Quaderni IAI
rApporto sullA polItIcA esterA ItAlIAnA:
Il governo renzI
edizione 2016
a cura di
Ettore Greco e Natalino Ronzitti
edizioni nuova cultura
Questa pubblicazione è frutto della partnership strategica tra l’Istituto Affari Internazionali
(IAI) e la Compagnia di San Paolo.
Quaderni IAI
Direzione: Natalino Ronzitti
La redazione di questo volume è stata curata da Sandra Passariello
Prima edizione luglio 2016 – Edizioni Nuova Cultura
Per Istituto Affari Internazionali (IAI)
Via Angelo Brunetti 9 - I-00186 Roma
www.iai.it
Copyright © 2016 Edizioni Nuova Cultura - Roma
ISBN: 9788868127138
Copertina: Luca Mozzicarelli
Composizione grafica: Luca Mozzicarelli
È vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale, realizzata con
qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Indice
Lista degli Autori .............................................................................................................................................7
Lista degli acronimi ........................................................................................................................................9
1. Le scelte in Europa ................................................................................................................................. 11
1.1 Ruolo e posizioni in Europa, di Ettore Greco .....................................................................13
1.2 L’agenda economica dell’Unione europea, di Ferdinando Nelli Feroci .......................21
1.3 La governance economica europea, di Fabrizio Saccomanni ...................................... 27
1.4 La riforma delle istituzioni, di Gianni Bonvicini .................................................................35
1.5 La politica estera europea, di Nicoletta Pirozzi e Lorenzo Vai .....................................41
2. La politica di sicurezza e difesa, di Alessandro Marrone e Vincenzo Camporini ........ 47
3. Strategia e priorità della politica migratoria, di Marcello Di Filippo .............................. 57
4. La politica energetica, di Nicolò Sartori .......................................................................................65
5. La cooperazione allo sviluppo, di Luca De Fraia ...................................................................... 71
6. La promozione dell’italiano, di Iacopo Viciani ........................................................................... 75
7. Il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia,
di Giovanna De Maio e Daniele Fattibene ....................................................................................... 79
8. Conflitto e cooperazione nel Mediterraneo e in Medio Oriente .......................................85
8.1 Il conflitto in Libia, di Roberto Aliboni .................................................................................87
8.2 Siria, Iraq e Palestina, di Andrea Dessì ...................................................................................93
8.3 Egitto, di Azzurra Meringolo ........................................................................................................101
9. L’Africa subsahariana, di Nicoletta Pirozzi ...............................................................................107
10. I rapporti con la Cina, di Giovanni Andornino ....................................................................... 113
5
IndIce
11. Internazionalizzazione e attrazione degli investimenti esteri, di Andrea Renda .....117
12. La politica spaziale, di Jean-Pierre Darnis e Alessandra Scalia ..................................... 121
13. Problemi di diritto internazionale, di Natalino Ronzitti ................................................ 127
Sintesi .............................................................................................................................................................. 137
Appendice documentaria con statistiche .......................................................................................149
6
lista degli Autori
Roberto Aliboni, consigliere scientifico, IAI.
Giovanni Andornino, ricercatore e docente di Relazioni internazionali
dell’Asia orientale, Università di Torino; vicepresidente, T.wai.
Gianni Bonvicini, vicepresidente vicario, IAI.
Vincenzo Camporini, vicepresidente, IAI.
Jean-Pierre Darnis, direttore del Programma Sicurezza e difesa, IAI;
professore associato, Università di Nizza.
Luca De Fraia, Segretario generale aggiunto, ActionAid Italia.
Giovanna De Maio, dottoranda di ricerca, Università degli studi di Napoli
L’Orientale.
Andrea Dessì, assistente alla ricerca, Programma Mediterraneo e Medio
Oriente, IAI.
Marcello Di Filippo, coordinatore, Osservatorio sul diritto europeo
dell’immigrazione, Università di Pisa.
Daniele Fattibene, assistente alla ricerca, Programma Sicurezza e difesa,
IAI.
Ettore Greco, direttore, IAI.
Alessandro Marrone, responsabile di ricerca, Programma Sicurezza e
difesa, IAI.
7
RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
Azzurra Meringolo, ricercatrice, Programma Mediterraneo e Medio
Oriente, IAI, caporedattrice di AffarInternazionali.
Ferdinando Nelli Feroci, presidente, IAI.
Nicoletta Pirozzi, responsabile di ricerca, Programma Unione europea,
IAI.
Andrea Renda, senior research fellow, Center for European Policy
Studies.
Natalino Ronzitti, consigliere scientifico, IAI; professore emerito di
Diritto internazionale, Luiss Guido Carli.
Fabrizio Saccomanni, vicepresidente, IAI.
Nicolò Sartori, responsabile di ricerca, coordinatore del Programma
Energia, IAI.
Alessandra Scalia, assistente alla ricerca, Programma Sicurezza e difesa, IAI.
Lorenzo Vai, ricercatore, IAI, Centro Studi sul Federalismo.
Iacopo Viciani, segretario particolare del viceministro agli Esteri Mario
Giro, Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.
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lista degli acronimi
Apc
Aps
Asem
Asf
Asl
Asi
Bce
Cdp
Cds
Cgs
Cig
Cnes
Coi
Coreper
Cosme
Csce
Dgsp
Ecofin
Elv
Eni
Esa
Eunavfor Med
Evd
Feis
Fesf
Fmi
G-7
Ice
Iic
Isa
Isaf
Isis
Iss
Issg
Itgi
Itlos
Area della promozione culturale
Aiuto per lo sviluppo
Asia-Europe Meeting
Alaska Satellite Facility
Airbus Safran Launchers
Agenzia spaziale italiana
Banca centrale europea
Continuing Professional Development
Consiglio di Sicurezza
Compagnia generale per lo spazio
Corte internazionale di giustizia
Centre national d’études spatiales
Comando operativo di vertice interforze
Comitato dei rappresentanti permanenti
Competitiveness of Small and Medium-sized Enterprises
Conference on Security and Cooperation in Europe
Direzione generale del sistema paese
Economic and Financial Affairs Council
European Launch Vehicle
Ente nazionale idrocarburi
Agenzia spaziale europea
European Naval Force Mediterranean
Ebola virus desease
Fondo europeo per gli investimenti strategici
Fondo europeo di stabilità finanziaria
Fondo monetario internazionale
Gruppo dei 7
Istituto nazionale per il commercio estero
Istituti italiani di cultura
Israeli Space Agency
International Security Assistance Force
Islamic State of Iraq and Syria
International Space Station
International Syria Support Group
Interconnector Turkey-Greece-Italy
International Tribunal for the Law of the Sea
9
RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
Maeci
Mena
Mes
Mibact
Miur
Mtcr
Nasa
Nato
Nsg
Ocse
Nigc
Ohb
Oms
Ong
Onu
Osce
PBoC
Pesd
Pil
Pisa
Pmi
Pnl
Pogdc
Ppa
Ppp
Psc
Rap
Rpc
Sace
Sar
Shalom
Simest
Tanap
Tap
Tfue
Ue
Uem
Unoosa
Verta
Vjtf
Ministero degli Affari esteri e della cooperazione
internazionale
Medio Oriente e Nord Africa
Meccanismo europeo di stabilità
Ministero per i Beni, le attività culturali e il turismo
Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca
Missile Technology Control Regime
National Aeronautics and Space Administration
North Atlantic Treaty Organization
Nuclear Suppliers Group
Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
National Iranian Gas Company
Orbitale Hochtechnologie Bremen
Organizzazione mondiale della sanità
Organizzazioni non governative
Organizzazione delle Nazioni Unite
Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa
People’s Bank of China
Politica di sicurezza e difesa comune
Prodotto interno lordo
Programme for International Student Assessment
Piccole e medie imprese
Prodotto nazionale lordo
Pars Oil & Gas Development
Pattugliatori polifunzionali d’altura
Partenariati pubblico-privato
Patto di stabilità e crescita
Readiness Action Plan
Repubblica popolare cinese
Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero
Search and Rescue
Spaceborne Hyperspectral Applicative Land and Ocean
Mission
Società italiana per le imprese all’estero
Trans Anatolian Pipeline
Trans Adriatic Pipeline
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
Unione europea
Unione economica e monetaria
United Nations Office for Outer Space Affairs
Vega Research and Technology Accompaniment
Very Rapid Joint Task Force
10
1.
le scelte in europa
1.1 ruolo e posizioni in europa
Ettore Greco
Le sfide più impegnative che ha affrontato la politica estera italiana nel
periodo in esame – la crescente instabilità del vicinato, la crisi migratoria,
l’acuirsi della minaccia terroristica e le riemergenti turbolenze finanziarie – sono le stesse con cui hanno dovuto misurarsi, pur con diversa intensità, anche gli altri paesi europei. Scaturiscono infatti da fenomeni e processi che hanno investito in pieno il continente europeo fino a metterne a
repentaglio assetti politici ed istituzionali che apparivano consolidati. Si
tratta quindi di sfide che, per loro natura, possono trovare un’efficacia risposta solo a livello europeo, in una rinnovata capacità dei paesi membri
dell’Ue di agire in modo collettivo e solidale. Ed è naturale che l’Unione
europea sia stata, come perlopiù anche in passato, il principale campo di
azione della diplomazia italiana.
Nell’ambito dell’Ue, il governo italiano ha perseguito due obiettivi centrali, fra loro collegati: la difesa e promozione del ruolo del paese, anche
contro il rischio, sempre in agguato, di una marginalizzazione; e la riforma delle politiche dell’Unione, in particolare nel settore dell’economia e
in quello della migrazione. L’Italia ha chiesto cambiamenti che miravano,
nel complesso, a rafforzare i meccanismi e gli strumenti di integrazione e
solidarietà fra i paesi membri, anche se non tutte le posizioni e i comportamenti del governo sono stati conformi a questa ispirazione di fondo. In
un contesto segnato da crescenti divergenze fra i paesi membri sulla direzione e gli obiettivi fondamentali del progetto europeo, l’Italia si è chiaramente schierata a favore di un approfondimento dell’integrazione che
potesse trovare riscontro, nel più lungo termine, anche in una modifica
dell’assetto istituzionale dell’Unione.
La maggiore stabilità di cui ha goduto il governo Renzi, almeno fino
a metà del 2016, rispetto agli esecutivi che lo hanno preceduto, è stata
13
ettoRe gReco
indubbiamente uno dei suoi punti di forza all’interno dell’Ue. I principali
partner europei, a partire dalla Germania, hanno fatto notevoli aperture di credito al governo anche per alcune riforme interne che è riuscito
ad attuare, superando notevoli resistenze, come il Jobs Act, sebbene il
suo iniziale sforzo riformatore sembri aver perso vigore con il passare
del tempo. In ambito Ue l’Italia ha anche mostrato una notevole capacità
propositiva, avanzando vari schemi di riforma, ciò che ha notevolmente
contribuito a rilanciarne il ruolo nel gioco diplomatico europeo.
D’altra parte, l’Italia ha continuato a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza a causa di alcuni persistenti problemi strutturali. In
campo economico hanno pesato, in particolare, l’ingente debito pubblico,
che è continuato ad aumentare (132,7 per cento del Pil nel 2015) – senza
che si sia aperta una credibile prospettiva di una sua riduzione nel breve
e medio termine – e la fragilità del sistema bancario nazionale, emersa in
piena luce nei primi mesi del 2016 (le sofferenze lorde ammontavano a
200 miliardi alla fine del 2015)1. Così, specie di fronte alle nuove turbolenze dei mercati finanziari, il paese ha continuato ad essere visto come
uno degli anelli deboli dell’eurozona. La scarsità di risorse dedicate a settori come la difesa e la cooperazione allo sviluppo, riflesso delle difficoltà
economiche, ma anche di una discutibile scala di priorità, ha frenato la
proiezione europea, così come quella internazionale, del paese.
L’Italia ha peraltro dovuto fare i conti anche con lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee che ha oggettivamente reso difficile l’avanzamento dei progetti di riforma sostenuti o promossi dal governo. Alla
Commissione Juncker, in particolare, si può imputare un eccesso di arrendevolezza nei confronti dell’azione frenante degli Stati membri. Tuttavia,
alcune controverse prese di posizione del governo hanno creato tensioni
nei rapporti con le istituzioni europee – anche quando vi erano in realtà
ampi spazi di convergenza, specie con la Commissione – e riproposto la
difficoltà, emersa anche con precedenti esecutivi, a impostare una narrativa coerente sulla ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra livello europeo e nazionale. In tal modo si sono trasmessi messaggi ambigui a
un’opinione pubblica a cui si evita di ricordare – e spiegare – gli impegni
che il paese si è assunto, e in cui quindi, anche a causa di ciò, tendono
a diffondersi umori antieuropei. A parte i reiterati sfoghi contro l’“euroburocrazia”, sono apparsi in contrasto con quanto deciso collettivamente
a Bruxelles, sia la messa in discussione – a livello retorico – del “seme1
Vedi Appendice: figure 4 e 6, Sofferenze bancarie in Italia e Debito pubblico italiano.
14
1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa
stre europeo”, in particolare della facoltà dell’Ue di valutare e avanzare
raccomandazioni in merito alle politiche nazionali e di riforma – laddove
su altri aspetti, come gli squilibri macroeconomici, il governo ha invece
chiesto che l’Unione svolga un’azione più incisiva –, sia la tardiva presa
di distanza dalle nuove regole relative al salvataggio interno (bail-in) per
la risoluzione delle crisi bancarie. Così, alcuni nuovi meccanismi per far
fronte alla crisi, introdotti di recente con il consenso dell’Italia, sono stati
talora presentati come imposizioni della “burocrazia” di Bruxelles. Quanto ciò possa sconcertare l’opinione pubblica, è facile immaginare. Va detto, peraltro, che a queste prese di posizione non ha fatto riscontro alcuna
violazione delle regole da parte del governo, che anche in materia fiscale
si è mantenuto entro i parametri stabiliti. Un doppio binario che può creare alla lunga difficoltà nel difendere intese con i partner, che sono inevitabilmente di compromesso, per l’adattamento di regole e procedure alla
concreta evoluzione della situazione economica e, più in generale, delle
varie crisi che l’Ue si trova a fronteggiare.
Un’escalation di dichiarazioni polemiche del premier Renzi, all’inizio
del 2016, ha creato forti tensioni con la Commissione europea, in particolare con Juncker, che si sono però successivamente stemperate, anche
grazie all’atteggiamento più costruttivo assunto dal governo, che è stato
subito apprezzato a Bruxelles. D’altronde, a Juncker ha forse fatto difetto
la necessaria duttilità, come in altre occasioni, nell’affrontare critiche o
rimostranze all’operato della Commissione.
È soprattutto in materia economica che il governo Renzi si è impegnato
per ottenere un cambiamento delle politiche dell’Unione. La comunicazione della Commissione del gennaio 2015 sulla flessibilità nell’applicazione
delle norme del Patto di stabilità e crescita (Psc) ha recepito alcune proposte avanzate dall’Italia, che durante la sua presidenza di turno dell’Ue
(secondo semestre del 2014) aveva ottenuto di portare l’argomento al
centro del dibattito europeo. L’Italia, che era uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo nel 2013 (governo Letta), ha ottenuto per il bilancio
2016 un margine di flessibilità di 14 miliardi di euro. Non sono però previste deroghe alle regole fiscali per il bilancio del 2017, il cui disavanzo
l’Italia si è impegnata a contenere entro l’1,8 per cento del Pil: un obiettivo che appare molto ambizioso alla luce dell’andamento generale del
bilancio, del ritmo molto lento della crescita e della dichiarata intenzione
del governo di approvare, parallelamente, alcuni provvedimenti di riduzione delle tasse e di sostegno ai redditi. C’è quindi il rischio concreto che
quando lo stato delle finanze pubbliche italiane verrà riesaminato dalla
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ettoRe gReco
Commissione – il primo appuntamento è a novembre 2016 – riemergano contrasti con Bruxelles. Va aggiunto che nella sua ultima Raccomandazione sull’Italia (maggio 2015) la Commissione ha posto l’accento sui
“progressi limitati” di alcune riforme strutturali considerate dallo stesso
governo cruciali per il rilancio della crescita, come l’ammodernamento
della pubblica amministrazione, la liberalizzazione economica e la spending review. In materia fiscale, il governo ha fatto anche scelte in aperto
contrasto con le raccomandazioni della Commissione – ma anche di tutte
le altre principali istituzioni economiche e finanziarie internazionali –
come l’abolizione della tassa sulla prima casa. L’apparente rallentamento
del ritmo di attuazione delle riforme ha in effetti indebolito la posizione
dell’Italia nel confronto intra-Ue sulle politiche per la crescita.
Il governo ha comunque tenuto ferma la sua richiesta di una ridefinizione delle priorità e della strategia dell’Ue in campo economico che,
oltre a una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionale, consentisse una più ampia condivisione dei rischi e una più incisiva azione
anticiclica a livello europeo. Nel perseguire questi obiettivi, il governo
ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: il persistente approccio
rigorista della Germania e di altri paesi – gran parte di quelli non mediterranei – che hanno invece continuato a porre l’accento sul rispetto
delle regole di bilancio e sulla riduzione dei rischi, mostrando ben poca
propensione ad accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l’esplodere di
altre emergenze – la crisi migratoria e l’ondata di attacchi terroristici sul
suolo europeo – che sono passate in cima all’agenda europea, relegando
in secondo piano i programmi di riforma economica; e lo scarso ruolo
propulsivo delle istituzioni europee, cui si è già fatto cenno.
Reagendo alla tendenza a procrastinare e annacquare la riforma della
governance economica, già evidente nel rapporto dei “cinque presidenti” di metà 2015, il governo ha presentato nel febbraio 2016 un ampio
documento, tornando a chiedere una maggiore simmetria nel processo
di aggiustamento macroeconomico, il rilancio degli investimenti infrastrutturali e il completamento dell’Unione bancaria, in particolare l’istituzione del previsto meccanismo per la garanzia comune sui depositi, un
progetto che è stato, di fatto, congelato. Al di là delle singole proposte,
che mirano innanzitutto ad accelerare il processo di riforma o, meglio si
direbbe, a rimetterlo concretamente in moto, l’aspetto qualificante del
documento del governo italiano è l’enfasi sulla necessità che, per affrontare emergenze come la crisi migratoria e la minaccia terroristica, siano
mobilitate nuove risorse e che a tal fine siano approntate specifiche mi-
16
1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa
sure. Qui è da rilevare un’importante saldatura tra le proposte italiane
per la riforma della governance economica europea e quelle miranti a
rafforzare il ruolo dell’Ue nella gestione della crisi migratoria e nel contrasto al terrorismo.
Il governo italiano ha peraltro espresso una chiara preferenza per la
creazione di meccanismi che consentano di reperire le risorse necessarie a livello europeo anziché a livello nazionale. Ciò richiederebbe passi
avanti in direzione di un’effettiva unione fiscale: uno degli obiettivi rimasti decisamente sullo sfondo nel documento dei cinque presidenti e che
continua a incontrare una forte opposizione. Il governo italiano ha anche sostenuto fortemente il piano di investimenti strutturali varato dalla
Commissione – il cosiddetto “Piano Juncker” – cercando attivamente di
sfruttarne le opportunità. Il piano però fatica a decollare anche a causa
della difficoltà, nell’attuale quadro di incertezza economica, a mobilitare
gli attesi investimenti privati.
L’altro obiettivo centrale del governo è stato, come detto, il completamento dell’Unione bancaria. Il progetto si è di fatto arenato a causa soprattutto dell’opposizione della Germania, in assenza di una riduzione
dei rischi, al completamento del secondo pilastro – il meccanismo unico
di risoluzione delle crisi – con un adeguato fondo per affrontare le crisi
sistemiche, e alla creazione di una garanzia comune sui depositi (terzo
pilastro). Peraltro, l’entrata in vigore delle nuove regole europee sul bail
in per la risoluzione delle crisi bancarie ha messo sotto pressione il sistema bancario italiano che ha manifestato una preoccupante vulnerabilità,
anche per l’assenza di comuni strumenti di sostegno degli istituti in difficoltà. Il governo si è opposto fermamente ad alcune proposte tedesche
che potrebbero avere riflessi negativi sulla stabilità macroeconomica del
paese, come l’introduzione di norme per limitare i titoli di Stato posseduti
dalle banche e per la ristrutturazione automatica del debito pubblico. Sul
completamento dell’Unione bancaria l’Italia si è trovata perfettamente in
linea sia con la Commissione che con la Bce. Di quest’ultima il governo italiano ha anche appoggiato senza riserve la politica monetaria espansiva.
L’Italia ha svolto un importante ruolo propositivo anche in materia di
immigrazione, insistendo sul principio di una gestione comune e solidale
della crisi in atto. Con il “Migration Compact”, il documento presentato
nell’aprile del 2016, il governo ha posto l’accento sulla necessità di dedicare più attenzione ed energie agli aspetti esterni della politica migratoria e di asilo e di destinare risorse aggiuntive al miglioramento delle
opportunità di sviluppo dei paesi di origine e di transito, in particolare
17
ettoRe gReco
di quelli africani. In tal modo l’Italia ha cercato di modificare la tendenza
prevalente all’interno dell’Ue a trattare dei problemi dell’immigrazione
guardando soprattutto ai problemi di sicurezza. L’attuazione del piano
italiano richiede però una mobilitazione notevole di risorse e un’attenta
verifica dell’effettiva disponibilità dei governi africani a collaborare alla
gestione dei flussi migratori con modalità che non siano in contrasto con
i principi europei e del diritto internazionale. Sotto quest’ultimo aspetto appare problematico lo stesso accordo raggiunto fra Ue e Turchia nel
marzo 2016 per contenere il flusso dei migranti e dei profughi verso l’Europa. L’idea, prospettata dal governo italiano, che esso possa costituire un
modello di riferimento per la cooperazione con altri paesi suscita notevoli
perplessità.
Su altri aspetti, non meno importanti, della politica migratoria, i passi
avanti sono stati estremamente limitati. In particolare è rimasto largamente inattuato il piano europeo, approvato nel settembre 2015, per la
ridistribuzione sul territorio europeo dei richiedenti asilo giunti in Italia
e in Grecia, che è stato al centro di un’aspra contesa politica. Anche l’idea di rivedere il Regolamento di Dublino con un nuovo sistema di quote
basato sul principio di solidarietà e di equa distribuzione dei richiedenti
asilo, uno degli obiettivi prioritari dell’Italia, ha continuato a incontrare
una forte resistenza.
Nel campo della politica estera europea, il governo Renzi ha assunto
numerose iniziative per promuovere un ruolo più attivo dell’Ue nella regione mediterranea, che è venuta assumendo una crescente importanza
strategica per l’Italia. Quest’azione ha avuto un certo successo: è anche
grazie all’Italia se l’Unione è riuscita a consolidare il suo ruolo nella gestione delle crisi regionali. Quest’ultime, però, restano ancora tutte aperte – alcune si sono anzi inasprite – e, in assenza di credibili processi di
stabilizzazione, a cui l’Ue potrebbe dare, in prospettiva, un contributo
decisivo, altri attori, come Usa e Russia, ma anche alcune potenze regionali, come l’Iran e le monarchie del Golfo, tendono a dominare la scena.
Peraltro, anche all’interno dell’Ue permangono contrasti non indifferenti
sulla strategia da seguire, in particolare, ai rapporti e alle alleanze con
gli attori regionali, come l’Egitto. Ciò ha rappresentato uno dei principali ostacoli anche alla soluzione della crisi libica, in cui sono in gioco
interessi vitali dell’Italia. Le prospettive di consolidamento in Libia del
governo Serraj, su cui hanno puntato l’Onu e gran parte della comunità
internazionale, rimangono molto incerte. Di riflesso anche la dichiarata
disponibilità dell’Italia ad assumersi responsabilità speciali per la stabi-
18
1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa
lizzazione della Libia, sulla base del sostegno politico di Ue e Onu, non ha
potuto concretizzarsi. Il governo Renzi ha al contempo dato un importante contributo allo sviluppo dei processi di cooperazione tra l’Ue e i paesi
dell’Africa subsahariana in diversi settori. La promozione degli interessi
nazionali in Africa subsahariana, anche attraverso una valorizzazione del
ruolo dell’Ue, appare una scelta lungimirante.
Di fronte all’inasprirsi della crisi di fiducia all’interno dell’Ue e all’incapacità delle istituzioni europee di darvi una risposta adeguata, il governo Renzi ha inoltre sostenuto la prospettiva di più ampia riforma dell’Ue,
che le ridia legittimità e consenta un approfondimento dell’integrazione
fra i paesi dell’eurozona. In quest’ottica il governo sembra aver accettato
l’idea, che si è fatta sempre più strada, che possa esservi una crescente
differenziazione nei livelli di integrazione fra i paesi membri. Nella convinzione che, in un contesto di integrazione differenziata, sia necessario
un nucleo di paesi membri in grado di svolgere un ruolo propulsivo, il
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promosso un processo di consultazione e coordinamento politico tra i sei paesi fondatori dell’Unione. Il
tentativo ha incontrato inizialmente dubbi e resistenze negli altri paesi
interessati, ma a metà del 2016 sembrava avere concrete prospettive di
sviluppo, anche come riflesso dell’esito del referendum britannico sulla
Brexit.
19
1.2 L’agenda economica dell’Unione
europea
Ferdinando Nelli Feroci
L’Italia, sfruttando anche le sue responsabilità di presidente di turno
dell’Unione europea (Ue) nel secondo semestre del 2014, e l’insediamento di una nuova Commissione europea presieduta dal lussemburghese
Jean-Claude Juncker, ha contribuito in maniera significativa a ridefinire
le priorità dell’Unione, riportando crescita e occupazione al centro della
sua agenda economica. Per capire l’importanza della svolta che ha caratterizzato l’agenda economica europea fra la seconda metà del 2014 e l’inizio del 2105, occorre ricordare che, per far fronte alla crisi economica
e finanziaria, si erano adottate, negli anni precedenti, importanti misure.
Esse hanno sicuramente comportato più integrazione delle politiche di
bilancio ed economiche degli Stati membri, ma anche prodotto qualche
effetto collaterale che ha contribuito a determinare fenomeni recessivi e
crescita insufficiente.
Sono state in particolare adottate le seguenti misure: nuove regole per
il controllo dei bilanci nazionali per evitare il riprodursi di situazioni di
deficit e debiti eccessivi; un più stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali; una procedura per il controllo e monitoraggio degli
squilibri macroeconomici eccessivi; nuovi strumenti comuni (Fesf e Mes)
che hanno consentito di fornire assistenza finanziaria ai paesi dell’eurozona in difficoltà; i primi elementi costitutivi dell’Unione bancaria. La Bce
ha inoltre adottato varie misure di politica monetaria non convenzionale
che hanno consentito di immettere liquidità nel sistema dell’eurozona.
Si è riusciti così a stabilizzare l’euro, evitandone il collasso e a rafforzare il processo di integrazione e convergenza delle economie, in particolare di quelle dell’eurozona. Non si è riusciti però ad evitare un parallelo
21
FeRdInando nellI FeRocI
impatto negativo sui tassi di crescita della Ue. I processi di aggiustamento fiscale, per quanto necessari, sono stati probabilmente troppo rapidi
e hanno avuto effetti pro-ciclici, aggravando una situazione economica
recessiva. Sono stati inoltre realizzati in maniera asimmetrica con oneri
esclusivamente a carico dei paesi debitori. I risultati ottenuti non sono peraltro trascurabili: si è rafforzata la disciplina di bilancio in vista di un ulteriore consolidamento fiscale; si sono ridotti i rischi di frammentazione
dei mercati finanziari; si è stabilizzato il sistema finanziario ivi comprese
le banche, anche se in Italia permane un problema di ricapitalizzazione
di alcune banche e soprattutto di crediti deteriorati che gravano sui loro
bilanci. Ma si è mancato l’obiettivo di stimolare adeguatamente crescita
e occupazione, in un contesto in cui si è anche accentuata la mancanza di
fiducia reciproca fra i membri della stessa unione monetaria.
Nel 2014 e in buona parte anche nel 2015, grazie anche alla linea assunta dalla nuova Commissione europea, si è posto il problema di una
credibile ed efficace agenda economica per la Ue nella presente congiuntura. E su questo l’Italia ha assunto una posizione chiara e di alto profilo.
Si è partiti dalla constatazione che la situazione sui mercati finanziari è
sostanzialmente migliorata. Resta un serio problema di eccesso di indebitamento nell’eurozona, ma i rischi di insostenibilità sono diminuiti e anche i rendimenti sui titoli sovrani si sono ridotti considerevolmente. Si è
inoltre constatato che non ci può essere spazio per eccessiva soddisfazione o per abbassare la guardia poiché la situazione economica nella Ue e
in particolare nell’eurozona rimane fragile. Il 2014 è stato l’anno peggiore
dal 2009 per i dati sul Pil dei paesi della Ue. Nel 2015 si sono invece registrati ovunque in Europa e nell’eurozona i segnali di una ripresa dell’economia, ma si è trattato di una ripresa ancora modesta e insufficiente
a stimolare un’adeguata crescita dell’occupazione. Gli investimenti (pubblici e privati) si sono ridotti in misura rilevante e permane un problema
di insufficiente domanda interna. Inoltre si sono accentuati gli squilibri
macro-economici in alcuni paesi della zona euro e rimangono divergenze notevoli nelle performance economiche dei singoli paesi membri così
come importanti differenze in termini di produttività, competitività, costo unitario del lavoro e capacità di innovare. Malgrado gli interventi della
Bce permane un serio rischio di deflazione e, in una prospettiva di medio
periodo, di una lunga fase di stagnazione o di bassa crescita con pesanti effetti sui livelli di occupazione. In sintesi, rimane di fronte all’Ue un
drammatico problema irrisolto di come stimolare crescita.
Il governo italiano ha quindi proposto un sua agenda al cui centro è
22
1.2 L’agenda economica deLL’Unione eUropea
la necessità che l’Europa si impegni di più, e in maniera più efficace, su
crescita economica e occupazione. Il presidente del Consiglio Renzi ha
personalmente adottato questa linea come priorità della sua azione nei
confronti delle istituzioni europee; e ha chiesto all’Unione, pubblicamente e in innumerevoli occasioni, di accantonare le politiche di austerità per
assumere la crescita come imperativo categorico di un programma comune di lavoro a livello europeo.
Tra le misure specifiche, il governo in primo luogo ha chiesto, con insistenza, maggiore flessibilità nell’attuazione delle misure di controllo dei
bilanci pubblici. Come primo risultato ha ottenuto dalla Commissione una
comunicazione1 nella quale si specificavano alcuni criteri e condizioni per
concedere un certo grado di flessibilità nella valutazione delle politiche di
bilancio nazionali. In particolare, si è introdotta una clausola di esonero
dal calcolo del deficit e del debito di alcune categorie di investimenti pubblici, e si sono collegati i percorsi di consolidamento fiscale alla realizzazione di significative riforme strutturali interne. L’Italia ha anche chiesto
l’esonero dal calcolo del deficit di spese pubbliche collegate alla gestione
di situazioni di emergenza (in particolare i costi della gestione dei flussi
migratori). La questione della flessibilità è rimasta una delle priorità nella
interlocuzione fra il governo italiano e la Commissione.
In linea con quanto richiesto dalle istituzioni europee, l’Italia ha poi
proseguito nel percorso di adozione e attuazione di importanti riforme
strutturali (mercato del lavoro, scuola, giustizia, pubblica amministrazione ecc.) nella convinzione che le riforme strutturali restino un ingrediente fondamentale di una credibile strategia mirata a stimolare crescita e
occupazione. Ogni paese dovrà scegliere le riforme necessarie, possibilmente in un quadro di coordinamento a livello europeo. Con l’obiettivo di
stimolare le riforme (che restano una responsabilità nazionale), l’Italia si
è dichiarata favorevole a definire a livello europeo strumenti più efficaci
per realizzare un miglior coordinamento delle politiche economiche nazionali, articolato su obiettivi condivisi di recupero di produttività e competitività, e possibilmente accompagnato da incentivi che premino quei
paesi che fanno le riforme.
L’Italia ha poi sostenuto con convinzione il Piano Juncker, un programma europeo destinato a mobilizzare risorse per complessivi circa 300
Commissione europea, Sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme vigenti
del patto di stabilità e crescita (COM/2015/12), 13 gennaio 2015, http://eur-lex.europa.
eu/legal-content/it/TXT/?uri=celex:52015DC0012.
1
23
FeRdInando nellI FeRocI
miliardi di euro per il finanziamento di investimenti pubblici in progetti
infrastrutturali di interesse comune; e si è adoperata per renderlo quanto
prima operativo2.
Infine l’Italia ha sostenuto, sia pure con tutta la discrezione del caso,
la politica monetaria condotta con coerenza dalla Bce con l’obiettivo di
stimolare l’economia e contrastare i rischi di deflazione. La Bce, con l’annuncio nel 2015 dell’avvio del programma di acquisti di titoli sovrani, e
altre obbligazioni, noto come “quantitative easing” (l’ultimo di una serie
di interventi destinati a immettere liquidità nel sistema), ha dimostrato
capacità di visione e volontà di interpretare il proprio ruolo a sostegno
della crescita, anche con misure non convenzionali, nel rispetto delle proprie prerogative e responsabilità secondo le disposizioni dei Trattati. Il
governo italiano è stato fra quelli che hanno espresso pieno apprezzamento per questo ruolo dinamico svolto dalla Bce.
In una prospettiva di medio periodo l’Italia ha poi riproposto la questione del completamento della riforma della governance dell’eurozona.
Nel febbraio 2106 il governo italiano ha presentato un importante documento con una serie di proposte e raccomandazioni per una riforma del
governo dell’economia in Europa3.
Il documento italiano4 affronta in maniera organica un po’ tutte le problematiche della riforma della governance economica europea, con l’obiettivo di rilanciare un dibattito sulla strategia economica della Ue, che
sembra aver perso priorità e senso di urgenza, anche come conseguenza
dell’emergere nell’agenda europea di nuovi drammatici problemi come
quello delle migrazioni e dei rifugiati, o del terrorismo internazionale.
Il tema dominante del documento è la necessità di un “mix di politiche”
indirizzato all’area euro nel suo complesso che consenta di coniugare i tre
obiettivi del rilancio degli investimenti, del sostegno alle riforme strutturali e della attuazione di una politica fiscale responsabile.
Fra le proposte più specifiche vale la pena di ricordare almeno le seguenti: una politica fiscale responsabile, ma dotata di un grado di flessibilità nell’attuazione del Patto di stabilità e crescita (già prevista nella
comunicazione della Commissione) che consenta un minimo di stimoli
all’economia a sostegno della crescita; l’impegno alla prosecuzione delle
riforme strutturali in un quadro di coordinamento a livello europeo che
Su questo argomento vedi anche il capitolo di Fabrizio Saccomanni in questo volume.
Anche su questo punto vedi il capitolo di Fabrizio Saccomanni in questo volume.
4
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per crescita,
lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html.
2
3
24
1.2 L’agenda economica deLL’Unione eUropea
rafforzi la convergenza delle economie dei paesi membri; maggiore simmetria negli aggiustamenti macroeconomici tra paesi in deficit e paesi in
surplus da realizzare grazie ad un uso più efficace della procedura sugli
squilibri macroeconomici eccessivi; un rilancio degli investimenti pubblici e privati anche tramite uno sfruttamento ottimale del Fondo europeo
per gli investimenti strategici; il completamento dell’Unione bancaria con
la creazione di un Sistema europeo di garanzia dei depositi e con l’istituzione di un effettivo sostegno di finanza pubblica (prestatore di ultima
istanza) presso il Meccanismo unico di risoluzione; il completamento del
mercato interno, con un’attenzione particolare al mercato unico digitale.
Ma il documento contiene anche idee e proposte più innovative: un
sussidio europeo di disoccupazione da realizzare tramite la creazione di
un Fondo europeo che possa intervenire per mitigare gli effetti di fenomeni di disoccupazione congiunturale o ciclica e per stabilizzare il mercato del lavoro in paesi maggiormente esposti; un finanziamento comune delle spese per il controllo delle frontiere esterne da realizzare anche
tramite l’emissione di titoli comuni (eurobond); una capacità fiscale e un
bilancio autonomo per l’eurozona per il finanziamento e la promozione
degli investimenti e per l’attivazione di interventi anti-ciclici; ed infine
la creazione della figura del ministro delle Finanze o del Tesoro dell’eurozona, proposta sulla quale peraltro l’elaborazione resta ad uno stadio
ancora preliminare.
In sintesi si tratta di un programma di lavoro organico che dovrebbe
contribuire a rimettere in moto un processo di riforma della governance
economica. Una proposta che, se adeguatamente sostenuta, avrebbe tra
l’altro il merito di collocare l’Italia al centro del dibattito sul governo dell’economia in Europa.
25
1.3 la governance economica
europea
Fabrizio Saccomanni
Il processo di riforma della governance economica europea ha avuto alterne vicende. Lanciato a fine 2012 come reazione alla fase più acuta della
crisi del debito sovrano della Ue, con l’ambizioso Rapporto dei quattro
presidenti1, ha attraversato una fase di stallo tra metà 2013 e la fine del
2014 connessa all’elezione del Parlamento federale (Bundestag) in Germania (settembre 2013) e alla fine del mandato del Parlamento europeo
e della Commissione europea; ha vissuto un sussulto di riflessione e di
proposta nella prima metà del 2015, culminato con la presentazione del
più prudente Rapporto dei cinque presidenti2; è stato di fatto arrestato
a dicembre del 2015 per l’insorgere delle emergenze delle migrazioni e
del terrorismo e rinviato alla fine del 2017, dopo le elezioni politiche in
Francia e in Germania. In tutte queste fasi non è mai mancato il contributo
italiano di idee e di proposte.
La spinta per riformare la governance economica europea origina dal
Consiglio europeo del giugno 2012 in risposta ad una specifica richiesta
avanzata dal presidente del Consiglio italiano Mario Monti di avviare uno
sforzo congiunto per dotare la Ue di strumenti e procedure per realizzare
una politica anticiclica a livello europeo. È in quel contesto che si realizzano le condizioni per il lancio da parte della Banca centrale europea (Bce)
di iniziative volte a contrastare il rischio di “rottura” dell’euro e le pressioHerman Van Rompuy et al., Verso un’autentica unione economica e monetaria, 26 giugno
2012, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/131298.
pdf.
2
Jean-Claude Juncker et al., Completare l’Unione economica e monetaria europea, 20
giugno 2015, http://www.consilium.europa.eu/it/policies/emu-report-2015.
1
27
Fabrizio Saccomanni
ni speculative sugli spread dei debiti sovrani. Il Rapporto dei quattro presidenti, basato su un esaustivo documento tecnico della Commissione3,
propone in effetti un vasto programma per dar vita gradualmente ad una
Unione bancaria, una Unione economica, una Unione fiscale, con l’obiettivo di realizzare anche una piena Unione politica. A fronte di un quadro
congiunturale europeo in rapido deterioramento, il governo guidato da
Enrico Letta sostiene con forza l’adozione urgente di una strategia europea per combattere la disoccupazione giovanile e riattivare i meccanismi
di erogazione del credito, specie alle Piccole e medie imprese (Pmi).
È questo il senso della riunione tenutasi a Roma nel giugno del 2013 dei
ministri della finanze e degli affari sociali di Germania, Francia, Spagna e Italia. Ma i fattori politici già ricordati impediscono di adottare proposte formulate in tal senso dalla Commissione. Si decide di dare la precedenza al progetto di Unione bancaria, ritenuto essenziale per spezzare il “circolo vizioso”
tra rischi bancari e rischi sovrani che aveva fatto precipitare la crisi del 2011.
E in effetti, un consenso politico di maggioranza viene raggiunto a fine
2013 per la realizzazione del Meccanismo unico di supervisione bancaria, uno dei tre pilastri dell’Unione bancaria, che entrerà in vigore nel novembre del 2014. Malgrado le riserve espresse dalle autorità italiane, si
lascia incompleto il secondo pilastro (il Meccanismo unico di risoluzione
delle crisi bancarie) che entrerà in vigore il 1° gennaio 2016 privo di un
essenziale strumento di sostegno comune in caso di crisi sistemiche coinvolgenti una pluralità di sistemi bancari, e non si procede del tutto alla
costituzione del terzo pilastro, lo Schema europeo di garanzia dei depositi
bancari. In quel contesto viene approvata anche la Direttiva europea sul
“risanamento e la risoluzione” delle banche, con le controverse normative
sul “bail-in” e sugli aiuti di stato. Si tratta di decisioni per le quali non è
richiesta l’unanimità dei paesi membri e che comunque sono state approvate a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
Il tema della riforma della governance riappare solo a luglio del 2014
nel programma con cui Jean-Claude Juncker si presenta al Parlamento
europeo per avere il mandato di presidente della Commissione4. Juncker
propone un ampio programma in cui spiccano un piano per rilanciare
Commissione europea, Piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita (COM/2012/777 2), 28 novembre 2012, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/
it/TXT/?uri=celex:52012DC0777R%2801%29.
4
Jean-Claude Juncker, Un nuovo inizio per l’Europa. Il mio programma per l’occupazione, la crescita, l’equità e il cambiamento democratico, 15 luglio 2014, http://europa.
eu/!Ky48BK.
3
28
1.3 La governance economica eUropea
gli investimenti infrastrutturali per un volume di oltre 300 miliardi di
euro, misure per rafforzare la convergenza delle economie e le riforme
strutturali, il completamento del mercato interno (con la realizzazione
dell’Unione bancaria e dell’Unione dei mercati dei capitali), la razionalizzazione delle regole fiscali, e la realizzazione di una “Unione economica
e monetaria più approfondita ed equilibrata”, sulla falsariga del Rapporto
dei quattro presidenti.
Con l’assunzione della presidenza di turno del Consiglio dell’Ue il 1°
luglio 2014, il governo Renzi sostiene apertamente le proposte di Juncker
e pone l’accento sulla necessità di una pronta approvazione sia del piano
di investimenti strutturali, sia di una maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita (Psc), al fine di
promuovere la ripresa economica e di creare le condizioni per un rilancio delle riforme strutturali e il rafforzamento della produttività e della
competitività. All’Ecofin informale di Milano nel settembre 2014 l’Italia
presenta una iniziativa “Finanza per la crescita” con proposte specifiche
per il sostegno agli investimenti pubblici e privati.
La Commissione europea si attiva rapidamente per attuare alcuni punti
essenziali del programma di Juncker. Nel gennaio del 2015 la Commissione approva una comunicazione intitolata “Sfruttare al meglio la flessibilità
consentita dalle norme vigenti del Patto di stabilità e crescita”5 che recepisce molte delle istanze sollevate in materia dal governo italiano. Nello
stesso mese, la Commissione approva la proposta legislativa per la creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis); esso diverrà
operativo nel giugno 2015 dopo l’approvazione da parte del Parlamento e
del Consiglio europeo. Malgrado il forte sostegno fornito dall’Italia al Piano Juncker e il contributo di 8 miliardi di euro al Feis da parte della Cassa
depositi e prestiti (identico al contributo di Germania e Francia) nessun
italiano viene chiamato a far parte dello Steering Board del Feis.
Al tempo stesso, la Commissione prende l’iniziativa di riesaminare il
progetto di riforma della governance economica europea, di cui Juncker si
assume personalmente la responsabilità. La Commissione predispone a
febbraio del 2015 una nota analitica6 in cui si riconosce apertamente che
la Ue non è in grado di rispondere efficacemente e prontamente, come gli
COM/2015/12, 13 gennaio 2015, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=celex:52015DC0012.
6
Jean-Claude Juncker et al., Preparing for Next Steps on Better Economic Governance
in the Euro Area. Analytical Note, Informal European Council, 12 February 2015, http://
europa.eu/!kR64yF.
5
29
Fabrizio Saccomanni
Stati Uniti, a situazioni di crisi e si richiedono contributi di idee ai paesi
membri. L’Italia presenta un’ampia nota a maggio 2015 in cui chiede con
dovizia di argomentazioni analitiche il “completamento e il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria”. La nota italiana sottolinea con
forza la necessità di un approccio politico alla riforma che assicuri alla Ue
l’irreversibilità della moneta unica, la resilienza nei confronti di crisi, la
capacità di darsi una vera politica economica comune, la solidarietà tra gli
stati membri. Per contro, il contributo franco-tedesco brilla per il suo basso profilo, la mancanza di visione e la scansione temporale volutamente
lenta del processo di riforma.
A giugno 2015 Juncker pubblica il Rapporto redatto in collaborazione
con i Presidenti Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin
Schultz, meglio noto come Rapporto dei cinque presidenti. Si tratta di un
documento per molti aspetti deludente e certamente meno ambizioso del
precedente Rapporto dei quattro presidenti7. In effetti il nuovo rapporto
propone un processo di riforma da compiersi in tre stadi nell’arco di un
decennio: il primo stadio (entro il giugno 2017) prevede essenzialmente di completare le innovazioni introdotte durante la crisi, utilizzando gli
strumenti esistenti nei Trattati in vigore per promuovere la competitività
e la convergenza strutturale; realizzare un più forte coordinamento delle politiche economiche nell’ambito di un rinnovato Semestre europeo;
completare l’Unione bancaria e dei Mercati dei capitali.
Per gli stadi successivi, il Rapporto indica solo obiettivi generici, ma
resta costante il riferimento alla convergenza economica e alle riforme
strutturali come precondizione per l’attivazione di una futura “funzione
di stabilizzazione macroeconomica”. Per lo stadio finale, da completarsi
nel 2025, si propone di muovere verso l’Unione politica con due misure di
taglio assai diverso: l’inclusione del Meccanismo europeo di stabilità nella
struttura istituzionale della Ue; la creazione di una Tesoreria europea che
diverrebbe operativa man mano che decisioni politiche vengano assunte
in sedi collettive. Manca nel rapporto ogni senso di urgenza del processo
di riforma e soprattutto ogni riferimento alla necessità di dotare la Ue di
un efficace strumentario di politica economica anticiclica, in una fase in
cui l’Unione si trova a fronteggiare diffusi rischi di stagnazione e di deflazione e in cui appaiono evidenti i limiti che la politica monetaria della Bce
incontra a gestire da sola l’avversa congiuntura.
Fabrizio Saccomanni, “The Report of the Five Presidents: A Missed Opportunity”, in
Documenti IAI, n. 15|14 (luglio 2015), http://www.iai.it/it/node/4421.
7
30
1.3 La governance economica eUropea
Il Rapporto dei cinque presidenti resta comunque un documento non
privo di importanza perché esso sarà la base per ogni futuro negoziato sulla riforma della governance europea nelle varie sedi istituzionali. La Commissione ha già presentato nell’ottobre 2015 una serie di proposte miranti
ad attuare il primo stadio del Rapporto dei cinque presidenti. Il pacchetto comprende: la revisione del Semestre europeo; la creazione di Consigli
nazionali per la competitività e di un Consiglio fiscale europeo (con ruolo consultivo e composto da esperti indipendenti); misure per unificare la
rappresentanza esterna dell’area euro, in particolare presso il Fondo monetario internazionale (Fmi); il completamento della Unione bancaria, specialmente con la creazione di uno Sistema europeo di garanzia dei depositi.
I negoziati su queste proposte sono stati tuttavia messi in subordine
rispetto alle emergenze delle migrazioni di massa e delle minacce terroristiche. In effetti, il Consiglio europeo del dicembre 2015 ha confermato
l’impegno per il completamento della Unione economica e monetaria, ma
ha invitato il Consiglio Ecofin a concentrarsi su tre temi: una più efficiente
governance economica e fiscale per rafforzare la competitività, la convergenza e la sostenibilità; la rappresentanza esterna dell’area euro; l’Unione
bancaria. Circa gli altri temi di maggiore rilevanza per la riforma della
governance, il Consiglio europeo ha ritenuto che siano necessari ulteriori
approfondimenti da parte della Commissione e dell’Ecofin e si è riservato
di tornare a considerare la questione entro la fine del 2017. In realtà, tra
le cause di questa battuta d’arresto vi sono anche profondi disaccordi tra i
principali paesi anche su alcuni aspetti fondamentali per il completamento dell’Unione bancaria.
I pilastri mancanti nell’architettura dell’Unione bancaria (il sostegno
comune al Meccanismo di risoluzione e lo Sistema di garanzia dei depositi) comportano forme di condivisione dei rischi nazionali e livello europeo che la Germania ritiene possano essere adottati solo dopo che si
sia proceduto ad un’efficace opera di riduzione dei rischi. Da qui discendono proposte per l’introduzione di limiti al possesso di titoli di stato da
parte delle banche e di nuove regole per la ristrutturazione automatica
del debito di paesi che richiedano assistenza finanziaria dalla Ue. L’Italia
ha preso una ferma posizione contraria a questo approccio che potrebbe alimentare nuovi focolai di crisi sistemiche, sostenendo la necessità di
procedere simultaneamente alla condivisione e alla riduzione dei rischi
nell’ambito di una strategia europea per la crescita, il lavoro e la stabilità8,
8
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per cresci-
31
Fabrizio Saccomanni
in cui condivisione e riduzione dei rischi si rafforzano vicendevolmente.
Il documento italiano ha una forte valenza politica innanzitutto perché
fa giustizia delle polemiche su un’Italia che chiede solo e sempre flessibilità e che non avrebbe una vera strategia europea coerente con le regole
e con gli impegni sanciti dai Trattati e dalle direttive europee. In effetti il
documento si confronta con tutte le tematiche e le proposte emerse nel
dibattito sulla riforma della governance e si pone nettamente nel mainstream europeo senza assumere posizioni divergenti da esso, ma ne sviluppa le implicazioni e sollecita aggiustamenti per superare le carenze
e le incoerenze che le scelte politiche degli ultimi mesi hanno generato
e messo in luce. In particolare il documento rigetta la linea prevalente
secondo cui, nella fase attuale, la Ue ha cose più importanti da discutere
della riforma della sua governance. Al contrario, il documento postula che
la riforma della governance debba avere un respiro ampio e tenere conto
di tutti i problemi economici, sociali e di sicurezza che la Ue si trova a
fronteggiare, sia quelli della stagnazione e della disoccupazione, sia quelli
che premono alla frontiere esterne dell’Unione.
Si tratta di una impostazione del tutto condivisibile, dato che soluzioni permanenti alle emergenze delle migrazioni e della sicurezza non
potranno essere trovate se non con misure che avranno implicazioni significative per i bilanci dei paesi membri e dell’Unione. Una riforma della
governance è indispensabile per reperire le risorse comuni per gestire le
emergenze e per evitare che si vada verso una violazione collettiva delle
regole fiscali europee per effetto di misure individuali assunte in modo
non coordinato. Ne deriverebbe una grave perdita di credibilità sui mercati finanziari dell’impegno per la sostenibilità fiscale che è uno dei capisaldi della Uem9.
In questo contesto, le sfide che l’Italia si trova a fronteggiare sono di
duplice natura. Da un lato occorrerà richiamare le istituzioni europee alla
puntigliosa osservanza degli impegni che la Ue stessa si è data per il rilancio degli investimenti, le riforme strutturali e la promozione della responsabilità fiscale: si tratta di interventi che si rafforzano vicendevolmente e
che vanno quindi perseguiti simultaneamente e non secondo un’arbitraria sequenza temporale. Sono parte integrante di questo capitolo gli impegni alla piena attuazione degli obiettivi del Feis, l’apertura dei mercati
ta, lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html.
9
Fabrizio Saccomanni, “L’Italia e la riforma della governance economica europea”, in
Documenti IAI, n. 16|04 (marzo 2016), http://www.iai.it/it/node/6082.
32
1.3 La governance economica eUropea
dell’energia e delle telecomunicazioni, la revisione della procedura per gli
squilibri macroeconomici, la riforma del bilancio comunitario, l’effettivo
completamento dell’Unione bancaria e dei mercati dei capitali.
D’altro canto l’Italia dovrà partecipare attivamente ai lavori di riflessione sui contenuti e i tempi della riforma della governance. Bisogna evitare che si giunga alla scadenza di fine 2017 con un altro piano decennale
di obiettivi vaghi o generici; si dovrà anche porre sul tavolo dei negoziati
l’opzione di una revisione dei Trattati, anche tenendo conto delle implicazioni che potrà avere l’esito del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue. L’Italia dovrà essere presente nel gruppo di esperti che
la Commissione formerà nel 2016 per esaminare le precondizioni legali,
economiche e politiche per l’attuazione delle proposte del Rapporto dei
cinque presidenti. È pressoché un “atto dovuto” all’Italia che, dalla Conferenza di Messina in poi, ha sempre fornito alla costruzione europea un
fondamentale contributo di idee e di proposte.
33
1.4 la riforma delle istituzioni
Gianni Bonvicini
Il tema del futuro istituzionale dell’Unione europea non è stato centrale nei primi mesi del governo di Matteo Renzi (insediatosi il 22 febbraio 2014) e neppure nel corso del semestre di presidenza italiano dell’Ue
(secondo semestre 2014). Sin dall’inizio il governo si è concentrato soprattutto sull’obiettivo di ottenere da Bruxelles maggiore flessibilità nella
gestione della politica di bilancio. Questa richiesta ha incontrato inizialmente molta resistenza da parte delle istituzioni europee. Ne sono scaturiti momenti di aspro confronto, con reiterati e in alcuni casi veementi
attacchi di Renzi all’operato della Commissione, che hanno indotto il presidente Jean-Claude Juncker, subentrato all’inconsistente Barroso, a replicare seccamente che a Bruxelles non opera “una banda di burocrati”1.
Questo balletto di accuse e controaccuse sono continuate per tutto il 2015
e l’inizio del 2016, fino alla clamorosa conferenza stampa (15 gennaio) in
cui Juncker, con toni aspramente e insolitamente polemici verso Renzi,
rivendicava a sé e alla Commissione la primogenitura delle proposte per
una maggiore flessibilità2.
Prendersela con la Commissione è in effetti uno sport molto diffuso
in Italia – ove vi partecipano anche i partiti di opposizione – e in molti
paesi dell’Unione, soprattutto quelli che hanno qualcosa da farsi perdonare3. Va infatti sottolineato che la Commissione esercita grandi poteri di
controllo su come si comportano (spesso male) gli stati membri, ma che
Dichiarazione di Jean-Claude Juncker del 4 novembre 2014 in risposta al parlamentare europeo Mafred Weber.
2
Non si ricorda in effetti un attacco personale e diretto così violento da parte di un
presidente della Commissione al primo ministro di uno stato membro. La polemica si sopiva solo a seguito di una visita di Juncker a Roma il 26 febbraio 2016.
3
Vedi Appendice: Figura.1, Opinione sull’Unione europea (2016).
1
35
gIannI BonvIcInI
questi poteri le vengono attribuiti dai Trattati e dalle decisioni prese dal
Consiglio europeo – cioè dallo stesso organismo a cui partecipa il premier
italiano – e dal Consiglio dei ministri. Oggi, non meno di ieri, non vi è foglia che si muova nell’Ue senza che passi al vaglio del Consiglio dei capi
di Stato e di governo e dei loro ministri. Inutile quindi prendersela con
l’esecutivo di Bruxelles; sarebbe piuttosto il caso di lavorare per rendere i
meccanismi decisionali europei più trasparenti e legittimi.
In effetti il problema centrale che l’Ue si trova oggi ad affrontare non
è solo la persistente crisi economica o le regole attraverso cui si cerca di
gestirla, ma anche le carenze del sistema di governo e del processo decisionale. Nei fatti, la massima istanza politica è il Consiglio europeo, ma
poi, per la concreta definizione delle misure e per la loro attuazione, la
palla passa al Consiglio dei ministri e alla Commissione. E così capita che i
singoli capi di governo, dopo aver preso le decisioni alle riunioni di vertice, una volta tornati nelle rispettive capitali cominciano a criticarle, polemizzando in particolare con la Commissione che ha il compito di metterle
in pratica. È un sistema che non potrà reggere a lungo, anche perché il
Consiglio europeo non ha effettivi poteri di governo ed è per questo naturalmente portato ad affidarsi alle regole e ai criteri di convergenza sul cui
rispetto la Commissione è chiamata a vigilare.
Nel discorso di chiusura del semestre al Parlamento europeo (13 gennaio 2015), il premier Matteo Renzi aveva parzialmente aggiustato il tiro
nei confronti della Commissione europea, riconoscendo che, con l’adozione da parte dei principali partiti transnazionale europei del sistema degli
“Spitzencandidaten” (candidati al posto di presidente della Commissione), la Commissione aveva assunto un più spiccato ruolo politico e una
legittimità maggiore nei confronti della stessa Assemblea di Strasburgo.
In effetti, si era creduto in un primo tempo che tale innovazione potesse aprire la strada ad un notevole rafforzamento del ruolo delle istituzioni
più marcatamente sovranazionali. La Commissione, con una maggiore legittimità democratica e nuovi poteri di controllo (soprattutto nel campo
della sorveglianza macroeconomica), sembrava davvero intenzionata a
svolgere un ruolo più propositivo4. Il Parlamento europeo, dal canto suo,
appariva deciso ad assolvere appieno le sue funzioni legislative (accresciute con il Trattato di Lisbona), assumendo – al contempo – il ruolo di
“innovatore istituzionale”. Infine, la Banca centrale europea era diventata
Vedi in proposito il grande piano di investimenti europei annunciato da Juncker al
Parlamento europeo il 25 novembre 2014.
4
36
1.4 La riForma deLLe iStitUzioni
in breve tempo, sotto la guida di Mario Draghi, il punto di riferimento centrale, e in buona misura sovranazionale, della gestione dell’euro.
Ma, a parte l’eccezionale performance della Bce che, malgrado le resistenze tedesche, è riuscita ad estendere il proprio potere di intervento
ai limiti estremi delle proprie competenze, ben poche delle promesse e
potenzialità emerse all’indomani delle elezioni europee del 2014 si sono
realizzate. Commissione e Parlamento europeo hanno infatti continuato a
giocare un ruolo largamente secondario. La necessità di una riforma istituzionale dell’Ue si è quindi riproposta come uno dei temi più prioritari
e urgenti.
Anche da parte italiana è stata avvertita l’esigenza di prepararsi a
futuri adattamenti e riforme istituzionali, sia nel breve termine, con un
utilizzo più incisivo del Trattato di Lisbona e dei nuovi strumenti creati
negli anni della crisi, sia nel medio periodo, attraverso parziali riforme
dei Trattati o, in prospettiva, cambiamenti più radicali dell’architettura
istituzionale dell’Unione.
Di qui la decisione da parte della Presidenza del Consiglio di istituire
all’inizio del 2015, sotto la responsabilità del sottosegretario Sandro Gozi,
un Gruppo di riflessione strategica sull’Ue, con il compito di contribuire,
con specifiche proposte e iniziative, a orientare e far avanzare la fitta agenda europea di riforme politico-istituzionali: dall’attuazione del Rapporto
dei cinque presidenti sul completamento dell’Unione economica e monetaria, alle sessioni dei Consigli europei dedicati a temi istituzionali, dalle
implicazioni del referendum britannico sui rapporti con l’Ue all’elaborazione della nuova Strategia globale europea (European Global Strategy),
affidata all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza,
Federica Mogherini.
Se quindi, da una parte il governo Renzi ha sviluppato un’accesa dialettica con la Commissione sulla concessione di maggiore flessibilità per
le politiche di bilancio, dall’altra ha cercato di mettere a punto una propria agenda istituzionale, in linea con una convinzione più volte espressa
dal premier e riassunta in una lettera al quotidiano La Repubblica: “La Ue
sbaglia strada. Di sola austerity si muore. Ora vogliamo una svolta”5.
Questo approccio strategico più attivo ha trovato riscontro in diverse iniziative avviate dal governo italiano nel 2015 e all’inizio del 2016.
Già al termine del semestre di presidenza dell’Ue, in una nota al Coreper,
Vedi la lettera di Renzi in La Repubblica, 11 febbraio 2016, p. 1, http://www.repubblica.it/politica/2016/02/11/news/renzi_lettera_a_repubblica_ue-133162994.
5
37
gIannI BonvIcInI
il governo aveva sottolineato la necessità di un migliore funzionamento
del sistema decisionale comunitario, che consentisse un maggior controllo democratico e una maggiore chiarezza e trasparenza nel rispetto
dei principi di sussidiarietà e proporzionalità6. Una proposta più ampia
e dettagliata sul completamento e rafforzamento dell’Uem è stata poi
trasmessa alle istituzioni dell’Unione nel maggio del 2015 in vista del
successivo Consiglio europeo di giugno7. Nella parte conclusiva del documento il governo italiano ha fra l’altro proposto il ricorso alle cooperazioni rafforzate previste dall’art. 333 del Trattato per il completamento e
consolidamento dell’Uem come primo passo verso l’ipotesi di un’Europa
a centri concentrici intorno all’area dell’euro opportunamente rafforzata
dal punto di vista istituzionale8.
In sintonia con questo tentativo di rilancio del dibattito sulla riforma
degli assetti istituzionali dell’Unione è l’iniziativa del ministro degli Esteri
Paolo Gentiloni di promuovere un coordinamento tra i sei paesi fondatori. L’iniziativa è sfociata, dopo alcuni rinvii, in un incontro alla Farnesina
fra i sei paesi (9 febbraio 2016). L’idea che il rinnovamento istituzionale
dell’Ue dovesse far perno sulla cooperazione tra i sei fondatori era già
stata fortemente sostenuta nel 2003 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nel contesto attuale essa si scontra però con
notevoli ostacoli e con un diffuso scetticismo, date le profonde divergenze
fra i sei su una serie di questioni centrali dell’agenda europea. Tuttavia,
va riconosciuto al governo italiano di aver dato prova di capacità di proposta, avviando al contempo una ricerca di alleanze attorno all’obiettivo
della riforma. Questo sforzo di “coalition building” è in effetti uno degli
elementi chiave dell’azione diplomatica in seno all’Ue che ha spesso fatto
difetto alla strategia italiana.
Il governo ha quindi mostrato un attivismo sui temi della riforma
istituzionale che non si registrava da tempo9. Va osservato tuttavia che i
Council of the European Union, Improving the functioning of the EU. Final Presidency Report from the Friends of Presidency Group (16544/1/14 REV 1), 12 dicembre 2014,
http://www.politicheeuropee.it/file_download/2486.
7
Presidenza del Consiglio, Completing and Strengthening the EMU. Italian Contribution, maggio 2015, http://www.politicheeuropee.it/file_download/2585.
8
Marinella Neri Gualdesi, “L’Italia e la ristrutturazione dell’Ue”, in AffarInternazionali,
28 gennaio 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3306.
9
Vanno ricordate in aggiunta diverse altre iniziative, come, fra gli altri, il documento
del Ministero dell’Economia e delle Finanze su Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità, febbraio 2016; la consultazione fra quattro parlamenti di paesi “soci
fondatori” (Francia, Germania, Italia e Lussemburgo) avviata dalla presidente della Came6
38
1.4 La riForma deLLe iStitUzioni
tentativi di portare sulle posizioni italiane alcuni partner chiave dell’Ue
sono stati saltuari e poco efficaci. Forse perché anche il governo Renzi ha
incontrato serie difficoltà a riguadagnare la necessaria credibilità dopo
anni di marginalizzazione e di devianza dal “cuore” dell’Unione.
Rimane in effetti decisiva l’azione del governo italiano volta a riconquistare credibilità in Europa attraverso le riforme interne e il risanamento
delle finanze pubbliche. Non meno importante è l’obiettivo di costruire
una forte alleanza con la Germania, in primis, ma anche con la Francia su
tutti i temi sopra ricordati e in particolare per il rilancio di politiche di
crescita in grado di riconquistare la fiducia dei cittadini e per un radicale
riassetto dell’architettura di governo europea. È nell’interesse dell’Italia
essere riconosciuta come una forza propositiva ed attiva in Europa, che
spinge per la riforma di un’Unione oggi palesemente in crisi. È auspicabile quindi che il governo approfondisca ulteriormente la strategia di più
ampio respiro sviluppata a cavallo tra la fine del 2015 e i primi mesi del
2016, continuando ad adoperarsi per riportare al centro dell’attenzione
l’urgenza di una riforma istituzionale dell’Ue.
ra, Laura Boldrini, che in tempi recenti è riuscita ad allargare il gruppo a 11 parlamenti;
infine la vista il 30 gennaio 2016 di Matteo Renzi a Ventotene/S. Stefano per rilanciare
l’idea di un’Europa politica sulle tracce del Manifesto di Altiero Spinelli.
39
1.5 la politica estera europea
Nicoletta Pirozzi e Lorenzo Vai
Il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea (Ue) assunto
dall’Italia nella seconda metà del 2014 ha permesso al paese di beneficiare
di un periodo di rinnovato attivismo nella politica europea, ed in particolare nella politica estera. Sebbene il Trattato di Lisbona sottragga alla
Presidenza di turno la competenza sull’azione esterna dell’Unione1, l’Italia
ha deciso di inserire un capitolo dedicato all’“Europa nel mondo” nel programma della sua Presidenza, considerando il rafforzamento della posizione dell’Ue sulla scena internazionale funzionale alle politiche europee
di crescita, occupazione e innovazione2. Un interesse che si è sommato alla
forte azione politico-diplomatica intrapresa dal presidente del Consiglio
Matteo Renzi per la nomina dell’allora ministro degli Affari esteri, Federica
Mogherini, al ruolo di Alto rappresentate dell’Unione per gli affari esteri e
la politica di sicurezza (Ar)3. L’azione italiana in Europa in merito ai dossier più rilevanti si è però scontrata con le difficoltà di un “semestre corto”
La competenza sull’azione esterna dell’Unione è ora affidata in primo luogo all’Alto
rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nonché vice presidente della Commissione europea, e al Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).
2
Europa, un nuovo inizio. Programma della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, 1 luglio-31 dicembre 2014, giugno 2014, http://www.governo.it/governoinforma/documenti/programma_semestre_europeo_ita.pdf.
3
La nomina di Federica Mogherini è stato ottenuta anche attraverso una serie di passi
irrituali, come la lettera inviata da Renzi al neo-eletto Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, alla fine di luglio 2014, nella quale si designava ufficialmente
l’ex ministro italiano come candidato alla posizione di “Mrs Pesc” (mentre è consuetudine
che i rappresentanti degli Stati membri designino i propri candidati commissari senza
indicare il ruolo auspicato). Vedi Matteo Renzi, lettera a Jean-Claude Juncker: “L’Italia designa Federica Mogherini come Mrs Pesc”, in Huffington Post, 31 luglio 2014, http://www.
huffingtonpost.it/2014/07/31/renzi-juncker-mogherini_n_5639259.html.
1
41
nIcoletta pIRozzI e loRenzo vaI
(reso tale dalle elezioni del Parlamento europeo e della nuova Commissione), con le priorità dell’agenda imposte dalla crisi economica, e – non da
ultimo – con le molteplici divisioni politiche emerse tra Stati membri. Le
(timide) risposte europee alla gestione dei flussi migratori si sono sicuramente giovate dell’iniziativa e del sostegno dell’Italia, nel corso del 2015,
ma il ruolo del paese nella crisi ucraina, in quella siriana, e nella lotta internazionale al terrorismo islamista è apparso di secondo piano rispetto
ad altri Stati membri. Una maggiore attenzione da parte del governo per la
politica interna ed un inasprimento del confronto politico tra il presidente
del Consiglio Matteo Renzi e le istituzioni di Bruxelles hanno avuto riflessi negativi sull’apporto italiano alla politica estera europea tra la fine del
2015 e l’inizio del 2016. Successivamente, l’azione italiana è tornata a farsi
più attiva, soprattutto sugli aspetti esterni della politica migratoria.
Tra le questioni lasciate aperte nel 2015 e quelle acutizzatesi negli ultimi mesi, le sfide esterne destinate ad occupare l’agenda europea del 2016
si presentano numerose. In primo luogo, l’aggravarsi delle crisi umanitarie
ha generato un aumento della pressione migratoria attraverso il Mediterraneo, ma anche l’apertura di nuove vie tra il Mar Egeo e il Mar Adriatico.
Una soluzione di tipo politico (dialogo con i paesi d’origine e di transito),
sociale (rafforzamento delle strutture di accoglienza in Europa) ed economico (sostegno alle comunità della diaspora) dovrà necessariamente
affiancarsi a considerazioni di sicurezza. Già a partire dal 2014, l’Italia
si è concentrata soprattutto sulla promozione di un’iniziativa europea
più incisiva nel Mediterraneo, inteso come cuore dell’Europa – e non più
come frontiera – al quale destinare una serie di azioni mirate a garantire
sicurezza e sviluppo. Prioritaria importanza è stata dedicata al fenomeno
migratorio e al tentativo di riequilibrare l’asse della politica europea di
vicinato dal fronte orientale a quello meridionale4. In particolare, il governo italiano ha cercato di promuovere una maggiore solidarietà europea
nella gestione dei richiedenti asilo e di individuare nuove strategie per la
lotta all’immigrazione clandestina. Sul piano operativo, l’Italia ha puntato
a rafforzare l’azione europea per la protezione delle frontiere marittime,
attraverso il potenziamento dell’agenzia europea Frontex. A fine ottobre
2014 all’operazione nazionale Mare Nostrum ha fatto seguito quella europea Triton, che però è risultata molto meno ambiziosa per mandato e
risorse5. A livello politico, il governo italiano ha inoltre sostenuto il piano
4
5
Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo volume.
Commissione europea, Frontex Joint Operation ‘Triton’ - Concerted efforts to manage
42
1.5. la polItIca esteRa euRopea
della Commissione per la ridistribuzione tra gli Stati membri di alcune
(piccole) quote di rifugiati e, all’inizio del 2016, ha proposto l’emissione
di eurobond per finanziare la gestione dei flussi migratori6. In considerazione dei legami tra il Mediterraneo e il continente africano, sono state intraprese varie iniziative per rafforzare la cooperazione politica, economica e di sicurezza, con i paesi d’origine e di transito per affrontare le cause
prime del fenomeno migratorio. In quest’ottica si collocano le principali
proposte del “Migration Compact”, il piano presentato dall’Italia all’Ue e
agli altri stati membri nell’aprile 20167, nonché il processo di Rabat (che
coinvolge i paesi dell’Africa occidentale, settentrionale e centrale)8 e quello di Karthoum, avviato sotto Presidenza italiana (che riguarda i paesi del
Corno d’Africa, più Libia ed Egitto9.
Da un punto di vista geopolitico, al centro degli interessi italiani nel
Mediterraneo si colloca la Libia. Stato in via di fallimento, crocevia dei
flussi migratori dai paesi del Sahel e del Corno d’Africa, contagiato ultimamente anche dal fenomeno jihadista, la Libia rischia di diventare una
seconda Somalia alle porte dell’Europa. Dopo un primo fallimento dei
negoziati condotti dal rappresentante della Nazioni Unite Bernardino
León tra gli attori libici e la comunità internazionale, l’insediamento di un
governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu e dall’Ue, si sta rivelando
lento e difficoltoso a causa delle resistenze mostrate dai centri di potere
di Tripoli e Tobruk e da alcune milizie. Nel paese l’instabilità politica continua ad abbinarsi ad un precario livello di sicurezza, che lascia aperta
l’opzione di futuri interventi internazionali di pacificazione sul territorio. Gli sforzi compiuti dall’Italia per la stabilizzazione della Libia hanno
prodotto fino ad ora risultati modesti10. Dopo un periodo di incertezza
sul tipo di coinvolgimento operativo dell’Italia – civile, militare o semplicemente diplomatico – il governo ha puntato su un miglior utilizzo della
missione Eunavfor Med Sophia per il contrasto del traffico di migranti, e
migration in the Central Mediterranean, 7 ottobre 2014, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-609_it.htm.
6
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html.
7
Vedi Migration Compact: Contribution to an EU strategy for external action on migration, 15 aprile 2016, http://www.governo.it/node/4509.
8
Per maggiori informazioni si veda il sito http://processusderabat.net.
9
Declaration of the Ministerial Conference of the Khartoum Process, Roma, 28 novembre 2014, http://www.esteri.it/mae/approfondimenti/2014/20141128_political_declaration.pdf. Vedi il capitolo di Nicoletta Pirozzi in questo volume.
10
Vedi il capitolo di Roberto Aliboni in questo volume.
43
nIcoletta pIRozzI e loRenzo vaI
ha identificato come prioritario il lancio di missioni civili europee per la
stabilizzazione del paese11.
Il caso libico ha anche evidenziato come l’islamismo violento non possa più considerarsi una minaccia limitata ai territori siriano e iracheno
e stia ormai alimentando un’ondata di terrore anche in Africa occidentale, come dimostrato dalle azioni di numerosi gruppi jihadisti nel corso
del 2015 in Nigeria (Boko Haram), Mali (al-Murabitun) e Costa d’Avorio
(Aquim), oltre al Nordafrica, in Tunisia e Algeria. Il sedicente Stato islamico (Isis) si è rivelato peraltro attivo anche nel cuore stesso dell’Europa.
Gli attentati di Parigi nel gennaio e novembre 2015, e quelli del 22 marzo
2016 a Bruxelles ne sono una tragica testimonianza. L’Unione europea
dovrà quindi interrogarsi sulle cause prime di un fenomeno che parte da
lontano, ma sta contagiando le società europee, e atuare risposte unitarie
attraverso un più stretto coordinamento fra le agenzie di polizia e di intelligence fino alla definizione di una strategia politica coerente per le crisi
in Siria, Iraq e Libia. La radicalizzazione religiosa ed identitaria pone pesanti ipoteche anche sullo scacchiere mediorientale, il cui assetto geopolitico dopo la conclusione degli accordi riguardanti il programma nucleare
iraniano rischia di essere interessato da nuove fratture, oltre che dalle
tensioni israelo-palestinesi ormai “eternizzate” e dagli ambigui ruoli assunti dagli attori regionali nella lotta al terrorismo. In questo complesso
quadro geopolitico, l’Italia si è impegnata soprattutto in azioni in ambito
umanitario, nella formazione delle forze di sicurezza locali e nella difesa
del patrimonio culturale minacciato dalle attività dei gruppi terroristici,
senza però prendere parte ad operazioni militari volte a contrastare l’avanzata dell’Isis in Siria12.
Ad est, la crisi ucraina, lungi dal poter essere definita un conflitto congelato, è una polveriera pronta a riesplodere al riacutizzarsi delle tensioni tra Unione europea e Russia, che sono acuite dalla mancanza di un
approccio europeo condiviso alla dimensione orientale della politica di
vicinato e alla gestione della questione energetica. L’Italia non è stata in
prima linea nella gestione della crisi ucraina, ma ha dato pieno sostegno
al lavoro diplomatico del “quartetto di Normandia” e al coinvolgimento
dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce)
nell’opera di mediazione e nel monitoraggio degli accordi di “cessate il
fuoco” raggiunti dalle parti in conflitto. Ha condiviso la politica delle san11
12
Vedi Migration Compact, cit.
Vedi il capitolo di Andrea Dessì in questo volume.
44
1.5. la polItIca esteRa euRopea
zioni, ma ha adottato una posizione meno intransigente e di apertura verso Mosca, motivata da ragioni economiche e politiche13.
Sul fronte transatlantico, l’Italia ha ribadito il suo sostegno alla conclusione di un accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti
(Ttip), ma ha chiesto una protezione degli standard qualitativi e sociali
dell’Ue e una maggiore trasparenza del processo negoziale.
Infine, degna di nota sono anche la costante proiezione dell’Italia
nell’area balcanica in relazione al processo di allargamento dell’Unione
e il contributo attivo del governo italiano ai negoziati tra Ue e Turchia
per la conclusione di un accordo per la gestione dei flussi migratori14.
Quest’ultimo ha offerto l’opportunità a Matteo Renzi di ribadire l’apertura dell’Italia ad un rilancio del processo di adesione della Turchia all’Ue,
sottolineando però che esso resta “né facile, né breve”15.
Per affrontare queste sfide l’Unione europea dovrà cercare di acquisire
un ruolo di potenza regionale. Ciò sarà possibile soltanto se saprà dotarsi
di strumenti concettuali realistici e condivisi tra gli Stati membri (inclusa
una nuova Strategia globale) e rafforzare le sue capacità operative (con
una ristrutturazione del Seae e il potenziamento delle sue capacità militari). Il ruolo dell’Italia non è semplice, data l’incertezza degli scenari
ma, anche grazie all’iniziativa dell’Ar, potrebbe risultare determinante nel
promuovere una politica estera europea più efficace e credibile.
Vedi il capitolo di Giovanna De Maio e Daniele Fattibene in questo volume.
Vedi la dichiarazione Ue-Turchia, 18 marzo 2016, http://www.consilium.europa.eu/
en/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement.
15
“Renzi, l’accordo Turchia-Ue rispetta nostri paletti”, in Ansa Europa, 18 marzo 2016,
http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2016/03/18/renzi-laccordo-turchia-ue-rispetta-nostri-paletti-_ce1065f2-f5fd-4a64-ba3f-223c157786c9.html.
13
14
45
2.
la politica di sicurezza e difesa
Alessandro Marrone e Vincenzo Camporini
Tre sono stati gli elementi più rilevanti della politica di sicurezza e difesa
condotta dal governo Renzi nel biennio 2014-2015. In primo luogo, l’adozione di un “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” che,
come avviene nei maggiori paesi europei, fornisce l’orientamento politico-strategico per lo sviluppo dello strumento militare ed il suo utilizzo
ai fini della politica estera e di difesa dell’Italia. Al tempo stesso, le Forze
Armate hanno continuato ad essere ampiamente impegnate in missioni
internazionali nella regione euro-mediterranea, con uno spostamento
di risorse dall’Afghanistan – dove la Nato ha ridotto la propria presenza
militare – all’Iraq, nel quadro delle operazioni di contrasto al sedicente
Stato islamico da parte della comunità internazionale. Sul labile confine
tra sicurezza esterna ed interna, occorre infine ricordare l’impegno della
Marina militare in diverse operazioni navali nel Mediterraneo, volte sia
alla ricerca e soccorso di migranti in pericolo sia in mare sia al contrasto
ai trafficanti di esseri umani, in particolare sulle rotte tra la costa libica e
quella italiana.
Il lIbro bIanco per la sIcurezza InternazIonale
e la dIfesa
Il varo del Libro bianco è uno dei principali risultati della politica condotta
in questo settore dal governo Renzi, e in particolare dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, nel biennio 2014-2015. L’elaborazione di documenti
analoghi per orientare la gestione e l’evoluzione dello strumento militare
nel medio periodo sono prassi consueta in paesi come Gran Bretagna e
47
alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI
Francia. In Italia, invece, l’ultimo esempio significativo risaliva al 1986.
Il processo avviato nel 2014 su impulso del ministro Pinotti rappresenta
dunque un’innovazione importante e impegnativa per le Forze Armate,
che necessitano di una razionalizzazione complessiva per continuare a
svolgere i compiti fissati dall’autorità politica a fronte di risorse economiche limitate e decrescenti. Infatti, le spese per la “funzione difesa”1 che
ammontavano a 14.077 milioni di euro, pari allo 0,87 per cento del Pil nel
2014, contro un impegno in ambito Nato del 2 per cento, scenderanno
ulteriormente a 12.735 milioni nel 20162.
Il processo di elaborazione del Libro bianco è iniziato con la presentazione al Consiglio supremo di difesa del progetto del ministro della Difesa, che ha incaricato un gruppo di esperti di preparare le Linee guida
per la stesura del documento vero e proprio. Le Linee guida sono state
presentate nel giugno 2014, e il lavoro è poi proseguito con la redazione
del documento sotto la supervisione del ministro. Dopo quasi un anno il
Libro bianco è stato presentato dal ministro al Consiglio supremo della
difesa il 21 aprile 2015, ed in seguito a governo e parlamento.
Il Libro bianco delinea una strategia di medio termine per la politica di
difesa italiana, correlando obiettivi, risorse e modalità per raggiungerli.
Tra gli obiettivi, vi è un maggiore e più esplicito impegno a tutela degli
interessi nazionali. Vi si afferma infatti che il fine ultimo della politica di
difesa è la protezione degli interessi vitali e strategici dell’Italia, e che il
primo compito delle Forze Armate è la
difesa dello stato contro ogni possibile aggressione, per salvaguardare: l’integrità del territorio nazionale; gli interessi vitali del paese; la sicurezza delle aree di sovranità nazionale e dei connazionali
all’estero; la sicurezza e l’integrità delle vie di comunicazione di
accesso al paese3.
La funzione difesa comprende tutte le spese necessarie all’assolvimento dei compiti
militari specifici di Esercito, Marina ed Aeronautica, nonché della componente interforze
e della struttura amministrativa e tecnico industriale del MinisteMinistero della Difesa.
Vedi Roberta Maldacea, Alessandro Marrone e Paola Sartori, Bilanci e industria della difesa: tabelle e grafici, Roma, IAI, luglio 2015, http://www.iai.it/it/node/702.
2
Vedi Appendice: figura 7, Stanziamenti per la funzione difesa (mln di €). Ministero
della Difesa, Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2015-2017,
aprile 2015, http://www.difesa.it/Content/Pagine/Notaaggiuntiva.aspx.
3
Ministero della Difesa, Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, aprile
2015, p. 42, http://www.difesa.it/Content/Pagine/Libro_Bianco.aspx.
1
48
2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa
La seconda missione consiste nella “difesa degli spazi euro-atlantici ed
euro-mediterranei”, ovvero nel contributo alla difesa collettiva Nato e nel
mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mediterraneo. La
terza missione è la partecipazione a operazioni di prevenzione e gestione
delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire pace, sicurezza, stabilità e legalità internazionale, mentre la quarta
consiste nel concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni nazionali e
nello svolgimento di compiti specifici in circostanze di pubblica calamità.
Il Libro bianco indica chiaramente come “ambito di azione prioritario
degli interventi nazionali”4 la regione euro-mediterranea, che comprende i paesi Ue, l’area balcanica, l’area del Mar Nero, quella mediterranea
parte del Medio Oriente, ed il Maghreb. In questa regione la Difesa deve
“essere pronta ad assumersi dirette responsabilità in risposta a situazioni
di crisi ed essere preparata ad interventi di pacificazione e stabilizzazione”5, anche assumendosi l’onere di guidare tali operazioni. L’indicazione
esplicita di una priorità geopolitica è un fatto nuovo nella politica di difesa italiana, che denota un maggiore realismo nel correlare obiettivi e
mezzi per raggiungerli. In generale, il documento utilizza un linguaggio
realista ed esplicito. Ad esempio vi si considera apertamente l’ipotesi di
“affrontare situazioni di conflittualità di natura tradizionale”6, un riferimento alla guerra tra stati inusuale nella tradizione politica dell’Italia repubblicana. Inoltre, si pone l’accento sul “dominio cibernetico” che dovrà
essere “presidiato e difeso”7. Infine, si pone tra i compiti della Forze Armate la “eliminazione di eventuali minacce alla sicurezza e agli interessi
del paese”8, collegando esplicitamente l’uso della forza alla tutela degli
interessi nazionali.
Perché le Forze Armate possano svolgere le missioni stabilite e raggiungere gli obiettivi fissati, il Libro bianco delinea un ambizioso piano
di riforma della Difesa, che riguarda vari aspetti: l’organizzazione interna, con una razionalizzazione in senso interforze e una più chiara definizione del rapporto tra autorità politica del ministro e vertici militari; il
personale e la sua formazione, nell’ottica di un ricambio generazionale,
dello snellimento dei quadri degli ufficiali, e dell’istituzione della riserva
operativa; il procurement e la politica industriale della difesa, anche con
Ibid., p. 29.
Ibid., p. 39.
6
Ibid., p. 17.
7
Ibid., p. 24.
8
Ibid., p. 41.
4
5
49
alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI
l’introduzione di una legge sessennale per dare stabilità ai programmi
strategici di acquisizione di sistemi d’arma; una nuova suddivisione del
bilancio della difesa.
Tuttavia, i tempi di attuazione di questo disegno di ampia portata hanno subito un significativo rallentamento rispetto a quanto previsto dal
Libro bianco, a causa sia della complessità dei provvedimenti legislativi,
regolamentari e amministrativi da porre in essere, sia delle resistenze suscitate all’interno della Difesa da una riforma che punta a eliminare rendite di posizione per dare maggiore efficienza, efficacia e sostenibilità allo
strumento militare.
Occorre inoltre notare che un importante programma di procurement
è stato deciso prima dell’approvazione del Libro Bianco, in modo scollegato dal disegno strategico del documento approvato dal Consiglio Supremo di Difesa. Si tratta della cosiddetta “legge navale”, ovvero il finanziamento di 5,4 miliardi di euro in dieci anni stanziato dalla legge di stabilità
2014, per l’acquisizione da parte della Marina militare di sei Pattugliatori
polifunzionali d’altura (Ppa), di un’unità anfibia multiruolo e di un’unità
da supporto logistico.
L’impegno miLitare neLLa regione euro-mediterranea:
daLL’afghanistan aLL’iraq
Nel 2014 si è conclusa la missione International Security Assistance Force (Isaf) della Nato in Afghanistan, dopo 11 anni di attività; nel 2015 è
stata sostituita dalla missione Resolute Support che ha preso il testimone
da Isaf nell’assistere le forze di sicurezza afgane nei compiti di controllo
del territorio e imposizione dell’autorità del legittimo governo nazionale.
La forza guidata dalla Nato è passata dalle oltre 87mila unità dell’estate
2013 alle circa 12.500 di aprile 2016; anche il suo mandato è cambiato:
non svolge più compiti di combattimento, ma esclusivamente di assistenza
alle forze afgane. In linea con gli orientamenti Nato, il governo italiano ha
gradualmente ridotto il contingente in Afghanistan dalle 4-5mila unità del
periodo 2008-2013 alle 950 di aprile 2016, dislocate tra la capitale Kabul
e Herat dove l’Italia mantiene da dieci anni la responsabilità del comando
regionale occidentale. Le ipotesi di ulteriori riduzioni dell’impegno alleato, avanzate durante il 2014, sono state accantonate vista la perdurante
attività della guerriglia talebana, ed è dunque probabile che la Nato – e
quindi l’Italia – mantenga l’attuale contingente almeno per tutto il 2016.
50
2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa
Tabella 1 – Principali missioni militari italiane*
Africa
Antipirateria ue Atalanta
180
eutm (somalia)
110
Europa
Kosovo
550
Mare sicuro
900
eunavfor Med
620
Asia
Afghanistan (rsm-eupol)
950
Libano (Uniil)
1100
Miadit (palestina)
30
coalizione internazionale anti Daesh
700
egitto - Mfo
80
Territorio nazionale
strade sicure
6300
Altre missioni
circa
340
Personale impiegato*
operazioni internazionali
5700
operazioni nazionali
6300
Fonti: D.l. 174/2015; l. 125/2008 e s.m.i.; D.l. 185/2015.
* Il numero del personale può variare quotidianamente in funzione delle esigenze operative e
logistiche.
Sempre nell’ambito dell’Alleanza atlantica, va ricordato l’impegno italiano
per l’attuazione del Readiness Action Plan (Rap) deciso nel 2014 dal vertice di Newport, che mira a rafforzare la prontezza delle forze Nato, specialmente sul fianco est, al fine di esercitare un effetto di dissuasione sulla
Russia e rassicurare i paesi membri dell’Europa orientale anche in risposta
alla crisi in Ucraina. L’Italia ha assunto, in particolare, l’impegno a guidare
nel 2018, come “framework nation”, la Very Rapid Joint Task Force (Vjtf),
che è la “punta di lancia” delle forze di reazione rapida alleate. La Vjtf, che
è guidata a rotazione dai paesi membri, è in grado di dispiegare 5mila uomini nell’arco di pochi giorni in caso di crisi o minaccia imminente. Nei primi quattro mesi del 2015 l’Italia ha inoltre impiegato quattro Eurofighter
dell’Aeronautica militare per l’Air Policing delle repubbliche baltiche. L’Air
Policing, che si esplica in un’attività aerea Nato a difesa dei paesi privi di
assetti militari in grado di svolgere questo compito, ha assunto particolare
51
alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI
rilevanza, e rischiosità, a seguito dell’intensificazione da parte di Mosca delle ricognizioni senza preavviso dei propri velivoli da combattimento al limitare dello spazio aereo dei paesi baltici. Al termine della missione, su richiesta dei paesi baltici e della Nato, l’Italia ha prolungato di ulteriori quattro
mesi la sua attività di Air Policing, in aggiunta al turno prestabilito, come
concreto sostegno alla difesa collettiva sul “fianco est” dell’alleanza. Inoltre, l’Italia è stata una delle tre nazioni co-organizzatrici dell’esercitazione
Trident Juncture svoltasi nell’ottobre 2015. Si è trattato della esercitazione
Nato su più larga scala dal 2002, cui hanno preso parte 30 tra paesi membri
e partner dell’Alleanza, per un totale di 36mila militari, 140 aerei e 60 navi.
Anche grazie a tale impegno dell’Italia, a marzo 2016 per la prima volta un
generale italiano, Salvatore Farina, è stato nominato capo del Joint Force
Command di Brunnsum, una delle posizioni apicali della struttura militare
Nato. Non è invece andata a buon fine nel 2014 la candidatura di Franco
Frattini a Segretario generale dell’Alleanza, posizione che dal 1971 non viene ricoperta da un italiano. Né ha avuto l’effetto sperato l’impegno italiano
a favore di una maggiore attenzione Nato al “fianco sud” dell’Alleanza, sebbene la Strategic Level Guidance, approvata dai ministri degli Esteri alleati
nell’ottobre 2015 abbia segnato un passo in avanti in questa direzione9.
Ad aprile 2016 l’Italia era impegnata, nel complesso, in 25 missioni
internazionali in 18 paesi, con circa 5.700 militari con importanti ruoli
di comando nei contingenti multinazionali. Tra le missioni all’estero, oltre alla suddetta Resolute Support, la maggiore era quella in Libano, dove
l’Italia schierava 1.100 uomini nell’ambito della missione Unifil, forte di
11mila unità. L’Italia ha mantenuto ininterrottamente dal 2007 il comando dell’Unifil, guidata dal 2014 dal generale Luciano Portolano. Seguivano, per entità, le missioni in Iraq (700 effettivi), in Kosovo (550 unità)
dove la Kfor Nato era guidata dall’Italia, in Corno d’Africa e Golfo di Aden
(290 unità) dove anche la missione Eutm Somalia era a guida italiana10.
Nell’ultimo biennio il governo Renzi ha attuato un ri-orientamento
complessivo dell’impegno militare all’estero verso la regione mediterranea, tenendo conto dei crescenti fattori di instabilità nell’area – dalla crisi
migratoria all’avanzata del sedicente Stato islamico – e della riduzione
della presenza Nato in Afghanistan. In questo contesto, significativa è sta-
Paola Tessari, Paola Sartori e Alessandro Marrone, “La politica di difesa italiana
tra Nato e Libro Bianco”, in Documenti IAI 15|25 (dicembre 2015), http://www.iai.it/it/
node/5709.
10
Ministero della Difesa, Riepilogo delle missioni internazionali, aprile 2016, http://
www.difesa.it/OperazioniMilitari/Pagine/RiepilogoMissioni.aspx.
9
52
2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa
ta la decisione del governo di partecipare attivamente alle operazioni militari condotte dalla coalizione internazionale a guida americana in Iraq
contro lo Stato islamico, senza però un impegno diretto nei bombardamenti. Tale partecipazione si è concretizzata in primo luogo, ad agosto
2015, nella fornitura di equipaggiamenti militari agli alleati curdi, e subito
dopo nel progressivo invio di capacità aeree con compiti di ricognizione e
acquisizione di obiettivi (quattro velivoli da combattimento Tornado, due
velivoli a pilotaggio remoto Predator, un velivolo da rifornimento in volo
Kc-767). Al tempo stesso, con le missioni Prima Parthica e Inherent Resolve l’Italia ha inviato, a sostegno degli alleati iracheni e curdi, istruttori,
consiglieri militari e forze speciali appartenenti a tutte le forze armate,
compresi 90 carabinieri per l’addestramento delle forze di polizia irachene, per un totale di 700 unità. L’impegno in Iraq rappresenta il principale
contributo militare italiano alla lotta contro lo Stato islamico, e si affianca
ad altre iniziative di intelligence, diplomatiche ed economiche, nel quadro di uno sforzo complessivo che si è intensificato dopo gli attentati di
Parigi nel 2015 e di Bruxelles nel 2016. L’Italia ha scelto di impegnarsi
militarmente in Iraq, dove l’intervento internazionale si basa su una richiesta da parte del legittimo governo iracheno, mentre nel teatro siriano
ha sostenuto l’iniziativa diplomatica guidata dall’Onu che mira al coinvolgimento di tutti i principali gruppi locali coinvolti nella guerra civile in
corso dal 2011, in vista del raggiungimento di uno stabile cessate il fuoco
che agevoli il contrasto allo Stato islamico11. Quanto alla Libia, il ministero
della Difesa ha lavorato ad eventuali scenari di impiego operativo, predisponendo lo strumento militare ad un alto grado di allerta. Il governo ha
però preso in considerazione un eventuale intervento solo in Libia in un
quadro politico-strategico in cui siano soddisfatte alcune condizioni, in
primis un accordo intra-libico su un governo di unità nazionale12.
tra sicurezza esterna ed interna: mare nostrum,
triton ed eunavfor med
La missione Mare Nostrum attuata dall’Italia tra l’ottobre 2013 e l’ottobre
2014 è stato il maggiore esempio di coordinamento interministeriale sul
labile confine tra sicurezza esterna ed interna, avendo assolto una plu11
12
Vedi il capitolo di Andrea Dessì in questo volume.
Vedi il capitolo di Azzurra Meringolo in questo volume.
53
alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI
ralità di compiti: il controllo delle acque territoriali italiane e della zona
contigua, il contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti clandestini, e le operazioni di ricerca e soccorso (Search
and Rescue, Sar) in mare. Si è trattato di una delle più grandi operazioni
di salvataggio in mare nella storia del Mediterraneo: nel corso dei 12 mesi
della missione sono stati salvati in mare circa 200mila migranti e arrestati oltre 250 trafficanti di esseri umani. Per quanto riguarda la componente militare, la Marina ha contribuito stabilmente con 920 militari ed una
flotta di cinque navi.
Nell’ambito di una più ampia politica dell’immigrazione13, dal 2014 il
governo si è speso per un maggiore impegno Ue nella gestione dei flussi migratori, ed in particolare nelle operazioni Sar, raggiungendo due risultati a livello operativo. Da un lato sono state potenziate le attività nel
Mediterraneo dell’agenzia Frontex, con il varo dell’operazione Triton che
ha coinvolto assetti navali e aerei di altri otto paesi europei coordinati
dall’Italia. Dall’altro è stata lanciata la missione Eunavfor Med, il 22 giugno 2015, nell’ambito della politica comune di sicurezza e difesa dell’Ue.
La missione ha il compito di contrastare le reti criminali che organizzano il traffico di migranti attraverso il Mediterraneo e ridurre il flusso
migratorio via mare, in conformità al diritto internazionale. L’Italia ha il
comando della missione, tramite il Comando operativo di vertice interforze (Coi) (con l’ammiraglio Enrico Credendino alla guida dell’operazione).
Dopo una prima fase di raccolta di informazioni e di pattugliamento in
alto mare, il 7 ottobre 2015 la missione è entrata nella “fase 2i” che prevede la possibilità di procedere a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti
in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico di
esseri umani. Al momento, è pertanto escluso che il dispositivo aeronavale Eunavfor Med possa operare nelle acque territoriali della Libia a meno
di una richiesta esplicita da parte del governo libico. Attualmente 22 paesi europei contribuiscono in diversa misura all’operazione, sia in termini
finanziari, sia fornendo assetti e/o personale militare, e l’Ue ha stanziato 12 milioni di euro per contribuire ai costi della missione fino a luglio
201614. L’Italia schiera circa 620 militari, e la portaerei Cavour funge da
nave comando dell’operazione che conta nel complesso sette navi e sei tra
velivoli ed elicotteri. Visti i recenti sviluppi nel Mediterraneo, è probabile
Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo volume.
Alessandro Ungaro, “Eunavfor Med guarda alla Libia”, in AffarInternazionali, 15 ottobre 2015. http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3198.
13
14
54
2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa
che la missione Eunavfor Med venga rinnovata dall’Ue per lo meno fino
a luglio 2017, mentre il passaggio alle fasi successive, militarmente più
robuste, dipenderà dal consolidamento del governo libico di unità nazionale. Infine, la missione nazionale Mare sicuro vede impegnate circa 900
unità nel Mediterraneo centrale per il presidio delle zone di pesca e la
protezione delle piattaforme energetiche italiane off-shore.
Occorre infine ricordare che il programma multinazionale, a guida statunitense, di procurement dei velivoli da combattimento multiruolo F-35
è stato oggetto di forti polemiche politiche nella prima metà del 2014. Il
governo ha comunque mantenuto l’impegno italiano nel programma, sebbene con un rallentamento del ritmo di acquisizione dei velivoli dovuto
ai vincoli di bilancio. L’Italia conta di acquisire circa 27-30 F-35 entro il
202015, assemblati nello stabilimento italiano di Cameri, con l’obiettivo
finale di arrivare a 90 aerei per sostituire i 253 caccia (Amx, Tornado e
Av-8B) di Aeronautica a Marina militare la cui dismissione causa obsolescenza sarà gradualmente completata nel prossimo quindicennio. Molto
difficilmente il programma di acquisizione verrà cancellato o sospeso,
mentre la sua tempistica continuerà probabilmente a dipendere dalle
condizioni del bilancio pubblico ed in particolare di quello della difesa.
15
2016.
Pietro Batacchi, “Quattro nuovi F-35 per l’Italia”, in Rivista Italiana Difesa, 17 marzo
55
3.
strategia e priorità della politica
migratoria
Marcello Di Filippo
La natura delle dinamiche all’origine dei flussi migratori verso i paesi europei è tale da rendere ogni azione unilaterale poco incisiva o del tutto
priva di risultati pratici apprezzabili. Un paese come l’Italia, collocato alla
frontiera esterna dell’area Schengen e al centro del Mediterraneo, ha bisogno più di altri di collocare la propria azione in un contesto di concertazione e cooperazione sia con gli stati membri dell’Ue e le istituzioni comuni sia con i paesi di origine delle nazionalità maggiormente rappresentate
e con quelli di più frequente transito nelle rotte verso l’Europa.
Il 2015 è stato un anno in cui alcuni temi posti con forza dal governo
italiano hanno trovato un’eco a livello europeo, anche se gli esiti sono stati
ben al di sotto delle aspettative e la situazione complessiva non ha registrato miglioramenti effettivi.
Con riguardo alle attività di monitoraggio dei flussi via mare1, il 2014
si era chiuso con il passaggio di consegne tra l’operazione Mare Nostrum
e la ben modesta operazione Triton, coordinata da Frontex. Sia il mandato
che la dotazione operativa di Triton hanno rappresentato una doccia fredda per l’Italia che aveva legittimamente chiesto agli altri stati membri di
condividere gli oneri della ricerca e soccorso dei migranti e di dispiegare
mezzi adeguati alle sfide da affrontare. Solo l’onda emotiva di un naufragio avvenuto nell’aprile 2015 al largo delle coste della Sicilia in cui si
stima abbiano perso la vita tra i 700 e i 900 migranti ha aperto la strada
a un cambiamento di paradigma, come da tempo invocato dall’Italia. La
dotazione e il mandato di Triton sono stati rafforzati (anche se non è stata
1
Vedi Appendice: Figura 2, Sbarchi sulle coste italiane.
57
MaRcello dI FIlIppo
trasformata in un’operazione “gemella” di Mare Nostrum), ma sul piano
operativo ella missione è stata tenuta ferma la regola per cui in quasi tutti
i casi è l’Italia lo stato di sbarco, tranne un diverso accordo raggiunto caso
per caso con altri Stati costieri (es. Malta). In parallelo, è stata avanzata la
richiesta di contrastare attivamente le organizzazioni criminali che dalle
coste libiche gestiscono la tratta dei migranti attraverso un dispositivo
militare, sul modello dell’operazione Atalanta contro la pirateria somala.
Un tale approccio è stato oggetto di un acceso dibattito in ragione della
compresenza di questioni giuridiche, difficoltà operative, dubbi circa il
rapporto costi-benefici, e rischi per l’incolumità dei migranti. Tali discussioni hanno avuto come esito l’avvio di un’operazione militare dell’Ue
(Eunavfor Med Sophia)2, articolata in varie fasi, che ha ricevuto l’avallo
dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu3. Il dispositivo militare di Eunavfor
Med, che è stato dispiegato negli spazi marini internazionali prospicienti
le acque territoriali libiche, ha sinora svolto attività di osservazione e raccolta informazioni (fase 1) e di arresto di presunti “scafisti” e distruzione
di imbarcazioni, contemporaneamente al soccorso e successivo sbarco in
Italia dei migranti trasportati (fase 2.i). La fase 2.ii (azione nelle acque
territoriali e interne libiche) e la fase 3 (intervento, ove necessario, sulle coste libiche) non hanno avuto concreto avvio, a causa dell’assenza in
Libia di un governo rappresentativo riconosciuto internazionalmente – il
cui consenso è necessario, ai sensi del diritto internazionale e della risoluzione n. 2240 del Consiglio di Sicurezza – e di un quadro politico stabile.
L’Italia ha anche attuato un’ampia offensiva diplomatica nei confronti
dell’Ue e degli altri Stati membri per ottenere una traduzione del principio
di solidarietà intra-Ue, di cui all’art. 80 Tfue, in atti concreti, che vadano
oltre l’assistenza finanziaria o tecnica o il lancio di operazioni congiunte.
In particolare, un punto su cui è stato investito un notevole capitale politico è la redistribuzione su tutto il territorio europeo delle persone giunte
sul territorio italiano (in gran parte via mare), e in particolare dei richiedenti asilo4. Ne è nata un’aspra contesa politica a livello europeo, in cui
l’Italia ha cercato una sponda diplomatica non solo nella Grecia (paese in
cui l’ondata migratoria ha creato una situazione ben più grave) ma anche
in altri paesi europei i cui sistemi di asilo sono sotto pressione (ad esemVedi le decisioni (Pesc) n. 2015/778 del 18 maggio 2015, n. 2015/972 del 22 giugno
2015, n. 2015/1772 del 28 settembre 2015 e n. 2016/118 del 20 gennaio 2016.
3
Vedi la risoluzione n. 2240 del 9 ottobre 2015.
4
Vedi Appendice: figura 3, Richieste d’asilo in Europa (2015).
2
58
3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa
pio la Germania). Il risultato è stato l’adozione di un piano europeo5 che
per la prima volta ha tradotto in termini giuridici l’esigenza di ridistribuire su tutto il territorio dell’Unione, con l’eccezione del Regno Unito,
una parte (160mila in due anni) dei richiedenti asilo giunti in Italia e in
Grecia. Occorre rimarcare, tuttavia, che tale passaggio è stato accompagnato da soluzioni giuridiche discutibili e da forti obiezioni da parte di
alcuni paesi6 (nonché da due ricorsi di annullamento7). Ne è seguita una
deludente fase applicativa, che ha ridimensionato notevolmente la portata della novità8. Il concomitante intensificarsi del flusso sulla cosiddetta rotta balcanica e le correlate tensioni politiche tra gli Stati membri e
all’interno degli stessi hanno notevolmente complicato l’attuazione del
piano. Peraltro, i numeri previsti dalle decisioni summenzionate sono apparsi ben presto inadeguati di fronte alla crescente pressione migratoria,
che ha continuato a produrre una distribuzione de facto dei migranti in
aperto contrasto con l’esigenza di un’equa distribuzione degli oneri.
Un altro dossier su cui il governo italiano si è impegnato è la proposta di istituire una “Guardia costiera e di frontiera europea”9, oggetto di
un serrato negoziato tra Consiglio e Parlamento europeo in vista di una
sua adozione entro l’estate del 2016. Meno attiva è apparsa l’Italia su altre
questioni, come la revisione del codice visti10 e la direttiva sulla cosiddetta
carta blu11 relativa alle condizioni e procedure di ammissione dei cittadini
dei paesi terzi altamente qualificati, che pur rappresentano una componente di rilievo del complesso sistema di governance europea dei flussi
Vedi le decisioni n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015,
adottate sulla base dell’art. 78, par. 3 Tfue.
6
Vedi Marcello Di Filippo, “Le misure sulla ricollocazione dei richiedenti asilo adottate dall’Unione europea nel 2015: considerazioni critiche e prospettive”, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, vol. 17, n. 2 (2015), p. 33-60.
7
Causa C-647/15: Ricorso proposto il 3 dicembre 2015, Ungheria/Consiglio dell’Unione europea.
8
Commissione europea, Seconda relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento
(COM/2016/222), 12 aprile 2016. Soprattutto l’allegato 2, ove si dà conto di sole 530
persone ricollocate dall’Italia alla data dell’11 aprile 2016.
9
Commissione europea, Proposta di regolamento relativo alla guardia costiera e di
frontiera europea (COM/2015/671), 15 dicembre 2015.
10
Vedi Commissione europea, Proposta di regolamento che istituisce un visto di circolazione (COM/2014/163) e Proposta di regolamento relativo al codice dei visti dell’Unione
(COM/2014/164), entrambi del 1̊ aprile 2014.
11
Public consultation on the EU Blue Card and the EU’s labour migration policies,
http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-is-new/public-consultation/2015/consulting_0029_en.htm.
5
59
MaRcello dI FIlIppo
migratori. Infine, per quanto riguarda la (spesso) invocata esigenza di rivedere il regolamento Dublino III, il governo ha avanzato in più occasioni
l’idea di un sistema di quote basato sul principio di solidarietà ed equa
distribuzione dei richiedenti asilo e la richiesta di superare il criterio del
primo luogo di ingresso quale criterio di attribuzione della competenza ad
esaminare una domanda di asilo12; tuttavia, è sembrata mancare l’elaborazione di proposte contenutistiche dettagliate, tali da superare le prevedibili obiezioni di molti paesi membri e rimediare alle note deficienze del
sistema vigente13. È un dossier su cui sarà necessario mantenere alta l’attenzione, in considerazione della recente presentazione di una proposta
della Commissione e alla luce della deludente attuazione del summenzionato piano di ridistribuzione dei richiedenti asilo sul territorio europeo.
Passando ora al piano dei rapporti con i paesi terzi, il governo italiano
non ha mancato di sottolineare a più riprese come la gestione dei flussi
e la riduzione di quelli irregolari non possano essere disgiunte da una
decisa azione che affronti le cause che li originano e da una cooperazione strutturata, e non meramente occasionale, con i paesi di partenza e di
transito, che coinvolga tutti gli attori internazionali rilevanti, incluse le
organizzazioni internazionali14. A tali affermazioni di principio sono seguite alcune iniziative che meritano di essere menzionate. In primo luogo,
il supporto offerto agli sforzi diplomatici condotti dalle Nazioni Unite per
stabilizzare il contesto libico e consentire l’insediamento di un governo di
unità nazionale. Senza dubbio, il caos che regna in Libia impedisce un’azione efficace contro le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta
di esseri umani. D’altronde, la stabilizzazione della Libia non sarà certo
risolutiva, in quanto essa è essenzialmente un paese di transito per flussi
provenienti dall’Africa sub-sahariana: anche qualora in Libia fossero ricostituite istituzioni unitarie ed efficienti, difficilmente i flussi verso l’Europa e l’Italia terminerebbero.
V. ad esempio la risposta del Ministro dell’Interno Angelino Alfano all’interrogazione
parlamentare n. 3-01456, presentata alla Camera dei Deputati il 22 aprile 2015, http://
www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0413; e il comunicato stampa del Ministero dell’Interno in merito al Consiglio straordinario Gai di Amsterdam del 25 gennaio 2016, http://
www.interno.gov.it/it/notizie/lavorare-salvare-schengen.
13
Vedi Marcello Di Filippo, “Bye bye Dublin?”, in AffarInternazionali, 1̊ marzo 2016,
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3354.
14
Vedi ad esempio le comunicazioni del presidente del Consiglio alla Camera dei Deputati, in vista del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015 e di quello del 25-26
giugno 2015 (seduta n. 413 del 22 aprile 2015 e n. 449 del 24 giugno 2015).
12
60
3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa
In secondo luogo il governo italiano – d’intesa con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche e la Tavola valdese – ha realizzato nel periodo febbraio-giugno 2016 una forma di ingresso protetto
per un totale di 280 cittadini siriani (nuclei familiari, minori) che erano
ospitati in strutture di accoglienza in Libano. Si tratta di un progetto pilota
che, nel quadro di un accordo raggiunto a metà dicembre tra il governo
italiano e gli enti menzionati, prevede l’arrivo di un migliaio di persone in
due anni dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia. Tale esperimento presenta
aspetti di indubbio interesse e merita di essere perseguito con decisione,
nell’ottica di una strategia complessiva per una governance efficace del
fenomeno dei profughi (siriani o di altra nazionalità), i quali con troppa
frequenza sono costretti ad affidarsi a organizzazioni criminali data la pratica impossibilità di giungere in Europa per via legali. Il focus sul Libano
è degno di menzione, in quanto il paese mediorientale è gravato da oneri di accoglienza rispetto a cittadini siriani in fuga che vanno oltre le sue
capacità e che incidono sulla sua stabilità politica e sociale. Un ragionamento analogo vale per la Giordania. In una congiuntura in cui l’attenzione
dell’Ue e di una buona parte degli stati membri (tra cui spicca la Germania)
sembra concentrata sulla Turchia (come peraltro testimoniato dall’intesa
raggiunta tra Ue e Turchia a margine del Consiglio europeo del 17-18 marzo 2016) è quanto mai opportuno che l’Italia mantenga alta l’attenzione
su altri paesi di prima accoglienza dei richiedenti asilo e sulla necessità di
sostenere i loro sforzi.
In terzo luogo il Processo di Khartoum – fortemente sostenuto dall’Italia – che mira a combattere la tratta di essere umani e a promuovere uno
sviluppo sostenibile nei paesi di origine e di transito, è confluito (insieme
a quello di Rabat) nell’alveo degli orientamenti strategici dell’Ue sulla dimensione esterna della politica migratoria e dell’asilo, rivisti e affinati soprattutto in occasione del Consiglio europeo del giugno 2015, del vertice
informale Ue del settembre 2015 e del vertice euro-africano di La Valletta
del novembre 2015 (preceduto da un non paper comune di Francia, Germania e Italia). In tale contesto non si può fare a meno di notare come i
documenti europei più recenti si sforzino di non apparire (eccessivamente) sbilanciati sul contrasto ai trafficanti e sul contenimento dei flussi, siano essi di natura economica o forzata. Sembra infatti prendere forma una
prospettiva più ampia (corroborata dal lancio di un Fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa15), che punta sul miglioramento delle opportunità
15
Vedi Europe Aid, The EU Emergency Trust Fund for Africa, http://ec.europa.eu/euro-
61
MaRcello dI FIlIppo
di sviluppo dei paesi più arretrati, sulla stabilizzazione dei conflitti locali
e regionali, e su un dialogo critico con i regimi accusati di provocare flussi
in uscita di richiedenti asilo.
In tale prospettiva si colloca pure il non paper denominato “Migration
Compact” che il governo italiano ha sottoposto all’attenzione dell’Ue e degli Stati membri nell’aprile 2016. In tale documento si sottolinea la necessità di una continuativa e credibile azione esterna, che affianchi e integri
gli strumenti “interni” dell’Ue e ponga l’Africa al centro degli interventi
dell’Ue e dei suoi Stati membri. In particolare, un gruppo di paesi chiave di
transito e partenza dovrebbe essere coinvolto in un processo partecipato
e paritario di valutazione degli obiettivi e delle priorità nella gestione dei
flussi migratori e dei sistemi di asilo, al fine di pervenire per ciascuno di
essi a una roadmap che – in cambio di un migliore controllo dei flussi in
uscita e di una maggiore collaborazione sui rimpatri – offra opportunità
di crescita economica, consolidamento istituzionale, miglioramento della
governance e delle capacità dei sistemi nazionali di asilo.
Nelle settimane immediatamente successive, le istituzioni Ue e numerosi Stati membri hanno espresso una sintonia di vedute con il governo
italiano, come testimoniato da dichiarazioni dell’Alto rappresentante Federica Mogherini, dalle conclusioni del Consiglio affari esteri del 23 maggio 2016 e da un importante documento di orientamento pubblicato dalla
Commissione in vista del Consiglio europeo di fine giugno 2016 e relativo
ad un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi (non solo africani).
Mentre è troppo presto per elaborare un giudizio articolato su questa
rinnovata attenzione rivolta agli aspetti esterni della politica migratoria
e di asilo, occorrerà prestare attenzione ai finanziamenti messi effettivamente a disposizione dall’Ue e dagli stati membri, alle priorità politiche
che troveranno maggiore concretizzazione, alla quantità e qualità dei
progetti che saranno attuati16, alla capacità di coinvolgere non solo i governi degli stati africani, ma anche le organizzazioni regionali pertinenti,
la società civile e le realtà imprenditoriali promosse dagli stessi migranti, troppo spesso emarginate nella fase attuativa delle politiche di cooperazione17. La scarsa efficacia di una logica eminentemente securitaria
peaid/regions/africa/eu-emergency-trust-fund-africa.
16
Vedi Ferruccio Pastore, Quali leve per una governance migratoria più efficace? Migrazioni regolari e mobilità nel quadro della strategia migratoria estera dell’Unione europea
dopo il summit di La Valletta, Policy Brief per il Ministero degli Affari esteri, dicembre 2015.
17
Vedi Lorenzo Coslovi, Petra Mezzetti e Andrea Stocchiero, Quale spazio per la società
civile nel Processo di Khartoum?, Policy Brief per il Ministero degli Affari esteri, dicembre 2015.
62
3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa
sembra ormai acclarata, e vi è da augurarsi che l’Italia, insieme agli altri
paesi europei, mantenga ferma l’intenzione di dare un’impostazione più
equilibrata alla gestione dei fenomeni migratori, senza cadere nella tentazione di resuscitare approcci miopi quali la cooperazione a suo tempo
realizzata con Gheddafi e senza guardare al controverso accordo tra Ue e
Turchia come unico paradigma di riferimento.
63
4.
la politica energetica
di Nicolò Sartori
Nel biennio 2014-15 si sono registrati importanti sviluppi in ambito energetico per l’Italia. Nel 2015, per la prima volta dal crollo del 2009, si è
avuta una moderata crescita dei consumi di gas (+9,1 per cento rispetto
al 2014), dei prodotti petroliferi (+3,6 per cento) e dell’energia elettrica
(+1,5 per cento). Nonostante l’ottimo contributo delle rinnovabili al mix
elettrico nazionale (39,8 per cento della produzione totale), l’Italia rimane estremamente dipendente dall’estero per i propri approvvigionamenti
energetici, essendo nel contempo cresciute le importazioni di gas naturale e petrolio.
Nel 2015 l’Italia ha importato oltre il 90 per cento del suo fabbisogno
di gas naturale e il 92 per cento di quello petrolifero (quote in leggero
aumento rispetto al 2014)1. Ma, mentre le importazioni di greggio sono
diversificate grazie ad un portafoglio di oltre venti paesi fornitori2, la situazione nel settore del gas naturale è più problematica. Le importazioni
di gas, infatti, sono estremamente concentrate, con Russia, Algeria e Libia che forniscono quasi tre quarti del totale3. In particolare, nel biennio
2014-15 la dipendenza dal gas russo ha toccato livelli critici, raggiungendo quasi il 50 per cento delle importazioni totali.
Tale situazione – che comporta rischi per la sicurezza degli approvvigionamenti anche a causa della volatilità dei prezzi dell’energia – ha
spinto il governo italiano, negli ultimi due anni, a fare della tutela degli interessi energetici nazionali uno degli obiettivi prioritari della sua azione
internazionale. Tuttavia, alla fine del biennio in esame si è registrata una
Vedi Appendice: figure 8 e 9, Gas/Petrolio: produzione e importazioni.
Vedi Appendice: figura 11, Importazioni di petrolio.
3
Vedi Appendice: figura 10, Importazioni di gas.
1
2
65
nIcolò saRtoRI
svolta di grande importanza nella politica energetica nazionale, destinata
a cambiare il quadro strategico negli anni a venire.
L’elemento centrale di questa svolta è il ridimensionamento della “relazione speciale” con la Russia, storico partner energetico e ancor oggi
maggiore fornitore di gas dell’Italia. Nella prima parte del 2014 il governo, in particolare attraverso l’azione del ministro degli Esteri Federica
Mogherini (poi Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la
politica di sicurezza), ha speso un notevole capitale politico nel tentativo
di ricucire le relazioni tra Russia e Unione europea anche per tutelare i
forti interessi nazionali in gioco, tra cui quelli energetici. Questo tentativo
è costato alla Mogherini aspre critiche da parte di alcune cancellerie europee, quelle dell’Europa centro-orientale in primis. La decisione di Putin
di cancellare il progetto South Stream a fine 2014, e il successivo accordo
per l’espansione di Nord Stream nel settembre 2015, hanno tuttavia determinato un repentino riposizionamento dell’Italia nel contesto energetico europeo. Il timore italiano di veder danneggiata la propria competitività economico-industriale a causa di un possibile monopolio tedesco sul
transito di gas russo, ha di fatto creato un asse tra Roma e i paesi dell’Europa centro-orientale guidati dalla Polonia, manifestatosi chiaramente
durante il Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015.
Nonostante il tentativo di Edison di rivitalizzare la rotta meridionale
per il gas russo e garantire all’Italia un accesso diretto alle forniture di
Mosca attraverso un memorandum d’intesa con Gazprom e la greca Depa
firmato a febbraio 2016, le relazioni bilaterali con Mosca sembrano aver
perso parte della loro valenza strategica. Ciò è forse avvenuto più in virtù
delle nuove strategie industriali di Eni – la cui dirigenza è chiaramente
orientata a ridurre la sua presenza in Russia e sviluppare il suo portafoglio di investimenti nel Mediterraneo e in Africa – che per un radicale
cambiamento di rotta del governo.
L’identificazione del bacino del Mediterraneo come regione fondamentale per gli interessi energetici italiani, anche nel contesto europeo, è
stato uno degli elementi principali della politica del governo sia durante
il semestre di presidenza dell’Unione (nella seconda metà del 2014) sia
nel corso del 2015. In particolare, l’Italia ha cercato di svolgere un ruolo
di leadership nel rafforzamento del dialogo energetico tra l’Ue e i paesi
della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, organizzando fra
l’altro a Roma, nel novembre 2014, un’ambiziosa conferenza ministeriale
(“Building a Euro-Mediterranean Energy Bridge”), nell’ambito della Presidenza italiana del semestre europeo. La cooperazione con i paesi dell’a-
66
4. la polItIca eneRgetIca
rea ha l’obiettivo di favorirne la transizione verso un modello energetico
sostenibile, che da un lato permetta ai tradizionali produttori regionali di
continuare a giocare il loro storico ruolo di fornitori per i paesi europei, e
dall’altro favorisca una soluzione mutualmente vantaggiosa delle dispute
per lo sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo orientale, in modo da
assicurare nuove forniture di gas naturale da partner come Cipro, Egitto
e Israele.
Nell’agosto 2015 la scoperta da parte di Eni del mega-giacimento Zohr,
al largo delle coste egiziane, ha ulteriormente rafforzato l’interesse energetico italiano nella regione. Su diversi fronti, l’Italia ha moltiplicato le
iniziative per stabilire meccanismi di cooperazione politica nell’area, in
modo da favorire la creazione di un hub del gas nel Mediterraneo orientale. Nel quadrante mediterraneo, resta sempre vivo l’impegno italiano
sul fronte libico. Nonostante il perdurare della guerra civile e la grande
incertezza del quadro politico, le scoperte off-shore effettuate da Eni nel
2015 confermano la rilevanza strategica del paese per l’Italia, che dipende dalla Libia per l’11 per cento delle sue importazioni di gas naturale e
per il 6 per cento di quelle di greggio. Di qui anche il forte impegno diplomatico del governo italiano per una soluzione di compromesso che dia
stabilità al paese. Sempre nell’area nordafricana, la sicurezza energetica
italiana passa per la tenuta del regime di Abdelaziz Bouteflika in Algeria,
la cui capacità di guida del paese è però minata da oltre un anno e mezzo
di prezzi bassi del greggio, che hanno determinato una drastica riduzione
delle entrate petrolifere e un sensibile peggioramento del quadro macroeconomico del paese.
L’Italia è fortemente interessata anche agli sviluppi nella regione del
Mar Caspio. Con la sospensione di South Stream, infatti, la realizzazione
della Trans Adriatic Pipeline (Tap) è diventata un elemento fondamentale per la sicurezza energetica nazionale. In quest’ottica, negli ultimi
due anni l’Italia si è adoperata per rafforzare le relazioni bilaterali con
l’Azerbaigian e presentarsi a Baku come un partner energetico credibile
nonostante le persistenti difficoltà in fase di approvazione amministrativa del progetto Tap a livello regionale e locale. Tuttavia, la cooperazione
del governo azero potrebbe non bastare. Le travagliate relazioni tra l’Ue
e la Turchia – condizionate da dossier spinosi quali il negoziato a Cipro,
la crisi dei migranti e la lotta al sedicente Stato islamico – giocheranno
un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica italiana (ed europea).
In quanto punto di approdo di Tap, l’Italia è interessata a incoraggiare la
cooperazione tra Turchia e Ue per il completamento del Corridoio sud
67
nIcolò saRtoRI
(e, nello specifico, della Trans Anatolian Pipeline, Tanap) entro i tempi
previsti.
L’obiettivo di diversificare ulteriormente il portafoglio di paesi fornitori ha spinto la politica estera italiana ben oltre l’immediato vicinato.
Grazie alla grande quantità di risorse e alle potenzialità di sviluppo, l’Africa sub-sahariana offre importanti opportunità. Nel biennio 2014-15,
il governo ha intensificato la propria azione verso il continente africano,
con iniziative bilaterali e multilaterali volte a favorire la cooperazione con
i principali paesi produttori – o aspiranti tali – della regione. Forte anche
dell’esperienza pluriennale di Eni nel continente africano – confermata
dalle importanti scoperte recenti di idrocarburi in Congo e Gabon – e del
rinnovato interesse di Enel attraverso il progetto Res4Africa, l’Italia può
giocare un ruolo chiave in questo contesto, stimolando al contempo un’azione europea più coerente e coesa verso i maggiori attori energetici regionali.
Anche la cooperazione con l’Iran può giocare un ruolo fondamentale
per la sicurezza energetica italiana (ed europea). I recenti sviluppi politici
– l’elezione del presidente Rouhani, l’accordo sul programma nucleare e
la progressiva rimozione delle sanzioni internazionali al settore energetico iraniano – offrono all’Italia nuove opportunità per consolidare le relazioni con Teheran. Il paese, infatti, è virtualmente uno dei maggiori attori
energetici globali, con un grande potenziale inespresso a causa non solo
delle sanzioni, ma anche della mala gestione da parte del regime degli
ayatollah. La partnership con Teheran, risalente all’epoca di Enrico Mattei, è stata uno dei cardini della politica energetica italiana degli ultimi decenni. Gli interessi industriali italiani in Iran hanno resistito anche al duro
regime sanzionatorio internazionale e all’embargo sui prodotti petroliferi
imposto dall’Ue. Il ritorno dell’Iran nei contesti della cooperazione internazionale (e sui mercati energetici globali) può consentire all’Italia di rinsaldare questi rapporti bilaterali privilegiati a vantaggio della sicurezza
energetica nazionale: gli accordi siglati nel gennaio 2016 da Saipem con
la National Iranian Gas Company (Nigc) e la Pars Oil & Gas Development
(Pogdc) ne sono la conferma.
Oltre alle tradizionali relazioni bilaterali con paesi produttori e di
transito, nel biennio 2014-15 il governo italiano è stato particolarmente
attivo in ambito europeo e multilaterale. I temi energetici sono stati al
centro dell’azione italiana nel semestre di presidenza dell’Unione, durante il quale l’Italia non soltanto ha riportato il Mediterraneo al centro delle
priorità di politica energetica europea, ma ha anche contribuito in modo
68
4. la polItIca eneRgetIca
attivo alla chiusura dell’accordo sul “Quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima” durante il Consiglio europeo di ottobre 2014. Forte di
questo risultato, il governo italiano ha contribuito attivamente anche alla
preparazione della Conferenza delle parti sul clima (Cop21), tenutasi a
Parigi nel dicembre 2015. Le principali proposte italiane in materia, tra
cui il riferimento esplicito al target di 1,5 °C la definizione di meccanismi
di valutazione e revisione quinquennale degli obiettivi di riduzione delle
emissioni, sono state accolte nel testo finale dell’Accordo di Parigi, il cui
livello di ambizione è andato, per certi aspetti, anche oltre le aspettative.
Sempre in ambito multilaterale, nel maggio 2014 – all’apice della crisi
ucraina – il governo italiano si è fatto promotore del cosiddetto G-7 Energia, il vertice dei ministri dell’Energia dei paesi del G-7 (dal quale è esclusa
la Russia). L’incontro, che si è svolto a Roma, si è incentrato sull’obiettivo
di accrescere la cooperazione fra i principali attori globali sui temi della
sicurezza energetica internazionale. A conclusione dell’incontro è stata
approvata la “Dichiarazione di Roma”, poi ampiamente ripresa durante il
vertice del G-7 di giugno a Bruxelles. Il format lanciato dall’Italia nell’ambito del G-7 ha dato vita alla “Iniziativa di Roma per la sicurezza energetica”, che è stata ripresa anche durante il successivo incontro dei ministri
dell’Energia dei sette paesi, tenutosi ad Amburgo nel maggio 2015.
Da quest’analisi emerge come nel biennio in esame gli eventi internazionali abbiano contribuito a modificare, almeno in parte, le tradizionali
direttrici della politica energetica italiana. Il governo ha dovuto ricalibrare la sua azione verso attori chiave come la Russia e la Libia, sviluppando
al contempo un crescente interesse strategico verso nuove aree di penetrazione, Mediterraneo orientale e Africa sub-sahariana in primis. Sul
piano bilaterale le principali questioni aperte riguardano, in particolare,
l’Egitto, con cui i rapporti energetici si sono bruscamente raffreddati in
seguito al caso Regeni, e l’Iran, con cui l’Italia è interessata a rinsaldare
i tradizionali legami economici dopo la revoca delle sanzioni. Sul piano
europeo e multilaterale, l’azione italiana contro il cambiamento climatico
dovrà trovare riscontro in una più stretta cooperazione con i paesi della
sponda Sud del Mediterraneo e del sub-continente africano, la cui transizione verso un modello energetico sostenibile è un elemento chiave per
la stabilizzazione regionale.
69
5.
la cooperazione allo sviluppo
Luca De Fraia
Dopo diversi tentativi di riforma, il 2014 è stato l’anno della svolta per
la cooperazione allo sviluppo italiana. Nello spazio di pochi mesi è stato
possibile concludere l’iter di approvazione della nuova legge per la cooperazione; l’iniziativa l’ha presa il Governo, attingendo ai risultati raggiunti
nelle discussioni parlamentari delle precedenti legislature, oltre che agli
esiti di un processo preparatorio che ha coinvolto le amministrazioni e le
parti sociali. Il percorso di rilancio della politica di cooperazione dell’Italia ha quindi preso corpo nei successivi dodici mesi, con l’attuazione della
nuova normativa, ma anche con un investimento da parte della leadership
politica, in particolare del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che in
più occasioni ha rivendicato un ruolo dell’Italia1 in tema di cooperazione
e nell’ambito dell’Agenda 20302 per lo sviluppo sostenibile.
La legge 125 dell’11 agosto 2014 ha introdotto una riforma di sistema.
L’elemento qualificante è la collocazione a pieno titolo della cooperazione
nelle politiche di governo, come mostra anche la scelta della nuova denominazione di “ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”. A dare maggior robustezza a questa modifica della governance
è stata decisa la nomina di un vice ministro3 con delega in materia di
cooperazione, che può partecipare “alle riunioni del Consiglio dei ministri
nelle quali siano trattate materie che, in modo diretto o indiretto, possano
Si veda a questo proposito anche la dichiarazione di Renzi in occasione dell’approvazione del Documento triennale di programmazione. Presidenza del Consiglio dei ministri,
Cooperazione allo sviluppo, 4 settembre 2015, http://www.governo.it/node/2954.
2
United Nations, The Sustainable Development Agenda, http://wp.me/P5Mdaw-H.
3
Mario Giro viene nominato vice ministro nel marzo 2016 anche a seguito della decisione di Lapo Pistelli (luglio 2015) di lasciare l’incarico per guidare l’unità Stakeholder
Relations dell’Eni.
1
71
luca de FRaIa
incidere sulla coerenza e sull’efficacia delle politiche di cooperazione allo
sviluppo”4. Questo passaggio dovrebbe segnare l’avvio di una revisione
del complesso delle relazioni internazionali del paese per rafforzare due
aspetti cruciali dell’agenda dello sviluppo: la coerenza delle politiche e
l’efficacia degli interventi.
Sono state introdotte sostanziali novità anche sul piano del coordinamento. La legge 215 prevede infatti l’adozione di un documento triennale
di programmazione e di indirizzo per le attività di cooperazione, che deve
ricevere l’approvazione del Consiglio dei ministri, già arrivato alla seconda edizione. Un Comitato interministeriale ha il compito di assicurare la
programmazione e il coordinamento delle attività, garantendo quindi la
coerenza delle politiche, e di proporre le allocazioni di bilancio per ciascun Ministero che realizzi attività di cooperazione, che devono essere
riportate in un allegato al bilancio del Ministero degli Affari esteri e della
cooperazione internazionale.
Nel quadro della nuova normativa è stata costituita l’Agenzia italiana
per la cooperazione allo sviluppo, che ha avviato le attività nel gennaio
2016. La missione dell’Agenzia, che è sottoposta al potere di indirizzo del
ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, è l’attuazione delle politiche di cooperazione. Il direttore dell’Agenzia è scelto dal
presidente del Consiglio, su proposta del ministro5. È previsto inoltre
un riordino della struttura del Ministero al fine di evitare duplicazioni
di competenze; la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo
assume un più marcato profilo di indirizzo strategico, coadiuvando la leadership politica del Ministero.
Una delle novità più significative è l’allargamento della platea dei soggetti del sistema della cooperazione6 oltre il consolidato insieme delle
amministrazioni pubbliche e delle Ong di cooperazione allo sviluppo.
È stato formalmente riconosciuto il ruolo degli attori che fanno parte dell’ampia categoria delle “organizzazioni della società civile ed altri
soggetti senza finalità di lucro”: enti che hanno nella propria missione lo
svolgimento di attività di cooperazione, come, ad esempio, le associazioni
Art. 11, Legge n. 125 dell’11 agosto 2014: Disciplina generale sulla cooperazione
internazionale per lo sviluppo, http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2014-08-11;125.
5
Nel novembre del 2015 viene quindi nominata, dopo un partecipato processo di selezione, Laura Frigenti, che ha lavorato per quasi venti anni in Banca mondiale ricoprendo
ruoli di crescente responsabilità.
6
Si veda in particolare l’art. 23 e tutto il capo VI della legge 125/2014.
4
72
5. la coopeRazIone allo svIluppo
delle comunità di immigrati o le organizzazioni per il commercio equo e
solidale e la finanza etica.
Inoltre, la riforma chiarisce che anche i soggetti con finalità di lucro
possono essere attori della cooperazione se soddisfano alcuni criteri, a
partire dall’adesione “agli standard comunemente adottati sulla responsabilità sociale e alle clausole ambientali”, che quindi si configura come
una caratteristica soggettiva minima. Questi soggetti hanno quindi la possibilità di accedere a strumenti finanziari concessionali, che si aggiunge
a quella che gli è già riconosciuta di beneficiare di prestiti agevolati per
attività che promuovano lo sviluppo dei paesi partner. A questo ampliamento della platea della cooperazione – dalle organizzazioni di società
civile a carattere non profit ai soggetti con finalità di lucro – corrisponde
la composizione del nuovo Consiglio nazionale per la cooperazione allo
sviluppo, che include i principali soggetti pubblici e privati, profit e non
profit.
In questo progetto di rilancio della cooperazione italiana rientra anche
l’autorizzazione concessa alla Cassa depositi e prestiti ad assolvere compiti di istituzione finanziaria, dopo la stipula di un’apposita convenzione
con il Ministero e l’Agenzia. In questo contesto è bene ricordare che le
istituzioni finanziarie non operano secondo termini concessionali; devono applicare termini agevolati suscettibili di produrre opportuni rientri
per alimentare le attività. L’intenzione è quella di utilizzare la leva delle
risorse della Cassa per mobilitare nuove risorse anche del settore privato.
La cooperazione italiana è entrata quindi in una nuova era. L’esigenza
di rinnovamento era insopprimibile alla luce della profonda evoluzione
dello scenario globale anche nel campo della cooperazione, segnato, ad
esempio, dalla cooperazione Sud-Sud animata da Cina, India e Brasile, oltre che da una diversa mappa della povertà globale e dall’uso di nuovi
strumenti finanziari. Di fronte a questi cambiamenti, la cooperazione italiana ha continuato a registrare un livello alquanto basso di investimenti:
solo lo 0,20 per cento circa della ricchezza nazionale è destinato all’assistenza internazionale7, contro l’atteso 0,7 per cento8; dato che include
peraltro una consistente quota di spese sostenute in Italia per affrontare
la crisi dei rifugiati.
La legge di riforma offre spazi per un nuovo posizionamento del no-
Dati preliminari OECD DAC: ODA as per cent of GNI (2015), aprile 2016, http://www2.
compareyourcountry.org/oda?cr=oecd&lg=en.
8
Vedi Appendice: figura 5, Aiuti allo sviluppo (% del Pnl).
7
73
luca de FRaIa
stro paese in un contesto in trasformazione nel quale la comunità internazionale ha adottato, nel settembre 2015, l’agenda per lo sviluppo sostenibile per i prossimi quindici anni. L’Italia avrà inoltre la presidenza
del gruppo del G7 nel 2017. L’obiettivo strategico della riforma, sul quale
il governo ha scelto di scommettere, è di realizzare una cooperazione larga, che includa soggetti profit e nuovi strumenti finanziari. L’auspicio è
che l’attuazione della riforma, oggi alle prime battute, sia all’altezza delle
aspettative.
74
6.
La promozione dell’italiano
Iacopo Viciani
L’insegnamento della lingua italiana non è solo un atto dovuto per valorizzare la nostra cultura, ma può anche avere benefici economici non trascurabili. Se analizziamo il bilancio delle 142 associazioni finanziate dal
Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci)
che in vari paesi del mondo insegnano l’italiano, emerge che un euro di
contributo statale investito in corsi di lingua genera, in media, due euro
di entrate proprie, con punte di tre euro in Africa e fino a cinque euro in
America del sud1. Il governo Renzi, grazie in particolare all’azione del viceministro Mario Giro, ha puntato sul potenziale economico della lingua
italiana e sulla promozione di una maggiore consapevolezza nel paese
della sua importanza come volano per l’occupazione, l’export e la creazione di valore. Secondo Giro, che ha la delega per la promozione della
lingua e della cultura italiana all’estero,
l’Italia è una grande potenza culturale troppo spesso inconsapevole. La nostra lingua e la nostra cultura costituiscono un potente
strumento di attrazione, di dialogo e di diplomazia culturale. Ogni
anno la lingua italiana è al quarto o quinto posto tra le lingue più
studiate al mondo, sebbene sia la diciannovesima per numero di
persone che la parlano2.
Audizione del sottosegretario agli Affari esteri Mario Giro, Commissioni riunite del
Senato, 13 dicembre 2013, http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda28600.htm.
2
Audizione del sottosegretario agli Affari esteri Mario Giro, Commissione Affari esteri della Camera, 23 ottobre 2013, http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/
commissioni/stenografici/pdf/03/audiz2/audizione/2013/10/23/leg.17.stencomm.
data20131023.U1.com03.audiz2.audizione.0005.pdf.
1
75
Iacopo vIcIanI
Nel 2014 è stata organizzata a Firenze la prima edizione degli Stati
generali della lingua italiana nel mondo3. Il lavoro preparatorio ha coinvolto oltre 100 persone che hanno elaborato e portato agli Stati generali
un Libro bianco con una serie di idee per la promozione linguistica. Con
oltre 600 partecipanti e 100 giornalisti accreditati, l’incontro ha contribuito a creare più attenzione nel paese sul valore economico della nostra
lingua. Sono stati presentati, fra l’altro, un primo censimento, paese per
paese, degli studenti d’italiano nel mondo – circa 1,5 milioni – e un “albo
degli ex-alunni d’italiano”4, un registro degli stranieri che hanno studiato
l’italiano nelle varie istituzioni pubbliche italiane nel mondo e che sono
diventati famosi ed influenti. L’obiettivo è di creare un gruppo riconoscibile di italofoni, amici stranieri dell’Italia.
Al termine degli Stati generali le amministrazioni si sono impegnate
a realizzare una quindicina d’interventi entro il prossimo appuntamento
del 2016, fra cui un portale online unificato per l’insegnamento dell’italiano, un osservatorio sulla diffusione dell’italiano nel mondo, il volontariato internazionale linguistico, l’affinamento del censimento sulla diffusione della nostra lingua presentato durante la XV settimana della lingua
italiana (ottobre 2015), e una valutazione indipendente della politica di
promozione linguistica dell’Italia. Ad ottobre 2016 si terrà la seconda edizione degli Stati generali, stavolta dedicata alle sinergia tra diffusione della lingua e economia per alcuni settori, come i marchi, la moda e il design.
La rete della promozione della lingua e cultura italiana all’estero è
estesa: 83 Istituti italiani di cultura (Iic), oltre 135 istituzioni scolastiche
italiane all’estero, 146 enti gestori e 176 lettori di ruolo. È una rete che
arriva a coprire 250 città nel mondo5. Il comparto è ufficialmente incardinato nel settore cultura della Direzione generale del sistema paese (Dgsp)
del Maeci. Tuttavia altri soggetti con un ruolo o interessati alla diffusione
della lingua italiana che sono finanziati dal Ministero degli Affari esteri,
come le associazioni che si rivolgono agli italo discendenti o la Società
Dante Alighieri, dipendono da altre direzioni del Ministero, come la Direzione per italiani all’estero o dalla Segreteria generale. Manca un raccordo normativo chiaro per la promozione della lingua, cultura e scienza tra
Maeci, Gli Stati generali, http://www.esteri.it/mae/tiny/1766.
Maeci, Albo ex-alunni corsi di lingua italiana, 2014, http://www.esteri.it/MAE/
doc/20141022_albo_ex_alunni_def.pdf.
5
Maeci, Relazione sull’attività svolta per la riforma degli istituti italiani di cultura …
(Anno 2014), 28 dicembre 2015, http://www.camera.it/leg17/494?idLegislatura=17&categoria=080&tipologiaDoc=elenco_categoria.
3
4
76
6. La promozione deLL’itaLiano
Maeci, Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) e
Ministero per i Beni, le attività culturali e il turismo (Mibact).
Con la crisi, le risorse pubbliche per la promozione si sono contratte drasticamente. Dal 2007 al 2014 le risorse finanziarie destinate agli
Istituti italiani di cultura sono scese del 29 per cento, quelle alle scuole
paritarie del 51 per cento, i contributi per le cattedre di italiano presso
università e scuole straniere del 47 per cento6. Nel 2015, per effetto della
spending review Cottarelli, sono stati ridotti i contributi alle organizzazioni internazionali scientifiche con sede in Italia di 1,2 milioni di euro,
con tagli in media del 10 per cento, fino al dimezzamento del contributo
all’ufficio regionale dell’Unesco di Venezia. È stata disposta la chiusura di
due istituti (Lussemburgo e Salonicco) e di sei sezioni di istituto (Ankara, Francoforte, Grenoble, Innsbruck, Vancouver e Wolfsburg)7. Gli istituti
italiani di cultura attualmente aperti nel mondo sono 838. Grazie anche
agli Stati generali, si è riusciti ad evitare il taglio del 20 per cento alle dotazioni finanziarie per gli Iic. Negli ultimi anni si è assistito anche alla riduzione degli organici dei funzionari dell’Area della promozione culturale
(Apc). Emerge l’esigenza irrinunciabile di bandire uno specifico concorso
destinato ai funzionari Apc per almeno 19 persone dopo quello del 2011.
Dal 2012 la revisione della spesa9 ha fissato anche un limite massimo di
624 unità per il contingente del personale scolastico all’estero, rispetto
alle 1.024 esistenti, inserendo un meccanismo di riduzione automatica,
poi mitigato.
Nel 2014, a fronte delle summenzionate chiusure di istituti e sezioni
di istituto, non è stato posto mano a un riorientamento geografico della
rete. All’alleggerimento della presenza in Europa dovrebbe invece accompagnarsi l’apertura di nuovi centri in aree prioritarie emergenti, come nel
Golfo o in Africa occidentale. Durante la sua visita in Senegal, il presidente
del Consiglio Matteo Renzi si è tuttavia impegnato a riaprire l’Iic di Dakar.
Maeci, Relazione sull’attività svolta per la riforma degli istituti italiani di cultura …
(Anno 2013), 10 dicembre 2014, http://www.camera.it/leg17/494?idLegislatura=17&categoria=080&tipologiaDoc=elenco_categoria.
7
Decreto ministeriale n. 3906 del 19 giugno 2014.
8
Nel totale non è ricompreso l’Iic di Baghdad attualmente non operativo a causa
di eventi bellici, ma s’include quello di Damasco. Sono comprese 10 sezioni distaccate.
Cfr. Corte dei Conti, Relazione su L’attività degli istituti italiani di cultura all’estero (20112014), 29 dicembre 2015, http://www.corteconti.it/comunicazione/comunicati_stampa/
dettaglio.html?resourceType=/_documenti/comunicati_stampa/elem_0001.html.
9
Art. 14, comma 11(b) del Decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito dalla Legge
n. 135 del 7 agosto 2012, http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/08/14/12A09068/sg.
6
77
Iacopo vIcIanI
A seguito di modifiche normative, ora è possibile accreditare e fare operare un Iic in più paesi e inviare personale Apc anche presso ambasciate,
consolati o rappresentanze permanenti, mentre in passato era necessario
che vi fosse un Iic.
La riduzione delle risorse finanziarie e umane obbliga necessariamente a ripensare l’attuale assetto, migliorando i meccanismi di coordinamento. Vi sono state tuttavia alcune occasioni di verifica e confronto
operativo fra amministrazioni e a livello interministeriale. Inoltre gli attori sociali interessati, come i patronati o il Consiglio generale degli italiani all’estero, hanno avanzato alcune prime proposte articolate per una
riforma del sistema che concentri la promozione di lingua e cultura in
un’agenzia autonoma10.
Il Maeci ha deciso recentemente di centralizzare in un unico ufficio
della Dgsp per la promozione della lingua competenze prima disperse tra
varie direzioni. Dal 2012, con l’abolizione della Commissione nazionale
per la promozione della lingua e cultura all’estero11, mancava una sede di
raccordo istituzionale con gli altri ministeri interessati. La ricostituzione
del Gruppo consultivo per la promozionedella lingua, cultura e scienza
con decreto ministeriale nel 2013 è stata un primo passo per garantire
una programmazione condivisa. Da luglio 2014 Maeci e Mibact hanno
inoltre cominciato a mettere in sinergia competenze e risorse umane.
Il Gruppo consultivo ha approvato a novembre 2015, per la prima volta, linee guida trienniali – per il 2016-2018 – che individuano il Mediterraneo come priorità degli scambi culturali e interuniversitari e la Cina e i
Balcani come aree chiave per la promozione della lingua italiana. Le linee
guida includono inoltre, come obiettivi prioritari, la creazione di sinergie
tra la programmazione degli Iic, le imprese creative e il turismo culturale,
nonché la riforma delle scuole italiane all’estero, con nuove tipologie di
offerta scolastica, fra cui scuole statali con sezioni ad ordinamento misto
o locale, forme di partenariato pubblico-privato, sezioni italiane all’interno di scuole pubbliche o private straniere.
Manifesto “Per la promozione e la diffusione dell’apprendimento della lingua e della
cultura italiana nel mondo”, http://www.fondazionedivittorio.it/it/node/465.
11
Decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012.
10
78
7.
Il conlitto in Ucraina e le sanzioni
contro la russia
Giovanna De Maio e Daniele Fattibene
IntroduzIone
La crisi in Ucraina rappresenta una prova molto impegnativa per la politica estera italiana. Il motivo va ricercato nella difficoltà di conciliare le responsabilità derivanti dalla cornice euro-atlantica con i legami economici
e strategici con la Federazione russa. Ogni considerazione sulle iniziative
e posizioni dell’Italia nei confronti del conflitto in Ucraina non può quindi
prescindere da un quadro più ampio in cui rientra la variegata gamma di
rapporti tra l’Italia e la Russia.
Questo capitolo si divide in tre parti. Nella prima si fornisce una valutazione delle scelte del governo italiano dopo gli avvenimenti di piazza
Maidan del dicembre 2013; nella seconda si dà conto dell’acceso dibattito
interno sul tema delle sanzioni alla Russia; nella terza si delineano i possibili scenari di evoluzione della politica italiana verso la Russia.
una strategia deL doppio binario
Nel biennio 2014-2016 l’Italia ha seguito una strategia del doppio binario
sul conflitto in Ucraina. Da un lato ha condiviso con gli alleati euro-atlantici la condanna della violazione dell’integrità territoriale ucraina e
dell’annessione della Crimea, dall’altro ha adottato un atteggiamento più
pragmatico e dialogante per limitare i danni sul piano interno e non pregiudicare i rapporti con il Cremlino. Nel periodo in esame si sono avvicendati due governi e tre ministri degli Esteri, ma i contatti con Mosca
non sono mai stati interrotti: dalle olimpiadi di Soči (Enrico Letta è stato
l’unico capo di governo dell’area atlantica a partecipare alla cerimonia)
79
giovanna de maio e danieLe Fattibene
agli incontri bilaterali con il presidente russo Vladimir Putin nei diversi
fori internazionali come il G-7, il vertice Asem, e l’Expo di Milano 2015.
Ciononostante, l’Italia non ha intrapreso iniziative autonome che potessero indebolire la compattezza del fronte euro-atlantico sulle sanzioni o sul
rafforzamento del ruolo della Nato in Europa centro-orientale; ha però
spinto fortemente affinché fosse l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), a cui partecipa anche la Russia, ad occuparsi
della mediazione e del monitoraggio del “cessate il fuoco”, contribuendo
in tal modo a evitare una possibile escalation del conflitto. Anche gli sforzi
del “Quartetto di Normandia” e del “Gruppo di contatto trilaterale” per
l’attuazione degli accordi di Minsk del febbraio 2015 sono stati sostenuti
con convinzione dal governo italiano.
Questo approccio cauto e dialogante non è stato accolto favorevolmente da tutti i membri dell’Ue. Alcuni paesi dell’Europa centro-orientale lo
hanno apertamente criticato, opponendosi per questo motivo alla proposta di affidare a una personalità italiana – l’ex ministro degli Esteri Federica Mogherini – la carica di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari
esteri e la politica di sicurezza. Tuttavia, forte anche dell’appoggio della
Francia, della Germania e di altri paesi, l’Italia è alla fine riuscita a coagulare il consenso necessario per la nomina della Mogherini. Quest’ultima
ha peraltro scelto di svolgere le sue prime visite ufficiali come Alto rappresentante prima a Kiev e poi a Mosca, a dimostrazione dell’importanza
attribuita a una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Nel frattempo,
è venuto sviluppandosi in Italia un acceso dibattito che ha avuto ad oggetto sia le ripercussioni delle sanzioni sull’economia nazionale sia la loro
efficacia.
Il dIbattIto sulle sanzIonI
L’Italia ha sin dall’inizio condiviso la politica delle sanzioni contro Mosca, che sono state adottate per la prima volta durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Ue. Tuttavia, nel dicembre 2015, prima in seno al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) e poi
al Consiglio europeo, l’Italia ha insistito affinché il rinnovo dell’impianto
sanzionatorio non fosse automatico, bensì negoziabile ogni sei mesi sulla base dei progressi registrati (o meno) nell’attuazione degli accordi di
Minsk. Questa cautela è fortemente legata allo scetticismo, molto diffuso
in Italia, sull’efficacia politica ed economica delle misure restrittive con-
80
7. Il conFlItto In ucRaIna e le sanzIonI contRo la RussIa
tro il Cremlino. Pressioni sempre più forti sono giunte da diversi comparti
dell’economia nazionale, in particolare dal settore agro-alimentare. Negli ultimi due anni le relazioni economiche con la Russia sono peggiorate
sensibilmente, come testimoniano i dati sull’interscambio commerciale,
crollato del 20 per cento tra il 2014 e il 2015. Le esportazioni di prodotti
alimentari hanno subito i maggiori danni: la Confagricoltura ha stimato in
250 milioni di euro le perdite del settore nel 2015 a causa delle sanzioni
(e relative contro-sanzioni) nei confronti della Russia. La Banca d’Italia
è stata più cauta: nella sua relazione annuale ha affermato che gli effetti
delle sanzioni per l’economia nazionale sono stati limitati. Inoltre i dati
sull’export mostrano solo una faccia della medaglia. È infatti probabile
che molte aziende siano riuscite a re-indirizzare le proprie esportazioni
verso altri paesi. Non a caso, il settore agroalimentare ha registrato un
incremento record delle esportazioni nel 2015. Infine, è evidente che il
crollo dell’interscambio bilaterale è stato determinato in gran parte dalla
grave recessione economica in cui versa la Russia. Con un Pil in caduta
libera (-3,7 per cento nel 2015), un rublo che ha perso più del 70 per
cento del valore in due anni, un’inflazione molto elevata (12 per cento nel
2015) e un bilancio pubblico sotto stress a causa del crollo del prezzo del
petrolio e della crescente difficoltà a ottenere finanziamenti sui mercati
internazionali, la Russia sta attraversando una crisi forse ancora più grave
di quella del 2008-2009. Tutto ciò ha contribuito a erodere la domanda
interna e quindi la richiesta di prodotti importati.
L’Ucraina resta d’altronde un paese rilevante sia per l’interscambio
commerciale (3,4 miliardi di euro nel 2014), sia per la presenza di circa
300 aziende con capitale e/o interessi italiani attive principalmente nel
settore finanziario (Unicredit, Intesa Sanpaolo), energetico (Eni e Saipem), alimentare (Ferrero e Campari), in quello dei materiali da costruzione (Mapei, Zeus Ceramica), tessile e calzature (Inblu) ed in quello della
progettazione, produzione e commercializzazione di impianti e macchinari metallurgici (Danieli). Considerando anche gli investimenti realizzati
tramite controllate estere, l’Italia si colloca tra i primi investitori esteri in
Ucraina, con un capitale di 4,5 miliardi di dollari e una percentuale di circa
il 10 per cento sul totale degli investimenti esteri. Tuttavia, con lo scoppio
della crisi, alcune società italiane come Unicredit e Intesa Sanpaolo stanno
progressivamente abbandonando il mercato ucraino, mentre alcuni contratti sottoscritti da Eni sono stati rivisti o posticipati. Nel corso del biennio in esame vi sono stati numerosi incontri bilaterali e sono stati firmati
molti accordi, tra cui quello relativo al riconoscimento delle patenti ucrai-
81
giovanna de maio e danieLe Fattibene
ne in Italia, che stava molto a cuore agli ucraini (Napoli è la città europea
che ospita la più numerosa comunità ucraina). Proprio in virtù di queste
peculiarità, l’Italia avrebbe forse potuto giocare un ruolo di mediazione
più incisivo; tuttavia questo compito non era affatto semplice anche a causa dello scarso coordinamento a livello europeo.
In linea con la posizione dei suoi partner ed alleati, l’Italia continua a
legare un’eventuale revoca dell’impianto sanzionatorio all’attuazione dei
13 punti degli accordi di Minsk. In assenza di progressi significativi su
questo fronte, il governo italiano avrebbe difficoltà a intensificare l’azione politica per un riavvicinamento con Mosca, rischiando – senza alcuna
contropartita – uno strappo con i partner euro-atlantici. Se invece Kiev e
i separatisti trovassero un’intesa per le elezioni nel Donbass e se il voto si
svolgesse nel rispetto dei parametri Osce, l’Italia potrebbe legittimamente adoperarsi se non per una revoca, quanto meno per un’attenuazione
delle misure restrittive contro il Cremlino. Un ordinato svolgimento delle
elezioni locali sarebbe infatti accolto, nei consessi alleati, come un concreto segnale di impegno da parte russa per la pacificazione e stabilizzazione
dell’Ucraina. Intanto rimane sullo sfondo la questione dello status della
Crimea. Da un lato, il governo italiano, al pari dei partner euro-atlantici,
ha condannato l’annessione della penisola da parte della Russia; dall’altro ha fatto propria la strategia della “ambiguità costruttiva” affermatasi
a livello europeo: vista l’inconciliabilità delle posizioni europea e russa
sullo status della Crimea, si è preferito concentrare gli sforzi sul Donbass,
anche a costo di dare l’impressione che l’annessione della penisola fosse
ormai considerata un fatto compiuto.
aLLa ricerca di un difficiLe equiLibrio
In questa difficile partita, l’Italia è in una posizione molto delicata: da una
parte, è interessata a mantenere l’unità europea e transatlantica e a fare
in modo che la Russia cessi di rappresentare una minaccia per l’architettura di sicurezza europea, dall’altra non vuole chiudere definitivamente
le porte a una futura collaborazione con Mosca. Tra Italia e Russia non ci
sono ferite storiche e nemmeno una sovrapposizione di aree geografiche
d’interesse; c’è, al contrario, una storia d’interdipendenza economica, di
amicizia e di interessi strategici. La situazione sul terreno in Ucraina resta
però molto fluida e ciò impedisce una normalizzazione dei rapporti con il
Cremlino. Sicuramente non vi sarà alcuno strappo con gli alleati europei
82
7. Il conFlItto In ucRaIna e le sanzIonI contRo la RussIa
e atlantici, ma è nell’interesse dell’Italia cercare di verificare la possibilità
di cooperare con Mosca su più fronti, evitando un suo isolamento. L’Italia
punterà verosimilmente sugli interessi comuni in vista di un’eventuale intesa politica di più ampio respiro.
I legami sono molto forti in campo energetico: il 50 per cento delle importazioni di gas dell’Italia provengono dalla Russia e in Europa l’Italia è il
secondo importatore di gas russo dopo la Germania. Le compagnie italiane
che collaborano con la società russa Gazprom sono principalmente Eni e
Saipem. Dopo il ritiro del progetto South Stream di cui Eni possedeva il
20 per cento delle quote, e lo stallo di Turkish Stream, le opportunità di
collaborazione si sono ridotte. Per le stesse ragioni, Saipem, che si occupa
delle infrastrutture per i gasdotti, ha subito perdite considerevoli. Tuttavia le relazioni tra Saipem e Gazprom potrebbero beneficiare della storica
collaborazione per la costruzione di Nord Stream 1, favorendo il possibile
coinvolgimento dell’impresa italiana nella costruzione del gasdotto Nord
Stream 2. Inoltre, grazie al Memorandum d’intesa siglato tra Gazprom, la
compagnia italiana Edison e quella greca Depa si arriverà a riproporre una
versione ridotta del progetto di South Stream, potenzialmente in grado di
portare il gas russo in Italia attraverso la connessione col gasdotto Itgi.
Sul piano politico l’Italia è interessata a un coinvolgimento della Russia nei principali contesti internazionali, in particolare nella lotta contro il
terrorismo internazionale, nella gestione della crisi libica e nell’attuazione dell’accordo sul nucleare iraniano. L’interesse a costituire un fronte il
più possibile ampio che coinvolga anche la Russia è particolarmente evidente nel caso della Libia, che riveste per l’Italia una grande importanza
sia economica che strategica. Un mancato sostegno di Mosca in sede Onu
potrebbe frustrare ogni tentativo di stabilizzazione del paese e impedire,
o quantomeno rendere politicamente molto oneroso, un intervento internazionale.
83
8.
Conlitto e cooperazione
nel Mediterraneo e in Medio oriente
8.1 Il conlitto in Libia
Roberto Aliboni
L’evoLuzione deLLa crisi in Libia
La crisi politica sviluppatasi nel primo semestre del 2014 in Libia, dopo la
vittoria della coalizione delle forze liberal-conservatrici alle elezioni del
25 giugno, si trasformava in luglio in un vero e proprio conflitto armato
fra la coalizione vincitrice e quella delle forze rivoluzionario-islamiste.
Contestualmente il conflitto si traduceva in una spaccatura anche istituzionale fra il parlamento e il governo usciti dalle elezioni e riconosciuti internazionalmente – con sede rispettivamente a Tobruk e Beida – e il parlamento e il governo formati a Tripoli dai rivoluzionari e dagli islamisti1.
Nel settembre, mentre il conflitto armato fra le due coalizioni divampava, l’Onu dava il via a una mediazione internazionale. Durata un intero
anno, l’azione diplomatica dell’Onu ha disarticolato le due coalizioni, dividendole più o meno trasversalmente in una corrente di forze disponibili
all’accordo e una di forze intransigenti. La piattaforma dell’Onu e le correnti ad essa favorevoli non sono riuscite, tuttavia, a prevalere sull’opposizione delle forze di Tobruk, raccolte attorno al generale Khalifa Haftar
– appoggiate dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti –, né sugli islamisti più
intransigenti di Tripoli – sostenuti, seppur più debolmente, dalla Turchia
e dal Qatar. In effetti, alla fine di settembre la piattaforma dell’Onu è stata approvata, ma essa si fonda più sul sostegno e sulla legittimità fornite
dal Consiglio di Sicurezza e dalla comunità internazionale – in particolare
l’Ue e l’Occidente – che su un credibile e solido accordo politico fra le forze locali.
L’insediamento del governo Serraj a Tripoli nell’aprile 2016, malgrado
Roberto Aliboni, “Il nodo del conflitto in Libia”, in AffarInternazionali, 3 giugno 2014,
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2669.
1
87
RoBeRto alIBonI
l’opposizione e le minacce del governo locale, ha messo allo scoperto la
debolezza degli islamisti, le cui milizie non hanno reagito. Tuttavia, il governo Serraj non è riuscito ad ottenere dal Parlamento di Tobruk il voto
di fiducia necessario alla sua legittimazione in base all’Accordo politico libico approvato il 12 dicembre 2015 a Skhirat (la costituzione transitoria).
Questo voto è infatti impedito dal generale Haftar e dagli attori regionali
e internazionali che lo appoggiano: perciò essi (assai meno gli islamisti)
appaiono oggi come la vera causa efficiente della crisi.
Alla difficile evoluzione interna del conflitto libico si è aggiunta dall’inizio del 2015 l’infiltrazione dell’Isis. Quest’ultimo è visto come una grave
minaccia da tutte le forze libiche, con l’eccezione di alcune frange islamiste più radicali. Questa minaccia condivisa non è però sufficiente a indurle a un’azione comune. L’infiltrazione dell’Isis e l’incapacità dei libici di
contrastarla, preoccupa la comunità internazionale, in particolare i paesi
vicini e quelli occidentali, che hanno iniziato un intervento in chiave di
controterrorismo.
iniziative e poLitiche deL governo itaLiano
Fino all’erompere del conflitto civile armato alla metà del 2014, l’Italia
ha sostenuto i governi libici succeduti all’era Gheddafi – prima il governo Zeidane poi quello al-Thiney. In quest’ottica, il 6 marzo 2014 l’Italia
organizzava con successo una conferenza internazionale per stimolare
l’appoggio internazionale alla transizione libica. Al tempo stesso portava
avanti programmi di addestramento militare, a livello bilaterale (accordi
tra Pinotti e al-Thiney del 28 novembre 2013) e multinazionale (la costituzione di una “Forza d’impiego generale” a contrasto delle milizie di
parte varata da Usa, Regno Unito, Francia e Italia).
Allo scoppio del confitto civile a metà del 2014, la prospettiva cambiava completamente. L’Italia è stata fra i primi promotori dell’avvio di
una mediazione internazionale, che è stata poi effettivamente intrapresa
dall’Onu, e ha attivamente partecipato alle varie iniziative diplomatiche,
internazionali e regionali, a sostegno dello sforzo di mediazione.
Nella prima parte del 2015, il governo italiano ha seguito due principali direttrici: il sostegno alla mediazione dell’Onu e la promozione di iniziative per il controllo in mare del traffico clandestino di rifugiati e migranti
e per il contrasto alle reti dei trafficanti.
Quanto alla prima direttrice, la diplomazia italiana premeva in sede
88
8.1 Il conFlItto In lIBIa
Onu affinché il Consiglio di Sicurezza sostenesse la mediazione avviata
dal segretario generale. Il 27 marzo 2015 il Consiglio approvava la risoluzione 2213 con la quale sottolineava l’impossibilità di soluzioni militari
al conflitto, e confermava il suo appoggio al processo politico, prorogando
fino a settembre il mandato negoziale.
Più complessa l’azione per il controllo in mare dell’immigrazione, passata nel frattempo – con la chiusura dell’operazione “Mare Nostrum” (13
ottobre 2014) – in mano all’Ue e all’agenzia Frontex. Apparendo insufficiente e inidonea l’azione dell’Ue, il governo italiano promuoveva una
sessione straordinaria del Consiglio europeo con l’intento di accrescere
il ruolo dell’Ue nella gestione dell’immigrazione nel Mediterraneo e aumentare le risorse europee dedicate a tal fine. Il Consiglio europeo del 23
aprile 2015, oltre a rafforzare le operazioni di monitoraggio e salvataggio
dell’agenzia Frontex (“Triton” e “Poseidon”), poneva le premesse per il
varo dell’operazione Eunavfor Med nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (Pesd). L’operazione, oltre al monitoraggio, puntava a
individuare, fermare e distruggere le imbarcazioni adibite al traffico, non
solo in alto mare, ma anche nelle acque territoriali degli stati interessati
nonché sulle loro coste.
L’operazione veniva lanciata dal Consiglio europeo il 22 giugno 2015
limitatamente alle azioni in alto mare. Al contempo l’Ue e i governi interessati, fra cui quello italiano, iniziavano a lavorare per ottenere un via
libera del Consiglio di Sicurezza anche ad azioni nelle acque territoriale
e sulle coste. Tuttavia, nella risoluzione 2240 sul traffico di esseri umani
in relazione alla Libia che il Consiglio di Sicurezza approverà il 9 ottobre
2015 dette azioni non verranno autorizzate.
Nel frattempo, si consolidava lo schieramento internazionale a sostegno della mediazione Onu, a dispetto dei suoi esiti deludenti. Il 13 dicembre si riuniva a Roma una conferenza presieduta da Usa, Italia e Onu con
la partecipazione di 17 stati e dell’Ue per sostenere l’autoproclamazione
del governo Serraj. Quest’ultimo però non riusciva ad ottenere il necessario voto di fiducia dal parlamento di Tobruk.
Perciò, nell’aprile 2016, la comunità internazionale si è impegnata a
conferire al governo Serraj la legittimità che non riesce ad ottenere dal
Parlamento di Tobruk. L’Italia è nel gruppo di testa degli stati che sostengono questa operazione2.
Roberto Aliboni, “Libia: il governo autocertificato di Al-Sarraj”, in AffarInternazionali,
21 marzo 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3378; Valerio Briani
2
89
RoBeRto alIBonI
La poLitica Libica deL governo itaLiano
Nell’intero periodo qui considerato, in particolare nella fase che da ultimo ha aperto il governo Serraj, l’Italia ha sottolineato costantemente la
sua disponibilità a contribuire ad operazioni di pace e stabilizzazione in
Libia, condizionandola però all’esistenza di un governo legittimo in Libia,
ad una sua richiesta, e alla sussistenza di un quadro di legalità internazionale. Il governo italiano ha anche dichiarato la sua disponibilità ad assumere la guida della missione.
Nel dibattito pubblico italiano non di rado l’accento è caduto sull’intervento militare. I rischi e le pressioni promananti dalla crisi libica – immigrazione e Isis in primis – hanno indotto più volte il governo a dichiararsi “pronto” ad un’azione militare e i media, per parte loro, hanno spesso
presentato piani di contingenza dello Stato Maggiore come decisioni già
prese dal governo. A placare le polemiche è però intervenuto più volte il
presidente del Consiglio, ricordando che l’obiettivo italiano è una soluzione politica della crisi e che l’Italia parteciperà a un eventuale intervento
solo dopo un accordo sostenuto internazionalmente.
Questa disponibilità reiteratamente dichiarata dal governo italiano a
un eventuale intervento in Libia ha anche lo scopo di riaffermare il ruolo internazionale del paese, in particolare nella regione mediterranea. È
anche in questa chiave che vanno letti i toni, talora eccessivamente drammatici, usati dal governo nella comunicazione sulla crisi libica. Per l’Italia
è inoltre vitale che i problemi di sicurezza nel Mediterraneo non siano
trascurati in una fase nella quale altre crisi, in particolare quella ucraina,
sono al centro dell’attenzione degli alleati.
Occorre tenere conto anche dell’ulteriore elemento di complicazione
rappresentato dall’azione dell’Isis. Gli alleati che si sono riuniti a Hannover il 24 aprile 2016 (Usa, Regno Unito, Francia, Germania e Italia) hanno
mostrato di avere priorità diverse: i primi tre e, forse, anche la Germania,
sono concentrati sulla lotta all’Isis e sulla dimensione regionale della crisi; l’Italia è invece interessata soprattutto alla Libia. Partecipa – per ora
molto marginalmente – alle operazioni di contrasto all’Isis, ma si prepara
soprattutto a un impegno per la stabilizzazione della Libia con varie operazioni di sostegno tecnico-militare al governo (protezione del governo
(a cura di), “La crisi libica. Situazione attuale e prospettive di soluzione”, in Approfondimenti dell’Osservatorio di politica internazionale, n. 120 (giugno 2016), http://www.iai.
it/it/node/6447.
90
8.1 Il conFlItto In lIBIa
stesso, dei campi petroliferi, addestramento, ecc.). Gli sforzi dell’Italia
sono perciò complementari all’azione contro l’Isis condotta dai suoi alleati, ma la impegnano soprattutto nel quadro propriamente libico. Questa
situazione contribuisce ad alimentare una certa confusione nell’opinione
pubblica e suscita dibattiti non proprio pertinenti nel paese3.
Un altro aspetto problematico della politica libica dell’Italia sono i rapporti con l’Egitto. L’azione internazionale a sostegno del governo Serraj è
infatti ostacolata in primo luogo dall’Egitto, e l’Italia ha condotto fin qui
una politica di forte appoggio all’Egitto di al-Sisi per motivi essenzialmente di espansione economica. Da ultimo, questo orientamento è diventato
molto più problematico a causa degli sviluppi del caso Regeni. Come altri
attori internazionali, l’Italia conduce una politica libica che mira a una
soluzione della crisi che non è vista con favore o è apertamente osteggiata
da alcuni suoi partner regionali. Se si appoggia l’Egitto, si appoggia Haftar
in Libia e, se in Libia si appoggia Haftar, non si può sostenere Serraj. D’altra parte, le ferme posizioni prese dal governo italiano sul caso Regeni
sono difficilmente compatibili con uno stretto rapporto di collaborazione
politica con l’Egitto4.
Roberto Aliboni, “Libia, i dubbi italiani sull’intervento”, in AffarInternazionali, 7 marzo 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3361.
4
Vedi il capitolo di Azzura Merigolo in questo volume.
3
91
8.2 siria, Iraq e palestina
Andrea Dessì
Contraddistinto da un netto peggioramento dello scenario regionale in
Medio Oriente, il biennio 2014-15 è stato testimone di nuovi sconvolgimenti politico-militari non soltanto in Siria, ma anche nel vicino Iraq, in
Palestina e in Israele. La minaccia dell’Isis (Islamic State in Iraq and alSham, anche noto come Isis o Daesh), che nell’estate 2014 si è impossessato di gran parte delle regioni nord-occidentali dell’Iraq, unendole alle
proprie conquiste siriane in un autoproclamato “Stato islamico”, rimane
fonte di profonda apprensione internazionale nonostante gli sforzi della
coalizione anti-Isis a guida Usa in azione dal giugno 2014. All’intervento
statunitense, al quale prendono parte molti paesi della regione ed europei, tra cui l’Italia, si è sovrapposto, a partire del settembre 2015, un secondo intervento esterno: quello della Russia a sostegno del regime di
Bashar al-Assad.
Durante il periodo in esame, alla luce delle complesse e intrecciate crisi mediorientali, la rinnovata minaccia jihadista e l’aumento dei flussi migratori, l’Italia ha ampliato il suo impegno nella regione. Il governo ha aumentato gli aiuti umanitari, in particolare al popolo siriano, ma anche ai
paesi limitrofi alle zone di conflitto in Siria-Iraq e alla popolazione di Gaza.
È cresciuto, nel contempo, anche il coinvolgimento diplomatico e militare
italiano, con l’aumento del contingente militare in Iraq e la promozione
di diverse iniziative umanitarie in ambito europeo. Dall’Italia è arrivato
anche un importante sostegno logistico all’operazione internazionale di
disarmo dell’arsenale chimico di Assad: è stato infatti utilizzato il porto di
Gioia Tauro per il trasbordo su una unità navale Usa del materiale chimico
destinato ad essere eliminato (3 luglio 2014). L’Italia si è peraltro opposta all’opzione militare propugnata da alcuni paesi occidentali, sostenendo gli sforzi diplomatici degli inviati speciali dell’Onu – Lakhdar Brahimi
93
andRea dessì
prima, Staffan de Mistura poi – e rimarcando la necessità di coinvolgere
anche l’Iran nel dialogo sulla Siria. Escluso dai colloqui diplomatici di Ginevra II ad inizio 2014, dove per la prima volta era presente anche l’Italia,
l’Iran ha invece partecipato all’incontro di Vienna del Gruppo di sostegno
internazionale alla Siria (Issg) nel novembre 2015.
Nel dicembre 2014, l’Italia ha promosso, insieme alla Commissione europea, il primo fondo fiduciario europeo (Madad Trust Fund) per garantire
un miglior coordinamento nell’invio di aiuti umanitari al popolo siriano.
Con un bilancio iniziale di 23 milioni di euro, tre dei quali stanziati dal governo italiano come promotore e membro fondatore, il fondo è diventato
il principale strumento per il coordinamento delle iniziative umanitarie
europee. Dal 2011, secondo dati del Ministero degli Affari esteri e della
cooperazione internazionale (Maeci), l’Italia avrebbe stanziato quasi 79
milioni di euro per far fronte all’emergenza umanitaria in Siria, 20 dei
quali nell’anno 20151. A dimostrazione della gravità della crisi umanitaria nella regione, l’Italia ha annunciato alla conferenza dei donatori per
la Siria del febbraio 2016 un impegno di ulteriori 400 milioni di dollari
per il triennio 2016-182. Il pacchetto comprende 150 milioni in doni, 200
milioni in prestiti agevolati e 50 milioni per la cancellazione del debito di
paesi come la Giordania e il Libano.
L’Italia è stata particolarmente attiva sul fronte delle iniziative internazionali per la protezione del patrimonio culturale, promuovendo la creazione di una nuova task force Onu specializzata negli interventi in zone di
crisi. Avviata in risposta alla distruzione di vaste zone archeologiche da
parte dell’Isis in Iraq e Siria, l’iniziativa italiana per la creazione dei cosiddetti “Caschi blu della cultura”, presentata all’Onu dal primo ministro
Matteo Renzi nel settembre 2015, è stata adottata dal Consiglio esecutivo
dell’Unesco il 17 ottobre ed è diventata operativa agli inizi del 2016 con
sede centrale a Torino3. L’Italia ha predisposto un primo contingente di 60
unità composto da storici dell’arte, studiosi, restauratori e carabinieri per
Maeci, Dalla Cooperazione altri 2 milioni di euro per rifugiati siriani, 11 novembre
2015, http://www.esteri.it/mae/tiny/21615.
2
Rappresentanza permanente presso l’Onu, Siria: Conferenza donatori; Gentiloni, da
Italia 400 milioni US$, 4 febbraio 2016, http://www.rapponuroma.esteri.it/rapp_onu_
roma/tiny/170. Per l’impegno effettivo si veda Supporting Syria & the Region Conference,
Co-host’s statement annex: fundraising, 8 febbraio 2016, https://www.supportingsyria2016.com/news/co-hosts-statemtent-annex-fundraising.
3
Ministero dei Beni culturali, Caschi blu cultura: siglato l’accordo con l’Unesco per la
task force italiana, 16 febbraio 2016, https://shar.es/1J5ZEv.
1
94
8.2 sIRIa, IRaq e palestIna
interventi in zone di crisi, su richiesta dello stato territoriale. Sempre nel
campo della tutela dei beni culturali, l’Italia, in cooperazione con l’Unesco,
ha attuato un progetto pilota per la creazione di una banca dati georeferenziale di siti archeologici e monumenti colpiti o minacciati dall’Isis in
Iraq4. Attraverso l’uso di riprese satellitari e altre metodologie di rilevamento, l’iniziativa mira tra l’altro a migliorare le capacità di prevenzione e
contrasto del traffico illecito di reperti archeologici dalla Siria e dall’Iraq,
che rappresenta un’importante fonte di entrate per l’Isis.
In ambito umanitario è da segnalare anche un’altra importante iniziativa: la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche e
la Tavola valdese hanno intrapreso, in cooperazione con il governo italiano, un progetto pilota per la creazione di corridoi umanitari verso l’Italia5.
Lanciata nel dicembre 2015 come un potenziale modello da estendere
al resto dell’Europa, l’iniziativa prevede l’arrivo in Italia, nell’arco di due
anni, di mille rifugiati provenienti da Libano, Marocco e Etiopia. Le prime
famiglie di rifugiati, un centinaio di persone tra cui molti minori, sono
arrivate a Roma nel febbraio 2016 in attesa di essere integrate in varie
regioni italiane.
Venendo alla crisi irachena e al contributo italiano alla coalizione internazionale anti-Isis, la diplomazia italiana ha predisposto l’aumento del
contingente militare in Iraq a 750 unità6, contributo che dovrebbe crescere ulteriormente nel 2016 con l’invio di altri 450 militari nella città
irachena di Mosul. Nel marzo 2016 è stato infatti siglato un accordo tra il
governo iracheno e la compagnia italiana Trevi di Cesena per la realizzazione di urgenti lavori di consolidamento alla diga di Mosul7. Il contratto del valore di 273 milioni di euro è stato ufficializzato a febbraio, poco
prima della visita a Roma del primo ministro iracheno, Haider al-Abadi.
Il governo italiano si è perciò impegnato all’invio di circa 500 militari per
difendere l’area dei lavori8.
Maeci, Baghdad - Tutela patrimonio Iraq, da Cooperazione progetto database, 15 settembre 2015, http://www.esteri.it/mae/tiny/21265.
5
Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Corridoi umanitari, http://www.fedevangelica.it/index.php/it/corridoi-umanitari.
6
Servizio studi della Camera, Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali - Dossier n° 363/1, 3 novembre 2015, http://www.camera.it/temiap/d/leg17/
D15174a.
7
Gruppo Trevi, Trevi firma il contratto per i lavori di manutenzione della diga di Mosul,
2 marzo 2016, http://www.trevifin.com/bom/downloadfree.asp?lib=Files&ID=4175.
8
Audizione del min. Pinotti, 8 giugno 2016, http://webtv.senato.it/4621?video_evento=2731.
4
95
andRea dessì
L’avanzata lampo dell’Isis in Iraq ha suscitato profonda apprensione
anche in Italia. Su richiesta del governo italiano e di quello francese, il 15
agosto 2014 si è tenuta una riunione di emergenza del Consiglio Affari
esteri dell’Ue9. Renzi si è poi recato in visita ufficiale a Baghdad il 20 agosto 2014. In quello stesso giorno le commissioni Esteri e Difesa, in risposta
a un appello del governo di Baghdad, approvavano l’invio di aiuti militari
al governo iracheno e alle forze di sicurezza curde10. Presentata dal governo come rispondente a un dovere “politico, ma innanzitutto morale”11,
tale decisione si è concretizzata nell’invio di armi leggere e munizioni per
un valore complessivo di circa 1,9 milioni di euro. L’impegno italiano nella lotta all’Isis, che si è venuto sviluppando a partire dall’ottobre 2014,
s’incentra sull’addestramento delle forze di sicurezza locali, e su azioni
aeree di ricognizione e sostegno alla coalizione internazionale. I militari
italiani sono schierati nelle città di Baghdad, Erbil e Kirkuk, dove attuano
diversi programmi di addestramento, e in Kuwait, ove circa 250 militari
italiani sono impegnati con due droni Predator e quattro aerei Tornado in
azioni di ricognizione e con un aereo-cisterna nel rifornimento in volo12. Il
pacchetto di contributi alla coalizione internazionale anti-Isis include 24
blindati Centauro ceduti alla Giordania nel 2015 e impiegati per il pattugliamento dei confini con la Siria. L’Italia, che il 2 febbraio 2016 ha ospitato a Roma l’incontro dello Small Group della coalizione internazionale
anti-Isis13, ha scelto di non prendere parte alle operazioni militari in Siria,
nonostante le ripetute richieste Usa che avrebbe voluto un contributo più
sostanziale alle azioni della coalizione.
Nel periodo in esame non si è registrato alcun passo avanti nella gestione del conflitto israelo-palestinese. L’ennesimo tentativo della diplomazia Usa di rianimare il processo di pace si è spento nel maggio 2014.
Nell’estate è poi scoppiata una nuova devastante guerra nella striscia di
Gaza seguita dall’elezione di un governo di destra nazional-religiosa in
Israele. Capeggiata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, la nuova coAudizione dei min. Mogherini e Pinotti, 20 agosto 2014, http://www.senato.it/
leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda30619.htm.
10
Senato, Iraq: il Governo dovrà dare attuazione agli indirizzi del Consiglio Ue, 20 agosto 2014, http://www.senato.it/comunicato?comunicato=47880.
11
Audizione dei min. Mogherini e Pinotti, 20 agosto 2014, cit.
12
Ministero della Difesa, Operazione “Prima Parthica”, http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Prima_Parthica.
13
Maeci, Vertice anti-Daesh alla Farnesina – “Abbiamo fatto progressi ma la minaccia
persiste”, 2 febbraio 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22067.
9
96
8.2 sIRIa, IRaq e palestIna
alizione governativa israeliana si è mostrata ancora meno propensa a un
negoziato con i palestinesi. Questi ultimi, a loro volta, hanno intensificato
le iniziative in ambito internazionale, ottenendo l’adesione alla Corte penale internazionale (Cpi) il 1° aprile 2015. Dal settembre 2015 è in corso
quella che gli israeliani chiamano l’“onda del terrore”, una serie di violenze e accoltellamenti che ha causato la morte di almeno 30 israeliani e 210
palestinesi.
In risposta alla crisi umanitaria scaturita dal conflitto a Gaza, l’Italia è
intervenuta con un volo d’emergenza di 30 tonnellate di generi di prima
necessità (5 agosto 2014) e poi con un programma di distribuzione di farmaci, tende e attrezzature mediche per il valore di due milioni di euro14.
Da segnalare anche un importante progetto di linea di credito di 15 milioni di euro per la realizzazione di un piano di edilizia sociale a Gaza che
conta di fornire alloggi a circa 20 mila persone. Ufficializzato attraverso
la firma di un protocollo di intesa il 18 novembre 2015, il progetto rientra
nel pacchetto di 18,7 milioni di euro annunciati dal governo italiano alla
conferenza dei donatori per Gaza il 12 ottobre 2014.
Le preoccupazioni italiane per il continuo peggioramento dello scenario politico e di sicurezza in Terra Santa non hanno causato particolari problemi ai rapporti bilaterali con Israele. Il 13 novembre 2014 si è
tenuta a Roma la quinta riunione di dialogo strategico italo-israeliano15,
seguita nel luglio 2015 dalla prima importante visita di Renzi in Israele16,
ricambiata da Netanyahu con una visita in Italia il 27-29 agosto17. A settembre si è riunita a Milano la commissione mista Italia-Israele dove sono
stati siglati 16 nuovi progetti in ambito farmaceutico, sulla sicurezza cibernetica e sulle nuove tecnologie per l’agricoltura. Tra questi vi è anche
la creazione di un laboratorio congiunto sulla sicurezza cibernetica tra le
università di Modena, Reggio Emilia e Tel Aviv18. Il 26 giugno è poi arrivaUnrwa, Intervista a Giampaolo Cantini, 17 febbraio 2015, http://www.unrwaitalia.
org/attualita/news/dettaglio-news/article/intervista-a-giampaolo-cantini-direttore-generale-della-direzione-per-la-cooperazione-allo-sviluppo.
15
Maeci, V riunione di dialogo strategico italo-israeliano alla Farnesina, 13 novembre
2014, http://www.esteri.it/mae/tiny/19644.
16
Israel Ministry of Foreign Affairs, Italian PM Matteo Renzi on official visit to Israel, 22
luglio 2015, http://mfa.gov.il/MFA/PressRoom/2015/Pages/Italian-PM-Renzi-arrivesin-Israel-22-Jul-2015.aspx.
17
Israel Ministry of Foreign Affairs, PM Netanyahu meets Italian PM Matteo Renzi, 29
agosto 2015, http://mfa.gov.il/MFA/PressRoom/2015/Pages/PM-Netanyahu-meets-Italian-PM-Matteo-Renzi-28-Aug-2015.aspx.
18
Maeci, Italia-Israele - A Milano valutati e approvati 16 progetti co-finanziati in ma14
97
andRea dessì
ta in Israele una delegazione di 25 giovani imprenditori di Confindustria,
con un fitto programma di incontri volti a potenziare i legami economici
tra i due paesi. I buoni rapporti bilaterali si evidenziano anche nell’ambito della cooperazione militare, come dimostra la partecipazione italiana
all’esercitazione militare Rising Star tenuta nel porto di Haifa nell’ottobre
201519 e la visita del ministro Pinotti in Israele a fine febbraio 201620. Incontrando l’omologo Moshe Ya’alon, la Pinotti ha riscontrato l’apprezzamento da parte d’Israele per l’arrivo dei primi esemplari di M-346 Master,
aerei da addestramento militare costruiti dall’Alenia Aermacchi (Finmeccanica) e ora in dotazione all’esercito israeliano. Siglato nel 2012, l’accordo prevede il trasferimento di 30 velivoli entro il 2016, per un valore di
circa un miliardo di euro.
L’Italia ha inoltre espresso un netto rifiuto di ogni forma di “boicottaggio” di Israele, per usare le parole di Renzi dinanzi al parlamento israeliano nel luglio 201521. L’intervento del presidente del Consiglio ha riscosso
un forte plauso da parte del governo israeliano, specie per il sostegno alla
sicurezza di Israele, definita da Renzi parte integrante della sicurezza italiana ed europea. In ambito bilaterale sono però da segnalare importanti
punti di disaccordo con il governo di Netanyahu, a partire dall’opposizione israeliana all’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, fortemente sostenuto dall’Italia. Il governo italiano ha inoltre inviato
ripetute note di protesta per la continuazione degli insediamenti israeliani in territorio palestinese.
L’Italia ha anche dovuto affrontare la questione del riconoscimento
della Palestina. La Svezia e i parlamenti di Regno Unito, Spagna, Francia
e Irlanda hanno approvato il riconoscimento. In Italia, invece, sono state approvate nel febbraio 2015 due mozioni parlamentari contrastanti22,
una del Partito democratico, l’altra del Nuovo centrodestra (Ncd), con il
risultato di lasciare nel limbo la posizione diplomatica italiana. Le mozioteria scientifica da realizzare nei due paesi, 8 settembre 2015, http://www.esteri.it/mae/
tiny/21225.
19
Marina militare, Esercitazione ‘Rising Star’, la Marina si addestra al soccorso dei
sommergibili, 27 ottobre 2015, http://www.marina.difesa.it/Notiziario-online/Pagine/20151027_rising_star.aspx.
20
Ministero della Difesa, Italia - Israele. Pinotti: maggiore collaborazione fattore di innovazione, 29 febbraio 2016, http://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/Israele.aspx.
21
Governo, Intervento alla Knesset, 22 luglio 2015, http://www.governo.it/articolo/
intervento-alla-knesset/4070.
22
Camera, Iniziative per il riconoscimento dello Stato di Palestina, 27 febbraio 2015,
http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0383.
98
8.2 sIRIa, IRaq e palestIna
ni infatti, prevedono da una parte il riconoscimento, in prospettiva, della
Palestina, ma dall’altra, come si legge nella mozione del Ncd, la subordinazione di tale riconoscimento alla ripresa del dialogo politico in Terra
Santa e a un accordo di riconciliazione tra le fazioni palestinesi di Hamas
e Fatah.
99
8.3 egitto
Azzurra Meringolo
Tra il 2014 e il 2015, la transizione egiziana è passata attraverso tre importanti tappe della roadmap presentata dai militari dopo il colpo di stato del luglio 2013: l’approvazione, a gennaio, della nuova costituzione; le
elezioni presidenziali di giugno 2014 vinte dall’ex generale Abdel Fattah
Al-Sisi, che ha così consolidato il suo potere; e le elezioni parlamentari di
fine 2015 che hanno ulteriormente rafforzato il sostegno al regime. Anche
se questi sviluppi hanno in una certa misura attenuato l’instabilità che dal
2011 caratterizza lo scenario politico del paese, l’Egitto è tuttora in un
equilibrio precario.
Il varo di leggi repressive e di nuove politiche di controllo dello spazio
pubblico ha suscitato una nuova ondata di proteste che ha coinvolto, nel
2014, soprattutto le università per poi estendersi nel 2015 anche ai movimenti sindacali. Sono anche aumentati notevolmente i casi di sparizioni
forzate e di arresti di massa. Vi è stata inoltre un’escalation di attacchi violenti contro le nuove autorità: se ne sono registrati una media di 30 al mese
nel 2014 e 100 al mese nel 2015. Gli attacchi si sono concentrati soprattutto
nella regione del Sinai, ma hanno poi avuto per teatro anche la regione del
grande Cairo e quella lungo il confine libico. Tra i diversi gruppi jihadisti, si
è distinto per il suo attivismo Ansar Beit al Maqdis che nel novembre 2014
ha pubblicamente giurato fedeltà all’autoproclamatosi stato islamico. Le
cellule islamiste attive considerano illegittimo il nuovo regime, denunciando di essere vittime di una nuova repressione. Il partito della Fratellanza
musulmana è stato infatti nuovamente bandito e molti dei suoi leader sono
stati condannati a morte o a lunghi periodi di detenzione.
Ciononostante, l’Italia ha scommesso sul nuovo regime di Al-Sisi e sul
ruolo stabilizzatore che esso può giocare nella regione, adottando una
realpolitik basata sulla comprensione per le preoccupazioni di sicurez-
101
azzUrra meringoLo
za egiziane: un approccio ben esplicitato dalle parole del presidente del
Consiglio Matteo Renzi ad Al-Sisi nel marzo 2015: “la sfida dell’Egitto è la
nostra sfida”, “la stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità”1.
Nel 2014, oltre alle due visite del ministro degli Esteri Federica Mogherini, e a quelle del ministro dell’Interno Angelino Alfano a settembre
e del ministro della Difesa Roberta Pinotti a novembe, a suggellare la relazione bilaterale tra Roma e il Cairo è stato il viaggio, a inizio agosto, di
Renzi, il primo leader occidentale a recarsi in Egitto per un incontro con il
neoeletto presidente Al-Sisi2. A queste visite si è aggiunta quella di Al-Sisi
in Italia il 24 e 25 novembre, la prima del leader egiziano in Europa.
Nel 2015, oltre alla partecipazione di Renzi alla conferenza di marzo di
Sharm el-Sheik, il ministro Pinotti è tornato il Egitto in occasione dell’inaugurazione dell’ampliamento del Canale di Suez3 e il ministro degli Esteri
Gentiloni si è recato nella capitale egiziana il 7 giugno in occasione di una
riunione trilaterale dei capi della diplomazia di Algeria, Egitto e Italia incentrata sulla crisi in Libia e vi è tornato il 14 luglio, in seguito all’attacco davanti
al consolato italiano al Cairo dell’11 luglio. Dal punto di vista commerciale,
tre sono stati gli eventi più importanti: la missione di febbraio al Cairo, guidata dal viceministro Carlo Calenda; il Business Council italo-egiziano tenutosi a luglio a Milano; la visita a dicembre a Roma del ministro egiziano
per gli Investimenti Ashraf Salman4. Significativa anche la visita a Roma, il
24 luglio, del primo ministro egiziano Ibrahim Mahlab che, oltre a Renzi, ha
incontrato il ministro Pinotti e il presidente della repubblica Sergio Mattarella. In questa occasione sono stati firmati otto accordi riguardanti il settore
energetico, per un valore complessivo di 8 miliardi e 488 milioni di dollari5.
Video dell’intervento alla Conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto, Sharm
el-Sheikh, 13 marzo 2015, http://www.governo.it/node/597.
2
Mogherini è al Cairo dal 18 al 19 luglio e poi dall’11 al 12 ottobre in occasione della
Conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza. Alfano è al Cairo dal 3 al 4 settembre, mentre Pinotti è al Cairo dal 31 ottobre al 1 novembre. La visita al Cairo di Renzi si
svolge il 2 agosto.
3
Renzi partecipa il 13 marzo alla Conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto.
Pinotti partecipa il 6 agosto alla cerimonia per l’ampliamento del Canale di Suez.
4
La missione guidata da Calenda è al Cairo dal 21 a l 24 febbraio, la riunione del Business Council si tiene a Milano il 23 luglio, mentre Salman è a Roma l’11 dicembre. Si veda
Ambasciata d’Italia al Cairo, Missione settoriale di imprese italiane a guida Vice Ministro
dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, 1 marzo 2015, http://www.ambilcairo.esteri.it/
ambasciata_ilcairo/tiny/400; Ispi, Business Council italo-egiziano, http://www.ispionline.
it/it/node/1498.
5
“Italia-Egitto, firmati otto accordi per 8,5 miliardi dollari”, in Il Sole 24 Ore, 24 lu1
102
8.3 egItto
Si è intensificata anche la cooperazione bilaterale per il controllo delle
coste, pur in assenza di un accordo formale. Dal 2014 è stato però soprattutto il dossier libico a tenere occupate le due diplomazie. In particolar modo da quando gli Stati Uniti e la maggioranza delle ambasciate
occidentali si sono allontanate da Tripoli, il crescente ruolo italiano è stato osservato con interesse dal Cairo che ha trovato nel general Khalifa
Haftar il suo interlocutore ideale, sostenendo, almeno logisticamente, la
sua “Operazione Dignità” contro islamisti e “terroristi”. Rifiutando proposte di azioni bilaterali e insistendo su una soluzione inclusiva per il futuro
della Libia, l’Italia ha preferito collaborare con l’Egitto, pur conducendo
una politica indipendente sulla Libia.
Per quanto riguarda la politica interna egiziana, l’approccio del governo Renzi si è differenziato da quello del suo predecessore. Mentre l’ex-ministro degli Esteri Emma Bonino aveva propugnato l’istituzionalizzazione e l’inclusione degli islamisti nelle dinamiche politiche interne, il suo
successore, Paolo Gentiloni, non ha insistito né su tale questione, né sul
rispetto dei diritti umani degli attivisti. Anche se in ambito comunitario
l’Italia ha continuato a monitorare i dossier più sensibili, non ha mai adottato, a differenza dei paesi del nord Europa, posizioni nette a difesa degli
attivisti perseguitati dalle autorità egiziane.
L’Italia ha concentrato la cooperazione bilaterale su cinque tradizionali settori di intervento, in linea con le priorità del Quadro strategico
per il piano nazionale egiziano di sviluppo economico e sociale fino al
2022: agricoltura e sviluppo rurale; sociale; istruzione; sviluppo del settore pubblico e privato; ambiente e patrimonio culturale.
Il governo italiano ha fatto il possibile per dare concretezza economica alla scommessa sul nuovo regime egiziano. Gli investitori, impauriti
dalla mancanza di liquidità, dall’instabilità economica, dagli impedimenti burocratici e da un sistema giudiziario poco trasparente, hanno
fatto fatica a investire nel paese. Nella riunione del Business Council del
25 novembre 2014, il primo ufficiale dal 2012, l’Italia ha cercato di rafforzare le relazioni economiche con l’Egitto attraverso accordi in una
serie di settori: energia, trasporti, sicurezza, agricoltura, costruzioni,
formazione e infrastrutture. Quelli firmati in questa occasione, a latere della visita di Al-Sisi in Italia, hanno coinvolto in primis Fincantieri,
Ansaldo Energia e Sace. L’obiettivo dell’Italia era di ampliare il volume
glio 2015, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-07-24/italia-egitto-firmati-otto-accordi-85-miliardi-dollari--165927.shtml.
103
azzUrra meringoLo
di scambi bilaterali, passando dai 5,1 miliardi di euro a 6 miliardi entro
il 20166.
In tale contesto, l’evento di maggior spicco è stato la conferenza di
Sharm el-Sheikh del marzo 2015. Vi hanno partecipato una trentina di nostre imprese, pronte a investire nei progetti di crescita economica presentati da Al-Sisi. L’Italia ha scommesso in particolare sul turismo, cercando
di replicare nella striscia di costa vicina alla Libia il successo dei resort
a gestione italiana di Sharm el-Sheikh. Nel Sinai, gli investimenti si sono
concentrati sul Canale di Suez, il cui raddoppio – inaugurato nell’agosto
2015 – coinvolgerebbe Fincantieri.
In campo energetico a farla da padrone è Eni, primo gruppo straniero
nel settore. Di particolare importanza è stata la firma, a latere della conferenza di Sharm, di un piano di investimenti di circa 5 miliardi di dollari
per lo sviluppo, in quattro anni, di 200 milioni di barili di petrolio e 37
miliardi di metri cubi di gas7. A suggellare tale piano è stata discusso, a
novembre 2015, il progetto per la creazione di un “super hub” del gas che
vede coinvolti anche Cipro e Israele8. Partendo dal Mediterraneo orientale,
questo progetto potrebbe allargarsi alla sicurezza energetica continentale,
in primis a quella dei Paesi della sponda nord del Mediterraneo. Di grande
importanza è stata, in questo quadro, la scoperta dei nuovi giacimenti nei
dintorni del bacino di Zohr – stimato in 850 miliardi di metri cubi9.
Nel febbraio 2016 un gruppo di imprenditori italiani capitanati dal ministro Federica Guidi si è recato al Cairo. La missione è stata interrotta
alla notizia del ritrovamento del corpo seviziato del giovane ricercatore
italiano Giulio Regeni10. Questo evento – molto più dell’attacco alla sede
del consolato italiano al Cairo – ha creato tensioni bilaterali, in primis per
la scarsa cooperazione con la quale si è dovuto confrontare il team di investigatori italiani arrivati al Cairo per seguire le indagini. Annunciando
“Egitto: 5,1 mld $ interscambio 2014, obiettivo 6 mld entro 2016”, in Il Sole 24 Ore
Radiocor, 26 novembre 2014, http://www.esteri.it/mae/tiny/19734.
7
Eni, Eni firma un accordo quadro per lo sviluppo delle risorse petrolifere dell’Egitto,
14 marzo 2015, https://www.eni.com/it_IT/media/2015/03/eni-firma-un-accordo-quadro-per-lo-sviluppo-delle-risorse-petrolifere-dellegitto.
8
Eni, Il Presidente dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi incontra l’AD di Eni Claudio Descalzi,
26 novembre 2015, https://www.eni.com/it_IT/media/2015/11/il-presidente-dellegitto-abdel-fattah-al-sisi-incontra-lad-di-eni-claudio-descalzi.
9
Eni, Eni: nuovi successi esplorativi in Egitto, 26 febbraio 2016, https://www.eni.com/
it_IT/media/2016/02/eni-nuovi-successi-esplorativi-in-egitto.
10
Maeci, Cordoglio del Ministro Gentiloni per scomparsa del connazionale Giulio Regeni,
3 febbraio 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22077.
6
104
8.3 egItto
di non volersi accontentare di una verità di comodo, la Farnesina – più che
Palazzo Chigi – ha in più occasioni alzato la voce nei confronti dell’Egitto,
denunciando i tentativi di depistaggio, minacciando il ritiro del team di
investigatori e chiedendo maggiore collaborazione. Il discorso pronunciato dal ministro Gentiloni il 5 aprile davanti al Parlamento11 ha mostrato la
prontezza italiana nel passare dalle parole ai fatti.
La scarsa collaborazione egiziana, così come i tentativi di depistaggio
delle indagini, hanno quindi portato, l’8 aprile, al richiamo dell’ambasciatore Maurizio Massari a Roma12. La vicenda, che ha coinvolto direttamente Renzi, ha incrinato i rapporti bilaterali, dando inizio a una crisi le cui
possibili conseguenze riguarderanno non tanto gli affari, quanto piuttosto il controllo delle coste.
Sul caso, l’Italia potrebbe anche fare ricorso agli strumenti previsti
dal diritto internazionale. Qualora la responsabilità per gli atti di tortura inflitti a Regeni fosse attribuita alle autorità egiziane, l’Italia potrebbe
infatti denunciare la violazione della convenzione internazionale contro
la tortura, pretendere la punizione dei responsabili e il risarcimento del
danno13.
Da un punto di visto politico, l’Italia deve sviluppare la sua azione su
un doppio binario. Se da una parte non può chiudere gli occhi di fronte a
violazioni in contrasto con i valori europei, dall’altro è interessata a mantenere il tradizionale rapporto privilegiato con l’Egitto anche in vista di
un suo coinvolgimento nella gestione multilaterale della crisi libica.
Pur investendo sul potenziale ruolo stabilizzatore che l’Egitto può giocare nella regione, l’Italia dovrebbe quindi fare il possibile per frenare la
deriva repressiva in atto, che può alimentare la crescita dell’estremismo,
e incoraggiare l’avvio di un processo politico inclusivo. Anche alla luce
delle esperienze passate, il nostro paese dovrebbe sostenere più attivamente la transizione verso un regime più aperto, condizione essenziale
per assicurare all’Egitto una stabilità nel lungo periodo.
Informativa sul caso Regeni: Senato, http://www.senato.it/3818?seduta_assemblea=716; Camera, http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0602.
12
Maeci, Caso Regeni: richiamo a Roma per consultazioni dell’Ambasciatore Maurizio
Massari, 8 aprile 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22536.
13
Natalino Ronzitti, “Caso Regeni, le vie del diritto per ottenere giustizia”, in AffarInternazionali, 18 febbraio 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3334.
11
105
9.
L’Africa subsahariana
Nicoletta Pirozzi
Tra il 2014 e il 2016, l’Africa subsahariana ha catalizzato l’attenzione internazionale e dei paesi europei in particolare per tre questioni principali:
1) L’epidemia da virus Ebola (ebola virus desease - Evd), iniziata a dicembre 2013 in Guinea, ha causato 11.323 morti su 28.646 casi
diagnosticati secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) del 27 marzo 20161. I paesi più colpiti sono stati Guinea,
Liberia e Sierra Leone, ma l’epidemia ha interessato anche Nigeria,
Mali e Senegal, e alcuni casi si sono registrati anche negli Stati Uniti,
in Gran Bretagna, in Spagna e in Italia.
2) Si sono intensificate le azioni terroristiche di Boko Haram (che in
dialetto Hausa significa “l’educazione occidentale è vietata”), un
gruppo estremista islamico attivo soprattutto nel nord della Nigeria. Già nel maggio del 2014 le Nazioni Unite avevano dichiarato
Boko Haram affiliato ad Al-Qaeda, mentre nel marzo del 2015 il
leader dell’organizzazione, Abubakar Shekau, ha pubblicamente
giurato fedeltà allo Stato Islamico e ha propugnato l’obiettivo di
istituire una provincia dello Stato Islamico in Africa occidentale.
Tra gli episodi più cruenti va ricordato il rapimento di 276 giovani
studentesse in un villaggio dello stato del Borno il 14 aprile 2014.
La guerra tra Boko Haram e il governo nigeriano ha causato 20mila
morti e 2,3 milioni di sfollati in sei anni2.
3) I flussi migratori attraverso il Mediterraneo verso i paesi europei
sono aumentati esponenzialmente tra il 2014 e il 2016: 350mila
Oms, Ebola Situation Reports, http://apps.who.int/ebola/ebola-situation-reports.
Ocha, Nigeria - About the crisis, http://www.unocha.org/nigeria/about-ocha-nigeria/
about-crisis.
1
2
107
nIcoletta pIRozzI
nel 2014 (con 3.279 morti), circa un milione nel 2015 (3.771 morti), già 180mila ad aprile 2016 (di cui 728 tra morti e dispersi)
secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e
l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim)3. I rifugiati provenienti dalla Siria costituiscono attualmente la componente
maggioritaria dei flussi diretti in Europa, circa il 43 per cento del
totale, ma l’Oim ha registrato un aumento significativo di migranti
provenienti dall’Africa subsahariana attraverso la Libia. Per quanto riguarda l’Italia, le principali nazionalità di provenienza sono
Nigeria, Gambia, Somalia, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Senegal,
Mali e Sudan4. Recentemente si sono avute numerose partenze anche dall’Egitto.
L’Italia ha acquisito maggiore consapevolezza della sua esposizione alle
conseguenze di questi fenomeni e della necessità di fronteggiarli con
strumenti adeguati, ma anche del ruolo di primo piano che il continente
africano è destinato a giocare per il futuro del paese, in particolare quello
economico ed energetico. La visita del presidente del Consiglio Matteo
Renzi ai presidenti delle Repubbliche di Mozambico, Congo-Brazzaville
e Angola nel luglio 20145 è stata vista come emblematica di un “ritorno
dell’Italia in Africa”6. In effetti, si è trattato della prima visita di un capo
di governo italiano in Africa subsahariana (se si esclude la missione di
Romano Prodi nel 2006 ad Addis Abeba presso l’Unione africana). Il presidente del Consiglio è tornato in Africa nel luglio del 2015, questa volta
privilegiando la regione del Corno, per assistere alla Terza conferenza internazionale per il finanziamento allo sviluppo ad Addis Abeba, in Etiopia
(l’unico capo di governo europeo assieme allo svedese Stefan Löfvén), e
poi a Nairobi per incontrare le autorità keniote7. Più di recente, nel febUnhcr urges focus on saving lives as 2014 boat people numbers near 350,000, 10 dicembre 2014, http://www.unhcr.org/5486e6b56.html; Iom Counts 3,771 Migrant Fatalities in Mediterranean in 2015, 5 gennaio 2016, https://www.iom.int/node/70462; Unhcr
Refugees/Migrants Emergency Response - Mediterranean, http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php.
4
Oim, Mediterranean Migrant Arrivals in 2016: 194,611; Deaths 1,475, 27 maggio
2016, http://www.iom.int/node/75766.
5
Presidenza del Consiglio, Visita Renzi in Mozambico, Congo-Brazzaville e Angola, 22
luglio 2014, http://www.governo.it/node/1658.
6
“Matteo Renzi in Africa, una visita ‘storica’”, in Atlas, 21 luglio 2014, http://atlasweb.
it/?p=30055.
7
Presidenza del Consiglio, Renzi in Etiopia e Kenya, 15 luglio 2015, http://www.go3
108
9. L’aFrica SUbSahariana
braio del 2016, Renzi ha invece scelto l’Africa occidentale, recandosi in
Nigeria, Ghana e Senegal8.
I tour africani di Renzi hanno suscitato, a più riprese, alcune reazioni
polemiche, alimentando il dibattito sulle priorità italiane in Africa subsahariana. In particolare, il governo è stato accusato di perseguire obiettivi del tutto coincidenti con gli interessi delle grandi aziende. In effetti le
visite sono state sempre accompagnate da delegazioni di imprenditori e
dirigenti di grandi aziende italiane in particolare quelle attive nei settori
dell’energia (Eni), delle infrastrutture (gruppo Trevi), delle costruzioni
(gruppo Salini) e dell’agribusiness. Queste visite hanno però soprattutto
offerto al governo l’occasione per ribadire il ruolo che possono giocare
sviluppo ed investimenti in Africa anche al fine di contrastare immigrazione illegale e terrorismo, e per prendere impegni in materia di cooperazione, come quello annunciato da Renzi di aumentare la quota del Pil riservata all’aiuto pubblico allo sviluppo da 0,16 per cento a 0,25 per cento
entro il 2017 (in coincidenza con la presidenza italiana del G7)9.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha svolto due visite
di Stato in Etiopia e Camerun nel marzo del 2016, lanciando un ulteriore
messaggio di attenzione al continente africano da parte dell’Italia.
Tra il 2014 e il 2016 è stato dato nuovo impulso anche a due iniziative politiche intraprese nel 2013 e che potrebbero avere un impatto sulle
relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa subsahariana nel prossimo futuro.
È stata rilanciata la cosiddetta “iniziativa Italia-Africa”, una serie di progetti ed eventi coordinati dal Ministero degli Affari esteri e finalizzati a
promuovere il coinvolgimento del “sistema Italia” a favore della crescita sostenibile nel continente10. Avviata dall’allora ministro degli Affari
esteri Emma Bonino nel dicembre 2013, l’iniziativa si era limitata ad una
serie di incontri ministeriali su cultura (30 dicembre 2013), agricoltura
(20 febbraio 2014) ed energia (13-14 ottobre 2014). La conferenza ministeriale Italia-Africa tenutasi a Roma nel maggio 2016 ha invece rappresentato un salto di qualità nelle relazioni con i paesi africani, con un
duplice obiettivo: promuovere la candidatura italiana ad un seggio non
permanente nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite per il biennio
verno.it/node/717.
8
Presidenza del Consiglio, Renzi in Africa: visita in Nigeria, Ghana e Senegal, 3 febbraio
2016, http://www.governo.it/node/3986.
9
Joshua Massarenti, “Matteo Renzi: ‘L’Africa? Una priorità’”, in Vita.it, 16 luglio 2015,
http://www.vita.it/it/article/2015/07/16/matteo-renzi-lafrica-una-priorita/135967.
10
Maeci, Iniziativa Italia-Africa, http://www.esteri.it/mae/tiny/1710.
109
nIcoletta pIRozzI
2017-18 e sostenere le proposte italiane per la politica europea di immigrazione contenute nel Migration Compact11.
Inoltre, il 29 agosto 2014 è entrata in vigore la nuova legge sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo (L. 11 agosto 2014 n. 125), che
aggiorna il sistema della cooperazione dopo 27 anni dall’approvazione
della disciplina precedente e prevede, tra le altre cose, una maggiore collaborazione tra settori pubblico e privato e la creazione di un’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo, entrata ufficialmente in funzione
il 1° gennaio del 201612.
Da segnalare, tra le iniziative multilaterali, la conferma dell’impegno
italiano nelle missioni internazionali in Africa subsahariana gestite da
Nazioni Unite e Unione europea (Ue)13. L’attenzione italiana per la questione migratoria e per la regione del Corno d’Africa si è concretizzata nel
cosiddetto “processo di Karthoum”, ovvero l’iniziativa Ue-Corno d’Africa
(con il coinvolgimento di Egitto e Libia) sulle rotte migratorie lanciata nel
corso del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue (luglio-dicembre 2014). L’Italia è anche impegnata nel “processo di Rabat”, un foro
di dialogo regionale tra l’Ue ed i Paesi dell’Africa occidentale, centrale e
mediterranea sui temi migratori avviato nel 2006 e rilanciato con la Dichiarazione di Roma del novembre 201414.
Il biennio 2014-16 è stato dunque caratterizzato da una nuova attenzione dell’Italia verso l’Africa subsahariana sia dal punto di vista politico
che economico. Tuttavia, non sarà facile per l’Italia recuperare un lungo
Presidenza del Consiglio, Immigrazione, la proposta dell’Italia alla UE, 21 aprile
2016, http://www.governo.it/node/4509. Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo
volume.
12
Vedi il capitolo di Luca De Fraia in questo volume.
13
2-3 unità in media nella UN Mission in Mali (Minusma) e nella UN Mission in South
Sudan (Unmiss), 10 unità nella EU Training Mission in Mali (Eutm Mali), 4 unità nella EU
Capacity Building Mission in Niger (Eucap Sahel Niger), 5 unità nella EU Capacity Building
Mission in Mali (Eucap Sahel Mali), 106 unità nella EU Training Mission in Somalia (Eutm
Somalia), 4 unità nella EU Capacity Building Mission in the Horn of Africa (Eucap Nestor),
180 unità nella EU Naval Force Atalanta (Eunavfor), 654 unità nella Eunavfor Med-Operation Sophia.
14
L’accordo, che coinvolge tutti gli Stati membri dell’Ue, Norvegia, Svizzera e 28 partner africani, con l’Algeria in veste di osservatore, si articola in quattro pilastri: (1) il nesso
tra migrazione e sviluppo, (2) la cooperazione tra Ue e Africa sulla prevenzione dell’immigrazione illegale, (3) la cooperazione sull’immigrazione legale e (4) la protezione internazionale. Maeci, Immigrati: Gentiloni, più forte cooperazione Ue-Africa - 58 Paesi firmano
“Dichiarazione Roma”, lotta trafficanti e sviluppo, 26 gennaio 2014, http://www.esteri.it/
mae/tiny/19726.
11
110
9. L’aFrica SUbSahariana
periodo di assenza dal continente, con bassi livelli di investimenti e di aiuto allo sviluppo. Si attendono dunque risultati concreti che, in linea con il
nuovo approccio strategico del governo, diano il segno di un rafforzato
contributo dell’Italia alla stabilizzazione e allo sviluppo sostenibile nella
regione.
111
10.
I rapporti con la cina
Giovanni Andornino
L’inedito dinamismo delle relazioni tra Italia e Repubblica popolare cinese (Rpc) nel biennio 2014-2015 ha rappresentato un netto cambio di
passo rispetto al recente passato e può preludere a un’effettiva inversione
di tendenza nel calcolo strategico italiano, che ha a lungo dedicato alla
Cina un’attenzione piuttosto marginale. Tale discontinuità, da tempo attesa da parte cinese, trova conferma nell’irrobustimento della rappresentanza diplomatica italiana, con un nuovo Consolato generale pienamente
operativo nella strategica municipalità di Chongqing e l’ampliamento del
personale dell’Ambasciata di Pechino, che dal 2016 ospita 11 diplomatici e si posiziona seconda soltanto alla sede di Washington. Nell’aprile
2016 l’Italia ha anche aperto nuovi centri per i visti in 11 città cinesi, con
l’obiettivo di mantenere la sostenuta dinamica di crescita del numero di
visti emessi a favore di cittadini cinesi (541mila nel 2015, +38 per cento
sull’anno precedente).
Due visite ufficiali a livello di capo di governo e otto miliardi di euro di
investimenti perfezionati o programmati da parte cinese in Italia costituiscono i risultati più tangibili conseguiti nel 2014, anno in cui si è celebrato
il decennale della firma del partenariato strategico tra i due paesi, uno dei
dieci siglati da Pechino in Europa. È un partenariato che include dossier
ambiziosi, che riflettono la crescente convergenza di interessi tra Cina e
Italia, entrambe impegnate in riforme miranti ad accrescere la competitività delle rispettive imprese sui mercati globali.
Il 2015 ha dato ulteriore impulso al partenariato bilaterale: la sesta
sessione plenaria del Comitato governativo Italia-Cina, presieduta dai
due ministri degli Esteri nel mese di aprile, ha confermato l’impegno a
dare sollecita attuazione al Piano d’azione triennale per il rafforzamento della cooperazione economica tra Italia e Cina (2014-16), incentrato
113
gIovannI andoRnIno
sull’obiettivo condiviso di un graduale riequilibrio dei flussi commerciali
bilaterali e degli investimenti reciproci.
Si tratta di un impegno ambizioso, ma a cui non hanno ancora fatto
riscontro concreti progressi: nonostante nell’ultimo decennio le esportazioni italiane verso la Cina siano cresciute ad una media annua di oltre l’8 per cento, il disavanzo commerciale italiano non accenna a ridursi,
avendo superato i 17 miliardi di euro nel 2015. Anche i primi dati del
Ministero dello sviluppo economico per il 2016 non invitano all’ottimismo. È su questo sfondo che si inserisce l’unica significativa frizione politica tra i due paesi, determinata dall’irrituale scelta da parte di esponenti
del governo di Roma di palesare una netta contrarietà al riconoscimento
alla Rpc dello status di economia di mercato. Il tema, determinante per le
particolari procedure anti-dumping cui le esportazioni cinesi in Europa
possono essere sottoposte, è dal 2003 in cima all’agenda della politica
europea di Pechino e la presa di posizione italiana ha sollevato reazioni
negative da parte del governo cinese.
In attesa che la vertenza si risolva nel 2016, le rimostranze cinesi non
paiono peraltro aver compromesso l’interesse dei due paesi rispetto alle
opportunità di investimento nelle reciproche economie. Da segnalare in
particolare la costituzione nel giugno 2014 del Business Forum Italia-Cina – nuova piattaforma di dialogo tra i rappresentanti delle principali realtà industriali e finanziarie dei due paesi –, e la visita a Roma nell’ottobre
2015 di rappresentanti del China Entrepreneur Club, la maggiore associazione di imprese della Cina. Sono però soprattutto i molteplici investimenti cinesi in Italia in questo biennio a costituire un tangibile segno
di bilanciamento nella relazione economica, in attesa che un mercato più
maturo ed aperto in Cina assorba quote maggiori di prodotti italiani.
Fondi sovrani della Rpc riconducibili alla Banca popolare cinese (PBoC)
e a grandi società di stato cinesi sono entrati nella compagine azionaria
di alcune delle principali imprese italiane con un impegno finanziario superiore ai 13,5 miliardi di euro in meno di due anni (Tabella 1), metà dei
quali legati all’acquisizione di Pirelli da parte di China National Chemical
Corporation (ChemChina) tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016.
L’ingresso dei capitali cinesi non mitiga soltanto lo squilibrio commerciale: attestandosi in molti casi appena al di sopra del 2 per cento della
compagine azionaria – soglia che fa scattare l’obbligo di comunicazione
pubblica da parte delle autorità di vigilanza – gli investimenti cinesi trasmettono un forte segnale di fiducia nel futuro dell’economia italiana, con
ricadute d’immagine a livello globale.
114
10. I RappoRtI con la cIna
Tabella 1 – Principali investimenti di portafoglio cinesi in Italia dal 2014
(valore al momento dell’acquisto)
Data
Investitore
Valore
Quota
investimento (%)
Società
partecipata
Settore
21/03/2014
pBoc
734 mln€
2,07%
enel*
energia
21/03/2014
pBoc
1.280 mln€
2,10%
eni
energia
11/06/2014
shanghai
electric
400 mln€
40%
Ansaldo energia
tecnologia
28/07/2014
pBoc
70 mln€
2,02%
prysmian
tecnologia
29/07/2014
pBoc
177 mln€
2%
Fca
Automotive
29/07/2014
pBoc
310 mln€
2,08%
telecom Italia
telecomunicazioni
31/07/2014
pBoc
477 mln€
2,01%
generali
Assicurazioni
31/07/2014
state grid
corporation
2.101 mln€
35%
cdp reti
(terna, snam)
Infrastrutture
14/10/2014
pBoc
114 mln€
2%
Mediobanca*
Finanza
18/12/2014
pBoc
82 mln€
2,03%
saipem
energia
09/01/2015
pBoc
145 mln€
2,01 %
terna*
Infrastrutture
17/06/2015
pBoc
1.000 mln€
2%
Intesa
sanpaolo*
Finanza
29/06/2015
pBoc
520 mln€
2%
unicredit
Banca*
Finanza
30/06/2015
pBoc
180 mln€
2,01%
Monte dei
paschi siena*
Finanza
20/10/2015
chemchina
**
29,21%
prelios
real estate/
Finanza
20/10/2015
chemchina
**
4,43%
rcs Mediagroup
Media
25/02/2016
chemchina
7.100 mln€
95,95%
pirelli
trasporti
* la Banca popolare cinese ha successivamente portato la propria posizione sotto il 2 per cento.
** Partecipazioni derivanti dall’acquisizione di Pirelli.
La valenza strategica dell’approccio italiano agli investimenti cinesi è evidenziata dalla cessione del 40 per cento di Ansaldo Energia e del 35 per
cento di Cdp Reti (a sua volta primo azionista di Terna e Snam) rispettivamente alle società di Stato cinesi Shanghai Electric e State Grid Corporation of China, per un controvalore complessivo di oltre 2,5 miliardi
di euro. L’Italia ha quindi puntato su investitori cinesi che siano anche
credibili partner industriali. A questo criterio si sono ispirati anche gli accordi preliminari siglati da Cassa Depositi e Prestiti e China Development
115
gIovannI andoRnIno
Bank (3 miliardi di euro per investimenti congiunti in Italia e Cina) e dal
Fondo strategico italiano e China Investment Corporation (500 milioni di
euro per ciascuno dei due istituti da destinarsi a operazioni congiunte di
investimento) in occasione della visita di Li Keqiang in Italia nell’ottobre
2014.
La visita in Italia del premier cinese in occasione del 10° vertice Asem
(Asia-Europe Meeting) di Milano, ha consentito ai due capi di governo di
rivendicare crescenti sinergie sui temi dell’agenda globale, con l’impegno
a dare continuità agli scambi di visite istituzionali di alto livello. Queste
sono diventate più assidue e hanno colto risultati importanti, in particolare nel campo della ricerca e dell’innovazione. In particolare, il sesto
Forum Italia-Cina sull’innovazione del novembre 2015 ha coinvolto oltre
160 realtà italiane, mettendo a fuoco i settori su cui l’Italia ha scelto di
puntare maggiormente nella relazione bilaterale: tecnologie ambientali e
sviluppo sostenibile, agricoltura e sicurezza alimentare, urbanizzazione
sostenibile, sanità, aviazione-aerospazio.
Nel dicembre 2015 è stata la volta del Presidente del Senato Pietro
Grasso, impegnato in una visita ufficiale di una settimana, che ha avuto
l’obiettivo di sottolineare, tra gli altri, il forte interesse delle istituzioni
italiane per l’iniziativa “Una cintura, una via” (“One Belt, One Road”), attraverso cui il governo cinese punta a imprimere slancio a grandi progetti
infrastrutturali per rafforzare la connettività tra Asia ed Europa, passando per il delicato quadrante mediterraneo.
Se il Mediterraneo è centrale per la sicurezza e l’economia dell’Italia,
non va trascurato che anche per la Cina esso va assumendo un profilo ben
più rilevante che in passato: oltre il 43 per cento delle importazioni cinesi
di risorse energetiche proviene dalla regione del Mediterraneo allargato e
le esportazioni della Rpc qui dirette sono cresciute del 50 per cento in un
decennio, e rappresentano oggi il 9,6 per cento delle esportazioni totali
cinesi. Inoltre, pur se agli estremi del continente eurasiatico, Cina e Italia
condividono una comune preoccupazione per la minaccia rappresentata
dal fondamentalismo islamico: Pechino teme l’impatto sull’instabile provincia dello Xinjiang, mentre Roma deve fare i conti con la porosità dei
confini meridionali dell’Unione. Una più chiara articolazione dei comuni
interessi di sicurezza e un condiviso impegno per la stabilizzazione dei
paesi Mena gioverebbe anche a una migliore percezione della Cina presso
l’opinione pubblica italiana, che ha tuttora un atteggiamento verso la Cina
tra i più negativi in Europa.
116
11.
Internazionalizzazione e attrazione
degli investimenti esteri
Andrea Renda
Da molti anni ormai, l’internazionalizzazione non è più una scelta, ma
piuttosto un obbligo, per le imprese italiane. Già prima dell’inizio della crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007, molte di esse avevano adottato una strategia tesa alla penetrazione dei mercati esteri per
non incorrere nel rischio, più che palpabile, di finire schiacciate sotto il
peso della perdita di competitività interna accusata dal nostro sistema
Paese, unico tra quelli sviluppati a registrare un calo della produttività
dalla metà degli anni Novanta in poi. La crisi, senza dubbio, ha reso ancor
più ardua la missione: le imprese “migliori”, pur se propense all’internazionalizzazione, hanno visto mutare in modo quasi imprevedibile lo
scenario dei mercati globali, e oggi soffrono anche per il rallentamento
di economie come la Cina e il Brasile, mercati di sbocco fondamentali per
alcuni dei nostri settori produttivi, che hanno perso in parte il dinamismo che ne faceva il traino di parte della domanda mondiale di prodotti
Made in Italy.
Ad oggi, la quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali rimane stazionaria, e il tessuto imprenditoriale italiano fatica a liberarsi di alcuni
fattori che ne impediscono l’integrazione nelle catene globali del valore,
quali la piccolissima dimensione della grande maggioranza delle imprese, la scarsa specializzazione in settori a più alta produttività, dove pure
permangono aree di eccellenza in alcuni settori specifici (high tech,
biotech, robotica), e la scarsa competitività internazionale della forza
lavoro in termini di rapporto salari-produttività (productivity adjusted
salaries).
Il 2015, peraltro, sembra aver segnato una piccola svolta, almeno per
117
andRea Renda
quanto concerne l’internazionalizzazione “in uscita”. La cabina di regia
governativa, corredata dagli organi strumentali come l’Ice, la Cpd, la
Sace e la Simest, ha avviato una azione concertata di una certa efficacia, nonostante l’avvicendamento al Ministero dello Sviluppo economico
tra Carlo Calenda, che aveva la carica di viceministro, e Ivan Scalfarotto,
nominato sottosegretario con delega all’internazionalizzazione. Al rilancio della governance si è aggiunto uno strumento importante quale
il “Piano straordinario per il Made in Italy e la promozione degli investimenti dall’estero”, che prevede una serie di interventi da realizzare
entro il 2017 per il rilancio dei prodotti italiani sui mercati esteri, con il
sostegno della rete diplomatico-consolare. Il piano di interventi appare
particolarmente impegnativo sia per l’ammontare delle risorse disponibili (180 milioni di euro tra il 2015 e il 2017), sia per la portata delle
misure da realizzare. Gli obiettivi sono ambiziosi: incrementare i flussi di esportazioni di beni e servizi di circa 50 miliardi di euro entro il
2017, in particolare nei paesi dove il potenziale è maggiore; trasformare in esportatrici abituali 20mila tra le 70mila imprese potenzialmente
esportatrici; cogliere le opportunità legate alla crescita della domanda
globale e all’incremento della classe media nei mercati emergenti; accrescere la capacità di intercettare investimenti esteri, ottenendo flussi
aggiuntivi in entrata per 20 miliardi di dollari Usa. E dal 2016 il Piano
potrebbe beneficiare anche dei notevoli sforzi messi in atto dal governo per sfruttare le opportunità offerte dal Piano Juncker: ad esempio,
nel marzo scorso è stato siglato un accordo Cosme, sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, che consentirà al Fondo di
Garanzia di sostenere finanziamenti per oltre un miliardo di euro a favore di 20mila piccole e medie imprese (Pmi) nel giro di pochi mesi.
Vi è, poi, da sfruttare il volano dell’Expo, una prospettiva che sembra
potersi almeno in parte materializzare, nonostante i dati a consuntivo
siano quanto meno controversi (ad esempio, la percentuale di visitatori
stranieri sembra essersi fermata al 14,5 per cento, ben al di sotto delle
attese, e il “buco” finanziario sembra aver raggiunto i 32 milioni di euro).
Le iniziative non sono mancate, anche e soprattutto a livello delle regioni, che hanno gradualmente incrementato l’utilizzo dei Fondi comunitari
rispetto a quelli del bilancio regionale (grazie alle risorse della Programmazione Ue 2014-2020). Le Regioni si sono dotate di specifiche leggi e
piani programmatici per il sostegno all’internazionalizzazione e hanno
anche migliorato la propria capacità di accogliere aziende estere sul loro
territorio. Strumento fondamentale, sia per l’internazionalizzazione “in
118
11. internazionaLizzazione e attrazione degLi inveStimenti eSteri
entrata” che “in uscita”, si è rivelato quello delle reti di impresa, che ovviano alla piccolissima dimensione e alle conseguenti limitate risorse delle
Pmi italiane, dando modo a ciascuna impresa partecipante di coniugare
l’autonomia imprenditoriale con la capacità di acquisire una massa critica
di risorse tecniche, umane e di know-how per il raggiungimento di obiettivi strategici. Gli ultimi dati di Unioncamere indicano che al 1° marzo 2015
i contratti di rete erano 1.962, sottoscritti da oltre 10.300 soggetti. Sembrano fornire interessanti opportunità anche nuovi strumenti con finalità
di formazione come i voucher utilizzati per la formazione di temporary
export manager. Da ultimo, nel 2015 ha preso slancio anche il “road show”
per l’internazionalizzazione delle Pmi che si articola in una serie di eventi
sul territorio nazionale con la partecipazione, che è risultata sempre più
ampia delle imprese. Questa iniziativa appare particolarmente promettente perché va nel senso di quella convergenza di intenti tra istituzioni
centrali, regionali e settore privato, che rappresenta l’unica vera possibilità di generare valore per il tessuto produttivo nazionale attraverso iniziative promozionali.
A fronte di questi progressi senza dubbio importanti, rimangono alcune questioni di cruciale importanza sulle quali il governo nazionale
dovrà concentrarsi negli anni a venire. È innanzitutto necessario un aggiornamento delle competenze: ad esempio, secondo i dati della Commissione europea, le Pmi italiane continuano a figurare agli ultimi posti
a livello europeo per utilizzo dell’e-commerce, oggi strumento fondamentale per l’interazione con i mercati esteri. Le statistiche relative alla
padronanza delle lingue straniere (dai Pisa dell’Ocse) sono, se possibile,
ancor più scoraggianti. E per quanto riguarda l’internazionalizzazione
“in entrata”, continuano a frenare l’ingresso di capitali e competenze
straniere le deficienze infrastrutturali (soprattutto in termini di banda
larga, un settore nel quale l’Italia è al palo rispetto ai principali concorrenti), e la scarsa propensione delle nostre banche alla erogazione del
credito, che si è manifestata nel 2015 in tutta a sua gravità, mostrando
lievi segnali di ripresa solo a fine anno. Il governo dovrà dunque affrontare sfide impegnative soprattutto per quanto concerne i fattori strutturali, si direbbe quasi “congeniti”, della nostra economia: l’anemia del
credito bancario, il sottosviluppo delle infrastrutture essenziali, l’obsolescenza delle competenze, lo stallo della produttività, la cesura tra
Nord e Mezzogiorno, l’economia informale, e le zone ad alto tasso di
criminalità organizzata. Agire su questi temi con la stessa determinazione, concertazione e unità di intenti con cui si è intervenuti in tema di
119
andRea Renda
internazionalizzazione appare l’unica strada possibile per una ripresa
solida nel medio periodo. Che il road show dunque, continui, e la strada
segnata nel 2015 si possa davvero trasformare in una rampa di lancio
per il sistema paese.
120
12.
la politica spaziale
Jean-Pierre Darnis e Alessandra Scalia
IntroduzIone
Sin dai primi anni Sessanta la politica spaziale ha avuto una notevole valenza strategica per l’Italia, che, grazie a un bacino di eccellenza industriale, scientifica e tecnologica, è una delle principali “potenze spaziali” d’Europa. L’importanza della politica spaziale per la proiezione internazionale
dell’Italia si deve, in particolare, ad alcuni punti di forza.
In primo luogo, le attività spaziali italiane sono venute sviluppandosi
nell’ambito di partnership fiorite all’interno del cluster industriale di Via
Tiburtina costituito da enti e istituzioni come il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Università di Roma e l’Aeronautica militare. In secondo luogo, i modelli di cooperazione internazionale su cui l’Italia ha fatto leva si
sono dimostrati particolarmente efficaci. I principali partner dell’Agenzia
spaziale italiana (Asi) sono l’Agenzia spaziale europea (Esa) e la Nasa. A
livello istituzionale, l’Italia partecipa alle attività della Stazione spaziale
internazionale (Iss) e ai “programmi bandiera” della Commissione europea (Galileo e Copernicus). A livello industriale, la Space Alliance francoitaliana fra Thales e Finmeccanica ha dato vita alle società Telespazio e
Thales Alenia Space; Avio Spazio è controllata all’85 per cento dal fondo
private equity britannico Cinven e ha preso parte all’iniziativa europea
nel settore dei lanciatori (Arianespace), mentre la Compagnia generale
per lo spazio (Cgs) fa parte del gruppo tedesco Ohb. Infine, la gestione
delle capacità satellitari, sia militari che duali, è affidata a Partenariati
pubblico-privato (Ppp), che garantiscono una notevole flessibilità nei più
svariati contesti operativi.
A livello militare, i programmi Cosmo-Skymed e Sicral contribuiscono
ad assicurare alle Forze Armate capacità rispettivamente di osservazione
della terra e telecomunicazione (Satcom). Si tratta di tecnologie cruciali
121
Jean-pIeRRe daRnIs e alessandRa scalIa
per la conduzione di attività d’intelligence volte a garantire indipendenza
operativa e accesso alle informazioni nel quadro del contributo italiano
alle missioni internazionali. La disponibilità di tali tecnologie rende inoltre possibile la conclusione di accordi internazionali per l’utilizzo scambievole di capacità. Lo sviluppo di Cosmo-Skymed dal 2007 in poi ha fatto
sì che l’Asi ricevesse più di 200 proposte di collaborazione provenienti da
29 paesi diversi.
Riguardo alle capacità Satcom, la collaborazione avviata nel 2010 fra
Italia e Francia per lo sviluppo di Sicral 2 ha dato vita al primo esempio
europeo di cooperazione bilaterale nel campo delle telecomunicazioni. La
cooperazione Satcom franco-italiana si è inoltre consolidata grazie all’iniziativa Athena-Fidus, consistente nel primo sistema duale in banda Ka
dedicato a servizi di tipo istituzionale e governativo.
La riorganizzazione deL settore dei Lanciatori
Negli ultimi due anni, il settore dei lanciatori europei è stato ampiamente
ridisegnato con risvolti rilevanti sia a livello continentale che per l’industria italiana. Fra il 2014 e il 2015, i due gruppi francesi Airbus e Safran
hanno dato vita alla joint venture Airbus Safran Launchers (Asl) al fine di
sviluppare il nuovo vettore europeo Ariane 6. Asl ha inoltre annunciato
di voler acquisire le quote di Arianespace dell’Agenzia spaziale francese
Cnes, concentrando su di sé produzione e commercializzazione dei lanciatori. Dato che Arianespace è in prima linea a livello mondiale nel lancio
di satelliti commerciali geostazionari e opera i lanciatori prodotti da tre
compagnie fra cui la stessa Asl, la Commissione europea ha recentemente
avviato un’indagine approfondita sull’acquisizione Asl di Airbus per verificare se si sia avvantaggiata rispetto ai suoi concorrenti.
L’Italia potrebbe essere penalizzata dall’operazione Asl dato il suo
ruolo nello sviluppo del piccolo lanciatore europeo Vega, che è stato inserito nella futura famiglia di lanciatori europei a seguito della riunione
ministeriale Esa del 2 dicembre 2014. Il biennio 2014-15 sembra peraltro aver confermato il successo di Vega come illustrato dall’accordo tra
Arianespace e Elv – società controllata al 70 per cento da Avio e al 30 per
cento dall’Asi – per la fornitura di dieci vettori; l’accordo assicura all’Italia continuità nello sviluppo motoristico insieme a ritorni pluriannuali. In
sede di Ministeriale Esa si è inoltre auspicato uno sviluppo sinergico del
Vega di seconda generazione con il programma Ariane 6.
122
12. la polItIca spazIale
In questo contesto, presso la sede centrale dell’Esa di Parigi sono stati
firmati il 12 agosto 2015 i contratti con Asl, Cnes ed Elv per l’inizio della
fase operativa che porterà al debutto di Vega C nel 2018 e l’Ariane 6 nel
20201. Per tutta questa nuova famiglia di vettori si utilizzerà lo stesso
motore a propellente solido, il P120C, in fase di realizzazione in Italia con
la tecnologia per le strutture in fibra di carbonio di Avio. In generale, il
panorama conferma l’esistenza di un’evidente sinergia nello sviluppo dei
programmi Vega C ed Ariane 6, come auspicato in sede Esa.
Infine, il settore italiano dei lanciatori ha riscosso alcuni successi anche da un punto di vista operativo, assicurando all’Italia un ruolo di punta
nel panorama internazionale. Nel corso del 2015 Vega è stato protagonista del lancio della sonda interplanetaria Lisa Pathfinder, della missione
sperimentale del dimostratore di rientro atmosferico IXV e della messa
in orbita del satellite di Copernicus Sentinel-2A. Tali iniziative vanno inquadrate nell’ambito delle attività commerciali di Vega come da contratto
Verta (Vega Research and Technology Accompaniment) finalizzato a dimostrare la duttilità del piccolo lanciatore europeo.
svIluppI IstItuzIonalI e cooperazIone InternazIonale
L’autunno 2014 è stato ricco di eventi per l’Esa e l’Asi, a conferma di un
anno particolarmente propizio per il campo dell’esplorazione spaziale.
Oltre all’approdo del lander Philae sulla superficie della cometa 67/P
Churyumov-Gerasimenko, in novembre è stato dato il via alla missione
Futura dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti a bordo della Iss.
Tali attività, che hanno avuto una notevole eco presso l’opinione pubblica, hanno evidenziato l’importanza del contributo dell’Italia nel contesto
della cooperazione internazionale. Il ruolo di punta dell’Italia è stato confermato dalla nomina l’8 marzo 2014 di Simonetta Di Pippo a direttore
dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico delle Nazioni Unite (Unoosa) con sede presso l’International Centre di Vienna.
In Italia, invece, il 2014 è stato segnato da un ricambio nella direzione
L’Ariane 6 sarà sviluppato nelle due versioni a due e quattro motori solidi: la versione A62 sarà in grado di portare fino a 5 tonnellate in orbita di trasferimento geostazionaria mentre la versione A64 lancerà due satelliti, fino a 11 tonnellate di massa complessiva.
Il Vega C sarà invece un lanciatore multi stadio capace di portare fino a 2,5 tonnellate di
carico in orbita bassa 56.
1
123
Jean-pIeRRe daRnIs e alessandRa scalIa
dell’Asi: Enrico Saggese ha rassegnato le dimissioni nel mese di febbraio,
anche a seguito delle inchieste giudiziarie sulla gestione del bilancio Asi.
Al suo posto, in maggio, è stato nominato Roberto Battiston. Il Fondo ordinario erogato dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca
(Miur) per il 2014 è stato inferiore a quello dell’anno precedente (509,4
milioni di euro contro 530 del 2013), ma nella legge di stabilità approvata alla fine dell’anno sono stati stanziati fondi straordinari per il settore
spaziale che hanno permesso di continuare a finanziare Cosmo-Skymed
e di far fronte agli impegni nel settore dei lanciatori assunti in sede Esa.
La difficoltà nel reperimento delle risorse è uno degli aspetti più problematici del sistema “Spazio Italia” che, pur offrendo molte esternalità
positive, risente di una inadeguata pianificazione degli investimenti. Va
tuttavia registrata un’attenzione crescente delle istituzioni al settore dello spazio. In particolare, è stato avviato l’iter legislativo del disegno di legge 110 volto a dotare il settore spaziale e aerospaziale di una “Cabina di
regia spazio” sotto la responsabilità diretta della Presidenza del Consiglio
dei Ministri. È stato al contempo istituito un intergruppo parlamentare
ad hoc sulle politiche spaziali. Anche il Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa presentato nell’aprile 2015 ha identificato nello
spazio un settore d’importanza strategica che richiede specifiche capacità
operative difensive.
Nel corso del 2015 l’Asi ha sottoscritto vari accordi di cooperazione
con Francia, Israele e Stati Uniti. La cooperazione bilaterale con la Francia
è stata rilanciata in tutte le aree chiave del settore spaziale tramite un
Protocollo d’intesa, firmato il 24 febbraio 2015 a Parigi2. Per favorire il
trasferimento delle tecnologie fra industrie italiane e francesi, sono stati
previsti incontri bilaterali presso i distretti industriali esistenti a livello
regionale (ad esempio Aerospace Valley e Pegase in Francia, l’incubatore
italiano per la Tecnologia aerospaziale e dei distretti regionali aerospaziali in Italia).
I più recenti sviluppi nella cooperazione con gli Stati Uniti riguardano
Per quanto riguarda l’osservazione della terra, la cooperazione italo-francese punta
a ottimizzare lo sfruttamento dei dati ricavati dai satelliti di osservazione per spettrali,
(Sar), e ottici con applicazione nel campo del cambiamento climatico, della gestione delle
emergenze e del monitoraggio ambientale. Nel campo delle telecomunicazioni, l’accordo Asi-Cnes prevede la formazione di un gruppo di lavoro sulla banda Ka e Q, a riprova
dell’interesse dei due paesi per lo sviluppo della banda larga. Nel settore dei lanciatori, il
protocollo affronta questioni come la propulsione, lo stadio per il lanciatore riutilizzabile
europeo e la ricerca sui fenomeni di oscillazione della pressione.
2
124
12. la polItIca spazIale
invece l’elaborazione e l’analisi dei dati di osservazione della terra. Il 9
settembre 2015 è stato raggiunto un accordo tra Asi e Nasa che consente
agli Stati Uniti di ricevere i dati di Cosmo-Skymed per specifici progetti di
ricerca definiti in sede bilaterale, mentre l’Asi potrà usufruire dell’Alaska
Satellite Facility (Asf).
Durante il 66° Congresso internazionale di astronautica tenutosi a Gerusalemme, l’Asi ha inoltre formalizzato un Memorandum d’intesa con l’Agenzia spaziale israeliana (Isa), per lo sviluppo della missione congiunta
Shalom (Spaceborne Hyperspectral Applicative Land and Ocean Mission).
La missione, che dovrebbe diventare operativa nel 2021, si concentrerà
soprattutto sullo sviluppo di un satellite di osservazione iperspettrale
che consenta l’identificazione di sostanze chimiche, il monitoraggio della
vegetazione e la localizzazione di materiali contaminanti sulla superficie
terrestre, negli oceani e nell’atmosfera.
In ultimo, all’inizio del 2016 l’Italia ha incrementato in modo consistente il proprio contributo Esa, portandolo a 512 milioni di euro (+55
per cento); si è così confermato il terzo maggior finanziatore dopo Germania (873 milioni) e Francia (845 milioni).
In ambito nazionale, il contributo del Miur destinato all’Asi si è da tempo attestato attorno ai 509 milioni di euro, cui si aggiungono contributi
straordinari per i progetti bandiera (27 milioni di euro all’anno fino al
2018), e per i progetti premiali. Come già nel 2014, con la legge di stabilità 2015 sono stati stanziati fondi fino al 2020 per la partecipazione ai
programmi Esa e per quelli nazionali di rilevanza strategica. Questa soluzione è stata condivisa nelle riunioni della Cabina di regia, che ad un anno
dalla sua istituzione ha al suo attivo varie iniziative, fra cui un gruppo di
lavoro incaricato della definizione di un “Piano strategico - Space Economy” per una politica spaziale sostenibile.
Nel settore dell’aerospazio l’Italia dispone quindi di capacità e strumenti istituzionali che possono consentirle di mantenere un ruolo di punta sia in ambito scientifico e tecnologico sia nel mercato upstream e downstream. L’auspicio è che gli impegni assunti in Europa possano fungere da
catalizzatore per un’azione di sistema più incisiva, che è essenziale per
garantire maggiore continuità ed impegno nel lungo termine in un settore
che da sempre simboleggia le qualità dell’Italia.
125
13.
problemi di diritto internazionale
Natalino Ronzitti
IntroduzIone
I problemi di diritto internazionale emersi nel corso del biennio 20142015 sono numerosi. Taluni di essi sono connessi a eventi trattati in altre
parti di questo volume, come la questione del riconoscimento della Palestina, l’annessione russa della Crimea e il conflitto in Ucraina, il conflitto
siriano e l’emersione e il consolidamento dell’Isis, primo movimento terrorista con marcata componente territoriale. Visti sotto la lente del diritto
internazionale, tali avvenimenti invitano a varie riflessioni, anche sotto
il profilo delle scelte italiane e della coerenza del nostro atteggiamento.
Tanto per fare una veloce enumerazione, l’Italia ha votato a favore della
risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha concesso
alla Palestina la qualifica di osservatore alle Nazioni Unite come Stato non
membro, ma non ha ancora dato corso a nessun seguito, tanto che alla
Camera (27 febbraio 2015) sono state approvate dalla maggioranza due
mozioni, una (Pd) in cui si impegna il governo a sostenere la costituzione di uno stato palestinese ed a riconoscerlo; l’altra (Ap, Ncd) che invita
semplicemente il governo a dare il suo appoggio al negoziato tra Israele e
palestinesi nell’ottica della soluzione “due popoli-due Stati”.
Riguardo alla Russia, l’Italia ha denunciato la violazione del diritto internazionale nei confronti dell’Ucraina (interventi nel Donbass e annessione
della Crimea), ma ha tentato di porre in essere una politica volta ad ammorbidire le sanzioni decretate dall’Unione europea. Ciò al fine di indurre la Russia a ripristinare le importazioni dei prodotti agroalimentari, che
erano state interrotte in seguito alla reazione russa contro le sanzioni Ue.
Peraltro non si è impostato un coraggioso discorso sulla perdurante attualità dei principi contenuti nell’Atto finale di Helsinki (Csce), che sviluppano
e integrano quelli della Carta delle Nazioni Unite, ma si è preferito tentare
127
natalIno RonzIttI
di rilanciare la politica mediterranea dell’Osce. Quanto all’Isis, l’Italia ha
concesso un aiuto logistico ai Peshmerga curdi per combattere le milizie
dell’Isis in Iraq, ma non si è unita alle forze della coalizione, a guida Usa,
che bombardano le milizie insurrezionali in Siria. È stata una scelta politica,
poiché niente avrebbe impedito una nostra partecipazione. Gli Stati Uniti e
gli altri membri della coalizione agiscono in legittima difesa collettiva, consentita dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, senza che sia necessaria
autorizzazione alcuna da parte del Consiglio di Sicurezza (Cds). Dopo gli
attentati terroristici di Parigi rivendicati dall’Isis (13 novembre 2015), l’Italia si è ben guardata dall’appoggiare la richiesta francese per un’attivazione
dell’art. 42, par. 7, del Tue, che consente la legittima difesa in caso di attacco
armato contro uno stato membro. Si è preferita una politica di basso profilo
improntata ad un sostegno bilaterale e non collettivo, come del resto era
stato chiesto dal Consiglio europeo. Tale sostegno bilaterale si è ridotto a
ben poca cosa e non ha comportato nessuna iniziativa incisiva.
Da ricordare che la risoluzione 2178 (2014) del Cds obbliga gli Stati ad
impedire che i loro cittadini o altri residenti nel loro territorio si arruolino nelle milizie dell’Isis (i cosiddetti foreign fighters). Il nostro codice
penale è già attrezzato con una norma ad hoc (270 sexies: rubricato “condotte con finalità di terrorismo”). Ulteriori misure per dare attuazione
alla risoluzione 2178 sono state prese in virtù del decreto legge n. 7 del 18
febbraio 2015, convertito con la legge n. 43 del 17 aprile 2015. Tali misure
legislative non si occupano della pratica dei riscatti connessa alla presa di
ostaggi, che era legata al fenomeno della pirateria (che fortunatamente
è scemato). Ma il problema dei riscatti è ricomparso drammaticamente
con la recrudescenza del fenomeno terroristico. A fronte della prassi Usa
e britannica di non pagare alcun riscatto, quella italiana (e non solo) è
orientata in senso diverso. Il pagamento dei riscatti contribuisce in qualche modo a finanziare il terrorismo internazionale e può concretizzarsi
in un illecito internazionale. Ma non si è ancora riusciti ad adottare una
risoluzione del Cds che proibisca in modo chiaro ed inequivocabile questa
pratica: il Cds si è limitato ad un linguaggio meramente esortativo come
nella risoluzione 2133 (2014)1. L’Italia ha firmato, ma non ancora ratifiSecondo taluni, il divieto del pagamento dei riscatti può essere desunto in via interpretativa da talune risoluzioni del Cds, in particolare per quanto riguarda entità e persone incluse nella lista delle sanzioni contro l’Isis e Al-Qaeda. Vedi Martina Buscemi, “Sugli
obblighi internazionali degli Stati in merito al pagamento di riscatti per la liberazione di
propri cittadini sequestrati da gruppi terroristici associati all’Isis e ad Al-Qaeda”, in Rivista
di diritto internazionale, n. 2/2016, p. 454-492.
1
128
13. probLemi di diritto internazionaLe
cato, il Protocollo del 13 novembre 2015, addizionale alla Convenzione
del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo, che del resto ha
ricevuto la sola ratifica dell’Albania.
La questione dei marò
Nonostante siano trascorsi quattro anni dall’incidente della Enrica Lexie,
la questione dei marò non è ancora risolta. Uno spiraglio era stato aperto
dalla decisione indiana di non applicare la legge sul terrorismo marittimo
(cosiddetto Sua Act) che, ironia della sorte, dà attuazione alla Convenzione di Roma del 1988, e che comporta la pena di morte per l’uccisione dei
membri dell’equipaggio di una nave contro cui venga usata la violenza.
La strategia italiana, che per lungo tempo aveva preferito difendersi nel
processo di fronte alle corti indiane invece che difendersi dal processo
disconoscendo la competenza giurisdizionale indiana, si era impantanata
sulla vicenda della non riconsegna dei marò inviati in Italia in licenza elettorale. Successivamente era ripiegata sul negoziato diretto, condotto dalla
Presidenza del Consiglio, che ha praticamente esautorato il team di giuristi insediato dalla Farnesina, con a capo un avvocato britannico, di indubbio valore, ma che ha destato non poche perplessità (come se mancassero
nel nostro paese internazionalisti di vaglia!). A quanto si è appreso da
notizie trapelate sulla stampa, la strategia negoziale avrebbe comportato
le scuse ufficiali all’India (un’ammissione implicita di colpevolezza?), il
pagamento di un congruo indennizzo alle vittime e la sottoposizione a
processo dei due marò in Italia. Ma anche tale strategia non ha dato i suoi
frutti, provocando, a quanto sembra, l’irritazione delle autorità giudiziarie indiane. In effetti alla strategia mancava un meccanismo che consentisse il raccordo tra l’istanza giurisdizionale e il negoziato diplomatico.
Altre strategie si sono rivelate impercorribili. Il segretario generale delle
Nazioni Unite ha dichiarato a più riprese che la questione era un affare
bilaterale Italia-India e che non intendeva essere coinvolto.
Il 12 settembre 2014 la Corte suprema indiana ha concesso ad uno
dei due marò (Massimiliano Latorre, colpito da ischemia cerebrale), di
recarsi in Italia per curarsi con l’obbligo di ritornare entro il 12 gennaio
2015. Il ministro della Difesa ha dichiarato che Latorre non avrebbe fatto
più ritorno in India. Con la prevedibile irritata reazione delle autorità indiane. Successivamente la permanenza di Latorre in Italia è stata di volta
in volta prorogata dalle autorità indiane, ma il 16 dicembre 2014 la Corte
129
natalIno RonzIttI
suprema non ha concesso una licenza natalizia per l’altro marò, Salvatore
Girone.
Di fronte all’impasse del negoziato diplomatico, il governo italiano ha
deciso di seguire una strategia giudiziaria a livello internazionale, che
per ora si è dimostrata vincente. Tale strategia è stata comunque accompagnata da iniziative diplomatiche volte ad ammorbidire la posizione
indiana, quali il veto italiano all’ingresso dell’India nel regime di controllo delle tecnologie missilistiche (Missile Technology Control Regime,
Mtcr) e nel gruppo dei fornitori nucleari (Nuclear Suppliers Group, Nsg)
e il boicottaggio di un accordo commerciale Ue-India. Iniziative che miravano ad ottenere il sostegno degli Stati Uniti, interessati all’ingresso
dell’India nei due fori per il controllo degli armamenti, e quello degli alleati europei.
La strategia giudiziaria ha comportato il ricorso alla procedura arbitrale prevista dall’Annesso VII alla Convenzione delle Nazioni Unite sul
diritto del mare. Dopo aver notificato all’India l’apertura della procedura
(26 giugno 2015), l’Italia ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo (Itlos) una misura provvisoria consistente nel
rientro di Girone in Italia e nella permanenza di Latorre nel nostro paese, fino a quando non sarà deciso quale dei due paesi avrà competenza
ad esercitare la giurisdizione sull’incidente della Enrica Lexie. Il Tribunale di Amburgo, competente a decidere le misure provvisorie in attesa
della costituzione del Tribunale arbitrale, ha stabilito, con ordinanza del
24 agosto 2015, che la situazione restava congelata nel senso che Italia e
India non avrebbero dovuto intraprendere nessuna misura amministrativa o giudiziaria sui due marò. Il Tribunale arbitrale è stato costituito l’8
settembre 2015. L’Italia si è affrettata a chiedere una nuova misura provvisoria consistente nel rientro di Girone in Italia in attesa della pronuncia sul merito della controversia. Il Tribunale arbitrale, con ordinanza del
29 aprile 2016, ha concesso il rientro di Girone fino alla decisione finale
dell’arbitrato. Sono state prescritte adeguate garanzie a carico dell’Italia,
tra cui il ritiro del passaporto, e Girone resta soggetto, pur essendo in Italia, alla giurisdizione della Corte Suprema indiana. Ciò che comporta, ad
esempio, l’obbligo per l’Italia di fare rapporto alla Corte suprema indiana
ogni tre mesi sulla situazione. In termini abbastanza rapidi la Corte suprema indiana ha adottato un’ordinanza (26 maggio) che ha dato seguito
alla pronuncia del Tribunale arbitrale, consentendo il rientro di Girone
in Italia. Ormai il procedimento dinanzi al Tribunale è calendarizzato e si
dovrebbe concludere entro il 2018, sempre che i due stati non riescano a
130
13. probLemi di diritto internazionaLe
trovare un accordo in via diplomatica. A quel punto il Tribunale dovrebbe
constatare l’estinzione della controversia.
Da ricordare che è stata modificata la legislazione che consentiva l’imbarco di team armati a bordo di navi mercantili italiane in funzione antipirateria. Mentre la legge istitutiva (L.130/2011) consentiva l’imbarco
di team militari messi a disposizione dal Ministero della Difesa e di team
di guardie private solo in caso di indisponibilità dei team militari, con il
decreto missioni di fine 2015 è stato stabilito che i team militari non sarebbero stati più imbarcati e il servizio antipirateria sarebbe stato d’ora
in poi assicurato solo da team privati. L’impatto della vicenda marò sul
diverso orientamento legislativo è trasparente!
iL contenzioso itaLo-tedesco e La sentenza
della corte costItuzIonale 248 del 22 ottobre 2014
Come è stato accennato nel rapporto precedente2, il Tribunale di Firenze
aveva sollevato una questione di costituzionalità relativamente all’esecuzione nel nostro ordinamento della sentenza della Corte internazionale di
giustizia (Cig) nella controversia Germania c. Italia: nel 2012 la Cig aveva
statuito la contrarietà al diritto internazionale delle sentenze dei tribunali italiani, che avevano disconosciuto l’immunità dalla giurisdizione della
Germania per le violazioni delle norme di diritto bellico durante l’occupazione della penisola nel periodo 1943-1945. La Corte costituzionale con
la sentenza in epigrafe rimette tutto in discussione. La Consulta ha infatti
statuito che la regola secondo cui lo stato estero è immune da giurisdizione anche in caso di crimini internazionali non può essere accolta nel
nostro ordinamento, poiché contrasta con i principi fondamentali della
nostra Costituzione (diritti inviolabili dell’uomo e accesso alla giustizia).
Conseguentemente la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3
della Legge 5/2013, che impediva ai tribunali italiani di dichiararsi competenti a conoscere delle cause contro la Germania e nello stesso tempo
ha dichiarato l’incostituzionalità della legge con cui è stato reso esecutivo
nel nostro ordinamento l’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, che obbliga gli stati ad eseguire le sentenze della Cig. La sentenza della Corte
costituzionale non ha attirato molta attenzione, tranne quella degli speEttore Greco (a cura di), Scegliere per contare. Rapporto sulla politica estera italiana,
edizione 2014, Roma, Nuova Cultura, 2014, p. 56-57.
2
131
natalIno RonzIttI
cialisti. Però ha riaperto il contenzioso Italia-Germania, che poteva essere
bloccato qualora il nostro esecutivo, come indicato dalla stessa Cig, avesse avanzato una richiesta di risarcimento in una trattativa diretta con la
Germania. Niente di questo è stato fatto e ci si è limitati a istituire una
commissione di storici, che ha concluso i propri lavori, e ad accettare una
modesta somma, a nessun titolo da valere come risarcimento alle vittime,
ma semplicemente come misura satisfattoria, ad esempio con qualche
espressione simbolica a favore di iniziative da inquadrare nella cosiddetta “politica della memoria”. La ripresa dei processi contro la Germania
comporterebbe per l’Italia una violazione delle prescrizioni della sentenza della Cig. La Germania potrebbe portare l’inadempimento italiano di
fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe la facoltà,
se lo ritenesse opportuno, di adottare una raccomandazione o decidere
misure appropriate. Altra possibilità per la Germania è portare la questione dinanzi al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, poiché la
competenza della Cig è fondata sulla Convenzione europea per la soluzione pacifica delle controversie del 1957. Staremo a vedere se la Germania
vorrà seguire l’una o l’altra opzione, oppure nessuna delle due e limitarsi
a proteste di mera natura diplomatica. Sta di fatto che l’Italia verrebbe a
trovarsi nella poco invidiabile posizione di uno Stato che non rispetta il
diritto internazionale e le sentenze dei tribunali internazionali (ciò che
l’avvocato di parte indiana ha fatto immediatamente notare in occasione della difesa indiana davanti all’Itlos per la questione dei marò). Intanto, per evitare misure esecutive nei confronti di beni appartenenti alla
Germania e che di solito, data la loro natura, vengono considerati come
immuni, l’Italia a scanso di equivoci ha dato esecuzione alla norma della
Convenzione delle Nazioni Unite sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione, aggiungendo, in sede di conversione del decreto legge 132/2014,
un articolo (19 bis) con cui viene disposta la non assoggettabilità ad esecuzione forzata delle somme depositate dalle missioni estere sui conti
correnti bancari e postali, previa comunicazione al Ministero degli Affari
esteri da parte del capo della rappresentanza diplomatica o del posto consolare che essi servono esclusivamente per fini istituzionali. I tribunali
italiani (in particolare il Tribunale di Firenze) hanno tentato di evitare,
con varie argomentazioni, che l’Italia contravvenisse alla sentenza della
Cig, ma nello stesso tempo hanno cercato di affermare il diritto delle vittime al risarcimento, magari proponendo un procedimento conciliativo,
scaturente da un negoziato diretto con la Germania, che ha ovviamente
rifiutato tale procedura. Più di recente, il Tribunale di Firenze (22 febbra-
132
13. probLemi di diritto internazionaLe
io 2016) ha condannato la Germania al risarcimento del danno, in solido
con i responsabili. Non constano peraltro proteste da parte della Germania che, probabilmente resta in vigile attesa non essendo state ancora decretate misure per l’esecuzione della sentenza.
L’accettazione deLLa competenza obbLigatoria
deLLa corte internazionaLe di giustizia
L’Italia è sempre stata presente al massimo livello alla sessione inaugurale
dell’Assemblea generale dell’Onu. Il presidente del Consiglio intervenendo nel dibattito inaugurale della 67ma sessione dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite aveva dichiarato nel 2012 che l’Italia avrebbe formulato la dichiarazione di accettazione obbligatoria della Cig. Tale impegno
era però rimasto lettera morta. Il 31 luglio 2014 la Commissione Affari
esteri della Camera dei Deputati aveva votato una mozione (C 7-00446) in
cui impegnava il governo ad effettuare la dichiarazione, che finalmente è
stata depositata il 25 novembre 2014. Dei cinque membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza solo il Regno Unito ha effettuato la dichiarazione,
mentre gli altri o non l’hanno mai depositata oppure l’hanno revocata.
Attualmente 71 membri delle Nazioni Unite risultano aver effettuato la
dichiarazione. Per quanto riguarda l’Ue, sono 21 gli Stati che hanno depositato la dichiarazione, il cui contenuto è di diverso tenore, mancando, a
quanto sembra, una politica unitaria in materia.
La competenza della Cig ha un fondamento consensuale, la cui rigidità
può essere attenuata da strumenti tipici come la dichiarazione unilaterale di accettazione obbligatoria della sua competenza. Il meccanismo,
per funzionare, deve essere l’effetto convergente di due dichiarazioni
(matching declarations) e consente ad uno stato dichiarante di convenire l’altro dichiarante dinanzi alla Cig, senza bisogno di consenso ad hoc.
Generalmente, le dichiarazioni vengono assoggettate a riserve e condizioni, specialmente per quanto riguarda la loro revoca. Quelle formulate
dai paesi Ue non hanno un contenuto univoco, mancando come si è detto
una politica unitaria in materia, che sarebbe sommamente auspicabile. Il
contenuto della dichiarazione italiana è per molti aspetti simile a quella
del Regno Unito.
La mossa del governo italiano merita un giudizio positivo, poiché il
deferimento delle controversie alla Cig è uno dei mezzi, per eccellenza,
della soluzione pacifica delle controversie internazionali. Si tratta però di
133
natalIno RonzIttI
un impegno di non poco conto, che sollecita l’esecutivo ad attrezzarsi con
strutture adeguate per compiere scelte conformi al diritto internazionale,
il cui rispetto dovrebbe essere uno dei pilastri della nostra politica estera.
Sarebbe inoltre auspicabile, in sede europea, un’iniziativa volta a favorire
l’accettazione della competenza obbligatoria della Corte da parte di tutti i
membri dell’Ue, a cominciare dalla Francia, che l’ha ritirata nel 1974.
i caschi bLu deLLa cuLtura
Si tratta di un’iniziativa italiana portata in sede di Nazioni Unite e soprattutto in sede Unesco (38ma Conferenza generale, 18 novembre 2015). A
tal fine il ministro Gentiloni e la direttrice dell’Unesco hanno firmato un
memorandum d’intesa il 15 febbraio 2016, per consentire alla task force
dei Caschi blu3 di operare sotto l’egida dell’Unesco. Essa è costituita da
60 unità, che includono storici dell’arte, studiosi, restauratori e carabinieri appartenenti al Comando per la tutela del patrimonio culturale. La
task force può operare a richiesta di un membro dell’Unesco che deve far
fronte ad emergenze dovute ad una situazione di crisi o ad un disastro
naturale. La task force può operare durante e dopo l’emergenza.
L’iniziativa è da salutare positivamente, specialmente tenendo conto
degli scempi e delle distruzioni operati dall’Isis a Palmira e in altre località
costituenti patrimonio comune dell’umanità. Nonostante la qualificazione mediatica di “Caschi blu della cultura”, la task force non è inquadrabile
in un’operazione di peace-keeping, tanto che essa resta sotto la direzione
del Ministero dei Beni culturali e del turismo, pur con la partecipazione di
altri ministeri (Esteri, Difesa, Miur), come è precisato nel preambolo del
memorandum d’intesa stipulato con l’Unesco. Occorrerà verificare nella
prassi l’operatività della task force e la sua efficacia.
i confini marittimi dei mari itaLiani
A parte talune questioni ancora aperte in materia di piattaforma continentale (Italia-Malta) e il contenzioso in materia di pesca (Italia-Tunisia, Italia-Libia), l’Italia ha concluso la delimitazione delle acque territoriali con
La denominazione della task force è Italian National Task Force in the framework of
Unesco Global Coalition Unite4Heritage.
3
134
13. probLemi di diritto internazionaLe
gli stati adiacenti e frontisti con l’accordo di Caen del 21 marzo 2015, avente ad oggetto la delimitazione con la Francia (Stretto di Corsica, Bocche di
Bonifacio e Baia di Mentone)4. L’accordo è stato ratificato dalla Francia,
ma non ancora dall’Italia in seguito alle polemiche suscitate nella stampa
riguardo alla linea del confine marittimo nella Baia di Mentone, che impedirebbe ai pescatori della Liguria di operare in zone di pesca che, con l’entrata in vigore dell’accordo, passerebbero sotto sovranità francese. C’è stato anche un sequestro di un peschereccio di bandiera italiana (13 gennaio
2016) poi rilasciato, non essendo l’accordo ancora entrato in vigore. Si è
gridato allo scandalo, in quanto l’Italia avrebbe ceduto parte del territorio.
In realtà si è trattato di una polemica un po’ speciosa, sia perché l’accordo di Caen segue nella baia di Mentone il criterio della linea mediana, sia
perché le acque territoriali dei paesi Ue sono aperte alla pesca intracomunitaria in base al regolamento 1380/2013. Peraltro, ciò avverrà a partire
dal 2023, secondo il pertinente regolamento Ue. Fino al 31 dicembre 2022
lo stato costiero può riservare la pesca nelle sue acque territoriali a favore dei connazionali, tranne che esistano diritti tradizionali di pesca degli
operatori dei paesi adiacenti. Ma tale deroga, interessante i rapporti di vicinato, deve essere esplicitamente stabilita. L’errore del governo italiano è
stato di non negoziare la deroga, che deve essere espressamente indicata
in un annesso, in sede di adozione del regolamento. A quanto sembra, sono
in corso consultazioni con la Francia per far fronte alla dimenticanza italiana, in modo da superare gli ostacoli politici che si frappongono alla presentazione in Parlamento del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica.
La riforma deLLa costituzione
La legge di riforma della Costituzione5, che sarà sottoposta a referendum
ad ottobre 2016 poco si occupa dei rapporti internazionali. È un’occasione mancata. Le modifiche apportate agli articoli che si occupano dei
rapporti internazionali dello Stato sono, tutto sommato, dei ritocchi coVedi Fabio Caffio, “The Maritime Frontier between Italy and France: A Paradigm for
the Delimitation of Mediterranean Matitime Spaces”, in Maritime Safety and Security Law
Journal, n. 2/2016, p. 90-107, http://www.marsafelawjournal.org/?p=332.
5
Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del
Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (GU Serie generale n. 88 del 15
aprile 2016), http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/04/15/16A03075/sg.
4
135
natalIno RonzIttI
smetici e consequenziali alla riduzione della funzione legislativa del Senato a scapito della Camera dei Deputati. Pertanto si è dovuto scrivere
che la sola Camera dei Deputati vota la legge di autorizzazione alla ratifica
dei trattati internazionali, tranne quelli che interessano l’Ue, che restano
di pertinenza dei due rami del Parlamento. Parimenti, la deliberazione
dello stato di guerra e il conferimento al governo dei poteri necessari
diviene competenza della sola Camera dei Deputati, indipendentemente dalla vexata quaestio se la delibera abbia natura legislativa. Non si è
invece approfittato della modifica costituzionale per affrontare una serie
di questioni ricorrenti e fonte di dibattito, quali il valore dei trattati ratificati nell’ordinamento interno, l’ammissibilità e il valore degli accordi in
forma semplificata o il referendum propositivo in materia dei trattati più
significativi prima che la Camera si esprima per la loro ratifica. Inoltre
la riforma poteva essere un’occasione per affrontare, una volta per tutte,
l’annosa questione dell’invio di truppe all’estero in contesti non bellici. In
materia è pendente in Parlamento una proposta di legge che, prevedendo
una risoluzione di indirizzo delle due Camere, dovrà essere modificata,
qualora la modifica della Costituzione passasse il vaglio del referendum
popolare. Si preferisce continuare con iniziative frammentarie. Prova ne
sia l’art. 7 bis della recente legge 198/2015 che consente al Presidente
del Consiglio di emanare disposizioni per l’adozione di misure di “intelligence di contrasto” in cooperazione con le forze speciali della difesa, in
situazione di crisi o di emergenza all’estero che coinvolgano aspetti di
sicurezza nazionale o per la protezione di nostri cittadini all’estero. Alla
disposizione è stato fatto riferimento per l’invio di personale in Libia6.
Marco Ludovico, “Intervento italiano in Libia: forze speciali e 007, ma non più di
100 uomini”, in Il Sole/24 Ore, 5 marzo 2016, http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-05/forze-speciali-e-007-non-piu-100-uomini-081242.shtml.
6
136
sintesi
unIone europea
Anche nel periodo in esame, l’Italia ha dispiegato gran parte della sua
azione diplomatica nell’ambito dell’Unione europea. In campo economico, il governo Renzi ha puntato a una ridefinizione delle priorità e della
strategia complessiva dell’Unione chiedendo una maggiore flessibilità
nelle politiche di bilancio nazionali, una più ampia condivisione dei rischi e un’effettiva azione anticiclica a livello europeo. Nel perseguire questi obiettivi, il governo ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali:
il persistente approccio rigorista della Germania e di altri paesi – gran
parte di quelli non mediterranei – che hanno invece continuato a porre
l’accento sul rispetto delle regole di bilancio e sulla riduzione dei rischi,
mostrando ben poca propensione ad accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l’esplodere di altre emergenze – la crisi migratoria e l’ondata di attacchi terroristici sul suolo europeo – che sono passate in cima
all’agenda europea, relegando in secondo piano i programmi di riforma
economica; lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, in particolare della Commissione. Con quest’ultima il premier Renzi ha avuto
momenti di aspro confronto in merito, in particolare, alle regole di bilancio. Un’escalation di dichiarazioni polemiche all’inizio del 2016 ha creato
forti tensioni con Bruxelles. Successivamente il governo ha assunto un
atteggiamento più costruttivo, avanzando una serie di proposte sulla riforma della governance economica europea in larga parte in sintonia con
gli obiettivi della Commissione e della Banca centrale europea (Bce). Il
governo ha fortemente sostenuto il piano di investimenti strutturali della
Commissione (il cosiddetto “Piano Juncker”), che però ha faticato a decollare, e la politica monetaria espansiva della Bce. D’altra parte l’Italia ha
continuato a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza in ambito
europeo a causa della mancanza di una prospettiva credibile di riduzione
nel breve e medio termine dell’ingente debito pubblico – un parametro
della stabilità macroeconomica su cui le istituzioni europee hanno posto
137
RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
un accento crescente – e della persistente fragilità del sistema bancario
nazionale, che è emersa in piena luce nei primi mesi del 2016. Reagendo
alla tendenza a procrastinare e annacquare la riforma della governance economica, già evidente nel rapporto dei “cinque presidenti” di metà
2015, il governo ha presentato nel febbraio 2016 un ampio documento,
tornando a chiedere una maggiore simmetria nel processo di aggiustamento macroeconomico, il rilancio degli investimenti infrastrutturali e il
completamento dell’Unione bancaria, in particolare l’istituzione del previsto meccanismo per la garanzia comune sui depositi, un progetto che è
stato, di fatto, congelato. Peraltro, l’entrata in vigore delle nuove regole
europee sul bail in per la risoluzione delle crisi bancarie ha messo sotto
pressione il sistema bancario italiano che ha manifestato una preoccupante vulnerabilità, anche per l’assenza di comuni strumenti di sostegno
degli istituti in difficoltà. Il governo si è opposto fermamente ad alcune
proposte tedesche che potrebbero avere riflessi negativi sulla stabilità
macroeconomica del paese, come l’introduzione di norme per limitare i
titoli di Stato posseduti dalle banche e per la ristrutturazione automatica
del debito pubblico. Di fronte all’inasprirsi della crisi di fiducia all’interno dell’Ue e all’incapacità delle istituzione europee a darvi una risposta
adeguata, il governo Renzi ha rilanciato anche l’idea di più ampia riforma
dell’Ue che le ridia legittimità e consenta un approfondimento dell’integrazione fra i paesi dell’eurozona. In quest’ottica il governo sembra
aver accettato l’idea, che si è fatta sempre più strada, che possa esservi
una crescente differenziazione nei livelli di integrazione fra i paesi membri. Nella convinzione che, in un contesto di integrazione differenziata,
sia necessario un nucleo di paesi membri in grado di svolgere un ruolo
propulsivo, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promosso un processo di consultazione e coordinamento politico tra i sei paesi fondatori
dell’Unione. Il tentativo ha incontrato inizialmente dubbi e resistenze negli altri paesi interessati, ma a metà del 2016 sembrava avere concrete
prospettive di sviluppo, anche come riflesso dell’esito del referendum
britannico sulla Brexit.
sIcurezza e dIfesa
L’impegno ad uno sviluppo e adattamento dello strumento militare ha
trovato un significativo riscontro nell’adozione di un “Libro bianco” che
delinea una strategia di medio termine per la politica di sicurezza inter-
138
sIntesI
nazionale e di difesa. Con questo sforzo di correlare obiettivi, strumenti e
risorse in un quadro più organico e coerente, si è cercato di colmare una
vistosa lacuna rispetto agli altri maggiori paesi europei. L’ambizioso piano di riforma propugnato nel Libro bianco continua però a scontrarsi con
una serie di ostacoli legislativi e amministrativi e di resistenze corporative. D’altronde le spese per la “funzione Difesa” continuano a diminuire,
ampliando il divario con gli impegni assunti in sede Nato. In linea con
la strategia generale di politica estera del governo, il Libro bianco indica
esplicitamente la regione euromediterranea come lo scacchiere prioritario di azione per gli interventi dell’Italia. In effetti vi è stato un riorientamento complessivo dell’impegno militare verso il Mediterraneo e il Medio
Oriente, dove le forze armate italiane svolgono oggi un ruolo di spicco,
e talora di guida, nell’ambito delle missioni di stabilizzazione e gestione
delle crisi. L’Italia si è anche assunta impegni militari significativi nel quadro della coalizione anti-Isis in Iraq e dei piani per il rafforzamento del
dispositivo di dissuasione della Nato in risposta alla crisi ucraina. Più direttamente collegato agli interessi nazionali è il contributo di primo piano
fornito in diverse operazioni navali nel Mediterraneo per il soccorso dei
migranti e il contrasto ai trafficanti di esseri umani. Il governo ha anche
evocato, più volte, la possibilità di un intervento terrestre in Libia, qualora
se ne determinassero le condizioni politiche e legali, incluso un mandato
dell’Onu. L’interrogativo è se questa partecipazione così ampia e attiva
alle missioni di sicurezza e il contributo alla difesa collettiva, che è uno
dei tratti distintivi del profilo internazionale dell’Italia, sia sostenibile nel
più lungo termine data la scarsità di risorse e le persistenti difficoltà ad
attuare una riforma incisiva dello strumento militare.
poLitica migratoria
I problemi legati alla politica dell’immigrazione e dell’asilo sono ormai
da qualche anno una nota dolente per la politica italiana, che ha dovuto
gestire praticamente in solitudine il flusso imponente di immigrati provenienti dalla coste libiche, ma ora anche egiziane, e da altri paesi, senza trovare il necessario riscontro della solidarietà europea. Solo recentemente l’Italia ha insistito con forza che la questione venisse gestita a
livello europeo, nel quadro del principio di solidarietà codificato nell’art.
80 del Tfue. Ciò che dovrebbe implicare la redistribuzione dei migranti
approdati sulle coste italiane e l’abbandono del principio per cui respon-
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RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
sabile della sorte dei migranti/asilanti resta lo Stato di primo ingresso.
Terminata l’operazione Mare Nostrum, che ha consentito il salvataggio di
numerose vite umane grazie al contributo della Marina Militare, gli sforzi
per far fronte alle esigenze umanitarie sono proseguiti con la missione
Triton, coordinata da Frontex e di minore entità rispetto alla precedente.
L’insistenza nel configurare la questione dell’immigrazione come un problema europeo e non solo italiano ha avuto un suo primo successo con
l’operazione Eunavfor Med Sophia, che però non è una missione di ricerca
e soccorso, ma di contrasto al traffico illecito di migranti. La questione
delle migrazione di massa non è più una questione settoriale, ma globale, da gestire insieme ai paesi di provenienza dei flussi, anche se accordi
come quello Ue-Turchia sono di dubbia legalità. Il governo italiano si è
fatto portatore di un piano denominato “Migration Compact”, che prevede lo sviluppo economico e politico dei paesi di provenienza per ridurre
o addirittura eliminare i flussi migratori. Un programma ambizioso, che
richiede la messa a disposizione di una quantità considerevole di risorse.
Accolto positivamente dalle istituzione europee, il Migration Compact è
ora nelle mani dei governi. La capacità del governo italiano di convincere
i partner europei sarà messa a dura prova.
poLitica energetica
La politica energetica dell’Italia ha dovuto fare i conti con un quadro in forte evoluzione sia a livello regionale che globale. Data la forte dipendenza
dall’estero, in particolare dal gas russo, la sicurezza degli approvvigionamenti rimane il principale obiettivo strategico. Si è peraltro profilato un
ridimensionamento della relazione speciale con la Russia a seguito della
cancellazione del progetto South Stream e del successivo accordo per l’espansione di Nord Stream. Alla ridotta valenza strategica delle relazioni
con Mosca ha fatto riscontro un riposizionamento dell’Italia nel difficile
confronto in atto nell’Ue sulle politiche energetiche europee, con un riavvicinamento ai paesi dell’Europa centro-orientale. L’abbandono del progetto
South Stream ha anche rafforzato l’interesse italiano a favorire la cooperazione tra Turchia e Ue per il completamento del Corridoio Sud. Al contempo l’Italia appare sempre più intenzionata a sviluppare il suo portafoglio di investimenti nel Mediterraneo e nell’Africa. Questo spostamento del
centro di gravità degli interessi energetici nazionali è dovuto a una serie
di sviluppi dal notevole impatto potenziale, fra cui la scoperta da parte di
140
sIntesI
Eni del mega-giacimento Zohr, che potrebbe portare alla creazione di un
hub del gas nel Mediterraneo orientale. Nell’area mediterranea rimangono
altresì fondamentali, per la sicurezza energetica italiana, la stabilizzazione
della Libia e la tenuta del regime algerino. Un ruolo crescente potrebbe essere svolto dall’Italia anche in Africa subsahariana grazie ai progetti portati avanti da tempo da Eni e a quelli, più recenti, di Enel. Nuove opportunità
dovrebbero scaturire dalla rimozione delle sanzioni contro l’Iran, anche
se i tempi per una ripresa su larga scala della cooperazione con Teheran
potrebbero rivelarsi più lunghi del previsto. Un ruolo più attivo dell’Italia
si è registrato anche nella promozione della cooperazione multilaterale in
campo energetico, sia in sede Ue che a livello globale.
cooperazIone allo svIluppo
Una novità importante si è registrata nella politica di cooperazione allo
sviluppo con l’approvazione di una nuova legge che punta a migliorare la
coerenza degli interventi e a migliorarne l’efficacia attraverso una generale riorganizzazione delle strutture deputate ad attuarli. L’obiettivo fondamentale di questo riassetto è la collocazione a pieno titolo della cooperazione nelle politiche di governo: di qui la nomina di un viceministro con
delega alla cooperazione e la creazione di un’Agenzia per la cooperazione
allo sviluppo sottoposta al potere di indirizzo del Maeci. La riforma prevede anche l’ampliamento della platea di organizzazioni della società civile, il cui ruolo nel settore il governo è interessato a valorizzare. Tuttavia
l’effettivo miglioramento nella gestione e coordinamento degli interventi
andrà concretamente verificato nei prossimi anni (l’Agenzia ha cominciato
ad operare nel gennaio 2016). Inoltre, i fondi destinati alla cooperazione
rimangono molto esigui, ben al di sotto degli impegni assunti a livello internazionale. Anche il progetto del governo di utilizzare risorse della Cassa
depositi e prestiti come leva per mobilitare fondi del settore privato, non è
di facile attuazione data la scarsa propensione generale agli investimenti.
promozione deLL’itaLiano
In un mondo sempre più anglofono, parrebbe strano che ci si preoccupi
di diffondere la lingua italiana, non solo come strumento di conoscenza
letteraria, ma anche per accrescere il potenziale economico del sistema
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RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
paese. Tuttavia strano non è, se si pensa che le risorse investite per la
diffusione della lingua italiana all’estero generano ritorni economici non
trascurabili. Un’iniziativa di rilievo è stata la prima edizione degli Stati
generali della lingua italiana svoltasi a Firenze (2014), destinata a ripetersi a cadenza biennale. Da salutare positivamente è altresì la centralizzazione presso un unico ufficio del Meaci delle competenze riguardanti la
diffusione della lingua italiana nel mondo. Purtroppo tali sviluppi positivi
devono fare i conti con le drastiche riduzioni di bilancio, che ne sminuiscono la portata. Occorre pensare ad una riorganizzazione per aree della
diffusione della nostra lingua e all’adozione di misure che consentano il
mantenimento degli istituti e cattedre esistenti.
conflItto In ucraIna e sanzIonI contro la russIa
L’Italia ha tenuto un atteggiamento ambivalente, non volendo, da un lato,
rompere la solidarietà con gli alleati e intendendo, dall’altro, mantenere
in qualche modo le relazioni con la Russia, nonostante il coinvolgimento
di quest’ultima nella crisi ucraina con il supporto ai ribelli del Donbass
che era stato preceduto dall’annessione della Crimea. Nello stesso tempo
si è cercato di mantenere buoni rapporti con l’Ucraina, dove gli investimenti italiani sono considerevoli. Pur adeguandosi alle misure restrittive
contro la Russia decretate dall’Ue, l’Italia ha proposto, finora con scarso
successo, che la proroga delle sanzioni venisse decisa solo dopo adeguata e approfondita discussione a livello politico, in modo da tener conto
del complesso dei rapporti con la Russia. Nello stesso tempo, allo scopo
di mantenere aperto un dialogo italo-russo, l’Italia ha partecipato, sola
tra i paesi occidentali, all’inaugurazione delle olimpiadi di Sochi con una
visita del presidente del Consiglio, cui ha fatto seguito, nel giugno 2016,
la partecipazione di Renzi, alla guida di una folta delegazione di aziende
italiane, al vertice economico di San Pietroburgo. L’annessione della Crimea è finita nel dimenticatoio, con il beneplacito non solo dell’Italia, ma
di altri governi occidentali. Peraltro, nel documento sulla Strategia Globale preparato dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica
di sicurezza, Federica Mogherini, e approvato dal Consiglio europeo, si
afferma espressamente che non sarà riconosciuta “l’annessione illegale”
della Crimea da parte della Russia (28 giugno 2016). Stesse considerazioni sono state ripetute nel Comunicato finale del vertice Nato di Varsavia
(8-9 luglio 2016).
142
sIntesI
mediterraneo e medio oriente
La regione è seminata da Stati falliti, a cominciare dalla Libia, che ha
messo a dura prova la costruzione di una strategia unitaria degli occidentali e dei paesi vicini, divisi nel sostenere le fazioni in lotta. La Libia
è ovviamente al centro delle preoccupazioni e delle priorità italiane
nello scacchiere mediterraneo. L’Italia ha appoggiato il governo Serraj,
che ha avuto l’imprimatur delle Nazioni Unite, ma è contrastato da importanti oppositori locali, come il governo di Tobruk sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti. L’Italia si è anche dichiarata pronta a
guidare una missione di stabilizzazione della Libia, purché sotto l’egida
delle Nazioni Unite. Non si sa se queste esternazioni corrispondano ad
un “wishful thinking”, oppure una reale volontà di impegnarsi nella gestione di una crisi di difficile soluzione. Sta di fatto che i contingency
planning di tanto in tanto rivelati da fonti giornalistiche, sono stati poi
puntualmente smentiti dalle autorità di governo. Anche perché le condizioni cui il governo italiano subordina un eventuale intervento sono
di difficile realizzazione, postulando una richiesta ad hoc del governo
libico, la cui mancanza di effettività è lapalissiana, ed una risoluzione
autorizzativa del Cds. Ciò non toglie che il governo italiano si sia impegnato con notevoli energie sul piano diplomatico, ad esempio con la
copresidenza insieme agli Usa e all’Onu della conferenza di Roma del
dicembre 2015 cui hanno partecipato 17 Stati e l’Ue. L’appoggio dato
dall’Egitto al governo di Tobruk e al generale Haftar fa sì che Italia ed
Egitto si trovino su fronti contrapposti per quanto riguarda la soluzione della questione libica. Fin dal suo insediamento l’Italia ha sostenuto
il governo di Al-Sisi, chiudendo gli occhi di fronte alla deriva autoritaria
del regime, per dare un marcato impulso alla cooperazione economica,
come dimostrato dalla visita di Renzi in Egitto e da quella di Al-Sisi
in Italia. A seguito del caso Regeni, l’Italia, in particolare attraverso il
ministro degli Esteri, ha intrapreso una decisa denuncia del comportamento delle autorità egiziane, richiamando anche il nostro ambasciatore al Cairo.
Anche in Medio Oriente si sono moltiplicati gli stati falliti e l’instabilità della regione si è fatta endemica. La politica verso l’area mediorientale
per un paese come l’Italia è tutt’altro che semplice e necessariamente
deve essere condotta in ambito multilaterale di concerto con gli alleati.
I margini di autonomia sono necessariamente ristretti. L’Italia partecipa alla coalizione anti-Assad e anti-Isis, senza però schierare uomini sul
143
RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
terreno (come del resto gli alleati) o partecipare alle incursioni aeree (a
differenza di alcuni alleati). Per quanto riguarda l’Iraq, l’impegno italiano è stato ed è più incisivo, tramite l’aumento del contingente italiano e
la promessa di inviare altri uomini a Mosul, la cui diga necessita urgenti
lavori di manutenzione, che sono stati affidati ad un’impresa italiana. Per
quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, l’Italia ha tenuto sostanzialmente una posizione di equidistanza, non procedendo al riconoscimento della Palestina come Stato, come del resto hanno fatto la maggior
parte degli occidentali, tranne la Svezia. In Parlamento sono state adottate al riguardo due mozioni che si contraddicono a vicenda e quindi non
scontentano nessuno. Quanto ai rapporti con Israele, l’Italia ha rifiutato qualsiasi posizione che potesse scalfire la tradizionale amicizia ed ha
anzi rinsaldato i rapporti commerciali. L’unico screzio riguarda le note di
protesta del governo italiano per gli insediamenti israeliani nei territori
occupati e la mancanza di sintonia nei confronti dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano, fortemente voluto dall’Italia, ma avversato da
Israele.
africa subsahariana
Per lungo tempo assente dall’Africa subsahariana, l’Italia è tornata in
campo con le visite del presidente del Consiglio e anche del presidente
della Repubblica in Etiopia e Camerun. L’interesse dell’Italia dipende da
vari fattori, tra cui emergono la politica emigratoria, poiché molti flussi
di migranti in partenza dalla Libia provengono dal Sud del continente, e
la politica di assistenza allo sviluppo incardinata in progetti di sviluppo
sostenibile. L’interesse è inoltre dimostrato dalla partecipazione italiana
alle missioni internazionali a guida Onu o Ue. L’attivismo bilaterale è culminato nella Conferenza ministeriale Italia-Africa (Roma, maggio 2016),
che è servita al governo anche per rilanciare le sue proposte in materia di
politica migratoria miranti a una collaborazione più stretta tra Ue e paesi
di origine e transito. L’Italia ha continuato a svolgere un ruolo centrale
nell’ambito di due iniziative per la gestione della questione migratoria:
il “processo di Khartoum”, un’iniziativa Ue-Corno d’Africa, e il “processo
di Rabat”, un foro di dialogo regionale tra l’Unione ed i Paesi dell’Africa
occidentale, centrale e mediterranea.
144
sIntesI
rapportI con la cIna
Il governo italiano ha anche intrapreso una serie di iniziative volte ad intensificare e a porre su basi più solide i rapporti con la Cina. Non si può
parlare di una vera e propria svolta, ma è emersa una chiara volontà di
dare maggior peso alla Cina nell’azione diplomatica, laddove l’attenzione tradizionalmente dedicata al gigante asiatico era in passato alquanto
marginale. Da segnalare, in particolare, l’ampliamento della rappresentanza diplomatica in Cina e la maggiore frequenza e continuità delle visite
bilaterali ad alto livello. Si è anche registrato un notevole aumento dei visti concessi ai cittadini cinesi. Sul piano economico permane però un forte
squilibrio: il disavanzo commerciale dell’Italia non accenna a ridursi, alimentando malumore e ostilità in un’opinione pubblica che, evidenziano i
sondaggi, ha un atteggiamento verso la Cina più negativo che in altri paesi
europei. In questo quadro si inserisce la dichiarata contrarietà dell’Italia,
in seno all’Ue, alla concessione alla Cina dello status di economia di mercato. Un atteggiamento che ha generato tensione con Pechino, mettendoci
in posizione di svantaggio rispetto ad altri Paesi europei. D’altra parte è
continuato, a ritmo sostenuto, l’afflusso di capitali cinesi in Italia, a testimonianza dello spessore strategico che vanno assumendo i rapporti
economici bilaterali. Non è chiaro tuttavia se e come l’Italia potrà concretamente inserirsi nei progetti collegati all’iniziativa cinese “One Belt, One
Road”, a cui si guarda con grande interesse, anche perché essa continua
a presentare contorni piuttosto vaghi. Quel che certo è che un rafforzamento della connettività tra Europa e Asia non può non investire in pieno l’area mediterranea, nell’ambito della quale può realizzarsi un’azione
convergente tra Italia e Cina. Entrambi i paesi sono fortemente interessati
alla stabilizzazione del Mediterraneo e a una gestione concertata e cooperativa delle molteplici crisi in atto. Nella prospettiva di un “Mediterraneo
allargato”, che anche l’Italia sembra aver adottato, il partenariato con Pechino potrebbe aprire nuove opportunità di collaborazione non solo sul
piano economico, ma anche politico.
internazionaLizzazione economica
Alcuni passi avanti sono stati fatti nel campo dell’internazionalizzazione
economica. Grazie a una più efficace cabina di regia governativa, si è realizzato un maggiore coordinamento fra le istituzioni centrali, quelle re-
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RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
gionali e il settore privato. Ne hanno beneficiato soprattutto le iniziative
promozionali per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese
(Pmi). Sembra essere migliorata anche la produzione legislativa e la capacità di programmazione delle regioni per le attività di sostegno all’internazionalizzazione. Il governo ha varato un ambizioso piano che mira ad
accrescere la penetrazione dei prodotti italiani sui mercati esteri grazie
anche al sostegno della rete diplomatico-consolare, la cui efficacia dovrà
però essere verificata concretamente nei prossimi anni, date le limitate risorse disponibili. Inoltre, più di altri paesi membri dell’Ue, l’Italia ha puntato, con specifiche iniziative sulle opportunità offerte dal Piano Juncker
per lo sviluppo delle Pmi. In un contesto caratterizzato da una dimensione media delle imprese molto ridotta, le reti di impresa, che consentono
alle Pmi di coniugare l’autonomia imprenditoriale con l’accesso al necessario know-how e a cruciali risorse tecniche, continuano a rivelarsi uno
strumento fondamentale per l’internazionalizzazione. Permangono però
una serie di deficienze strutturali che limitano fortemente, in particolare,
l’internazionalizzazione in entrata, cioè la capacità di attrazione degli investimenti esteri, come lo scarso utilizzo dell’e-commerce, il mancato decollo della banda larga, l’anemia del credito bancario e l’obsolescenza di
alcune infrastrutture essenziali. Uno sviluppo dell’internazionalizzazione
che consenta una ripresa solida nel medio periodo può realizzarsi, in ultima analisi, solo grazie al superamento di queste strozzature. Le iniziative specifiche per promuovere l’internazionalizzazione rischiano di avere
effetti limitati ed effimeri se non va avanti, al contempo, il programma di
riforme strutturali delle istituzioni e dell’economia.
polItIca spazIale
L’Italia ha sempre mostrato un interesse specifico per la politica spaziale
ed ha colto numerosi successi, nonostante la modestia dei fondi allocati
e la loro progressiva riduzione, talvolta superata con erogazioni straordinarie. A livello d’immagine occorre segnalare la missione Futura dell’astronauta Samantha Cristoforetti e la nomina di una responsabile italiana
alla direzione dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico delle Nazioni Unite. Nonostante la scarsità di fondi, la cooperazione spaziale
italiana prosegue a livello internazionale, in ambito bilaterale e nell’Agenzia spaziale europea. Lo spazio offre indubbiamente all’Italia grandi opportunità sia per il settore civile sia per quello militare.
146
sIntesI
dIrItto InternazIonale
L’Italia ha sempre affermato di improntare la propria politica estera al
rispetto del diritto internazionale, in particolare in relazione al divieto
dell’uso della forza e all’obbligo di risolvere pacificamente le controversie
internazionali. Propositi che tuttavia vengono messi alla prova dalla realtà delle relazioni internazionali. Per quanto riguarda il primo punto, la politica italiana è stata improntata ad una estrema cautela in relazione alla
partecipazione ad azioni militari, esprimendo un fermo diniego ad azioni
che non fossero avallate dal Cds. Anche il supporto alla Francia dopo gli
attentati di Parigi è stato molto tiepido, quantunque le norme del diritto
internazionale consentissero azioni più incisive. Sul fronte della soluzione pacifica delle controversie, è da rimarcare la disponibilità dell’Italia a
sottoporre le controversie internazionali ad istanze giudiziarie, come la
Corte internazionale di giustizia, od arbitrali, come il Tribunale istituito
in base all’Annesso VII della Convenzione sul diritto del mare per risolvere la questione dei marò. Non mancano sfasature, dovute tuttavia al tessuto istituzionale nazionale. La Corte costituzionale si è espressa contro
l’attuazione della sentenza della Cig nella controversia Italia-Germania
in cui il nostro paese è risultato soccombente. Un fatto che ha esposto
il nostro paese all’accusa di non rispettare il diritto internazionale. È da
lamentare che, a parte dichiarazioni più o meno di parata, il diritto internazionale non sembra interessare granché il nostro esecutivo. Prova ne
sia la recente legge di riforma della Costituzione che in materia presenta
gravi lacune. Un primo passo dovrebbe essere una radicale riforma del
servizio del contenzioso diplomatico presso il Maeci, auspicio già formulato nel precedente rapporto sulla politica estera italiana, rimasto finora
inascoltato. Per riaffermare il suo ruolo nel sistema di governance globale
l’Italia ha presentato la sua candidatura a un seggio non permanente del
Consiglio di Sicurezza per il biennio 2017-2018. Purtroppo la votazione
in Assemblea generale delle Nazioni Unite (28 giugno 2016) non è andata
secondo i desiderata italiani, a causa della defezione di taluni Stati che
avevano promesso il voto all’Italia, e ci si è dovuti accontentare di dividere
il biennio con l’Olanda (il primo anno all’Italia e il secondo all’Olanda).
147
Appendice documentaria
con statistiche
RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
Figura 1 – Opinione sull’Unione europea (2016)
Fonte: pew research center.
Figura 2 – Sbarchi sulle coste italiane
Fonte: Ministero dell’Interno.
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appendice docUmentaria con StatiStiche
Figura 3 – Richieste d’asilo in Europa (2015)
Fonte: eurostat (dati aggiornati al 31 dicembre 2015).
Figura 4 – Sofferenze bancarie in Italia (mln di €)
Fonte: Banca d’Italia.
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RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
Figura 5 – Aiuti allo sviluppo (% del Pnl)
Fonte: ocse.
152
appendice docUmentaria con StatiStiche
Figura 6 – Debito pubblico italiano (% del Pil)
Fonte: Istat (2002-2014), Dpef (2015).
Figura 7 – Stanziamenti per la funzione difesa (mln di €)
Fonte: Ministero della Difesa, Documento programmatico pluriennale per la difesa 2015-2017,
elaborazione IAI.
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RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI
Figura 8 – Gas: produzione e importazioni
Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI.
Figura 9 – Petrolio: produzione e importazioni
Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI.
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appendice docUmentaria con StatiStiche
Figura 10 – Importazioni di gas
Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI.
Figura 11 – Importazioni di petrolio
Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI.
155
Finito di stampare nel mese di luglio 2016
con la tecnologia print on demand
presso il CentroStampa “Nuova Cultura”
p.le Aldo Moro n. 5, 00185 Rome
www.nuovacultura.it
per ordini:
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