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Il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia

Contributo per il rapporto IAI sulla Politica Estera Italiana

Quaderni IAI rApporto sullA polItIcA esterA ItAlIAnA: Il governo renzI edizione 2016 a cura di Ettore Greco e Natalino Ronzitti edizioni nuova cultura Questa pubblicazione è frutto della partnership strategica tra l’Istituto Affari Internazionali (IAI) e la Compagnia di San Paolo. Quaderni IAI Direzione: Natalino Ronzitti La redazione di questo volume è stata curata da Sandra Passariello Prima edizione luglio 2016 – Edizioni Nuova Cultura Per Istituto Affari Internazionali (IAI) Via Angelo Brunetti 9 - I-00186 Roma www.iai.it Copyright © 2016 Edizioni Nuova Cultura - Roma ISBN: 9788868127138 Copertina: Luca Mozzicarelli Composizione grafica: Luca Mozzicarelli È vietata la riproduzione non autorizzata, anche parziale, realizzata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Indice Lista degli Autori .............................................................................................................................................7 Lista degli acronimi ........................................................................................................................................9 1. Le scelte in Europa ................................................................................................................................. 11 1.1 Ruolo e posizioni in Europa, di Ettore Greco .....................................................................13 1.2 L’agenda economica dell’Unione europea, di Ferdinando Nelli Feroci .......................21 1.3 La governance economica europea, di Fabrizio Saccomanni ...................................... 27 1.4 La riforma delle istituzioni, di Gianni Bonvicini .................................................................35 1.5 La politica estera europea, di Nicoletta Pirozzi e Lorenzo Vai .....................................41 2. La politica di sicurezza e difesa, di Alessandro Marrone e Vincenzo Camporini ........ 47 3. Strategia e priorità della politica migratoria, di Marcello Di Filippo .............................. 57 4. La politica energetica, di Nicolò Sartori .......................................................................................65 5. La cooperazione allo sviluppo, di Luca De Fraia ...................................................................... 71 6. La promozione dell’italiano, di Iacopo Viciani ........................................................................... 75 7. Il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia, di Giovanna De Maio e Daniele Fattibene ....................................................................................... 79 8. Conflitto e cooperazione nel Mediterraneo e in Medio Oriente .......................................85 8.1 Il conflitto in Libia, di Roberto Aliboni .................................................................................87 8.2 Siria, Iraq e Palestina, di Andrea Dessì ...................................................................................93 8.3 Egitto, di Azzurra Meringolo ........................................................................................................101 9. L’Africa subsahariana, di Nicoletta Pirozzi ...............................................................................107 10. I rapporti con la Cina, di Giovanni Andornino ....................................................................... 113 5 IndIce 11. Internazionalizzazione e attrazione degli investimenti esteri, di Andrea Renda .....117 12. La politica spaziale, di Jean-Pierre Darnis e Alessandra Scalia ..................................... 121 13. Problemi di diritto internazionale, di Natalino Ronzitti ................................................ 127 Sintesi .............................................................................................................................................................. 137 Appendice documentaria con statistiche .......................................................................................149 6 lista degli Autori Roberto Aliboni, consigliere scientifico, IAI. Giovanni Andornino, ricercatore e docente di Relazioni internazionali dell’Asia orientale, Università di Torino; vicepresidente, T.wai. Gianni Bonvicini, vicepresidente vicario, IAI. Vincenzo Camporini, vicepresidente, IAI. Jean-Pierre Darnis, direttore del Programma Sicurezza e difesa, IAI; professore associato, Università di Nizza. Luca De Fraia, Segretario generale aggiunto, ActionAid Italia. Giovanna De Maio, dottoranda di ricerca, Università degli studi di Napoli L’Orientale. Andrea Dessì, assistente alla ricerca, Programma Mediterraneo e Medio Oriente, IAI. Marcello Di Filippo, coordinatore, Osservatorio sul diritto europeo dell’immigrazione, Università di Pisa. Daniele Fattibene, assistente alla ricerca, Programma Sicurezza e difesa, IAI. Ettore Greco, direttore, IAI. Alessandro Marrone, responsabile di ricerca, Programma Sicurezza e difesa, IAI. 7 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI Azzurra Meringolo, ricercatrice, Programma Mediterraneo e Medio Oriente, IAI, caporedattrice di AffarInternazionali. Ferdinando Nelli Feroci, presidente, IAI. Nicoletta Pirozzi, responsabile di ricerca, Programma Unione europea, IAI. Andrea Renda, senior research fellow, Center for European Policy Studies. Natalino Ronzitti, consigliere scientifico, IAI; professore emerito di Diritto internazionale, Luiss Guido Carli. Fabrizio Saccomanni, vicepresidente, IAI. Nicolò Sartori, responsabile di ricerca, coordinatore del Programma Energia, IAI. Alessandra Scalia, assistente alla ricerca, Programma Sicurezza e difesa, IAI. Lorenzo Vai, ricercatore, IAI, Centro Studi sul Federalismo. Iacopo Viciani, segretario particolare del viceministro agli Esteri Mario Giro, Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. 8 lista degli acronimi Apc Aps Asem Asf Asl Asi Bce Cdp Cds Cgs Cig Cnes Coi Coreper Cosme Csce Dgsp Ecofin Elv Eni Esa Eunavfor Med Evd Feis Fesf Fmi G-7 Ice Iic Isa Isaf Isis Iss Issg Itgi Itlos Area della promozione culturale Aiuto per lo sviluppo Asia-Europe Meeting Alaska Satellite Facility Airbus Safran Launchers Agenzia spaziale italiana Banca centrale europea Continuing Professional Development Consiglio di Sicurezza Compagnia generale per lo spazio Corte internazionale di giustizia Centre national d’études spatiales Comando operativo di vertice interforze Comitato dei rappresentanti permanenti Competitiveness of Small and Medium-sized Enterprises Conference on Security and Cooperation in Europe Direzione generale del sistema paese Economic and Financial Affairs Council European Launch Vehicle Ente nazionale idrocarburi Agenzia spaziale europea European Naval Force Mediterranean Ebola virus desease Fondo europeo per gli investimenti strategici Fondo europeo di stabilità finanziaria Fondo monetario internazionale Gruppo dei 7 Istituto nazionale per il commercio estero Istituti italiani di cultura Israeli Space Agency International Security Assistance Force Islamic State of Iraq and Syria International Space Station International Syria Support Group Interconnector Turkey-Greece-Italy International Tribunal for the Law of the Sea 9 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI Maeci Mena Mes Mibact Miur Mtcr Nasa Nato Nsg Ocse Nigc Ohb Oms Ong Onu Osce PBoC Pesd Pil Pisa Pmi Pnl Pogdc Ppa Ppp Psc Rap Rpc Sace Sar Shalom Simest Tanap Tap Tfue Ue Uem Unoosa Verta Vjtf Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale Medio Oriente e Nord Africa Meccanismo europeo di stabilità Ministero per i Beni, le attività culturali e il turismo Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca Missile Technology Control Regime National Aeronautics and Space Administration North Atlantic Treaty Organization Nuclear Suppliers Group Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico National Iranian Gas Company Orbitale Hochtechnologie Bremen Organizzazione mondiale della sanità Organizzazioni non governative Organizzazione delle Nazioni Unite Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa People’s Bank of China Politica di sicurezza e difesa comune Prodotto interno lordo Programme for International Student Assessment Piccole e medie imprese Prodotto nazionale lordo Pars Oil & Gas Development Pattugliatori polifunzionali d’altura Partenariati pubblico-privato Patto di stabilità e crescita Readiness Action Plan Repubblica popolare cinese Istituto per i servizi assicurativi del commercio estero Search and Rescue Spaceborne Hyperspectral Applicative Land and Ocean Mission Società italiana per le imprese all’estero Trans Anatolian Pipeline Trans Adriatic Pipeline Trattato sul funzionamento dell’Unione europea Unione europea Unione economica e monetaria United Nations Office for Outer Space Affairs Vega Research and Technology Accompaniment Very Rapid Joint Task Force 10 1. le scelte in europa 1.1 ruolo e posizioni in europa Ettore Greco Le sfide più impegnative che ha affrontato la politica estera italiana nel periodo in esame – la crescente instabilità del vicinato, la crisi migratoria, l’acuirsi della minaccia terroristica e le riemergenti turbolenze finanziarie – sono le stesse con cui hanno dovuto misurarsi, pur con diversa intensità, anche gli altri paesi europei. Scaturiscono infatti da fenomeni e processi che hanno investito in pieno il continente europeo fino a metterne a repentaglio assetti politici ed istituzionali che apparivano consolidati. Si tratta quindi di sfide che, per loro natura, possono trovare un’efficacia risposta solo a livello europeo, in una rinnovata capacità dei paesi membri dell’Ue di agire in modo collettivo e solidale. Ed è naturale che l’Unione europea sia stata, come perlopiù anche in passato, il principale campo di azione della diplomazia italiana. Nell’ambito dell’Ue, il governo italiano ha perseguito due obiettivi centrali, fra loro collegati: la difesa e promozione del ruolo del paese, anche contro il rischio, sempre in agguato, di una marginalizzazione; e la riforma delle politiche dell’Unione, in particolare nel settore dell’economia e in quello della migrazione. L’Italia ha chiesto cambiamenti che miravano, nel complesso, a rafforzare i meccanismi e gli strumenti di integrazione e solidarietà fra i paesi membri, anche se non tutte le posizioni e i comportamenti del governo sono stati conformi a questa ispirazione di fondo. In un contesto segnato da crescenti divergenze fra i paesi membri sulla direzione e gli obiettivi fondamentali del progetto europeo, l’Italia si è chiaramente schierata a favore di un approfondimento dell’integrazione che potesse trovare riscontro, nel più lungo termine, anche in una modifica dell’assetto istituzionale dell’Unione. La maggiore stabilità di cui ha goduto il governo Renzi, almeno fino a metà del 2016, rispetto agli esecutivi che lo hanno preceduto, è stata 13 ettoRe gReco indubbiamente uno dei suoi punti di forza all’interno dell’Ue. I principali partner europei, a partire dalla Germania, hanno fatto notevoli aperture di credito al governo anche per alcune riforme interne che è riuscito ad attuare, superando notevoli resistenze, come il Jobs Act, sebbene il suo iniziale sforzo riformatore sembri aver perso vigore con il passare del tempo. In ambito Ue l’Italia ha anche mostrato una notevole capacità propositiva, avanzando vari schemi di riforma, ciò che ha notevolmente contribuito a rilanciarne il ruolo nel gioco diplomatico europeo. D’altra parte, l’Italia ha continuato a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza a causa di alcuni persistenti problemi strutturali. In campo economico hanno pesato, in particolare, l’ingente debito pubblico, che è continuato ad aumentare (132,7 per cento del Pil nel 2015) – senza che si sia aperta una credibile prospettiva di una sua riduzione nel breve e medio termine – e la fragilità del sistema bancario nazionale, emersa in piena luce nei primi mesi del 2016 (le sofferenze lorde ammontavano a 200 miliardi alla fine del 2015)1. Così, specie di fronte alle nuove turbolenze dei mercati finanziari, il paese ha continuato ad essere visto come uno degli anelli deboli dell’eurozona. La scarsità di risorse dedicate a settori come la difesa e la cooperazione allo sviluppo, riflesso delle difficoltà economiche, ma anche di una discutibile scala di priorità, ha frenato la proiezione europea, così come quella internazionale, del paese. L’Italia ha peraltro dovuto fare i conti anche con lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee che ha oggettivamente reso difficile l’avanzamento dei progetti di riforma sostenuti o promossi dal governo. Alla Commissione Juncker, in particolare, si può imputare un eccesso di arrendevolezza nei confronti dell’azione frenante degli Stati membri. Tuttavia, alcune controverse prese di posizione del governo hanno creato tensioni nei rapporti con le istituzioni europee – anche quando vi erano in realtà ampi spazi di convergenza, specie con la Commissione – e riproposto la difficoltà, emersa anche con precedenti esecutivi, a impostare una narrativa coerente sulla ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra livello europeo e nazionale. In tal modo si sono trasmessi messaggi ambigui a un’opinione pubblica a cui si evita di ricordare – e spiegare – gli impegni che il paese si è assunto, e in cui quindi, anche a causa di ciò, tendono a diffondersi umori antieuropei. A parte i reiterati sfoghi contro l’“euroburocrazia”, sono apparsi in contrasto con quanto deciso collettivamente a Bruxelles, sia la messa in discussione – a livello retorico – del “seme1 Vedi Appendice: figure 4 e 6, Sofferenze bancarie in Italia e Debito pubblico italiano. 14 1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa stre europeo”, in particolare della facoltà dell’Ue di valutare e avanzare raccomandazioni in merito alle politiche nazionali e di riforma – laddove su altri aspetti, come gli squilibri macroeconomici, il governo ha invece chiesto che l’Unione svolga un’azione più incisiva –, sia la tardiva presa di distanza dalle nuove regole relative al salvataggio interno (bail-in) per la risoluzione delle crisi bancarie. Così, alcuni nuovi meccanismi per far fronte alla crisi, introdotti di recente con il consenso dell’Italia, sono stati talora presentati come imposizioni della “burocrazia” di Bruxelles. Quanto ciò possa sconcertare l’opinione pubblica, è facile immaginare. Va detto, peraltro, che a queste prese di posizione non ha fatto riscontro alcuna violazione delle regole da parte del governo, che anche in materia fiscale si è mantenuto entro i parametri stabiliti. Un doppio binario che può creare alla lunga difficoltà nel difendere intese con i partner, che sono inevitabilmente di compromesso, per l’adattamento di regole e procedure alla concreta evoluzione della situazione economica e, più in generale, delle varie crisi che l’Ue si trova a fronteggiare. Un’escalation di dichiarazioni polemiche del premier Renzi, all’inizio del 2016, ha creato forti tensioni con la Commissione europea, in particolare con Juncker, che si sono però successivamente stemperate, anche grazie all’atteggiamento più costruttivo assunto dal governo, che è stato subito apprezzato a Bruxelles. D’altronde, a Juncker ha forse fatto difetto la necessaria duttilità, come in altre occasioni, nell’affrontare critiche o rimostranze all’operato della Commissione. È soprattutto in materia economica che il governo Renzi si è impegnato per ottenere un cambiamento delle politiche dell’Unione. La comunicazione della Commissione del gennaio 2015 sulla flessibilità nell’applicazione delle norme del Patto di stabilità e crescita (Psc) ha recepito alcune proposte avanzate dall’Italia, che durante la sua presidenza di turno dell’Ue (secondo semestre del 2014) aveva ottenuto di portare l’argomento al centro del dibattito europeo. L’Italia, che era uscita dalla procedura di disavanzo eccessivo nel 2013 (governo Letta), ha ottenuto per il bilancio 2016 un margine di flessibilità di 14 miliardi di euro. Non sono però previste deroghe alle regole fiscali per il bilancio del 2017, il cui disavanzo l’Italia si è impegnata a contenere entro l’1,8 per cento del Pil: un obiettivo che appare molto ambizioso alla luce dell’andamento generale del bilancio, del ritmo molto lento della crescita e della dichiarata intenzione del governo di approvare, parallelamente, alcuni provvedimenti di riduzione delle tasse e di sostegno ai redditi. C’è quindi il rischio concreto che quando lo stato delle finanze pubbliche italiane verrà riesaminato dalla 15 ettoRe gReco Commissione – il primo appuntamento è a novembre 2016 – riemergano contrasti con Bruxelles. Va aggiunto che nella sua ultima Raccomandazione sull’Italia (maggio 2015) la Commissione ha posto l’accento sui “progressi limitati” di alcune riforme strutturali considerate dallo stesso governo cruciali per il rilancio della crescita, come l’ammodernamento della pubblica amministrazione, la liberalizzazione economica e la spending review. In materia fiscale, il governo ha fatto anche scelte in aperto contrasto con le raccomandazioni della Commissione – ma anche di tutte le altre principali istituzioni economiche e finanziarie internazionali – come l’abolizione della tassa sulla prima casa. L’apparente rallentamento del ritmo di attuazione delle riforme ha in effetti indebolito la posizione dell’Italia nel confronto intra-Ue sulle politiche per la crescita. Il governo ha comunque tenuto ferma la sua richiesta di una ridefinizione delle priorità e della strategia dell’Ue in campo economico che, oltre a una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionale, consentisse una più ampia condivisione dei rischi e una più incisiva azione anticiclica a livello europeo. Nel perseguire questi obiettivi, il governo ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: il persistente approccio rigorista della Germania e di altri paesi – gran parte di quelli non mediterranei – che hanno invece continuato a porre l’accento sul rispetto delle regole di bilancio e sulla riduzione dei rischi, mostrando ben poca propensione ad accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l’esplodere di altre emergenze – la crisi migratoria e l’ondata di attacchi terroristici sul suolo europeo – che sono passate in cima all’agenda europea, relegando in secondo piano i programmi di riforma economica; e lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, cui si è già fatto cenno. Reagendo alla tendenza a procrastinare e annacquare la riforma della governance economica, già evidente nel rapporto dei “cinque presidenti” di metà 2015, il governo ha presentato nel febbraio 2016 un ampio documento, tornando a chiedere una maggiore simmetria nel processo di aggiustamento macroeconomico, il rilancio degli investimenti infrastrutturali e il completamento dell’Unione bancaria, in particolare l’istituzione del previsto meccanismo per la garanzia comune sui depositi, un progetto che è stato, di fatto, congelato. Al di là delle singole proposte, che mirano innanzitutto ad accelerare il processo di riforma o, meglio si direbbe, a rimetterlo concretamente in moto, l’aspetto qualificante del documento del governo italiano è l’enfasi sulla necessità che, per affrontare emergenze come la crisi migratoria e la minaccia terroristica, siano mobilitate nuove risorse e che a tal fine siano approntate specifiche mi- 16 1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa sure. Qui è da rilevare un’importante saldatura tra le proposte italiane per la riforma della governance economica europea e quelle miranti a rafforzare il ruolo dell’Ue nella gestione della crisi migratoria e nel contrasto al terrorismo. Il governo italiano ha peraltro espresso una chiara preferenza per la creazione di meccanismi che consentano di reperire le risorse necessarie a livello europeo anziché a livello nazionale. Ciò richiederebbe passi avanti in direzione di un’effettiva unione fiscale: uno degli obiettivi rimasti decisamente sullo sfondo nel documento dei cinque presidenti e che continua a incontrare una forte opposizione. Il governo italiano ha anche sostenuto fortemente il piano di investimenti strutturali varato dalla Commissione – il cosiddetto “Piano Juncker” – cercando attivamente di sfruttarne le opportunità. Il piano però fatica a decollare anche a causa della difficoltà, nell’attuale quadro di incertezza economica, a mobilitare gli attesi investimenti privati. L’altro obiettivo centrale del governo è stato, come detto, il completamento dell’Unione bancaria. Il progetto si è di fatto arenato a causa soprattutto dell’opposizione della Germania, in assenza di una riduzione dei rischi, al completamento del secondo pilastro – il meccanismo unico di risoluzione delle crisi – con un adeguato fondo per affrontare le crisi sistemiche, e alla creazione di una garanzia comune sui depositi (terzo pilastro). Peraltro, l’entrata in vigore delle nuove regole europee sul bail in per la risoluzione delle crisi bancarie ha messo sotto pressione il sistema bancario italiano che ha manifestato una preoccupante vulnerabilità, anche per l’assenza di comuni strumenti di sostegno degli istituti in difficoltà. Il governo si è opposto fermamente ad alcune proposte tedesche che potrebbero avere riflessi negativi sulla stabilità macroeconomica del paese, come l’introduzione di norme per limitare i titoli di Stato posseduti dalle banche e per la ristrutturazione automatica del debito pubblico. Sul completamento dell’Unione bancaria l’Italia si è trovata perfettamente in linea sia con la Commissione che con la Bce. Di quest’ultima il governo italiano ha anche appoggiato senza riserve la politica monetaria espansiva. L’Italia ha svolto un importante ruolo propositivo anche in materia di immigrazione, insistendo sul principio di una gestione comune e solidale della crisi in atto. Con il “Migration Compact”, il documento presentato nell’aprile del 2016, il governo ha posto l’accento sulla necessità di dedicare più attenzione ed energie agli aspetti esterni della politica migratoria e di asilo e di destinare risorse aggiuntive al miglioramento delle opportunità di sviluppo dei paesi di origine e di transito, in particolare 17 ettoRe gReco di quelli africani. In tal modo l’Italia ha cercato di modificare la tendenza prevalente all’interno dell’Ue a trattare dei problemi dell’immigrazione guardando soprattutto ai problemi di sicurezza. L’attuazione del piano italiano richiede però una mobilitazione notevole di risorse e un’attenta verifica dell’effettiva disponibilità dei governi africani a collaborare alla gestione dei flussi migratori con modalità che non siano in contrasto con i principi europei e del diritto internazionale. Sotto quest’ultimo aspetto appare problematico lo stesso accordo raggiunto fra Ue e Turchia nel marzo 2016 per contenere il flusso dei migranti e dei profughi verso l’Europa. L’idea, prospettata dal governo italiano, che esso possa costituire un modello di riferimento per la cooperazione con altri paesi suscita notevoli perplessità. Su altri aspetti, non meno importanti, della politica migratoria, i passi avanti sono stati estremamente limitati. In particolare è rimasto largamente inattuato il piano europeo, approvato nel settembre 2015, per la ridistribuzione sul territorio europeo dei richiedenti asilo giunti in Italia e in Grecia, che è stato al centro di un’aspra contesa politica. Anche l’idea di rivedere il Regolamento di Dublino con un nuovo sistema di quote basato sul principio di solidarietà e di equa distribuzione dei richiedenti asilo, uno degli obiettivi prioritari dell’Italia, ha continuato a incontrare una forte resistenza. Nel campo della politica estera europea, il governo Renzi ha assunto numerose iniziative per promuovere un ruolo più attivo dell’Ue nella regione mediterranea, che è venuta assumendo una crescente importanza strategica per l’Italia. Quest’azione ha avuto un certo successo: è anche grazie all’Italia se l’Unione è riuscita a consolidare il suo ruolo nella gestione delle crisi regionali. Quest’ultime, però, restano ancora tutte aperte – alcune si sono anzi inasprite – e, in assenza di credibili processi di stabilizzazione, a cui l’Ue potrebbe dare, in prospettiva, un contributo decisivo, altri attori, come Usa e Russia, ma anche alcune potenze regionali, come l’Iran e le monarchie del Golfo, tendono a dominare la scena. Peraltro, anche all’interno dell’Ue permangono contrasti non indifferenti sulla strategia da seguire, in particolare, ai rapporti e alle alleanze con gli attori regionali, come l’Egitto. Ciò ha rappresentato uno dei principali ostacoli anche alla soluzione della crisi libica, in cui sono in gioco interessi vitali dell’Italia. Le prospettive di consolidamento in Libia del governo Serraj, su cui hanno puntato l’Onu e gran parte della comunità internazionale, rimangono molto incerte. Di riflesso anche la dichiarata disponibilità dell’Italia ad assumersi responsabilità speciali per la stabi- 18 1.1 Ruolo e posIzIonI In euRopa lizzazione della Libia, sulla base del sostegno politico di Ue e Onu, non ha potuto concretizzarsi. Il governo Renzi ha al contempo dato un importante contributo allo sviluppo dei processi di cooperazione tra l’Ue e i paesi dell’Africa subsahariana in diversi settori. La promozione degli interessi nazionali in Africa subsahariana, anche attraverso una valorizzazione del ruolo dell’Ue, appare una scelta lungimirante. Di fronte all’inasprirsi della crisi di fiducia all’interno dell’Ue e all’incapacità delle istituzioni europee di darvi una risposta adeguata, il governo Renzi ha inoltre sostenuto la prospettiva di più ampia riforma dell’Ue, che le ridia legittimità e consenta un approfondimento dell’integrazione fra i paesi dell’eurozona. In quest’ottica il governo sembra aver accettato l’idea, che si è fatta sempre più strada, che possa esservi una crescente differenziazione nei livelli di integrazione fra i paesi membri. Nella convinzione che, in un contesto di integrazione differenziata, sia necessario un nucleo di paesi membri in grado di svolgere un ruolo propulsivo, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promosso un processo di consultazione e coordinamento politico tra i sei paesi fondatori dell’Unione. Il tentativo ha incontrato inizialmente dubbi e resistenze negli altri paesi interessati, ma a metà del 2016 sembrava avere concrete prospettive di sviluppo, anche come riflesso dell’esito del referendum britannico sulla Brexit. 19 1.2 L’agenda economica dell’Unione europea Ferdinando Nelli Feroci L’Italia, sfruttando anche le sue responsabilità di presidente di turno dell’Unione europea (Ue) nel secondo semestre del 2014, e l’insediamento di una nuova Commissione europea presieduta dal lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha contribuito in maniera significativa a ridefinire le priorità dell’Unione, riportando crescita e occupazione al centro della sua agenda economica. Per capire l’importanza della svolta che ha caratterizzato l’agenda economica europea fra la seconda metà del 2014 e l’inizio del 2105, occorre ricordare che, per far fronte alla crisi economica e finanziaria, si erano adottate, negli anni precedenti, importanti misure. Esse hanno sicuramente comportato più integrazione delle politiche di bilancio ed economiche degli Stati membri, ma anche prodotto qualche effetto collaterale che ha contribuito a determinare fenomeni recessivi e crescita insufficiente. Sono state in particolare adottate le seguenti misure: nuove regole per il controllo dei bilanci nazionali per evitare il riprodursi di situazioni di deficit e debiti eccessivi; un più stretto coordinamento delle politiche economiche nazionali; una procedura per il controllo e monitoraggio degli squilibri macroeconomici eccessivi; nuovi strumenti comuni (Fesf e Mes) che hanno consentito di fornire assistenza finanziaria ai paesi dell’eurozona in difficoltà; i primi elementi costitutivi dell’Unione bancaria. La Bce ha inoltre adottato varie misure di politica monetaria non convenzionale che hanno consentito di immettere liquidità nel sistema dell’eurozona. Si è riusciti così a stabilizzare l’euro, evitandone il collasso e a rafforzare il processo di integrazione e convergenza delle economie, in particolare di quelle dell’eurozona. Non si è riusciti però ad evitare un parallelo 21 FeRdInando nellI FeRocI impatto negativo sui tassi di crescita della Ue. I processi di aggiustamento fiscale, per quanto necessari, sono stati probabilmente troppo rapidi e hanno avuto effetti pro-ciclici, aggravando una situazione economica recessiva. Sono stati inoltre realizzati in maniera asimmetrica con oneri esclusivamente a carico dei paesi debitori. I risultati ottenuti non sono peraltro trascurabili: si è rafforzata la disciplina di bilancio in vista di un ulteriore consolidamento fiscale; si sono ridotti i rischi di frammentazione dei mercati finanziari; si è stabilizzato il sistema finanziario ivi comprese le banche, anche se in Italia permane un problema di ricapitalizzazione di alcune banche e soprattutto di crediti deteriorati che gravano sui loro bilanci. Ma si è mancato l’obiettivo di stimolare adeguatamente crescita e occupazione, in un contesto in cui si è anche accentuata la mancanza di fiducia reciproca fra i membri della stessa unione monetaria. Nel 2014 e in buona parte anche nel 2015, grazie anche alla linea assunta dalla nuova Commissione europea, si è posto il problema di una credibile ed efficace agenda economica per la Ue nella presente congiuntura. E su questo l’Italia ha assunto una posizione chiara e di alto profilo. Si è partiti dalla constatazione che la situazione sui mercati finanziari è sostanzialmente migliorata. Resta un serio problema di eccesso di indebitamento nell’eurozona, ma i rischi di insostenibilità sono diminuiti e anche i rendimenti sui titoli sovrani si sono ridotti considerevolmente. Si è inoltre constatato che non ci può essere spazio per eccessiva soddisfazione o per abbassare la guardia poiché la situazione economica nella Ue e in particolare nell’eurozona rimane fragile. Il 2014 è stato l’anno peggiore dal 2009 per i dati sul Pil dei paesi della Ue. Nel 2015 si sono invece registrati ovunque in Europa e nell’eurozona i segnali di una ripresa dell’economia, ma si è trattato di una ripresa ancora modesta e insufficiente a stimolare un’adeguata crescita dell’occupazione. Gli investimenti (pubblici e privati) si sono ridotti in misura rilevante e permane un problema di insufficiente domanda interna. Inoltre si sono accentuati gli squilibri macro-economici in alcuni paesi della zona euro e rimangono divergenze notevoli nelle performance economiche dei singoli paesi membri così come importanti differenze in termini di produttività, competitività, costo unitario del lavoro e capacità di innovare. Malgrado gli interventi della Bce permane un serio rischio di deflazione e, in una prospettiva di medio periodo, di una lunga fase di stagnazione o di bassa crescita con pesanti effetti sui livelli di occupazione. In sintesi, rimane di fronte all’Ue un drammatico problema irrisolto di come stimolare crescita. Il governo italiano ha quindi proposto un sua agenda al cui centro è 22 1.2 L’agenda economica deLL’Unione eUropea la necessità che l’Europa si impegni di più, e in maniera più efficace, su crescita economica e occupazione. Il presidente del Consiglio Renzi ha personalmente adottato questa linea come priorità della sua azione nei confronti delle istituzioni europee; e ha chiesto all’Unione, pubblicamente e in innumerevoli occasioni, di accantonare le politiche di austerità per assumere la crescita come imperativo categorico di un programma comune di lavoro a livello europeo. Tra le misure specifiche, il governo in primo luogo ha chiesto, con insistenza, maggiore flessibilità nell’attuazione delle misure di controllo dei bilanci pubblici. Come primo risultato ha ottenuto dalla Commissione una comunicazione1 nella quale si specificavano alcuni criteri e condizioni per concedere un certo grado di flessibilità nella valutazione delle politiche di bilancio nazionali. In particolare, si è introdotta una clausola di esonero dal calcolo del deficit e del debito di alcune categorie di investimenti pubblici, e si sono collegati i percorsi di consolidamento fiscale alla realizzazione di significative riforme strutturali interne. L’Italia ha anche chiesto l’esonero dal calcolo del deficit di spese pubbliche collegate alla gestione di situazioni di emergenza (in particolare i costi della gestione dei flussi migratori). La questione della flessibilità è rimasta una delle priorità nella interlocuzione fra il governo italiano e la Commissione. In linea con quanto richiesto dalle istituzioni europee, l’Italia ha poi proseguito nel percorso di adozione e attuazione di importanti riforme strutturali (mercato del lavoro, scuola, giustizia, pubblica amministrazione ecc.) nella convinzione che le riforme strutturali restino un ingrediente fondamentale di una credibile strategia mirata a stimolare crescita e occupazione. Ogni paese dovrà scegliere le riforme necessarie, possibilmente in un quadro di coordinamento a livello europeo. Con l’obiettivo di stimolare le riforme (che restano una responsabilità nazionale), l’Italia si è dichiarata favorevole a definire a livello europeo strumenti più efficaci per realizzare un miglior coordinamento delle politiche economiche nazionali, articolato su obiettivi condivisi di recupero di produttività e competitività, e possibilmente accompagnato da incentivi che premino quei paesi che fanno le riforme. L’Italia ha poi sostenuto con convinzione il Piano Juncker, un programma europeo destinato a mobilizzare risorse per complessivi circa 300 Commissione europea, Sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme vigenti del patto di stabilità e crescita (COM/2015/12), 13 gennaio 2015, http://eur-lex.europa. eu/legal-content/it/TXT/?uri=celex:52015DC0012. 1 23 FeRdInando nellI FeRocI miliardi di euro per il finanziamento di investimenti pubblici in progetti infrastrutturali di interesse comune; e si è adoperata per renderlo quanto prima operativo2. Infine l’Italia ha sostenuto, sia pure con tutta la discrezione del caso, la politica monetaria condotta con coerenza dalla Bce con l’obiettivo di stimolare l’economia e contrastare i rischi di deflazione. La Bce, con l’annuncio nel 2015 dell’avvio del programma di acquisti di titoli sovrani, e altre obbligazioni, noto come “quantitative easing” (l’ultimo di una serie di interventi destinati a immettere liquidità nel sistema), ha dimostrato capacità di visione e volontà di interpretare il proprio ruolo a sostegno della crescita, anche con misure non convenzionali, nel rispetto delle proprie prerogative e responsabilità secondo le disposizioni dei Trattati. Il governo italiano è stato fra quelli che hanno espresso pieno apprezzamento per questo ruolo dinamico svolto dalla Bce. In una prospettiva di medio periodo l’Italia ha poi riproposto la questione del completamento della riforma della governance dell’eurozona. Nel febbraio 2106 il governo italiano ha presentato un importante documento con una serie di proposte e raccomandazioni per una riforma del governo dell’economia in Europa3. Il documento italiano4 affronta in maniera organica un po’ tutte le problematiche della riforma della governance economica europea, con l’obiettivo di rilanciare un dibattito sulla strategia economica della Ue, che sembra aver perso priorità e senso di urgenza, anche come conseguenza dell’emergere nell’agenda europea di nuovi drammatici problemi come quello delle migrazioni e dei rifugiati, o del terrorismo internazionale. Il tema dominante del documento è la necessità di un “mix di politiche” indirizzato all’area euro nel suo complesso che consenta di coniugare i tre obiettivi del rilancio degli investimenti, del sostegno alle riforme strutturali e della attuazione di una politica fiscale responsabile. Fra le proposte più specifiche vale la pena di ricordare almeno le seguenti: una politica fiscale responsabile, ma dotata di un grado di flessibilità nell’attuazione del Patto di stabilità e crescita (già prevista nella comunicazione della Commissione) che consenta un minimo di stimoli all’economia a sostegno della crescita; l’impegno alla prosecuzione delle riforme strutturali in un quadro di coordinamento a livello europeo che Su questo argomento vedi anche il capitolo di Fabrizio Saccomanni in questo volume. Anche su questo punto vedi il capitolo di Fabrizio Saccomanni in questo volume. 4 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html. 2 3 24 1.2 L’agenda economica deLL’Unione eUropea rafforzi la convergenza delle economie dei paesi membri; maggiore simmetria negli aggiustamenti macroeconomici tra paesi in deficit e paesi in surplus da realizzare grazie ad un uso più efficace della procedura sugli squilibri macroeconomici eccessivi; un rilancio degli investimenti pubblici e privati anche tramite uno sfruttamento ottimale del Fondo europeo per gli investimenti strategici; il completamento dell’Unione bancaria con la creazione di un Sistema europeo di garanzia dei depositi e con l’istituzione di un effettivo sostegno di finanza pubblica (prestatore di ultima istanza) presso il Meccanismo unico di risoluzione; il completamento del mercato interno, con un’attenzione particolare al mercato unico digitale. Ma il documento contiene anche idee e proposte più innovative: un sussidio europeo di disoccupazione da realizzare tramite la creazione di un Fondo europeo che possa intervenire per mitigare gli effetti di fenomeni di disoccupazione congiunturale o ciclica e per stabilizzare il mercato del lavoro in paesi maggiormente esposti; un finanziamento comune delle spese per il controllo delle frontiere esterne da realizzare anche tramite l’emissione di titoli comuni (eurobond); una capacità fiscale e un bilancio autonomo per l’eurozona per il finanziamento e la promozione degli investimenti e per l’attivazione di interventi anti-ciclici; ed infine la creazione della figura del ministro delle Finanze o del Tesoro dell’eurozona, proposta sulla quale peraltro l’elaborazione resta ad uno stadio ancora preliminare. In sintesi si tratta di un programma di lavoro organico che dovrebbe contribuire a rimettere in moto un processo di riforma della governance economica. Una proposta che, se adeguatamente sostenuta, avrebbe tra l’altro il merito di collocare l’Italia al centro del dibattito sul governo dell’economia in Europa. 25 1.3 la governance economica europea Fabrizio Saccomanni Il processo di riforma della governance economica europea ha avuto alterne vicende. Lanciato a fine 2012 come reazione alla fase più acuta della crisi del debito sovrano della Ue, con l’ambizioso Rapporto dei quattro presidenti1, ha attraversato una fase di stallo tra metà 2013 e la fine del 2014 connessa all’elezione del Parlamento federale (Bundestag) in Germania (settembre 2013) e alla fine del mandato del Parlamento europeo e della Commissione europea; ha vissuto un sussulto di riflessione e di proposta nella prima metà del 2015, culminato con la presentazione del più prudente Rapporto dei cinque presidenti2; è stato di fatto arrestato a dicembre del 2015 per l’insorgere delle emergenze delle migrazioni e del terrorismo e rinviato alla fine del 2017, dopo le elezioni politiche in Francia e in Germania. In tutte queste fasi non è mai mancato il contributo italiano di idee e di proposte. La spinta per riformare la governance economica europea origina dal Consiglio europeo del giugno 2012 in risposta ad una specifica richiesta avanzata dal presidente del Consiglio italiano Mario Monti di avviare uno sforzo congiunto per dotare la Ue di strumenti e procedure per realizzare una politica anticiclica a livello europeo. È in quel contesto che si realizzano le condizioni per il lancio da parte della Banca centrale europea (Bce) di iniziative volte a contrastare il rischio di “rottura” dell’euro e le pressioHerman Van Rompuy et al., Verso un’autentica unione economica e monetaria, 26 giugno 2012, http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/131298. pdf. 2 Jean-Claude Juncker et al., Completare l’Unione economica e monetaria europea, 20 giugno 2015, http://www.consilium.europa.eu/it/policies/emu-report-2015. 1 27 Fabrizio Saccomanni ni speculative sugli spread dei debiti sovrani. Il Rapporto dei quattro presidenti, basato su un esaustivo documento tecnico della Commissione3, propone in effetti un vasto programma per dar vita gradualmente ad una Unione bancaria, una Unione economica, una Unione fiscale, con l’obiettivo di realizzare anche una piena Unione politica. A fronte di un quadro congiunturale europeo in rapido deterioramento, il governo guidato da Enrico Letta sostiene con forza l’adozione urgente di una strategia europea per combattere la disoccupazione giovanile e riattivare i meccanismi di erogazione del credito, specie alle Piccole e medie imprese (Pmi). È questo il senso della riunione tenutasi a Roma nel giugno del 2013 dei ministri della finanze e degli affari sociali di Germania, Francia, Spagna e Italia. Ma i fattori politici già ricordati impediscono di adottare proposte formulate in tal senso dalla Commissione. Si decide di dare la precedenza al progetto di Unione bancaria, ritenuto essenziale per spezzare il “circolo vizioso” tra rischi bancari e rischi sovrani che aveva fatto precipitare la crisi del 2011. E in effetti, un consenso politico di maggioranza viene raggiunto a fine 2013 per la realizzazione del Meccanismo unico di supervisione bancaria, uno dei tre pilastri dell’Unione bancaria, che entrerà in vigore nel novembre del 2014. Malgrado le riserve espresse dalle autorità italiane, si lascia incompleto il secondo pilastro (il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie) che entrerà in vigore il 1° gennaio 2016 privo di un essenziale strumento di sostegno comune in caso di crisi sistemiche coinvolgenti una pluralità di sistemi bancari, e non si procede del tutto alla costituzione del terzo pilastro, lo Schema europeo di garanzia dei depositi bancari. In quel contesto viene approvata anche la Direttiva europea sul “risanamento e la risoluzione” delle banche, con le controverse normative sul “bail-in” e sugli aiuti di stato. Si tratta di decisioni per le quali non è richiesta l’unanimità dei paesi membri e che comunque sono state approvate a larga maggioranza dal Parlamento europeo. Il tema della riforma della governance riappare solo a luglio del 2014 nel programma con cui Jean-Claude Juncker si presenta al Parlamento europeo per avere il mandato di presidente della Commissione4. Juncker propone un ampio programma in cui spiccano un piano per rilanciare Commissione europea, Piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita (COM/2012/777 2), 28 novembre 2012, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/ it/TXT/?uri=celex:52012DC0777R%2801%29. 4 Jean-Claude Juncker, Un nuovo inizio per l’Europa. Il mio programma per l’occupazione, la crescita, l’equità e il cambiamento democratico, 15 luglio 2014, http://europa. eu/!Ky48BK. 3 28 1.3 La governance economica eUropea gli investimenti infrastrutturali per un volume di oltre 300 miliardi di euro, misure per rafforzare la convergenza delle economie e le riforme strutturali, il completamento del mercato interno (con la realizzazione dell’Unione bancaria e dell’Unione dei mercati dei capitali), la razionalizzazione delle regole fiscali, e la realizzazione di una “Unione economica e monetaria più approfondita ed equilibrata”, sulla falsariga del Rapporto dei quattro presidenti. Con l’assunzione della presidenza di turno del Consiglio dell’Ue il 1° luglio 2014, il governo Renzi sostiene apertamente le proposte di Juncker e pone l’accento sulla necessità di una pronta approvazione sia del piano di investimenti strutturali, sia di una maggiore flessibilità nell’applicazione delle regole fiscali del Patto di stabilità e crescita (Psc), al fine di promuovere la ripresa economica e di creare le condizioni per un rilancio delle riforme strutturali e il rafforzamento della produttività e della competitività. All’Ecofin informale di Milano nel settembre 2014 l’Italia presenta una iniziativa “Finanza per la crescita” con proposte specifiche per il sostegno agli investimenti pubblici e privati. La Commissione europea si attiva rapidamente per attuare alcuni punti essenziali del programma di Juncker. Nel gennaio del 2015 la Commissione approva una comunicazione intitolata “Sfruttare al meglio la flessibilità consentita dalle norme vigenti del Patto di stabilità e crescita”5 che recepisce molte delle istanze sollevate in materia dal governo italiano. Nello stesso mese, la Commissione approva la proposta legislativa per la creazione del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis); esso diverrà operativo nel giugno 2015 dopo l’approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio europeo. Malgrado il forte sostegno fornito dall’Italia al Piano Juncker e il contributo di 8 miliardi di euro al Feis da parte della Cassa depositi e prestiti (identico al contributo di Germania e Francia) nessun italiano viene chiamato a far parte dello Steering Board del Feis. Al tempo stesso, la Commissione prende l’iniziativa di riesaminare il progetto di riforma della governance economica europea, di cui Juncker si assume personalmente la responsabilità. La Commissione predispone a febbraio del 2015 una nota analitica6 in cui si riconosce apertamente che la Ue non è in grado di rispondere efficacemente e prontamente, come gli COM/2015/12, 13 gennaio 2015, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=celex:52015DC0012. 6 Jean-Claude Juncker et al., Preparing for Next Steps on Better Economic Governance in the Euro Area. Analytical Note, Informal European Council, 12 February 2015, http:// europa.eu/!kR64yF. 5 29 Fabrizio Saccomanni Stati Uniti, a situazioni di crisi e si richiedono contributi di idee ai paesi membri. L’Italia presenta un’ampia nota a maggio 2015 in cui chiede con dovizia di argomentazioni analitiche il “completamento e il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria”. La nota italiana sottolinea con forza la necessità di un approccio politico alla riforma che assicuri alla Ue l’irreversibilità della moneta unica, la resilienza nei confronti di crisi, la capacità di darsi una vera politica economica comune, la solidarietà tra gli stati membri. Per contro, il contributo franco-tedesco brilla per il suo basso profilo, la mancanza di visione e la scansione temporale volutamente lenta del processo di riforma. A giugno 2015 Juncker pubblica il Rapporto redatto in collaborazione con i Presidenti Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi e Martin Schultz, meglio noto come Rapporto dei cinque presidenti. Si tratta di un documento per molti aspetti deludente e certamente meno ambizioso del precedente Rapporto dei quattro presidenti7. In effetti il nuovo rapporto propone un processo di riforma da compiersi in tre stadi nell’arco di un decennio: il primo stadio (entro il giugno 2017) prevede essenzialmente di completare le innovazioni introdotte durante la crisi, utilizzando gli strumenti esistenti nei Trattati in vigore per promuovere la competitività e la convergenza strutturale; realizzare un più forte coordinamento delle politiche economiche nell’ambito di un rinnovato Semestre europeo; completare l’Unione bancaria e dei Mercati dei capitali. Per gli stadi successivi, il Rapporto indica solo obiettivi generici, ma resta costante il riferimento alla convergenza economica e alle riforme strutturali come precondizione per l’attivazione di una futura “funzione di stabilizzazione macroeconomica”. Per lo stadio finale, da completarsi nel 2025, si propone di muovere verso l’Unione politica con due misure di taglio assai diverso: l’inclusione del Meccanismo europeo di stabilità nella struttura istituzionale della Ue; la creazione di una Tesoreria europea che diverrebbe operativa man mano che decisioni politiche vengano assunte in sedi collettive. Manca nel rapporto ogni senso di urgenza del processo di riforma e soprattutto ogni riferimento alla necessità di dotare la Ue di un efficace strumentario di politica economica anticiclica, in una fase in cui l’Unione si trova a fronteggiare diffusi rischi di stagnazione e di deflazione e in cui appaiono evidenti i limiti che la politica monetaria della Bce incontra a gestire da sola l’avversa congiuntura. Fabrizio Saccomanni, “The Report of the Five Presidents: A Missed Opportunity”, in Documenti IAI, n. 15|14 (luglio 2015), http://www.iai.it/it/node/4421. 7 30 1.3 La governance economica eUropea Il Rapporto dei cinque presidenti resta comunque un documento non privo di importanza perché esso sarà la base per ogni futuro negoziato sulla riforma della governance europea nelle varie sedi istituzionali. La Commissione ha già presentato nell’ottobre 2015 una serie di proposte miranti ad attuare il primo stadio del Rapporto dei cinque presidenti. Il pacchetto comprende: la revisione del Semestre europeo; la creazione di Consigli nazionali per la competitività e di un Consiglio fiscale europeo (con ruolo consultivo e composto da esperti indipendenti); misure per unificare la rappresentanza esterna dell’area euro, in particolare presso il Fondo monetario internazionale (Fmi); il completamento della Unione bancaria, specialmente con la creazione di uno Sistema europeo di garanzia dei depositi. I negoziati su queste proposte sono stati tuttavia messi in subordine rispetto alle emergenze delle migrazioni di massa e delle minacce terroristiche. In effetti, il Consiglio europeo del dicembre 2015 ha confermato l’impegno per il completamento della Unione economica e monetaria, ma ha invitato il Consiglio Ecofin a concentrarsi su tre temi: una più efficiente governance economica e fiscale per rafforzare la competitività, la convergenza e la sostenibilità; la rappresentanza esterna dell’area euro; l’Unione bancaria. Circa gli altri temi di maggiore rilevanza per la riforma della governance, il Consiglio europeo ha ritenuto che siano necessari ulteriori approfondimenti da parte della Commissione e dell’Ecofin e si è riservato di tornare a considerare la questione entro la fine del 2017. In realtà, tra le cause di questa battuta d’arresto vi sono anche profondi disaccordi tra i principali paesi anche su alcuni aspetti fondamentali per il completamento dell’Unione bancaria. I pilastri mancanti nell’architettura dell’Unione bancaria (il sostegno comune al Meccanismo di risoluzione e lo Sistema di garanzia dei depositi) comportano forme di condivisione dei rischi nazionali e livello europeo che la Germania ritiene possano essere adottati solo dopo che si sia proceduto ad un’efficace opera di riduzione dei rischi. Da qui discendono proposte per l’introduzione di limiti al possesso di titoli di stato da parte delle banche e di nuove regole per la ristrutturazione automatica del debito di paesi che richiedano assistenza finanziaria dalla Ue. L’Italia ha preso una ferma posizione contraria a questo approccio che potrebbe alimentare nuovi focolai di crisi sistemiche, sostenendo la necessità di procedere simultaneamente alla condivisione e alla riduzione dei rischi nell’ambito di una strategia europea per la crescita, il lavoro e la stabilità8, 8 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per cresci- 31 Fabrizio Saccomanni in cui condivisione e riduzione dei rischi si rafforzano vicendevolmente. Il documento italiano ha una forte valenza politica innanzitutto perché fa giustizia delle polemiche su un’Italia che chiede solo e sempre flessibilità e che non avrebbe una vera strategia europea coerente con le regole e con gli impegni sanciti dai Trattati e dalle direttive europee. In effetti il documento si confronta con tutte le tematiche e le proposte emerse nel dibattito sulla riforma della governance e si pone nettamente nel mainstream europeo senza assumere posizioni divergenti da esso, ma ne sviluppa le implicazioni e sollecita aggiustamenti per superare le carenze e le incoerenze che le scelte politiche degli ultimi mesi hanno generato e messo in luce. In particolare il documento rigetta la linea prevalente secondo cui, nella fase attuale, la Ue ha cose più importanti da discutere della riforma della sua governance. Al contrario, il documento postula che la riforma della governance debba avere un respiro ampio e tenere conto di tutti i problemi economici, sociali e di sicurezza che la Ue si trova a fronteggiare, sia quelli della stagnazione e della disoccupazione, sia quelli che premono alla frontiere esterne dell’Unione. Si tratta di una impostazione del tutto condivisibile, dato che soluzioni permanenti alle emergenze delle migrazioni e della sicurezza non potranno essere trovate se non con misure che avranno implicazioni significative per i bilanci dei paesi membri e dell’Unione. Una riforma della governance è indispensabile per reperire le risorse comuni per gestire le emergenze e per evitare che si vada verso una violazione collettiva delle regole fiscali europee per effetto di misure individuali assunte in modo non coordinato. Ne deriverebbe una grave perdita di credibilità sui mercati finanziari dell’impegno per la sostenibilità fiscale che è uno dei capisaldi della Uem9. In questo contesto, le sfide che l’Italia si trova a fronteggiare sono di duplice natura. Da un lato occorrerà richiamare le istituzioni europee alla puntigliosa osservanza degli impegni che la Ue stessa si è data per il rilancio degli investimenti, le riforme strutturali e la promozione della responsabilità fiscale: si tratta di interventi che si rafforzano vicendevolmente e che vanno quindi perseguiti simultaneamente e non secondo un’arbitraria sequenza temporale. Sono parte integrante di questo capitolo gli impegni alla piena attuazione degli obiettivi del Feis, l’apertura dei mercati ta, lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html. 9 Fabrizio Saccomanni, “L’Italia e la riforma della governance economica europea”, in Documenti IAI, n. 16|04 (marzo 2016), http://www.iai.it/it/node/6082. 32 1.3 La governance economica eUropea dell’energia e delle telecomunicazioni, la revisione della procedura per gli squilibri macroeconomici, la riforma del bilancio comunitario, l’effettivo completamento dell’Unione bancaria e dei mercati dei capitali. D’altro canto l’Italia dovrà partecipare attivamente ai lavori di riflessione sui contenuti e i tempi della riforma della governance. Bisogna evitare che si giunga alla scadenza di fine 2017 con un altro piano decennale di obiettivi vaghi o generici; si dovrà anche porre sul tavolo dei negoziati l’opzione di una revisione dei Trattati, anche tenendo conto delle implicazioni che potrà avere l’esito del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue. L’Italia dovrà essere presente nel gruppo di esperti che la Commissione formerà nel 2016 per esaminare le precondizioni legali, economiche e politiche per l’attuazione delle proposte del Rapporto dei cinque presidenti. È pressoché un “atto dovuto” all’Italia che, dalla Conferenza di Messina in poi, ha sempre fornito alla costruzione europea un fondamentale contributo di idee e di proposte. 33 1.4 la riforma delle istituzioni Gianni Bonvicini Il tema del futuro istituzionale dell’Unione europea non è stato centrale nei primi mesi del governo di Matteo Renzi (insediatosi il 22 febbraio 2014) e neppure nel corso del semestre di presidenza italiano dell’Ue (secondo semestre 2014). Sin dall’inizio il governo si è concentrato soprattutto sull’obiettivo di ottenere da Bruxelles maggiore flessibilità nella gestione della politica di bilancio. Questa richiesta ha incontrato inizialmente molta resistenza da parte delle istituzioni europee. Ne sono scaturiti momenti di aspro confronto, con reiterati e in alcuni casi veementi attacchi di Renzi all’operato della Commissione, che hanno indotto il presidente Jean-Claude Juncker, subentrato all’inconsistente Barroso, a replicare seccamente che a Bruxelles non opera “una banda di burocrati”1. Questo balletto di accuse e controaccuse sono continuate per tutto il 2015 e l’inizio del 2016, fino alla clamorosa conferenza stampa (15 gennaio) in cui Juncker, con toni aspramente e insolitamente polemici verso Renzi, rivendicava a sé e alla Commissione la primogenitura delle proposte per una maggiore flessibilità2. Prendersela con la Commissione è in effetti uno sport molto diffuso in Italia – ove vi partecipano anche i partiti di opposizione – e in molti paesi dell’Unione, soprattutto quelli che hanno qualcosa da farsi perdonare3. Va infatti sottolineato che la Commissione esercita grandi poteri di controllo su come si comportano (spesso male) gli stati membri, ma che Dichiarazione di Jean-Claude Juncker del 4 novembre 2014 in risposta al parlamentare europeo Mafred Weber. 2 Non si ricorda in effetti un attacco personale e diretto così violento da parte di un presidente della Commissione al primo ministro di uno stato membro. La polemica si sopiva solo a seguito di una visita di Juncker a Roma il 26 febbraio 2016. 3 Vedi Appendice: Figura.1, Opinione sull’Unione europea (2016). 1 35 gIannI BonvIcInI questi poteri le vengono attribuiti dai Trattati e dalle decisioni prese dal Consiglio europeo – cioè dallo stesso organismo a cui partecipa il premier italiano – e dal Consiglio dei ministri. Oggi, non meno di ieri, non vi è foglia che si muova nell’Ue senza che passi al vaglio del Consiglio dei capi di Stato e di governo e dei loro ministri. Inutile quindi prendersela con l’esecutivo di Bruxelles; sarebbe piuttosto il caso di lavorare per rendere i meccanismi decisionali europei più trasparenti e legittimi. In effetti il problema centrale che l’Ue si trova oggi ad affrontare non è solo la persistente crisi economica o le regole attraverso cui si cerca di gestirla, ma anche le carenze del sistema di governo e del processo decisionale. Nei fatti, la massima istanza politica è il Consiglio europeo, ma poi, per la concreta definizione delle misure e per la loro attuazione, la palla passa al Consiglio dei ministri e alla Commissione. E così capita che i singoli capi di governo, dopo aver preso le decisioni alle riunioni di vertice, una volta tornati nelle rispettive capitali cominciano a criticarle, polemizzando in particolare con la Commissione che ha il compito di metterle in pratica. È un sistema che non potrà reggere a lungo, anche perché il Consiglio europeo non ha effettivi poteri di governo ed è per questo naturalmente portato ad affidarsi alle regole e ai criteri di convergenza sul cui rispetto la Commissione è chiamata a vigilare. Nel discorso di chiusura del semestre al Parlamento europeo (13 gennaio 2015), il premier Matteo Renzi aveva parzialmente aggiustato il tiro nei confronti della Commissione europea, riconoscendo che, con l’adozione da parte dei principali partiti transnazionale europei del sistema degli “Spitzencandidaten” (candidati al posto di presidente della Commissione), la Commissione aveva assunto un più spiccato ruolo politico e una legittimità maggiore nei confronti della stessa Assemblea di Strasburgo. In effetti, si era creduto in un primo tempo che tale innovazione potesse aprire la strada ad un notevole rafforzamento del ruolo delle istituzioni più marcatamente sovranazionali. La Commissione, con una maggiore legittimità democratica e nuovi poteri di controllo (soprattutto nel campo della sorveglianza macroeconomica), sembrava davvero intenzionata a svolgere un ruolo più propositivo4. Il Parlamento europeo, dal canto suo, appariva deciso ad assolvere appieno le sue funzioni legislative (accresciute con il Trattato di Lisbona), assumendo – al contempo – il ruolo di “innovatore istituzionale”. Infine, la Banca centrale europea era diventata Vedi in proposito il grande piano di investimenti europei annunciato da Juncker al Parlamento europeo il 25 novembre 2014. 4 36 1.4 La riForma deLLe iStitUzioni in breve tempo, sotto la guida di Mario Draghi, il punto di riferimento centrale, e in buona misura sovranazionale, della gestione dell’euro. Ma, a parte l’eccezionale performance della Bce che, malgrado le resistenze tedesche, è riuscita ad estendere il proprio potere di intervento ai limiti estremi delle proprie competenze, ben poche delle promesse e potenzialità emerse all’indomani delle elezioni europee del 2014 si sono realizzate. Commissione e Parlamento europeo hanno infatti continuato a giocare un ruolo largamente secondario. La necessità di una riforma istituzionale dell’Ue si è quindi riproposta come uno dei temi più prioritari e urgenti. Anche da parte italiana è stata avvertita l’esigenza di prepararsi a futuri adattamenti e riforme istituzionali, sia nel breve termine, con un utilizzo più incisivo del Trattato di Lisbona e dei nuovi strumenti creati negli anni della crisi, sia nel medio periodo, attraverso parziali riforme dei Trattati o, in prospettiva, cambiamenti più radicali dell’architettura istituzionale dell’Unione. Di qui la decisione da parte della Presidenza del Consiglio di istituire all’inizio del 2015, sotto la responsabilità del sottosegretario Sandro Gozi, un Gruppo di riflessione strategica sull’Ue, con il compito di contribuire, con specifiche proposte e iniziative, a orientare e far avanzare la fitta agenda europea di riforme politico-istituzionali: dall’attuazione del Rapporto dei cinque presidenti sul completamento dell’Unione economica e monetaria, alle sessioni dei Consigli europei dedicati a temi istituzionali, dalle implicazioni del referendum britannico sui rapporti con l’Ue all’elaborazione della nuova Strategia globale europea (European Global Strategy), affidata all’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini. Se quindi, da una parte il governo Renzi ha sviluppato un’accesa dialettica con la Commissione sulla concessione di maggiore flessibilità per le politiche di bilancio, dall’altra ha cercato di mettere a punto una propria agenda istituzionale, in linea con una convinzione più volte espressa dal premier e riassunta in una lettera al quotidiano La Repubblica: “La Ue sbaglia strada. Di sola austerity si muore. Ora vogliamo una svolta”5. Questo approccio strategico più attivo ha trovato riscontro in diverse iniziative avviate dal governo italiano nel 2015 e all’inizio del 2016. Già al termine del semestre di presidenza dell’Ue, in una nota al Coreper, Vedi la lettera di Renzi in La Repubblica, 11 febbraio 2016, p. 1, http://www.repubblica.it/politica/2016/02/11/news/renzi_lettera_a_repubblica_ue-133162994. 5 37 gIannI BonvIcInI il governo aveva sottolineato la necessità di un migliore funzionamento del sistema decisionale comunitario, che consentisse un maggior controllo democratico e una maggiore chiarezza e trasparenza nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità6. Una proposta più ampia e dettagliata sul completamento e rafforzamento dell’Uem è stata poi trasmessa alle istituzioni dell’Unione nel maggio del 2015 in vista del successivo Consiglio europeo di giugno7. Nella parte conclusiva del documento il governo italiano ha fra l’altro proposto il ricorso alle cooperazioni rafforzate previste dall’art. 333 del Trattato per il completamento e consolidamento dell’Uem come primo passo verso l’ipotesi di un’Europa a centri concentrici intorno all’area dell’euro opportunamente rafforzata dal punto di vista istituzionale8. In sintonia con questo tentativo di rilancio del dibattito sulla riforma degli assetti istituzionali dell’Unione è l’iniziativa del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni di promuovere un coordinamento tra i sei paesi fondatori. L’iniziativa è sfociata, dopo alcuni rinvii, in un incontro alla Farnesina fra i sei paesi (9 febbraio 2016). L’idea che il rinnovamento istituzionale dell’Ue dovesse far perno sulla cooperazione tra i sei fondatori era già stata fortemente sostenuta nel 2003 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nel contesto attuale essa si scontra però con notevoli ostacoli e con un diffuso scetticismo, date le profonde divergenze fra i sei su una serie di questioni centrali dell’agenda europea. Tuttavia, va riconosciuto al governo italiano di aver dato prova di capacità di proposta, avviando al contempo una ricerca di alleanze attorno all’obiettivo della riforma. Questo sforzo di “coalition building” è in effetti uno degli elementi chiave dell’azione diplomatica in seno all’Ue che ha spesso fatto difetto alla strategia italiana. Il governo ha quindi mostrato un attivismo sui temi della riforma istituzionale che non si registrava da tempo9. Va osservato tuttavia che i Council of the European Union, Improving the functioning of the EU. Final Presidency Report from the Friends of Presidency Group (16544/1/14 REV 1), 12 dicembre 2014, http://www.politicheeuropee.it/file_download/2486. 7 Presidenza del Consiglio, Completing and Strengthening the EMU. Italian Contribution, maggio 2015, http://www.politicheeuropee.it/file_download/2585. 8 Marinella Neri Gualdesi, “L’Italia e la ristrutturazione dell’Ue”, in AffarInternazionali, 28 gennaio 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3306. 9 Vanno ricordate in aggiunta diverse altre iniziative, come, fra gli altri, il documento del Ministero dell’Economia e delle Finanze su Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità, febbraio 2016; la consultazione fra quattro parlamenti di paesi “soci fondatori” (Francia, Germania, Italia e Lussemburgo) avviata dalla presidente della Came6 38 1.4 La riForma deLLe iStitUzioni tentativi di portare sulle posizioni italiane alcuni partner chiave dell’Ue sono stati saltuari e poco efficaci. Forse perché anche il governo Renzi ha incontrato serie difficoltà a riguadagnare la necessaria credibilità dopo anni di marginalizzazione e di devianza dal “cuore” dell’Unione. Rimane in effetti decisiva l’azione del governo italiano volta a riconquistare credibilità in Europa attraverso le riforme interne e il risanamento delle finanze pubbliche. Non meno importante è l’obiettivo di costruire una forte alleanza con la Germania, in primis, ma anche con la Francia su tutti i temi sopra ricordati e in particolare per il rilancio di politiche di crescita in grado di riconquistare la fiducia dei cittadini e per un radicale riassetto dell’architettura di governo europea. È nell’interesse dell’Italia essere riconosciuta come una forza propositiva ed attiva in Europa, che spinge per la riforma di un’Unione oggi palesemente in crisi. È auspicabile quindi che il governo approfondisca ulteriormente la strategia di più ampio respiro sviluppata a cavallo tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016, continuando ad adoperarsi per riportare al centro dell’attenzione l’urgenza di una riforma istituzionale dell’Ue. ra, Laura Boldrini, che in tempi recenti è riuscita ad allargare il gruppo a 11 parlamenti; infine la vista il 30 gennaio 2016 di Matteo Renzi a Ventotene/S. Stefano per rilanciare l’idea di un’Europa politica sulle tracce del Manifesto di Altiero Spinelli. 39 1.5 la politica estera europea Nicoletta Pirozzi e Lorenzo Vai Il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea (Ue) assunto dall’Italia nella seconda metà del 2014 ha permesso al paese di beneficiare di un periodo di rinnovato attivismo nella politica europea, ed in particolare nella politica estera. Sebbene il Trattato di Lisbona sottragga alla Presidenza di turno la competenza sull’azione esterna dell’Unione1, l’Italia ha deciso di inserire un capitolo dedicato all’“Europa nel mondo” nel programma della sua Presidenza, considerando il rafforzamento della posizione dell’Ue sulla scena internazionale funzionale alle politiche europee di crescita, occupazione e innovazione2. Un interesse che si è sommato alla forte azione politico-diplomatica intrapresa dal presidente del Consiglio Matteo Renzi per la nomina dell’allora ministro degli Affari esteri, Federica Mogherini, al ruolo di Alto rappresentate dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (Ar)3. L’azione italiana in Europa in merito ai dossier più rilevanti si è però scontrata con le difficoltà di un “semestre corto” La competenza sull’azione esterna dell’Unione è ora affidata in primo luogo all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza nonché vice presidente della Commissione europea, e al Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). 2 Europa, un nuovo inizio. Programma della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, 1 luglio-31 dicembre 2014, giugno 2014, http://www.governo.it/governoinforma/documenti/programma_semestre_europeo_ita.pdf. 3 La nomina di Federica Mogherini è stato ottenuta anche attraverso una serie di passi irrituali, come la lettera inviata da Renzi al neo-eletto Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, alla fine di luglio 2014, nella quale si designava ufficialmente l’ex ministro italiano come candidato alla posizione di “Mrs Pesc” (mentre è consuetudine che i rappresentanti degli Stati membri designino i propri candidati commissari senza indicare il ruolo auspicato). Vedi Matteo Renzi, lettera a Jean-Claude Juncker: “L’Italia designa Federica Mogherini come Mrs Pesc”, in Huffington Post, 31 luglio 2014, http://www. huffingtonpost.it/2014/07/31/renzi-juncker-mogherini_n_5639259.html. 1 41 nIcoletta pIRozzI e loRenzo vaI (reso tale dalle elezioni del Parlamento europeo e della nuova Commissione), con le priorità dell’agenda imposte dalla crisi economica, e – non da ultimo – con le molteplici divisioni politiche emerse tra Stati membri. Le (timide) risposte europee alla gestione dei flussi migratori si sono sicuramente giovate dell’iniziativa e del sostegno dell’Italia, nel corso del 2015, ma il ruolo del paese nella crisi ucraina, in quella siriana, e nella lotta internazionale al terrorismo islamista è apparso di secondo piano rispetto ad altri Stati membri. Una maggiore attenzione da parte del governo per la politica interna ed un inasprimento del confronto politico tra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e le istituzioni di Bruxelles hanno avuto riflessi negativi sull’apporto italiano alla politica estera europea tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. Successivamente, l’azione italiana è tornata a farsi più attiva, soprattutto sugli aspetti esterni della politica migratoria. Tra le questioni lasciate aperte nel 2015 e quelle acutizzatesi negli ultimi mesi, le sfide esterne destinate ad occupare l’agenda europea del 2016 si presentano numerose. In primo luogo, l’aggravarsi delle crisi umanitarie ha generato un aumento della pressione migratoria attraverso il Mediterraneo, ma anche l’apertura di nuove vie tra il Mar Egeo e il Mar Adriatico. Una soluzione di tipo politico (dialogo con i paesi d’origine e di transito), sociale (rafforzamento delle strutture di accoglienza in Europa) ed economico (sostegno alle comunità della diaspora) dovrà necessariamente affiancarsi a considerazioni di sicurezza. Già a partire dal 2014, l’Italia si è concentrata soprattutto sulla promozione di un’iniziativa europea più incisiva nel Mediterraneo, inteso come cuore dell’Europa – e non più come frontiera – al quale destinare una serie di azioni mirate a garantire sicurezza e sviluppo. Prioritaria importanza è stata dedicata al fenomeno migratorio e al tentativo di riequilibrare l’asse della politica europea di vicinato dal fronte orientale a quello meridionale4. In particolare, il governo italiano ha cercato di promuovere una maggiore solidarietà europea nella gestione dei richiedenti asilo e di individuare nuove strategie per la lotta all’immigrazione clandestina. Sul piano operativo, l’Italia ha puntato a rafforzare l’azione europea per la protezione delle frontiere marittime, attraverso il potenziamento dell’agenzia europea Frontex. A fine ottobre 2014 all’operazione nazionale Mare Nostrum ha fatto seguito quella europea Triton, che però è risultata molto meno ambiziosa per mandato e risorse5. A livello politico, il governo italiano ha inoltre sostenuto il piano 4 5 Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo volume. Commissione europea, Frontex Joint Operation ‘Triton’ - Concerted efforts to manage 42 1.5. la polItIca esteRa euRopea della Commissione per la ridistribuzione tra gli Stati membri di alcune (piccole) quote di rifugiati e, all’inizio del 2016, ha proposto l’emissione di eurobond per finanziare la gestione dei flussi migratori6. In considerazione dei legami tra il Mediterraneo e il continente africano, sono state intraprese varie iniziative per rafforzare la cooperazione politica, economica e di sicurezza, con i paesi d’origine e di transito per affrontare le cause prime del fenomeno migratorio. In quest’ottica si collocano le principali proposte del “Migration Compact”, il piano presentato dall’Italia all’Ue e agli altri stati membri nell’aprile 20167, nonché il processo di Rabat (che coinvolge i paesi dell’Africa occidentale, settentrionale e centrale)8 e quello di Karthoum, avviato sotto Presidenza italiana (che riguarda i paesi del Corno d’Africa, più Libia ed Egitto9. Da un punto di vista geopolitico, al centro degli interessi italiani nel Mediterraneo si colloca la Libia. Stato in via di fallimento, crocevia dei flussi migratori dai paesi del Sahel e del Corno d’Africa, contagiato ultimamente anche dal fenomeno jihadista, la Libia rischia di diventare una seconda Somalia alle porte dell’Europa. Dopo un primo fallimento dei negoziati condotti dal rappresentante della Nazioni Unite Bernardino León tra gli attori libici e la comunità internazionale, l’insediamento di un governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu e dall’Ue, si sta rivelando lento e difficoltoso a causa delle resistenze mostrate dai centri di potere di Tripoli e Tobruk e da alcune milizie. Nel paese l’instabilità politica continua ad abbinarsi ad un precario livello di sicurezza, che lascia aperta l’opzione di futuri interventi internazionali di pacificazione sul territorio. Gli sforzi compiuti dall’Italia per la stabilizzazione della Libia hanno prodotto fino ad ora risultati modesti10. Dopo un periodo di incertezza sul tipo di coinvolgimento operativo dell’Italia – civile, militare o semplicemente diplomatico – il governo ha puntato su un miglior utilizzo della missione Eunavfor Med Sophia per il contrasto del traffico di migranti, e migration in the Central Mediterranean, 7 ottobre 2014, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-14-609_it.htm. 6 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Una strategia europea condivisa per crescita, lavoro e stabilità, febbraio 2016, http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0192.html. 7 Vedi Migration Compact: Contribution to an EU strategy for external action on migration, 15 aprile 2016, http://www.governo.it/node/4509. 8 Per maggiori informazioni si veda il sito http://processusderabat.net. 9 Declaration of the Ministerial Conference of the Khartoum Process, Roma, 28 novembre 2014, http://www.esteri.it/mae/approfondimenti/2014/20141128_political_declaration.pdf. Vedi il capitolo di Nicoletta Pirozzi in questo volume. 10 Vedi il capitolo di Roberto Aliboni in questo volume. 43 nIcoletta pIRozzI e loRenzo vaI ha identificato come prioritario il lancio di missioni civili europee per la stabilizzazione del paese11. Il caso libico ha anche evidenziato come l’islamismo violento non possa più considerarsi una minaccia limitata ai territori siriano e iracheno e stia ormai alimentando un’ondata di terrore anche in Africa occidentale, come dimostrato dalle azioni di numerosi gruppi jihadisti nel corso del 2015 in Nigeria (Boko Haram), Mali (al-Murabitun) e Costa d’Avorio (Aquim), oltre al Nordafrica, in Tunisia e Algeria. Il sedicente Stato islamico (Isis) si è rivelato peraltro attivo anche nel cuore stesso dell’Europa. Gli attentati di Parigi nel gennaio e novembre 2015, e quelli del 22 marzo 2016 a Bruxelles ne sono una tragica testimonianza. L’Unione europea dovrà quindi interrogarsi sulle cause prime di un fenomeno che parte da lontano, ma sta contagiando le società europee, e atuare risposte unitarie attraverso un più stretto coordinamento fra le agenzie di polizia e di intelligence fino alla definizione di una strategia politica coerente per le crisi in Siria, Iraq e Libia. La radicalizzazione religiosa ed identitaria pone pesanti ipoteche anche sullo scacchiere mediorientale, il cui assetto geopolitico dopo la conclusione degli accordi riguardanti il programma nucleare iraniano rischia di essere interessato da nuove fratture, oltre che dalle tensioni israelo-palestinesi ormai “eternizzate” e dagli ambigui ruoli assunti dagli attori regionali nella lotta al terrorismo. In questo complesso quadro geopolitico, l’Italia si è impegnata soprattutto in azioni in ambito umanitario, nella formazione delle forze di sicurezza locali e nella difesa del patrimonio culturale minacciato dalle attività dei gruppi terroristici, senza però prendere parte ad operazioni militari volte a contrastare l’avanzata dell’Isis in Siria12. Ad est, la crisi ucraina, lungi dal poter essere definita un conflitto congelato, è una polveriera pronta a riesplodere al riacutizzarsi delle tensioni tra Unione europea e Russia, che sono acuite dalla mancanza di un approccio europeo condiviso alla dimensione orientale della politica di vicinato e alla gestione della questione energetica. L’Italia non è stata in prima linea nella gestione della crisi ucraina, ma ha dato pieno sostegno al lavoro diplomatico del “quartetto di Normandia” e al coinvolgimento dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) nell’opera di mediazione e nel monitoraggio degli accordi di “cessate il fuoco” raggiunti dalle parti in conflitto. Ha condiviso la politica delle san11 12 Vedi Migration Compact, cit. Vedi il capitolo di Andrea Dessì in questo volume. 44 1.5. la polItIca esteRa euRopea zioni, ma ha adottato una posizione meno intransigente e di apertura verso Mosca, motivata da ragioni economiche e politiche13. Sul fronte transatlantico, l’Italia ha ribadito il suo sostegno alla conclusione di un accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti (Ttip), ma ha chiesto una protezione degli standard qualitativi e sociali dell’Ue e una maggiore trasparenza del processo negoziale. Infine, degna di nota sono anche la costante proiezione dell’Italia nell’area balcanica in relazione al processo di allargamento dell’Unione e il contributo attivo del governo italiano ai negoziati tra Ue e Turchia per la conclusione di un accordo per la gestione dei flussi migratori14. Quest’ultimo ha offerto l’opportunità a Matteo Renzi di ribadire l’apertura dell’Italia ad un rilancio del processo di adesione della Turchia all’Ue, sottolineando però che esso resta “né facile, né breve”15. Per affrontare queste sfide l’Unione europea dovrà cercare di acquisire un ruolo di potenza regionale. Ciò sarà possibile soltanto se saprà dotarsi di strumenti concettuali realistici e condivisi tra gli Stati membri (inclusa una nuova Strategia globale) e rafforzare le sue capacità operative (con una ristrutturazione del Seae e il potenziamento delle sue capacità militari). Il ruolo dell’Italia non è semplice, data l’incertezza degli scenari ma, anche grazie all’iniziativa dell’Ar, potrebbe risultare determinante nel promuovere una politica estera europea più efficace e credibile. Vedi il capitolo di Giovanna De Maio e Daniele Fattibene in questo volume. Vedi la dichiarazione Ue-Turchia, 18 marzo 2016, http://www.consilium.europa.eu/ en/press/press-releases/2016/03/18-eu-turkey-statement. 15 “Renzi, l’accordo Turchia-Ue rispetta nostri paletti”, in Ansa Europa, 18 marzo 2016, http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2016/03/18/renzi-laccordo-turchia-ue-rispetta-nostri-paletti-_ce1065f2-f5fd-4a64-ba3f-223c157786c9.html. 13 14 45 2. la politica di sicurezza e difesa Alessandro Marrone e Vincenzo Camporini Tre sono stati gli elementi più rilevanti della politica di sicurezza e difesa condotta dal governo Renzi nel biennio 2014-2015. In primo luogo, l’adozione di un “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa” che, come avviene nei maggiori paesi europei, fornisce l’orientamento politico-strategico per lo sviluppo dello strumento militare ed il suo utilizzo ai fini della politica estera e di difesa dell’Italia. Al tempo stesso, le Forze Armate hanno continuato ad essere ampiamente impegnate in missioni internazionali nella regione euro-mediterranea, con uno spostamento di risorse dall’Afghanistan – dove la Nato ha ridotto la propria presenza militare – all’Iraq, nel quadro delle operazioni di contrasto al sedicente Stato islamico da parte della comunità internazionale. Sul labile confine tra sicurezza esterna ed interna, occorre infine ricordare l’impegno della Marina militare in diverse operazioni navali nel Mediterraneo, volte sia alla ricerca e soccorso di migranti in pericolo sia in mare sia al contrasto ai trafficanti di esseri umani, in particolare sulle rotte tra la costa libica e quella italiana. Il lIbro bIanco per la sIcurezza InternazIonale e la dIfesa Il varo del Libro bianco è uno dei principali risultati della politica condotta in questo settore dal governo Renzi, e in particolare dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, nel biennio 2014-2015. L’elaborazione di documenti analoghi per orientare la gestione e l’evoluzione dello strumento militare nel medio periodo sono prassi consueta in paesi come Gran Bretagna e 47 alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI Francia. In Italia, invece, l’ultimo esempio significativo risaliva al 1986. Il processo avviato nel 2014 su impulso del ministro Pinotti rappresenta dunque un’innovazione importante e impegnativa per le Forze Armate, che necessitano di una razionalizzazione complessiva per continuare a svolgere i compiti fissati dall’autorità politica a fronte di risorse economiche limitate e decrescenti. Infatti, le spese per la “funzione difesa”1 che ammontavano a 14.077 milioni di euro, pari allo 0,87 per cento del Pil nel 2014, contro un impegno in ambito Nato del 2 per cento, scenderanno ulteriormente a 12.735 milioni nel 20162. Il processo di elaborazione del Libro bianco è iniziato con la presentazione al Consiglio supremo di difesa del progetto del ministro della Difesa, che ha incaricato un gruppo di esperti di preparare le Linee guida per la stesura del documento vero e proprio. Le Linee guida sono state presentate nel giugno 2014, e il lavoro è poi proseguito con la redazione del documento sotto la supervisione del ministro. Dopo quasi un anno il Libro bianco è stato presentato dal ministro al Consiglio supremo della difesa il 21 aprile 2015, ed in seguito a governo e parlamento. Il Libro bianco delinea una strategia di medio termine per la politica di difesa italiana, correlando obiettivi, risorse e modalità per raggiungerli. Tra gli obiettivi, vi è un maggiore e più esplicito impegno a tutela degli interessi nazionali. Vi si afferma infatti che il fine ultimo della politica di difesa è la protezione degli interessi vitali e strategici dell’Italia, e che il primo compito delle Forze Armate è la difesa dello stato contro ogni possibile aggressione, per salvaguardare: l’integrità del territorio nazionale; gli interessi vitali del paese; la sicurezza delle aree di sovranità nazionale e dei connazionali all’estero; la sicurezza e l’integrità delle vie di comunicazione di accesso al paese3. La funzione difesa comprende tutte le spese necessarie all’assolvimento dei compiti militari specifici di Esercito, Marina ed Aeronautica, nonché della componente interforze e della struttura amministrativa e tecnico industriale del MinisteMinistero della Difesa. Vedi Roberta Maldacea, Alessandro Marrone e Paola Sartori, Bilanci e industria della difesa: tabelle e grafici, Roma, IAI, luglio 2015, http://www.iai.it/it/node/702. 2 Vedi Appendice: figura 7, Stanziamenti per la funzione difesa (mln di €). Ministero della Difesa, Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2015-2017, aprile 2015, http://www.difesa.it/Content/Pagine/Notaaggiuntiva.aspx. 3 Ministero della Difesa, Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, aprile 2015, p. 42, http://www.difesa.it/Content/Pagine/Libro_Bianco.aspx. 1 48 2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa La seconda missione consiste nella “difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei”, ovvero nel contributo alla difesa collettiva Nato e nel mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mediterraneo. La terza missione è la partecipazione a operazioni di prevenzione e gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire pace, sicurezza, stabilità e legalità internazionale, mentre la quarta consiste nel concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni nazionali e nello svolgimento di compiti specifici in circostanze di pubblica calamità. Il Libro bianco indica chiaramente come “ambito di azione prioritario degli interventi nazionali”4 la regione euro-mediterranea, che comprende i paesi Ue, l’area balcanica, l’area del Mar Nero, quella mediterranea parte del Medio Oriente, ed il Maghreb. In questa regione la Difesa deve “essere pronta ad assumersi dirette responsabilità in risposta a situazioni di crisi ed essere preparata ad interventi di pacificazione e stabilizzazione”5, anche assumendosi l’onere di guidare tali operazioni. L’indicazione esplicita di una priorità geopolitica è un fatto nuovo nella politica di difesa italiana, che denota un maggiore realismo nel correlare obiettivi e mezzi per raggiungerli. In generale, il documento utilizza un linguaggio realista ed esplicito. Ad esempio vi si considera apertamente l’ipotesi di “affrontare situazioni di conflittualità di natura tradizionale”6, un riferimento alla guerra tra stati inusuale nella tradizione politica dell’Italia repubblicana. Inoltre, si pone l’accento sul “dominio cibernetico” che dovrà essere “presidiato e difeso”7. Infine, si pone tra i compiti della Forze Armate la “eliminazione di eventuali minacce alla sicurezza e agli interessi del paese”8, collegando esplicitamente l’uso della forza alla tutela degli interessi nazionali. Perché le Forze Armate possano svolgere le missioni stabilite e raggiungere gli obiettivi fissati, il Libro bianco delinea un ambizioso piano di riforma della Difesa, che riguarda vari aspetti: l’organizzazione interna, con una razionalizzazione in senso interforze e una più chiara definizione del rapporto tra autorità politica del ministro e vertici militari; il personale e la sua formazione, nell’ottica di un ricambio generazionale, dello snellimento dei quadri degli ufficiali, e dell’istituzione della riserva operativa; il procurement e la politica industriale della difesa, anche con Ibid., p. 29. Ibid., p. 39. 6 Ibid., p. 17. 7 Ibid., p. 24. 8 Ibid., p. 41. 4 5 49 alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI l’introduzione di una legge sessennale per dare stabilità ai programmi strategici di acquisizione di sistemi d’arma; una nuova suddivisione del bilancio della difesa. Tuttavia, i tempi di attuazione di questo disegno di ampia portata hanno subito un significativo rallentamento rispetto a quanto previsto dal Libro bianco, a causa sia della complessità dei provvedimenti legislativi, regolamentari e amministrativi da porre in essere, sia delle resistenze suscitate all’interno della Difesa da una riforma che punta a eliminare rendite di posizione per dare maggiore efficienza, efficacia e sostenibilità allo strumento militare. Occorre inoltre notare che un importante programma di procurement è stato deciso prima dell’approvazione del Libro Bianco, in modo scollegato dal disegno strategico del documento approvato dal Consiglio Supremo di Difesa. Si tratta della cosiddetta “legge navale”, ovvero il finanziamento di 5,4 miliardi di euro in dieci anni stanziato dalla legge di stabilità 2014, per l’acquisizione da parte della Marina militare di sei Pattugliatori polifunzionali d’altura (Ppa), di un’unità anfibia multiruolo e di un’unità da supporto logistico. L’impegno miLitare neLLa regione euro-mediterranea: daLL’afghanistan aLL’iraq Nel 2014 si è conclusa la missione International Security Assistance Force (Isaf) della Nato in Afghanistan, dopo 11 anni di attività; nel 2015 è stata sostituita dalla missione Resolute Support che ha preso il testimone da Isaf nell’assistere le forze di sicurezza afgane nei compiti di controllo del territorio e imposizione dell’autorità del legittimo governo nazionale. La forza guidata dalla Nato è passata dalle oltre 87mila unità dell’estate 2013 alle circa 12.500 di aprile 2016; anche il suo mandato è cambiato: non svolge più compiti di combattimento, ma esclusivamente di assistenza alle forze afgane. In linea con gli orientamenti Nato, il governo italiano ha gradualmente ridotto il contingente in Afghanistan dalle 4-5mila unità del periodo 2008-2013 alle 950 di aprile 2016, dislocate tra la capitale Kabul e Herat dove l’Italia mantiene da dieci anni la responsabilità del comando regionale occidentale. Le ipotesi di ulteriori riduzioni dell’impegno alleato, avanzate durante il 2014, sono state accantonate vista la perdurante attività della guerriglia talebana, ed è dunque probabile che la Nato – e quindi l’Italia – mantenga l’attuale contingente almeno per tutto il 2016. 50 2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa Tabella 1 – Principali missioni militari italiane* Africa Antipirateria ue Atalanta 180 eutm (somalia) 110 Europa Kosovo 550 Mare sicuro 900 eunavfor Med 620 Asia Afghanistan (rsm-eupol) 950 Libano (Uniil) 1100 Miadit (palestina) 30 coalizione internazionale anti Daesh 700 egitto - Mfo 80 Territorio nazionale strade sicure 6300 Altre missioni circa 340 Personale impiegato* operazioni internazionali 5700 operazioni nazionali 6300 Fonti: D.l. 174/2015; l. 125/2008 e s.m.i.; D.l. 185/2015. * Il numero del personale può variare quotidianamente in funzione delle esigenze operative e logistiche. Sempre nell’ambito dell’Alleanza atlantica, va ricordato l’impegno italiano per l’attuazione del Readiness Action Plan (Rap) deciso nel 2014 dal vertice di Newport, che mira a rafforzare la prontezza delle forze Nato, specialmente sul fianco est, al fine di esercitare un effetto di dissuasione sulla Russia e rassicurare i paesi membri dell’Europa orientale anche in risposta alla crisi in Ucraina. L’Italia ha assunto, in particolare, l’impegno a guidare nel 2018, come “framework nation”, la Very Rapid Joint Task Force (Vjtf), che è la “punta di lancia” delle forze di reazione rapida alleate. La Vjtf, che è guidata a rotazione dai paesi membri, è in grado di dispiegare 5mila uomini nell’arco di pochi giorni in caso di crisi o minaccia imminente. Nei primi quattro mesi del 2015 l’Italia ha inoltre impiegato quattro Eurofighter dell’Aeronautica militare per l’Air Policing delle repubbliche baltiche. L’Air Policing, che si esplica in un’attività aerea Nato a difesa dei paesi privi di assetti militari in grado di svolgere questo compito, ha assunto particolare 51 alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI rilevanza, e rischiosità, a seguito dell’intensificazione da parte di Mosca delle ricognizioni senza preavviso dei propri velivoli da combattimento al limitare dello spazio aereo dei paesi baltici. Al termine della missione, su richiesta dei paesi baltici e della Nato, l’Italia ha prolungato di ulteriori quattro mesi la sua attività di Air Policing, in aggiunta al turno prestabilito, come concreto sostegno alla difesa collettiva sul “fianco est” dell’alleanza. Inoltre, l’Italia è stata una delle tre nazioni co-organizzatrici dell’esercitazione Trident Juncture svoltasi nell’ottobre 2015. Si è trattato della esercitazione Nato su più larga scala dal 2002, cui hanno preso parte 30 tra paesi membri e partner dell’Alleanza, per un totale di 36mila militari, 140 aerei e 60 navi. Anche grazie a tale impegno dell’Italia, a marzo 2016 per la prima volta un generale italiano, Salvatore Farina, è stato nominato capo del Joint Force Command di Brunnsum, una delle posizioni apicali della struttura militare Nato. Non è invece andata a buon fine nel 2014 la candidatura di Franco Frattini a Segretario generale dell’Alleanza, posizione che dal 1971 non viene ricoperta da un italiano. Né ha avuto l’effetto sperato l’impegno italiano a favore di una maggiore attenzione Nato al “fianco sud” dell’Alleanza, sebbene la Strategic Level Guidance, approvata dai ministri degli Esteri alleati nell’ottobre 2015 abbia segnato un passo in avanti in questa direzione9. Ad aprile 2016 l’Italia era impegnata, nel complesso, in 25 missioni internazionali in 18 paesi, con circa 5.700 militari con importanti ruoli di comando nei contingenti multinazionali. Tra le missioni all’estero, oltre alla suddetta Resolute Support, la maggiore era quella in Libano, dove l’Italia schierava 1.100 uomini nell’ambito della missione Unifil, forte di 11mila unità. L’Italia ha mantenuto ininterrottamente dal 2007 il comando dell’Unifil, guidata dal 2014 dal generale Luciano Portolano. Seguivano, per entità, le missioni in Iraq (700 effettivi), in Kosovo (550 unità) dove la Kfor Nato era guidata dall’Italia, in Corno d’Africa e Golfo di Aden (290 unità) dove anche la missione Eutm Somalia era a guida italiana10. Nell’ultimo biennio il governo Renzi ha attuato un ri-orientamento complessivo dell’impegno militare all’estero verso la regione mediterranea, tenendo conto dei crescenti fattori di instabilità nell’area – dalla crisi migratoria all’avanzata del sedicente Stato islamico – e della riduzione della presenza Nato in Afghanistan. In questo contesto, significativa è sta- Paola Tessari, Paola Sartori e Alessandro Marrone, “La politica di difesa italiana tra Nato e Libro Bianco”, in Documenti IAI 15|25 (dicembre 2015), http://www.iai.it/it/ node/5709. 10 Ministero della Difesa, Riepilogo delle missioni internazionali, aprile 2016, http:// www.difesa.it/OperazioniMilitari/Pagine/RiepilogoMissioni.aspx. 9 52 2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa ta la decisione del governo di partecipare attivamente alle operazioni militari condotte dalla coalizione internazionale a guida americana in Iraq contro lo Stato islamico, senza però un impegno diretto nei bombardamenti. Tale partecipazione si è concretizzata in primo luogo, ad agosto 2015, nella fornitura di equipaggiamenti militari agli alleati curdi, e subito dopo nel progressivo invio di capacità aeree con compiti di ricognizione e acquisizione di obiettivi (quattro velivoli da combattimento Tornado, due velivoli a pilotaggio remoto Predator, un velivolo da rifornimento in volo Kc-767). Al tempo stesso, con le missioni Prima Parthica e Inherent Resolve l’Italia ha inviato, a sostegno degli alleati iracheni e curdi, istruttori, consiglieri militari e forze speciali appartenenti a tutte le forze armate, compresi 90 carabinieri per l’addestramento delle forze di polizia irachene, per un totale di 700 unità. L’impegno in Iraq rappresenta il principale contributo militare italiano alla lotta contro lo Stato islamico, e si affianca ad altre iniziative di intelligence, diplomatiche ed economiche, nel quadro di uno sforzo complessivo che si è intensificato dopo gli attentati di Parigi nel 2015 e di Bruxelles nel 2016. L’Italia ha scelto di impegnarsi militarmente in Iraq, dove l’intervento internazionale si basa su una richiesta da parte del legittimo governo iracheno, mentre nel teatro siriano ha sostenuto l’iniziativa diplomatica guidata dall’Onu che mira al coinvolgimento di tutti i principali gruppi locali coinvolti nella guerra civile in corso dal 2011, in vista del raggiungimento di uno stabile cessate il fuoco che agevoli il contrasto allo Stato islamico11. Quanto alla Libia, il ministero della Difesa ha lavorato ad eventuali scenari di impiego operativo, predisponendo lo strumento militare ad un alto grado di allerta. Il governo ha però preso in considerazione un eventuale intervento solo in Libia in un quadro politico-strategico in cui siano soddisfatte alcune condizioni, in primis un accordo intra-libico su un governo di unità nazionale12. tra sicurezza esterna ed interna: mare nostrum, triton ed eunavfor med La missione Mare Nostrum attuata dall’Italia tra l’ottobre 2013 e l’ottobre 2014 è stato il maggiore esempio di coordinamento interministeriale sul labile confine tra sicurezza esterna ed interna, avendo assolto una plu11 12 Vedi il capitolo di Andrea Dessì in questo volume. Vedi il capitolo di Azzurra Meringolo in questo volume. 53 alessandRo MaRRone e vIncenzo caMpoRInI ralità di compiti: il controllo delle acque territoriali italiane e della zona contigua, il contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti clandestini, e le operazioni di ricerca e soccorso (Search and Rescue, Sar) in mare. Si è trattato di una delle più grandi operazioni di salvataggio in mare nella storia del Mediterraneo: nel corso dei 12 mesi della missione sono stati salvati in mare circa 200mila migranti e arrestati oltre 250 trafficanti di esseri umani. Per quanto riguarda la componente militare, la Marina ha contribuito stabilmente con 920 militari ed una flotta di cinque navi. Nell’ambito di una più ampia politica dell’immigrazione13, dal 2014 il governo si è speso per un maggiore impegno Ue nella gestione dei flussi migratori, ed in particolare nelle operazioni Sar, raggiungendo due risultati a livello operativo. Da un lato sono state potenziate le attività nel Mediterraneo dell’agenzia Frontex, con il varo dell’operazione Triton che ha coinvolto assetti navali e aerei di altri otto paesi europei coordinati dall’Italia. Dall’altro è stata lanciata la missione Eunavfor Med, il 22 giugno 2015, nell’ambito della politica comune di sicurezza e difesa dell’Ue. La missione ha il compito di contrastare le reti criminali che organizzano il traffico di migranti attraverso il Mediterraneo e ridurre il flusso migratorio via mare, in conformità al diritto internazionale. L’Italia ha il comando della missione, tramite il Comando operativo di vertice interforze (Coi) (con l’ammiraglio Enrico Credendino alla guida dell’operazione). Dopo una prima fase di raccolta di informazioni e di pattugliamento in alto mare, il 7 ottobre 2015 la missione è entrata nella “fase 2i” che prevede la possibilità di procedere a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti in alto mare di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico di esseri umani. Al momento, è pertanto escluso che il dispositivo aeronavale Eunavfor Med possa operare nelle acque territoriali della Libia a meno di una richiesta esplicita da parte del governo libico. Attualmente 22 paesi europei contribuiscono in diversa misura all’operazione, sia in termini finanziari, sia fornendo assetti e/o personale militare, e l’Ue ha stanziato 12 milioni di euro per contribuire ai costi della missione fino a luglio 201614. L’Italia schiera circa 620 militari, e la portaerei Cavour funge da nave comando dell’operazione che conta nel complesso sette navi e sei tra velivoli ed elicotteri. Visti i recenti sviluppi nel Mediterraneo, è probabile Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo volume. Alessandro Ungaro, “Eunavfor Med guarda alla Libia”, in AffarInternazionali, 15 ottobre 2015. http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3198. 13 14 54 2. la polItIca dI sIcuRezza e dIFesa che la missione Eunavfor Med venga rinnovata dall’Ue per lo meno fino a luglio 2017, mentre il passaggio alle fasi successive, militarmente più robuste, dipenderà dal consolidamento del governo libico di unità nazionale. Infine, la missione nazionale Mare sicuro vede impegnate circa 900 unità nel Mediterraneo centrale per il presidio delle zone di pesca e la protezione delle piattaforme energetiche italiane off-shore. Occorre infine ricordare che il programma multinazionale, a guida statunitense, di procurement dei velivoli da combattimento multiruolo F-35 è stato oggetto di forti polemiche politiche nella prima metà del 2014. Il governo ha comunque mantenuto l’impegno italiano nel programma, sebbene con un rallentamento del ritmo di acquisizione dei velivoli dovuto ai vincoli di bilancio. L’Italia conta di acquisire circa 27-30 F-35 entro il 202015, assemblati nello stabilimento italiano di Cameri, con l’obiettivo finale di arrivare a 90 aerei per sostituire i 253 caccia (Amx, Tornado e Av-8B) di Aeronautica a Marina militare la cui dismissione causa obsolescenza sarà gradualmente completata nel prossimo quindicennio. Molto difficilmente il programma di acquisizione verrà cancellato o sospeso, mentre la sua tempistica continuerà probabilmente a dipendere dalle condizioni del bilancio pubblico ed in particolare di quello della difesa. 15 2016. Pietro Batacchi, “Quattro nuovi F-35 per l’Italia”, in Rivista Italiana Difesa, 17 marzo 55 3. strategia e priorità della politica migratoria Marcello Di Filippo La natura delle dinamiche all’origine dei flussi migratori verso i paesi europei è tale da rendere ogni azione unilaterale poco incisiva o del tutto priva di risultati pratici apprezzabili. Un paese come l’Italia, collocato alla frontiera esterna dell’area Schengen e al centro del Mediterraneo, ha bisogno più di altri di collocare la propria azione in un contesto di concertazione e cooperazione sia con gli stati membri dell’Ue e le istituzioni comuni sia con i paesi di origine delle nazionalità maggiormente rappresentate e con quelli di più frequente transito nelle rotte verso l’Europa. Il 2015 è stato un anno in cui alcuni temi posti con forza dal governo italiano hanno trovato un’eco a livello europeo, anche se gli esiti sono stati ben al di sotto delle aspettative e la situazione complessiva non ha registrato miglioramenti effettivi. Con riguardo alle attività di monitoraggio dei flussi via mare1, il 2014 si era chiuso con il passaggio di consegne tra l’operazione Mare Nostrum e la ben modesta operazione Triton, coordinata da Frontex. Sia il mandato che la dotazione operativa di Triton hanno rappresentato una doccia fredda per l’Italia che aveva legittimamente chiesto agli altri stati membri di condividere gli oneri della ricerca e soccorso dei migranti e di dispiegare mezzi adeguati alle sfide da affrontare. Solo l’onda emotiva di un naufragio avvenuto nell’aprile 2015 al largo delle coste della Sicilia in cui si stima abbiano perso la vita tra i 700 e i 900 migranti ha aperto la strada a un cambiamento di paradigma, come da tempo invocato dall’Italia. La dotazione e il mandato di Triton sono stati rafforzati (anche se non è stata 1 Vedi Appendice: Figura 2, Sbarchi sulle coste italiane. 57 MaRcello dI FIlIppo trasformata in un’operazione “gemella” di Mare Nostrum), ma sul piano operativo ella missione è stata tenuta ferma la regola per cui in quasi tutti i casi è l’Italia lo stato di sbarco, tranne un diverso accordo raggiunto caso per caso con altri Stati costieri (es. Malta). In parallelo, è stata avanzata la richiesta di contrastare attivamente le organizzazioni criminali che dalle coste libiche gestiscono la tratta dei migranti attraverso un dispositivo militare, sul modello dell’operazione Atalanta contro la pirateria somala. Un tale approccio è stato oggetto di un acceso dibattito in ragione della compresenza di questioni giuridiche, difficoltà operative, dubbi circa il rapporto costi-benefici, e rischi per l’incolumità dei migranti. Tali discussioni hanno avuto come esito l’avvio di un’operazione militare dell’Ue (Eunavfor Med Sophia)2, articolata in varie fasi, che ha ricevuto l’avallo dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu3. Il dispositivo militare di Eunavfor Med, che è stato dispiegato negli spazi marini internazionali prospicienti le acque territoriali libiche, ha sinora svolto attività di osservazione e raccolta informazioni (fase 1) e di arresto di presunti “scafisti” e distruzione di imbarcazioni, contemporaneamente al soccorso e successivo sbarco in Italia dei migranti trasportati (fase 2.i). La fase 2.ii (azione nelle acque territoriali e interne libiche) e la fase 3 (intervento, ove necessario, sulle coste libiche) non hanno avuto concreto avvio, a causa dell’assenza in Libia di un governo rappresentativo riconosciuto internazionalmente – il cui consenso è necessario, ai sensi del diritto internazionale e della risoluzione n. 2240 del Consiglio di Sicurezza – e di un quadro politico stabile. L’Italia ha anche attuato un’ampia offensiva diplomatica nei confronti dell’Ue e degli altri Stati membri per ottenere una traduzione del principio di solidarietà intra-Ue, di cui all’art. 80 Tfue, in atti concreti, che vadano oltre l’assistenza finanziaria o tecnica o il lancio di operazioni congiunte. In particolare, un punto su cui è stato investito un notevole capitale politico è la redistribuzione su tutto il territorio europeo delle persone giunte sul territorio italiano (in gran parte via mare), e in particolare dei richiedenti asilo4. Ne è nata un’aspra contesa politica a livello europeo, in cui l’Italia ha cercato una sponda diplomatica non solo nella Grecia (paese in cui l’ondata migratoria ha creato una situazione ben più grave) ma anche in altri paesi europei i cui sistemi di asilo sono sotto pressione (ad esemVedi le decisioni (Pesc) n. 2015/778 del 18 maggio 2015, n. 2015/972 del 22 giugno 2015, n. 2015/1772 del 28 settembre 2015 e n. 2016/118 del 20 gennaio 2016. 3 Vedi la risoluzione n. 2240 del 9 ottobre 2015. 4 Vedi Appendice: figura 3, Richieste d’asilo in Europa (2015). 2 58 3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa pio la Germania). Il risultato è stato l’adozione di un piano europeo5 che per la prima volta ha tradotto in termini giuridici l’esigenza di ridistribuire su tutto il territorio dell’Unione, con l’eccezione del Regno Unito, una parte (160mila in due anni) dei richiedenti asilo giunti in Italia e in Grecia. Occorre rimarcare, tuttavia, che tale passaggio è stato accompagnato da soluzioni giuridiche discutibili e da forti obiezioni da parte di alcuni paesi6 (nonché da due ricorsi di annullamento7). Ne è seguita una deludente fase applicativa, che ha ridimensionato notevolmente la portata della novità8. Il concomitante intensificarsi del flusso sulla cosiddetta rotta balcanica e le correlate tensioni politiche tra gli Stati membri e all’interno degli stessi hanno notevolmente complicato l’attuazione del piano. Peraltro, i numeri previsti dalle decisioni summenzionate sono apparsi ben presto inadeguati di fronte alla crescente pressione migratoria, che ha continuato a produrre una distribuzione de facto dei migranti in aperto contrasto con l’esigenza di un’equa distribuzione degli oneri. Un altro dossier su cui il governo italiano si è impegnato è la proposta di istituire una “Guardia costiera e di frontiera europea”9, oggetto di un serrato negoziato tra Consiglio e Parlamento europeo in vista di una sua adozione entro l’estate del 2016. Meno attiva è apparsa l’Italia su altre questioni, come la revisione del codice visti10 e la direttiva sulla cosiddetta carta blu11 relativa alle condizioni e procedure di ammissione dei cittadini dei paesi terzi altamente qualificati, che pur rappresentano una componente di rilievo del complesso sistema di governance europea dei flussi Vedi le decisioni n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015, adottate sulla base dell’art. 78, par. 3 Tfue. 6 Vedi Marcello Di Filippo, “Le misure sulla ricollocazione dei richiedenti asilo adottate dall’Unione europea nel 2015: considerazioni critiche e prospettive”, in Diritto, immigrazione, cittadinanza, vol. 17, n. 2 (2015), p. 33-60. 7 Causa C-647/15: Ricorso proposto il 3 dicembre 2015, Ungheria/Consiglio dell’Unione europea. 8 Commissione europea, Seconda relazione sulla ricollocazione e il reinsediamento (COM/2016/222), 12 aprile 2016. Soprattutto l’allegato 2, ove si dà conto di sole 530 persone ricollocate dall’Italia alla data dell’11 aprile 2016. 9 Commissione europea, Proposta di regolamento relativo alla guardia costiera e di frontiera europea (COM/2015/671), 15 dicembre 2015. 10 Vedi Commissione europea, Proposta di regolamento che istituisce un visto di circolazione (COM/2014/163) e Proposta di regolamento relativo al codice dei visti dell’Unione (COM/2014/164), entrambi del 1̊ aprile 2014. 11 Public consultation on the EU Blue Card and the EU’s labour migration policies, http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-is-new/public-consultation/2015/consulting_0029_en.htm. 5 59 MaRcello dI FIlIppo migratori. Infine, per quanto riguarda la (spesso) invocata esigenza di rivedere il regolamento Dublino III, il governo ha avanzato in più occasioni l’idea di un sistema di quote basato sul principio di solidarietà ed equa distribuzione dei richiedenti asilo e la richiesta di superare il criterio del primo luogo di ingresso quale criterio di attribuzione della competenza ad esaminare una domanda di asilo12; tuttavia, è sembrata mancare l’elaborazione di proposte contenutistiche dettagliate, tali da superare le prevedibili obiezioni di molti paesi membri e rimediare alle note deficienze del sistema vigente13. È un dossier su cui sarà necessario mantenere alta l’attenzione, in considerazione della recente presentazione di una proposta della Commissione e alla luce della deludente attuazione del summenzionato piano di ridistribuzione dei richiedenti asilo sul territorio europeo. Passando ora al piano dei rapporti con i paesi terzi, il governo italiano non ha mancato di sottolineare a più riprese come la gestione dei flussi e la riduzione di quelli irregolari non possano essere disgiunte da una decisa azione che affronti le cause che li originano e da una cooperazione strutturata, e non meramente occasionale, con i paesi di partenza e di transito, che coinvolga tutti gli attori internazionali rilevanti, incluse le organizzazioni internazionali14. A tali affermazioni di principio sono seguite alcune iniziative che meritano di essere menzionate. In primo luogo, il supporto offerto agli sforzi diplomatici condotti dalle Nazioni Unite per stabilizzare il contesto libico e consentire l’insediamento di un governo di unità nazionale. Senza dubbio, il caos che regna in Libia impedisce un’azione efficace contro le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani. D’altronde, la stabilizzazione della Libia non sarà certo risolutiva, in quanto essa è essenzialmente un paese di transito per flussi provenienti dall’Africa sub-sahariana: anche qualora in Libia fossero ricostituite istituzioni unitarie ed efficienti, difficilmente i flussi verso l’Europa e l’Italia terminerebbero. V. ad esempio la risposta del Ministro dell’Interno Angelino Alfano all’interrogazione parlamentare n. 3-01456, presentata alla Camera dei Deputati il 22 aprile 2015, http:// www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0413; e il comunicato stampa del Ministero dell’Interno in merito al Consiglio straordinario Gai di Amsterdam del 25 gennaio 2016, http:// www.interno.gov.it/it/notizie/lavorare-salvare-schengen. 13 Vedi Marcello Di Filippo, “Bye bye Dublin?”, in AffarInternazionali, 1̊ marzo 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3354. 14 Vedi ad esempio le comunicazioni del presidente del Consiglio alla Camera dei Deputati, in vista del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015 e di quello del 25-26 giugno 2015 (seduta n. 413 del 22 aprile 2015 e n. 449 del 24 giugno 2015). 12 60 3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa In secondo luogo il governo italiano – d’intesa con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche e la Tavola valdese – ha realizzato nel periodo febbraio-giugno 2016 una forma di ingresso protetto per un totale di 280 cittadini siriani (nuclei familiari, minori) che erano ospitati in strutture di accoglienza in Libano. Si tratta di un progetto pilota che, nel quadro di un accordo raggiunto a metà dicembre tra il governo italiano e gli enti menzionati, prevede l’arrivo di un migliaio di persone in due anni dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia. Tale esperimento presenta aspetti di indubbio interesse e merita di essere perseguito con decisione, nell’ottica di una strategia complessiva per una governance efficace del fenomeno dei profughi (siriani o di altra nazionalità), i quali con troppa frequenza sono costretti ad affidarsi a organizzazioni criminali data la pratica impossibilità di giungere in Europa per via legali. Il focus sul Libano è degno di menzione, in quanto il paese mediorientale è gravato da oneri di accoglienza rispetto a cittadini siriani in fuga che vanno oltre le sue capacità e che incidono sulla sua stabilità politica e sociale. Un ragionamento analogo vale per la Giordania. In una congiuntura in cui l’attenzione dell’Ue e di una buona parte degli stati membri (tra cui spicca la Germania) sembra concentrata sulla Turchia (come peraltro testimoniato dall’intesa raggiunta tra Ue e Turchia a margine del Consiglio europeo del 17-18 marzo 2016) è quanto mai opportuno che l’Italia mantenga alta l’attenzione su altri paesi di prima accoglienza dei richiedenti asilo e sulla necessità di sostenere i loro sforzi. In terzo luogo il Processo di Khartoum – fortemente sostenuto dall’Italia – che mira a combattere la tratta di essere umani e a promuovere uno sviluppo sostenibile nei paesi di origine e di transito, è confluito (insieme a quello di Rabat) nell’alveo degli orientamenti strategici dell’Ue sulla dimensione esterna della politica migratoria e dell’asilo, rivisti e affinati soprattutto in occasione del Consiglio europeo del giugno 2015, del vertice informale Ue del settembre 2015 e del vertice euro-africano di La Valletta del novembre 2015 (preceduto da un non paper comune di Francia, Germania e Italia). In tale contesto non si può fare a meno di notare come i documenti europei più recenti si sforzino di non apparire (eccessivamente) sbilanciati sul contrasto ai trafficanti e sul contenimento dei flussi, siano essi di natura economica o forzata. Sembra infatti prendere forma una prospettiva più ampia (corroborata dal lancio di un Fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa15), che punta sul miglioramento delle opportunità 15 Vedi Europe Aid, The EU Emergency Trust Fund for Africa, http://ec.europa.eu/euro- 61 MaRcello dI FIlIppo di sviluppo dei paesi più arretrati, sulla stabilizzazione dei conflitti locali e regionali, e su un dialogo critico con i regimi accusati di provocare flussi in uscita di richiedenti asilo. In tale prospettiva si colloca pure il non paper denominato “Migration Compact” che il governo italiano ha sottoposto all’attenzione dell’Ue e degli Stati membri nell’aprile 2016. In tale documento si sottolinea la necessità di una continuativa e credibile azione esterna, che affianchi e integri gli strumenti “interni” dell’Ue e ponga l’Africa al centro degli interventi dell’Ue e dei suoi Stati membri. In particolare, un gruppo di paesi chiave di transito e partenza dovrebbe essere coinvolto in un processo partecipato e paritario di valutazione degli obiettivi e delle priorità nella gestione dei flussi migratori e dei sistemi di asilo, al fine di pervenire per ciascuno di essi a una roadmap che – in cambio di un migliore controllo dei flussi in uscita e di una maggiore collaborazione sui rimpatri – offra opportunità di crescita economica, consolidamento istituzionale, miglioramento della governance e delle capacità dei sistemi nazionali di asilo. Nelle settimane immediatamente successive, le istituzioni Ue e numerosi Stati membri hanno espresso una sintonia di vedute con il governo italiano, come testimoniato da dichiarazioni dell’Alto rappresentante Federica Mogherini, dalle conclusioni del Consiglio affari esteri del 23 maggio 2016 e da un importante documento di orientamento pubblicato dalla Commissione in vista del Consiglio europeo di fine giugno 2016 e relativo ad un nuovo quadro di partenariato con i paesi terzi (non solo africani). Mentre è troppo presto per elaborare un giudizio articolato su questa rinnovata attenzione rivolta agli aspetti esterni della politica migratoria e di asilo, occorrerà prestare attenzione ai finanziamenti messi effettivamente a disposizione dall’Ue e dagli stati membri, alle priorità politiche che troveranno maggiore concretizzazione, alla quantità e qualità dei progetti che saranno attuati16, alla capacità di coinvolgere non solo i governi degli stati africani, ma anche le organizzazioni regionali pertinenti, la società civile e le realtà imprenditoriali promosse dagli stessi migranti, troppo spesso emarginate nella fase attuativa delle politiche di cooperazione17. La scarsa efficacia di una logica eminentemente securitaria peaid/regions/africa/eu-emergency-trust-fund-africa. 16 Vedi Ferruccio Pastore, Quali leve per una governance migratoria più efficace? Migrazioni regolari e mobilità nel quadro della strategia migratoria estera dell’Unione europea dopo il summit di La Valletta, Policy Brief per il Ministero degli Affari esteri, dicembre 2015. 17 Vedi Lorenzo Coslovi, Petra Mezzetti e Andrea Stocchiero, Quale spazio per la società civile nel Processo di Khartoum?, Policy Brief per il Ministero degli Affari esteri, dicembre 2015. 62 3. stRategIa e pRIoRItà della polItIca MIgRatoRIa sembra ormai acclarata, e vi è da augurarsi che l’Italia, insieme agli altri paesi europei, mantenga ferma l’intenzione di dare un’impostazione più equilibrata alla gestione dei fenomeni migratori, senza cadere nella tentazione di resuscitare approcci miopi quali la cooperazione a suo tempo realizzata con Gheddafi e senza guardare al controverso accordo tra Ue e Turchia come unico paradigma di riferimento. 63 4. la politica energetica di Nicolò Sartori Nel biennio 2014-15 si sono registrati importanti sviluppi in ambito energetico per l’Italia. Nel 2015, per la prima volta dal crollo del 2009, si è avuta una moderata crescita dei consumi di gas (+9,1 per cento rispetto al 2014), dei prodotti petroliferi (+3,6 per cento) e dell’energia elettrica (+1,5 per cento). Nonostante l’ottimo contributo delle rinnovabili al mix elettrico nazionale (39,8 per cento della produzione totale), l’Italia rimane estremamente dipendente dall’estero per i propri approvvigionamenti energetici, essendo nel contempo cresciute le importazioni di gas naturale e petrolio. Nel 2015 l’Italia ha importato oltre il 90 per cento del suo fabbisogno di gas naturale e il 92 per cento di quello petrolifero (quote in leggero aumento rispetto al 2014)1. Ma, mentre le importazioni di greggio sono diversificate grazie ad un portafoglio di oltre venti paesi fornitori2, la situazione nel settore del gas naturale è più problematica. Le importazioni di gas, infatti, sono estremamente concentrate, con Russia, Algeria e Libia che forniscono quasi tre quarti del totale3. In particolare, nel biennio 2014-15 la dipendenza dal gas russo ha toccato livelli critici, raggiungendo quasi il 50 per cento delle importazioni totali. Tale situazione – che comporta rischi per la sicurezza degli approvvigionamenti anche a causa della volatilità dei prezzi dell’energia – ha spinto il governo italiano, negli ultimi due anni, a fare della tutela degli interessi energetici nazionali uno degli obiettivi prioritari della sua azione internazionale. Tuttavia, alla fine del biennio in esame si è registrata una Vedi Appendice: figure 8 e 9, Gas/Petrolio: produzione e importazioni. Vedi Appendice: figura 11, Importazioni di petrolio. 3 Vedi Appendice: figura 10, Importazioni di gas. 1 2 65 nIcolò saRtoRI svolta di grande importanza nella politica energetica nazionale, destinata a cambiare il quadro strategico negli anni a venire. L’elemento centrale di questa svolta è il ridimensionamento della “relazione speciale” con la Russia, storico partner energetico e ancor oggi maggiore fornitore di gas dell’Italia. Nella prima parte del 2014 il governo, in particolare attraverso l’azione del ministro degli Esteri Federica Mogherini (poi Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza), ha speso un notevole capitale politico nel tentativo di ricucire le relazioni tra Russia e Unione europea anche per tutelare i forti interessi nazionali in gioco, tra cui quelli energetici. Questo tentativo è costato alla Mogherini aspre critiche da parte di alcune cancellerie europee, quelle dell’Europa centro-orientale in primis. La decisione di Putin di cancellare il progetto South Stream a fine 2014, e il successivo accordo per l’espansione di Nord Stream nel settembre 2015, hanno tuttavia determinato un repentino riposizionamento dell’Italia nel contesto energetico europeo. Il timore italiano di veder danneggiata la propria competitività economico-industriale a causa di un possibile monopolio tedesco sul transito di gas russo, ha di fatto creato un asse tra Roma e i paesi dell’Europa centro-orientale guidati dalla Polonia, manifestatosi chiaramente durante il Consiglio europeo del 17-18 dicembre 2015. Nonostante il tentativo di Edison di rivitalizzare la rotta meridionale per il gas russo e garantire all’Italia un accesso diretto alle forniture di Mosca attraverso un memorandum d’intesa con Gazprom e la greca Depa firmato a febbraio 2016, le relazioni bilaterali con Mosca sembrano aver perso parte della loro valenza strategica. Ciò è forse avvenuto più in virtù delle nuove strategie industriali di Eni – la cui dirigenza è chiaramente orientata a ridurre la sua presenza in Russia e sviluppare il suo portafoglio di investimenti nel Mediterraneo e in Africa – che per un radicale cambiamento di rotta del governo. L’identificazione del bacino del Mediterraneo come regione fondamentale per gli interessi energetici italiani, anche nel contesto europeo, è stato uno degli elementi principali della politica del governo sia durante il semestre di presidenza dell’Unione (nella seconda metà del 2014) sia nel corso del 2015. In particolare, l’Italia ha cercato di svolgere un ruolo di leadership nel rafforzamento del dialogo energetico tra l’Ue e i paesi della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, organizzando fra l’altro a Roma, nel novembre 2014, un’ambiziosa conferenza ministeriale (“Building a Euro-Mediterranean Energy Bridge”), nell’ambito della Presidenza italiana del semestre europeo. La cooperazione con i paesi dell’a- 66 4. la polItIca eneRgetIca rea ha l’obiettivo di favorirne la transizione verso un modello energetico sostenibile, che da un lato permetta ai tradizionali produttori regionali di continuare a giocare il loro storico ruolo di fornitori per i paesi europei, e dall’altro favorisca una soluzione mutualmente vantaggiosa delle dispute per lo sfruttamento delle risorse nel Mediterraneo orientale, in modo da assicurare nuove forniture di gas naturale da partner come Cipro, Egitto e Israele. Nell’agosto 2015 la scoperta da parte di Eni del mega-giacimento Zohr, al largo delle coste egiziane, ha ulteriormente rafforzato l’interesse energetico italiano nella regione. Su diversi fronti, l’Italia ha moltiplicato le iniziative per stabilire meccanismi di cooperazione politica nell’area, in modo da favorire la creazione di un hub del gas nel Mediterraneo orientale. Nel quadrante mediterraneo, resta sempre vivo l’impegno italiano sul fronte libico. Nonostante il perdurare della guerra civile e la grande incertezza del quadro politico, le scoperte off-shore effettuate da Eni nel 2015 confermano la rilevanza strategica del paese per l’Italia, che dipende dalla Libia per l’11 per cento delle sue importazioni di gas naturale e per il 6 per cento di quelle di greggio. Di qui anche il forte impegno diplomatico del governo italiano per una soluzione di compromesso che dia stabilità al paese. Sempre nell’area nordafricana, la sicurezza energetica italiana passa per la tenuta del regime di Abdelaziz Bouteflika in Algeria, la cui capacità di guida del paese è però minata da oltre un anno e mezzo di prezzi bassi del greggio, che hanno determinato una drastica riduzione delle entrate petrolifere e un sensibile peggioramento del quadro macroeconomico del paese. L’Italia è fortemente interessata anche agli sviluppi nella regione del Mar Caspio. Con la sospensione di South Stream, infatti, la realizzazione della Trans Adriatic Pipeline (Tap) è diventata un elemento fondamentale per la sicurezza energetica nazionale. In quest’ottica, negli ultimi due anni l’Italia si è adoperata per rafforzare le relazioni bilaterali con l’Azerbaigian e presentarsi a Baku come un partner energetico credibile nonostante le persistenti difficoltà in fase di approvazione amministrativa del progetto Tap a livello regionale e locale. Tuttavia, la cooperazione del governo azero potrebbe non bastare. Le travagliate relazioni tra l’Ue e la Turchia – condizionate da dossier spinosi quali il negoziato a Cipro, la crisi dei migranti e la lotta al sedicente Stato islamico – giocheranno un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica italiana (ed europea). In quanto punto di approdo di Tap, l’Italia è interessata a incoraggiare la cooperazione tra Turchia e Ue per il completamento del Corridoio sud 67 nIcolò saRtoRI (e, nello specifico, della Trans Anatolian Pipeline, Tanap) entro i tempi previsti. L’obiettivo di diversificare ulteriormente il portafoglio di paesi fornitori ha spinto la politica estera italiana ben oltre l’immediato vicinato. Grazie alla grande quantità di risorse e alle potenzialità di sviluppo, l’Africa sub-sahariana offre importanti opportunità. Nel biennio 2014-15, il governo ha intensificato la propria azione verso il continente africano, con iniziative bilaterali e multilaterali volte a favorire la cooperazione con i principali paesi produttori – o aspiranti tali – della regione. Forte anche dell’esperienza pluriennale di Eni nel continente africano – confermata dalle importanti scoperte recenti di idrocarburi in Congo e Gabon – e del rinnovato interesse di Enel attraverso il progetto Res4Africa, l’Italia può giocare un ruolo chiave in questo contesto, stimolando al contempo un’azione europea più coerente e coesa verso i maggiori attori energetici regionali. Anche la cooperazione con l’Iran può giocare un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica italiana (ed europea). I recenti sviluppi politici – l’elezione del presidente Rouhani, l’accordo sul programma nucleare e la progressiva rimozione delle sanzioni internazionali al settore energetico iraniano – offrono all’Italia nuove opportunità per consolidare le relazioni con Teheran. Il paese, infatti, è virtualmente uno dei maggiori attori energetici globali, con un grande potenziale inespresso a causa non solo delle sanzioni, ma anche della mala gestione da parte del regime degli ayatollah. La partnership con Teheran, risalente all’epoca di Enrico Mattei, è stata uno dei cardini della politica energetica italiana degli ultimi decenni. Gli interessi industriali italiani in Iran hanno resistito anche al duro regime sanzionatorio internazionale e all’embargo sui prodotti petroliferi imposto dall’Ue. Il ritorno dell’Iran nei contesti della cooperazione internazionale (e sui mercati energetici globali) può consentire all’Italia di rinsaldare questi rapporti bilaterali privilegiati a vantaggio della sicurezza energetica nazionale: gli accordi siglati nel gennaio 2016 da Saipem con la National Iranian Gas Company (Nigc) e la Pars Oil & Gas Development (Pogdc) ne sono la conferma. Oltre alle tradizionali relazioni bilaterali con paesi produttori e di transito, nel biennio 2014-15 il governo italiano è stato particolarmente attivo in ambito europeo e multilaterale. I temi energetici sono stati al centro dell’azione italiana nel semestre di presidenza dell’Unione, durante il quale l’Italia non soltanto ha riportato il Mediterraneo al centro delle priorità di politica energetica europea, ma ha anche contribuito in modo 68 4. la polItIca eneRgetIca attivo alla chiusura dell’accordo sul “Quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima” durante il Consiglio europeo di ottobre 2014. Forte di questo risultato, il governo italiano ha contribuito attivamente anche alla preparazione della Conferenza delle parti sul clima (Cop21), tenutasi a Parigi nel dicembre 2015. Le principali proposte italiane in materia, tra cui il riferimento esplicito al target di 1,5 °C la definizione di meccanismi di valutazione e revisione quinquennale degli obiettivi di riduzione delle emissioni, sono state accolte nel testo finale dell’Accordo di Parigi, il cui livello di ambizione è andato, per certi aspetti, anche oltre le aspettative. Sempre in ambito multilaterale, nel maggio 2014 – all’apice della crisi ucraina – il governo italiano si è fatto promotore del cosiddetto G-7 Energia, il vertice dei ministri dell’Energia dei paesi del G-7 (dal quale è esclusa la Russia). L’incontro, che si è svolto a Roma, si è incentrato sull’obiettivo di accrescere la cooperazione fra i principali attori globali sui temi della sicurezza energetica internazionale. A conclusione dell’incontro è stata approvata la “Dichiarazione di Roma”, poi ampiamente ripresa durante il vertice del G-7 di giugno a Bruxelles. Il format lanciato dall’Italia nell’ambito del G-7 ha dato vita alla “Iniziativa di Roma per la sicurezza energetica”, che è stata ripresa anche durante il successivo incontro dei ministri dell’Energia dei sette paesi, tenutosi ad Amburgo nel maggio 2015. Da quest’analisi emerge come nel biennio in esame gli eventi internazionali abbiano contribuito a modificare, almeno in parte, le tradizionali direttrici della politica energetica italiana. Il governo ha dovuto ricalibrare la sua azione verso attori chiave come la Russia e la Libia, sviluppando al contempo un crescente interesse strategico verso nuove aree di penetrazione, Mediterraneo orientale e Africa sub-sahariana in primis. Sul piano bilaterale le principali questioni aperte riguardano, in particolare, l’Egitto, con cui i rapporti energetici si sono bruscamente raffreddati in seguito al caso Regeni, e l’Iran, con cui l’Italia è interessata a rinsaldare i tradizionali legami economici dopo la revoca delle sanzioni. Sul piano europeo e multilaterale, l’azione italiana contro il cambiamento climatico dovrà trovare riscontro in una più stretta cooperazione con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo e del sub-continente africano, la cui transizione verso un modello energetico sostenibile è un elemento chiave per la stabilizzazione regionale. 69 5. la cooperazione allo sviluppo Luca De Fraia Dopo diversi tentativi di riforma, il 2014 è stato l’anno della svolta per la cooperazione allo sviluppo italiana. Nello spazio di pochi mesi è stato possibile concludere l’iter di approvazione della nuova legge per la cooperazione; l’iniziativa l’ha presa il Governo, attingendo ai risultati raggiunti nelle discussioni parlamentari delle precedenti legislature, oltre che agli esiti di un processo preparatorio che ha coinvolto le amministrazioni e le parti sociali. Il percorso di rilancio della politica di cooperazione dell’Italia ha quindi preso corpo nei successivi dodici mesi, con l’attuazione della nuova normativa, ma anche con un investimento da parte della leadership politica, in particolare del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che in più occasioni ha rivendicato un ruolo dell’Italia1 in tema di cooperazione e nell’ambito dell’Agenda 20302 per lo sviluppo sostenibile. La legge 125 dell’11 agosto 2014 ha introdotto una riforma di sistema. L’elemento qualificante è la collocazione a pieno titolo della cooperazione nelle politiche di governo, come mostra anche la scelta della nuova denominazione di “ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale”. A dare maggior robustezza a questa modifica della governance è stata decisa la nomina di un vice ministro3 con delega in materia di cooperazione, che può partecipare “alle riunioni del Consiglio dei ministri nelle quali siano trattate materie che, in modo diretto o indiretto, possano Si veda a questo proposito anche la dichiarazione di Renzi in occasione dell’approvazione del Documento triennale di programmazione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Cooperazione allo sviluppo, 4 settembre 2015, http://www.governo.it/node/2954. 2 United Nations, The Sustainable Development Agenda, http://wp.me/P5Mdaw-H. 3 Mario Giro viene nominato vice ministro nel marzo 2016 anche a seguito della decisione di Lapo Pistelli (luglio 2015) di lasciare l’incarico per guidare l’unità Stakeholder Relations dell’Eni. 1 71 luca de FRaIa incidere sulla coerenza e sull’efficacia delle politiche di cooperazione allo sviluppo”4. Questo passaggio dovrebbe segnare l’avvio di una revisione del complesso delle relazioni internazionali del paese per rafforzare due aspetti cruciali dell’agenda dello sviluppo: la coerenza delle politiche e l’efficacia degli interventi. Sono state introdotte sostanziali novità anche sul piano del coordinamento. La legge 215 prevede infatti l’adozione di un documento triennale di programmazione e di indirizzo per le attività di cooperazione, che deve ricevere l’approvazione del Consiglio dei ministri, già arrivato alla seconda edizione. Un Comitato interministeriale ha il compito di assicurare la programmazione e il coordinamento delle attività, garantendo quindi la coerenza delle politiche, e di proporre le allocazioni di bilancio per ciascun Ministero che realizzi attività di cooperazione, che devono essere riportate in un allegato al bilancio del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Nel quadro della nuova normativa è stata costituita l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che ha avviato le attività nel gennaio 2016. La missione dell’Agenzia, che è sottoposta al potere di indirizzo del ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, è l’attuazione delle politiche di cooperazione. Il direttore dell’Agenzia è scelto dal presidente del Consiglio, su proposta del ministro5. È previsto inoltre un riordino della struttura del Ministero al fine di evitare duplicazioni di competenze; la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo assume un più marcato profilo di indirizzo strategico, coadiuvando la leadership politica del Ministero. Una delle novità più significative è l’allargamento della platea dei soggetti del sistema della cooperazione6 oltre il consolidato insieme delle amministrazioni pubbliche e delle Ong di cooperazione allo sviluppo. È stato formalmente riconosciuto il ruolo degli attori che fanno parte dell’ampia categoria delle “organizzazioni della società civile ed altri soggetti senza finalità di lucro”: enti che hanno nella propria missione lo svolgimento di attività di cooperazione, come, ad esempio, le associazioni Art. 11, Legge n. 125 dell’11 agosto 2014: Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo, http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2014-08-11;125. 5 Nel novembre del 2015 viene quindi nominata, dopo un partecipato processo di selezione, Laura Frigenti, che ha lavorato per quasi venti anni in Banca mondiale ricoprendo ruoli di crescente responsabilità. 6 Si veda in particolare l’art. 23 e tutto il capo VI della legge 125/2014. 4 72 5. la coopeRazIone allo svIluppo delle comunità di immigrati o le organizzazioni per il commercio equo e solidale e la finanza etica. Inoltre, la riforma chiarisce che anche i soggetti con finalità di lucro possono essere attori della cooperazione se soddisfano alcuni criteri, a partire dall’adesione “agli standard comunemente adottati sulla responsabilità sociale e alle clausole ambientali”, che quindi si configura come una caratteristica soggettiva minima. Questi soggetti hanno quindi la possibilità di accedere a strumenti finanziari concessionali, che si aggiunge a quella che gli è già riconosciuta di beneficiare di prestiti agevolati per attività che promuovano lo sviluppo dei paesi partner. A questo ampliamento della platea della cooperazione – dalle organizzazioni di società civile a carattere non profit ai soggetti con finalità di lucro – corrisponde la composizione del nuovo Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, che include i principali soggetti pubblici e privati, profit e non profit. In questo progetto di rilancio della cooperazione italiana rientra anche l’autorizzazione concessa alla Cassa depositi e prestiti ad assolvere compiti di istituzione finanziaria, dopo la stipula di un’apposita convenzione con il Ministero e l’Agenzia. In questo contesto è bene ricordare che le istituzioni finanziarie non operano secondo termini concessionali; devono applicare termini agevolati suscettibili di produrre opportuni rientri per alimentare le attività. L’intenzione è quella di utilizzare la leva delle risorse della Cassa per mobilitare nuove risorse anche del settore privato. La cooperazione italiana è entrata quindi in una nuova era. L’esigenza di rinnovamento era insopprimibile alla luce della profonda evoluzione dello scenario globale anche nel campo della cooperazione, segnato, ad esempio, dalla cooperazione Sud-Sud animata da Cina, India e Brasile, oltre che da una diversa mappa della povertà globale e dall’uso di nuovi strumenti finanziari. Di fronte a questi cambiamenti, la cooperazione italiana ha continuato a registrare un livello alquanto basso di investimenti: solo lo 0,20 per cento circa della ricchezza nazionale è destinato all’assistenza internazionale7, contro l’atteso 0,7 per cento8; dato che include peraltro una consistente quota di spese sostenute in Italia per affrontare la crisi dei rifugiati. La legge di riforma offre spazi per un nuovo posizionamento del no- Dati preliminari OECD DAC: ODA as per cent of GNI (2015), aprile 2016, http://www2. compareyourcountry.org/oda?cr=oecd&lg=en. 8 Vedi Appendice: figura 5, Aiuti allo sviluppo (% del Pnl). 7 73 luca de FRaIa stro paese in un contesto in trasformazione nel quale la comunità internazionale ha adottato, nel settembre 2015, l’agenda per lo sviluppo sostenibile per i prossimi quindici anni. L’Italia avrà inoltre la presidenza del gruppo del G7 nel 2017. L’obiettivo strategico della riforma, sul quale il governo ha scelto di scommettere, è di realizzare una cooperazione larga, che includa soggetti profit e nuovi strumenti finanziari. L’auspicio è che l’attuazione della riforma, oggi alle prime battute, sia all’altezza delle aspettative. 74 6. La promozione dell’italiano Iacopo Viciani L’insegnamento della lingua italiana non è solo un atto dovuto per valorizzare la nostra cultura, ma può anche avere benefici economici non trascurabili. Se analizziamo il bilancio delle 142 associazioni finanziate dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) che in vari paesi del mondo insegnano l’italiano, emerge che un euro di contributo statale investito in corsi di lingua genera, in media, due euro di entrate proprie, con punte di tre euro in Africa e fino a cinque euro in America del sud1. Il governo Renzi, grazie in particolare all’azione del viceministro Mario Giro, ha puntato sul potenziale economico della lingua italiana e sulla promozione di una maggiore consapevolezza nel paese della sua importanza come volano per l’occupazione, l’export e la creazione di valore. Secondo Giro, che ha la delega per la promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, l’Italia è una grande potenza culturale troppo spesso inconsapevole. La nostra lingua e la nostra cultura costituiscono un potente strumento di attrazione, di dialogo e di diplomazia culturale. Ogni anno la lingua italiana è al quarto o quinto posto tra le lingue più studiate al mondo, sebbene sia la diciannovesima per numero di persone che la parlano2. Audizione del sottosegretario agli Affari esteri Mario Giro, Commissioni riunite del Senato, 13 dicembre 2013, http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda28600.htm. 2 Audizione del sottosegretario agli Affari esteri Mario Giro, Commissione Affari esteri della Camera, 23 ottobre 2013, http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/ commissioni/stenografici/pdf/03/audiz2/audizione/2013/10/23/leg.17.stencomm. data20131023.U1.com03.audiz2.audizione.0005.pdf. 1 75 Iacopo vIcIanI Nel 2014 è stata organizzata a Firenze la prima edizione degli Stati generali della lingua italiana nel mondo3. Il lavoro preparatorio ha coinvolto oltre 100 persone che hanno elaborato e portato agli Stati generali un Libro bianco con una serie di idee per la promozione linguistica. Con oltre 600 partecipanti e 100 giornalisti accreditati, l’incontro ha contribuito a creare più attenzione nel paese sul valore economico della nostra lingua. Sono stati presentati, fra l’altro, un primo censimento, paese per paese, degli studenti d’italiano nel mondo – circa 1,5 milioni – e un “albo degli ex-alunni d’italiano”4, un registro degli stranieri che hanno studiato l’italiano nelle varie istituzioni pubbliche italiane nel mondo e che sono diventati famosi ed influenti. L’obiettivo è di creare un gruppo riconoscibile di italofoni, amici stranieri dell’Italia. Al termine degli Stati generali le amministrazioni si sono impegnate a realizzare una quindicina d’interventi entro il prossimo appuntamento del 2016, fra cui un portale online unificato per l’insegnamento dell’italiano, un osservatorio sulla diffusione dell’italiano nel mondo, il volontariato internazionale linguistico, l’affinamento del censimento sulla diffusione della nostra lingua presentato durante la XV settimana della lingua italiana (ottobre 2015), e una valutazione indipendente della politica di promozione linguistica dell’Italia. Ad ottobre 2016 si terrà la seconda edizione degli Stati generali, stavolta dedicata alle sinergia tra diffusione della lingua e economia per alcuni settori, come i marchi, la moda e il design. La rete della promozione della lingua e cultura italiana all’estero è estesa: 83 Istituti italiani di cultura (Iic), oltre 135 istituzioni scolastiche italiane all’estero, 146 enti gestori e 176 lettori di ruolo. È una rete che arriva a coprire 250 città nel mondo5. Il comparto è ufficialmente incardinato nel settore cultura della Direzione generale del sistema paese (Dgsp) del Maeci. Tuttavia altri soggetti con un ruolo o interessati alla diffusione della lingua italiana che sono finanziati dal Ministero degli Affari esteri, come le associazioni che si rivolgono agli italo discendenti o la Società Dante Alighieri, dipendono da altre direzioni del Ministero, come la Direzione per italiani all’estero o dalla Segreteria generale. Manca un raccordo normativo chiaro per la promozione della lingua, cultura e scienza tra Maeci, Gli Stati generali, http://www.esteri.it/mae/tiny/1766. Maeci, Albo ex-alunni corsi di lingua italiana, 2014, http://www.esteri.it/MAE/ doc/20141022_albo_ex_alunni_def.pdf. 5 Maeci, Relazione sull’attività svolta per la riforma degli istituti italiani di cultura … (Anno 2014), 28 dicembre 2015, http://www.camera.it/leg17/494?idLegislatura=17&categoria=080&tipologiaDoc=elenco_categoria. 3 4 76 6. La promozione deLL’itaLiano Maeci, Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) e Ministero per i Beni, le attività culturali e il turismo (Mibact). Con la crisi, le risorse pubbliche per la promozione si sono contratte drasticamente. Dal 2007 al 2014 le risorse finanziarie destinate agli Istituti italiani di cultura sono scese del 29 per cento, quelle alle scuole paritarie del 51 per cento, i contributi per le cattedre di italiano presso università e scuole straniere del 47 per cento6. Nel 2015, per effetto della spending review Cottarelli, sono stati ridotti i contributi alle organizzazioni internazionali scientifiche con sede in Italia di 1,2 milioni di euro, con tagli in media del 10 per cento, fino al dimezzamento del contributo all’ufficio regionale dell’Unesco di Venezia. È stata disposta la chiusura di due istituti (Lussemburgo e Salonicco) e di sei sezioni di istituto (Ankara, Francoforte, Grenoble, Innsbruck, Vancouver e Wolfsburg)7. Gli istituti italiani di cultura attualmente aperti nel mondo sono 838. Grazie anche agli Stati generali, si è riusciti ad evitare il taglio del 20 per cento alle dotazioni finanziarie per gli Iic. Negli ultimi anni si è assistito anche alla riduzione degli organici dei funzionari dell’Area della promozione culturale (Apc). Emerge l’esigenza irrinunciabile di bandire uno specifico concorso destinato ai funzionari Apc per almeno 19 persone dopo quello del 2011. Dal 2012 la revisione della spesa9 ha fissato anche un limite massimo di 624 unità per il contingente del personale scolastico all’estero, rispetto alle 1.024 esistenti, inserendo un meccanismo di riduzione automatica, poi mitigato. Nel 2014, a fronte delle summenzionate chiusure di istituti e sezioni di istituto, non è stato posto mano a un riorientamento geografico della rete. All’alleggerimento della presenza in Europa dovrebbe invece accompagnarsi l’apertura di nuovi centri in aree prioritarie emergenti, come nel Golfo o in Africa occidentale. Durante la sua visita in Senegal, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si è tuttavia impegnato a riaprire l’Iic di Dakar. Maeci, Relazione sull’attività svolta per la riforma degli istituti italiani di cultura … (Anno 2013), 10 dicembre 2014, http://www.camera.it/leg17/494?idLegislatura=17&categoria=080&tipologiaDoc=elenco_categoria. 7 Decreto ministeriale n. 3906 del 19 giugno 2014. 8 Nel totale non è ricompreso l’Iic di Baghdad attualmente non operativo a causa di eventi bellici, ma s’include quello di Damasco. Sono comprese 10 sezioni distaccate. Cfr. Corte dei Conti, Relazione su L’attività degli istituti italiani di cultura all’estero (20112014), 29 dicembre 2015, http://www.corteconti.it/comunicazione/comunicati_stampa/ dettaglio.html?resourceType=/_documenti/comunicati_stampa/elem_0001.html. 9 Art. 14, comma 11(b) del Decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito dalla Legge n. 135 del 7 agosto 2012, http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/08/14/12A09068/sg. 6 77 Iacopo vIcIanI A seguito di modifiche normative, ora è possibile accreditare e fare operare un Iic in più paesi e inviare personale Apc anche presso ambasciate, consolati o rappresentanze permanenti, mentre in passato era necessario che vi fosse un Iic. La riduzione delle risorse finanziarie e umane obbliga necessariamente a ripensare l’attuale assetto, migliorando i meccanismi di coordinamento. Vi sono state tuttavia alcune occasioni di verifica e confronto operativo fra amministrazioni e a livello interministeriale. Inoltre gli attori sociali interessati, come i patronati o il Consiglio generale degli italiani all’estero, hanno avanzato alcune prime proposte articolate per una riforma del sistema che concentri la promozione di lingua e cultura in un’agenzia autonoma10. Il Maeci ha deciso recentemente di centralizzare in un unico ufficio della Dgsp per la promozione della lingua competenze prima disperse tra varie direzioni. Dal 2012, con l’abolizione della Commissione nazionale per la promozione della lingua e cultura all’estero11, mancava una sede di raccordo istituzionale con gli altri ministeri interessati. La ricostituzione del Gruppo consultivo per la promozionedella lingua, cultura e scienza con decreto ministeriale nel 2013 è stata un primo passo per garantire una programmazione condivisa. Da luglio 2014 Maeci e Mibact hanno inoltre cominciato a mettere in sinergia competenze e risorse umane. Il Gruppo consultivo ha approvato a novembre 2015, per la prima volta, linee guida trienniali – per il 2016-2018 – che individuano il Mediterraneo come priorità degli scambi culturali e interuniversitari e la Cina e i Balcani come aree chiave per la promozione della lingua italiana. Le linee guida includono inoltre, come obiettivi prioritari, la creazione di sinergie tra la programmazione degli Iic, le imprese creative e il turismo culturale, nonché la riforma delle scuole italiane all’estero, con nuove tipologie di offerta scolastica, fra cui scuole statali con sezioni ad ordinamento misto o locale, forme di partenariato pubblico-privato, sezioni italiane all’interno di scuole pubbliche o private straniere. Manifesto “Per la promozione e la diffusione dell’apprendimento della lingua e della cultura italiana nel mondo”, http://www.fondazionedivittorio.it/it/node/465. 11 Decreto legge n. 95 del 6 luglio 2012. 10 78 7. Il conlitto in Ucraina e le sanzioni contro la russia Giovanna De Maio e Daniele Fattibene IntroduzIone La crisi in Ucraina rappresenta una prova molto impegnativa per la politica estera italiana. Il motivo va ricercato nella difficoltà di conciliare le responsabilità derivanti dalla cornice euro-atlantica con i legami economici e strategici con la Federazione russa. Ogni considerazione sulle iniziative e posizioni dell’Italia nei confronti del conflitto in Ucraina non può quindi prescindere da un quadro più ampio in cui rientra la variegata gamma di rapporti tra l’Italia e la Russia. Questo capitolo si divide in tre parti. Nella prima si fornisce una valutazione delle scelte del governo italiano dopo gli avvenimenti di piazza Maidan del dicembre 2013; nella seconda si dà conto dell’acceso dibattito interno sul tema delle sanzioni alla Russia; nella terza si delineano i possibili scenari di evoluzione della politica italiana verso la Russia. una strategia deL doppio binario Nel biennio 2014-2016 l’Italia ha seguito una strategia del doppio binario sul conflitto in Ucraina. Da un lato ha condiviso con gli alleati euro-atlantici la condanna della violazione dell’integrità territoriale ucraina e dell’annessione della Crimea, dall’altro ha adottato un atteggiamento più pragmatico e dialogante per limitare i danni sul piano interno e non pregiudicare i rapporti con il Cremlino. Nel periodo in esame si sono avvicendati due governi e tre ministri degli Esteri, ma i contatti con Mosca non sono mai stati interrotti: dalle olimpiadi di Soči (Enrico Letta è stato l’unico capo di governo dell’area atlantica a partecipare alla cerimonia) 79 giovanna de maio e danieLe Fattibene agli incontri bilaterali con il presidente russo Vladimir Putin nei diversi fori internazionali come il G-7, il vertice Asem, e l’Expo di Milano 2015. Ciononostante, l’Italia non ha intrapreso iniziative autonome che potessero indebolire la compattezza del fronte euro-atlantico sulle sanzioni o sul rafforzamento del ruolo della Nato in Europa centro-orientale; ha però spinto fortemente affinché fosse l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), a cui partecipa anche la Russia, ad occuparsi della mediazione e del monitoraggio del “cessate il fuoco”, contribuendo in tal modo a evitare una possibile escalation del conflitto. Anche gli sforzi del “Quartetto di Normandia” e del “Gruppo di contatto trilaterale” per l’attuazione degli accordi di Minsk del febbraio 2015 sono stati sostenuti con convinzione dal governo italiano. Questo approccio cauto e dialogante non è stato accolto favorevolmente da tutti i membri dell’Ue. Alcuni paesi dell’Europa centro-orientale lo hanno apertamente criticato, opponendosi per questo motivo alla proposta di affidare a una personalità italiana – l’ex ministro degli Esteri Federica Mogherini – la carica di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Tuttavia, forte anche dell’appoggio della Francia, della Germania e di altri paesi, l’Italia è alla fine riuscita a coagulare il consenso necessario per la nomina della Mogherini. Quest’ultima ha peraltro scelto di svolgere le sue prime visite ufficiali come Alto rappresentante prima a Kiev e poi a Mosca, a dimostrazione dell’importanza attribuita a una soluzione negoziata del conflitto ucraino. Nel frattempo, è venuto sviluppandosi in Italia un acceso dibattito che ha avuto ad oggetto sia le ripercussioni delle sanzioni sull’economia nazionale sia la loro efficacia. Il dIbattIto sulle sanzIonI L’Italia ha sin dall’inizio condiviso la politica delle sanzioni contro Mosca, che sono state adottate per la prima volta durante il semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Ue. Tuttavia, nel dicembre 2015, prima in seno al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) e poi al Consiglio europeo, l’Italia ha insistito affinché il rinnovo dell’impianto sanzionatorio non fosse automatico, bensì negoziabile ogni sei mesi sulla base dei progressi registrati (o meno) nell’attuazione degli accordi di Minsk. Questa cautela è fortemente legata allo scetticismo, molto diffuso in Italia, sull’efficacia politica ed economica delle misure restrittive con- 80 7. Il conFlItto In ucRaIna e le sanzIonI contRo la RussIa tro il Cremlino. Pressioni sempre più forti sono giunte da diversi comparti dell’economia nazionale, in particolare dal settore agro-alimentare. Negli ultimi due anni le relazioni economiche con la Russia sono peggiorate sensibilmente, come testimoniano i dati sull’interscambio commerciale, crollato del 20 per cento tra il 2014 e il 2015. Le esportazioni di prodotti alimentari hanno subito i maggiori danni: la Confagricoltura ha stimato in 250 milioni di euro le perdite del settore nel 2015 a causa delle sanzioni (e relative contro-sanzioni) nei confronti della Russia. La Banca d’Italia è stata più cauta: nella sua relazione annuale ha affermato che gli effetti delle sanzioni per l’economia nazionale sono stati limitati. Inoltre i dati sull’export mostrano solo una faccia della medaglia. È infatti probabile che molte aziende siano riuscite a re-indirizzare le proprie esportazioni verso altri paesi. Non a caso, il settore agroalimentare ha registrato un incremento record delle esportazioni nel 2015. Infine, è evidente che il crollo dell’interscambio bilaterale è stato determinato in gran parte dalla grave recessione economica in cui versa la Russia. Con un Pil in caduta libera (-3,7 per cento nel 2015), un rublo che ha perso più del 70 per cento del valore in due anni, un’inflazione molto elevata (12 per cento nel 2015) e un bilancio pubblico sotto stress a causa del crollo del prezzo del petrolio e della crescente difficoltà a ottenere finanziamenti sui mercati internazionali, la Russia sta attraversando una crisi forse ancora più grave di quella del 2008-2009. Tutto ciò ha contribuito a erodere la domanda interna e quindi la richiesta di prodotti importati. L’Ucraina resta d’altronde un paese rilevante sia per l’interscambio commerciale (3,4 miliardi di euro nel 2014), sia per la presenza di circa 300 aziende con capitale e/o interessi italiani attive principalmente nel settore finanziario (Unicredit, Intesa Sanpaolo), energetico (Eni e Saipem), alimentare (Ferrero e Campari), in quello dei materiali da costruzione (Mapei, Zeus Ceramica), tessile e calzature (Inblu) ed in quello della progettazione, produzione e commercializzazione di impianti e macchinari metallurgici (Danieli). Considerando anche gli investimenti realizzati tramite controllate estere, l’Italia si colloca tra i primi investitori esteri in Ucraina, con un capitale di 4,5 miliardi di dollari e una percentuale di circa il 10 per cento sul totale degli investimenti esteri. Tuttavia, con lo scoppio della crisi, alcune società italiane come Unicredit e Intesa Sanpaolo stanno progressivamente abbandonando il mercato ucraino, mentre alcuni contratti sottoscritti da Eni sono stati rivisti o posticipati. Nel corso del biennio in esame vi sono stati numerosi incontri bilaterali e sono stati firmati molti accordi, tra cui quello relativo al riconoscimento delle patenti ucrai- 81 giovanna de maio e danieLe Fattibene ne in Italia, che stava molto a cuore agli ucraini (Napoli è la città europea che ospita la più numerosa comunità ucraina). Proprio in virtù di queste peculiarità, l’Italia avrebbe forse potuto giocare un ruolo di mediazione più incisivo; tuttavia questo compito non era affatto semplice anche a causa dello scarso coordinamento a livello europeo. In linea con la posizione dei suoi partner ed alleati, l’Italia continua a legare un’eventuale revoca dell’impianto sanzionatorio all’attuazione dei 13 punti degli accordi di Minsk. In assenza di progressi significativi su questo fronte, il governo italiano avrebbe difficoltà a intensificare l’azione politica per un riavvicinamento con Mosca, rischiando – senza alcuna contropartita – uno strappo con i partner euro-atlantici. Se invece Kiev e i separatisti trovassero un’intesa per le elezioni nel Donbass e se il voto si svolgesse nel rispetto dei parametri Osce, l’Italia potrebbe legittimamente adoperarsi se non per una revoca, quanto meno per un’attenuazione delle misure restrittive contro il Cremlino. Un ordinato svolgimento delle elezioni locali sarebbe infatti accolto, nei consessi alleati, come un concreto segnale di impegno da parte russa per la pacificazione e stabilizzazione dell’Ucraina. Intanto rimane sullo sfondo la questione dello status della Crimea. Da un lato, il governo italiano, al pari dei partner euro-atlantici, ha condannato l’annessione della penisola da parte della Russia; dall’altro ha fatto propria la strategia della “ambiguità costruttiva” affermatasi a livello europeo: vista l’inconciliabilità delle posizioni europea e russa sullo status della Crimea, si è preferito concentrare gli sforzi sul Donbass, anche a costo di dare l’impressione che l’annessione della penisola fosse ormai considerata un fatto compiuto. aLLa ricerca di un difficiLe equiLibrio In questa difficile partita, l’Italia è in una posizione molto delicata: da una parte, è interessata a mantenere l’unità europea e transatlantica e a fare in modo che la Russia cessi di rappresentare una minaccia per l’architettura di sicurezza europea, dall’altra non vuole chiudere definitivamente le porte a una futura collaborazione con Mosca. Tra Italia e Russia non ci sono ferite storiche e nemmeno una sovrapposizione di aree geografiche d’interesse; c’è, al contrario, una storia d’interdipendenza economica, di amicizia e di interessi strategici. La situazione sul terreno in Ucraina resta però molto fluida e ciò impedisce una normalizzazione dei rapporti con il Cremlino. Sicuramente non vi sarà alcuno strappo con gli alleati europei 82 7. Il conFlItto In ucRaIna e le sanzIonI contRo la RussIa e atlantici, ma è nell’interesse dell’Italia cercare di verificare la possibilità di cooperare con Mosca su più fronti, evitando un suo isolamento. L’Italia punterà verosimilmente sugli interessi comuni in vista di un’eventuale intesa politica di più ampio respiro. I legami sono molto forti in campo energetico: il 50 per cento delle importazioni di gas dell’Italia provengono dalla Russia e in Europa l’Italia è il secondo importatore di gas russo dopo la Germania. Le compagnie italiane che collaborano con la società russa Gazprom sono principalmente Eni e Saipem. Dopo il ritiro del progetto South Stream di cui Eni possedeva il 20 per cento delle quote, e lo stallo di Turkish Stream, le opportunità di collaborazione si sono ridotte. Per le stesse ragioni, Saipem, che si occupa delle infrastrutture per i gasdotti, ha subito perdite considerevoli. Tuttavia le relazioni tra Saipem e Gazprom potrebbero beneficiare della storica collaborazione per la costruzione di Nord Stream 1, favorendo il possibile coinvolgimento dell’impresa italiana nella costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Inoltre, grazie al Memorandum d’intesa siglato tra Gazprom, la compagnia italiana Edison e quella greca Depa si arriverà a riproporre una versione ridotta del progetto di South Stream, potenzialmente in grado di portare il gas russo in Italia attraverso la connessione col gasdotto Itgi. Sul piano politico l’Italia è interessata a un coinvolgimento della Russia nei principali contesti internazionali, in particolare nella lotta contro il terrorismo internazionale, nella gestione della crisi libica e nell’attuazione dell’accordo sul nucleare iraniano. L’interesse a costituire un fronte il più possibile ampio che coinvolga anche la Russia è particolarmente evidente nel caso della Libia, che riveste per l’Italia una grande importanza sia economica che strategica. Un mancato sostegno di Mosca in sede Onu potrebbe frustrare ogni tentativo di stabilizzazione del paese e impedire, o quantomeno rendere politicamente molto oneroso, un intervento internazionale. 83 8. Conlitto e cooperazione nel Mediterraneo e in Medio oriente 8.1 Il conlitto in Libia Roberto Aliboni L’evoLuzione deLLa crisi in Libia La crisi politica sviluppatasi nel primo semestre del 2014 in Libia, dopo la vittoria della coalizione delle forze liberal-conservatrici alle elezioni del 25 giugno, si trasformava in luglio in un vero e proprio conflitto armato fra la coalizione vincitrice e quella delle forze rivoluzionario-islamiste. Contestualmente il conflitto si traduceva in una spaccatura anche istituzionale fra il parlamento e il governo usciti dalle elezioni e riconosciuti internazionalmente – con sede rispettivamente a Tobruk e Beida – e il parlamento e il governo formati a Tripoli dai rivoluzionari e dagli islamisti1. Nel settembre, mentre il conflitto armato fra le due coalizioni divampava, l’Onu dava il via a una mediazione internazionale. Durata un intero anno, l’azione diplomatica dell’Onu ha disarticolato le due coalizioni, dividendole più o meno trasversalmente in una corrente di forze disponibili all’accordo e una di forze intransigenti. La piattaforma dell’Onu e le correnti ad essa favorevoli non sono riuscite, tuttavia, a prevalere sull’opposizione delle forze di Tobruk, raccolte attorno al generale Khalifa Haftar – appoggiate dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti –, né sugli islamisti più intransigenti di Tripoli – sostenuti, seppur più debolmente, dalla Turchia e dal Qatar. In effetti, alla fine di settembre la piattaforma dell’Onu è stata approvata, ma essa si fonda più sul sostegno e sulla legittimità fornite dal Consiglio di Sicurezza e dalla comunità internazionale – in particolare l’Ue e l’Occidente – che su un credibile e solido accordo politico fra le forze locali. L’insediamento del governo Serraj a Tripoli nell’aprile 2016, malgrado Roberto Aliboni, “Il nodo del conflitto in Libia”, in AffarInternazionali, 3 giugno 2014, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2669. 1 87 RoBeRto alIBonI l’opposizione e le minacce del governo locale, ha messo allo scoperto la debolezza degli islamisti, le cui milizie non hanno reagito. Tuttavia, il governo Serraj non è riuscito ad ottenere dal Parlamento di Tobruk il voto di fiducia necessario alla sua legittimazione in base all’Accordo politico libico approvato il 12 dicembre 2015 a Skhirat (la costituzione transitoria). Questo voto è infatti impedito dal generale Haftar e dagli attori regionali e internazionali che lo appoggiano: perciò essi (assai meno gli islamisti) appaiono oggi come la vera causa efficiente della crisi. Alla difficile evoluzione interna del conflitto libico si è aggiunta dall’inizio del 2015 l’infiltrazione dell’Isis. Quest’ultimo è visto come una grave minaccia da tutte le forze libiche, con l’eccezione di alcune frange islamiste più radicali. Questa minaccia condivisa non è però sufficiente a indurle a un’azione comune. L’infiltrazione dell’Isis e l’incapacità dei libici di contrastarla, preoccupa la comunità internazionale, in particolare i paesi vicini e quelli occidentali, che hanno iniziato un intervento in chiave di controterrorismo. iniziative e poLitiche deL governo itaLiano Fino all’erompere del conflitto civile armato alla metà del 2014, l’Italia ha sostenuto i governi libici succeduti all’era Gheddafi – prima il governo Zeidane poi quello al-Thiney. In quest’ottica, il 6 marzo 2014 l’Italia organizzava con successo una conferenza internazionale per stimolare l’appoggio internazionale alla transizione libica. Al tempo stesso portava avanti programmi di addestramento militare, a livello bilaterale (accordi tra Pinotti e al-Thiney del 28 novembre 2013) e multinazionale (la costituzione di una “Forza d’impiego generale” a contrasto delle milizie di parte varata da Usa, Regno Unito, Francia e Italia). Allo scoppio del confitto civile a metà del 2014, la prospettiva cambiava completamente. L’Italia è stata fra i primi promotori dell’avvio di una mediazione internazionale, che è stata poi effettivamente intrapresa dall’Onu, e ha attivamente partecipato alle varie iniziative diplomatiche, internazionali e regionali, a sostegno dello sforzo di mediazione. Nella prima parte del 2015, il governo italiano ha seguito due principali direttrici: il sostegno alla mediazione dell’Onu e la promozione di iniziative per il controllo in mare del traffico clandestino di rifugiati e migranti e per il contrasto alle reti dei trafficanti. Quanto alla prima direttrice, la diplomazia italiana premeva in sede 88 8.1 Il conFlItto In lIBIa Onu affinché il Consiglio di Sicurezza sostenesse la mediazione avviata dal segretario generale. Il 27 marzo 2015 il Consiglio approvava la risoluzione 2213 con la quale sottolineava l’impossibilità di soluzioni militari al conflitto, e confermava il suo appoggio al processo politico, prorogando fino a settembre il mandato negoziale. Più complessa l’azione per il controllo in mare dell’immigrazione, passata nel frattempo – con la chiusura dell’operazione “Mare Nostrum” (13 ottobre 2014) – in mano all’Ue e all’agenzia Frontex. Apparendo insufficiente e inidonea l’azione dell’Ue, il governo italiano promuoveva una sessione straordinaria del Consiglio europeo con l’intento di accrescere il ruolo dell’Ue nella gestione dell’immigrazione nel Mediterraneo e aumentare le risorse europee dedicate a tal fine. Il Consiglio europeo del 23 aprile 2015, oltre a rafforzare le operazioni di monitoraggio e salvataggio dell’agenzia Frontex (“Triton” e “Poseidon”), poneva le premesse per il varo dell’operazione Eunavfor Med nell’ambito della Politica di sicurezza e difesa comune (Pesd). L’operazione, oltre al monitoraggio, puntava a individuare, fermare e distruggere le imbarcazioni adibite al traffico, non solo in alto mare, ma anche nelle acque territoriali degli stati interessati nonché sulle loro coste. L’operazione veniva lanciata dal Consiglio europeo il 22 giugno 2015 limitatamente alle azioni in alto mare. Al contempo l’Ue e i governi interessati, fra cui quello italiano, iniziavano a lavorare per ottenere un via libera del Consiglio di Sicurezza anche ad azioni nelle acque territoriale e sulle coste. Tuttavia, nella risoluzione 2240 sul traffico di esseri umani in relazione alla Libia che il Consiglio di Sicurezza approverà il 9 ottobre 2015 dette azioni non verranno autorizzate. Nel frattempo, si consolidava lo schieramento internazionale a sostegno della mediazione Onu, a dispetto dei suoi esiti deludenti. Il 13 dicembre si riuniva a Roma una conferenza presieduta da Usa, Italia e Onu con la partecipazione di 17 stati e dell’Ue per sostenere l’autoproclamazione del governo Serraj. Quest’ultimo però non riusciva ad ottenere il necessario voto di fiducia dal parlamento di Tobruk. Perciò, nell’aprile 2016, la comunità internazionale si è impegnata a conferire al governo Serraj la legittimità che non riesce ad ottenere dal Parlamento di Tobruk. L’Italia è nel gruppo di testa degli stati che sostengono questa operazione2. Roberto Aliboni, “Libia: il governo autocertificato di Al-Sarraj”, in AffarInternazionali, 21 marzo 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3378; Valerio Briani 2 89 RoBeRto alIBonI La poLitica Libica deL governo itaLiano Nell’intero periodo qui considerato, in particolare nella fase che da ultimo ha aperto il governo Serraj, l’Italia ha sottolineato costantemente la sua disponibilità a contribuire ad operazioni di pace e stabilizzazione in Libia, condizionandola però all’esistenza di un governo legittimo in Libia, ad una sua richiesta, e alla sussistenza di un quadro di legalità internazionale. Il governo italiano ha anche dichiarato la sua disponibilità ad assumere la guida della missione. Nel dibattito pubblico italiano non di rado l’accento è caduto sull’intervento militare. I rischi e le pressioni promananti dalla crisi libica – immigrazione e Isis in primis – hanno indotto più volte il governo a dichiararsi “pronto” ad un’azione militare e i media, per parte loro, hanno spesso presentato piani di contingenza dello Stato Maggiore come decisioni già prese dal governo. A placare le polemiche è però intervenuto più volte il presidente del Consiglio, ricordando che l’obiettivo italiano è una soluzione politica della crisi e che l’Italia parteciperà a un eventuale intervento solo dopo un accordo sostenuto internazionalmente. Questa disponibilità reiteratamente dichiarata dal governo italiano a un eventuale intervento in Libia ha anche lo scopo di riaffermare il ruolo internazionale del paese, in particolare nella regione mediterranea. È anche in questa chiave che vanno letti i toni, talora eccessivamente drammatici, usati dal governo nella comunicazione sulla crisi libica. Per l’Italia è inoltre vitale che i problemi di sicurezza nel Mediterraneo non siano trascurati in una fase nella quale altre crisi, in particolare quella ucraina, sono al centro dell’attenzione degli alleati. Occorre tenere conto anche dell’ulteriore elemento di complicazione rappresentato dall’azione dell’Isis. Gli alleati che si sono riuniti a Hannover il 24 aprile 2016 (Usa, Regno Unito, Francia, Germania e Italia) hanno mostrato di avere priorità diverse: i primi tre e, forse, anche la Germania, sono concentrati sulla lotta all’Isis e sulla dimensione regionale della crisi; l’Italia è invece interessata soprattutto alla Libia. Partecipa – per ora molto marginalmente – alle operazioni di contrasto all’Isis, ma si prepara soprattutto a un impegno per la stabilizzazione della Libia con varie operazioni di sostegno tecnico-militare al governo (protezione del governo (a cura di), “La crisi libica. Situazione attuale e prospettive di soluzione”, in Approfondimenti dell’Osservatorio di politica internazionale, n. 120 (giugno 2016), http://www.iai. it/it/node/6447. 90 8.1 Il conFlItto In lIBIa stesso, dei campi petroliferi, addestramento, ecc.). Gli sforzi dell’Italia sono perciò complementari all’azione contro l’Isis condotta dai suoi alleati, ma la impegnano soprattutto nel quadro propriamente libico. Questa situazione contribuisce ad alimentare una certa confusione nell’opinione pubblica e suscita dibattiti non proprio pertinenti nel paese3. Un altro aspetto problematico della politica libica dell’Italia sono i rapporti con l’Egitto. L’azione internazionale a sostegno del governo Serraj è infatti ostacolata in primo luogo dall’Egitto, e l’Italia ha condotto fin qui una politica di forte appoggio all’Egitto di al-Sisi per motivi essenzialmente di espansione economica. Da ultimo, questo orientamento è diventato molto più problematico a causa degli sviluppi del caso Regeni. Come altri attori internazionali, l’Italia conduce una politica libica che mira a una soluzione della crisi che non è vista con favore o è apertamente osteggiata da alcuni suoi partner regionali. Se si appoggia l’Egitto, si appoggia Haftar in Libia e, se in Libia si appoggia Haftar, non si può sostenere Serraj. D’altra parte, le ferme posizioni prese dal governo italiano sul caso Regeni sono difficilmente compatibili con uno stretto rapporto di collaborazione politica con l’Egitto4. Roberto Aliboni, “Libia, i dubbi italiani sull’intervento”, in AffarInternazionali, 7 marzo 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3361. 4 Vedi il capitolo di Azzura Merigolo in questo volume. 3 91 8.2 siria, Iraq e palestina Andrea Dessì Contraddistinto da un netto peggioramento dello scenario regionale in Medio Oriente, il biennio 2014-15 è stato testimone di nuovi sconvolgimenti politico-militari non soltanto in Siria, ma anche nel vicino Iraq, in Palestina e in Israele. La minaccia dell’Isis (Islamic State in Iraq and alSham, anche noto come Isis o Daesh), che nell’estate 2014 si è impossessato di gran parte delle regioni nord-occidentali dell’Iraq, unendole alle proprie conquiste siriane in un autoproclamato “Stato islamico”, rimane fonte di profonda apprensione internazionale nonostante gli sforzi della coalizione anti-Isis a guida Usa in azione dal giugno 2014. All’intervento statunitense, al quale prendono parte molti paesi della regione ed europei, tra cui l’Italia, si è sovrapposto, a partire del settembre 2015, un secondo intervento esterno: quello della Russia a sostegno del regime di Bashar al-Assad. Durante il periodo in esame, alla luce delle complesse e intrecciate crisi mediorientali, la rinnovata minaccia jihadista e l’aumento dei flussi migratori, l’Italia ha ampliato il suo impegno nella regione. Il governo ha aumentato gli aiuti umanitari, in particolare al popolo siriano, ma anche ai paesi limitrofi alle zone di conflitto in Siria-Iraq e alla popolazione di Gaza. È cresciuto, nel contempo, anche il coinvolgimento diplomatico e militare italiano, con l’aumento del contingente militare in Iraq e la promozione di diverse iniziative umanitarie in ambito europeo. Dall’Italia è arrivato anche un importante sostegno logistico all’operazione internazionale di disarmo dell’arsenale chimico di Assad: è stato infatti utilizzato il porto di Gioia Tauro per il trasbordo su una unità navale Usa del materiale chimico destinato ad essere eliminato (3 luglio 2014). L’Italia si è peraltro opposta all’opzione militare propugnata da alcuni paesi occidentali, sostenendo gli sforzi diplomatici degli inviati speciali dell’Onu – Lakhdar Brahimi 93 andRea dessì prima, Staffan de Mistura poi – e rimarcando la necessità di coinvolgere anche l’Iran nel dialogo sulla Siria. Escluso dai colloqui diplomatici di Ginevra II ad inizio 2014, dove per la prima volta era presente anche l’Italia, l’Iran ha invece partecipato all’incontro di Vienna del Gruppo di sostegno internazionale alla Siria (Issg) nel novembre 2015. Nel dicembre 2014, l’Italia ha promosso, insieme alla Commissione europea, il primo fondo fiduciario europeo (Madad Trust Fund) per garantire un miglior coordinamento nell’invio di aiuti umanitari al popolo siriano. Con un bilancio iniziale di 23 milioni di euro, tre dei quali stanziati dal governo italiano come promotore e membro fondatore, il fondo è diventato il principale strumento per il coordinamento delle iniziative umanitarie europee. Dal 2011, secondo dati del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci), l’Italia avrebbe stanziato quasi 79 milioni di euro per far fronte all’emergenza umanitaria in Siria, 20 dei quali nell’anno 20151. A dimostrazione della gravità della crisi umanitaria nella regione, l’Italia ha annunciato alla conferenza dei donatori per la Siria del febbraio 2016 un impegno di ulteriori 400 milioni di dollari per il triennio 2016-182. Il pacchetto comprende 150 milioni in doni, 200 milioni in prestiti agevolati e 50 milioni per la cancellazione del debito di paesi come la Giordania e il Libano. L’Italia è stata particolarmente attiva sul fronte delle iniziative internazionali per la protezione del patrimonio culturale, promuovendo la creazione di una nuova task force Onu specializzata negli interventi in zone di crisi. Avviata in risposta alla distruzione di vaste zone archeologiche da parte dell’Isis in Iraq e Siria, l’iniziativa italiana per la creazione dei cosiddetti “Caschi blu della cultura”, presentata all’Onu dal primo ministro Matteo Renzi nel settembre 2015, è stata adottata dal Consiglio esecutivo dell’Unesco il 17 ottobre ed è diventata operativa agli inizi del 2016 con sede centrale a Torino3. L’Italia ha predisposto un primo contingente di 60 unità composto da storici dell’arte, studiosi, restauratori e carabinieri per Maeci, Dalla Cooperazione altri 2 milioni di euro per rifugiati siriani, 11 novembre 2015, http://www.esteri.it/mae/tiny/21615. 2 Rappresentanza permanente presso l’Onu, Siria: Conferenza donatori; Gentiloni, da Italia 400 milioni US$, 4 febbraio 2016, http://www.rapponuroma.esteri.it/rapp_onu_ roma/tiny/170. Per l’impegno effettivo si veda Supporting Syria & the Region Conference, Co-host’s statement annex: fundraising, 8 febbraio 2016, https://www.supportingsyria2016.com/news/co-hosts-statemtent-annex-fundraising. 3 Ministero dei Beni culturali, Caschi blu cultura: siglato l’accordo con l’Unesco per la task force italiana, 16 febbraio 2016, https://shar.es/1J5ZEv. 1 94 8.2 sIRIa, IRaq e palestIna interventi in zone di crisi, su richiesta dello stato territoriale. Sempre nel campo della tutela dei beni culturali, l’Italia, in cooperazione con l’Unesco, ha attuato un progetto pilota per la creazione di una banca dati georeferenziale di siti archeologici e monumenti colpiti o minacciati dall’Isis in Iraq4. Attraverso l’uso di riprese satellitari e altre metodologie di rilevamento, l’iniziativa mira tra l’altro a migliorare le capacità di prevenzione e contrasto del traffico illecito di reperti archeologici dalla Siria e dall’Iraq, che rappresenta un’importante fonte di entrate per l’Isis. In ambito umanitario è da segnalare anche un’altra importante iniziativa: la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese evangeliche e la Tavola valdese hanno intrapreso, in cooperazione con il governo italiano, un progetto pilota per la creazione di corridoi umanitari verso l’Italia5. Lanciata nel dicembre 2015 come un potenziale modello da estendere al resto dell’Europa, l’iniziativa prevede l’arrivo in Italia, nell’arco di due anni, di mille rifugiati provenienti da Libano, Marocco e Etiopia. Le prime famiglie di rifugiati, un centinaio di persone tra cui molti minori, sono arrivate a Roma nel febbraio 2016 in attesa di essere integrate in varie regioni italiane. Venendo alla crisi irachena e al contributo italiano alla coalizione internazionale anti-Isis, la diplomazia italiana ha predisposto l’aumento del contingente militare in Iraq a 750 unità6, contributo che dovrebbe crescere ulteriormente nel 2016 con l’invio di altri 450 militari nella città irachena di Mosul. Nel marzo 2016 è stato infatti siglato un accordo tra il governo iracheno e la compagnia italiana Trevi di Cesena per la realizzazione di urgenti lavori di consolidamento alla diga di Mosul7. Il contratto del valore di 273 milioni di euro è stato ufficializzato a febbraio, poco prima della visita a Roma del primo ministro iracheno, Haider al-Abadi. Il governo italiano si è perciò impegnato all’invio di circa 500 militari per difendere l’area dei lavori8. Maeci, Baghdad - Tutela patrimonio Iraq, da Cooperazione progetto database, 15 settembre 2015, http://www.esteri.it/mae/tiny/21265. 5 Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Corridoi umanitari, http://www.fedevangelica.it/index.php/it/corridoi-umanitari. 6 Servizio studi della Camera, Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali - Dossier n° 363/1, 3 novembre 2015, http://www.camera.it/temiap/d/leg17/ D15174a. 7 Gruppo Trevi, Trevi firma il contratto per i lavori di manutenzione della diga di Mosul, 2 marzo 2016, http://www.trevifin.com/bom/downloadfree.asp?lib=Files&ID=4175. 8 Audizione del min. Pinotti, 8 giugno 2016, http://webtv.senato.it/4621?video_evento=2731. 4 95 andRea dessì L’avanzata lampo dell’Isis in Iraq ha suscitato profonda apprensione anche in Italia. Su richiesta del governo italiano e di quello francese, il 15 agosto 2014 si è tenuta una riunione di emergenza del Consiglio Affari esteri dell’Ue9. Renzi si è poi recato in visita ufficiale a Baghdad il 20 agosto 2014. In quello stesso giorno le commissioni Esteri e Difesa, in risposta a un appello del governo di Baghdad, approvavano l’invio di aiuti militari al governo iracheno e alle forze di sicurezza curde10. Presentata dal governo come rispondente a un dovere “politico, ma innanzitutto morale”11, tale decisione si è concretizzata nell’invio di armi leggere e munizioni per un valore complessivo di circa 1,9 milioni di euro. L’impegno italiano nella lotta all’Isis, che si è venuto sviluppando a partire dall’ottobre 2014, s’incentra sull’addestramento delle forze di sicurezza locali, e su azioni aeree di ricognizione e sostegno alla coalizione internazionale. I militari italiani sono schierati nelle città di Baghdad, Erbil e Kirkuk, dove attuano diversi programmi di addestramento, e in Kuwait, ove circa 250 militari italiani sono impegnati con due droni Predator e quattro aerei Tornado in azioni di ricognizione e con un aereo-cisterna nel rifornimento in volo12. Il pacchetto di contributi alla coalizione internazionale anti-Isis include 24 blindati Centauro ceduti alla Giordania nel 2015 e impiegati per il pattugliamento dei confini con la Siria. L’Italia, che il 2 febbraio 2016 ha ospitato a Roma l’incontro dello Small Group della coalizione internazionale anti-Isis13, ha scelto di non prendere parte alle operazioni militari in Siria, nonostante le ripetute richieste Usa che avrebbe voluto un contributo più sostanziale alle azioni della coalizione. Nel periodo in esame non si è registrato alcun passo avanti nella gestione del conflitto israelo-palestinese. L’ennesimo tentativo della diplomazia Usa di rianimare il processo di pace si è spento nel maggio 2014. Nell’estate è poi scoppiata una nuova devastante guerra nella striscia di Gaza seguita dall’elezione di un governo di destra nazional-religiosa in Israele. Capeggiata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, la nuova coAudizione dei min. Mogherini e Pinotti, 20 agosto 2014, http://www.senato.it/ leg/17/BGT/Schede/ProcANL/ProcANLscheda30619.htm. 10 Senato, Iraq: il Governo dovrà dare attuazione agli indirizzi del Consiglio Ue, 20 agosto 2014, http://www.senato.it/comunicato?comunicato=47880. 11 Audizione dei min. Mogherini e Pinotti, 20 agosto 2014, cit. 12 Ministero della Difesa, Operazione “Prima Parthica”, http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/op_intern_corso/Prima_Parthica. 13 Maeci, Vertice anti-Daesh alla Farnesina – “Abbiamo fatto progressi ma la minaccia persiste”, 2 febbraio 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22067. 9 96 8.2 sIRIa, IRaq e palestIna alizione governativa israeliana si è mostrata ancora meno propensa a un negoziato con i palestinesi. Questi ultimi, a loro volta, hanno intensificato le iniziative in ambito internazionale, ottenendo l’adesione alla Corte penale internazionale (Cpi) il 1° aprile 2015. Dal settembre 2015 è in corso quella che gli israeliani chiamano l’“onda del terrore”, una serie di violenze e accoltellamenti che ha causato la morte di almeno 30 israeliani e 210 palestinesi. In risposta alla crisi umanitaria scaturita dal conflitto a Gaza, l’Italia è intervenuta con un volo d’emergenza di 30 tonnellate di generi di prima necessità (5 agosto 2014) e poi con un programma di distribuzione di farmaci, tende e attrezzature mediche per il valore di due milioni di euro14. Da segnalare anche un importante progetto di linea di credito di 15 milioni di euro per la realizzazione di un piano di edilizia sociale a Gaza che conta di fornire alloggi a circa 20 mila persone. Ufficializzato attraverso la firma di un protocollo di intesa il 18 novembre 2015, il progetto rientra nel pacchetto di 18,7 milioni di euro annunciati dal governo italiano alla conferenza dei donatori per Gaza il 12 ottobre 2014. Le preoccupazioni italiane per il continuo peggioramento dello scenario politico e di sicurezza in Terra Santa non hanno causato particolari problemi ai rapporti bilaterali con Israele. Il 13 novembre 2014 si è tenuta a Roma la quinta riunione di dialogo strategico italo-israeliano15, seguita nel luglio 2015 dalla prima importante visita di Renzi in Israele16, ricambiata da Netanyahu con una visita in Italia il 27-29 agosto17. A settembre si è riunita a Milano la commissione mista Italia-Israele dove sono stati siglati 16 nuovi progetti in ambito farmaceutico, sulla sicurezza cibernetica e sulle nuove tecnologie per l’agricoltura. Tra questi vi è anche la creazione di un laboratorio congiunto sulla sicurezza cibernetica tra le università di Modena, Reggio Emilia e Tel Aviv18. Il 26 giugno è poi arrivaUnrwa, Intervista a Giampaolo Cantini, 17 febbraio 2015, http://www.unrwaitalia. org/attualita/news/dettaglio-news/article/intervista-a-giampaolo-cantini-direttore-generale-della-direzione-per-la-cooperazione-allo-sviluppo. 15 Maeci, V riunione di dialogo strategico italo-israeliano alla Farnesina, 13 novembre 2014, http://www.esteri.it/mae/tiny/19644. 16 Israel Ministry of Foreign Affairs, Italian PM Matteo Renzi on official visit to Israel, 22 luglio 2015, http://mfa.gov.il/MFA/PressRoom/2015/Pages/Italian-PM-Renzi-arrivesin-Israel-22-Jul-2015.aspx. 17 Israel Ministry of Foreign Affairs, PM Netanyahu meets Italian PM Matteo Renzi, 29 agosto 2015, http://mfa.gov.il/MFA/PressRoom/2015/Pages/PM-Netanyahu-meets-Italian-PM-Matteo-Renzi-28-Aug-2015.aspx. 18 Maeci, Italia-Israele - A Milano valutati e approvati 16 progetti co-finanziati in ma14 97 andRea dessì ta in Israele una delegazione di 25 giovani imprenditori di Confindustria, con un fitto programma di incontri volti a potenziare i legami economici tra i due paesi. I buoni rapporti bilaterali si evidenziano anche nell’ambito della cooperazione militare, come dimostra la partecipazione italiana all’esercitazione militare Rising Star tenuta nel porto di Haifa nell’ottobre 201519 e la visita del ministro Pinotti in Israele a fine febbraio 201620. Incontrando l’omologo Moshe Ya’alon, la Pinotti ha riscontrato l’apprezzamento da parte d’Israele per l’arrivo dei primi esemplari di M-346 Master, aerei da addestramento militare costruiti dall’Alenia Aermacchi (Finmeccanica) e ora in dotazione all’esercito israeliano. Siglato nel 2012, l’accordo prevede il trasferimento di 30 velivoli entro il 2016, per un valore di circa un miliardo di euro. L’Italia ha inoltre espresso un netto rifiuto di ogni forma di “boicottaggio” di Israele, per usare le parole di Renzi dinanzi al parlamento israeliano nel luglio 201521. L’intervento del presidente del Consiglio ha riscosso un forte plauso da parte del governo israeliano, specie per il sostegno alla sicurezza di Israele, definita da Renzi parte integrante della sicurezza italiana ed europea. In ambito bilaterale sono però da segnalare importanti punti di disaccordo con il governo di Netanyahu, a partire dall’opposizione israeliana all’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, fortemente sostenuto dall’Italia. Il governo italiano ha inoltre inviato ripetute note di protesta per la continuazione degli insediamenti israeliani in territorio palestinese. L’Italia ha anche dovuto affrontare la questione del riconoscimento della Palestina. La Svezia e i parlamenti di Regno Unito, Spagna, Francia e Irlanda hanno approvato il riconoscimento. In Italia, invece, sono state approvate nel febbraio 2015 due mozioni parlamentari contrastanti22, una del Partito democratico, l’altra del Nuovo centrodestra (Ncd), con il risultato di lasciare nel limbo la posizione diplomatica italiana. Le mozioteria scientifica da realizzare nei due paesi, 8 settembre 2015, http://www.esteri.it/mae/ tiny/21225. 19 Marina militare, Esercitazione ‘Rising Star’, la Marina si addestra al soccorso dei sommergibili, 27 ottobre 2015, http://www.marina.difesa.it/Notiziario-online/Pagine/20151027_rising_star.aspx. 20 Ministero della Difesa, Italia - Israele. Pinotti: maggiore collaborazione fattore di innovazione, 29 febbraio 2016, http://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/Israele.aspx. 21 Governo, Intervento alla Knesset, 22 luglio 2015, http://www.governo.it/articolo/ intervento-alla-knesset/4070. 22 Camera, Iniziative per il riconoscimento dello Stato di Palestina, 27 febbraio 2015, http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0383. 98 8.2 sIRIa, IRaq e palestIna ni infatti, prevedono da una parte il riconoscimento, in prospettiva, della Palestina, ma dall’altra, come si legge nella mozione del Ncd, la subordinazione di tale riconoscimento alla ripresa del dialogo politico in Terra Santa e a un accordo di riconciliazione tra le fazioni palestinesi di Hamas e Fatah. 99 8.3 egitto Azzurra Meringolo Tra il 2014 e il 2015, la transizione egiziana è passata attraverso tre importanti tappe della roadmap presentata dai militari dopo il colpo di stato del luglio 2013: l’approvazione, a gennaio, della nuova costituzione; le elezioni presidenziali di giugno 2014 vinte dall’ex generale Abdel Fattah Al-Sisi, che ha così consolidato il suo potere; e le elezioni parlamentari di fine 2015 che hanno ulteriormente rafforzato il sostegno al regime. Anche se questi sviluppi hanno in una certa misura attenuato l’instabilità che dal 2011 caratterizza lo scenario politico del paese, l’Egitto è tuttora in un equilibrio precario. Il varo di leggi repressive e di nuove politiche di controllo dello spazio pubblico ha suscitato una nuova ondata di proteste che ha coinvolto, nel 2014, soprattutto le università per poi estendersi nel 2015 anche ai movimenti sindacali. Sono anche aumentati notevolmente i casi di sparizioni forzate e di arresti di massa. Vi è stata inoltre un’escalation di attacchi violenti contro le nuove autorità: se ne sono registrati una media di 30 al mese nel 2014 e 100 al mese nel 2015. Gli attacchi si sono concentrati soprattutto nella regione del Sinai, ma hanno poi avuto per teatro anche la regione del grande Cairo e quella lungo il confine libico. Tra i diversi gruppi jihadisti, si è distinto per il suo attivismo Ansar Beit al Maqdis che nel novembre 2014 ha pubblicamente giurato fedeltà all’autoproclamatosi stato islamico. Le cellule islamiste attive considerano illegittimo il nuovo regime, denunciando di essere vittime di una nuova repressione. Il partito della Fratellanza musulmana è stato infatti nuovamente bandito e molti dei suoi leader sono stati condannati a morte o a lunghi periodi di detenzione. Ciononostante, l’Italia ha scommesso sul nuovo regime di Al-Sisi e sul ruolo stabilizzatore che esso può giocare nella regione, adottando una realpolitik basata sulla comprensione per le preoccupazioni di sicurez- 101 azzUrra meringoLo za egiziane: un approccio ben esplicitato dalle parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi ad Al-Sisi nel marzo 2015: “la sfida dell’Egitto è la nostra sfida”, “la stabilità dell’Egitto è la nostra stabilità”1. Nel 2014, oltre alle due visite del ministro degli Esteri Federica Mogherini, e a quelle del ministro dell’Interno Angelino Alfano a settembre e del ministro della Difesa Roberta Pinotti a novembe, a suggellare la relazione bilaterale tra Roma e il Cairo è stato il viaggio, a inizio agosto, di Renzi, il primo leader occidentale a recarsi in Egitto per un incontro con il neoeletto presidente Al-Sisi2. A queste visite si è aggiunta quella di Al-Sisi in Italia il 24 e 25 novembre, la prima del leader egiziano in Europa. Nel 2015, oltre alla partecipazione di Renzi alla conferenza di marzo di Sharm el-Sheik, il ministro Pinotti è tornato il Egitto in occasione dell’inaugurazione dell’ampliamento del Canale di Suez3 e il ministro degli Esteri Gentiloni si è recato nella capitale egiziana il 7 giugno in occasione di una riunione trilaterale dei capi della diplomazia di Algeria, Egitto e Italia incentrata sulla crisi in Libia e vi è tornato il 14 luglio, in seguito all’attacco davanti al consolato italiano al Cairo dell’11 luglio. Dal punto di vista commerciale, tre sono stati gli eventi più importanti: la missione di febbraio al Cairo, guidata dal viceministro Carlo Calenda; il Business Council italo-egiziano tenutosi a luglio a Milano; la visita a dicembre a Roma del ministro egiziano per gli Investimenti Ashraf Salman4. Significativa anche la visita a Roma, il 24 luglio, del primo ministro egiziano Ibrahim Mahlab che, oltre a Renzi, ha incontrato il ministro Pinotti e il presidente della repubblica Sergio Mattarella. In questa occasione sono stati firmati otto accordi riguardanti il settore energetico, per un valore complessivo di 8 miliardi e 488 milioni di dollari5. Video dell’intervento alla Conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto, Sharm el-Sheikh, 13 marzo 2015, http://www.governo.it/node/597. 2 Mogherini è al Cairo dal 18 al 19 luglio e poi dall’11 al 12 ottobre in occasione della Conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza. Alfano è al Cairo dal 3 al 4 settembre, mentre Pinotti è al Cairo dal 31 ottobre al 1 novembre. La visita al Cairo di Renzi si svolge il 2 agosto. 3 Renzi partecipa il 13 marzo alla Conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto. Pinotti partecipa il 6 agosto alla cerimonia per l’ampliamento del Canale di Suez. 4 La missione guidata da Calenda è al Cairo dal 21 a l 24 febbraio, la riunione del Business Council si tiene a Milano il 23 luglio, mentre Salman è a Roma l’11 dicembre. Si veda Ambasciata d’Italia al Cairo, Missione settoriale di imprese italiane a guida Vice Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, 1 marzo 2015, http://www.ambilcairo.esteri.it/ ambasciata_ilcairo/tiny/400; Ispi, Business Council italo-egiziano, http://www.ispionline. it/it/node/1498. 5 “Italia-Egitto, firmati otto accordi per 8,5 miliardi dollari”, in Il Sole 24 Ore, 24 lu1 102 8.3 egItto Si è intensificata anche la cooperazione bilaterale per il controllo delle coste, pur in assenza di un accordo formale. Dal 2014 è stato però soprattutto il dossier libico a tenere occupate le due diplomazie. In particolar modo da quando gli Stati Uniti e la maggioranza delle ambasciate occidentali si sono allontanate da Tripoli, il crescente ruolo italiano è stato osservato con interesse dal Cairo che ha trovato nel general Khalifa Haftar il suo interlocutore ideale, sostenendo, almeno logisticamente, la sua “Operazione Dignità” contro islamisti e “terroristi”. Rifiutando proposte di azioni bilaterali e insistendo su una soluzione inclusiva per il futuro della Libia, l’Italia ha preferito collaborare con l’Egitto, pur conducendo una politica indipendente sulla Libia. Per quanto riguarda la politica interna egiziana, l’approccio del governo Renzi si è differenziato da quello del suo predecessore. Mentre l’ex-ministro degli Esteri Emma Bonino aveva propugnato l’istituzionalizzazione e l’inclusione degli islamisti nelle dinamiche politiche interne, il suo successore, Paolo Gentiloni, non ha insistito né su tale questione, né sul rispetto dei diritti umani degli attivisti. Anche se in ambito comunitario l’Italia ha continuato a monitorare i dossier più sensibili, non ha mai adottato, a differenza dei paesi del nord Europa, posizioni nette a difesa degli attivisti perseguitati dalle autorità egiziane. L’Italia ha concentrato la cooperazione bilaterale su cinque tradizionali settori di intervento, in linea con le priorità del Quadro strategico per il piano nazionale egiziano di sviluppo economico e sociale fino al 2022: agricoltura e sviluppo rurale; sociale; istruzione; sviluppo del settore pubblico e privato; ambiente e patrimonio culturale. Il governo italiano ha fatto il possibile per dare concretezza economica alla scommessa sul nuovo regime egiziano. Gli investitori, impauriti dalla mancanza di liquidità, dall’instabilità economica, dagli impedimenti burocratici e da un sistema giudiziario poco trasparente, hanno fatto fatica a investire nel paese. Nella riunione del Business Council del 25 novembre 2014, il primo ufficiale dal 2012, l’Italia ha cercato di rafforzare le relazioni economiche con l’Egitto attraverso accordi in una serie di settori: energia, trasporti, sicurezza, agricoltura, costruzioni, formazione e infrastrutture. Quelli firmati in questa occasione, a latere della visita di Al-Sisi in Italia, hanno coinvolto in primis Fincantieri, Ansaldo Energia e Sace. L’obiettivo dell’Italia era di ampliare il volume glio 2015, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-07-24/italia-egitto-firmati-otto-accordi-85-miliardi-dollari--165927.shtml. 103 azzUrra meringoLo di scambi bilaterali, passando dai 5,1 miliardi di euro a 6 miliardi entro il 20166. In tale contesto, l’evento di maggior spicco è stato la conferenza di Sharm el-Sheikh del marzo 2015. Vi hanno partecipato una trentina di nostre imprese, pronte a investire nei progetti di crescita economica presentati da Al-Sisi. L’Italia ha scommesso in particolare sul turismo, cercando di replicare nella striscia di costa vicina alla Libia il successo dei resort a gestione italiana di Sharm el-Sheikh. Nel Sinai, gli investimenti si sono concentrati sul Canale di Suez, il cui raddoppio – inaugurato nell’agosto 2015 – coinvolgerebbe Fincantieri. In campo energetico a farla da padrone è Eni, primo gruppo straniero nel settore. Di particolare importanza è stata la firma, a latere della conferenza di Sharm, di un piano di investimenti di circa 5 miliardi di dollari per lo sviluppo, in quattro anni, di 200 milioni di barili di petrolio e 37 miliardi di metri cubi di gas7. A suggellare tale piano è stata discusso, a novembre 2015, il progetto per la creazione di un “super hub” del gas che vede coinvolti anche Cipro e Israele8. Partendo dal Mediterraneo orientale, questo progetto potrebbe allargarsi alla sicurezza energetica continentale, in primis a quella dei Paesi della sponda nord del Mediterraneo. Di grande importanza è stata, in questo quadro, la scoperta dei nuovi giacimenti nei dintorni del bacino di Zohr – stimato in 850 miliardi di metri cubi9. Nel febbraio 2016 un gruppo di imprenditori italiani capitanati dal ministro Federica Guidi si è recato al Cairo. La missione è stata interrotta alla notizia del ritrovamento del corpo seviziato del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni10. Questo evento – molto più dell’attacco alla sede del consolato italiano al Cairo – ha creato tensioni bilaterali, in primis per la scarsa cooperazione con la quale si è dovuto confrontare il team di investigatori italiani arrivati al Cairo per seguire le indagini. Annunciando “Egitto: 5,1 mld $ interscambio 2014, obiettivo 6 mld entro 2016”, in Il Sole 24 Ore Radiocor, 26 novembre 2014, http://www.esteri.it/mae/tiny/19734. 7 Eni, Eni firma un accordo quadro per lo sviluppo delle risorse petrolifere dell’Egitto, 14 marzo 2015, https://www.eni.com/it_IT/media/2015/03/eni-firma-un-accordo-quadro-per-lo-sviluppo-delle-risorse-petrolifere-dellegitto. 8 Eni, Il Presidente dell’Egitto Abdel Fattah al-Sisi incontra l’AD di Eni Claudio Descalzi, 26 novembre 2015, https://www.eni.com/it_IT/media/2015/11/il-presidente-dellegitto-abdel-fattah-al-sisi-incontra-lad-di-eni-claudio-descalzi. 9 Eni, Eni: nuovi successi esplorativi in Egitto, 26 febbraio 2016, https://www.eni.com/ it_IT/media/2016/02/eni-nuovi-successi-esplorativi-in-egitto. 10 Maeci, Cordoglio del Ministro Gentiloni per scomparsa del connazionale Giulio Regeni, 3 febbraio 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22077. 6 104 8.3 egItto di non volersi accontentare di una verità di comodo, la Farnesina – più che Palazzo Chigi – ha in più occasioni alzato la voce nei confronti dell’Egitto, denunciando i tentativi di depistaggio, minacciando il ritiro del team di investigatori e chiedendo maggiore collaborazione. Il discorso pronunciato dal ministro Gentiloni il 5 aprile davanti al Parlamento11 ha mostrato la prontezza italiana nel passare dalle parole ai fatti. La scarsa collaborazione egiziana, così come i tentativi di depistaggio delle indagini, hanno quindi portato, l’8 aprile, al richiamo dell’ambasciatore Maurizio Massari a Roma12. La vicenda, che ha coinvolto direttamente Renzi, ha incrinato i rapporti bilaterali, dando inizio a una crisi le cui possibili conseguenze riguarderanno non tanto gli affari, quanto piuttosto il controllo delle coste. Sul caso, l’Italia potrebbe anche fare ricorso agli strumenti previsti dal diritto internazionale. Qualora la responsabilità per gli atti di tortura inflitti a Regeni fosse attribuita alle autorità egiziane, l’Italia potrebbe infatti denunciare la violazione della convenzione internazionale contro la tortura, pretendere la punizione dei responsabili e il risarcimento del danno13. Da un punto di visto politico, l’Italia deve sviluppare la sua azione su un doppio binario. Se da una parte non può chiudere gli occhi di fronte a violazioni in contrasto con i valori europei, dall’altro è interessata a mantenere il tradizionale rapporto privilegiato con l’Egitto anche in vista di un suo coinvolgimento nella gestione multilaterale della crisi libica. Pur investendo sul potenziale ruolo stabilizzatore che l’Egitto può giocare nella regione, l’Italia dovrebbe quindi fare il possibile per frenare la deriva repressiva in atto, che può alimentare la crescita dell’estremismo, e incoraggiare l’avvio di un processo politico inclusivo. Anche alla luce delle esperienze passate, il nostro paese dovrebbe sostenere più attivamente la transizione verso un regime più aperto, condizione essenziale per assicurare all’Egitto una stabilità nel lungo periodo. Informativa sul caso Regeni: Senato, http://www.senato.it/3818?seduta_assemblea=716; Camera, http://www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0602. 12 Maeci, Caso Regeni: richiamo a Roma per consultazioni dell’Ambasciatore Maurizio Massari, 8 aprile 2016, http://www.esteri.it/mae/tiny/22536. 13 Natalino Ronzitti, “Caso Regeni, le vie del diritto per ottenere giustizia”, in AffarInternazionali, 18 febbraio 2016, http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3334. 11 105 9. L’Africa subsahariana Nicoletta Pirozzi Tra il 2014 e il 2016, l’Africa subsahariana ha catalizzato l’attenzione internazionale e dei paesi europei in particolare per tre questioni principali: 1) L’epidemia da virus Ebola (ebola virus desease - Evd), iniziata a dicembre 2013 in Guinea, ha causato 11.323 morti su 28.646 casi diagnosticati secondo stime dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) del 27 marzo 20161. I paesi più colpiti sono stati Guinea, Liberia e Sierra Leone, ma l’epidemia ha interessato anche Nigeria, Mali e Senegal, e alcuni casi si sono registrati anche negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Spagna e in Italia. 2) Si sono intensificate le azioni terroristiche di Boko Haram (che in dialetto Hausa significa “l’educazione occidentale è vietata”), un gruppo estremista islamico attivo soprattutto nel nord della Nigeria. Già nel maggio del 2014 le Nazioni Unite avevano dichiarato Boko Haram affiliato ad Al-Qaeda, mentre nel marzo del 2015 il leader dell’organizzazione, Abubakar Shekau, ha pubblicamente giurato fedeltà allo Stato Islamico e ha propugnato l’obiettivo di istituire una provincia dello Stato Islamico in Africa occidentale. Tra gli episodi più cruenti va ricordato il rapimento di 276 giovani studentesse in un villaggio dello stato del Borno il 14 aprile 2014. La guerra tra Boko Haram e il governo nigeriano ha causato 20mila morti e 2,3 milioni di sfollati in sei anni2. 3) I flussi migratori attraverso il Mediterraneo verso i paesi europei sono aumentati esponenzialmente tra il 2014 e il 2016: 350mila Oms, Ebola Situation Reports, http://apps.who.int/ebola/ebola-situation-reports. Ocha, Nigeria - About the crisis, http://www.unocha.org/nigeria/about-ocha-nigeria/ about-crisis. 1 2 107 nIcoletta pIRozzI nel 2014 (con 3.279 morti), circa un milione nel 2015 (3.771 morti), già 180mila ad aprile 2016 (di cui 728 tra morti e dispersi) secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim)3. I rifugiati provenienti dalla Siria costituiscono attualmente la componente maggioritaria dei flussi diretti in Europa, circa il 43 per cento del totale, ma l’Oim ha registrato un aumento significativo di migranti provenienti dall’Africa subsahariana attraverso la Libia. Per quanto riguarda l’Italia, le principali nazionalità di provenienza sono Nigeria, Gambia, Somalia, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Senegal, Mali e Sudan4. Recentemente si sono avute numerose partenze anche dall’Egitto. L’Italia ha acquisito maggiore consapevolezza della sua esposizione alle conseguenze di questi fenomeni e della necessità di fronteggiarli con strumenti adeguati, ma anche del ruolo di primo piano che il continente africano è destinato a giocare per il futuro del paese, in particolare quello economico ed energetico. La visita del presidente del Consiglio Matteo Renzi ai presidenti delle Repubbliche di Mozambico, Congo-Brazzaville e Angola nel luglio 20145 è stata vista come emblematica di un “ritorno dell’Italia in Africa”6. In effetti, si è trattato della prima visita di un capo di governo italiano in Africa subsahariana (se si esclude la missione di Romano Prodi nel 2006 ad Addis Abeba presso l’Unione africana). Il presidente del Consiglio è tornato in Africa nel luglio del 2015, questa volta privilegiando la regione del Corno, per assistere alla Terza conferenza internazionale per il finanziamento allo sviluppo ad Addis Abeba, in Etiopia (l’unico capo di governo europeo assieme allo svedese Stefan Löfvén), e poi a Nairobi per incontrare le autorità keniote7. Più di recente, nel febUnhcr urges focus on saving lives as 2014 boat people numbers near 350,000, 10 dicembre 2014, http://www.unhcr.org/5486e6b56.html; Iom Counts 3,771 Migrant Fatalities in Mediterranean in 2015, 5 gennaio 2016, https://www.iom.int/node/70462; Unhcr Refugees/Migrants Emergency Response - Mediterranean, http://data.unhcr.org/mediterranean/regional.php. 4 Oim, Mediterranean Migrant Arrivals in 2016: 194,611; Deaths 1,475, 27 maggio 2016, http://www.iom.int/node/75766. 5 Presidenza del Consiglio, Visita Renzi in Mozambico, Congo-Brazzaville e Angola, 22 luglio 2014, http://www.governo.it/node/1658. 6 “Matteo Renzi in Africa, una visita ‘storica’”, in Atlas, 21 luglio 2014, http://atlasweb. it/?p=30055. 7 Presidenza del Consiglio, Renzi in Etiopia e Kenya, 15 luglio 2015, http://www.go3 108 9. L’aFrica SUbSahariana braio del 2016, Renzi ha invece scelto l’Africa occidentale, recandosi in Nigeria, Ghana e Senegal8. I tour africani di Renzi hanno suscitato, a più riprese, alcune reazioni polemiche, alimentando il dibattito sulle priorità italiane in Africa subsahariana. In particolare, il governo è stato accusato di perseguire obiettivi del tutto coincidenti con gli interessi delle grandi aziende. In effetti le visite sono state sempre accompagnate da delegazioni di imprenditori e dirigenti di grandi aziende italiane in particolare quelle attive nei settori dell’energia (Eni), delle infrastrutture (gruppo Trevi), delle costruzioni (gruppo Salini) e dell’agribusiness. Queste visite hanno però soprattutto offerto al governo l’occasione per ribadire il ruolo che possono giocare sviluppo ed investimenti in Africa anche al fine di contrastare immigrazione illegale e terrorismo, e per prendere impegni in materia di cooperazione, come quello annunciato da Renzi di aumentare la quota del Pil riservata all’aiuto pubblico allo sviluppo da 0,16 per cento a 0,25 per cento entro il 2017 (in coincidenza con la presidenza italiana del G7)9. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha svolto due visite di Stato in Etiopia e Camerun nel marzo del 2016, lanciando un ulteriore messaggio di attenzione al continente africano da parte dell’Italia. Tra il 2014 e il 2016 è stato dato nuovo impulso anche a due iniziative politiche intraprese nel 2013 e che potrebbero avere un impatto sulle relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa subsahariana nel prossimo futuro. È stata rilanciata la cosiddetta “iniziativa Italia-Africa”, una serie di progetti ed eventi coordinati dal Ministero degli Affari esteri e finalizzati a promuovere il coinvolgimento del “sistema Italia” a favore della crescita sostenibile nel continente10. Avviata dall’allora ministro degli Affari esteri Emma Bonino nel dicembre 2013, l’iniziativa si era limitata ad una serie di incontri ministeriali su cultura (30 dicembre 2013), agricoltura (20 febbraio 2014) ed energia (13-14 ottobre 2014). La conferenza ministeriale Italia-Africa tenutasi a Roma nel maggio 2016 ha invece rappresentato un salto di qualità nelle relazioni con i paesi africani, con un duplice obiettivo: promuovere la candidatura italiana ad un seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite per il biennio verno.it/node/717. 8 Presidenza del Consiglio, Renzi in Africa: visita in Nigeria, Ghana e Senegal, 3 febbraio 2016, http://www.governo.it/node/3986. 9 Joshua Massarenti, “Matteo Renzi: ‘L’Africa? Una priorità’”, in Vita.it, 16 luglio 2015, http://www.vita.it/it/article/2015/07/16/matteo-renzi-lafrica-una-priorita/135967. 10 Maeci, Iniziativa Italia-Africa, http://www.esteri.it/mae/tiny/1710. 109 nIcoletta pIRozzI 2017-18 e sostenere le proposte italiane per la politica europea di immigrazione contenute nel Migration Compact11. Inoltre, il 29 agosto 2014 è entrata in vigore la nuova legge sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo (L. 11 agosto 2014 n. 125), che aggiorna il sistema della cooperazione dopo 27 anni dall’approvazione della disciplina precedente e prevede, tra le altre cose, una maggiore collaborazione tra settori pubblico e privato e la creazione di un’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo, entrata ufficialmente in funzione il 1° gennaio del 201612. Da segnalare, tra le iniziative multilaterali, la conferma dell’impegno italiano nelle missioni internazionali in Africa subsahariana gestite da Nazioni Unite e Unione europea (Ue)13. L’attenzione italiana per la questione migratoria e per la regione del Corno d’Africa si è concretizzata nel cosiddetto “processo di Karthoum”, ovvero l’iniziativa Ue-Corno d’Africa (con il coinvolgimento di Egitto e Libia) sulle rotte migratorie lanciata nel corso del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue (luglio-dicembre 2014). L’Italia è anche impegnata nel “processo di Rabat”, un foro di dialogo regionale tra l’Ue ed i Paesi dell’Africa occidentale, centrale e mediterranea sui temi migratori avviato nel 2006 e rilanciato con la Dichiarazione di Roma del novembre 201414. Il biennio 2014-16 è stato dunque caratterizzato da una nuova attenzione dell’Italia verso l’Africa subsahariana sia dal punto di vista politico che economico. Tuttavia, non sarà facile per l’Italia recuperare un lungo Presidenza del Consiglio, Immigrazione, la proposta dell’Italia alla UE, 21 aprile 2016, http://www.governo.it/node/4509. Vedi il capitolo di Marcello Di Filippo in questo volume. 12 Vedi il capitolo di Luca De Fraia in questo volume. 13 2-3 unità in media nella UN Mission in Mali (Minusma) e nella UN Mission in South Sudan (Unmiss), 10 unità nella EU Training Mission in Mali (Eutm Mali), 4 unità nella EU Capacity Building Mission in Niger (Eucap Sahel Niger), 5 unità nella EU Capacity Building Mission in Mali (Eucap Sahel Mali), 106 unità nella EU Training Mission in Somalia (Eutm Somalia), 4 unità nella EU Capacity Building Mission in the Horn of Africa (Eucap Nestor), 180 unità nella EU Naval Force Atalanta (Eunavfor), 654 unità nella Eunavfor Med-Operation Sophia. 14 L’accordo, che coinvolge tutti gli Stati membri dell’Ue, Norvegia, Svizzera e 28 partner africani, con l’Algeria in veste di osservatore, si articola in quattro pilastri: (1) il nesso tra migrazione e sviluppo, (2) la cooperazione tra Ue e Africa sulla prevenzione dell’immigrazione illegale, (3) la cooperazione sull’immigrazione legale e (4) la protezione internazionale. Maeci, Immigrati: Gentiloni, più forte cooperazione Ue-Africa - 58 Paesi firmano “Dichiarazione Roma”, lotta trafficanti e sviluppo, 26 gennaio 2014, http://www.esteri.it/ mae/tiny/19726. 11 110 9. L’aFrica SUbSahariana periodo di assenza dal continente, con bassi livelli di investimenti e di aiuto allo sviluppo. Si attendono dunque risultati concreti che, in linea con il nuovo approccio strategico del governo, diano il segno di un rafforzato contributo dell’Italia alla stabilizzazione e allo sviluppo sostenibile nella regione. 111 10. I rapporti con la cina Giovanni Andornino L’inedito dinamismo delle relazioni tra Italia e Repubblica popolare cinese (Rpc) nel biennio 2014-2015 ha rappresentato un netto cambio di passo rispetto al recente passato e può preludere a un’effettiva inversione di tendenza nel calcolo strategico italiano, che ha a lungo dedicato alla Cina un’attenzione piuttosto marginale. Tale discontinuità, da tempo attesa da parte cinese, trova conferma nell’irrobustimento della rappresentanza diplomatica italiana, con un nuovo Consolato generale pienamente operativo nella strategica municipalità di Chongqing e l’ampliamento del personale dell’Ambasciata di Pechino, che dal 2016 ospita 11 diplomatici e si posiziona seconda soltanto alla sede di Washington. Nell’aprile 2016 l’Italia ha anche aperto nuovi centri per i visti in 11 città cinesi, con l’obiettivo di mantenere la sostenuta dinamica di crescita del numero di visti emessi a favore di cittadini cinesi (541mila nel 2015, +38 per cento sull’anno precedente). Due visite ufficiali a livello di capo di governo e otto miliardi di euro di investimenti perfezionati o programmati da parte cinese in Italia costituiscono i risultati più tangibili conseguiti nel 2014, anno in cui si è celebrato il decennale della firma del partenariato strategico tra i due paesi, uno dei dieci siglati da Pechino in Europa. È un partenariato che include dossier ambiziosi, che riflettono la crescente convergenza di interessi tra Cina e Italia, entrambe impegnate in riforme miranti ad accrescere la competitività delle rispettive imprese sui mercati globali. Il 2015 ha dato ulteriore impulso al partenariato bilaterale: la sesta sessione plenaria del Comitato governativo Italia-Cina, presieduta dai due ministri degli Esteri nel mese di aprile, ha confermato l’impegno a dare sollecita attuazione al Piano d’azione triennale per il rafforzamento della cooperazione economica tra Italia e Cina (2014-16), incentrato 113 gIovannI andoRnIno sull’obiettivo condiviso di un graduale riequilibrio dei flussi commerciali bilaterali e degli investimenti reciproci. Si tratta di un impegno ambizioso, ma a cui non hanno ancora fatto riscontro concreti progressi: nonostante nell’ultimo decennio le esportazioni italiane verso la Cina siano cresciute ad una media annua di oltre l’8 per cento, il disavanzo commerciale italiano non accenna a ridursi, avendo superato i 17 miliardi di euro nel 2015. Anche i primi dati del Ministero dello sviluppo economico per il 2016 non invitano all’ottimismo. È su questo sfondo che si inserisce l’unica significativa frizione politica tra i due paesi, determinata dall’irrituale scelta da parte di esponenti del governo di Roma di palesare una netta contrarietà al riconoscimento alla Rpc dello status di economia di mercato. Il tema, determinante per le particolari procedure anti-dumping cui le esportazioni cinesi in Europa possono essere sottoposte, è dal 2003 in cima all’agenda della politica europea di Pechino e la presa di posizione italiana ha sollevato reazioni negative da parte del governo cinese. In attesa che la vertenza si risolva nel 2016, le rimostranze cinesi non paiono peraltro aver compromesso l’interesse dei due paesi rispetto alle opportunità di investimento nelle reciproche economie. Da segnalare in particolare la costituzione nel giugno 2014 del Business Forum Italia-Cina – nuova piattaforma di dialogo tra i rappresentanti delle principali realtà industriali e finanziarie dei due paesi –, e la visita a Roma nell’ottobre 2015 di rappresentanti del China Entrepreneur Club, la maggiore associazione di imprese della Cina. Sono però soprattutto i molteplici investimenti cinesi in Italia in questo biennio a costituire un tangibile segno di bilanciamento nella relazione economica, in attesa che un mercato più maturo ed aperto in Cina assorba quote maggiori di prodotti italiani. Fondi sovrani della Rpc riconducibili alla Banca popolare cinese (PBoC) e a grandi società di stato cinesi sono entrati nella compagine azionaria di alcune delle principali imprese italiane con un impegno finanziario superiore ai 13,5 miliardi di euro in meno di due anni (Tabella 1), metà dei quali legati all’acquisizione di Pirelli da parte di China National Chemical Corporation (ChemChina) tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016. L’ingresso dei capitali cinesi non mitiga soltanto lo squilibrio commerciale: attestandosi in molti casi appena al di sopra del 2 per cento della compagine azionaria – soglia che fa scattare l’obbligo di comunicazione pubblica da parte delle autorità di vigilanza – gli investimenti cinesi trasmettono un forte segnale di fiducia nel futuro dell’economia italiana, con ricadute d’immagine a livello globale. 114 10. I RappoRtI con la cIna Tabella 1 – Principali investimenti di portafoglio cinesi in Italia dal 2014 (valore al momento dell’acquisto) Data Investitore Valore Quota investimento (%) Società partecipata Settore 21/03/2014 pBoc 734 mln€ 2,07% enel* energia 21/03/2014 pBoc 1.280 mln€ 2,10% eni energia 11/06/2014 shanghai electric 400 mln€ 40% Ansaldo energia tecnologia 28/07/2014 pBoc 70 mln€ 2,02% prysmian tecnologia 29/07/2014 pBoc 177 mln€ 2% Fca Automotive 29/07/2014 pBoc 310 mln€ 2,08% telecom Italia telecomunicazioni 31/07/2014 pBoc 477 mln€ 2,01% generali Assicurazioni 31/07/2014 state grid corporation 2.101 mln€ 35% cdp reti (terna, snam) Infrastrutture 14/10/2014 pBoc 114 mln€ 2% Mediobanca* Finanza 18/12/2014 pBoc 82 mln€ 2,03% saipem energia 09/01/2015 pBoc 145 mln€ 2,01 % terna* Infrastrutture 17/06/2015 pBoc 1.000 mln€ 2% Intesa sanpaolo* Finanza 29/06/2015 pBoc 520 mln€ 2% unicredit Banca* Finanza 30/06/2015 pBoc 180 mln€ 2,01% Monte dei paschi siena* Finanza 20/10/2015 chemchina ** 29,21% prelios real estate/ Finanza 20/10/2015 chemchina ** 4,43% rcs Mediagroup Media 25/02/2016 chemchina 7.100 mln€ 95,95% pirelli trasporti * la Banca popolare cinese ha successivamente portato la propria posizione sotto il 2 per cento. ** Partecipazioni derivanti dall’acquisizione di Pirelli. La valenza strategica dell’approccio italiano agli investimenti cinesi è evidenziata dalla cessione del 40 per cento di Ansaldo Energia e del 35 per cento di Cdp Reti (a sua volta primo azionista di Terna e Snam) rispettivamente alle società di Stato cinesi Shanghai Electric e State Grid Corporation of China, per un controvalore complessivo di oltre 2,5 miliardi di euro. L’Italia ha quindi puntato su investitori cinesi che siano anche credibili partner industriali. A questo criterio si sono ispirati anche gli accordi preliminari siglati da Cassa Depositi e Prestiti e China Development 115 gIovannI andoRnIno Bank (3 miliardi di euro per investimenti congiunti in Italia e Cina) e dal Fondo strategico italiano e China Investment Corporation (500 milioni di euro per ciascuno dei due istituti da destinarsi a operazioni congiunte di investimento) in occasione della visita di Li Keqiang in Italia nell’ottobre 2014. La visita in Italia del premier cinese in occasione del 10° vertice Asem (Asia-Europe Meeting) di Milano, ha consentito ai due capi di governo di rivendicare crescenti sinergie sui temi dell’agenda globale, con l’impegno a dare continuità agli scambi di visite istituzionali di alto livello. Queste sono diventate più assidue e hanno colto risultati importanti, in particolare nel campo della ricerca e dell’innovazione. In particolare, il sesto Forum Italia-Cina sull’innovazione del novembre 2015 ha coinvolto oltre 160 realtà italiane, mettendo a fuoco i settori su cui l’Italia ha scelto di puntare maggiormente nella relazione bilaterale: tecnologie ambientali e sviluppo sostenibile, agricoltura e sicurezza alimentare, urbanizzazione sostenibile, sanità, aviazione-aerospazio. Nel dicembre 2015 è stata la volta del Presidente del Senato Pietro Grasso, impegnato in una visita ufficiale di una settimana, che ha avuto l’obiettivo di sottolineare, tra gli altri, il forte interesse delle istituzioni italiane per l’iniziativa “Una cintura, una via” (“One Belt, One Road”), attraverso cui il governo cinese punta a imprimere slancio a grandi progetti infrastrutturali per rafforzare la connettività tra Asia ed Europa, passando per il delicato quadrante mediterraneo. Se il Mediterraneo è centrale per la sicurezza e l’economia dell’Italia, non va trascurato che anche per la Cina esso va assumendo un profilo ben più rilevante che in passato: oltre il 43 per cento delle importazioni cinesi di risorse energetiche proviene dalla regione del Mediterraneo allargato e le esportazioni della Rpc qui dirette sono cresciute del 50 per cento in un decennio, e rappresentano oggi il 9,6 per cento delle esportazioni totali cinesi. Inoltre, pur se agli estremi del continente eurasiatico, Cina e Italia condividono una comune preoccupazione per la minaccia rappresentata dal fondamentalismo islamico: Pechino teme l’impatto sull’instabile provincia dello Xinjiang, mentre Roma deve fare i conti con la porosità dei confini meridionali dell’Unione. Una più chiara articolazione dei comuni interessi di sicurezza e un condiviso impegno per la stabilizzazione dei paesi Mena gioverebbe anche a una migliore percezione della Cina presso l’opinione pubblica italiana, che ha tuttora un atteggiamento verso la Cina tra i più negativi in Europa. 116 11. Internazionalizzazione e attrazione degli investimenti esteri Andrea Renda Da molti anni ormai, l’internazionalizzazione non è più una scelta, ma piuttosto un obbligo, per le imprese italiane. Già prima dell’inizio della crisi economica e finanziaria iniziata nel 2007, molte di esse avevano adottato una strategia tesa alla penetrazione dei mercati esteri per non incorrere nel rischio, più che palpabile, di finire schiacciate sotto il peso della perdita di competitività interna accusata dal nostro sistema Paese, unico tra quelli sviluppati a registrare un calo della produttività dalla metà degli anni Novanta in poi. La crisi, senza dubbio, ha reso ancor più ardua la missione: le imprese “migliori”, pur se propense all’internazionalizzazione, hanno visto mutare in modo quasi imprevedibile lo scenario dei mercati globali, e oggi soffrono anche per il rallentamento di economie come la Cina e il Brasile, mercati di sbocco fondamentali per alcuni dei nostri settori produttivi, che hanno perso in parte il dinamismo che ne faceva il traino di parte della domanda mondiale di prodotti Made in Italy. Ad oggi, la quota dell’Italia sulle esportazioni mondiali rimane stazionaria, e il tessuto imprenditoriale italiano fatica a liberarsi di alcuni fattori che ne impediscono l’integrazione nelle catene globali del valore, quali la piccolissima dimensione della grande maggioranza delle imprese, la scarsa specializzazione in settori a più alta produttività, dove pure permangono aree di eccellenza in alcuni settori specifici (high tech, biotech, robotica), e la scarsa competitività internazionale della forza lavoro in termini di rapporto salari-produttività (productivity adjusted salaries). Il 2015, peraltro, sembra aver segnato una piccola svolta, almeno per 117 andRea Renda quanto concerne l’internazionalizzazione “in uscita”. La cabina di regia governativa, corredata dagli organi strumentali come l’Ice, la Cpd, la Sace e la Simest, ha avviato una azione concertata di una certa efficacia, nonostante l’avvicendamento al Ministero dello Sviluppo economico tra Carlo Calenda, che aveva la carica di viceministro, e Ivan Scalfarotto, nominato sottosegretario con delega all’internazionalizzazione. Al rilancio della governance si è aggiunto uno strumento importante quale il “Piano straordinario per il Made in Italy e la promozione degli investimenti dall’estero”, che prevede una serie di interventi da realizzare entro il 2017 per il rilancio dei prodotti italiani sui mercati esteri, con il sostegno della rete diplomatico-consolare. Il piano di interventi appare particolarmente impegnativo sia per l’ammontare delle risorse disponibili (180 milioni di euro tra il 2015 e il 2017), sia per la portata delle misure da realizzare. Gli obiettivi sono ambiziosi: incrementare i flussi di esportazioni di beni e servizi di circa 50 miliardi di euro entro il 2017, in particolare nei paesi dove il potenziale è maggiore; trasformare in esportatrici abituali 20mila tra le 70mila imprese potenzialmente esportatrici; cogliere le opportunità legate alla crescita della domanda globale e all’incremento della classe media nei mercati emergenti; accrescere la capacità di intercettare investimenti esteri, ottenendo flussi aggiuntivi in entrata per 20 miliardi di dollari Usa. E dal 2016 il Piano potrebbe beneficiare anche dei notevoli sforzi messi in atto dal governo per sfruttare le opportunità offerte dal Piano Juncker: ad esempio, nel marzo scorso è stato siglato un accordo Cosme, sostenuto dal Fondo europeo per gli investimenti strategici, che consentirà al Fondo di Garanzia di sostenere finanziamenti per oltre un miliardo di euro a favore di 20mila piccole e medie imprese (Pmi) nel giro di pochi mesi. Vi è, poi, da sfruttare il volano dell’Expo, una prospettiva che sembra potersi almeno in parte materializzare, nonostante i dati a consuntivo siano quanto meno controversi (ad esempio, la percentuale di visitatori stranieri sembra essersi fermata al 14,5 per cento, ben al di sotto delle attese, e il “buco” finanziario sembra aver raggiunto i 32 milioni di euro). Le iniziative non sono mancate, anche e soprattutto a livello delle regioni, che hanno gradualmente incrementato l’utilizzo dei Fondi comunitari rispetto a quelli del bilancio regionale (grazie alle risorse della Programmazione Ue 2014-2020). Le Regioni si sono dotate di specifiche leggi e piani programmatici per il sostegno all’internazionalizzazione e hanno anche migliorato la propria capacità di accogliere aziende estere sul loro territorio. Strumento fondamentale, sia per l’internazionalizzazione “in 118 11. internazionaLizzazione e attrazione degLi inveStimenti eSteri entrata” che “in uscita”, si è rivelato quello delle reti di impresa, che ovviano alla piccolissima dimensione e alle conseguenti limitate risorse delle Pmi italiane, dando modo a ciascuna impresa partecipante di coniugare l’autonomia imprenditoriale con la capacità di acquisire una massa critica di risorse tecniche, umane e di know-how per il raggiungimento di obiettivi strategici. Gli ultimi dati di Unioncamere indicano che al 1° marzo 2015 i contratti di rete erano 1.962, sottoscritti da oltre 10.300 soggetti. Sembrano fornire interessanti opportunità anche nuovi strumenti con finalità di formazione come i voucher utilizzati per la formazione di temporary export manager. Da ultimo, nel 2015 ha preso slancio anche il “road show” per l’internazionalizzazione delle Pmi che si articola in una serie di eventi sul territorio nazionale con la partecipazione, che è risultata sempre più ampia delle imprese. Questa iniziativa appare particolarmente promettente perché va nel senso di quella convergenza di intenti tra istituzioni centrali, regionali e settore privato, che rappresenta l’unica vera possibilità di generare valore per il tessuto produttivo nazionale attraverso iniziative promozionali. A fronte di questi progressi senza dubbio importanti, rimangono alcune questioni di cruciale importanza sulle quali il governo nazionale dovrà concentrarsi negli anni a venire. È innanzitutto necessario un aggiornamento delle competenze: ad esempio, secondo i dati della Commissione europea, le Pmi italiane continuano a figurare agli ultimi posti a livello europeo per utilizzo dell’e-commerce, oggi strumento fondamentale per l’interazione con i mercati esteri. Le statistiche relative alla padronanza delle lingue straniere (dai Pisa dell’Ocse) sono, se possibile, ancor più scoraggianti. E per quanto riguarda l’internazionalizzazione “in entrata”, continuano a frenare l’ingresso di capitali e competenze straniere le deficienze infrastrutturali (soprattutto in termini di banda larga, un settore nel quale l’Italia è al palo rispetto ai principali concorrenti), e la scarsa propensione delle nostre banche alla erogazione del credito, che si è manifestata nel 2015 in tutta a sua gravità, mostrando lievi segnali di ripresa solo a fine anno. Il governo dovrà dunque affrontare sfide impegnative soprattutto per quanto concerne i fattori strutturali, si direbbe quasi “congeniti”, della nostra economia: l’anemia del credito bancario, il sottosviluppo delle infrastrutture essenziali, l’obsolescenza delle competenze, lo stallo della produttività, la cesura tra Nord e Mezzogiorno, l’economia informale, e le zone ad alto tasso di criminalità organizzata. Agire su questi temi con la stessa determinazione, concertazione e unità di intenti con cui si è intervenuti in tema di 119 andRea Renda internazionalizzazione appare l’unica strada possibile per una ripresa solida nel medio periodo. Che il road show dunque, continui, e la strada segnata nel 2015 si possa davvero trasformare in una rampa di lancio per il sistema paese. 120 12. la politica spaziale Jean-Pierre Darnis e Alessandra Scalia IntroduzIone Sin dai primi anni Sessanta la politica spaziale ha avuto una notevole valenza strategica per l’Italia, che, grazie a un bacino di eccellenza industriale, scientifica e tecnologica, è una delle principali “potenze spaziali” d’Europa. L’importanza della politica spaziale per la proiezione internazionale dell’Italia si deve, in particolare, ad alcuni punti di forza. In primo luogo, le attività spaziali italiane sono venute sviluppandosi nell’ambito di partnership fiorite all’interno del cluster industriale di Via Tiburtina costituito da enti e istituzioni come il Consiglio nazionale delle ricerche, l’Università di Roma e l’Aeronautica militare. In secondo luogo, i modelli di cooperazione internazionale su cui l’Italia ha fatto leva si sono dimostrati particolarmente efficaci. I principali partner dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) sono l’Agenzia spaziale europea (Esa) e la Nasa. A livello istituzionale, l’Italia partecipa alle attività della Stazione spaziale internazionale (Iss) e ai “programmi bandiera” della Commissione europea (Galileo e Copernicus). A livello industriale, la Space Alliance francoitaliana fra Thales e Finmeccanica ha dato vita alle società Telespazio e Thales Alenia Space; Avio Spazio è controllata all’85 per cento dal fondo private equity britannico Cinven e ha preso parte all’iniziativa europea nel settore dei lanciatori (Arianespace), mentre la Compagnia generale per lo spazio (Cgs) fa parte del gruppo tedesco Ohb. Infine, la gestione delle capacità satellitari, sia militari che duali, è affidata a Partenariati pubblico-privato (Ppp), che garantiscono una notevole flessibilità nei più svariati contesti operativi. A livello militare, i programmi Cosmo-Skymed e Sicral contribuiscono ad assicurare alle Forze Armate capacità rispettivamente di osservazione della terra e telecomunicazione (Satcom). Si tratta di tecnologie cruciali 121 Jean-pIeRRe daRnIs e alessandRa scalIa per la conduzione di attività d’intelligence volte a garantire indipendenza operativa e accesso alle informazioni nel quadro del contributo italiano alle missioni internazionali. La disponibilità di tali tecnologie rende inoltre possibile la conclusione di accordi internazionali per l’utilizzo scambievole di capacità. Lo sviluppo di Cosmo-Skymed dal 2007 in poi ha fatto sì che l’Asi ricevesse più di 200 proposte di collaborazione provenienti da 29 paesi diversi. Riguardo alle capacità Satcom, la collaborazione avviata nel 2010 fra Italia e Francia per lo sviluppo di Sicral 2 ha dato vita al primo esempio europeo di cooperazione bilaterale nel campo delle telecomunicazioni. La cooperazione Satcom franco-italiana si è inoltre consolidata grazie all’iniziativa Athena-Fidus, consistente nel primo sistema duale in banda Ka dedicato a servizi di tipo istituzionale e governativo. La riorganizzazione deL settore dei Lanciatori Negli ultimi due anni, il settore dei lanciatori europei è stato ampiamente ridisegnato con risvolti rilevanti sia a livello continentale che per l’industria italiana. Fra il 2014 e il 2015, i due gruppi francesi Airbus e Safran hanno dato vita alla joint venture Airbus Safran Launchers (Asl) al fine di sviluppare il nuovo vettore europeo Ariane 6. Asl ha inoltre annunciato di voler acquisire le quote di Arianespace dell’Agenzia spaziale francese Cnes, concentrando su di sé produzione e commercializzazione dei lanciatori. Dato che Arianespace è in prima linea a livello mondiale nel lancio di satelliti commerciali geostazionari e opera i lanciatori prodotti da tre compagnie fra cui la stessa Asl, la Commissione europea ha recentemente avviato un’indagine approfondita sull’acquisizione Asl di Airbus per verificare se si sia avvantaggiata rispetto ai suoi concorrenti. L’Italia potrebbe essere penalizzata dall’operazione Asl dato il suo ruolo nello sviluppo del piccolo lanciatore europeo Vega, che è stato inserito nella futura famiglia di lanciatori europei a seguito della riunione ministeriale Esa del 2 dicembre 2014. Il biennio 2014-15 sembra peraltro aver confermato il successo di Vega come illustrato dall’accordo tra Arianespace e Elv – società controllata al 70 per cento da Avio e al 30 per cento dall’Asi – per la fornitura di dieci vettori; l’accordo assicura all’Italia continuità nello sviluppo motoristico insieme a ritorni pluriannuali. In sede di Ministeriale Esa si è inoltre auspicato uno sviluppo sinergico del Vega di seconda generazione con il programma Ariane 6. 122 12. la polItIca spazIale In questo contesto, presso la sede centrale dell’Esa di Parigi sono stati firmati il 12 agosto 2015 i contratti con Asl, Cnes ed Elv per l’inizio della fase operativa che porterà al debutto di Vega C nel 2018 e l’Ariane 6 nel 20201. Per tutta questa nuova famiglia di vettori si utilizzerà lo stesso motore a propellente solido, il P120C, in fase di realizzazione in Italia con la tecnologia per le strutture in fibra di carbonio di Avio. In generale, il panorama conferma l’esistenza di un’evidente sinergia nello sviluppo dei programmi Vega C ed Ariane 6, come auspicato in sede Esa. Infine, il settore italiano dei lanciatori ha riscosso alcuni successi anche da un punto di vista operativo, assicurando all’Italia un ruolo di punta nel panorama internazionale. Nel corso del 2015 Vega è stato protagonista del lancio della sonda interplanetaria Lisa Pathfinder, della missione sperimentale del dimostratore di rientro atmosferico IXV e della messa in orbita del satellite di Copernicus Sentinel-2A. Tali iniziative vanno inquadrate nell’ambito delle attività commerciali di Vega come da contratto Verta (Vega Research and Technology Accompaniment) finalizzato a dimostrare la duttilità del piccolo lanciatore europeo. svIluppI IstItuzIonalI e cooperazIone InternazIonale L’autunno 2014 è stato ricco di eventi per l’Esa e l’Asi, a conferma di un anno particolarmente propizio per il campo dell’esplorazione spaziale. Oltre all’approdo del lander Philae sulla superficie della cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko, in novembre è stato dato il via alla missione Futura dell’astronauta italiana Samantha Cristoforetti a bordo della Iss. Tali attività, che hanno avuto una notevole eco presso l’opinione pubblica, hanno evidenziato l’importanza del contributo dell’Italia nel contesto della cooperazione internazionale. Il ruolo di punta dell’Italia è stato confermato dalla nomina l’8 marzo 2014 di Simonetta Di Pippo a direttore dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico delle Nazioni Unite (Unoosa) con sede presso l’International Centre di Vienna. In Italia, invece, il 2014 è stato segnato da un ricambio nella direzione L’Ariane 6 sarà sviluppato nelle due versioni a due e quattro motori solidi: la versione A62 sarà in grado di portare fino a 5 tonnellate in orbita di trasferimento geostazionaria mentre la versione A64 lancerà due satelliti, fino a 11 tonnellate di massa complessiva. Il Vega C sarà invece un lanciatore multi stadio capace di portare fino a 2,5 tonnellate di carico in orbita bassa 56. 1 123 Jean-pIeRRe daRnIs e alessandRa scalIa dell’Asi: Enrico Saggese ha rassegnato le dimissioni nel mese di febbraio, anche a seguito delle inchieste giudiziarie sulla gestione del bilancio Asi. Al suo posto, in maggio, è stato nominato Roberto Battiston. Il Fondo ordinario erogato dal Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) per il 2014 è stato inferiore a quello dell’anno precedente (509,4 milioni di euro contro 530 del 2013), ma nella legge di stabilità approvata alla fine dell’anno sono stati stanziati fondi straordinari per il settore spaziale che hanno permesso di continuare a finanziare Cosmo-Skymed e di far fronte agli impegni nel settore dei lanciatori assunti in sede Esa. La difficoltà nel reperimento delle risorse è uno degli aspetti più problematici del sistema “Spazio Italia” che, pur offrendo molte esternalità positive, risente di una inadeguata pianificazione degli investimenti. Va tuttavia registrata un’attenzione crescente delle istituzioni al settore dello spazio. In particolare, è stato avviato l’iter legislativo del disegno di legge 110 volto a dotare il settore spaziale e aerospaziale di una “Cabina di regia spazio” sotto la responsabilità diretta della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È stato al contempo istituito un intergruppo parlamentare ad hoc sulle politiche spaziali. Anche il Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa presentato nell’aprile 2015 ha identificato nello spazio un settore d’importanza strategica che richiede specifiche capacità operative difensive. Nel corso del 2015 l’Asi ha sottoscritto vari accordi di cooperazione con Francia, Israele e Stati Uniti. La cooperazione bilaterale con la Francia è stata rilanciata in tutte le aree chiave del settore spaziale tramite un Protocollo d’intesa, firmato il 24 febbraio 2015 a Parigi2. Per favorire il trasferimento delle tecnologie fra industrie italiane e francesi, sono stati previsti incontri bilaterali presso i distretti industriali esistenti a livello regionale (ad esempio Aerospace Valley e Pegase in Francia, l’incubatore italiano per la Tecnologia aerospaziale e dei distretti regionali aerospaziali in Italia). I più recenti sviluppi nella cooperazione con gli Stati Uniti riguardano Per quanto riguarda l’osservazione della terra, la cooperazione italo-francese punta a ottimizzare lo sfruttamento dei dati ricavati dai satelliti di osservazione per spettrali, (Sar), e ottici con applicazione nel campo del cambiamento climatico, della gestione delle emergenze e del monitoraggio ambientale. Nel campo delle telecomunicazioni, l’accordo Asi-Cnes prevede la formazione di un gruppo di lavoro sulla banda Ka e Q, a riprova dell’interesse dei due paesi per lo sviluppo della banda larga. Nel settore dei lanciatori, il protocollo affronta questioni come la propulsione, lo stadio per il lanciatore riutilizzabile europeo e la ricerca sui fenomeni di oscillazione della pressione. 2 124 12. la polItIca spazIale invece l’elaborazione e l’analisi dei dati di osservazione della terra. Il 9 settembre 2015 è stato raggiunto un accordo tra Asi e Nasa che consente agli Stati Uniti di ricevere i dati di Cosmo-Skymed per specifici progetti di ricerca definiti in sede bilaterale, mentre l’Asi potrà usufruire dell’Alaska Satellite Facility (Asf). Durante il 66° Congresso internazionale di astronautica tenutosi a Gerusalemme, l’Asi ha inoltre formalizzato un Memorandum d’intesa con l’Agenzia spaziale israeliana (Isa), per lo sviluppo della missione congiunta Shalom (Spaceborne Hyperspectral Applicative Land and Ocean Mission). La missione, che dovrebbe diventare operativa nel 2021, si concentrerà soprattutto sullo sviluppo di un satellite di osservazione iperspettrale che consenta l’identificazione di sostanze chimiche, il monitoraggio della vegetazione e la localizzazione di materiali contaminanti sulla superficie terrestre, negli oceani e nell’atmosfera. In ultimo, all’inizio del 2016 l’Italia ha incrementato in modo consistente il proprio contributo Esa, portandolo a 512 milioni di euro (+55 per cento); si è così confermato il terzo maggior finanziatore dopo Germania (873 milioni) e Francia (845 milioni). In ambito nazionale, il contributo del Miur destinato all’Asi si è da tempo attestato attorno ai 509 milioni di euro, cui si aggiungono contributi straordinari per i progetti bandiera (27 milioni di euro all’anno fino al 2018), e per i progetti premiali. Come già nel 2014, con la legge di stabilità 2015 sono stati stanziati fondi fino al 2020 per la partecipazione ai programmi Esa e per quelli nazionali di rilevanza strategica. Questa soluzione è stata condivisa nelle riunioni della Cabina di regia, che ad un anno dalla sua istituzione ha al suo attivo varie iniziative, fra cui un gruppo di lavoro incaricato della definizione di un “Piano strategico - Space Economy” per una politica spaziale sostenibile. Nel settore dell’aerospazio l’Italia dispone quindi di capacità e strumenti istituzionali che possono consentirle di mantenere un ruolo di punta sia in ambito scientifico e tecnologico sia nel mercato upstream e downstream. L’auspicio è che gli impegni assunti in Europa possano fungere da catalizzatore per un’azione di sistema più incisiva, che è essenziale per garantire maggiore continuità ed impegno nel lungo termine in un settore che da sempre simboleggia le qualità dell’Italia. 125 13. problemi di diritto internazionale Natalino Ronzitti IntroduzIone I problemi di diritto internazionale emersi nel corso del biennio 20142015 sono numerosi. Taluni di essi sono connessi a eventi trattati in altre parti di questo volume, come la questione del riconoscimento della Palestina, l’annessione russa della Crimea e il conflitto in Ucraina, il conflitto siriano e l’emersione e il consolidamento dell’Isis, primo movimento terrorista con marcata componente territoriale. Visti sotto la lente del diritto internazionale, tali avvenimenti invitano a varie riflessioni, anche sotto il profilo delle scelte italiane e della coerenza del nostro atteggiamento. Tanto per fare una veloce enumerazione, l’Italia ha votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha concesso alla Palestina la qualifica di osservatore alle Nazioni Unite come Stato non membro, ma non ha ancora dato corso a nessun seguito, tanto che alla Camera (27 febbraio 2015) sono state approvate dalla maggioranza due mozioni, una (Pd) in cui si impegna il governo a sostenere la costituzione di uno stato palestinese ed a riconoscerlo; l’altra (Ap, Ncd) che invita semplicemente il governo a dare il suo appoggio al negoziato tra Israele e palestinesi nell’ottica della soluzione “due popoli-due Stati”. Riguardo alla Russia, l’Italia ha denunciato la violazione del diritto internazionale nei confronti dell’Ucraina (interventi nel Donbass e annessione della Crimea), ma ha tentato di porre in essere una politica volta ad ammorbidire le sanzioni decretate dall’Unione europea. Ciò al fine di indurre la Russia a ripristinare le importazioni dei prodotti agroalimentari, che erano state interrotte in seguito alla reazione russa contro le sanzioni Ue. Peraltro non si è impostato un coraggioso discorso sulla perdurante attualità dei principi contenuti nell’Atto finale di Helsinki (Csce), che sviluppano e integrano quelli della Carta delle Nazioni Unite, ma si è preferito tentare 127 natalIno RonzIttI di rilanciare la politica mediterranea dell’Osce. Quanto all’Isis, l’Italia ha concesso un aiuto logistico ai Peshmerga curdi per combattere le milizie dell’Isis in Iraq, ma non si è unita alle forze della coalizione, a guida Usa, che bombardano le milizie insurrezionali in Siria. È stata una scelta politica, poiché niente avrebbe impedito una nostra partecipazione. Gli Stati Uniti e gli altri membri della coalizione agiscono in legittima difesa collettiva, consentita dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, senza che sia necessaria autorizzazione alcuna da parte del Consiglio di Sicurezza (Cds). Dopo gli attentati terroristici di Parigi rivendicati dall’Isis (13 novembre 2015), l’Italia si è ben guardata dall’appoggiare la richiesta francese per un’attivazione dell’art. 42, par. 7, del Tue, che consente la legittima difesa in caso di attacco armato contro uno stato membro. Si è preferita una politica di basso profilo improntata ad un sostegno bilaterale e non collettivo, come del resto era stato chiesto dal Consiglio europeo. Tale sostegno bilaterale si è ridotto a ben poca cosa e non ha comportato nessuna iniziativa incisiva. Da ricordare che la risoluzione 2178 (2014) del Cds obbliga gli Stati ad impedire che i loro cittadini o altri residenti nel loro territorio si arruolino nelle milizie dell’Isis (i cosiddetti foreign fighters). Il nostro codice penale è già attrezzato con una norma ad hoc (270 sexies: rubricato “condotte con finalità di terrorismo”). Ulteriori misure per dare attuazione alla risoluzione 2178 sono state prese in virtù del decreto legge n. 7 del 18 febbraio 2015, convertito con la legge n. 43 del 17 aprile 2015. Tali misure legislative non si occupano della pratica dei riscatti connessa alla presa di ostaggi, che era legata al fenomeno della pirateria (che fortunatamente è scemato). Ma il problema dei riscatti è ricomparso drammaticamente con la recrudescenza del fenomeno terroristico. A fronte della prassi Usa e britannica di non pagare alcun riscatto, quella italiana (e non solo) è orientata in senso diverso. Il pagamento dei riscatti contribuisce in qualche modo a finanziare il terrorismo internazionale e può concretizzarsi in un illecito internazionale. Ma non si è ancora riusciti ad adottare una risoluzione del Cds che proibisca in modo chiaro ed inequivocabile questa pratica: il Cds si è limitato ad un linguaggio meramente esortativo come nella risoluzione 2133 (2014)1. L’Italia ha firmato, ma non ancora ratifiSecondo taluni, il divieto del pagamento dei riscatti può essere desunto in via interpretativa da talune risoluzioni del Cds, in particolare per quanto riguarda entità e persone incluse nella lista delle sanzioni contro l’Isis e Al-Qaeda. Vedi Martina Buscemi, “Sugli obblighi internazionali degli Stati in merito al pagamento di riscatti per la liberazione di propri cittadini sequestrati da gruppi terroristici associati all’Isis e ad Al-Qaeda”, in Rivista di diritto internazionale, n. 2/2016, p. 454-492. 1 128 13. probLemi di diritto internazionaLe cato, il Protocollo del 13 novembre 2015, addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la prevenzione del terrorismo, che del resto ha ricevuto la sola ratifica dell’Albania. La questione dei marò Nonostante siano trascorsi quattro anni dall’incidente della Enrica Lexie, la questione dei marò non è ancora risolta. Uno spiraglio era stato aperto dalla decisione indiana di non applicare la legge sul terrorismo marittimo (cosiddetto Sua Act) che, ironia della sorte, dà attuazione alla Convenzione di Roma del 1988, e che comporta la pena di morte per l’uccisione dei membri dell’equipaggio di una nave contro cui venga usata la violenza. La strategia italiana, che per lungo tempo aveva preferito difendersi nel processo di fronte alle corti indiane invece che difendersi dal processo disconoscendo la competenza giurisdizionale indiana, si era impantanata sulla vicenda della non riconsegna dei marò inviati in Italia in licenza elettorale. Successivamente era ripiegata sul negoziato diretto, condotto dalla Presidenza del Consiglio, che ha praticamente esautorato il team di giuristi insediato dalla Farnesina, con a capo un avvocato britannico, di indubbio valore, ma che ha destato non poche perplessità (come se mancassero nel nostro paese internazionalisti di vaglia!). A quanto si è appreso da notizie trapelate sulla stampa, la strategia negoziale avrebbe comportato le scuse ufficiali all’India (un’ammissione implicita di colpevolezza?), il pagamento di un congruo indennizzo alle vittime e la sottoposizione a processo dei due marò in Italia. Ma anche tale strategia non ha dato i suoi frutti, provocando, a quanto sembra, l’irritazione delle autorità giudiziarie indiane. In effetti alla strategia mancava un meccanismo che consentisse il raccordo tra l’istanza giurisdizionale e il negoziato diplomatico. Altre strategie si sono rivelate impercorribili. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha dichiarato a più riprese che la questione era un affare bilaterale Italia-India e che non intendeva essere coinvolto. Il 12 settembre 2014 la Corte suprema indiana ha concesso ad uno dei due marò (Massimiliano Latorre, colpito da ischemia cerebrale), di recarsi in Italia per curarsi con l’obbligo di ritornare entro il 12 gennaio 2015. Il ministro della Difesa ha dichiarato che Latorre non avrebbe fatto più ritorno in India. Con la prevedibile irritata reazione delle autorità indiane. Successivamente la permanenza di Latorre in Italia è stata di volta in volta prorogata dalle autorità indiane, ma il 16 dicembre 2014 la Corte 129 natalIno RonzIttI suprema non ha concesso una licenza natalizia per l’altro marò, Salvatore Girone. Di fronte all’impasse del negoziato diplomatico, il governo italiano ha deciso di seguire una strategia giudiziaria a livello internazionale, che per ora si è dimostrata vincente. Tale strategia è stata comunque accompagnata da iniziative diplomatiche volte ad ammorbidire la posizione indiana, quali il veto italiano all’ingresso dell’India nel regime di controllo delle tecnologie missilistiche (Missile Technology Control Regime, Mtcr) e nel gruppo dei fornitori nucleari (Nuclear Suppliers Group, Nsg) e il boicottaggio di un accordo commerciale Ue-India. Iniziative che miravano ad ottenere il sostegno degli Stati Uniti, interessati all’ingresso dell’India nei due fori per il controllo degli armamenti, e quello degli alleati europei. La strategia giudiziaria ha comportato il ricorso alla procedura arbitrale prevista dall’Annesso VII alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Dopo aver notificato all’India l’apertura della procedura (26 giugno 2015), l’Italia ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare di Amburgo (Itlos) una misura provvisoria consistente nel rientro di Girone in Italia e nella permanenza di Latorre nel nostro paese, fino a quando non sarà deciso quale dei due paesi avrà competenza ad esercitare la giurisdizione sull’incidente della Enrica Lexie. Il Tribunale di Amburgo, competente a decidere le misure provvisorie in attesa della costituzione del Tribunale arbitrale, ha stabilito, con ordinanza del 24 agosto 2015, che la situazione restava congelata nel senso che Italia e India non avrebbero dovuto intraprendere nessuna misura amministrativa o giudiziaria sui due marò. Il Tribunale arbitrale è stato costituito l’8 settembre 2015. L’Italia si è affrettata a chiedere una nuova misura provvisoria consistente nel rientro di Girone in Italia in attesa della pronuncia sul merito della controversia. Il Tribunale arbitrale, con ordinanza del 29 aprile 2016, ha concesso il rientro di Girone fino alla decisione finale dell’arbitrato. Sono state prescritte adeguate garanzie a carico dell’Italia, tra cui il ritiro del passaporto, e Girone resta soggetto, pur essendo in Italia, alla giurisdizione della Corte Suprema indiana. Ciò che comporta, ad esempio, l’obbligo per l’Italia di fare rapporto alla Corte suprema indiana ogni tre mesi sulla situazione. In termini abbastanza rapidi la Corte suprema indiana ha adottato un’ordinanza (26 maggio) che ha dato seguito alla pronuncia del Tribunale arbitrale, consentendo il rientro di Girone in Italia. Ormai il procedimento dinanzi al Tribunale è calendarizzato e si dovrebbe concludere entro il 2018, sempre che i due stati non riescano a 130 13. probLemi di diritto internazionaLe trovare un accordo in via diplomatica. A quel punto il Tribunale dovrebbe constatare l’estinzione della controversia. Da ricordare che è stata modificata la legislazione che consentiva l’imbarco di team armati a bordo di navi mercantili italiane in funzione antipirateria. Mentre la legge istitutiva (L.130/2011) consentiva l’imbarco di team militari messi a disposizione dal Ministero della Difesa e di team di guardie private solo in caso di indisponibilità dei team militari, con il decreto missioni di fine 2015 è stato stabilito che i team militari non sarebbero stati più imbarcati e il servizio antipirateria sarebbe stato d’ora in poi assicurato solo da team privati. L’impatto della vicenda marò sul diverso orientamento legislativo è trasparente! iL contenzioso itaLo-tedesco e La sentenza della corte costItuzIonale 248 del 22 ottobre 2014 Come è stato accennato nel rapporto precedente2, il Tribunale di Firenze aveva sollevato una questione di costituzionalità relativamente all’esecuzione nel nostro ordinamento della sentenza della Corte internazionale di giustizia (Cig) nella controversia Germania c. Italia: nel 2012 la Cig aveva statuito la contrarietà al diritto internazionale delle sentenze dei tribunali italiani, che avevano disconosciuto l’immunità dalla giurisdizione della Germania per le violazioni delle norme di diritto bellico durante l’occupazione della penisola nel periodo 1943-1945. La Corte costituzionale con la sentenza in epigrafe rimette tutto in discussione. La Consulta ha infatti statuito che la regola secondo cui lo stato estero è immune da giurisdizione anche in caso di crimini internazionali non può essere accolta nel nostro ordinamento, poiché contrasta con i principi fondamentali della nostra Costituzione (diritti inviolabili dell’uomo e accesso alla giustizia). Conseguentemente la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3 della Legge 5/2013, che impediva ai tribunali italiani di dichiararsi competenti a conoscere delle cause contro la Germania e nello stesso tempo ha dichiarato l’incostituzionalità della legge con cui è stato reso esecutivo nel nostro ordinamento l’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, che obbliga gli stati ad eseguire le sentenze della Cig. La sentenza della Corte costituzionale non ha attirato molta attenzione, tranne quella degli speEttore Greco (a cura di), Scegliere per contare. Rapporto sulla politica estera italiana, edizione 2014, Roma, Nuova Cultura, 2014, p. 56-57. 2 131 natalIno RonzIttI cialisti. Però ha riaperto il contenzioso Italia-Germania, che poteva essere bloccato qualora il nostro esecutivo, come indicato dalla stessa Cig, avesse avanzato una richiesta di risarcimento in una trattativa diretta con la Germania. Niente di questo è stato fatto e ci si è limitati a istituire una commissione di storici, che ha concluso i propri lavori, e ad accettare una modesta somma, a nessun titolo da valere come risarcimento alle vittime, ma semplicemente come misura satisfattoria, ad esempio con qualche espressione simbolica a favore di iniziative da inquadrare nella cosiddetta “politica della memoria”. La ripresa dei processi contro la Germania comporterebbe per l’Italia una violazione delle prescrizioni della sentenza della Cig. La Germania potrebbe portare l’inadempimento italiano di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che avrebbe la facoltà, se lo ritenesse opportuno, di adottare una raccomandazione o decidere misure appropriate. Altra possibilità per la Germania è portare la questione dinanzi al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, poiché la competenza della Cig è fondata sulla Convenzione europea per la soluzione pacifica delle controversie del 1957. Staremo a vedere se la Germania vorrà seguire l’una o l’altra opzione, oppure nessuna delle due e limitarsi a proteste di mera natura diplomatica. Sta di fatto che l’Italia verrebbe a trovarsi nella poco invidiabile posizione di uno Stato che non rispetta il diritto internazionale e le sentenze dei tribunali internazionali (ciò che l’avvocato di parte indiana ha fatto immediatamente notare in occasione della difesa indiana davanti all’Itlos per la questione dei marò). Intanto, per evitare misure esecutive nei confronti di beni appartenenti alla Germania e che di solito, data la loro natura, vengono considerati come immuni, l’Italia a scanso di equivoci ha dato esecuzione alla norma della Convenzione delle Nazioni Unite sull’immunità degli Stati dalla giurisdizione, aggiungendo, in sede di conversione del decreto legge 132/2014, un articolo (19 bis) con cui viene disposta la non assoggettabilità ad esecuzione forzata delle somme depositate dalle missioni estere sui conti correnti bancari e postali, previa comunicazione al Ministero degli Affari esteri da parte del capo della rappresentanza diplomatica o del posto consolare che essi servono esclusivamente per fini istituzionali. I tribunali italiani (in particolare il Tribunale di Firenze) hanno tentato di evitare, con varie argomentazioni, che l’Italia contravvenisse alla sentenza della Cig, ma nello stesso tempo hanno cercato di affermare il diritto delle vittime al risarcimento, magari proponendo un procedimento conciliativo, scaturente da un negoziato diretto con la Germania, che ha ovviamente rifiutato tale procedura. Più di recente, il Tribunale di Firenze (22 febbra- 132 13. probLemi di diritto internazionaLe io 2016) ha condannato la Germania al risarcimento del danno, in solido con i responsabili. Non constano peraltro proteste da parte della Germania che, probabilmente resta in vigile attesa non essendo state ancora decretate misure per l’esecuzione della sentenza. L’accettazione deLLa competenza obbLigatoria deLLa corte internazionaLe di giustizia L’Italia è sempre stata presente al massimo livello alla sessione inaugurale dell’Assemblea generale dell’Onu. Il presidente del Consiglio intervenendo nel dibattito inaugurale della 67ma sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva dichiarato nel 2012 che l’Italia avrebbe formulato la dichiarazione di accettazione obbligatoria della Cig. Tale impegno era però rimasto lettera morta. Il 31 luglio 2014 la Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati aveva votato una mozione (C 7-00446) in cui impegnava il governo ad effettuare la dichiarazione, che finalmente è stata depositata il 25 novembre 2014. Dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza solo il Regno Unito ha effettuato la dichiarazione, mentre gli altri o non l’hanno mai depositata oppure l’hanno revocata. Attualmente 71 membri delle Nazioni Unite risultano aver effettuato la dichiarazione. Per quanto riguarda l’Ue, sono 21 gli Stati che hanno depositato la dichiarazione, il cui contenuto è di diverso tenore, mancando, a quanto sembra, una politica unitaria in materia. La competenza della Cig ha un fondamento consensuale, la cui rigidità può essere attenuata da strumenti tipici come la dichiarazione unilaterale di accettazione obbligatoria della sua competenza. Il meccanismo, per funzionare, deve essere l’effetto convergente di due dichiarazioni (matching declarations) e consente ad uno stato dichiarante di convenire l’altro dichiarante dinanzi alla Cig, senza bisogno di consenso ad hoc. Generalmente, le dichiarazioni vengono assoggettate a riserve e condizioni, specialmente per quanto riguarda la loro revoca. Quelle formulate dai paesi Ue non hanno un contenuto univoco, mancando come si è detto una politica unitaria in materia, che sarebbe sommamente auspicabile. Il contenuto della dichiarazione italiana è per molti aspetti simile a quella del Regno Unito. La mossa del governo italiano merita un giudizio positivo, poiché il deferimento delle controversie alla Cig è uno dei mezzi, per eccellenza, della soluzione pacifica delle controversie internazionali. Si tratta però di 133 natalIno RonzIttI un impegno di non poco conto, che sollecita l’esecutivo ad attrezzarsi con strutture adeguate per compiere scelte conformi al diritto internazionale, il cui rispetto dovrebbe essere uno dei pilastri della nostra politica estera. Sarebbe inoltre auspicabile, in sede europea, un’iniziativa volta a favorire l’accettazione della competenza obbligatoria della Corte da parte di tutti i membri dell’Ue, a cominciare dalla Francia, che l’ha ritirata nel 1974. i caschi bLu deLLa cuLtura Si tratta di un’iniziativa italiana portata in sede di Nazioni Unite e soprattutto in sede Unesco (38ma Conferenza generale, 18 novembre 2015). A tal fine il ministro Gentiloni e la direttrice dell’Unesco hanno firmato un memorandum d’intesa il 15 febbraio 2016, per consentire alla task force dei Caschi blu3 di operare sotto l’egida dell’Unesco. Essa è costituita da 60 unità, che includono storici dell’arte, studiosi, restauratori e carabinieri appartenenti al Comando per la tutela del patrimonio culturale. La task force può operare a richiesta di un membro dell’Unesco che deve far fronte ad emergenze dovute ad una situazione di crisi o ad un disastro naturale. La task force può operare durante e dopo l’emergenza. L’iniziativa è da salutare positivamente, specialmente tenendo conto degli scempi e delle distruzioni operati dall’Isis a Palmira e in altre località costituenti patrimonio comune dell’umanità. Nonostante la qualificazione mediatica di “Caschi blu della cultura”, la task force non è inquadrabile in un’operazione di peace-keeping, tanto che essa resta sotto la direzione del Ministero dei Beni culturali e del turismo, pur con la partecipazione di altri ministeri (Esteri, Difesa, Miur), come è precisato nel preambolo del memorandum d’intesa stipulato con l’Unesco. Occorrerà verificare nella prassi l’operatività della task force e la sua efficacia. i confini marittimi dei mari itaLiani A parte talune questioni ancora aperte in materia di piattaforma continentale (Italia-Malta) e il contenzioso in materia di pesca (Italia-Tunisia, Italia-Libia), l’Italia ha concluso la delimitazione delle acque territoriali con La denominazione della task force è Italian National Task Force in the framework of Unesco Global Coalition Unite4Heritage. 3 134 13. probLemi di diritto internazionaLe gli stati adiacenti e frontisti con l’accordo di Caen del 21 marzo 2015, avente ad oggetto la delimitazione con la Francia (Stretto di Corsica, Bocche di Bonifacio e Baia di Mentone)4. L’accordo è stato ratificato dalla Francia, ma non ancora dall’Italia in seguito alle polemiche suscitate nella stampa riguardo alla linea del confine marittimo nella Baia di Mentone, che impedirebbe ai pescatori della Liguria di operare in zone di pesca che, con l’entrata in vigore dell’accordo, passerebbero sotto sovranità francese. C’è stato anche un sequestro di un peschereccio di bandiera italiana (13 gennaio 2016) poi rilasciato, non essendo l’accordo ancora entrato in vigore. Si è gridato allo scandalo, in quanto l’Italia avrebbe ceduto parte del territorio. In realtà si è trattato di una polemica un po’ speciosa, sia perché l’accordo di Caen segue nella baia di Mentone il criterio della linea mediana, sia perché le acque territoriali dei paesi Ue sono aperte alla pesca intracomunitaria in base al regolamento 1380/2013. Peraltro, ciò avverrà a partire dal 2023, secondo il pertinente regolamento Ue. Fino al 31 dicembre 2022 lo stato costiero può riservare la pesca nelle sue acque territoriali a favore dei connazionali, tranne che esistano diritti tradizionali di pesca degli operatori dei paesi adiacenti. Ma tale deroga, interessante i rapporti di vicinato, deve essere esplicitamente stabilita. L’errore del governo italiano è stato di non negoziare la deroga, che deve essere espressamente indicata in un annesso, in sede di adozione del regolamento. A quanto sembra, sono in corso consultazioni con la Francia per far fronte alla dimenticanza italiana, in modo da superare gli ostacoli politici che si frappongono alla presentazione in Parlamento del disegno di legge di autorizzazione alla ratifica. La riforma deLLa costituzione La legge di riforma della Costituzione5, che sarà sottoposta a referendum ad ottobre 2016 poco si occupa dei rapporti internazionali. È un’occasione mancata. Le modifiche apportate agli articoli che si occupano dei rapporti internazionali dello Stato sono, tutto sommato, dei ritocchi coVedi Fabio Caffio, “The Maritime Frontier between Italy and France: A Paradigm for the Delimitation of Mediterranean Matitime Spaces”, in Maritime Safety and Security Law Journal, n. 2/2016, p. 90-107, http://www.marsafelawjournal.org/?p=332. 5 Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione (GU Serie generale n. 88 del 15 aprile 2016), http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/04/15/16A03075/sg. 4 135 natalIno RonzIttI smetici e consequenziali alla riduzione della funzione legislativa del Senato a scapito della Camera dei Deputati. Pertanto si è dovuto scrivere che la sola Camera dei Deputati vota la legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, tranne quelli che interessano l’Ue, che restano di pertinenza dei due rami del Parlamento. Parimenti, la deliberazione dello stato di guerra e il conferimento al governo dei poteri necessari diviene competenza della sola Camera dei Deputati, indipendentemente dalla vexata quaestio se la delibera abbia natura legislativa. Non si è invece approfittato della modifica costituzionale per affrontare una serie di questioni ricorrenti e fonte di dibattito, quali il valore dei trattati ratificati nell’ordinamento interno, l’ammissibilità e il valore degli accordi in forma semplificata o il referendum propositivo in materia dei trattati più significativi prima che la Camera si esprima per la loro ratifica. Inoltre la riforma poteva essere un’occasione per affrontare, una volta per tutte, l’annosa questione dell’invio di truppe all’estero in contesti non bellici. In materia è pendente in Parlamento una proposta di legge che, prevedendo una risoluzione di indirizzo delle due Camere, dovrà essere modificata, qualora la modifica della Costituzione passasse il vaglio del referendum popolare. Si preferisce continuare con iniziative frammentarie. Prova ne sia l’art. 7 bis della recente legge 198/2015 che consente al Presidente del Consiglio di emanare disposizioni per l’adozione di misure di “intelligence di contrasto” in cooperazione con le forze speciali della difesa, in situazione di crisi o di emergenza all’estero che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale o per la protezione di nostri cittadini all’estero. Alla disposizione è stato fatto riferimento per l’invio di personale in Libia6. Marco Ludovico, “Intervento italiano in Libia: forze speciali e 007, ma non più di 100 uomini”, in Il Sole/24 Ore, 5 marzo 2016, http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-05/forze-speciali-e-007-non-piu-100-uomini-081242.shtml. 6 136 sintesi unIone europea Anche nel periodo in esame, l’Italia ha dispiegato gran parte della sua azione diplomatica nell’ambito dell’Unione europea. In campo economico, il governo Renzi ha puntato a una ridefinizione delle priorità e della strategia complessiva dell’Unione chiedendo una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionali, una più ampia condivisione dei rischi e un’effettiva azione anticiclica a livello europeo. Nel perseguire questi obiettivi, il governo ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: il persistente approccio rigorista della Germania e di altri paesi – gran parte di quelli non mediterranei – che hanno invece continuato a porre l’accento sul rispetto delle regole di bilancio e sulla riduzione dei rischi, mostrando ben poca propensione ad accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l’esplodere di altre emergenze – la crisi migratoria e l’ondata di attacchi terroristici sul suolo europeo – che sono passate in cima all’agenda europea, relegando in secondo piano i programmi di riforma economica; lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, in particolare della Commissione. Con quest’ultima il premier Renzi ha avuto momenti di aspro confronto in merito, in particolare, alle regole di bilancio. Un’escalation di dichiarazioni polemiche all’inizio del 2016 ha creato forti tensioni con Bruxelles. Successivamente il governo ha assunto un atteggiamento più costruttivo, avanzando una serie di proposte sulla riforma della governance economica europea in larga parte in sintonia con gli obiettivi della Commissione e della Banca centrale europea (Bce). Il governo ha fortemente sostenuto il piano di investimenti strutturali della Commissione (il cosiddetto “Piano Juncker”), che però ha faticato a decollare, e la politica monetaria espansiva della Bce. D’altra parte l’Italia ha continuato a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza in ambito europeo a causa della mancanza di una prospettiva credibile di riduzione nel breve e medio termine dell’ingente debito pubblico – un parametro della stabilità macroeconomica su cui le istituzioni europee hanno posto 137 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI un accento crescente – e della persistente fragilità del sistema bancario nazionale, che è emersa in piena luce nei primi mesi del 2016. Reagendo alla tendenza a procrastinare e annacquare la riforma della governance economica, già evidente nel rapporto dei “cinque presidenti” di metà 2015, il governo ha presentato nel febbraio 2016 un ampio documento, tornando a chiedere una maggiore simmetria nel processo di aggiustamento macroeconomico, il rilancio degli investimenti infrastrutturali e il completamento dell’Unione bancaria, in particolare l’istituzione del previsto meccanismo per la garanzia comune sui depositi, un progetto che è stato, di fatto, congelato. Peraltro, l’entrata in vigore delle nuove regole europee sul bail in per la risoluzione delle crisi bancarie ha messo sotto pressione il sistema bancario italiano che ha manifestato una preoccupante vulnerabilità, anche per l’assenza di comuni strumenti di sostegno degli istituti in difficoltà. Il governo si è opposto fermamente ad alcune proposte tedesche che potrebbero avere riflessi negativi sulla stabilità macroeconomica del paese, come l’introduzione di norme per limitare i titoli di Stato posseduti dalle banche e per la ristrutturazione automatica del debito pubblico. Di fronte all’inasprirsi della crisi di fiducia all’interno dell’Ue e all’incapacità delle istituzione europee a darvi una risposta adeguata, il governo Renzi ha rilanciato anche l’idea di più ampia riforma dell’Ue che le ridia legittimità e consenta un approfondimento dell’integrazione fra i paesi dell’eurozona. In quest’ottica il governo sembra aver accettato l’idea, che si è fatta sempre più strada, che possa esservi una crescente differenziazione nei livelli di integrazione fra i paesi membri. Nella convinzione che, in un contesto di integrazione differenziata, sia necessario un nucleo di paesi membri in grado di svolgere un ruolo propulsivo, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha promosso un processo di consultazione e coordinamento politico tra i sei paesi fondatori dell’Unione. Il tentativo ha incontrato inizialmente dubbi e resistenze negli altri paesi interessati, ma a metà del 2016 sembrava avere concrete prospettive di sviluppo, anche come riflesso dell’esito del referendum britannico sulla Brexit. sIcurezza e dIfesa L’impegno ad uno sviluppo e adattamento dello strumento militare ha trovato un significativo riscontro nell’adozione di un “Libro bianco” che delinea una strategia di medio termine per la politica di sicurezza inter- 138 sIntesI nazionale e di difesa. Con questo sforzo di correlare obiettivi, strumenti e risorse in un quadro più organico e coerente, si è cercato di colmare una vistosa lacuna rispetto agli altri maggiori paesi europei. L’ambizioso piano di riforma propugnato nel Libro bianco continua però a scontrarsi con una serie di ostacoli legislativi e amministrativi e di resistenze corporative. D’altronde le spese per la “funzione Difesa” continuano a diminuire, ampliando il divario con gli impegni assunti in sede Nato. In linea con la strategia generale di politica estera del governo, il Libro bianco indica esplicitamente la regione euromediterranea come lo scacchiere prioritario di azione per gli interventi dell’Italia. In effetti vi è stato un riorientamento complessivo dell’impegno militare verso il Mediterraneo e il Medio Oriente, dove le forze armate italiane svolgono oggi un ruolo di spicco, e talora di guida, nell’ambito delle missioni di stabilizzazione e gestione delle crisi. L’Italia si è anche assunta impegni militari significativi nel quadro della coalizione anti-Isis in Iraq e dei piani per il rafforzamento del dispositivo di dissuasione della Nato in risposta alla crisi ucraina. Più direttamente collegato agli interessi nazionali è il contributo di primo piano fornito in diverse operazioni navali nel Mediterraneo per il soccorso dei migranti e il contrasto ai trafficanti di esseri umani. Il governo ha anche evocato, più volte, la possibilità di un intervento terrestre in Libia, qualora se ne determinassero le condizioni politiche e legali, incluso un mandato dell’Onu. L’interrogativo è se questa partecipazione così ampia e attiva alle missioni di sicurezza e il contributo alla difesa collettiva, che è uno dei tratti distintivi del profilo internazionale dell’Italia, sia sostenibile nel più lungo termine data la scarsità di risorse e le persistenti difficoltà ad attuare una riforma incisiva dello strumento militare. poLitica migratoria I problemi legati alla politica dell’immigrazione e dell’asilo sono ormai da qualche anno una nota dolente per la politica italiana, che ha dovuto gestire praticamente in solitudine il flusso imponente di immigrati provenienti dalla coste libiche, ma ora anche egiziane, e da altri paesi, senza trovare il necessario riscontro della solidarietà europea. Solo recentemente l’Italia ha insistito con forza che la questione venisse gestita a livello europeo, nel quadro del principio di solidarietà codificato nell’art. 80 del Tfue. Ciò che dovrebbe implicare la redistribuzione dei migranti approdati sulle coste italiane e l’abbandono del principio per cui respon- 139 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI sabile della sorte dei migranti/asilanti resta lo Stato di primo ingresso. Terminata l’operazione Mare Nostrum, che ha consentito il salvataggio di numerose vite umane grazie al contributo della Marina Militare, gli sforzi per far fronte alle esigenze umanitarie sono proseguiti con la missione Triton, coordinata da Frontex e di minore entità rispetto alla precedente. L’insistenza nel configurare la questione dell’immigrazione come un problema europeo e non solo italiano ha avuto un suo primo successo con l’operazione Eunavfor Med Sophia, che però non è una missione di ricerca e soccorso, ma di contrasto al traffico illecito di migranti. La questione delle migrazione di massa non è più una questione settoriale, ma globale, da gestire insieme ai paesi di provenienza dei flussi, anche se accordi come quello Ue-Turchia sono di dubbia legalità. Il governo italiano si è fatto portatore di un piano denominato “Migration Compact”, che prevede lo sviluppo economico e politico dei paesi di provenienza per ridurre o addirittura eliminare i flussi migratori. Un programma ambizioso, che richiede la messa a disposizione di una quantità considerevole di risorse. Accolto positivamente dalle istituzione europee, il Migration Compact è ora nelle mani dei governi. La capacità del governo italiano di convincere i partner europei sarà messa a dura prova. poLitica energetica La politica energetica dell’Italia ha dovuto fare i conti con un quadro in forte evoluzione sia a livello regionale che globale. Data la forte dipendenza dall’estero, in particolare dal gas russo, la sicurezza degli approvvigionamenti rimane il principale obiettivo strategico. Si è peraltro profilato un ridimensionamento della relazione speciale con la Russia a seguito della cancellazione del progetto South Stream e del successivo accordo per l’espansione di Nord Stream. Alla ridotta valenza strategica delle relazioni con Mosca ha fatto riscontro un riposizionamento dell’Italia nel difficile confronto in atto nell’Ue sulle politiche energetiche europee, con un riavvicinamento ai paesi dell’Europa centro-orientale. L’abbandono del progetto South Stream ha anche rafforzato l’interesse italiano a favorire la cooperazione tra Turchia e Ue per il completamento del Corridoio Sud. Al contempo l’Italia appare sempre più intenzionata a sviluppare il suo portafoglio di investimenti nel Mediterraneo e nell’Africa. Questo spostamento del centro di gravità degli interessi energetici nazionali è dovuto a una serie di sviluppi dal notevole impatto potenziale, fra cui la scoperta da parte di 140 sIntesI Eni del mega-giacimento Zohr, che potrebbe portare alla creazione di un hub del gas nel Mediterraneo orientale. Nell’area mediterranea rimangono altresì fondamentali, per la sicurezza energetica italiana, la stabilizzazione della Libia e la tenuta del regime algerino. Un ruolo crescente potrebbe essere svolto dall’Italia anche in Africa subsahariana grazie ai progetti portati avanti da tempo da Eni e a quelli, più recenti, di Enel. Nuove opportunità dovrebbero scaturire dalla rimozione delle sanzioni contro l’Iran, anche se i tempi per una ripresa su larga scala della cooperazione con Teheran potrebbero rivelarsi più lunghi del previsto. Un ruolo più attivo dell’Italia si è registrato anche nella promozione della cooperazione multilaterale in campo energetico, sia in sede Ue che a livello globale. cooperazIone allo svIluppo Una novità importante si è registrata nella politica di cooperazione allo sviluppo con l’approvazione di una nuova legge che punta a migliorare la coerenza degli interventi e a migliorarne l’efficacia attraverso una generale riorganizzazione delle strutture deputate ad attuarli. L’obiettivo fondamentale di questo riassetto è la collocazione a pieno titolo della cooperazione nelle politiche di governo: di qui la nomina di un viceministro con delega alla cooperazione e la creazione di un’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo sottoposta al potere di indirizzo del Maeci. La riforma prevede anche l’ampliamento della platea di organizzazioni della società civile, il cui ruolo nel settore il governo è interessato a valorizzare. Tuttavia l’effettivo miglioramento nella gestione e coordinamento degli interventi andrà concretamente verificato nei prossimi anni (l’Agenzia ha cominciato ad operare nel gennaio 2016). Inoltre, i fondi destinati alla cooperazione rimangono molto esigui, ben al di sotto degli impegni assunti a livello internazionale. Anche il progetto del governo di utilizzare risorse della Cassa depositi e prestiti come leva per mobilitare fondi del settore privato, non è di facile attuazione data la scarsa propensione generale agli investimenti. promozione deLL’itaLiano In un mondo sempre più anglofono, parrebbe strano che ci si preoccupi di diffondere la lingua italiana, non solo come strumento di conoscenza letteraria, ma anche per accrescere il potenziale economico del sistema 141 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI paese. Tuttavia strano non è, se si pensa che le risorse investite per la diffusione della lingua italiana all’estero generano ritorni economici non trascurabili. Un’iniziativa di rilievo è stata la prima edizione degli Stati generali della lingua italiana svoltasi a Firenze (2014), destinata a ripetersi a cadenza biennale. Da salutare positivamente è altresì la centralizzazione presso un unico ufficio del Meaci delle competenze riguardanti la diffusione della lingua italiana nel mondo. Purtroppo tali sviluppi positivi devono fare i conti con le drastiche riduzioni di bilancio, che ne sminuiscono la portata. Occorre pensare ad una riorganizzazione per aree della diffusione della nostra lingua e all’adozione di misure che consentano il mantenimento degli istituti e cattedre esistenti. conflItto In ucraIna e sanzIonI contro la russIa L’Italia ha tenuto un atteggiamento ambivalente, non volendo, da un lato, rompere la solidarietà con gli alleati e intendendo, dall’altro, mantenere in qualche modo le relazioni con la Russia, nonostante il coinvolgimento di quest’ultima nella crisi ucraina con il supporto ai ribelli del Donbass che era stato preceduto dall’annessione della Crimea. Nello stesso tempo si è cercato di mantenere buoni rapporti con l’Ucraina, dove gli investimenti italiani sono considerevoli. Pur adeguandosi alle misure restrittive contro la Russia decretate dall’Ue, l’Italia ha proposto, finora con scarso successo, che la proroga delle sanzioni venisse decisa solo dopo adeguata e approfondita discussione a livello politico, in modo da tener conto del complesso dei rapporti con la Russia. Nello stesso tempo, allo scopo di mantenere aperto un dialogo italo-russo, l’Italia ha partecipato, sola tra i paesi occidentali, all’inaugurazione delle olimpiadi di Sochi con una visita del presidente del Consiglio, cui ha fatto seguito, nel giugno 2016, la partecipazione di Renzi, alla guida di una folta delegazione di aziende italiane, al vertice economico di San Pietroburgo. L’annessione della Crimea è finita nel dimenticatoio, con il beneplacito non solo dell’Italia, ma di altri governi occidentali. Peraltro, nel documento sulla Strategia Globale preparato dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, e approvato dal Consiglio europeo, si afferma espressamente che non sarà riconosciuta “l’annessione illegale” della Crimea da parte della Russia (28 giugno 2016). Stesse considerazioni sono state ripetute nel Comunicato finale del vertice Nato di Varsavia (8-9 luglio 2016). 142 sIntesI mediterraneo e medio oriente La regione è seminata da Stati falliti, a cominciare dalla Libia, che ha messo a dura prova la costruzione di una strategia unitaria degli occidentali e dei paesi vicini, divisi nel sostenere le fazioni in lotta. La Libia è ovviamente al centro delle preoccupazioni e delle priorità italiane nello scacchiere mediterraneo. L’Italia ha appoggiato il governo Serraj, che ha avuto l’imprimatur delle Nazioni Unite, ma è contrastato da importanti oppositori locali, come il governo di Tobruk sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti. L’Italia si è anche dichiarata pronta a guidare una missione di stabilizzazione della Libia, purché sotto l’egida delle Nazioni Unite. Non si sa se queste esternazioni corrispondano ad un “wishful thinking”, oppure una reale volontà di impegnarsi nella gestione di una crisi di difficile soluzione. Sta di fatto che i contingency planning di tanto in tanto rivelati da fonti giornalistiche, sono stati poi puntualmente smentiti dalle autorità di governo. Anche perché le condizioni cui il governo italiano subordina un eventuale intervento sono di difficile realizzazione, postulando una richiesta ad hoc del governo libico, la cui mancanza di effettività è lapalissiana, ed una risoluzione autorizzativa del Cds. Ciò non toglie che il governo italiano si sia impegnato con notevoli energie sul piano diplomatico, ad esempio con la copresidenza insieme agli Usa e all’Onu della conferenza di Roma del dicembre 2015 cui hanno partecipato 17 Stati e l’Ue. L’appoggio dato dall’Egitto al governo di Tobruk e al generale Haftar fa sì che Italia ed Egitto si trovino su fronti contrapposti per quanto riguarda la soluzione della questione libica. Fin dal suo insediamento l’Italia ha sostenuto il governo di Al-Sisi, chiudendo gli occhi di fronte alla deriva autoritaria del regime, per dare un marcato impulso alla cooperazione economica, come dimostrato dalla visita di Renzi in Egitto e da quella di Al-Sisi in Italia. A seguito del caso Regeni, l’Italia, in particolare attraverso il ministro degli Esteri, ha intrapreso una decisa denuncia del comportamento delle autorità egiziane, richiamando anche il nostro ambasciatore al Cairo. Anche in Medio Oriente si sono moltiplicati gli stati falliti e l’instabilità della regione si è fatta endemica. La politica verso l’area mediorientale per un paese come l’Italia è tutt’altro che semplice e necessariamente deve essere condotta in ambito multilaterale di concerto con gli alleati. I margini di autonomia sono necessariamente ristretti. L’Italia partecipa alla coalizione anti-Assad e anti-Isis, senza però schierare uomini sul 143 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI terreno (come del resto gli alleati) o partecipare alle incursioni aeree (a differenza di alcuni alleati). Per quanto riguarda l’Iraq, l’impegno italiano è stato ed è più incisivo, tramite l’aumento del contingente italiano e la promessa di inviare altri uomini a Mosul, la cui diga necessita urgenti lavori di manutenzione, che sono stati affidati ad un’impresa italiana. Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, l’Italia ha tenuto sostanzialmente una posizione di equidistanza, non procedendo al riconoscimento della Palestina come Stato, come del resto hanno fatto la maggior parte degli occidentali, tranne la Svezia. In Parlamento sono state adottate al riguardo due mozioni che si contraddicono a vicenda e quindi non scontentano nessuno. Quanto ai rapporti con Israele, l’Italia ha rifiutato qualsiasi posizione che potesse scalfire la tradizionale amicizia ed ha anzi rinsaldato i rapporti commerciali. L’unico screzio riguarda le note di protesta del governo italiano per gli insediamenti israeliani nei territori occupati e la mancanza di sintonia nei confronti dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano, fortemente voluto dall’Italia, ma avversato da Israele. africa subsahariana Per lungo tempo assente dall’Africa subsahariana, l’Italia è tornata in campo con le visite del presidente del Consiglio e anche del presidente della Repubblica in Etiopia e Camerun. L’interesse dell’Italia dipende da vari fattori, tra cui emergono la politica emigratoria, poiché molti flussi di migranti in partenza dalla Libia provengono dal Sud del continente, e la politica di assistenza allo sviluppo incardinata in progetti di sviluppo sostenibile. L’interesse è inoltre dimostrato dalla partecipazione italiana alle missioni internazionali a guida Onu o Ue. L’attivismo bilaterale è culminato nella Conferenza ministeriale Italia-Africa (Roma, maggio 2016), che è servita al governo anche per rilanciare le sue proposte in materia di politica migratoria miranti a una collaborazione più stretta tra Ue e paesi di origine e transito. L’Italia ha continuato a svolgere un ruolo centrale nell’ambito di due iniziative per la gestione della questione migratoria: il “processo di Khartoum”, un’iniziativa Ue-Corno d’Africa, e il “processo di Rabat”, un foro di dialogo regionale tra l’Unione ed i Paesi dell’Africa occidentale, centrale e mediterranea. 144 sIntesI rapportI con la cIna Il governo italiano ha anche intrapreso una serie di iniziative volte ad intensificare e a porre su basi più solide i rapporti con la Cina. Non si può parlare di una vera e propria svolta, ma è emersa una chiara volontà di dare maggior peso alla Cina nell’azione diplomatica, laddove l’attenzione tradizionalmente dedicata al gigante asiatico era in passato alquanto marginale. Da segnalare, in particolare, l’ampliamento della rappresentanza diplomatica in Cina e la maggiore frequenza e continuità delle visite bilaterali ad alto livello. Si è anche registrato un notevole aumento dei visti concessi ai cittadini cinesi. Sul piano economico permane però un forte squilibrio: il disavanzo commerciale dell’Italia non accenna a ridursi, alimentando malumore e ostilità in un’opinione pubblica che, evidenziano i sondaggi, ha un atteggiamento verso la Cina più negativo che in altri paesi europei. In questo quadro si inserisce la dichiarata contrarietà dell’Italia, in seno all’Ue, alla concessione alla Cina dello status di economia di mercato. Un atteggiamento che ha generato tensione con Pechino, mettendoci in posizione di svantaggio rispetto ad altri Paesi europei. D’altra parte è continuato, a ritmo sostenuto, l’afflusso di capitali cinesi in Italia, a testimonianza dello spessore strategico che vanno assumendo i rapporti economici bilaterali. Non è chiaro tuttavia se e come l’Italia potrà concretamente inserirsi nei progetti collegati all’iniziativa cinese “One Belt, One Road”, a cui si guarda con grande interesse, anche perché essa continua a presentare contorni piuttosto vaghi. Quel che certo è che un rafforzamento della connettività tra Europa e Asia non può non investire in pieno l’area mediterranea, nell’ambito della quale può realizzarsi un’azione convergente tra Italia e Cina. Entrambi i paesi sono fortemente interessati alla stabilizzazione del Mediterraneo e a una gestione concertata e cooperativa delle molteplici crisi in atto. Nella prospettiva di un “Mediterraneo allargato”, che anche l’Italia sembra aver adottato, il partenariato con Pechino potrebbe aprire nuove opportunità di collaborazione non solo sul piano economico, ma anche politico. internazionaLizzazione economica Alcuni passi avanti sono stati fatti nel campo dell’internazionalizzazione economica. Grazie a una più efficace cabina di regia governativa, si è realizzato un maggiore coordinamento fra le istituzioni centrali, quelle re- 145 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI gionali e il settore privato. Ne hanno beneficiato soprattutto le iniziative promozionali per l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese (Pmi). Sembra essere migliorata anche la produzione legislativa e la capacità di programmazione delle regioni per le attività di sostegno all’internazionalizzazione. Il governo ha varato un ambizioso piano che mira ad accrescere la penetrazione dei prodotti italiani sui mercati esteri grazie anche al sostegno della rete diplomatico-consolare, la cui efficacia dovrà però essere verificata concretamente nei prossimi anni, date le limitate risorse disponibili. Inoltre, più di altri paesi membri dell’Ue, l’Italia ha puntato, con specifiche iniziative sulle opportunità offerte dal Piano Juncker per lo sviluppo delle Pmi. In un contesto caratterizzato da una dimensione media delle imprese molto ridotta, le reti di impresa, che consentono alle Pmi di coniugare l’autonomia imprenditoriale con l’accesso al necessario know-how e a cruciali risorse tecniche, continuano a rivelarsi uno strumento fondamentale per l’internazionalizzazione. Permangono però una serie di deficienze strutturali che limitano fortemente, in particolare, l’internazionalizzazione in entrata, cioè la capacità di attrazione degli investimenti esteri, come lo scarso utilizzo dell’e-commerce, il mancato decollo della banda larga, l’anemia del credito bancario e l’obsolescenza di alcune infrastrutture essenziali. Uno sviluppo dell’internazionalizzazione che consenta una ripresa solida nel medio periodo può realizzarsi, in ultima analisi, solo grazie al superamento di queste strozzature. Le iniziative specifiche per promuovere l’internazionalizzazione rischiano di avere effetti limitati ed effimeri se non va avanti, al contempo, il programma di riforme strutturali delle istituzioni e dell’economia. polItIca spazIale L’Italia ha sempre mostrato un interesse specifico per la politica spaziale ed ha colto numerosi successi, nonostante la modestia dei fondi allocati e la loro progressiva riduzione, talvolta superata con erogazioni straordinarie. A livello d’immagine occorre segnalare la missione Futura dell’astronauta Samantha Cristoforetti e la nomina di una responsabile italiana alla direzione dell’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico delle Nazioni Unite. Nonostante la scarsità di fondi, la cooperazione spaziale italiana prosegue a livello internazionale, in ambito bilaterale e nell’Agenzia spaziale europea. Lo spazio offre indubbiamente all’Italia grandi opportunità sia per il settore civile sia per quello militare. 146 sIntesI dIrItto InternazIonale L’Italia ha sempre affermato di improntare la propria politica estera al rispetto del diritto internazionale, in particolare in relazione al divieto dell’uso della forza e all’obbligo di risolvere pacificamente le controversie internazionali. Propositi che tuttavia vengono messi alla prova dalla realtà delle relazioni internazionali. Per quanto riguarda il primo punto, la politica italiana è stata improntata ad una estrema cautela in relazione alla partecipazione ad azioni militari, esprimendo un fermo diniego ad azioni che non fossero avallate dal Cds. Anche il supporto alla Francia dopo gli attentati di Parigi è stato molto tiepido, quantunque le norme del diritto internazionale consentissero azioni più incisive. Sul fronte della soluzione pacifica delle controversie, è da rimarcare la disponibilità dell’Italia a sottoporre le controversie internazionali ad istanze giudiziarie, come la Corte internazionale di giustizia, od arbitrali, come il Tribunale istituito in base all’Annesso VII della Convenzione sul diritto del mare per risolvere la questione dei marò. Non mancano sfasature, dovute tuttavia al tessuto istituzionale nazionale. La Corte costituzionale si è espressa contro l’attuazione della sentenza della Cig nella controversia Italia-Germania in cui il nostro paese è risultato soccombente. Un fatto che ha esposto il nostro paese all’accusa di non rispettare il diritto internazionale. È da lamentare che, a parte dichiarazioni più o meno di parata, il diritto internazionale non sembra interessare granché il nostro esecutivo. Prova ne sia la recente legge di riforma della Costituzione che in materia presenta gravi lacune. Un primo passo dovrebbe essere una radicale riforma del servizio del contenzioso diplomatico presso il Maeci, auspicio già formulato nel precedente rapporto sulla politica estera italiana, rimasto finora inascoltato. Per riaffermare il suo ruolo nel sistema di governance globale l’Italia ha presentato la sua candidatura a un seggio non permanente del Consiglio di Sicurezza per il biennio 2017-2018. Purtroppo la votazione in Assemblea generale delle Nazioni Unite (28 giugno 2016) non è andata secondo i desiderata italiani, a causa della defezione di taluni Stati che avevano promesso il voto all’Italia, e ci si è dovuti accontentare di dividere il biennio con l’Olanda (il primo anno all’Italia e il secondo all’Olanda). 147 Appendice documentaria con statistiche RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI Figura 1 – Opinione sull’Unione europea (2016) Fonte: pew research center. Figura 2 – Sbarchi sulle coste italiane Fonte: Ministero dell’Interno. 150 appendice docUmentaria con StatiStiche Figura 3 – Richieste d’asilo in Europa (2015) Fonte: eurostat (dati aggiornati al 31 dicembre 2015). Figura 4 – Sofferenze bancarie in Italia (mln di €) Fonte: Banca d’Italia. 151 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI Figura 5 – Aiuti allo sviluppo (% del Pnl) Fonte: ocse. 152 appendice docUmentaria con StatiStiche Figura 6 – Debito pubblico italiano (% del Pil) Fonte: Istat (2002-2014), Dpef (2015). Figura 7 – Stanziamenti per la funzione difesa (mln di €) Fonte: Ministero della Difesa, Documento programmatico pluriennale per la difesa 2015-2017, elaborazione IAI. 153 RappoRto sulla polItIca esteRa ItalIana: Il goveRno RenzI Figura 8 – Gas: produzione e importazioni Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI. Figura 9 – Petrolio: produzione e importazioni Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI. 154 appendice docUmentaria con StatiStiche Figura 10 – Importazioni di gas Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI. Figura 11 – Importazioni di petrolio Fonte: Ministero dello sviluppo economico – elaborazione IAI. 155 Finito di stampare nel mese di luglio 2016 con la tecnologia print on demand presso il CentroStampa “Nuova Cultura” p.le Aldo Moro n. 5, 00185 Rome www.nuovacultura.it per ordini: [email protected] [Int_9788868127138_17x24bn+149-156col_LM03]