. di perdonare l’arditezza, e riguardare il presente per un sincero attestato della profonda venerazione, con cui le baccio [sic] la mano / Della M.V. / Umilissimo, Devotissimo ed Obbligatissimo Servitore / Ferdinando Paini». 21 «[...] c’è un impedimento, un divieto, messo in azione prevalentemente in atto da un’autorità (padre, sovrano, tutore, zio...) che, impedendo a due innamorati di realizzare il loro amore, innesca il meccanismo degli intrighi e della trama, con tutte le variabili possibili»; cfr. FOLCO PORTINARI, Pari siam! Storia dell’800 musicale attraverso i sui libretti, Torino, EDT 1981, p. 27. 22 Dramma eroico-comico in un atto. Venezia, S. Moisè, carnevale 1809. Detta farsa (anticipatrice della Matilde di Shabran rossiniana per trama e caratteri e derivato dal Corradino di Morlacchi) è stata recentemente riportata alla luce nell’ambito del “Rossini Opera Festival” 2004. Per la comparazione drammaturgica dei lavori di Rossi-Pavesi, Sografi-Morlacchi e Ferretti-Rossini, si veda di TERESA M. GIALDRONI, Frammenti di un abbozzo curioso. Qualche ipotesi sul Trionfo delle belle di Stefano Pavesi, in Belliniana et alia musicologica. Festschrift Friedrich Lippmann zum 70. Geburtstag, a cura di D. Brandenburg e T. Lindner., «Primo Ottocento. Studien zum italienischen Musiktheater des frühen 19. Jahrhunderts», 4., Wien 2003, pp. 131-180. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 219 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 219 no Rossi, ove il ruolo venne creato da quel Luigi Rafanelli primo Tobia Mill, Tarabotto e Bruschino padre) e strettamente correlato in quanto a metateatralità al Prosdocimo del Turco di Romani-Rossini, di un anno antecedente;23 anche il Coro, trattato nelle sue molteplici composizioni di soldati, villici, cortigiani, ecc., si esprime ora con accenti bucolici, ora con solenne ieraticità degna dei Gluck e Traetta “riformati”. 4. Prima della prima: cast e contemporaneità La distribuzione dei ruoli e degli interpreti predisposta da Paini è la seguente: Semiramide [contralto], Maria Marcolini; Mennone [tenore], Givanni Battista Rubini; Nino [basso nobile],Giuliano Pucci; Timotèo [basso buffo], Luigi Zamboni; Neride [soprano o mezzosoprano], Carolina Sivelli; Cerinto [basso], Giovan Battista Serra; Lisia [basso], Pietro Fontana; Il contratto che Paini ebbe con il S. Moisè si deve essenzialmente a Maria Marcolini, moglie dell’impresario del S. Moisè, Fedele Caniggia,24 altrimenti non si spiega come un lavoro di tale durata (due atti) e organico (sette voci soliste più coro misto e comparse) possa essere stato commissionato da un così piccolo teatro, tempio sin dagli esordi del più economico genere della farsa. Nome di spicco nel panorama dell’epoca, la Marcolini (interprete prediletta da Rossini, creatrice di Isabella, Ernestina, Clarice, Sigismondo e Ciro) venne affiancata da due altri cantanti entrati a loro modo nella storia: Giovanni Battista Rubini 23 Egli si esprime frequentemente da corago:«[...] Che nuova interessante situazione / Mette il pubblico in somma aspettazione» ( Scena 2), talvolta sembra egli stesso condurre le fila della narrazione, come in «Ecco un duetto che finisce in terzetto» (Scena 4), «Pian pian nel semiserio / Va tragico l’affar » (Scena 12I) e «Ecco un finale eroico / Dolor...disperazione / Quello è il tiranno in bestia / La donna in gran passione / L’amante la che spasima / E chiede al ciel pietà / Un pochi dei passaggi / Il solito crescendo / Così...sospir...furori / Tableau si formerà / Benon terminerà» (idem, con tanto di critica hic et nunc alla nuova scuola rossiniana), «Il silenzio, il mistero, la passione / Il contrasto...che bella situazione / Ad uso sotterraneo, per un pezzo / D’una grand’opera» (II,7), sino alla morale finale «È l’opera finita / Vedrem se fu gradita / Ognun fè il suo possibile / Si fa quel che si fa» (Scena Ultima). È inoltre stretto parente di Don Magnifico e Taddeo, chiamandosi per esteso “Timotèo de’Timotèi” ed essendo originario di “Monte Fiascone”. 24 MARIA GIOVANNA MIGGIANI, Il Teatro di San Moisè (1793-1818). Cronologia degli spettacoli, «Bollettino del Centro Rossiniano di Studi», XXX, 1990, nn. 1-3, p.165. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 220 19:12 Pagina 220 DANIELE TORELLI (che sarebbe divenuto il prototipo del tenore “romantico”, creando i ruoli tenorili in Bianca e Fernando, Pirata, Sonnambula e Puritani),25 e quel Luigi Zamboni creatore di lì a poco del Figaro rossiniano. Anche Carolina Sivelli ebbe una carriera di tutto rispetto (era già stata il primo Roggero in Tancredi), mentre i tre bassi Pucci, Fontana e Serra si possono considerare dei comprimari (e di ciò risente la loro scrittura vocale – anche in Nino che è comunque uno dei personaggi principali – notevolmente semplificata). La medesima compagnia della Figlia dell’aria è riportata come interprete nella ripresa veneziana della Cameriera astuta, andata probabilmente in scena al S.Moisè nella medesima stagione (o in quelle immediatamente precedente o successiva), con l’eccezione del basso Serra, sostituito per ovvie ragioni di libretto dal contralto Beatrice Anti Paroletti; omogeneità nel cast che conferma il rapporto allora esistente tra Paini e l’impresa del S. Moisè per la stagione primaverile del 1815. Ampliando l’orizzonte alle novità musicali ed agli avvenimenti contemporanei, si dava allora in laguna anche la citata Clotilde di Carlo Coccia ed in altri teatri della Penisola vi erano state premiéres di grande valore nelle stagioni precedenti: al S. Carlo di Napoli il 19 gennaio la ‘prima’ partenopea della Ginevra di Scozia, ed il 27 marzo la ‘prima’ assoluta della Cora, entrambe di Mayr (opere che ebbero effetto immediato sulla concezione drammatica di Rossini, anch’egli all’esordio napoletano con Elisabetta Regina d’Inghilterra il 4 ottobre di quel 1815),26 mentre alla Scala di Milano il 27 marzo toccava alla prima lombarda de Le nozze di Figaro. Un bel parterre de roi dunque, tenendo inoltre presenti le riprese proprio al S. Moisè de L’Italiana in Algeri e le autunnali riprese romane de Il Turco in Italia; non si dimentichi che contemporaneamente Napoleone si apprestava, dopo la fuga dall’Elba, a vivere i cosiddetti “Cento giorni” (20 maggio-20 giugno), bruscamente interrotti il 18 giugno dalla definitiva débâcle di Waterloo.27 La stessa Serenissima, sballottata tra gli Imperi dopo Campoformido e Pressburgo, era casus belli al Congresso di 25 Di cui lo stesso Rossini soleva dire «Tre sono i veri genij, il papà Lablache, il prediletto figlio, il vero Rubino del canto, il caro Don Giovanni Battista, e quell’ enfant gatè della natura, Maria Felicita Malibran»; cfr. GIOVANNI CANEVAZZI, D’un memoriale di G.B. Rubini, «Rivista Teatrale Italiana», II, n. 3, Napoli 1902, p. 270. 26 Sull’influenza di Mayr sul Rossini napoletano si veda PAOLO RUSSO, I “cori d’accompagnamento”: per la drammaturgia di un “bell’ornamento”, «Polifonie», III/2, 2003. 27 EMIL LUDWIG, Napoleone, con una nota di Guglielmo Salotti; traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Rizzoli 2000 (“BUR”). (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 221 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» Vienna: giorni di grandi cambiamenti per i titani della musica quelli della politica. 221 28 e per 5. La partitura in nuce 29 I quattro punti salienti che già da soli forniscono un’idea globale sia degli intenti drammaturgici che delle peculiarità della scrittura vocale e strumentale di questo compositore sono la sinfonia, il Finale Primo, in quanto «grande affresco drammatico-musicale posto al centro fisico, estetico ed emotivo della partitura, in conclusione d’atto, nel quale si saggiava tanta parte della maestria compositiva di un compositore, impegnato a condurre la vicenda verso il punto di massima crisi»,30 la Scena e Rondò di Semiramide nel secondo atto, vale a dire l’aria eroica del personaggio principale, e l’aria di Timotèo sempre del secondo atto, viceversa aria buffa. a. La sinfonia Concepita per l’organico organico standard del S. Moisè (coppie di fiati - tranne flauto e fagotto, singoli - più archi e senza timpani),31 si apre con una breve Introduzione lenta affidata ai legni che subito dà luogo all’Allegro Vivace, nucleo formale di tutta la pagina; l’intera struttura richiama apertamente quella sorta di «forma sonata semplificata» tanto cara a Rossini:32 28 «E venne Rossini. Rossini è un titano. Titano di potenza e d’audacia. Rossini è il Napoleone d’un’epoca musicale. Rossini, a chi ben guarda, ha compito nella musica ciò che il romanticismo ha compito in letteratura. Ha sancito l’indipendenza musicale: negato il principio d’autorità che i mille inetti a creare volevano imporre a chi crea, e dichiarata l’onnipotenza del genio», cfr. GIUSEPPE MAZZINI, Filosofia della musica, a cura di Marcello De Angelis. Guaraldi, Rimini-Firenze 1977, p. 53. 29 Frontespizio del manoscritto custodito presso il Conservatorio “A.Boito” di Parma: A Sua Maestà l’Infanta Maria Luigia / Borbone / Sinfonia, cavatina con Cori, Gran Scena / Rondò e Duetto / Composta dal Maestro Ferdinando Paini / Nell’Opera intitolata la Figlia dell’Aria / In Venezia la Primavera dell’Anno 1815. Per i criteri di trascrizione, le fonti e le partiture dei brani citati si rimanda a FEDERICO GON, All’ombra di Semiramide: Ferdinando Paini e La figlia dell’aria, Tesi di Laurea in Musicologia e Beni musicali, Università degli Studi di Padova, a.a. 2008-2009. 30 MARCO BEGHELLI, Morfologia dell’opera italiana da Rossini a Puccini, in Enciclopedia della Musica, Torino, Einaudi 2006, II, p. 894. 31 Come facile esempio bastino gli organici identici delle farse rossiniane date al S. Moisè tra il 1810 ed il 1813. 32 Perché prima del cosiddetto “sviluppo”, come analizzato cronologicamente e formalmente da PHILIP GOSSETT, Le sinfonie di Rossini, «Bollettino del Centro Rossiniano di studi», XIX, 1979, nn. 1-3. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 222 222 DANIELE TORELLI Sezione N° battute Tempo Metro Tonalità Introduzione 15 Largo C RE (Esposizione) A 21 Allegro vivace [ 12 / 8 ] Tutti in fortissimo + breve Ponte 1 30 C B 15 [ 12 / 8 ] Crescendo e cadenze 20 + 12 C Ponte 2 11 (Ripresa) A 21 [ 12 / 8 ] Tutti in fortissimo + breve Ponte 1 30 C B 15 [ 12 / 8 ] Crescendo e cadenze 20 +8 C Stretta 29 [LA] RE Più mosso A e B però sono più due fratellastri che non gli antagonisti maschile e femminile che si vogliono personificazione della bitematicità: qui l’uno è diretta emanazione dell’altro per andamento, caratteristiche armoniche, accenti metrici e linea melodica. La differenza risiede nella posizione: il primo, l’exordium, porta con sé anche accenti lirici e patetici (una codetta in minore prima del “Tutti” [narratio]), mente il secondo, l’argumentatio, è per forza più scandito, dato che la sua funzione risiede essenzialmente nel ribadire il concetto prima della peroratio finale (il Crescendo e la Cadenza).33 La modernità (o l’epigonismo se si vuole) di questa pagina risiede però nel Crescendo, strutturato in modo “rossiniano”, ossia sfruttando l’inesorabile e frenetica pendolarità tonica-dominante (inciso di 2+2 battute)34 e non fisso sul tipico pedale di tonica come nella scuola 33 Simile rifarsi alla retorica non è solo un mero strumento di comodo, ma ben esprime le sostanziali differenze tra le sezioni della sinfonia d’opera italiana del periodo, radicalmente diversa dal sonatismo di area austro-germanica da cui deriva, perché ben più semplificata e schematica nelle sue componenti (su tutte, la già rimarcata assenza di una frazione espressivamente fondamentale ma formalmente trascurabile come il cosiddetto “sviluppo”). È per questo che, nonostante la somiglianza, A presenta un incipit lirico quasi pre-verdiano, mentre B è più legato allo stile rossiniano dominante. 34 «Rossini escogita ed applica su larga scala un principio costruttivo diverso da quello della frase canora a membri simmetrici: esso consiste nell’iterazione ossessiva e meccanica di un motivo, in gruppi isocroni di due o quattro battute alternativamente alla tonica e alla (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 223 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 223 napoletana, affidandosi a progressioni per 3ª e 6ª ed aumento graduale degli interventi e dei raddoppi strumentali. È un cosiddetto periodo ‘fisico’,35 struttura causa principale della propulsività dinamica insita nei crescendo rossiniani. Che Paini colga e faccia propria questa novità peculiare nel Cigno di Pesaro (per non parlare delle modernissime quattro battute sincopate in chiusura, di eco quasi donizettiana) è merito non da poco per un operista più che quarantenne e di formazione napoletana;36 inoltre il gusto quasi mannheimer del colore orchestrale che traspare da certi passaggi in aumentando e diminuendo, lascia intendere che si tratti quantomeno di un compositore attento ai mutamenti di stile avvenuti da Mayr in poi sulle scene italiane.37 dominante [...] ne promana una motoricità attonita nei tempi lenti (come nel Largo del finale I nell’ Italiana in Algeri), necrotizzante nei tempi veloci (come nei marosi che squassano la Stretta del finale I nel Tancredi), una frenesia che vortica a perdifiato su di sé e che, combinata col crescendo orchestrale, tripudia nelle sezioni finali delle sinfonie e dei numeri canori più brillanti. Sui contemporanei esercitò una “fisica impressione”, una “dominazione generale degli orecchi”»; cfr. LORENZO BIANCONI, Il teatro d’opera in Italia, Bologna, il Mulino 1993, p. 77. 35 Ove «il membro di quattro battute non è autosufficiente ma risolve, da un punto di vista armonico e metrico, sulla quinta battuta, ch’è al contempo la prima del successivo»; cfr. SAVERIO LAMACCHIA, “Solita forma” del duetto o del numero? L’aria in quattro tempi nel melodramma del primo Ottocento, «Il Saggiatore Musicale», VI, 1999, pag. 123. Nozione presa a prestito da LORENZO BIANCONI, «Confusi e stupidi»: di uno stupefacente (e banalissimo) dispositivo metrico, in Gioachino Rossini 1792-1992: il testo e la scena, a cura di Paolo Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini 1994, pp. 129-161. 36 Acume che suoi colleghi di estrazione o studi partenopei non sempre denotano, come la sinfonia della citata Clotilde del pur dottissimo Coccia (basti il magistero della fuga dell’Amen conclusivo nella Messa per Rossini curata da Verdi), o lavori coevi di Mosca, Päer, Farinelli, etc... 37 Per dirla con Mila, egli ebbe meriti non da poco: «[egli] diede agli Italiani il desiderio di un nuovo stile»; cfr. MASSIMO MILA, Breve storia della musica. Torino, Einaudi 1977, p. 257. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 224 224 DANIELE TORELLI b. Il Finale Primo Le scene coinvolte in questo Finale Primo sono tre (10, 11, 12) a fronte però di un ben maggior numero di sezioni formali e musicali differenti: Personaggi Scena Verso Incipit poetico Tempo Neride Cerinto, Coro 10 Quinari Più dolci e placide Largo Oh, come l’anima Andantino Un certo ardor Più mosso E perché a me non torni Allegro moderato O d’Assiria sol nascente Adagio Oh la sbaglia il signor Nino Adagio ma non tanto È padrone il Re di tutto Allegro vivace Vedi, o donna d’oriente Andante comodo Sem, Tim, Nino T’offro il cor... i miei tesori Allegro un poco agitato Sem, Tim, Men, Nino Dunque un altro più ti piace Allegro con brio Menn Dal suo bene abbandonato A tempo Sem, Tim, Men, Nino Qual crudel momento è questo Largo Ebben: che fai! decidi Allegro Semiramide, Ner Sem, Ner, Cer, Coro Sem, Timotèo Nino Ottonari 11 12 Settenari Semiramide Per me lo veggo a piangere Sem,Tim, Nino Vile, ti metti a piangere Tutti Di gioia e di trionfo Allegro vivace (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 225 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 225 Metro Tonalità Sezioni musicali Affetto 9/8 LA 1 – T. di preparazione Introduzione Entrata a Corte Semiramide MI 2 – T. d’attacco Aria con pertichini A Gioia di S. FA B Passione di S. MI C (cabaletta) Speranza di S. DO [SOL] DO Duetto D Tim. esalta S. SOL E Fermezza di S. 2/4 DO F (cabaletta) Contrasto timore /onore C FA 2 – Insieme I A Potenza di Nino B Passione di N. Fermezza di S. SI b [MI b] C Gelosia di N. Trionfo amoroso di N. do D (Arietta*) Mestizia di Men. MI b 3 - Concertato di stupore Crogiolo delle passioni SOL 4 – Insieme II A re B (Arietta*) Mestizia di Sem. C (Ponte) Reazione di Nino 5 - Stretta Eccitazione generale C RE (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 226 19:12 Pagina 226 DANIELE TORELLI Pur essendo il talvolta abusato concetto di «solita forma» accezione relativamente moderna di una prassi mai codificata esplicitamente all’epoca dei fatti,38 si intende l’Introduzione come Tempo di preparazione, l’Aria con pertichini ed il Duetto come dilatatissimo e variopinto Tempo d’attacco propositivo e cinetico, il concertato come Cantabile contemplativo e statico. Questo è il vero gioiello dell’opera: a voci quasi scoperte, sostenuto solo dai legni, assomigliante sia nell’attacco che nell’andamento e figurazione a «Ciel! - O terreur, ô peine extrême» nel Finale Primo de Le Comte Ory. Nella prima frazione le voci procedono serrate fino all’isolato Timotèo che fa da raccordo con la seconda sezione, ove si dividono: Nino vs MennoneSemiramide, mentre il poeta interviene con entrambi i blocchi (specchio dei rapporti creatisi), su un tema terzinato raddoppiato dai legni, con corni e fagotto a fare da sostegno armonico (gli archi tacciono per tutto il brano), e le ultime sei battute della cadenza in diminuendo, con pedale conclusivo. Gli Insiemi I e II svolgono le funzioni ascrivibili al Tempo di mezzo (solo il II lo è realmente, per posizione), 39 mentre la frazione conclusiva è appunto una Stretta convenzionalmente intesa, pezzo ad alta dinamicità e ricchezza sia nei volumi che delle linee vocali, ove l’emersione della voce di Timotèo (sulle parole «Ecco un finale eroico») ricorda il Figaro del Finale Primo del Barbiere («Guarda Don Bartolo») nella distaccata partecipazione agli eventi, arrivando perfino a pensare di averli in pugno. Non solo: l’Aria con pertichini ed il duetto sono a loro volta in tre tempi, avendo entrambi regolari tempi d’attacco (A, D), tempi di mezzo (B, E) e cabalette (C, F); particolarmente interessante è anche l’uso che Paini fa di una stessa sezione musicale – nella Tabella etichettata come Arietta* – affidandola prima a Mennone («Dal suo bene abbandonato») e poi, un tono più alta ma identica, a Semiramide («Per me lo veggo a piangere»). Iterazione assolutamente non suggerita dal libretto, visto lo scarto sia metrico (ottonari vs settenari) che agogico (a tempo vs allegro): dunque piena volontà del compositore operare questa sorta di “reminiscenza”, visto il medesimo rassegnato pathos col quale i due amanti acquistano consapevolezza amara sorte che si prospetta loro. Per capire il mestiere di Paini giova confrontare a grandi linee questo Finale con quelli relativi del Barbiere rossiniano e della citata Clotilde: 38 «Si tratta dunque di un massimo comun denominatore, di cui peraltro gli artefici dell’epoca non parlano mai in forma esplicita completa»; cfr. M. BEGHELLI, Morfologia dell’opera italiana cit, p. 904. 39 Così come nel Finale Primo del Barbiere rossiniano il vero Tempo di mezzo (stando tra Largo concertato e Stretta) è «Ma signor / Zitto tu!», ma medesime caratteristiche di cinetica dialogicità ha anche l’antecedente «Che cosa accadde, signori miei?», dividendo il Tempo d’attacco («Hey di casa, buona gente») dal Largo concertato (Vedi Tabella). (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 227 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 227 Il Barbiere di Siviglia, Finale Primo Scena Incipit poetico Tempo Metro Tonalità Sezioni musicali 13 Ehi di casa, buona gente Marziale C DO 1-Tempo d’attacco 14 Ah venisse il caro oggetto 15 Che cosa accadde? Allegro 3/4 MI b (Insieme I) 2 16 Fermi tutti, niun si mova Moderato C DO 3 12/ 8 MI b 4 -Concertato di stupore DO 5- T. di mezzo (Insieme II) Questa bestia di soldato Vivace Freddo ed immobile Andante Ma signor / Zitto tu! Allegro SOL C Mi par d’esser con la testa Presto 6 - Stretta Clotilde, Finale Primo40 Scena Incipit poetico Tempo Metro Tonalità Sezioni musicali 12 Sua eccellenza dalle scale Allegro C DO 1- Tempo di preparazione Introduzione A Del nostro vivo ardor Allegretto 6/8 DO Coro B Balletto C Da mille dolci immagini Andante Questo un gran dir si chiama C LA b Arietta D Allegro FA 2 - Tempo d’attacco Oh che appena... oimè...respiro Larghetto MI b 3 - Concertato di stupore Voi qui dunque? Allegro SOL 4 - Tempo di mezzo Qual crudel vicenda è questa Mosso DO 5 - Stretta 40 Per analisi formale, nozioni storiche e libretto della Clotilde vedasi MAURO SIRONI, L’intricata Foresta d’Hermanstadt. Clotilde, edizione critica a cura della Fondazione Teatro Coccia, Novara, Lampi di stampa, 2003. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 228 19:12 Pagina 228 DANIELE TORELLI Segno evidente della modernità del Barbiere è la costruzione su un numero maggiore di scene, ognuna portatrice di nuovi personaggi e nuovi elementi alla trama: travestimento di Almaviva, penetrazione in casa di Rosina; battibecchi con Don Bartolo; venuta pseudo-pacificatoria di Figaro (nel frattempo anche Berta e Don Basilio); intervento della Forza pubblica; stupore generale; finale di confusione. Progressione narrativa e drammatica totalmente assente nella Clotilde. Anzitutto perché esso è articolato – a parità delle solite 4-5 sezioni musicali – non su più scene ma su di una unica (la 12), ove accade poco o nulla: preparativi di una festa, l’eroina buona conquista colla sua bontà il “principe azzurro”, l’antagonista cattiva a lui promessa sposa (motivo della festa) minaccia l’eroina buona. Stop. Senza timore di apologia, è chiaro che in questi particolari narrativo-formali risiedono sia la superiorità del Barbiere che della globale concezione drammatica rossiniana.41 Entrambi i libretti di Rossi soffrono di una certa staticità drammatica: in Clotilde, dopo lo scontato Coro introduttivo e gli altrettanto scontati Aria e Duetto (momenti di stasi lirica), appena con l’entrata in scena di Nino (sezione 4) si assiste alla argumentatio, ossia i personaggi mettono le carte in tavola (Semiramide ama Mennone e non Nino), provocando quella ridda di affetti che conducono alla massima crisi della narrazione, la Stretta (che non chiamiamo peroratio per amore di aderenza etimologica alla realtà scenica: non vi è conclusione, semmai confusione). Paini però dimostra di conoscere bene la materia sulla quale ha messo mano, operando ad un livello superiore rispetto alla mera disposizione delle scene: l’estrema coesione drammatica e formale è traguardo che Paini vuole raggiungere,42 adoperandosi in mezzi tecnici ed accorgimenti strutturali. Consapevole della scarsa varietà drammatica di questo Finale Primo, egli agisce usando il citato mestiere dell’operista, con un semplice espediente: variare in continuazione le unità agogiche. È l’unica arma a sua disposizione per rendere vario e accattivante questo picciol dramma da sé,43 che così statico, avrebbe avuto altrimenti ben poco da dire. A 41 Merito che si può far risalire al Barbièr di Beaumarchais, ma non solo: per esempio, in un’altra opera dall’esemplare Finale Primo come L’italiana in Algeri, esso si articola comunque su tre scene, ripartite in cinque sezioni musicali. Per l’edizione critica del libretto con cenni alla drammaturgia e alla partitura PAOLO FABBRI - MARIA CHIARA BERTIERI, L’ Italiana in Algeri, Pesaro, Fondazione Rossini 1997. 42 A riprova della volontà costruttiva e formale colla quale Paini ha operato, il brevissimo Adagio ma non tanto «Oh la sbaglia il signor Nino» della Scena 11, variazione agogica dovuta solo al variare degli ‘affetti’ e non suggerita dal variare del metro nel libretto, e che va a costituire il Tempo di mezzo del duetto. 43 LORENZO DA PONTE, Memorie ed altri scritti, a cura di C. Paganini, Milano, Longanesi 1971, p. 147. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 229 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 229 riprova di ciò basti vedere come alle tre scene (10, 11 e 12) corrispondano sì cinque macrosezioni musicali, ma ben quattordici indicazioni di tempo, variabili al variare degli ‘affetti’ in gioco. Lezione drammaturgico-compositiva che Paini ha ben compreso, metabolizzato e applicato: se «la musica vocale può essere facilmente intesa [...] come rappresentazione o espressione del testo che ne sta alla base»,44 egli articolando formalmente (ed artigianalmente, senza sovrastrutture simboliche) questo Finale Primo ha ben espresso l’anima primordiale della musica, «emozione matematizzata o mathesis emozionalizzata».45 c. Aria di Timotèo «Ah fortuna tu sei donna», Atto II, scena 14. L’aria in questione funge da chiusa dell’intero quadro e prelude immediatamente al Finale Secondo ed alla Scena e Rondò di Semiramide di cui parleremo in seguito. Il poeta, giacché ha violato gli ordini del sovrano favorendo l’incontro tra Mennone e Semiramide (II, 7), ha scatenato le ire di Nino, il quale lo ha appena condannato a punizione amarissima: una volta accecato Mennone, sarà proprio Timotèo a condurlo per il mondo. In questa pagina egli si lamenta tra sé dialogando con la Fortuna – personificata da una fanciulla bella quanto scostante – dalla quale egli non anela che un istante di felicità. Di che ridere, in apparenza, c’è ben poco: N.B. in corsivo le ripetizioni dovute all’intonazione di Paini Testo Rima Sezione musicale Ah! Fortuna, tu sei donna Io le donne ho sempre amato Ma tu sempre m’hai burlato Mi facesti disperar a b b x Attacco Come quelle signorine Che a scherzar si dan diletto Mi facesti il bell’occhietto... M’illudesti...mi mosrtrasti... c d d e A Cose rare...il tuo bel crine... Io credei...tu m’invogliasti... Sul più bel poi mi piantasti Mi facesti sospirar: c e e x Ah! Sei donna e tanto basti. Chi di te si può fidar? e x Tonalità RE cadenza 44 CARL DAHLHAUS - HANS H. EGGEBRECHT, Che cos’ è la musica?, Bologna, Il Mulino 1988, p. 113 45 Cfr. ivi, p. 30. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 230 230 DANIELE TORELLI Rima Sezione musicale Tonalità Io di tutto un poco appresi Per campar cangiai paesi Con la cara musa mia Sempre unito in compagnia f f g g A’ [FA] Ma una fosse andata bene Oh disdetta singolar Ma una fosse andata bene Oh disdetta singolar h x h x Tempi barbari e perversi? Ci vuol altro che far versi! Altra scuola, altri talenti Son di moda a dì presenti I i l l Ponte [re] Oh fortuna tu sei donna Ma ogni donna ha un buon momento D’un momento mi contento D’un tantino di bontà a m m n B RE Ma ridotto a menar l’orbo Che crudel fatalità o n Crescendo e cadenza Oh fortuna tu sei donna Ma ogni donna ha un buon momento D’un momento mi contento D’un tantino di bontà a m m n B Oh fortuna tu sei donna Ma ogni donna ha un buon momento D’un momento mi contento D’un tantino di bontà a m m n Testo cabaletta cabaletta [re] RE Coda e cadenze Consta di sei quartine intervallate irregolarmente da distici46 ed il verso è costantemente ottonario; nell’originale manca l’indicazione di tempo: presumibilmente però si tratta di un Allegro. Seppur fondamentalmente bipartito, l’impianto formale di quest’aria presenta alcune curiosità interne; l’attacco in Re maggiore che investe la prima quartina è assai scandito, più vicino al parlato che alla melodia, tipico esergo riferibile all’esposizione di quella che è la natura dell’aria, l’argomento (la «mossa», per dirla con Basevi);47 la sezione A 46 Con frequente «introduzione di un’ulteriore uscita tronca del terzultimo verso di una strofetta, come anticipo di quella finale»; PAOLO FABBRI, Metro e canto nell’opera italiana. Torino, EDT 2007, p. 103: espediente metrico usato da Gaetano Rossi sin dai tempi della Ginevra di Scozia (1801) per Mayr. 47 ABRAMO BASEVI, Studio sulle opere di Giuseppe Verdi, Firenze, Tofani 1859, p. 195; citato anche in FABRIZIO DELLA SETA, Italia e Francia nell’Ottocento, in Storia della musica, a cura della Società Italiana di Musicologia. Torino, EDT 1993, IX, p.172. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 231 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 231 è invece costruita in maniera tale che la seconda quartina venga associata ad un tema ripetuto identico nel primo e nel secondo distico (cd, cd) mentre la terza quartina si intona con una piccola variazione nel primo distico (ce) e con la riproposizione del nucleo tematico nel secondo (ex), con ogni distico associato a membri di quattro battute: è quella che si suole definire riduttivamente come lyric form (4a+4a+4b+4a).48 Non basta: dopo la breve cadenza e lo stupefacente salto a Fa maggiore (atto a caratterizzare la sensibile variazione nel focus dell’argomento, non più le “signorine”, ma le diatribe lavorative ed occupazionali) anche la quarta quartina ed il distico che ad essa segue sono trattati alla stessa maniera, con l’accorgimento adottato da Paini nel ripetere due volte il distico «Ma una fosse andata bene / oh disdetta singolar!», unico espediente praticabile per raggiungere il numero di 16 battute necessario allo schema sopra riportato. La presenza così evidente di due lyric form in successione, all’altezza del 1815 è caso interessante: se essa diviene con Donizetti, Bellini e Verdi «il principale congegno melodico-formale e viene utilizzata in modo pervasivo»,49 in epoca precedente se ne trovano tracce sporadiche in Mozart (l’aria di Sarastro «In diesen heil’gen Hallen») e nel Rossini comunque post 1815 (il cantabile di «Cessa di più resistere» dal Barbiere, la preghiere di Desdemona «Deh! Calma , o ciel, nel sonno», la cabaletta del duetto Elena-Uberto «Cielo in qual’estasi» dalla Donna del lago). Il Ponte è caratterizzato dal contrasto dinamico e timbrico dell’orchestra - quasi a un punto esclamativo - e contiene in sé la morale satireggiante dell’aria, mentre la sezione B che segue rimarca la tonalità d’impianto ed è di carattere più propositivo rispetto ad A ed A’, essendo associata non più ad una narrazione (vera o presunta tale) ma ad un’aspettativa futura, la fiducia nel Destino/Fortuna. Essa è organizzata su di un inciso iniziale seguito da una Cabaletta vera e propria, la cui pendolarità (14 battute di tonica-dominante in Re) è atta a sottolineare il mutato atteggiamento di Timotèo; il riproporsi come da norma della Cabaletta è preceduto da una sezione intermedia costruita a mo’ di crescendo (usato poi per la chiusa strumentale finale) con varie cadenze, dove ben si compren- 48 Termine introdotto da JOSEPH KERMAN, Lyric Form and Flexibility in Simon Boccanegra, «Studi. Verdiani», I, 1982, pp 47-62. Sull’argomento si vedano anche SCOTT BALTHAZAR, Rossini and the Development of the Mid-Century Lyric Form, «Journal of the American Musicological Society», 41, 1988, pp. 102-125.; STEVE HUEBNER, Lyric Form in Ottocento Opera, «Journal of the Royal Musical Association», 117,1992, pp. 123–47; GIORGIO PAGANNONE, Mobilità strutturale della lyric form. Sintassi verbale e sintassi musicale nel melodramma italiano del primo Ottocento, «Analisi», VII/20, 1996, pp. 2-17. 49 G. PAGANNONE, Tra “cadenze felicità felicità felicità” e “melodie lunghe lunghe lunghe”. Di una tecnica cadenzale nel melodramma del primo Ottocento, «Il Saggiatore Musicale», IV, 1997, pp. 53-86: p. 59, in nota. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 232 19:12 Pagina 232 DANIELE TORELLI de la valenza drammaturgica di un’aria buffa in un contesto tendente al tragico: pur sottolineando la tremenda punizione a lui destinata, tutti (sia noi che lui) percepiamo che essa non verrà in alcun modo comminata, potenza del genere semiserio e buffo.50 Entrando poi nella dimensione puramente vocale, la tessitura e l’estensione (da Fa? a Do?) risultano essere di normale amministrazione per un buffo - soprattutto pensando a «Largo al Factotum» che Zamboni sarà in grado di interpretare l’anno seguente - mentre la linea melodica tende sempre alla dominante della tonalità in uso: il La? nelle sezioni A, B e nella Coda (tonalità d’impianto Re maggiore) mentre in A’(Fa maggiore) è il Do centrale ad essere toccato con più frequenza. Escluso qualsiasi accenno di virtuosismo,51 manca all’appello anche il vero marchio di fabbrica delle arie buffe belcantistiche, il classico sillabato a raffica. Tipica aria d’elenco (forte l’analogia con «Scorsi già molti paesi» dal Barbiere paisielliano), svolge appieno la sua funzione drammatica: esclusa ovviamente dal piano narrativo (se non ci fosse, l’azione procederebbe ugualmente, persino più spedita), sul piano espressivo è nel buffo puro, didascalico e simbolico, atto a far divertire e ragionare al contempo usando abilmente metafore e paragoni, che risiede l’essenza di quest’aria. Un commento sì di Timotèo alle proprie sinistre vicende personali, ma che reca con se l’archetipo del Fato come oggetto inafferrabile, della Fortuna come cieca e scostante entità, contro la quale nulla vale; qualche intervento “politico” come «Altra scuola altri talenti / Son di moda ai di presenti» è facilmente traslabile dall’antica Ninive all’Italia dell’allora contemporaneità, mentre la generale misoginia del testo è affine a quella di Don Alfonso nel Così fan tutte. Timotèo dunque «castigat ridendo mores», con in più una sana dose di buffo puro insita nel suo personaggio. Aria semplice e al contempo strutturalmente complessa, innocua drammaturgicamente ma di pungente satira, dalla struttura monolitica ma segnata al suo interno da vari ‘affetti’ e sottili mutamenti, con un’unica certezza: Timotèo si lamenta, ma la musica ci dice che non gli verrà torto un capello; anch’egli lo sa, e ne approfitta per attaccare direttamente sia il genere femminile che i costumi dell’epoca. 50 Tra le centinaia di casi, l’impalamento promesso a Taddeo e poi – ovviamente – mai avvenuto, o le vendette e ritorsioni giurate e mai applicate da Almaviva (sia nel Barbiere rossiniano che nelle Nozze di Figaro), Don Ramiro, Don Magnifico, Ormondo (Inganno felice). 51 Il che non è indizio probante: la notazione risulta più scarna dell’effettiva prassi esecutiva, dovuta alla volontà degli interpreti del momento; a tal proposito (e sul ruolo del Rossini riformatore degli abbellimenti) si veda RODOLFO CELLETTI, Storia del belcanto, Edizione nuova ed ampliata, Scandicci, La Nuova Italia 1996. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 233 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 233 d. Scena e Rondò di Semiramide «Voglio perire anch’io», Atto secondo, scene 16 e 17 Il presente numero apre il Finale Secondo e si colloca subito dopo l’aria buffa di Timotèo; l’indicazione scenografica del libretto (Reggia di Nino, Tutta in ricchezza e mollezza Orientale negli arredi, e ne’ disegni, e sedili ecc.) porta l’azione all’interno, ove Semiramide attende disillusa il suo destino: scoperta la sua tresca con Mennone (II, 8), è ora destinata in sposa al rude Nino, mentre all’amato spetta – come visto – sorte ben più grave. All’Introduzione marziale a piena orchestra con tanto di strumenti dal richiamo esotico (la catuba),52 fa seguito l’intervento del Coro (nascosto, «di dentro» recita il libretto), ancora una volta di sapore gluckiano. Il recitativo che segue – sul topos del tremolo agitato degli archi –53 si interrompe con l’esclamazione di Semiramide «E soccombo all’orror» che funge da ponte per «Voglio perire anch’io». Essa è articolata in due momenti: un primo segmento dalla fiorita linea vocale (cromatismi e salti di sesta e settima) accompagnato dagli archi su arpeggio cromatico dei legni (dall’insolito sapore quasi balcanico); un secondo segmento in tonalità maggiore (Fa) ove una progressione discendente dei legni di tutt’altro colore introduce l’inciso vocale («Ah senza il caro bene»), concluso con una coda in minore dal tono misterioso su unisono degli archi. Nuovo intervento del Coro, preannunciato dalla «marcia flebile» fuori scena – ove si vede Mennone sfilare tra i ceppi – che, con profonda rassegnazione, compiange il destino del loro generale su accordi spezzati degli archi, bruscamente interrotto dall’invettiva di Semiramide «Voi guerrieri, voi piangete!», che sortirà i suoi effetti in un secondo tempo. A precedere l’inizio della Stretta c’e infatti il momento di fragilità esposto con «Priva mio ben di te»; il dialogo Semiramide-Coro apre l’ultima sezione («No si salvi, si difenda») e prelude alla Stretta54 conclusiva in due 52 Termine che equivale al più corrivo Banda turca (insieme di triangolo, piatti, tamburi vari e grancassa). Lo si trova, oltre che nell’Italiana in Algeri, anche citato nel Ghiribiss del poeta vernacolare piemontese Anacleto Como: «Noi mèscioma la catuba / Con i piat e con ‘l roulant». 53 «Il tremolo di natura emotiva [...] segnala l’aumento della tensione drammatica a prescindere dal contesto situazionale in cui si trova»: cfr. MARCO BEGHELLI, La retorica del rituale nel melodramma ottocentesco, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani 2003, p.192. 54 Qui intesa come parte finale del Rondò: la palese vaghezza terminologica che ha da sempre investito le strutture del rondò, della cabaletta e della stretta, portarono addirittura nel corso dell’Ottocento alla confusione tra i termini rondò e cabaletta, per non parlare dell’ovvia sineddoche che intercorre tra cabaletta intesa erroneamente quale sinonimo di “stretta” e non come parte di essa. Sull’argomento si vedano MARCO BEGHELLI, Alle origini della cabaletta, in L’ aere e fosco cit., pp. 593-630, e ANDREA CHEGAI, La cabaletta dei castrati. Attraverso le ‘solite forme’ dell’opera italiana tardosettecentesca, «Il Saggiatore musicale», X, 2003, n. 2, pp. 22. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 234 234 DANIELE TORELLI Personaggi Scena Verso Incipit poetico Tempo Semiramide 16 Endecasillabi E non lo vedo! Allegro molto, spinoso Sem, Coro Doppi quinari (Coro), Endecasillabo Oh giorno infausto! Andante <comodo Sem, Timotèo Versi sciolti Oh come scossa Recitativo E soccombo all’orror Allegro molto Voglio perire Agitato Qual suono! A tempo Sem. Settenari Sem, Tm, Mennone 17 Coro Semiramide Sem, Coro Ah vane son le lagrime Ottonari Voi guerrieri, voi piangete? Andante col canto Settenari [Priva mio ben di te] Andante sostenuto Ottonari No si salvi, si difenda Allegro Semiramide Dunque all’armi, nel cimento Sem, Coro [Vieni poi nel sen d’amore] Allegro maestoso Dunque all’ armi, nel cimento Allegro [Vieni poi nel sen d’amore] Allegro maestoso Semiramide Sem, Coro sezioni, A e B: la prima («Dunque all’armi, nel cimento») su ritmico scandire degli archi e coi fiati impegnati in brevi interpunzioni; la seconda, separata da A da un “Tutti” in fortissimo a piena orchestra e da una formula cadenzale, più cantabile ma altrettanto brillante su un distico assente in Rossi, «Vieni poi nel sen d’amore / Caro sposo a respirar» (con cadenza conclusiva ove interviene anche il Coro, «Vieni, andiam già n’arde il core») con Semiramide è impegnata in progressioni e salti di sesta (l’estensione vocale è di due ottave piene, da Si2 a Si4); segue una sezione di raccordo affidata al Coro su un fortissimo a piena orchestra, «Tu regina a noi sarai», ripresa dei versi precedenti. Alla ripetizione in toto di A e B segue la conclusiva formula cadenzale brillante di Semiramide (Coda), impegnata in un giro cromatico (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 235 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 235 Metro Tonalità Sezioni musicali Affetto C DO 0 - Scena Introduzione orchestrale + A Ansia di Semiramide Recitativo 3/4 la Scena corale B Cordoglio dei soldati C [FA] Recitativo C Ansia di S. [re] Breve ponte D 1 - T. d’attacco A Rassegnazione di S. [mi] Marcia B Trepidazione [si] Coro C Cordoglio dei soldati 3/4 MI D Ponte Orgoglio 6/8 SOL 2 - Cantabile (?) Fragilità di S. C MI 3 - T. di mezzo Reazione dei soldati 4 - Stretta A Eroismo B A’ B’ Coda C attorno ai gradi I-IV-V sottolineato dal Coro, che confluisce nel forte conclusivo a piena orchestra sulla formula cadenzale I-IV-I-V,55 iterata più volte. Le pretese scenico-vocali della Marcolini56 dovettero sicuramente rimanere soddisfatte dal trattamento loro riservato. 55 Cadenza che suole chiamarsi “felicità felicità felicità”, vedasi G. PAGANNONE, Tra “cadenze felicità felicità felicità” e “melodie lunghe lunghe lunghe” cit. 56 Ben note già all’ epoca: «Se la Marcolini l’avesse richiesto, Rossini l’avrebbe fatta cantare a cavallo»; cfr. STENDHAL, Vita di Rossini; a cura di Mariolina Bongiovanni Bestini, introduzione di Bruno Cagli. Torino, EDT 1992, p. 34. Come in effetti avvenuto in un’aria aggiunta per la ripresa bolognese del Quinto Fabio di Nicolini nel 1811. Vedasi anche nota 62. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 236 19:12 Pagina 236 DANIELE TORELLI Si noti come la varietà della narrazione risulti ben più accentuata rispetto al Finale Primo, varietà non intesa solo come presenza dei personaggi in scena, ma soprattutto come variazione degli ‘affetti’ in gioco, sottilmente in bilico tra aspetto pubblico e privato dei tormenti di Semiramide. L’economia drammatica del brano rispetto al libretto originale di Rossi è stata stravolta dal compositore in tre punti: la cancellazione della quartina farsesca e metateatrale di Timotèo «Sfogatevi, va bene / le pene sono pene / ma questa morte in tragico / è affar d’antichità» per ovvie esigenze di pathos (nella sezione 1-A), l’aggiunta di un intero episodio musicale su versi nuovi (2) e il distico relativo alla Stretta «Vieni poi nel sen d’Amore / Lieto sposo a respirar » (3-B). Volendo difendere la concezione drammaturgica di Paini, il primo e l’ultimo degli interventi hanno un perché giustificato: inserire un commento sarcastico di Timotèo dopo lo struggente «Voglio perire anch’io» avrebbe annullato l’effetto patetico della scena (rafforzato poi dalla supplichevole entrata del Coro con Mennone), mentre aggiungere un distico al Rondò è operazione dettata sia dalla volontà di variare il testo sia dalle ovvie motivazioni formali (la costruzione responsoriale solo-tutti del rondò). Più problematica è l’inserzione di sana pianta della sezione 2, serrata com’è tra la reazione d’orgoglio della protagonista ed il successivo (da lei risvegliato) moto parallelo dei soldati, sua naturale e catartica conseguenza, che darà adito all’eroica Stretta. Questa quartina di settenari tronchi (peraltro convenzionalissima, a metà tra lo stornello e la canzonetta metastasiana: «Priva, mio ben, di te / il duol m’ucciderà / A tanti affanni il cor / Soccomberà») è messa in musica in 26 semplici battute, su pendolare ritmo ternario degli archi (simile a quello della nota «Ombretta sdegnosa del Missipippì») trattata come arietta col «Da capo», ma che mostra anch’essa i primi sintomi della lyric form: 4 battute 4 » 5 » 4 » 4+5 » di introduzione orchestrale (archi) primo e secondo verso (“Priva mio ben di te / Il duol m’ucciderà”) [A] terzo e quarto verso B (“A tanti affanni il cor / Soccomberà”) [A’] terzo e quarto verso » [B’] di ripetizione integrale di A ed A’ Sorvolando sulle caratteristiche del tema e sulla leggera asimmetria del numero di battute (riconducibile forse alla volontà di conferirle un tono popolare),57 il nodo cruciale resta il suo significato drammatico; pur 57 JOHN PLATOFF, Myths and realities about tonal planning in Mozart’s operas, «Cambridge Opera Journal», 1996, 1, pp. 3-15. Nel criticare l’high-level tonal planning da sempre ascritto al teatro mozartiano, asseconda la tesi che vi siano delle convenienze musicali ricorrenti nella rappresentazione di alcuni topoi caratteristici, come appunto l’uso del Sol maggiore per rifarsi ad un’accezione contadina (ad es. il coro «Ricevete o padroncina» delle Nozze di Figaro, III, 11). (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 237 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 237 non avendone le sembianze ritmico-melodiche antonomastiche, se la si considera stasi riflessiva interiore di un’azione eminentemente pubblica (e repentina dimostrazione della fragilità di Semiramide in una situazione ove però ha appena dimostrato - e dimostrerà a breve - orgoglio da vendere),58 essa assume a tutti gli effetti le caratteristiche di un Cantabile (soprattutto quanto a rarefazione del “tempo rappresentato” rispetto al “tempo della rappresentazione”).59 Rossi aveva pensato ad un’aria in quattro tempi priva di Cantabile;60 Paini ha invece sentito l’esigenza di introdurre uno stacco tra le due sezioni che, oltre a fungere da breve stasi lirica, rende ipso facto completa di tempo lento la «solita forma», pur rallentando l’azione in scena in un punto cruciale: l’intento costruttivo dunque prevale su quello narrativo. Ad avvalorare questo intento nel presente numero dell’opera è il confronto con un brano simile proveniente da un lavoro coevo come il Rondò di Isabella ne L’Italiana in Algeri, creato dalla (e per la) Marcolini:61 58 «La peripezia che innesca l’adagio dopo il tempo d’attacco è tutta interiore, di certo meno vistosa che nei numeri a più voci, nei quali suole scaturire dall’interazione fra i personaggi. Essa segna talvolta il passaggio da un atteggiamento pubblico (allocuzione rivolta ai presenti in scena) ad un ripiegamento su di sé (introspezione con frequente “fuga di notizie” verso lo spettatore)»; cfr. S. LAMACCHIA, “Solita forma” del duetto o del numero cit., p.128. 59 CARL DAHLHAUS, Strutture temporali in Drammaturgia dell’opera italiana. Torino, EDT 2005, pp.61-72. 60 Forma prediletta da Rossi per le grandi arie a ridosso della conclusione tanto nel serio (Gioachino Rossini, Tancredi, Gran scena «Or che dici », II,18; Semiramide, «In sì barbara sciagura», II, 4; Giacomo Meyerbeer, Il crociato in Egitto, « Il dì rinascerà», II, 20-21) quanto nel semiserio (Carlo Coccia, Clotilde, «Cara pace del mio core» II, 8; Gaetano Donizetti, Linda di Chamounix, «A consolarmi affrettati», II, 7) e nella farsa (Gioachino Rossini, La cambiale di matrimonio,«Vorrei spiegarvi il giubilo», scena 13; Pietro Generali, Adelina, «Quel suo tenero sorriso», scena 13). 61 Per lei Rossini scrisse ben quattro rondò con coro in altrettante opere (Italiana, Sigismondo, Pietra ed Equivoco); ma già nel 1808 La dama soldato (Orlandi) e L’amante prigioniero (Bigatti) - entrambe da lei create alla Scala - prevedevano dei rondò con coro ad hoc che ne facessero le qualità del carattere. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 238 238 DANIELE TORELLI mentre B è un misto di ira - per Taddeo - e affetto - per Lindoro); Rossini Personaggi Scena Verso Incipit poetico Tempo Metro Tonalità Sezioni musicali Coro 11 Ottonario Pronti abbiamo e ferri e mani Allegro maestoso C LA 1- Scena Coro A Versi sciolti Amici, in ogni evento A tempo Recitativo B Settenario Pensa alla patria e intrepido Moderato 2- T. d’attacco A Sciocco! Tu ridi ancora? Allegro Ponte B Isabella Isa, Coro Andiam, di noi ti fida 3 - T. di mezzo Scena corale Qual piacer tra pochi istanti 4- Stretta A Isa, Coro Nel periglio del mio bene B Coro Quanto vaglian gli Italiani C [Crescendo] Isa. Qual piacer tra pochi istanti A’ Isa, Coro Nel periglio del mio bene [Quanto vaglian gli Italiani] B’ Isa Ottonario C’ Coda In Rossini la Stretta - come da prassi consolidata, ed esempio dalla Gran scena di Clarice «Se per voi le care io torno» ne La pietra del paragone (1812), scritta sempre per la Marcolini 62 - si salda al Tempo di mezzo dell’aria (B e B’): egli non ragiona sulla forma a priori, piegando invece il libretto alle esigenze narrative del testo e della scena. Il Tempo d’attacco è condotto di pari passo alla natura del testo: i settenari che lo costituiscono sono divisi in sezioni distinte dagli ‘affetti’ in gioco (A più eroico, 62 Autoimprestito da quello de L’equivoco stravagante, destinato ancora alla Marcolini, causa primaria della fortunata scrittura di Rossini per la Scala nel 1812: «Dunque non è difficile ipotizzare che il germe iniziale ed il bozzolo da cui si sarebbe dipanata tutta la lunga trama della Pietra del paragone sia stato proprio quello: il desiderio, da parte di una prima donna, di recuperare la grande aria eroica del travestimento, inserendola [...] in altro contesto librettistico e musicale»;cfr. BRUNO CAGLI, La pietra e l’idolo, in La pietra del paragone, programma di sala del “Rossini Opera Festival”, Pesaro 2002, p.17. (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 19:12 Pagina 239 «ECCE DEDI VERBA MEA IN ORE TUO» 239 appunto unifica Tempo di mezzo (intervento del coro) e Stretta, rendendo solida tutta l’aria vera e propria grazie ad un’unica variazione di tempo.63 L’esatto opposto di Paini che, pur tendendo all’accorpamento di più scene – con conseguente più ampia organizzazione del numero, come prassi dell’epoca – 64 usa qui lo stesso espediente che prima aveva “salvato” il Finale Primo, la frammentazione agogico-tematica. Non si vuole certo affermare che il maestro di Valera abbia assunto la «solita forma» come modello e ad essa abbia sacrificato un poca di coerenza drammatica e di ritmo scenico dell’aria; che egli però abbia ritenuto giusto inserire un Cantabile sui generis dove né il librettista l’aveva previsto né il pubblico se lo sarebbe forse aspettato65 potrebbe essere indice di un primitivo (e invero non pienamente riuscito) tentativo di adeguamento di un numero ‘a solo’ a quella forma quadripartita, propria più dei duetti, che proprio nei medesimi anni iniziava ad essere applicata anche a brani solistici di particolare rilevanza drammatica, come il presente.66 6. Paini...Renaissance? Dopo i compiuti sforzi di ricomposizione biografica, trascrizione, analisi musicale e drammaturgica, lo si può affermare in assoluta tranquillità ed onestà intellettuale: Paini era e rimane un autore di secondo piano. Le sue innumerevoli e multiformi abilità (cantante, direttore d’orchestra, compositore, forse versificatore occasionale), seppur avallate dalle testimonianze di autorevoli contemporanei e dalla presa in esame dei suoi 63 Ed anche grazie all’uso modulare del ponte C (tale escamotage si ritrova identico nel citato «Se per voi le care io torno») , ove al secondo verso del distico («Al cimento si vedrà»), a conclusione del crescendo, si ode lo stesso breve inciso che aveva già accompagnato il verso «L’ardir trionferà!» conclusivo del Tempo di mezzo. Unità che nella prima intonazione del soggetto (1808) nemmeno ha sfiorato Mosca: oltre a farne una semplice aria con coro (senza cabaletta), egli appone ad ogni distico un motivo differente, l’antitesi della coesione. Per un confronto tra le due intonazioni si rimanda a P. FABBRI - M.C. BERTIERI, L’Italiana in Algeri cit. 64 «Nel primo Ottocento il libretto operistico era dunque suddiviso in segmenti drammatici (scene), spesso accorpati dal compositore in più ampi blocchi musicali»; cfr. P. FABBRI, Metro e canto nell’opera italiana cit., p. 119. 65 I quattro grandi rondò rossiniani prima citati sono tutti privi di Cantabile, segno che contrariamente ai duetti - non era prassi inserirlo in un numero a solo. 66 Sull’esempio del prototipico «Ah! Che sento ...o figli miei» dalla Medea in Corinto di Romani-Mayr (1813), anche Rossini presto si adeguò: oltre alla citata «Or che dici » da Tancredi (1813), anche il Rondò di Almaviva «Cessa di più resistere» dal Barbiere di Siviglia (1816), per tacere della quasi totalità dei lavori scritti per Napoli, che si concludono immancabilmente (salvo Otello ed Ermione per cause di morte prematura della protagonista) con un pirotecnico Rondò della primadonna (la Colbran). (08b) 211-240 Gon 1-11-2010 240 19:12 Pagina 240 DANIELE TORELLI lavori, non valgono a farlo assurgere al rango di musicista degno di una personale rinascita presso i moderni (come accaduto in anni più o meno recenti per Morlacchi, Paer o Generali, tanto per citarne alcuni),67 per il semplice fatto che di rinomanza non ne godette già all’epoca. Sintomatico di una condizione di sostanziale subalternità è il fatto che non uno dei suoi lavori sia stato creato per le platee maggiori (Fenice, Scala, S. Carlo), teatri che al contrario i Maestri a lui contemporanei hanno toccato almeno in un’occasione (per tacere di Parigi, meta destinata solo agli Astri Maggiori). Non è stato né un innovatore né un codificatore: nulla di questa Figlia dell’aria sembra prova di qualsivoglia intenzione di «miracol» mostrare; tuttavia è emersa la figura di un compositore attento al flusso musicale contemporaneo e abile nel coniugare gli antichi stilemi di scuola napoletana con le nuove concezioni “oltramontane” portate da Rossini, e soprattutto accorto a non farsi scavalcare da queste: un operista ancient regime in grado di rivaleggiare (seppur solo sul cartellone) nella medesima stagione col Rossini buffo tuttora insuperato del Barbiere e dell’Italiana. La sua presunta fine romena in mezzo ai tumulti della rivoluzione potrebbe farne addirittura un eroe romantico, che apprezzerebbe di certo il semplice poter comparire come anonimo carneade accanto agli altri illustri desaparecidos della dittatura rossiniana. 67 Tra gli esempi, Francesco Morlacchi e la musica del suo tempo, (1784-1841), Atti del Convegno internazionale di studi, Perugia 26-28 ottobre, a cura di Biancamaria Brumana, Firenze, L. S. Olschki 1986, oppure Päer tra Parma e l’Europa, a cura di Paolo Russo, Venezia, Marsilio 2008, o ancora ALBERTO GALAZZO, Pietro Mercandetti Generali: tra i barbassorri e gli azzimati, Magnano, Musica Antica a Magnano 2009.