Stefano Bartolini
Una passione violenta
Storia dello squadrismo fascista a Pistoia (1919-1923)
Postfazione di
Marco Francini
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Una passione violenta
Storia dello squadrismo fascista a Pistoia (1919-1923)
Ricerca storica di Stefano Bartolini
vincitore del Bando indetto dal Comitato unitario per la difesa delle istituzioni
repubblicane del Comune di Pistoia
in collaborazione con l’Istituto Storico Provinciale della Resistenza
e della Società Contemporanea relativo alla borsa di studio
finalizzata a una ricerca su
“Le violenze squadriste a Pistoia – anni 1919-1923”
Autore
Stefano Bartolini
Ricercatore presso l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea di Pistoia
Curatore dell’archivio storico CGIL Pistoia
Coordinatore della Redazione della rivista Quaderni di Farestoria
Responsabile del Progetto
Graziana Gualtieri, segreteria C.U.D.I.R. del comune di Pistoia
Progetto grafico e impaginazione
Cristina Rafanelli
Stampa
Litografia del Comune di Pistoia
Aprile 2011
Foto di copertina
Fondo Beragnoli – Archivio Istituto Storico della Resistenza
Edizioni del Comune di Pistoia – 2011
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Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.
La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.
E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.
Bertolt Brecht
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Indice
• Prefazione, Renzo Berti Sindaco di Pistoia
pag. 2
• Premessa
pag. 6
• Introduzione
pag. 9
• Squadrismo: passioni mobilitanti e violenza
al servizio di un progetto politico
pag. 16
• Le violenze fasciste nel pistoiese
pag. 24
• Gli inizi
pag. 26
• L’esplosione della violenza. Il 1921
pag. 28
• Il 1922 e la marcia su Roma
pag. 41
• La violenza dopo la marcia
pag. 53
• Lo sviluppo quantitativo e territoriale dei Fasci
pag. 59
• Simbologia, violenza e politica
al servizio di una nuova religione
pag. 66
• Postfazione, di Marco Francini
pag. 71
• Appendice
pag. 74
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Prefazione
Renzo Berti, Sindaco di Pistoia
Questa ricerca di Bartolini consente efficacemente di conoscere gli stadi evolutivi di quella gravissima
malattia che è stata il fascismo. Una malattia prima subdola ed avvolgente, insinuatasi anche nei gangli
del nostro territorio, per poi produrre violenza, a partire da Larciano e da Pistoia, alle cui porte nel 1920
cadde la prima vittima dello squadrismo.
I fasci si svilupparono dalla Montagna dove le popolazioni maggiormente subivano l’impatto della
modernizzazione industriale, per poi conquistare la pianura. La loro forza aggregante era quella tipica di
una setta dalle tendenze estremiste: quella che si combatteva era una crociata per la realizzazione di un
progetto politico, fondato sulla violenza.
Un lavoro quindi prezioso, che conferma la bontà dell’iniziativa assunta in proposito dal nostro
Comitato unitario per la difesa delle istituzioni repubblicane, in collaborazione con l’Istituto Storico
Provinciale della Resistenza e della Società Contemporanea.
Non resta che auspicare che possa trovare un’adeguata diffusione e lettura. La consapevolezza degli
orrori passati è infatti fondamentale non solo per il riconoscimento dei torti e dei meriti, ma perché
aiuta ad essere oggi cittadini migliori. E, devo dire, che ce n’è bisogno.
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Premessa
Questa breve pubblicazione è un primo passo in quello che vuol essere l’avvio di un più profondo
lavoro di riflessione sui caratteri dal fascismo pistoiese. Da questo punto di vista, queste poche righe
hanno l’ambizione di non essere solo e semplicemente un lavoro di cronaca, di storia evenemenziale,
che si limiti alla ricostruzione dettagliata dei fatti, ma un tentativo di porre all’attenzione del lettore un
discorso più ampio.
Come in ogni storia, anche qui si è scelto di far cominciare il nostro racconto dall’inizio, dalla nascita
cioè del fascismo a Pistoia. E si è anche privilegiato un angolo visuale particolare, che osserva il
fenomeno essenzialmente mettendo a fuoco lo squadrismo e la violenza, pur nella consapevolezza che i
due momenti, quello dell’azione violenta e distruttiva e quello più propriamente politico non possono
essere nettamente separati, ma risultano entrambi essenziali alla spiegazione di un intreccio, quello tra
violenza e politica, fondamentale per comprendere i caratteri del fascismo e la sua capacità di conquista
del potere e del consenso.
Nondimeno, si è scelto di incentrare in questa fase il nostro discorso sugli aspetti legati alla violenza,
nell’intento di colmare quella che ci è parsa come una lacuna negli studi locali, che quando si occupano
della nascita e dell’avvento del fascismo a Pistoia si limitano a citare alcuni fatti violenti capaci di
assumere un ruolo esemplificativo, ma non si attardano in una più circostanziata ricognizione dello
squadrismo, costruendo un discorso che semmai guarda in maniera più attenta agli aspetti squisitamente
politici.
Spazio dunque alla storia fattuale, alla rigorosa ricostruzione dei fatti, con l’ambizione di riportare una
mappa, una griglia su cui appuntare nella maniera più minuta possibile gli episodi che segnano le tappe
dell’ascesa del fascismo pistoiese, come elemento su cui poi costruire un discorso ed un’analisi attenta,
nella convinzione che senza un solido terreno su cui poggiare i piedi anche la storiografia più valida
rischia di vacillare e di perdere elementi primari nello svolgimento del proprio lavoro.
Come sempre quando si tratta di operare una ricostruzione, anche qui lo storico ha operato le proprie
scelte nel dirimere la matassa dei fatti, scegliendo di riportare anche eventi ed atti a prima vista
secondari, e lasciando per ora in secondo piano il dibattito interno al fascismo pistoiese. La scelta di
dare risalto anche a piccoli episodi, che superano di poco la disputa personale e lo sfottò, è stata operata
nella convinzione che per spiegare la capacità del fascismo degli inizi di distruggere e disarticolare la
decennale rete di organizzazioni dei suoi avversari, quella dei socialisti, dei comunisti, dei repubblicani e
dei popolari prima per poi affondare il colpo contro lo stato liberale, siano indispensabili non solo gli
episodi eclatanti, come l’assalto all’”Avanti!” di Milano del 15 aprile 1919, la distruzione del Narodni
Dom di Trieste il 13 luglio 1920, i fatti di palazzo D’Accursio a Bologna il 21 novembre 1920, o, per
restare in ambito locale, la distruzione della Camera del Lavoro il 5 maggio 1921 e l’uccisione degli
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antifascisti Gori e Migliorini nell’agosto del 1922, ma anche tutta quella serie di atti che sostanziarono
l’ingresso della violenza nella politica in maniere, forme e quantità fino ad allora sconosciute e che
costituirono la vera novità dello squadrismo, che andarono a creare prima di tutto un clima all’interno
del quale il fascismo si insediò, prosperò, crebbe e si estese fino ai livelli che lo porteranno a lanciare la
sua sfida al cuore del potere statale nell’ottobre del 1922.
Come già si intuisce da queste brevi note introduttive, la speranza è anche quella di riuscire a tenere
insieme la Storia con la microstoria, attraverso un’impostazione che non separi rigidamente gli eventi
locali dal contesto storico più generale e dal filo del tempo per cristallizzarli in un piccolo recinto
localistico capace di parlare solo a se stesso, e pertanto di scarsa utilità. Scopo di questo lavoro è
semmai di vedere come si è svolta nel concreto, in una piccola comunità locale e di provincia, la storia
della conquista fascista del potere, che riguarda poi per estensione la storia italiana ed europea di quel
periodo. Una verifica nell’ambito microstorico di tesi, suggestioni ed ipotesi di lettura, alla ricerca di
affinità e di peculiarità, di corrispondenze e divergenze, nella convinzione che la storia collettiva,
generale, è data anche dalla sintesi di tante piccole storie particolari.
Un’ultima annotazione. Si è posto nella stesura del testo un problema di rappresentazione. Come dar
conto cioè di un clima attraverso la lettura? Come far comprendere al lettore l’intricata trama che
mischia violenze a traumi umani e culturali, paure a strategie politiche? Come evidenziare il passaggio
che da questo intreccio di percezioni e di sostrati culturali, in senso antropologico, porta a scelte
politiche e di azione? Come sottolineare attraverso la cronaca il cedimento, quando non l’aperta
connivenza, di quegli organi statali, come la magistratura e l’esercito, che dovevano essere baluardo
contro l’eversione squadrista ed invece furono semmai attori impegnati nel favorire quel progetto
eversivo? Come riuscire a far comprendere l’incalzare di un sentimento di crisi e di paranoie nelle classi
borghesi, nei ceti agrari, negli industriali, nei ceti medi, terrorizzati dalla crisi del dopoguerra e
dall’ingresso poderoso delle masse nella vita pubblica e nel potere amministrativo, ingresso letto come
una calata di barbare orde bolsceviche? Come spiegare di contro il terrore dei contadini, degli operai,
delle classi umili, dei socialisti e dei comunisti, di fronte alla novità ed alla virulenza dell’azione
squadrista?
Si è scelto di affidare questa rappresentazione al ritmo della Storia, cercando di riportare a quel clima di
incalzante scontro politico, di guerra civile strisciante, attraverso una serrata cronaca, giorno per giorno,
mese per mese, atto per atto, annotando i cedimenti dello stato liberale, le connivenze, l’estendersi
dell’azione delle camice nere, in un continuo susseguirsi di episodi, inscritti nella linea del tempo e
capaci di plasmare di se un intero periodo della storia italiana. Se alla fine il lettore sarà riuscito a farsi
un’idea di questo ritmo serrato e della parte giocata dalle culture, dalle rappresentazioni mentali, dalle
istituzioni e dalla violenza nell’avvento del fascismo, questo breve scritto sarà riuscito nel suo intento.
7
Un doveroso ringraziamento va all’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia, della cui biblioteca
usufruisco da anni e che mi ha dato, insieme al Comitato unitario per la difesa delle istituzioni
repubblicane del Comune di Pistoia, la possibilità di svolgere questa ricerca. Un altro necessario
ringraziamento va all’Archivio di Stato di Pistoia, i cui funzionari sono stati estremamente disponibili
nel fornire i preziosi documenti da loro custoditi, così come alla biblioteca Forteguerriana, che mi ha
lasciato consultare la sua copiosa collezione di periodici locali.
Un ringraziamento particolare è poi riservato a Federica, che ha avuto la pazienza di rileggere il testo,
suggerire correzioni e miglioramenti, ed a cui sono debitore per le osservazioni e le tante domande che
mi hanno dato l’opportunità di mettere meglio a fuoco e comprendere numerosi aspetti di questo
studio.
La paternità di quanto scritto, gli errori e le inesattezze, così come l’impianto analitico ovviamente
restano responsabilità solo dell’autore.
Vorrei dedicare questo breve lavoro a tutte le vittime del fascismo, ai tanti Gori, Migliorini, Giuntini,
Breschi, Eschini di cui si parla in queste pagine, ed in particolare a mio nonno, che nei giorni di cui ci
accingiamo a raccontare la storia faceva il suo arrivo sul lenzuolo del mondo e che, ancora
giovanissimo, venti anni più tardi, avrebbe dovuto subire le persecuzioni del regime fascista,
ingiustamente e vilmente privato dei propri diritti e del proprio diritto ad essere quello che era, un
uomo ed un italiano come gli altri, e che trovò la sua Liberazione combattendo come partigiano nelle
brigate Garibaldi.
Pistoia, 14 marzo 2011
8
Introduzione
Nell’Italia del primo dopoguerra il fascismo faceva la sua comparsa in maniera dirompente. Appena
poche settimane dopo la fondazione ufficiale dei Fasci di combattimento in piazza San Sepolcro a
Milano, il 23 marzo 1919, un gruppo di Arditi, futuristi e fascisti della primissima ora assalto la sede
milanese dell’”Avanti!”, il giornale del partito socialista di cui Mussolini era direttore prima della
conflitto. L’azione del 15 aprile 1919 inaugurava quella che sarebbe stata una prassi ricorrente negli anni
seguenti, estendendo la distruzione di sedi di giornali, tipografie, cooperative, Camere del Lavoro,
circoli ricreativi e politici in altre province, città e paesi della penisola. La violenza militarmente
organizzata faceva il suo ingresso sulla scena politica non più come violenza praticata dai tutori
dell’ordine ma come elemento essenziale ad un discorso ed una strategia politica, quella fascista, che
univa in una nuova sintesi i due elementi. Fu questa la vera e principale novità del fascismo sulla scena
politica mondiale, senza tener presente la quale difficilmente si è in grado di comprendere gli eventi
degli anni successivi.
Al tempo stesso, in quella prima azione si affacciava anche un altro elemento importante e destinato a
diventare essenziale negli anni successivi e nelle ambizioni totalitarie del fascismo regime: l’aspetto
liturgico. Come scrive Franzinelli: «gli scontri provocarono 4 morti […] valutati dagli aggressori come il
tributo di sangue da pagare alla causa della redenzione nazionale. Estremamente significativo l’omaggio
reso a Benito Mussolini, nella redazione del “Popolo d’Italia” […] al termine dell’agitata giornata: la
consegna all’ex direttore dell’”Avanti!” dei cimeli asportati dalla redazione in fiamme adempiva a un rito
guerriero, col riconoscimento e l’omaggio dei gregari al capo carismatico»1.
Negli anni successivi, le azioni dello squadrismo fascista aumentarono in numero e in intensità. I
contemporanei furono disorientati dalla comparsa del fenomeno fascista, e ciò spiega in buona parte
anche la debacle dei suoi oppositori. Nessuno aveva mai pensato seriamente di rendere così organico
l’uso della violenza alla propria strategia politica, nemmeno tra i rivoluzionari. Il fascismo giunse
inatteso2. Persino gli aspetti rituali, certo non estranei alla “religione” socialista, assumevano adesso
connotati nuovi, pervasivi e totalizzanti. Nel disorientamento generale, ci fu chi, come Benedetto
Croce, negli anni dopo parlò di “invasione degli Hyksos”, intendendo con questo termine l’arrivo di
elementi estranei alla storia ed alla tradizione italiana, aprendo così la strada alla categorizzazione del
fascismo come una “parentesi” nella storia italiana. La cultura marxista per decenni continuò a vedere
nel fascismo solamente una reazione di classe da parte degli elementi più retrogradi e reazionari del
capitale, una lettura che conteneva al suo interno certamente spunti di verità, come vedremo, ma che
1
M. FRANZINELLI, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922, Milano, Mondadori, 2003, p.
23.
2
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione, Milano, Mondandori, 2005, p. 49.
9
peccava per la sua incapacità di rendere autonomo il fascismo da un analisi strettamente basata sul
conflitto di classe. Il fascismo fu anche questo, e la dirompenza del primo squadrismo ne è
testimonianza, ma fu anche altro. Le stesse difficoltà di inquadramento le ritroviamo anche per quel che
riguarda il fascismo regime, con tutta un’ampia produzione storiografica tesa ad indagare le affinità e le
divergenze del fascismo rispetto ai fenomeni precedenti, come il cesarismo, rispetto alle dittature
autoritarie e militari e rispetto al comunismo, assimilato al fascismo all’interno della categoria dei
totalitarismi. Il fascismo condivise con i regimi autoritari temi e pratiche, e solo pratiche con il
comunismo sovietico, ma se ne differenziò nettamente proprio per il suo anelito che mirava non a una
pura e semplice instaurazione di una dittatura di ordine ma alla creazione di un “uomo nuovo”,
guerriero, spiritualmente rinnovato, non a un livellamento delle classi ma a una gerarchia rinvigorita di
tale divisione tra forti e deboli, tra chi comanda e chi ubbidisce. Solo all’interno della nazione per il
fascismo esisteva l’uguaglianza, sintetizzata nell’essere italiani, ma si trattava di un’uguaglianza spirituale,
non sociale. Il fascismo in questo si autoconsiderava l’inveramento della democrazia, o, come disse
Mussolini, “democrazia totalitaria”. Per il fascismo la nazione divenne un elemento religioso, con un
culto vero e proprio ad essa tributato. Il fascismo volle essere l’incarnazione della nazione, la sua
esaltazione, il suo difensore. Lungi dall’essere un mero espediente di propaganda, il nazionalismo
fascista fu un elemento centrale ed aggregatorio nella cultura dei fascisti, un “sentire” che indirizzava
azioni e scelte politiche ben più in profondità dei temi classisti. I fascisti videro nei “sovversivi”
l’antinazione, nelle minoranze etniche e religiose e negli antifascisti elementi pericolosi e nemici della
nazione, e perciò da combattere senza quartiere.
In questo senso, il fascismo si inseriva in pieno nel suo contesto storico ed era figlio di un clima
culturale che lo precedeva. Il fascismo non arrivò dal nulla. Fu prima di tutto reso “pensabile” nei
decenni precedenti. I processi di national building, di costruzione degli stati nazionali, avevano portato
alla ribalta nel corso dell’Ottocento la nazione ed il senso di appartenenza. Con l’approssimarsi del
Novecento questo sentimento cominciò ad assumere connotati sempre più esclusivistici ed aggressivi,
razzistici e xenofobi. Nell’epoca della “nazionalizzazione delle masse”, la nazione divenne un elemento
di identificazione capace di dare significato di per sé alla politica, ponendosi sempre più in
competizione con l’internazionalismo proletario delle sinistre e con le culture democratiche e
cosmopolite che vedevano nella “liberazione” dei popoli un elemento di emancipazione e progresso. Il
nazionalismo aggressivo mutò questo processo in una lotta per la supremazia e per la rinascita interiore
della nazione. Considerò le sinistre, i “sovversivi”, elementi estranei ad essa e pericoli per il suo
benessere. Nel nazionalismo italiano, una cultura organicistica favorì l’identificazione dell’Italia con un
corpo in cui tutti gli organi cooperavano gerarchicamente ordinati al corretto funzionamento ed alla
salute dell’organismo. Gli elementi estranei erano infezioni da estirpare.
10
I processi di nazionalizzazione delle masse nel corso dell’Ottocento fecero le prove generali nella
direzione del culto della nazione. Si cominciarono a delineare ritualità, adunate, canti e forme di
mobilitazione collettiva capaci di sublimare l’individuo all’interno della comunità nazionale. Nel mondo
socialista negli stessi anni si sviluppavano tendenze analoghe, a ulteriore riprova di come questo modo
di “sentire” ed aggregare fosse parte costitutiva dell’orizzonte culturale di un intera epoca al di la degli
schieramenti politici. Anche nel mondo socialista si strutturavano riti, rappresentazioni iconiche,
manifestazioni rituali, canti e mitologie capaci di dare senso alla comunità internazionale del
proletariato.
Il mondo intellettuale di quegli anni andava scoprendo le sfere dell’irrazionale e dello spirituale,
l’esistenzialismo e la psicanalisi. Filosofi, sociologi, storici, scrittori, poeti, scienziati si interrogavano su
questi temi, scoprivano campi nuovi, esprimevano le inquietudini per un mondo in rapida
industrializzazione e soggetto agli sconquassi della cosiddetta prima globalizzazione. Inquietudini di
perdita di senso e di smarrimento dell’uomo si facevano strada. La ricerca di nuove comunità, dopo la
morte di Dio, capaci di accogliere l’uomo moderno, diveniva sempre più diffusa. Molti intellettuali
contribuirono loro malgrado al diffondersi di idee la cui traduzione e diffusione tra le masse le avrebbe
viste cambiar di segno. L’incrinazione del credo liberale nell’individuo libero e capace di scelte razionali
apriva la strada a soluzioni autoritarie. Alcuni dei protagonisti di questa lunga fase contribuirono a
diffondere questa sfiducia e si ritrovarono poi ad essere essi stessi vittime del fascismo, come Freud e
Bergson. Sul versante divulgativo, come nota Paxton, autori popolari, fautori del razzismo, teorici del
darwinismo sociale diffusero teorie razziste e xenofobe, come Spengler e De Gobineau. «La nazione –
che un tempo, per i progressisti come Mazzini, era finalizzata al progresso e alla fratellanza fra i popoli
– acquistò un connotazione esclusiva e gerarchica che dava alle “razze padrone” […] il diritto di
dominare sui popoli “inferiori”. Volontà e azione divennero virtù in se stesse, indipendentemente
dall’obiettivo, unite per la lotta per la supremazia tra le “razze”»3. Idee che, come sostiene Mosse, autori
popolari e romanzi di ampia diffusione, così come la stampa “bassa”, diffusero nelle società europee.
Individualismo, decadenza, disgregazione sociale, senso di “invasione” da parte di immigrati ebrei
dell’est Europa in fuga dalle violenze e dai pogrom della Russia zarista, ingresso massiccio delle masse
“incontrollabili” nella vita pubblica, paure del nemico interno ed esterno accresciutesi a dismisura
durante la guerra serpeggiavano come ossessioni e creavano il terreno su cui costruire l’immagine di un
“nemico”, che fu centrale nello sviluppo del fascismo, fosse esso lo slavo, l’ebreo o il socialista. La
nazione, in quanto fenomeno identitario, si creava e si identificava rispetto ad un alterità, che nell’ottica
del nazionalismo e del fascismo diveniva un alterità nemica4.
3
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 38.
Per Paxton «l’idea del “nemico” era al centro delle paure che contribuirono ad accendere l’immaginazione fascista. I
fascisti vedevano nemici dappertutto, dentro e fuori la nazione». R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 40.
4
11
In Italia, la nazione veniva letta come superiore sintesi tra le razze, dando il via alla peculiare versione
italiana del razzismo, che riallacciandosi al mito della romanità antica vagheggiava, nella cultura
nazionalista e poi fascista, progetti si espansione imperiale mediterranea.
La prima guerra mondiale precipitò nell’orgia della violenza intere generazioni. La guerra fu combattuta
e propagandata nel nome della nazione. Il sacrificio di milioni di uomini fu presentato e giustificato con
il supremo interesse della patria. Quando questo non bastò più, si cominciarono a fare promesse di
miglioramenti sociali e politici che rispondevano ad ansie secolari di palingenesi ed emancipazione.
Mentre milioni di uomini venivano inghiottiti nelle trincee, le società europee si militarizzavano, la
produzione industriale veniva ricondotta allo sforzo bellico, il “fronte interno” costruiva le proprie
rappresentazioni ed i propri nemici. Il “produttivismo”, che metteva insieme tutti senza distinzioni di
classi sotto l’egida della nazione, e da cui deriverà il corporativismo degli anni del regime, si faceva
strada tra quanti sostenevano lo sforzo bellico. Le organizzazioni socialiste si piegavano alla patria ed
entravano nelle union sacrée per difenderla.
I socialisti italiani coniavano l’ambigua formula del “non aderire né sabotare”, che testimonia da sola
contraddizioni e debolezze. Nello schieramento interventista si pensava alla guerra come ad
un’occasione per la rinascita ed il rinnovamento dell’Italia. Nelle manifestazioni del “maggio radioso” le
piazze venivano occupate per la prima volta dalla rappresentazione scenica di una narrazione della
nazione che voleva la guerra e la gloria d’Italia. La guerra creava un rapporto nuovo con la violenza, la
rendeva quotidiana a milioni di uomini, abbassava le inibizioni al suo uso e con ciò stessa giustificava il
ricorso ad essa in ambiti sempre più vasti. L’esasperante lunghezza del primo conflitto mondiale rese la
violenza una presenza normale, abituò gli uomini sotto le armi al suo uso e la rese più accettabile
nell’opinione pubblica. Al tempo stesso, la violenza necessaria nelle guerre di indipendenza nazionali,
nel Risorgimento e nei vari processi di national building trovava adesso una sua giustificazione che poteva
essere ripresa dallo squadrismo: «Se la nazione o il Volk costituivano il più alto conseguimento
dell’umanità, la violenza che ne era all’origine se ne trovava nobilitata. Oltre a ciò, alcuni esteti della
violenza scorgevano il volto della bellezza nelle estreme manifestazioni di volontà e di resistenza virili
richieste dalla guerra di trincea. Con il XX secolo si profilarono nuove paure cui il fascismo propose
presto un rimedio»5.
Gli inizi del Novecento erano all’insegna di grandi cambiamenti sociali e nei modi di pensare dunque.
La guerra funse da catalizzatore straordinario. L’Italia, e l’Europa, che uscivano dalla prima guerra
mondiale avevano attraversato nel giro di una manciata di anni stravolgimenti epocali. In Russia
cominciava l’esperienza sovietica, che irradiava il suo richiamo su milioni di lavoratori in tutto il mondo
e che sembrò, fino al 1919-20, in grado di espandersi verso occidente, in Germania e Ungheria. La
5
Sempre Paxton scrive che «una ricognizione delle paure può risultare anzi strategia di ricerca più fruttuosa di una
pedante ricerca di pensatori che “crearono” il fascismo». Ivi pp. 37-39.
12
paura bolscevica si diffondeva rapidamente così come le speranze che dall’altra parte suscitava. Ma «più
che creare il fascismo, il conflitto gli offrì una vasta gamma di opportunità culturali, sociali e politiche»6.
E, al di là del clima che rese pensabile il fascismo, furono le scelte concrete e le azioni dei fascisti che
permisero loro di inserirsi nel gioco politico e nel tessuto sociale fino a dominarlo7.
All’indomani della guerra Mussolini fondò, come abbiamo visto, il suo movimento dei Fasci di
combattimento. I Fasci cercavano di collocarsi a sinistra, di conquistare i voti dei reduci e dei lavoratori
a discapito del partito socialista. Il programma di San Sepolcro era vago ed orientato genericamente a
sinistra. I sindacalisti rivoluzionari passati al fascismo portavano in dote una tensione verso l’azione
distruttrice e creatrice. I futuristi ammantavano la violenza di un’aura estetica e battevano sul tamburo
della rivoluzione nazionale. Gli Arditi, che avevano costituito le elités dell’esercito dopo Caporetto,
abituati ad azioni di coraggio all’arma bianca dietro le linee, furono i primi pretoriani del fascismo. In
loro si agitava l’odio verso i socialisti, colpevoli di aver tradito la patria, e verso l’Italia liberale incapace
di dare al paese ed ai combattenti il posto che gli spettava di diritto8. Come è stato notato più volte,
l’Italia era un paese vincitore percorso da malumori tipici dei paesi sconfitti9 e che trovarono la loro
sintesi nel mito della “vittoria mutilata”, o “tradita”, e nell’azione di D’Annunzio a Fiume.
Nel biennio 1919-20 non c’era però spazio a sinistra per un movimento come quello fascista, e la
partecipazione alle elezioni politiche a Milano vide una netta sconfitta dei fascisti. Con le elezioni del
1919, a suffragio universale maschile che eleggevano il parlamento con il metodo proporzionale, la
classe dirigente liberale subì un duro colpo. La geografia politica parlamentare veniva investita da un
terremoto che portava alla Camera 156 deputati socialisti e 100 popolari. Le vecchie elités conservavano
la maggioranza ma erano strutturalmente indebolite ed incapaci di governare la crisi. Fuori dal
parlamento, i socialisti organizzavano la mobilitazione delle masse nel “biennio rosso”, scioperi e
proteste dei contadini, manifestazioni operaie, propagandando la rivoluzione sociale ma solo a parole.
In Toscana, i moti del caroviveri sconvolgevano le città. Nell’estate del 1920 le campagne erano
attraversate dagli scioperi contadini a cui seguiva l’occupazione delle fabbriche. Nell’autunno del 1920 il
movimento era però già entrato nel riflusso, mancato l’obiettivo rivoluzionario mai realmente
perseguito dai dirigenti socialisti ad eccezione del gruppo dell’Ordine nuovo a Torino, mentre come
ultimo colpo le elezioni amministrative sancirono un’altra vittoria dei socialisti e dei popolari, che
conquistavano molti comuni e province. Come scrive Emilio Gentile: «le aspirazioni del proletariato
trovarono soddisfazione nelle conquiste sociali, negli aumenti salariali, nelle vittorie elettorali, che però
6
Ivi p. 31.
Ivi p. 43.
8
Lyttelton sostiene che Arditi e futuristi «furono quanto mai importanti per la creazione dell’immagine del fascista,
dello stile fascista» e che al tempo stesso «il ruolo svolto dai futuristi nella preparazione psicologica della violenza
fascista risultò di tutto rilievo». A. LYTTELTON, Fascismo e violenza: conflitto sociale e azione politica in Italia nel
primo dopoguerra, in Storia Contemporanea, A. XIII, N°6, dicembre 1982, p. 973 e p. 974.
9
P. DOGLIANI, Il fascismo degli italiani. Una storia sociale, Torino, Utet, 2008, p. 4.
7
13
ridussero il potenziale rivoluzionario della “mobilitazione primaria” mentre mancò nel socialismo una
elité veramente rivoluzionaria capace di dare alla mobilitazione lo sbocco della conquista del potere.
Questa valutazione non contraddice il fatto che la mobilitazione delle classi inferiori, le conquiste
conseguite, il potenziamento dell’organizzazione socialista e la predicazione rivoluzionaria fossero
percepiti come un pericolo reale dalla borghesia e dai ceti medi, sollecitando la loro mobilitazione»10. Il
biennio rosso accese la paura delle classi borghesi, degli industriali e soprattutto dei proprietari agrari.
La conquista delle amministrazioni comunali da parte dei socialisti, che sventolavano la bandiera rossa
dai municipi, fu un vero e proprio trauma. Le vecchie elité agrarie e aristocratiche, abituate da secoli a
considerare il potere locale come affar proprio esclusivistico, vedevano adesso quel potere in mano a
quelli che fino a ieri erano i loro umili sottoposti e furono prese dal terrore. Anche l’antica supremazia
sulla terra veniva messa in pericolo dal movimento contadino. I due capisaldi del potere delle più
antiche classi dirigenti erano a rischio11. L’aspirazione borghese verso “una casa ben arredata”, come
scrive Mosse12, era messa radicalmente in discussione da quelle vittorie e dallo spettro della rivoluzione.
La crisi economica minacciava di affossare i ceti medi a reddito fisso. Lo spettro della retrocessione
sociale e dei disordini aleggiava seminando altre paure.
In questo frangente il fascismo, spostatosi a destra, trovò modo di inserirsi, facendosi anche strumento
della reazione agraria. E’ da qui che prese le mosse il fenomeno squadrista vero e proprio, nel torno di
tempo tra l’autunno e l’inverno del 1920-2113.
Franzinelli identifica quattro fasi nello sviluppo dello squadrismo. Il primo periodo essenzialmente
urbano, che copre il 1919 ed il 1920, dove il fascismo non riuscì a trovare un fertile terreno di sviluppo.
10
E. GENTILE, Storia del partito fascista. 1919-1922. Movimento e milizia, Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 86.
«L’aristocrazia stava combattendo per ristabilire tanto la sua supremazia politica quanto il suo controllo sulla terra; i
due aspetti del potere erano considerati inseparabili». A. LYTTELTON, Fascismo e violenza…, cit. pp. 975-976.
12
Per un’ampia ricostruzione del pensiero di Mosse vedi: E. GENTILE, Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la
catastrofe dell’uomo moderno, Roma, Carocci, 2007.
13
Secondo Emilio Gentile «le lotte sociali del 1919 e del 1920 furono percepite e vissute come uno scontro di classe
decisivo sia dalla borghesia e dai ceti medi che le subirono sia dal proletariato che combatté con la certezza di essere
ormai vicino alla conquista del potere. La politica massimalista getto fra la borghesia e i ceti medi il seme di un odio
antiproletario pronto a esplodere. E il movimento fascista, uscito malconcio dalle elezioni, seppe cogliere l’occasione
per presentarsi come il paladino della borghesia e l’organizzatore dei ceti medi contro il pericolo bolscevico». Sempre
secondo Gentile «la decisione di presentare il fascismo come organizzazione politica per i ceti medi, compiuta dai suoi
dirigenti nel 1920, fu una scelta politicamente giusta e molto efficace: il fascismo, in tal modo, si inserì nel processo di
“mobilitazione secondaria”, assumendo la funzione di organizzazione per i ceti medi per “smobilitare”, anche con il
ricorso alla violenza diretta, le classi inferiori, puntando quindi alla conquista del potere». E. GENTILE, Storia del partito
fascista…, cit. p. 78. Per Lyttelton «è possibile documentare l’esistenza di una fase preparatoria molto importante nella
seconda metà del 1920, nel corso della quale il movimento fascista rafforzò le sue strutture paramilitari, e attribuì ad
esse una netta priorità rispetto ad altri aspetti del movimento stesso. L’organizzazione e l’armamento delle squadre
d’azione vennero approntati in risposta a precise istruzioni emanate dalla direzione centrale dei Fasci» mentre «per gli
agrari, i grandi scioperi dell’estate 1920 costituirono la svolta decisiva» A. LYTTELTON, Fascismo e violenza…, cit. p.
974 e p. 975. Sull’importanza di questo passaggio concorda anche la Dogliani: «due occasioni portarono la violenza
fascista ad esprimersi in provincia: i grandi scioperi agricoli dell’estate 1920 e la conquista dei comuni da parte dei
socialisti nell’autunno». P. DOGLIANI, Il fascismo degli italiani…, cit. p. 17. Concorda nel sottolineare questo frangente
anche Giulia Albanese: «Fu dal coinvolgimento di zone inaspettate e dall’alleanza delle squadre con gli interessi agrari
che la violenza trasse quelle caratteristiche che, a posteriori, fecero la fortuna e l’affermazione del movimento fascista».
G. ALBANESE, La marcia su Roma, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 20.
11
14
Una seconda fase, dall’autunno del 1920 fino alle elezioni politiche del 15 maggio 1921, che vide il
fascismo crescere ed estendersi in relazione all’attività dello squadrismo e che alla fine portò 35 deputati
fascisti al parlamento, eletti all’interno dei “Blocchi” predisposti da Giolitti. E’ il periodo in cui il
fascismo arrivava anche in Toscana. Una terza fase, dalla primavera del 1921 fino al patto di
pacificazione dell’estate dello stesso anno, in cui la crescita dello squadrismo fu sostenutissima, la
violenza a danno delle organizzazioni avversarie ad altissimi livelli, mentre si cominciavano a delineare i
fenomeni di Rassismo, i localismi che permeeranno il fascismo per tutta la sua vicenda storica, gli
interessi locali che spesso oscuravano quelli politici, con un deficit di disciplina delle squadre che in più
occasioni portò al rischio di una perdita del controllo da parte del centro del partito rispetto alle sue
diramazioni periferiche ed al movimento squadrista. In questa fase, i Ras, ostili al patto di pacificazione,
arrivarono anche ad uno scontro aperto con Mussolini, che la spuntò in quanto unico leader di caratura
nazionale del movimento. L’ultima fase identificata da Franzinelli va dalla costituzione del Partito
Nazionale Fascista, nel novembre del 1921, fino alla marcia su Roma un anno dopo. L’attacco dello
squadrismo in quest’ultimo periodo alzò sempre di più il tiro cominciando ad organizzarsi su scala
sempre più vasta ed a rivolgersi esplicitamente contro lo stato liberale. Vennero fatte tante prove
generali di mobilitazioni fascista di carattere anche interregionale, le devastazioni alle organizzazioni
avversarie, ormai annichilite, continuarono fino allo stroncamento dello sciopero legalitario nell’agosto
del 1922. A quel punto il fascismo si ritenne abbastanza forte da tentare l’assalto al potere centrale dello
Stato con la marcia su Roma14.
Nel corso di questi anni il fascismo e lo squadrismo entrarono in stretta simbiosi, reclutarono adepti ed
estesero la loro base geografica, forgiarono caratteristiche e dettero vita a peculiarità che furono gli
elementi distintivi della religione politica fascista. Prima di addentrarci nel racconto delle vicende locali
pistoiesi, che seguono con precisione queste scansioni e questi sviluppi di cui abbiamo appena detto, ci
soffermeremo un attimo a vedere più da vicino cosa fu lo squadrismo fascista e la violenza che mise in
atto.
14
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. pp. 3-5.
15
Squadrismo: passioni mobilitanti e violenza al servizio di un progetto politico.
Come accennavamo, nel corso degli anni sono state molteplici e di segno assai diverso tra loro le
spiegazioni avanzate per dar ragione del fenomeno dello squadrismo fascista e del fascismo stesso sia
come movimento politico sia come regime, segno di una problematica che non si lascia ricondurre a
facili spiegazioni e semplificazioni e che continua ad arrovellare gli studiosi e ad affascinare ed attrarre,
quasi che il fascismo, in forme mutate, continuasse ad esercitare la sua forza di attrazione.
Già i contemporanei, come Tasca, Salvemini, Gramsci, Togliatti, Lussu, solo per fare alcuni nomi,
posero l’attenzione sul fenomeno, lasciandoci molte suggestioni e linee interpretative, dalla questione
del partito dei ceti medi a quella del regime reazionario di massa, dalla lettura della violenza fascista
come frutto di soggetti emarginati e frustati alla pura reazione di classe, dall’estetica della violenza
all’analisi della strategia militare del fascismo. Un groviglio di interpretazioni, osservazioni ed idee
all’interno del quale non è facile districarsi.
La storiografia ha continuato questo dibattito che giunge fino ai giorni nostri, spesso con toni anche
molto accessi. Tanto per fare un esempio, è ancora dibattuta la questione sollevata da Lyttelton negli
anni ’80 del secolo scorso, secondo cui «lo squadrismo non fu il prodotto di una società di massa
atomizzata, bensì quello di comunità locali saldamente unite»15, a cui Giulia Albanese di recente ancora
rispondeva che «l’attenzione alla conquista del potere, o di spazi di potere locali, non deve però far
pensare che la violenza squadrista fosse solo “il frutto di chiuse comunità locali”»16.
Conviene, per orientarsi in tanta mole di lavoro, seguire le fasi dello sviluppo del fenomeno
squadrista17, così come delineate da Franzinelli, ed osservare il concreto strutturasi dell’esperienza dello
squadrismo fascista nel corso dei vari passaggi, tanto sul piano nazionale che su quello locale, che ci
aiutano anche a mettere a fuoco una problematica centrale, ovvero: chi erano i fascisti? E che cosa
pensavano di se stessi e della loro azione?
Paxton negli ultimi anni ha suggerito di ricercare nelle “passioni mobilitanti” il fulcro da cui muovevano
le idee dei fascisti e da cui nascevano le loro azioni violente. La categoria ci è parsa come una delle più
adatte a rendere ragione di quello che fu un fenomeno in cui prima del pensiero ci fu l’azione, prima
della teoria la pratica, prima dei pro gli anti, uno stile di vita prima ancora che un’ideologia18. Come
15
A. LYTTELTON, Fascismo e violenza…, cit. p. 968.
G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 23.
17
Intendo da questo punto di vista accogliere il suggerimento fatto molti anni fa da Nello: «Il problema della violenza
nell’organismo delle camice nere può essere correttamente affrontato solo se impostato nei termini di un’analisi storica
del fenomeno squadristico [….] nelle motivazioni ideologiche, nelle matrici politiche, nelle origini sociali». P. NELLO,
La violenza fascista ovvero dello squadrismo nazionalrivoluzionario, in Storia Contemporanea, A. XIII, N°6, dicembre
1982, p. 1009.
18
Petersen sostiene che «l’ideologia della violenza fascista ha avuto la sua organizzazione operativa nello squadrismo.
A tenere uniti i gruppi di lotta fascisti non erano né determinate finalità né specifici programmi politici, bensì un
comune sentimento antiborghese, la dinamica e il primato dell’azione e della lotta, ed il ricorso alla violenza fisica». J.
PETERSEN, Il problema della violenza nel fascismo italiano, in Storia Contemporanea, A. XIII, N°6, dicembre 1982, p.
16
16
scrisse anche Mussolini, per il quale il fascismo fu prima di tutto azione: «Il fascismo non
s’intenderebbe in molti suoi atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come sistema di
educazione, come disciplina, se non si guardasse alla luce del suo modo generale di concepire la vita.
Modo spiritualistico […]. L’uomo del fascismo è individuo e patria, legge morale che stringe insieme
individui e generazioni in una tradizione e in una missione»19.
Per Paxton nei tre gruppi che dettero vita ai Fasci di combattimento, i sindacalisti rivoluzionari, i
futuristi e i reduci degli Arditi «si agitava quel fremito di violenza, di anti intellettualismo, di rifiuto per
l’ordine costituito» che tuttavia non impedì ai fascisti, una volta andati al potere, di non mettere in atto
nessuna delle minacce anticapitaliste agitate nella fase movimentista mentre invece quelle contro le
sinistre furono perseguite fino in fondo, portando a quello che è solo l’apparente paradosso di una
«dittatura contro la sinistra, sostenuta dall’entusiasmo popolare»20.
Per comprendere tutte le contraddizioni che a prima vista si presentano a chi osserva il fenomeno
fascista, specie ai suoi inizi, l’indicazione dello storico di tener presente che «i fatti del fascismo siano
perlomeno altrettanto indicativi delle sue parole»21 ci pare fondamentale. Sta infatti qui una delle grandi
difficoltà nella comprensione del fenomeno fascista, l’apparente contraddizione tra il dire e il fare, tra i
proclami ed i fatti concreti, tra un virulento anticapitalismo, un odio verso lo stile di vita ed i valori
borghesi, ed una pratica ferocemente antiproletaria, tra il proclamarsi alfieri della rivoluzione, seppur
nazionale e non sociale22, e l’alleanza coi vecchi ceti, con gli agrari, con gli industriali, con chi dunque
aveva in mente una restaurazione e non un cambiamento.
I fascisti si presentarono come terza via, sapevano di non stare né con le sinistre né con i conservatori,
e sapevano anche di non stare al centro, coi liberali, coi cattolici. La loro voleva essere una via di uscita
dalla crisi che rigenerasse la nazione con una genuina rivoluzione nazionale e spirituale ed indicasse,
attraverso il produttivismo, il sindacalismo nazionale e poi il corporativismo, una strada alternativa tra i
due materialismi comunista e capitalista. Questo almeno a parole, che non vanno però sottovalutate
perché fu con esse, con queste idee, che si scatenarono le passioni mobilitanti capaci di mettere in moto
993. L’osservazione di Petersen coglie nel segno solo parzialmente. Se è vero infatti che nelle squadre gli elementi
sentimentali, di cameratismo, l’azione e la violenza svolsero un ruolo identitario e di compattamento non secondario è
anche vero che per tenere unito ed evitare che si disgregasse un movimento così composito occorreva un programma ed
una finalità. Come nota Paxton «occorreva uscire dal terreno amorfo della protesta indiscriminata e ritagliarsi un
preciso spazio politico in cui poter ottenere risultati concreti […] Dovevano rendersi tangibilmente utili. Era necessario
offrire ai propri seguaci vantaggi concreti ed intraprendere azioni specifiche che avessero ben delineati beneficiari e
vittime. Questi esercizi di messa a fuoco portarono a un chiarimento delle priorità […] fu soprattutto la rivendicazione
di un efficace rimedio alla rivoluzione socialista a consentire al fascismo di trovare un suo spazio». R. O. PAXTON, Il
fascismo in azione…, cit. p. 61.
19
B. MUSSOLINI, Fascismo, in Enciclopedia italiana, vol. XIV, Roma, Istituto Treccani, 1932, p. 847.
20
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. pp. 5-7. Sempre Paxton osserva: «non è possibile considerare il fascismo
semplicemente una forma più muscolare di conservatorismo, anche se lasciò inalterate distribuzione della ricchezza e
gerarchia sociale». Ivi p. 13.
21
Ivi p. 12.
22
«Se il fascismo era “rivoluzionario”, lo era in un senso particolare, decisamente distinto dall’accezione comune di
violento rovesciamento dell’ordine sociale e di drastica ridistribuzione del potere politico, sociale ed economico». Ivi p.
13.
17
la violenza delle squadre e di drenare consenso alla loro azione, di attirare simpatie. L’idea della nazione
e del suo destino, di cui i fascisti si sentivano portatori, la missione di cui parlava Mussolini, era capace
di contenere e risolvere al suo interno ogni contraddizione. In questo i fascisti sapevano da che parte
stare senza aver bisogno di un programma coerente. Il sostrato emotivo della passione nazionalista era
più che sufficiente. «Il fascismo non rimanda esplicitamente ad alcun elaborato sistema filosofico, ma
piuttosto ad una congerie di opinioni popolari […], né ha ricevuto alcuna intelaiatura intellettuale a opera
di un edificatore di sistemi […]. Con sostanziale differenza rispetto ai classici “ismi”, la fondatezza del
fascismo non dipende dalla verità di nessuna delle asserzioni avanzate in suo nome. Il fascismo è
“vero” non alla luce di una qualche ragione astratta o universale, bensì nella misura in cui esso
contribuisce a compiere il destino di una razza, popolo o sangue eletto, costretto a ingaggiare la sua
lotta darwiniana con altri popoli. I primi fascisti sono espliciti al riguardo»23. E non è un caso dunque
che il primo luogo dove lo squadrismo fascista esplose con virulenza, dove ebbe il suo battesimo del
fuoco, fu proprio in quella Trieste appena entrata a far parte dell’Italia dove il conflitto di classe si
saldava con il conflitto nazionale contro sloveni e croati, unificato nello stereotipo del barbaro slavocomunista. L’assalto al Narodni Dom, sede dell’associazionismo sloveno, nel luglio del 1920, precedette
temporalmente l’autunno del 1920, quando per la prima volta, con il riflusso del movimento socialista,
si vennero a creare le basi per un inserimento dello squadrismo sulla scena italiana.
All’interno di quel campo del pensabile reso possibile nei decenni precedenti prese forma pian piano
una nebulosa di atteggiamenti prima ancora che di programmi. Per questo è sempre così difficile
rintracciare precedenti intellettuali e politici del fascismo, in quanto fu un po’ tutte e un po’ nessuna
delle precedenti idee ed esperienze, prese a prestito qua e là proprio perché per prima cosa i fascisti
condividevano degli atteggiamenti, delle idee confuse, unite insieme da un acceso nazionalismo24. Sono
quelle che Paxton ha definito le “passioni mobilitanti”25. Prive di un articolato programma politico e di
un pensiero filosofico, le passioni mobilitanti erano un insieme di sentimenti, di modi di sentire e di
agire, date per scontate e non argomentate, ragioni “di pancia” potremmo dire, una lava emotiva che
riusciva a tenere insieme figure sociali disparate, uomini con diverse storie politiche alle spalle, giovani
che non avevano partecipato alla guerra per ragioni anagrafiche ma in cerca di azione e che volevano
dire la propria in senso nazionalista, cercare un loro ruolo. I sindacalisti rivoluzionari da questo punto
di vista sono illuminanti, provenienti dal “mondo parallelo” della sinistra, si volsero ferocemente contro
il proprio mondo di provenienza in nome della rivoluzione nazionale. Furono molti i transfughi della
sinistra ad approdare allo squadrismo. Come scrive Franzinelli contribuirono a quest’esito «fluidità e
23
Ivi p. 19.
«La verità, pertanto, era qualunque cosa permettesse all’uomo nuovo fascista (e alla donna) di predominare sugli altri
e qualunque cosa procurasse il trionfo del popolo eletto». In questo il fascismo mise in atto fin da subito una
«strumentalizzazione assoluta della verità». R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 19 e p. 21.
25
Ivi p. 45.
24
18
confusione dei tempi, instabilità di appartenenze determinate da sovversivismo giovanile, desiderio di
protagonismo, sopravvenute crisi ideologiche, condizionamenti economici»26.
Certo tutto questo ancora non sarebbe bastato. Senza chiari obiettivi politici le sole passioni mobilitanti
non sarebbero state in grado non soltanto di dar vita ad un’organizzazione militare di tali dimensioni
ma nemmeno di portare un rissoso, frammentato e disomogeneo esercito politico alla conquista del
potere. Ed è qui che le scelte dei fascisti acquisiscono concretezza, che entrano in gioco i fatti oltre ai
sentimenti ed alle parole, e qui che la storia della nascita ed avvento del fascismo consente di seguire
con precisione contro chi e contro cosa si diresse l’onda d’urto squadrista27.
Mussolini ed il gruppo dirigente fascista capirono che a sinistra non c’era spazio, mentre verso destra
potevano pescare in questo immenso serbatoio, in una riserva di passioni e di volontà di azione che
poteva essere organizzata ed indirizzata all’interno di un progetto capace di valorizzarla e metterla a
frutto nell’intento di prendere il potere. Da una protesta indiscriminata si doveva passare ad obiettivi
concreti, era necessario ritagliarsi uno spazio politico, mettere in campo azioni che creassero l’evidente
figura di un nemico, che mettessero bene in chiaro chi erano i beneficiari e chi le vittime28. Il socialismo
e le sinistre in genere divennero l’immagine dell’antinazione, del nemico29. La loro parziale adesione o
estraneità alla guerra, il loro internazionalismo, in verità più preteso che reale, giustificavano questa
rappresentazione. Ma il fascismo fu anche “antipartito”, espresse ostilità contro il sistema parlamentare
e l’Italia liberale. Per il fascismo, tanto i socialisti che i liberali, i popolari e le altre forze politiche erano,
per ragioni diverse, nemiche della nazione30. Già da adesso possiamo vedere esplicarsi la volontà
26
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 53.
«Le tappe dell’irresistibile avanzata fascista […] rivelano una linearità progettuale di estensione della violenza da
iniziativa sporadica ed elitaria in prassi di massa» ed «il manganello, piuttosto che colpire nel mucchio, selezionava gli
obiettivi e raggiungeva metodicamente i referenti dell’associazionismo socialista: capilega, sindaci e assessori,
consiglieri provinciali e deputati», «la violenza si intrecciava quindi alla politica e alla stessa attività sindacale». M.
FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 6 e p. 7. Per Giulia Albanese: «La violenza fascista intanto serviva a disperdere e
impaurire le masse popolari legate alle camere del lavoro, contribuendo ad allontanare gli aderenti più tiepidi o quelli
più opportunisti, e a ridurre quando non a rendere impossibili, le attività degli altri». G. ALBANESE, La marcia su
Roma…, cit. p. 25. Secondo Emilio Gentile: «La mappa di espansione del fascismo coincide con le zone agricole dove
più aspra e violenta era stata la lotta di classe nel “biennio rosso” per il rinnovo dei patti agrari, e dove l’organizzazione
socialista aveva conquistato un controllo pressoché incontrastato sull’attività sociale, politica e amministrativa.
L’epicentro dell’offensiva fascista, per i successi immediati e gli effetti che questi ebbero sullo scatenamento dello
squadrismo in altre province, fu l’Emilia». E. GENTILE, Storia del partito fascista…, cit. p. 153.
28
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 61. «Tra il 1920 e il 1921 la lotta fascista per la conquista del potere si
configurò principalmente come una contesa per la conquista dell’egemonia locale, a spese soprattutto dei socialisti, e da
questa lotta lo squadrismo trasse legittimazione presso le forze moderate. L’obbiettivo principale dei fascisti fu, nel caso
delle amministrazioni governate dai socialisti, l’occupazione dei palazzi municipali»; «obbiettivo dell’azione fascista
era giungere a una progressiva esclusione dei socialisti o, dove questi erano meno forti, del partito popolare oppure
anche dei repubblicani, dagli spazi pubblici, fossero essi simbolici o istituzionali». G. ALBANESE, La marcia su
Roma…, cit. p. 22 e p. 23.
29
«Nel biennio 1921-22 i capi delle squadre d’azione stabilivano a tavolino tempi e obiettivi delle spedizioni,
organizzate sul modello delle battute di caccia; la preda non aveva sembianze umane né individualità, appartenendo alla
massa informe manovrata dal bolscevismo per assassinare la nazione». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 49.
30
E’ evidente come «la strategia locale delle violenze non fosse semplicemente il frutto di equilibri politici locali ma di
una strategia nazionale del movimento fascista» in cui «la violenza divenisse il centro di un discorso che riguardava una
trasformazione radicale delle istituzioni del paese. I fascisti, mettendo in discussione, attraverso la violenza, la
legittimità anche della mera esistenza di alcune forze politiche parlamentari, stavano reinventando gli spazi dello stato
27
19
totalizzante del fascismo di identificarsi con la nazione, di essere il custode della nazione, espellendo dal
suo corpus qualsiasi sentimento contrario al fascismo, antifascista e perciò antiitaliano.
Il fascismo si presentò dunque come un rimedio alla rivoluzione socialista in nome di un’altra
rivoluzione, quella dell’Italia uscita vittoriosa dalla guerra ma umiliata dall’inettitudine della propria
classe dirigente e dai trattati di pace, esposta al rischio della rivoluzione bolscevica, offesa dall’odiato
nemico interno “rosso” e “sovversivo”. Reduci di guerra e Arditi covavano un odio feroce verso i
socialisti ed i sindacati per l’atteggiamento di non adesione alla guerra da loro tenuto durante il
conflitto. A guerra finita e con la smobilitazione, il fatto di non venir accolti come gli eroi vincitori del
conflitto da parte delle masse popolari organizzate dai socialisti, ma semmai con disprezzo, riaccese
quest’odio. Gli agrari, animati da una sprezzante voglia di rivalsa, impauriti da quella che a loro appariva
come la marea “rossa”, desiderosi di ristabilire le loro antiche posizioni di potere e privilegio, colsero al
volo l’opportunità e cominciarono a finanziare le squadre fasciste. I due odi trovarono un punto di
raccordo nell’attacco alle organizzazioni delle sinistre, dando il via a quella che sarà per il fascismo la
svolta squadrista e l’inizio della sua ascesa.
Lo spazio politico cominciava perciò a delinearsi. Se fino «all’autunno 1920 il movimento d’azione
rimase un fenomeno elitario, controcorrente rispetto alla marea rivoluzionaria», da quel momento in
poi si assistette ad un ribaltamento dei rapporti di forza. «L’inverno 1920-21 è il periodo
dell’organizzazione sistematica delle squadre […]. Col nuovo anno l’offensiva si estese dalle piazze ai
tradizionali luoghi della politica, con iniziative mirate contro le amministrazioni rosse»31.
La bandiera rossa sventolante sui municipi fu un obiettivo simbolico ed al tempo stesso un pretesto.
Gli assalti ai municipi per imporre le dimissioni delle amministrazioni o il loro commissariamento
divenne una pratica costante. Gli avversari del fascismo in alcuni casi reagirono, in altri subirono
passivamente, spesso non compresero né quanto stava avvenendo né la sua portata. Il disorientamento
ed il senso di impotenza si diffondeva sempre più tra le organizzazioni non fasciste32 travolte come da
uno tsunami. Frattanto il fascismo si espandeva sulla cresta d’onda dello squadrismo, dalle città alle
campagne, dai grandi centri ai più piccoli, dal nord verso il centro, arrivando in Toscana nell’inverno
1920-21, e poi nelle regioni del sud, come la Puglia, dove più forte era stata la mobilitazione dei
braccianti socialisti e più ramificate e strutturate erano le organizzazioni delle sinistre. Le tecniche dello
squadrismo si facevano sempre più militari. La mobilità caratterizzò l’azione squadrista che si rivolse
contro un nemico fermo sul territorio. Gli squadristi arrivavano su camion o macchine, spesso fornite
di diritto e riscrivendo la costituzione materiale dell’Italia liberale». G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 37 e p.
38.
31
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 35.
32
«Lo smarrimento degli oppositori del fascismo è un segno della novità radicale introdotta dalla guerra nella vita
politica. Prima la violenza politica era associata o con la “protesta” o con la repressione operata dagli organi dello stato;
il suo deliberato uso su larga scala da parte di un partito per favorire il perseguimento di obiettivi politici costituiva un
qualcosa che la maggior parte dei politici prebellici, anche se rivoluzionari, non concepiva seriamente». A. LYTTELTON,
Fascismo e violenza…, cit. p. 968.
20
dagli industriali, dagli agrari se non addirittura dal Regio Esercito. L’armamento migliorò con il passare
del tempo, dal bastone si passo alla baionetta, alla pistola, al fucile, fino alle mitragliatrici ed ai
cannoncini. La stessa organizzazione interna delle squadre veniva sempre più gerarchizzandosi ed
assumendo aspetti militari. Il fascismo creava, fuori da ogni legalità, il proprio esercito e si andava
trasformando in partito-milizia. Spesso nei contesti locali la violenza politica si mischiò a scopi
personali. In alcuni casi furono gli stessi agrari ad indicare le vittime delle spedizioni, assaporando il
gusto della vendetta personale. L’impunità e la connivenza delle forze dell’ordine, dei prefetti,
dell’esercito, della magistratura si allargavano con il passare dei mesi. La crescita del fascismo sembrava
inarrestabile, ma non mancarono i casi, come a Sarzana, dove la ferma e pronta risposta della forza
pubblica mise in rotta una spedizione fascista numerosa, a testimonianza della “resistibilità” dell’ascesa
fascista se contrastata33.
33
La storiografia è concorde nel mettere in rilievo questi aspetti, anche se con diversi accenti, soprattutto per quel che
riguarda il rapporto centro-periferia, città-campagna, urbano-rurale. «La strategia fascista fu vincente, soprattutto perché
non contrastata, e di grande impatto», «fin dagli esordi, si assistette ad azioni congiunte di squadre provenienti da zone
differenti allo scopo di concentrare le forze per il loro buon esito». G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. VII. e p.
23. Lo «squadrismo […] presentava caratteri di movimento di massa, di partito-milizia». «La storia dello squadrismo
ignora – nel 1921-22 – distinzioni rigide fra città e campagna. L’epicentro rimase inizialmente localizzato nei centri
urbani […], solo in un secondo tempo sorsero nelle zone periferiche gruppi autonomi, che tuttavia, nei momenti di crisi,
si appellavano alle squadre cittadine. Il fascismo urbano si estese per osmosi a livello provinciale o addirittura
regionale, fornendo uomini, mezzi e finanziamenti alla rete periferica. Tipico il caso toscano, dove il fascio di Firenze
funse da ariete contro le roccaforti socialiste». «Il rapporto fra squadrismo e centri urbani consta di due fasi,
temporalmente distinte ma tematicamente connesse: 1) l’incursione contro simboli e organismi rivoluzionari da parte di
gruppi impegnati in vere e proprie operazioni di guerriglia 2) il concentramento e la marcia sui capoluoghi regionali a
opera dello squadrismo agrario e provinciale». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 46, p. 63 e p. 147. «La collusione
con la violenza fascista fu cosa più seria tra i magistrati, i funzionari e ufficiali dell’esercito […], la collusione era
maggiormente estesa ai livelli più bassi della gerarchia militare e burocratica». «La mobilità dei fascisti sui propri
camion, forniti dagli agrari, o qualche volta direttamente dai militari, garantiva loro uno schiacciante vantaggio di
classico tipo militare, mettendoli in condizione di concentrare le proprie forze per annientare ogni sacca di resistenza».
«Le ambiguità e le debolezze dell’ordine legale italiano svolsero un grosso ruolo nel facilitare la violenza fascista […]
la legge molto facilmente passo in secondo piano rispetto all’opportunità politica». A. LYTTELTON, Fascismo e
violenza…, cit. p. 969. p. 970. e p. 977. «L’offensiva squadrista si scatenò ovunque, nelle zone agricole, con il sostegno
e la partecipazione diretta degli agrari, dei ceti medi rurali, della borghesia urbana, e con il consenso di tutti i partiti
antisocialisti. Essa fu salutata come una legittima reazione di autodifesa contro la violenza dei massimalisti, un mezzo
di liberazione della borghesia e dei ceti medi dal predominio socialista e dal controllo delle leghe e delle cooperative.
Dai centri maggiori, lo squadrismo si irradiò nei paesi vicini, esportando i suoi metodi di lotta e favorendo la
formazione di nuovi fasci, per iniziativa spontanea, per imitazione o per importazione diretta dalla zone dove il
fascismo si era già affermato. Condotta con metodi militari, con camions e con gente armata che aveva partecipato alla
guerra e non aveva scrupoli nell’uso della violenza, e favorita spesso dalla simpatia e dalla tolleranza della forza
pubblica e delle autorità locali, l’offensiva squadrista poté procedere alla distruzione sistematica dell’organizzazione
socialista, che fu colta di sorpresa e non seppe reagire con mezzi adeguati. Anche per la sua struttura localistica, essa fu
un bersaglio facile per lo squadrismo, che invece operava con il concentramento e la mobilità delle sue formazioni,
spostandosi da una provincia all’altra, procedendo con incursioni o con vere e proprie offensive preordinate, radunando
squadre di più province, guidate da persone che non temevano lo scontro fisico e sapevano come agire per aggirare la
resistenza della forza pubblica». «Spesso i prefetti erano costretti a confessare che non riuscivano a rendere questi
ordini [per contrastare le squadre, N.D.A.] operanti ed efficaci per la connivenza di elementi della forza pubblica con i
fascisti, per la scarsità di forze adeguate a fronteggiare gli squadristi, per la difficoltà di controllare e prevenire i loro
movimenti». E. GENTILE, Storia del partito fascista…, cit. p. 158 e p. 203. Spesso però la scarsità delle forze a loro
disposizione era adotta da prefetti e comandanti dei carabinieri e delle guardie regie più a pretesto, più come una scusa,
per giustificare il mancato contrasto e coprire la connivenza. Anche la Dogliani su questi aspetti concorda. «Il
movimento fascista fece le sue scelte: trascurò l’azione nei grandi agglomerati urbani dove era nato per spostarla in
piccoli centri e nelle campagne». «Più che una guerra civile, nel paese si svolse una lotta difensiva delle proprie sedi da
parte delle sinistre ed una offensiva da parte delle squadre fasciste che disponevano di grande mobilità: intere province
21
Nel giro di pochi mesi, la violenza da iniziativa di pochi divenne un fenomeno che si tirava dietro
numerose reclute. I reduci ed i giovani furono le due categorie sociologiche cruciali di questa diffusione.
Lo squadrismo fu anche una rivolta generazionale, la canzone preferita dai fascisti non a caso fu
Giovinezza. «L’incontro intergenerazionale fra reduci di guerra e giovani imberbi, fra chi aveva
sperimentato le vie della politica (spesso nella sinistra rivoluzionaria) e chi invece ne era ignaro, fu un
grande laboratorio»34. Nazionalisti rivoluzionari, studenti, intellettuali affascinati dall’estetica e dalla
“bellezza” della violenza, reduci di guerra, ceti medi e grande borghesia, nobili e militari, piccoli
proprietari di terra spaventati dalla minaccia della collettivizzazione, sindacalisti nazionali, queste erano
le figure che più comunemente si ritrovavano nelle squadre. Incontreremo tra breve molti di questi
personaggi nella nostra indagine su Pistoia, come Idalberto Targioni, Nereo Nesi, il giovane Nerozzi e
altri ancora.
Lo squadrismo riunì dunque intorno a sé disparati interessi e soggetti in nome della rivoluzione
nazionale, dette uno sbocco alle passioni mobilitanti35. Non si comprende l’esistenza della squadre
d’azione e le loro attività senza comprendere l’essenza del progetto fascista di conquista del potere,
prima di tutto locale. Lo squadrismo e il fascismo unirono violenza e politica in un tutt’uno
furono conquistate a mano armata grazie a questa mobilità e tattica militare, permessa da finanziamenti e da automezzi
messi a disposizione dagli agrari, e grazie all’immobilismo delle forze dell’ordine». Fu la strategia delle “colonne di
fuoco”. Per la Dogliani «i fasci erano presenti in prevalenza nelle città di provincia di media grandezza […], in aree di
pianura e in zone collinari». P. DOGLIANI, Il fascismo degli italiani…, cit. p. 17, pp. 19-20. e p. 24.
34
Ivi p. 36.
35
Lyttelton osserva che «il fascismo fu, piuttosto paradossalmente, un movimento basantesi su una ideologia irrazionale
che nondimeno perseguì una strategia calcolata, programmata ed insolitamente efficace […]. E’ dubbio che i gruppi
sociali interessati nella reazione avrebbero potuto mobilitarsi o esser mobilitati per l’azione violenta senza gli altri, “non
razionali”, motivi. L’organizzazione e l’ampiezza del terrore fascista possono venir spiegate solo dalle finalità politiche
di questo» e rileva la presenza di un «gap generazionale particolarmente acuto, assai collegato con la richiesta di un
“nuovo ordine”» concludendo che «il fascismo nel suo insieme fu in assoluta prevalenza un movimento delle
generazioni più giovani». A. LYTTELTON, Fascismo e violenza…, cit. pp. 981-982. e p. 977. Per Emilio Gentile «come
movimento situazionale, l’appartenenza sociale aveva per il fascismo minore importanza della comune esperienza
vissuta e delle affinità di temperamento, unici requisiti sui quali era inizialmente basato il reclutamento» e «quando
sorse il movimento fascista vi era un atteggiamento favorevole ad accogliere e sostenere una religione nazionale,
specialmente fra i reduci che avevano sacralizzato l’esperienza della guerra, fra gli intellettuali in cerca di fede, fra i
giovani assetati di miti e smaniosi di dedizione e di azione, fra la borghesia patriottica, che si considerava naturale
custode dei valori della tradizione risorgimentale». E. GENTILE, Storia del partito fascista…, cit. pp. 86-87. Id., Il culto
del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993 (2005), p . 37. L’importanza
dell’adesione giovanile nella pratica della violenza è messa spesso in rilievo. Nota Franzinelli: «L’avversione ai
sovversivi, seguita dall’adesione a gruppi armati, assunse caratteri totalizzanti per un numero non irrilevante di
minorenni che conglobarono in un tutt’uno la lotta politica con la propria vita ed il tempo libero», per lui si trattò della
«passione divorante di questa generazione strana affascinata dalla violenza» che portò alla «rivalsa dello studentello
borghese bastonatore dell’operaio o del bracciante, [che] rimarcava il dislivello di classe e reagiva, a suo modo, contro
la proletarizzazione dei ceti medi determinata dalla crisi economica del dopoguerra e dal conseguente elevato tasso di
disoccupazione intellettuale». Per Franzinelli il fascismo può essere letto anche «quale fenomeno di ribellione
generazionale». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 36. p. 39 e p. 41. Aspetti che nota anche Bosworth: «Le azioni
squadriste potevano anche avere l’aspetto di bravate adolescenziali, ma in realtà esse erano finalizzate a riaffermare il
controllo dei ricchi e dei possidenti sui poveri e sui socialisti». R. J. B. BOSWORTH, L’Italia di Mussolini. 1915-1945,
Milano, Mondadori, 2007, pp. 146-147. Paxton dal canto suo rimarca l’importanza degli intellettuali nel «dotare la
violenza fascista di un’aura di rispettabilità». R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 84. Mentre per quel che
riguarda i reduci sintetizza benissimo il loro agire la Dogliani: «La violenza fu sin dall’inizio parte costitutiva del
movimento fascista: esso reclutava i suoi adepti tra coloro, in particolare ex ufficiali di complemento, che avevano
pratica di armi e che, incapaci di reintegrarsi nella vita civile, propendevano a divenire dei professionisti della violenza,
a fare della violenza un’occupazione politica a tempo pieno». P. DOGLIANI, Il fascismo degli italiani…, cit. p. 17.
22
inestricabile. Le tappe dell’espansione delle squadre sono le tappe dell’espansione del fascismo e della
sua influenza politica, che viaggiava insieme al manganello. A partire dalla conquista dei centri periferici,
dal divenire gli arbitri assoluti del potere locale, fino al centro del potere statale la violenza delle squadre
non fu semplicemente una reazione, come è stato detto più volte, alla minacciata rivoluzione delle
sinistre o alla violenza “rossa”36, ma un preciso disegno volto a portare alla ribalta un progetto di
trasformazione dello stato italiano e degli italiani stessi, un piano di ingresso nei poteri locali e centrali,
un sostegno alla politica della dirigenza fascista. Non a caso i capi del fascismo locale erano spesso i
capi delle squadre. Le due figure divennero inestricabili, come nei casi che vedremo di Bozzi, Spinelli e
Lenzi. Non a caso l’aver comandato le squadre d’azione divenne fonte di legittimità politica all’interno
del fascismo, tant’è che il Duce stesso conservò sempre il grado di caporale della Milizia. Un processo
che procedeva con la forza di un vortice 37 verso la “rivoluzione nazionale”. Come scrive Giulia
Albanese: «A muovere la violenza fascista è un progetto per nulla reso necessario dalle contingenze
storiche e che avrebbe potuto essere fermato. Un progetto che, allo stesso tempo, difficilmente
potrebbe essere considerato, tanto nei singoli episodi che nel suo complesso, esclusivamente o
principalmente di natura reattiva. La strategia di conquista e i principali obiettivi dimostrano
chiaramente il contrario»38.
La storia locale ci permette di seguire passo passo lo sviluppo di questo processo, il suo concreto
realizzarsi in una comunità di non grandi dimensioni, una città media italiana, sia per estensione che per
caratteristiche, urbanisticamente ancora in gran parte chiusa all’interno delle sue mura all’inizio degli
anni ’20. Qui la microstoria acquista di senso e non si smarrisce nell’aneddoto locale, ma dà ragione
della Storia, ci mostra con dovizia di particolari il suo sviluppo, donandoci un punto di vista vicino agli
attori stessi della Storia.
36
Come scrive efficacemente Petersen: «La violenza “rossa” non ha generato la violenza “nera” - che in realtà era già
esistente – ma le ha solo fornito basi di legittimazione a buon mercato». J. PETERSEN, Il problema della violenza…, cit.
p. 994.
37
«Non è sempre possibile distinguere, dentro i fasci di combattimento, i politici dagli squadristi […]. Non di rado il
dirigente del movimento ne comandava contemporaneamente il braccio armato: sino al 1922 la distinzione dei ruoli era
incerta o inesistente». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 36.
38
G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. pp. 56-57.
23
Le violenze fasciste nel pistoiese
Nel panorama degli studi sulla nascita ed avvento del fascismo in ambito locale, il tema dello
squadrismo, con il suo portato di violenza utilizzata «come strumento e linguaggio politico»39, non ha
ancora ricevuto, come dicevamo, un’attenzione specifica e commisurata all’importanza del suo impatto
politico e sociale, capace di analizzarlo sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo. I diversi
lavori a cui può far riferimento una bibliografia sul tema40 riportano si diversi episodi, i più salienti, ma
la loro è un ottica che non centra il discorso su quel particolare modo di far politica che fece il suo
ingresso in Italia con la fondazione dei Fasci di combattimento, lo squadrismo per l’appunto, bensì su
una ricostruzione dettagliata della lotta politica locale in quegli anni, una lotta in cui le violenze fasciste
occuparono una parte non esclusiva ma nemmeno irrilevante, essendo la sostanza stessa della politica
fascista.
Primo obiettivo sarà dunque un censimento, il più possibile esaustivo, delle azioni riconducibili allo
squadrismo, delle violenze fisiche e psicologiche che si dispiegarono sul territorio del circondario
pistoiese. Su questo terreno devono essere segnalate fin da ora due delle difficoltà maggiori riscontrate
nel lavoro di ricerca. Da una parte la lacunosità e parzialità di molte delle fonti utilizzate, che ha reso
obbligatorio un incrocio tra i dati rinvenibili nella stampa locale e quelli nel fondo della sottoprefettura
conservato presso l’Archivio di Stato di Pistoia, peraltro esso stesso lacunoso. Molte notizie non
trovano riscontri su altre fonti, e devono pertanto, allo stato attuale, essere prese con beneficio di
inventario. I giornali socialisti, comunisti e cattolici tendono a riportare solo i dati dei fatti avvenuti a
danno dei propri aderenti, o comunque di persone e strutture vicine alle proprie organizzazioni,
ignorando le altre violenze, unendo a quest’atteggiamento una sostanziale sottovalutazione delle azioni
fasciste, minimizzando di fatto la loro portata, anche per nascondere la propria debolezza ed
impreparazione ad affrontare la situazione. La stampa fiancheggiatrice del fascismo invece, come la
testata Il popolo pistoiese, le nasconde platealmente, e quando le riporta lo fa per difendere i fascisti,
sostanzialmente presentati sempre come vittime di aggressioni, esaltando al contempo le loro gesta in
un’ottica di difesa e riaffermazione dell’ordine e dell’italianità. Consultando i documenti d’archivio poi
non si sfugge all’impressione che esistessero larghi margini di connivenza fra le autorità dello Stato, a
partire dai semplici funzionari di pubblica sicurezza per arrivare fino ai più alti rappresentanti delle
istituzioni presenti nel circondario ed i fascisti. Circostanza che fa si che nemmeno documenti riservati
39
Questa la definizione fornita da Giulia Albanese. G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 18.
Cfr: M. FRANCINI, Primo dopoguerra e origini del fascismo a Pistoia, Milano, Feltrinelli, 1976. A. CIPRIANI, Il
fascismo pistoiese da movimento, a partito, a regime, Firenze, Nuova Toscana Editrice, 2006. R. RISALITI, Nascita e
affermazione del fascismo a Pistoia, in «Farestoria», A. III, N° 1, 1983. G. PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni. La
genesi del fascismo a Pistoia (1919-1925), in «Storia Contemporanea», A. XXIV, N°5, 1993. G. PETRACCHI, Pistoia
dalla prima alla seconda guerra mondiale (1914-1940), in Storia di Pistoia IV. Nell’età delle rivoluzioni 1777-1940, a
cura di G. PETRACCHI, Firenze, Le Monnier, 2000.
40
24
siano del tutto attendibili, perché impegnati a deformare la realtà ed a giustificare manchevolezze
nell’operato dei funzionari che coprono effettive complicità . Anche il territorio pistoiese, da questo
punto di vista, non sfugge a tutte quelle manifestazioni di appoggi, cedimenti e collusioni degli apparati
statali di cui parlavamo.
Dall’altra parte, il secondo problema incontrato risiede invece nell’impossibilità di riuscire, oggi, a
rintracciare tutti quegli atti che all’epoca contribuirono a dare il tono alla lotta politica. Le violenze
fasciste a volte furono piccole diatribe fra vicini, si svolsero in piccoli paesi, restarono allo stato di liti
nei locali, nei caffè, nelle osterie e nelle botteghe dei rioni, quando mancarono fatti di sangue di una
certa gravità raramente giunsero ad interessare la stampa e le autorità, scomparvero senza lasciare
traccia. Ci troviamo davanti ad una miriade di episodi di dimensioni anche modestissime che però
contribuirono nel loro insieme ad intimorire la popolazione ed alla recrudescenza della lotta politica,
creando al tempo stesso le condizioni per l’incremento delle adesioni ai fasci. Le minacce, gli insulti, le
piccole angherie, gli sfottò, le provocazioni, tutti quegli elementi di quotidianità che presi singolarmente
apparivano a chi compilava le cronache ed i rapporti dell’epoca poca cosa non meritevole di essere
registrata41, sono invece per noi una delle parti fondamentali che contribuirono a segnare il clima di
paura e violenza, perché percepite da chi ne era vittima come vere e proprie violenze personali e
collettive, unite spesso ad un senso di impotenza.
Dei frammenti pertanto, che oggi fatichiamo a rimettere insieme, restandone solo alcune flebili tracce
che rischiano di sembrare più curiosità che tasselli rilevanti e che andrebbero studiati con i metodi
propri della storia orale, compito a cui purtroppo nel presente non si può più mettere mano data la
distanza temporale che ci separa da quegli eventi.
Secondariamente, una volta ultimata la parte censoria, la mappatura delle violenze, si tenterà di mettere
in relazione l’intensificarsi dei fatti violenti nel corso del tempo con la crescita numerica dei fasci e dei
loro aderenti nel pistoiese, una crescita rapida ed imponente come hanno rilevato per primi i lavori di
Giorgio Petracchi42.
In ultimo, torneremo ad interessarci ad una riflessione più generale sugli aspetti simbolici e liturgici
della violenza, alla luce a quel punto di quanto incontrato durante quest’indagine microstorica.
41
Come scrive L’avvenire socialista l’11 giugno 1921. «Sorvoliamo sui piccoli episodi di violenze ed aggressioni che
quotidianamente avvengo in Pistoia e registriamo soltanto dei fatti più caratteristici che manifestano le tendenze di certi
elementi fascisti».
42
G. PETRACCHI, La genesi del fascismo a Pistoia, 1919-1925, in 28 ottobre e dintorni. Le basi sociali e politiche del
fascismo in Toscana, Firenze, Edizioni Polistampa, 1994. G. PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit.
G. PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…, cit.
25
Gli inizi
L’arco temporale in cui si racchiude la serie delle azioni fasciste prese in considerazione va dall’autunno
del 1920, in concomitanza con le elezioni amministrative al Comune di Pistoia vinte dai socialisti, fino
all’anno seguente la presa del potere, il 1923, periodo in cui Mussolini al governo cercava faticosamente
di mettere mano al suo obiettivo di “durare”, normalizzando la situazione nelle province italiane al fine
di presentare un fascismo rispettabile, inquadrando gli squadristi all’interno della Milizia Volontaria per
la Sicurezza Nazionale. All’interno di quest’arco, diviso in due dalla netta cesura rappresentata dalla
marcia su Roma, centreremo la nostra attenzione soprattutto sugli anni 1921 e 1922, in cui il fascismo
locale usò la forza d’urto dello squadrismo per conquistare il territorio ed i gangli del potere
amministrativo facendo piazza pulita degli avversari, allungando infine lo sguardo sul primo anno di
quella che diventerà l’era fascista, il 1923, per cogliere continuità e cambiamenti interni allo squadrismo
del dopo marcia.
Le prime sporadiche apparizioni dei fascisti pistoiesi cominciarono, come abbiamo detto, nell’autunno
del 1920. La tornata delle elezioni amministrative segnò in tutta Italia una netta avanzata dei socialisti
che per la prima volta conquistarono numerosi comuni. Anche a Pistoia, nelle elezioni di ottobre, la
vittoria socialista fu schiacciante: su 60 consiglieri comunali i socialisti ne ebbero 51, i restanti 9
andarono divisi tra popolari, 6, e i liberali, con soli 3 rappresentanti a fronte dei 59 del 1914. Nel
circondario, che comprendeva allora 12 comuni, i socialisti conquistarono anche Larciano,
Lamporecchio, San Marcello e Sambuca, mentre i popolari si aggiudicavano i comuni di Montale,
Agliana, Marliana e Tizzana. La vecchia classe dirigente liberale conservava il predominio solo a
Cutigliano, Serravalle e Piteglio43. Per la prima volta i notabili locali venivano spodestati dalle loro
posizioni di potere, oltretutto in seguito alle grandi paure del “biennio rosso” segnato da asprissimi
conflitti agrari, dai moti per il caroviveri, a Pistoia come nel resto della Toscana particolarmente
violenti, e dall’occupazione delle fabbriche. In realtà sia il movimento operaio che quello contadino,
dove forti erano le organizzazioni cattoliche legate al P.P.I., erano già entrati in una fase di riflusso.
Come già detto, fu in questa cruciale combinazione di successo elettorale unito ad una fase di
stanchezza e ritirata dei movimenti dal basso, mentre i tradizionali detentori del potere scontavano la
paura covando sentimenti di rivalsa, che i fascisti trovarono spazio per inserirsi nel gioco politico.
Pistoia non fece eccezione, la nascita e lo sviluppo del fascismo coincisero cronologicamente sia con il
salto di qualità di cui beneficiò il movimento fondato da Mussolini, sia con lo sviluppo della cosiddetta
43
Per il comune di Pistoia Francini riporta cifre diverse che non mettono però in discussione la portata della vittoria
socialista. Ai popolari e cattolici sarebbero andati solo 13 seggi mentre i rimanenti 47 sarebbero stati dei socialisti. G.
PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. p. 667-668. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp.
26
reazione agraria, vero motore dello squadrismo, sia, infine, con l’estendersi e radicarsi del fascismo in
Toscana nell’inverno1920-2144.
I primi fascisti si organizzarono a Pistoia intorno al maggiore Nereo Nesi, un reduce di guerra, e nella
zona di Larciano con Idalberto Targioni, un ex socialista protagonista di una parabola identica a quella
di Benito Mussolini 45 . Secondo Marco Francini le prime azioni squadristiche sono dell’ottobrenovembre del 1920 e vanno imputate ad un fascismo prettamente agrario, responsabile probabilmente
della morte di un contadino alle porte della città il 18 ottobre di quell’anno, ma riporta anche che Ilio
Lenzi46, capo delle squadre, sosteneva che alcune azioni isolate e non organizzate si erano già svolte fra i
primi del 1919 e l’inizio del 1920 47 . L’avvenire, il settimanale dei socialisti, ai primi di novembre
denunciava delle aggressioni a Villa di Baggio48. Siamo comunque ancora in una fase di gestazione,
tant’è che la prima apparizione ufficiale sulla stampa del fascismo cittadino avvenne sottotono, il 25
dicembre, quando un trafiletto su Il popolo pistoiese, in occasione della commemorazione di Oberdan,
ricordava che «il Fascio di combattimento Pistoia inviava ai cittadini una circolare invitandoli a esporre
il vessillo nazionale», preoccupandosi comunque di informare che nel comizio tenutosi per l’occasione
alla Fratellanza Artigiana non era avvenuto «nessun incidente»49.
44
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 4.
Idalberto Targioni era già stato interventista nel 1915. Nel 1919, pochi giorni dopo la fondazione dei Fasci, su Il
popolo pistoiese pubblicò un articolo in prima pagina in cui si scagliava violentemente contro i dirigenti socialisti. In
quest’articolo sono già rintracciabili molti degli elementi ideologici propri dei transfughi socialisti e sindacalisti
rivoluzionari verso il fascismo, come l’antiparlamentarismo, la rivendicazione di essere i veri rivoluzionari e
l’esaltazione dell’azione diretta, anche violenta, accompagnata da un senso mistico di missione. Questi i termini con cui
si rivolge ai lettori: «Ma almeno i sindacalisti sono logici. Antiparlamentari rifuggono da ogni contatto colle classi
dominanti e colla stessa democrazia. Credono alla potenza creativa dell’azione che afferra l’essere in via di formazione
e che la violenza generi uno stato epico ed eroico che porti al Socialismo» ed ancora «Se i governi non risolveranno gli
ardui problemi che stanno oggi sul tappeto della storia, se non li risolveranno nel modo più equo e giusto per tutti e
segnatamente per le classi lavoratrici, allora sarà giunto il momento di passare all’azione diretta. Ma vedete: allora, voi
che oggi vi scalmanate tanto, sareste i primi a far contro ai rivoluzionari e a scappare a gambe levate!». Cfr: Il popolo
pistoiese, 29 marzo 1919, il corsivo è nel testo.
46
Sul Lenzi sussiste un problema a proposito del cognome. Tutte le fonti, comprese quelle fasciste, ad anche i
manifesti, usano indifferentemente ed apparentemente senza nessun criterio sia la forma Lenzi che quella di Lensi.
Nell’impossibilità di stabilire esattamente quale sia la più corretta useremo quella di Lenzi, che ci sembra più congrua.
47
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 69-70.
48
Questi i termini con cui il giornale riporta i fatti: «L’odio sordo covato dagli abbietti prima del 24 si scatena
furibondo dopo la sconfitta nella urne. Sono addirittura riprovevoli le gesta che questi sicari compiono. In venti
assaliscono un giovinetto per il solo motivo che non la pensa come loro, un secondo che deplora l’atto villano è a sua
volta assalito e sempre venti contro uno, e per maggiore vigliaccheria armati di pali». Nell’articolo non vengono
menzionati gli autori, ed è assai probabile che il giornale tendi ad esagerare, ma lo stile sembra quello dei fascisti. Cfr:
L’avvenire, 6 novembre 1920.
49
Il popolo pistoiese, 25 dicembre 1920.
45
27
L’esplosione della violenza. Il 1921
Dal gennaio 1921 il fascismo pistoiese comincio a strutturarsi in maniera più compiuta. Sembra
rilevante il ruolo svolto dai fascisti fiorentini che iniziarono a compiere spedizioni nel pistoiese ed
anche in aree allora appartenenti alla provincia di Lucca. Il fattore della mobilità è un carattere
importante nel primo fascismo, come abbiamo visto. Dalle aree dove erano più forti, gli squadristi si
spostavano per compiere le loro spedizioni in appoggio ad altri fasci più deboli o nascituri, svolgendo
un ruolo di apripista, cogliendo alla sprovvista un avversario sostanzialmente immobile sul territorio e
dando un’impressione di forza. Ai fasci autoctoni si affiancavano così i fascisti di altre zone,
moltiplicando la propria forza. Da questo punto di vista si è parlato anche del fascismo come un
fenomeno di trapiantazione.
Già il 7 gennaio si diffuse a Pistoia una sorta di allarme, si temeva l’arrivo di una spedizione fascista da
fuori che poi non avvenne. La notizia testimonia comunque che una tale evenienza venisse già allora
ritenuta assai probabile, così come le rassicurazioni de Il popolo pistoiese circa le buone intenzioni dei
fascisti pistoiesi, «possiamo assicurare nessun desiderio di farsi iniziatori di disordini essere nell’animo
dei Fasci di combattimento. Solo se provocati, essi sono usi a rintuzzare le provocazioni con coraggio e
di rispondere alla violenza con la violenza», testimoniano come la nascita dei fasci fosse guardata con
timore e preoccupazione, oltre a contenere una velata minaccia a reagire in caso di provocazioni, e di
norma i fascisti consideravano provocante il solo esistere delle organizzazioni avversarie50. Sempre agli
inizi di gennaio una rissa veniva provocata dai fascisti a Pieve a Nievole, mentre venivano fatte
scoppiare anche due bombe, una sulla linea ferroviaria Pistoia-Bologna e l’altra in città. Sembra
convincente l’analisi di Marco Francini, il quale sostiene che questi primi atti all’apparenza scoordinati
seguissero in realtà una propria logica. «L’ambiente venne a bella posta riscaldato, per poi annunciare la
costituzione del fascio locale»51. Ed infatti, come vedremo meglio più avanti, il Fascio di combattimento
di Pistoia si costituì ufficialmente proprio verso la metà di gennaio.
La prima vera prova di forza avvenne a febbraio, un’azione in grande stile per battezzare il fascismo
pistoiese. Il 20, una domenica mattina, la Camera del Lavoro aveva organizzato un comizio in piazza
Garibaldi a Pistoia, oratore il segretario Onorato Damen. I fascisti pistoiesi, rincalzati da quelli dei fasci
di Pescia, Monsummano e da circa 40 fiorentini, erano riusciti a radunare un centinaio di uomini con
l’intento di recarsi in piazza, interrompere il comizio e provocare incidenti con la scusa di chiedere un
contraddittorio. La forza pubblica in questo caso fece il suo dovere, impedendo ai fascisti di
raggiungere la piazza, che comunque si spopolò alla vista delle squadre. Simbolicamente, a comizio
concluso, i fascisti si impossessarono del palco, con il consenso delle autorità presenti sul luogo, e dopo
50
51
Cfr: Il popolo pistoiese, 8 gennaio 1921.
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 76.
28
un breve comizio inscenarono un corteo nel centro della città cantando i loro inni. La spedizione però
non si concluse qui. Nel pomeriggio raggiunsero in treno il paese di Corbezzi, sulla montagna, dopo
aver seminato tafferugli nelle stazioni attraversate. Qui si verificarono incidenti più gravi e furono
elargite varie bastonature ai “sovversivi” del luogo dopodiché se ne tornarono a piedi verso Pistoia
portando in trionfo i trofei presi agli avversari durante la spedizione punitiva, non tralasciando di
provocare incidenti sulla via del ritorno a Valdibrana ed a Capostrada, sparando anche qualche colpo di
rivoltella. Infine, alla stazione di Pistoia, i fascisti fiorentini mentre attendevano il treno provocarono
scontri con alcuni ferrovieri socialisti. Alla fine della giornata sembra che l’unico arrestato fosse un
socialista di Spazzavento52.
Sempre a febbraio Dumini e Banchelli, noti esponenti del fascismo fiorentino, organizzarono una
spedizione di circa 80 squadristi a Pescia per interrompere un comizio socialista con la solita tecnica del
contraddittorio53.
Da marzo le azioni cominciarono a guadagnare sempre più in organizzazione e aggressività. Si
precisavano anche meglio gli obiettivi politici. Oltre alla distruzione delle organizzazioni avversarie per
conseguire il controllo del territorio si mirava a far saltare il sindaco di Pistoia Leati, e con esso tutto il
nuovo consiglio comunale, per mettere le mani sul potere amministrativo locale. L’azione politica era
sostenuta dal braccio armato del movimento. Come altrove si accusava il sindaco di non esporre la
bandiera italiana sul municipio ma quella rossa, avvertendo che in tal caso ci sarebbero state
conseguenze gravi, una battaglia simbolica accompagnata dalle minacce costanti che chiedevano le sue
dimissioni. Il giornale dei liberali, visceralmente avverso all’amministrazione e con forti tendenze
filofasciste al suo interno, comincia in questo periodo ad ospitare una pagina di “cronaca fascista”54.
Il 21 di marzo i fascisti, sembra gli elementi più facinorosi assieme ai più facoltosi, compiono una
spedizione sulla montagna per affiggere manifesti contro la F.I.O.M., passando per i paesi dove abitano
i vari operai degli stabilimenti metallurgici della montagna: Piastre, Pracchia, Pontepetri, Limestre,
Mammiano, Campo di Zoro (Campotizzoro). L’intento è chiaramente provocatorio, e gli stessi fascisti
parlano di una risposta ai manifesti del sindacato «per questa volta, nei limiti della legalità». In
quest’occasione non avvenne niente, e forse è proprio per questo che pochi giorni dopo tornarono alla
carica, questa volta a Cutigliano, adducendo a motivo il ripristino di alcuni manifesti strappati e la
richiesta di soccorso avuta da alcuni fascisti della montagna insultati ed aggrediti. La notte del 25 un
52
Sugli incidenti in piazza Garibaldi esistono versioni parzialmente contrastanti. Un telegramma inviato dalla Camera
del Lavoro al gruppo dell’Ordine nuovo di Torino e firmato dal Damen parla di incidenti insignificanti, non nomina
quanto avvenuto nel resto della giornata e sostiene che i fascisti pistoiesi fossero rimasti imboscati mentre quelli
fiorentini relegati alla stazione. Sembra un tentativo di minimizzare l’accaduto, forse per non dar prova di debolezza,
ma non si può escludere che il Damen non fosse a conoscenza dell’esatto svolgimento dei fatti, riportato anche dalla
stampa, o una sua sottovalutazione di quanto accaduto. Cfr: Archivio di Stato di Pistoia, Fondo Sottoprefettura, b. 63.
(d’ora in poi ASP, Sottopref.). Il nuovo della sera, 21 febbraio 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 77. G.
PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…, cit. p. 418.
53
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 78.
54
Cfr: Il popolo pistoiese, 26 marzo 1921. La bandiera del popolo, 10 marzo 1921.
29
gruppo di fascisti si reca su due camion in paese per affiggere gli stessi manifesti contro la F.I.O.M. sul
muro del… circolo comunista. L’intenzione di provocare incidenti è evidente. Ne segui un conflitto a
fuoco, la devastazione dei locali del circolo con l’asportazione dei registri e documenti nonché della
bandiera55. Vediamo subito all’opera qui due elementi di tipo eminentemente “militare”: la raccolta di
informazioni sul nemico per poter organizzare gli attacchi futuri, a partire proprio dagli elenchi dei
nemici per sapere chi e dove sono sul territorio, e l’affermazione della vittoria simbolica attuata
attraverso la sottrazione delle “insegne” dell’avversario.
Il 29 ed il 30 dello stesso mese, secondo quanto riporta Renato Risaliti, vengono compiute altre due
spedizioni, una a Carmignano e l’altra a Monsummano. A Carmignano il bilancio fu grave. I fascisti
pistoiesi insieme ai fiorentini assaltarono il locale circolo comunista e quelli dei paesi vicini. Negli
incidenti trovarono la morte due carabinieri. A Monsummano invece imposero ai Carabinieri il rilascio
di tre fascisti tratti in arresto, seguito da un corteo ed un comizio con tanto di rinfresco56.
In aprile si registra un tentativo di aggressione a Monsummano, dove due cittadini vengono pedinati e
provocati, un esempio dei tanti piccoli episodi di cui parlavamo57, mentre a Larciano, dopo aver
devastato la sede del partito socialista, i fascisti issarono il tricolore sul municipio, formula rituale,
provocando poi incidenti nello stesso Larciano e a Cintolese58. Sempre in questo mese vi verifica il
primo sequestro di Onorato Damen. Secondo una prassi usata da tutti i fasci in Italia, il segretario della
Camera del Lavoro venne portato nella sede del fascio per rispondere a delle domande59, un chiaro
tentativo di intimidazione ed una violenza alla libertà personale. Sul finire del mese l’Avvenire, che nel
frattempo era passato nelle mani dei comunisti dopo la scissione di Livorno, riportava un resoconto
delle aggressioni fasciste degli ultimi mesi, tentando ancora di minimizzare e dimostrando quanto sia i
socialisti che i comunisti stavano sottovalutando quello che avveniva sotto i loro occhi. «Veramente in
Pistoia, per ora, da parte dei fascisti locali che tutti conoscono a menadito (industria, professione
domicilio etc.) non abbiamo avuto che azioni punitive (?) nei paesi di Montagna e di Larciano, dove
hanno fra l’altro distrutto una Cooperativa. Abbiamo avuto poi qualche atto di rappresaglia contro
operai isolati nei sobborghi della città; qualche frustata distribuita; qualche innocuo sparo di rivoltella;
qualche perquisizione abusiva, etc. Ma in complesso nulla di grave, nella località natia. Sui giornali
abbiam visto però che essi han fatto prodezze nei comuni di Monsummano, di Firenze, di Prato e di
Carmignano… Sappiamo che ormai tutti si sentono stanchi di questa forma di propaganda a base di
violazioni di domicili, violenze pubbliche e private, incendi, saccheggi, ferimenti, uccisioni etc. […] Le
bravate dei fascisti hanno già provocato un vivo fermento nei quartieri operai di Porta San Marco,
Porta Lucchese e Porta Carratina» e continua descrivendo la presenza di «studenti delle scuole medie e
55
Il popolo pistoiese, 26 marzo 1921. R. RISALITI, Nascita e affermazione del fascismo…, cit. p. 49.
R. RISALITI, Nascita e affermazione del fascismo…, cit. p. 49.
57
L’avvenire, 2 aprile 1921.
58
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 71.
59
Ivi p. 95.
56
30
secondarie scorrazzanti col nerbo avvolto al braccio per le vie della città»60. L’articolo rende bene l’idea
di quello che era ormai il clima quotidiano che si viveva nelle vie e piazze cittadine. Intanto procedeva
la campagna contro il sindaco Leati, costretto a sottoporre il suo operato alla valutazione di un giurì
composto da tre fascisti, che lo porterà alle dimissioni nel giugno61. Sul modo con cui i fascisti,
affiancati dai liberali, riescirono ad imporre il giurì, sono eloquenti le parole del giornale dei popolari,
anch’essi contrari al sindaco. «L’Avv. Leati, ormai avvinghiato da una polemica che non ammetteva
altra via di scampo all’infuori di essere uno squalificato, ha ceduto alle minacce fasciste ed ha accettato un
giurì d’onore con pieno mandato di esaminare la sua vita e il suo operato privato e pubblico»62.
Con l’avvicinarsi delle elezioni politiche del 15 maggio l’azione fascista comincia a diventare sempre più
corposa, qui come altrove. Il 5 maggio viene devastata la Camera del Lavoro di Pistoia. Furono distrutti
il mobilio ed anche gli infissi, l’impianto elettrico, quello telefonico ed il materiale cartaceo. L’assalto fu
condotto in maniera tale da destare la massima impressione e seguito dal solito corteo sulla via del
ritorno. Secondo la versione fascista l’assalto fu la risposta all’aggressione ad un fascista in piazza
Mazzini. Prima di recarsi alla Camera del lavoro i fascisti dettero «una buona lezione»63 ad uno dei
presunti aggressori. Il giornale comunista in quest’occasione denunciò l’aiuto fornito dalle forze
dell’ordine alle squadre fasciste. «I testimoni, minacciati se continuavano a osservare lo spettacolo, ci
hanno assicurato lo zelo di un bell’ufficiale dei carabinieri, il quale malgrado il suo stipendio, non si sa
perché ha voluto rompere finestre e porte […] La devastazione fu rapida e rumorosa, accompagnata da
urla e da colpi di rivoltella, in un raggio di oltre un chilometro ci fu l’eco dell’impresa. Alcuni,
sorvegliati, si avvicinarono per constatare i primi danni e ci assicurano che i punitori erano stati assai
meno violenti – mani delicate – dei tutori dell’ordine»64.
Il giorno dopo venne compiuta un’incursione a Tobbiana, sotto la guida di Giulio Diddi, dove le
camice nere minacciarono il parroco ed improvvisarono un comizio pubblico65. Sempre ai primi di
maggio vi furono alcune spedizioni di rappresaglia. Il pretesto fu la morte di uno dei primi squadristi
pistoiesi, Pacino Pacini, avvenuta vicino Viareggio durante un’azione. I fascisti pistoiesi si sfogarono
contro gli avversari del proprio territorio66.
Il 10 maggio viene sequestrato per la seconda volta Onorato Damen. Il fatto ha una dinamica poco
chiara. Secondo la ricostruzione di Marco Francini il sequestro avvenne a Borghetto di Corbezzi ed il
60
L’avvenire, 23 aprile 1921.
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 93-94. Cfr: A. CIPRIANI, Il fascismo pistoiese…, cit. p. 27.
62
La bandiera del popolo, 7 aprile 1921. Il corsivo è nel testo.
63
Il popolo pistoiese, 7 maggio 1921.
64
L’avvenire, 28 maggio 1921. Per la devastazione della Camera del Lavoro vedi anche: L’avvenire socialista, 6
maggio 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 95.
65
Il popolo pistoiese, 18 giugno 1921.
66
Il Pacini studiava a Pisa e partecipava anche alle spedizioni del fascio di quella città. M. FRANCINI, Primo
dopoguerra…, cit. p. 72.
61
31
Damen fu portato a Firenze, dove venne poi rilasciato, forse dopo un intervento del prefetto
preoccupato dallo sciopero scoppiato a Pistoia in seguito al rapimento67.
A Seano il giorno delle elezioni fascisti giunti in camion impongono di imbandierare il paese con il
tricolore. Quaranta di loro presidiano, armati di bastoni, la sezione elettorale, perquisendo gli elettori e
bastonandone uno con l’aiuto di alcuni carabinieri68. Lo stesso giorno in Valdinievole due giovani,
appartenenti al partito popolare, mentre facevano propaganda vengono aggrediti, sequestrati e «caricati
su di un camion, condotti a fare una passeggiata e a prendere un po’ di quell’aria di cui avevano estremo
bisogno»69.
Dopo le elezioni Agliana è occupata dai fascisti per tutta la notte. In rincalzo arrivano da Prato, Pistoia
e Montale 5 camion di squadristi. Vengono sparati colpi di pistola contro le abitazioni e devastata la
casa del comunista Barardo Frosini. I fascisti non risparmiano nemmeno la sua compagna che viene
«malmenata»70.
Sempre a maggio uno squadrista fiorentino del gruppo di Dumini, Armando Barlesi, futuro segretario
del P.N.F. pistoiese negli anni ’30, intervenuto a Pracchia alla cerimonia per l’inaugurazione del
gagliardetto, si reca a San Marcello con un automobile, gentilmente messa a disposizione dal direttore
della S.M.I. di Campotizzoro Douglas-Scotti, in cerca del sindaco socialista, e da lì a Gavinana dove
provoca i soliti incidenti71.
Alcuni lievi incidenti sono segnalati anche alle Case Nuove di Masiano72, mentre in Porta Lucchese a
Pistoia fascisti armati di fucile la mattina «fanno la gita al tiro a segno cantando la solita giovinezza»73, ed
un’altra cronaca de L’avvenire ci informa sull’ammontare delle violenze fasciste. «Assalto al Comune,
decreto di abbandono nelle 24 ore del Palazzo di Giano, primo sequestro Damen, incursioni fasciste ad
Agliana, Montale, Fognano, Larciano, Quarrata, Lucciano, Maresca, Bardalone, estorsioni di rinunzie,
asportazioni di bandiere, quadri, merci, mobili, minaccie, spari, ferimenti, arresti, provocazioni e
perquisizioni a centinaia in città e in campagna. Questa la fase diciamo così preliminare. Dal 5 maggio si
iniziano le operazioni in grande stile. Devastazione della Camera del lavoro, distruzione dei manifesti
protesta a cura dei volontari e conseguente assedio di Porta al Borgo. Poi la grande manovra vile,
reazionaria, assassina: Damen costretto a salire sul camion a Corbezzi, trattenuto a Pistoia, minacciato e
quindi trascinato a Firenze, insultato, prigioniero e costretto ad abbandonar Pistoia»74.
67
Ivi p. 96.
L’avvenire, 21 maggio 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 99.
69
Il popolo pistoiese, 21 maggio 1921.
70
L’avvenire, 21 maggio 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 99.
71
Douglas-Scotti nell’aprile 1922 diventerà il capo delle squadre d’azione di Mammiano. M. FRANCINI, Primo
dopoguerra…, cit. p. 73 e pp. 78-79.
72
L’avvenire, 21maggio 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 72 e p. 99.
73
L’avvenire, 28 maggio 1921. Il corsivo è nel testo.
74
Ibidem
68
32
Le violenze continuano ininterrotte anche dopo che si sono spente le passioni elettorali, e la nostra
cronaca deve registrare quella che è già diventata la sua presenza quotidiana.
A inizio giugno in Porta San Marco avvengono provocazioni da parte di giovanissimi, addirittura
minorenni, come sono molti squadristi. Il loro metodo è singolare. Lanciano un pallone nei campi, per
riprenderlo calpestano le culture provocando la reazione dei contadini, a quel punto fanno la loro
apparizione «il nerbo e la rivoltella». Negli stessi giorni i fascisti minacciano di sequestrare la giunta per
farla dimettere75 ed il socialista Gargini viene prelevato sul luogo di lavoro, portato alla sede del fascio e
invitato a firmare una dichiarazione. Il rifiuto gli costa una bastonatura con gravi ferite. Sulla Porta
Vecchia Silvio Barghini, mutilato di guerra, viene picchiato da Ilio Lenzi a causa del fazzoletto rosso
che indossa. Il tipografo Pavesi viene minacciato, sempre dal gruppo del Lenzi, perché accusato di aver
espresso apprezzamenti nei riguardi di un fascista. Un altro socialista, Giannini, viene percosso e
sequestrato. Lo stesso giorno vengono assaltate le edicole per asportare i giornali “sovversivi” che
vengono poi dati alle fiamme sul Globo76. L’organizzatore delle casse rurali cattoliche, uno dei punti di
forza del partito popolare nelle campagne, Don Ceccarelli, chiamato affettuosamente dagli aderenti alle
sue organizzazioni “il babbo”, viene portato alla sede del fascio per le solite spiegazioni di “italianità”77.
I paesi di Le Grazie e Saturnana subiscono il ricatto di essere oggetto di una “spedizione punitiva”78. Il
funerale del ferroviere Sirio Bellari, sindacalista, viene turbato dall’arrivo di un gruppo di fascisti
armati79. Comincia anche una campagna populista alla scopo di guadagnare consensi facendo abbassare
con la forza i prezzi ai commercianti80, mentre viene fondata una sezione fascista tra i ferrovieri81.
Il 17 luglio a Montale l’inaugurazione del gagliardetto causa incidenti coi comunisti82. In montagna lo
stesso giorno avviene lo scontro più grave del mese. E’ ancora una domenica. Anche a Cutigliano
veniva inaugurato il gagliardetto del Fascio. I fascisti che si recavano alla cerimonia in camion da
Pracchia e Pistoia83 già la mattina avevano attraversato San Marcello cercando di far scoppiare disordini,
tentativo però andato a vuoto. Nel tardo pomeriggio i fascisti di ritorno, circa una trentina, si fermano
con il camion nella piazza del paese e si dirigono verso il caffè di proprietà di una società operaia di
75
L’avvenire, 4 giugno 1921.
L’avvenire socialista, 11 giugno 1921. L’avvenire, 18 giugno 1921.
77
La bandiera del popolo, 9 giugno 1921. L’avvenire socialista, 11 giugno 1921. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…,
cit. p.89.
78
L’avvenire, 18 giugno 1921.
79
Su quest’episodio esistono due versioni contrastanti. L’avvenire socialista sostiene che i fascisti stavano cercando un
qualche simbolo politico nel corteo funebre per crearsi un pretesto e procedere all’azione ma, non trovando niente,
l’idea sarebbe sfumata. Per L’avvenire, il giornale dei comunisti, al contrario il corteo era preceduto da una bandiera
rossa ma i fascisti, 30 o 40, non ebbero il coraggio di attaccare perché trovatisi di fronte ad un compatto numero di
comunisti decisi a resistere, e si ritirarono al canto di Giovinezza. Cfr: L’avvenire socialista, 24 giugno 1921.
L’avvenire, 2 luglio 1921
80
Il popolo pistoiese, 18 giugno 1921.
81
Il popolo pistoiese, 25 giugno 1921.
82
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 101. G. PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…,
cit. p. 418.
83
Il Fascio di Pistoia comunicava a quello di Cutigliano a mezzo telegramma che sarebbero intervenuti 17 fascisti
pistoiesi. ASP, Sottopref. b. 63, doc. 179.
76
33
mutuo soccorso dove assaliscono a colpi di bastone alcuni socialisti e comunisti, tra i quali il sindaco
Signori. Contemporaneamente altri fascisti cominciano a sparare nella piazza e verso il caffè. Nello
scontro restano feriti in sei fra comunisti e socialisti, secondo quanto riportato da L’avvenire socialista, fra
questi si contano il sindaco ed un bambino di 12 anni, mentre più tardi da Limestre giunge un fascista
ferito da un colpo di baionetta, non è chiaro se inferto durante lo scontro a San Marcello o in seguito.
La forza pubblica fece la sua apparizione in piazza solo a cose concluse e dopo la partenza degli
squadristi, mentre il 18 arrivano a San Marcello alcuni carabinieri e un plotone di bersaglieri per
mantenere l’ordine pubblico che traggono in arresto il sindaco socialista e altri nove “sovversivi”84.
L’episodio di San Marcello venne condannato anche dalla locale sezione del partito popolare e dal loro
giornale, di solito tutt’altro che tenero nei confronti di socialisti e comunisti85. Il popolo pistoiese presentò
invece la solita versione addomesticata. I fascisti si sarebbero fermati perché provocati, se non
addirittura vittime ignare di un premeditato agguato. Più realistici appaiono invece i numeri che
fornisce. La conta dei feriti del giornale è diversa, 5 in tutto, un fascista, un comunista e tre socialisti, tra
cui il sindaco. Sarebbero poi stati arrestati due fascisti, quello ferito, Nello Nerozzi di 17 anni, e Luigi
Tesi, e concorda sull’arresto del sindaco ed altri nove “sovversivi”, cinque socialisti e quattro
comunisti86.
Pochi giorni dopo, il 20, Alemanno Breschi, divenuto sindaco di Pistoia in sostituzione di Leati, e suo
fratello Anelito, mentre si trovavano sul treno per Pisa venivano fatti segno di alcuni colpi di pistola da
parte del fascista Ernesto Corsi. Il processo si svolse per direttissima il 26 luglio e durante l’istruttoria
emerse che l’attentato era premeditato. Il Procuratore del Re Chierici, costantemente accusato di
filofascismo, riuscì però a far tramutare il capo d’accusa da tentato omicidio in mancate lesioni, dopo
aver tessuto le lodi del Corsi come elemento utile all’avvenire d’Italia, che se la cavò con una condanna
minima87.
Frattanto il 22 luglio una trentina di fascisti di Monsummano devastano il circolo socialista di Pieve a
Nievole. Lo stile dell’azione è di tipo militare. Alcuni fascisti bloccano le vie di accesso al circolo mentre
gli altri distruggono i locali88.
In questo periodo Nereo Nesi continua a battere la grancassa della campagna per la diminuzione dei
prezzi, considerata anche necessaria per abbassare salari e stipendi nell’ottica di una ripresa degli
investimenti a favore dell’economia nazionale, un’argomentazione che cerca di coprire in modo poco
credibile la difesa degli interessi agrari e industriali, ma che testimonia anche l’agitazione di temi
populisti capaci di attrarre consensi disparati. Ormai si minacciano esplicitamente i commercianti. «Se
84
L’avvenire socialista, 22 luglio 1921.
La bandiera del popolo, 21 luglio 1921.
86
Il popolo pistoiese, 23 luglio 1921. Sui fatti di San Marcello vedi anche M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p.
101. G. PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…, cit. pp. 418-419.
87
L’avvenire socialista, 6 agosto 1921.
88
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. pp. 83-84.
85
34
ciò sarà dunque possibile […] bene, altrimenti, io ritengo che, purtroppo l’azione fascista da
moderatrice, serena e conciliativa non potrà che divenire sempre più forte ed intransigente. E, sarà
peggio per voi»89.
Ormai le angherie delle camice nere spaziano a tutto campo, travalicando spesso quello politico per
diventare pure azioni malavitose, o entrambe le cose insieme. Tant’è che il Fascio è costretto ad
emettere un comunicato ufficiale contro le estorsioni praticate dai propri aderenti. «Si diffida nella
maniera più formale la cittadinanza di aderire a richieste di denari per qualsiasi scopo che non vengano
fatte direttamente dai membri del Direttorio. Per schiarimenti, nei casi dubbi, rivolgersi alla Sede del
Fascio. Il segretario politico»90.
Intanto con gli inizi di agosto si risolveva un macabro giallo a sfondo politico che aveva turbato la città.
Dall’11 aprile non si avevano più notizie del fascista Inglesco Urbani di Bonelle, apparentemente
scomparso nel nulla. Ai primi di maggio il fratellastro ne aveva denunciato la scomparsa. Si erano
susseguite più voci sulla sua sorte, comprese quelle che lo volevano vittima di un attentato politico. Poi
tra fine maggio e inizio giugno arriva quella che sembra la svolta nelle indagini. Un sessantenne di
Bonelle, Lodovico Cateni, dichiara alle autorità di aver udito dalla finestra di casa sua un dialogo fra due
comunisti, Romolo Bardelli e Giovanni Mazzoni, in cui il Mazzoni avrebbe asserito: «Se tutti facessero
come si è fatto da noi a Bonelle con un fascista che dopo di averlo ubriacato si è calato in una caldaia di
acqua bollente e poi fatto a pezzi e buttato in un pozzo, allora si che i fascisti si distruggerebbero»91. I
due comunisti furono subito tratti in arresto, e dopo un iniziale diniego, il Mazzoni confessò il reato
accusando altri tre comunisti. Si procedette subito all’arresto di numerosi comunisti di Bonelle ed alla
perquisizione del circolo, in cui si sequestro anche l’elenco dei soci e materiale propagandistico92. Le
indagini però ebbero subito una battuta di arresto perché non si riusciva a trovare il corpo dell’Urbani.
Si rimase in questa situazione di stallo fino a quando il primo agosto l’Urbani riapparve a Pistoia vivo e
vegeto, dichiarando di essersi assentato per andare a lavorare a Reggio Emilia93. I contorni della vicenda
appaiono ancor oggi poco chiari. E’ possibile che si sia trattato di una montatura allo scopo di
screditare la autorità e provocare incidenti, ma ad opera di chi è difficile dirlo. Di sicuro c’è solo che
dopo la sua riapparizione si verificano numerosi incidenti. In Porta Lucchese in un’incursione delle
camice nere rimane ferito uno spazzino 94 e L’avvenire socialista denuncia «per prudenza e per non
rinfocolare odi e rancori, avevamo deciso di non registrare le prodezze che i fascisti da un paio di mesi
89
Il popolo pistoiese, 16 luglio 1921.
Il popolo pistoiese, 30 luglio 1921. Il corsivo è nel testo.
91
ASP, Sottopref. b. 63.
92
ASP, Sottopref. b. 63.
93
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 100-104. Sul caso urbani vedi anche. ASP, Sottopref. b. 63. L’avvenire,
6 agosto 1921. L’avvenire socialista, 6 agosto 1921. La bandiera del popolo, 4 agosto 1921. Il popolo pistoiese, 4
giugno 1921 e 6 agosto 1921. Il nuovo giornale, 3 agosto 1921. G. PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. p. 680.
A. CIPRIANI, Il fascismo pistoiese…, cit. p. 35. R. RISALITI, Nascita e affermazione del fascismo…, cit. p. 50.
94
L’avvenire socialista, 6 agosto 1921. Cfr: R. RISALITI, Nascita e affermazione del fascismo…, cit. p. 51.
90
35
hanno commesso liberamente: insulti volgari, provocazioni di ogni specie, minaccie, imposizioni,
devastazioni, aggressioni, bastonature e ferimenti. Ultimo quello del compagno Alfredo Giovannelli
che, solo, lunedì sera è stato aggredito da una trentina di fascisti, riportando ferite gravi in varie parti del
corpo […], anche ai militi della Pubblica assistenza non è stata risparmiata la civiltà fascista»95 Sembra
che il ferimento avvenisse in seguito ad uno scontro fra Arditi del Popolo, di cui la vittima faceva parte,
e fascisti, avvenuto vicino alla Cassa di Risparmio 96 . L’aggressione ai militi dalla P.A. venne
parzialmente smentita lo stesso giorno su Il popolo pistoiese dal Fascio di combattimento di Pistoia.
«Mentre ci duole profondamente che siano stati oltraggiati alcuni militi della Benemerità Società di
Pubblica Assistenza assicuriamo che i colpevoli non appartengono a questo Fascio. Questo Direttorio
riferirà ai superiori dirigenti affinché, se l’atto insano devesi attribuire a fascisti venuti da altra città,
vengano presi i più severi provvedimenti a loro carico» annunciando anche l’avvenuta espulsione dal
fascio dell’Urbani97.
A quanto pare fino al 5 di agosto in città agirono anche fascisti fiorentini e pratesi, affluiti per
contrastare la nascente organizzazione degli Arditi del Popolo98, ed il comunicato del fascio ne è una
indiretta conferma. A suffragio di quest’ipotesi vi è anche un telegramma inviato dal sindaco Benedetti
al Presidente del consiglio dei ministri ed al Prefetto di Firenze in data 3 agosto: «Malgrado circolari
Ministero Interno che vietano bande armate fasciste Pistoia è invasa fascisti fiorentini e pratesi ferendo
gravemente inermi cittadini sollevando indignazione generale»99.
Più gravi gli incidenti nel rione di Porta San Marco. Il 2 agosto avviene uno scontro fra comunisti,
anarchici e fascisti. Vengono feriti da colpi di arma da fuoco i comunisti Francesco Barghini, Massimo
Del Moro e l’anarchico Tito Eschini. Il Barghini riporta ferite gravissime al torace, ed anche il Del
Moro versa in gravi condizioni100. Tito Eschini era uno dei promotori della costituzione a Pistoia degli
Arditi del Popolo, che fecero la loro prima comparsa sul finire di luglio in Porta al Borgo. La loro
nascita segnò il primo vero tentativo da parte degli antifascisti di organizzarsi per rispondere alla forza
d’urto delle camice nere. A questo scopo era arrivato a Pistoia Isopo Papirio, uno degli organizzatori
della difesa di Sarzana, arrestato però già alla metà di agosto. Oltre ad alcuni scontri avvenuti a
Marliana, sempre nei giorni festivi, l’attività degli arditi si ridusse però a poca cosa. Isolati da tutti i
95
L’avvenire socialista, 6 agosto 1921.
E. BETTAZZI, Gli Arditi del Popolo a Pistoia. 1921, in «Quaderni di Farestoria», Nuova Serie, A. V, N°1, p. 13.
97
Il popolo pistoiese, 6 agosto 1921.
98
E. BETTAZZI, Gli Arditi del Popolo…, cit. p. 14.
99
ASP, Sottopref. b. 63. doc. 272.
100
L’avvenire, 13 agosto 1921. L’avvenire socialista, 6 agosto 1921. G. PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda
guerra mondiale…, cit. p. 420. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 104. R. RISALITI, Nascita e affermazione del
fascismo…, cit. p. 51. Sul Del Moro esistono alcuni dubbi sul nome. Secondo Enrico Bettazzi si tratterebbe in realtà di
Isso Del Moro, di cui si trova traccia nell’antifascismo pistoiese, il cui nome sarebbe stato erroneamente trascritto nelle
carte di polizia. In effetti né il giornale comunista né quello socialista usano il nome di Massimo, limitandosi a
chiamarlo con il solo cognome. Cfr: E. BETTAZZI, Gli Arditi del Popolo…, cit. p. 14.
96
36
partiti e temuti dalla polizia che non perse tempo a reprimere l’organizzazione, l’esperienza si concluse
nel giro di un mese, e con il finire di agosto si può considerare finita101.
Il 5 agosto un incidente avviene poi a Casalguidi. Il fascista Giulio Vettori, di 19 anni, spara al
comunista Adamo Bertinotti, senza però colpirlo 102 . Qualche giorno dopo a Pieve a Nievole gli
squadristi pistoiesi bastonano Paolo Gori, apparentemente estraneo ad ogni contesa politica e senza
alcun motivo. Le lesioni riportate alla testa li procurano la perdita dell’uso delle gambe e del braccio
destro103. A Larciano viene bastonato un comunista e alcuni cittadini subiscono la stessa sorte per un
preteso oltraggio al tricolore. Ad un edicolante si impone di non vendere L’avvenire con il consenso di
un maresciallo dei Carabinieri che dà ragione alle argomentazioni delle camice nere che considerano la
vendita stessa del giornale una provocazione ai loro danni. Il 15 sempre a Larciano 50 squadristi
impongono ai comunisti di abbandonare la piazza. Il 24 infine viene dimesso dall’ospedale Francesco
Barghini, è ancora convalescente ma questo non li risparmia il rischio di essere di nuovo vittima delle
violenze delle camice nere che lo intimidiscono104.
Il mese di agosto è anche quello in cui venne siglato a livello nazionale il Patto di pacificazione tra i
fasci di combattimento, i socialisti e la Confederazione Generale del Lavoro. Comunisti e anarchici
restarono estranei al patto mentre i popolari e i repubblicani si dichiararono favorevoli.
Il patto come è noto fu avversato dalla base del fascismo e all’atto pratico naufragò in un nulla di
fatto105. E’ comunque interessante notare come nel circondario pistoiese fosse in atto una riedizione su
101
Per una più dettagliata indagine sulla presenza degli arditi del Popolo a Pistoia rimandiamo alla già citata ricerca di
Enrico Bettazzi.
102
ASP, Sottopref. b. 63. doc. 156.
103
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 77.
104
L’avvenire, 4 settembre 1921.
105
Sul patto di pacificazione, che segnò una dura crisi interna al fascismo, e che fu rigettato proprio a partire da Firenze,
la Dogliani scrive: «All’inizio dell’estate, Mussolini propose un “patto di pacificazione tra destre e sinistre” che aveva
diversi obbiettivi, tra questi: tranquillizzare quei settori dei ceti medi che si stavano avvicinando ai fasci; eventualmente
giungere ad un accordo con le forze popolari, socialiste e cattoliche, per costruire un fronte antiliberale; ed anche
normalizzare il movimento in vista di trasformarlo in un vero e proprio partito politico. Dopo che diversi fasci, in
particolare toscani ed emiliani, rifiutarono in accese assemblee il “patto”, Mussolini affrettò nell’autunno la formazione
del nuovo partito». P. DOGLIANI, Il fascismo degli italiani…, cit. p. 21-22. Per Giulia Albanese «non provocò nessuna
sospensione dei conflitti, dal momento che era molto forte l’opposizione dei fasci locali alla politica di pacificazione
intrapresa dalla loro rappresentanza parlamentare». G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 30. Franzinelli
considera l’ostilità figlia del fatto che «la pacificazione, in definitiva, veniva considerata la liquidazione dello
squadrismo non soltanto in quanto entità paramilitare ma per ciò che rappresentava in termini di rinnovamento della
politica nazionale e della stessa società italiana». In ogni caso anche per lui il patto ebbe scarsa efficacia: «Se in un
primo momento il patto diminuì lo slancio offensivo, ben presto le spedizioni ripresero col consueto impeto e già a
inizio settembre si prepararono iniziative straordinarie come la marcia su Ravenna». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit.
p. 90 e p. 94. Il lavoro più documentato è quello di Emilio Gentile: «Mussolini, dal suo punto di vista, ragionava in
termini “politici” che egli considerava realistici, mentre i capi dello squadrismo ragionavano in termini “militari” che
però, dal loro punto di vista, erano altrettanto “politici” e anche più brutalmente realistici. Il potere dello squadrismo,
anche se circondato dal consenso dei ceti medi e della borghesia […] era comunque un potere sorto dalla violenza, che
si era imposto con la distruzione delle organizzazioni avversarie, e si reggeva su una costante minaccia terroristica. Per
lo squadrismo, questo potere era la base su cui fondare la “rivoluzione italiana” fino alla trasformazione del regime e
dello Stato mentre la pacificazione, comunque conseguita, disarmando gli squadristi, avrebbe messo in pericolo
l’esistenza stessa del fascismo. Il confronto dunque non era solo fra due tattiche, fra “politici” e “guerrieri”, ma fra due
visioni di fascismo, della sua funzione e del suo futuro, fra loro divergenti: e divenne uno scontro, perché fu il momento
decisivo per stabilire chi – il “fascismo milanese” o lo squadrismo – dovesse assumere la guida del partito fascista in
37
piccola scala di quanto avveniva a livello nazionale. Dopo i fatti di San Marcello a Pracchia, il 22 o 23
luglio, si era tenuta una riunione per la pacificazione tra fascisti, socialisti, popolari ed un rappresentante
degli operai106. Il 7 agosto a Cutigliano si giunge alla firma di un locale patto di pacificazione. Questo il
testo107:
Comune di Cutigliano
Allo scopo di restituire al Paese la tradizionale concordia e la più assoluta tranquillità degli animi, i
rappresentanti dei partiti politici locali (fascisti e socialisti) si sono riuniti in una sala del Palazzo
Municipale, sotto la Presidenza del Sindaco, ed hanno di comune accordo deliberato quanto segue: 1)
Di impegnarsi, come coscienziosamente si impegnano:
a) a fare immediata opera perché le provocazioni, le minacce, le vie di fatto, le rappresaglie, le
vendette ecc. di qualsiasi specie e sotto qualsiasi forma abbiano subito a cessare;
b) a rispettare e far rispettare dai loro compagni di fede, in ogni tempo, luogo e circostanza, le
opinioni, i distintivi, le insegne e gli emblemi delle due parti;
2) I rappresentanti del partito socialista si impegnano altresì a provvedere perché identiche norme siano
sempre osservate dai comunisti; ed in ricambio i fascisti promettono di non fare atto alcuno che possa
suonare ai comunisti provocazione, minaccia od offesa, ed a rispettare il loro distintivo; 3) Ogni azione
o comportamento di violazione a tali accordi viene fin da ora sconfessato da entrambe le
rappresentanze;
4) Ogni eventuale infrazione a queste norme verrà subito deferita al giudizio di una commissione locale
di arbitri composta dai sigg. Micheli Cino, Baldacchini Giulio e presieduta dal sig. SINDACO del
Comune, la quale con lodo da rendersi pubblico, obbiettivamente determinerà le singole responsabilità,
salvo alle parti in causa il diritto di ricorso al collegio provinciale di arbitri pel suo definitivo giudizio.
Disarmino ora e per sempre gli animi e le braccia – lo hanno convenuto e lo ordinano i capi – i gregari
obbediscano.
Cutigliano, 7 agosto 1921
Il rappresentante dei fascisti
Brambilla Giovanni
Il rappresentante dei socialisti
Micheli Gino
Il presidente
Baronato Bernardo
L’accordo, anche se ristretto a soli quattro punti, ricalca le linee fondamentali di quello nazionale siglato
a Roma il 3 agosto. Va rilevato che, nonostante l’accordo di Roma prevedesse esplicitamente al punto 8
che «tutti gli accordi locali che non corrispondono esattamente alle direttive del presente concordato si
intendono annullati», il testo varato a Cutigliano, che è posteriore, contiene un’incongruità, l’impegno
dei socialisti a far rispettare il patto anche dai comunisti, che a livello nazionale avevano dichiarato di
gestazione. […]. L’adesione formale alla pacificazione dei capi squadristi, infatti, non voleva affatto dire che questi
avrebbero rinunciato a proseguire nella loro pratica di violenza». Nella pratica, gli squadristi sabotarono il patto, con
l’appoggio anche in questa occasione degli agrari, che erano risolutamente contrari a questa ipotesi. E. GENTILE, Storia
del partito fascista…, cit. pp. 265-267.
106
La bandiera del popolo, 28 luglio 1921. Il popolo pistoiese, 30 luglio 1921.
107
ASP, Sottopref. b. 63. fasc. 759, doc. 99.
38
non partecipare alle trattative108. Evidentemente i gruppi dirigenti nazionali e parlamentari avevano
difficoltà in ambo i campi a far rispettare alla lettera le proprie decisioni. Il patto fu proposto come
esempio per gli altri comuni, così come richiesto dal prefetto di Firenze Olivieri il 15 agosto, che
esortava ad usare i patti locali in questa direzione109.
Fra fine agosto e inizio settembre aggressioni vengono segnalate nei confronti di sei contadini di
Serravalle e ad un socialista in villeggiatura a Prunetta, Marino Micheloni, viene intimato di andarsene110.
L’11 settembre un comizio comunista a Casalguidi viene impedito dalle camice nere che insieme ai
Carabinieri occupano il paese111. Il 20 settembre La bandiera del popolo denuncia l’occupazione e chiusura
del circolo cattolico di Montale. Secondo la relazione dei Carabinieri si erano verificati incidenti in
piazza durante l’esecuzione della marcia reale da parte della banda ma la denuncia del giornale sarebbe
esagerata. Per i Carabinieri alcuni popolari non si sarebbero tolti il cappello durante l’inno,
probabilmente in segno di protesta dato che il 20 settembre è l’anniversario della presa di Roma da
parte dell’esercito sabaudo. Questo avrebbe irritato i fascisti locali, sempre pronti a leggere ogni atto
come antiitaliano, che provvidero coi loro soliti modi bruschi e minacciosi, distribuendo anche qualche
schiaffo, e la sera alcuni diverbi ci sarebbero stati di fronte al circolo cattolico112. Sempre nel mese di
settembre a Corbezzi furono attaccati i contadini radunati in un’aia per festeggiare il raccolto113, mentre
il 18 il prefetto di Firenze chiedeva informazioni, in seguito ad interventi dall’alto, sull’attività dei
carabinieri. «Viene autorevolmente segnalato al Ministero il contegno tenuto, nelle ultime dimostrazioni
fasciste di Pistoia, dai militi dell’Arma dei RR. Carabinieri e, più ancora, dai loro ufficiali, contegno che
avrebbe molto lasciato a desiderare nei riguardi della tutela dell’ordine pubblico, tanto da dare, in alcuni
casi, l’impressione di una vera connivenza tra fascisti e Carabinieri»114.
Si intensificavano progressivamente anche gli attacchi alle organizzazioni cattoliche. La sera del 10
ottobre due fascisti si recavano alla sede del Circolo giovanile cattolico in via degli Orafi a Pistoia in
cerca di un certo Ballati per chiedergli alcune spiegazioni. In strada sopraggiungono poi altri giovani
cattolici e una trentina di fascisti. Nascono alcuni tafferugli, i fascisti sono inquadrati militarmente ed
armati di pistole e bastoni. Resta lievemente ferito Loris Piva all’occhio destro. La mattina del giorno
108
Per il testo del patto di pacificazione vedi R. DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere. 1921-1925,
Torino, Einaudi 1966, pp. 753-755.
109
ASP, Sottopref. b. 63. fasc. 759, doc. 98.
110
L’avvenire, 4 settembre 1921.
111
L’avvenire, 24 settembre 1921.
112
La bandiera del popolo, 2 settembre 1921. ASP, Sottopref. b. 63. doc. 144 e doc. 145. La vicenda ebbe uno
strascico. Il 28 ottobre il comandante della compagnia dei Carabinieri, il capitano Carlo Mazzone, che pure non era ben
visto dai fascisti, scrive al sottoprefetto elogiando l’operato del brigadiere dei Carabinieri di Montale Leandro Meconi
in quell’occasione. Nonostante questo lo stesso Mazzone ne consiglia l’allontanamento con una motivazione che è una
capitolazione di fronte alle camice nere. «Il di lui zelo però si addimostrò forse un pò eccessivo verso i fascisti del luogo
ai quali indirizzò dure frasi non del tutto corrette, provocando il loro risentimento e creando uno stato di cose tale da
rendere consigliabile il di lui allontanamento da Montale». ASP, Sottopref. b. 63. doc. 129 e doc. 130.
113
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 99.
114
ASP, Sottopref. b. 69. doc. 258.
39
dopo alcuni piccoli incidenti si verificano di nuovo sempre davanti alla sede del circolo. La Bandiera del
popolo denuncia l’inazione e la connivenza delle autorità coi fascisti115.
La penetrazione dei fascisti tra le forze dell’ordine si fa sempre più stringente. I primi del mese l’On.
Ventavoli di Monsummano, socialista, viene aggredito in casa sua da tre dei quattro Carabinieri che
dovevano garantire la sua sicurezza, che non si fecero troppi problemi a dichiararsi fascisti. Il quarto,
pur non partecipando, non mosse un dito per fermare i commilitoni. Nel tentativo di fuga l’On
Ventavoli cadde da un tetto fratturandosi la gamba sinistra116.
Il 13 novembre a Larciano, in seguito ad una lite per motivi politici, il comunista Maggiorino Mazzei
riportava due gravissime ferite ai polmoni117. A Buggiano, allora nel circondario di Pescia, in uno
scontro tra fascisti e comunisti si registrano due morti, uno per parte, l’operaio Puccini ed il fascista
Alessandro Zanni. Il Fascio di Bagni di Montecatini il 26 novembre comunicò per telegramma a quello
di Pistoia la notizia chiedendo un numeroso intervento ai funerali118.
L’anno si chiude a Quarrata, che a dicembre è percorsa da spedizioni fasciste che hanno come obiettivi
circoli operai e sedi delle leghe contadine, con il solito corollario di aggressioni, minacce e asportazioni
rituali dei simboli avversari119.
115
La bandiera del popolo, 13 ottobre 1921. Corriere d’Italia, 13 ottobre 1921. ASP, Sottopref. b. 69 doc. 815. nella
relazione al prefetto il commissario di P.S. incaricato delle indagine parla di un certo Bellandi, non Ballati. Si tratta
probabilmente di un errore del commissario. Qui abbiamo preferito usare il nome riportato dalle fonti cattoliche. In
merito a quest’episodio si segnala la relazione fattane dal capitano dei Carabinieri Mazzone che contrasta con gli
articoli di giornale e con la stessa relazione del commissario di P.S. Il Mazzone infatti sostiene che la versione data dal
Corriere d’Italia sia un’alterazione della realtà. Secondo il capitano solo un fascista si recò presso il circolo e veniva
percosso dai giovani cattolici. Solo in seguito a questo fatto sarebbero arrivati una ventina di fascisti e sarebbero
avvenuti gli incidenti in cui rimaneva ferito il Piva. Il Mazzone nega che i fascisti fossero armati, circostanza di cui non
si fa menzione nemmeno nell’altro rapporto e riportata in effetti solo dal Corriere d’Italia, ma sembra poco probabile
che un così nutrito numero di squadristi circolasse di notte davanti alla sede del circolo cattolico senza avere armi. In
sostanza il rapporto del capitano Mazzone sembra un tentativo teso a minimizzare l’accaduto, ribaltare le responsabilità
e difendere l’operato dei Carabinieri. Cfr: ASP, Sottopref. b. 69 doc. 814.
116
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 112.
117
Il popolo pistoiese, 19 novembre 1921.
118
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 117. ASP, Sottopref. b. 63. doc. 170.
119
L’avvenire socialista, 7 gennaio 1922.
40
Il 1922 e la marcia su Roma
Con l’aprirsi del 1922 la registrazione delle azioni squadriste ha già assunto, come abbiamo visto, le
caratteristiche di un bollettino di guerra. L’intensità della violenza non si arresta in quella che è ormai a
tutti gli effetti una «guerra civile strisciante»120.
Il 10 di gennaio una spedizione punitiva colpisce il circolo comunista di Serravalle. Le modalità con cui
viene portata a termine svelano un’accurata preparazione e la connivenza delle autorità del luogo. Il
comando dei Carabinieri di Pistoia era venuto a conoscenza della possibilità di un’azione simile,
prendendo per una volta immediati provvedimenti. Erano stati inviati a Serravalle quattro Carabinieri a
cavallo per informare il comandante di quella stazione di intensificare la vigilanza in paese ed allo
sbarramento istituito da tempo per impedire, senza grandi risultati, il passaggio delle squadre da e per la
Valdinievole. Un altro sbarramento fu predisposto a Pontelungo ed infine veniva inviato un camion di
Carabinieri di rinforzo. Tutte queste precauzioni furono inutili. Nella sua relazione il sottoprefetto
dichiarava che «è risultato che elementi giovanili fascisti eransi recati per tempo alla spicciolata per
sentieri reconditi a Serravalle ove avrebbero dovuto essere assolutamente fronteggiati da quel
Comandante di Stazione dell’Arma il quale aveva a disposizione mezzi più che sufficienti alla bisogna.
Senonchè il Comandante di quella Stazione il quale, come sovra è detto, era stato debitamente avvertito
dalla pattuglia di CC. RR. a cavallo ed aveva disposto servizio sorveglianza dinanzi al circolo comunista,
per ragioni assolutamente inesplicabili aveva sospeso il servizio stesso alla mezzanotte. I fascisti di
Serravalle e quelli giunti alla spicciolata da fuori colsero tale momento per compiere l’azione»121.
Il camion dei carabinieri proveniente da Pistoia aveva arrestato sulla strada per Serravalle tre fascisti, di
cui uno armato di pistola, e ne aveva avvistati altri diretti a Serravalle che però erano riusciti a fuggire
per le vie laterali. Arrivato in paese verso le una di notte l’ufficiale dei Carabinieri al comando dei
rinforzi, tenente Simula, constatava l’avvenuta «devastazione del circolo, sulla soglia del quale
trovavansi ancora i residui in fiamme delle sedie dei tavoli delle porte e delle finestre». Il tenente
constatò «la inesplicabile imprevidenza del servizio disposto dal maresciallo Vannini Umberto,
comandante di quella stazione, il quale nel disporre il servizio quella notte non aveva ordinato che il
servizio stesso avesse il cambio sul posto». Il capitano Mazzone stabilì che «la devastazione del circolo
di Serravalle era stata opera di un gruppo di una ventina di individui i quali giunti verso le ore 23 per un
sentiero erto di campagna dal fondo valle ed evitando ogni controllo lungo la strada maestra e quello
dello sbarramento, avevano potuto riunirsi non visti da alcuno alle spalle del piccolo fabbricato adibito
a circolo comunisti e socialisti del luogo, in località assolutamente deserta», qui aspettarono la fine del
turno di guardia dei Carabinieri e «attesa una diecina di minuti circa per dar tempo a questi di far ritorno
120
121
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 7.
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 65. Le parti sottolineate sono nel testo originale.
41
in caserma, irruppero contro la porta del circolo facendo tutta prima contro di essa una scarica di una
ventina di colpi di rivoltella. Quindi abbattuta la porta poco resistente, entrarono nei locali tutto
devastando e distruggendo e riunendo poscia i rottami innanzi l’ingresso, appiccandovi il fuoco e
dileguandosi poscia per la stessa via dalla quale erano venuti, completamente indisturbati». Il circolo
comunista “Umanità Nuova” subì danni per 2.500 lire 122 . Furono arrestati 7 fascisti. I 3
sopramenzionati, Vittorio Franceschini di 20 anni carrozziere, Francesco Vannini di 18 anni studente,
Pellegrino Pistoresi e poi Bruno Lorenzoni di 23 anni studente, Antonio Cappelli di 19 anni definito
benestante, Riccardo Rosati e Desiderato Rosati. Un telegramma del sottoprefetto al prefetto dell’11
gennaio faceva salire il numero degli arrestati a otto, cinque di Pistoia e tre di Serravalle, ma non
fornisce i nominativi123.
Il 20 dello stesso mese, al processo per i fatti di San Marcello del luglio precedente, presso il tribunale di
Pistoia, le camice nere si presentarono armate di bastoni a presidiare l’edificio, minacciando imputati e
testimoni e bastonando sulle scale del tribunale il teste Carlo Mucci. Un altro imputato non si presentò
all’udienza per paura delle rappresaglie fasciste. Il fatto dette luogo ad un’interrogazione parlamentare
dell’On. Frontini124.
Il 31 in piazza Cino davanti al Bar centrale i fascisti incendiarono copie dei giornali Il mondo ed Il paese125.
Lo stesso giorno veniva devastato un circolo ricreativo in Porta al Borgo, il cui presidente aderiva al
P.P.I., ferendo anche alcuni soci. La sera contro il circolo ricreativo ferrovieri in piazza Giordano
Bruno, davanti la sede del fascio, veniva poi sparato un colpo di pistola126. A Carmignano un giovane
cattolico, Mario Pratesi, è assalito127.
Il 12 febbraio 5 fascisti di Montale si recarono in automobile ad una rivendita di vino a Santomato.
Dalla relazione dei carabinieri non si comprende se l’intento dei fascisti era provocatorio o meno, fatto
sta che, venuti subito a diverbio quattro di loro con il comunista Galliano Pastacaldi, ne nasceva una
colluttazione in cui due fascisti rimanevano lesi, uno con ferita da arma bianca e l’altro con un colpo di
pistola128.
A fine mese L’avvenire socialista denunciava che a Villa di Baggio i giovani cattolici erano diventati fascisti
e accompagnavano le processioni armati di randelli e con il distintivo del fascio all’occhiello129.
A marzo una spedizione contro una cooperativa cattolica di Quarrata fallisce per la reazione dei
popolari che informarono energicamente i Carabinieri i quali intimarono ai fascisti di desistere dal loro
122
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 61
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 61, doc. 62, doc. 63 e doc. 66.
124
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 32, doc. 33 e doc. 34. L’avvenire socialista, 4 febbraio 1922.
125
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 38. L’avvenire socialista, 4 febbraio 1922.
126
L’avvenire socialista, 4 febbraio 1922.
127
La bandiera del popolo, 15 gennaio 1922.
128
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 237.
129
L’avvenire socialista, 28 ottobre 1922.
123
42
tentativo130. L’avvenire denuncia violenze continue in San Marco e urla di ingiurie sotto la casa di
Francesco Barghini, ormai perseguitato sistematicamente. L’articolo tradisce la debolezza dei comunisti:
«noi siamo buoni figlioli, non si fanno più cortei, non si inaugurano più bandiere, non dovreste perciò
aver più paura. Siamo pochi – è vero – e voi siete tanti»131.
Ad aprile la lega proletaria di Massa e Cozzile viene devastata, circostanza in cui trova la morte anche
un contadino132. A Bonelle viene incendiato il circolo operaio. L’On. Garosi presenta un interrogazione
parlamentare in merito chiamando gli autori «schiavisti agrari»133. Il 2 a Cutigliano avvengono scontri134.
Il ferroviere Benedetti Eugenio viene bastonato sulla Barriera a Pistoia135. A Larciano le camice nere
guidate dal Martini, un ex socialista, chiudono il circolo operaio 136. Sulla Porta Vecchia vengono
compiute due aggressioni in giorni diversi, una bastonatura ai danni dell’operaio Settimo Lombardi ed
un’aggressione contro il commerciante Spinelli137. Il 9 a Pistoia sembra che un gruppo di fascisti si
presentasse alla casa dell’operaio Mazzoncini, che si rifiutò di aprire la porta. Dall’altra parte vengono
allora sparati tre colpi di pistola dei quali uno, trapassata la porta, lo ferisce alla gamba destra.
L’episodio venne riportato anche da L’avanti138. Il 10 a Popiglio fascisti armati di bastone entrano nella
sala del consiglio comunale interrompendo la discussione. L’episodio è degno di nota perché dimostra il
livello a cui ormai era giunto l’uso della violenza come arma politica. I fascisti infatti intendevano
protestare e chiedere le dimissioni dei loro stessi rappresentanti139. Pochi giorni dopo, il 16, sempre a
Popiglio, ventidue squadristi di Cutigliano, arrivati con un mezzo della ditta automobilistica Lazzi e
Lenzini, si recano al circolo operaio da dove asportano un quadro e una statua di Lenin, che
distruggono sulla via del ritorno aggredendo anche tre coppie di fidanzati verso Ponte alla Lima,
adducendo a motivo che gli uomini, socialisti, gli avrebbero lanciato contro delle pietre140.
Il primo di maggio fallisce l’astensione dei ferrovieri dal lavoro ed il servizio viene assicurato dai
membri del fascio ferrovieri, circostanza che crea diverse tensioni nei giorni successivi. La sera del 5
Guido Matani, segretario del sindacato ferrovieri, e Augusto Simoni vengono accerchiati e minacciati
dai fascisti mentre Leo Palandri viene schiaffeggiato e bastonato. Il 9 il Matani viene poi bastonato
mentre rincasa dai fascisti Giovanni Landi, Mirando Arcori e Adelmo Falfi soprannominato “cucco il
macellaio”. Sempre il 9 un gruppo di fascisti penetra nel circolo di Spazzavento e trafuga l’elenco dei
soci. Sulla via del ritorno incontrano a Barile Orlando Natali. Secondo il giornale socialista contro il
130
L’avvenire socialista, 1 aprile 1922.
L’avvenire, 1 aprile 1922.
132
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 110.
133
Ivi p.110. L’avvenire, 29 aprile 1922. ASP, Sottopref. b. 69 doc. 15 e doc. 20.
134
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 411.
135
L’avvenire socialista, 15 aprile 1922.
136
Ibidem
137
L’avvenire, 22 aprile 1922. La bandiera del popolo, 23 aprile 1922. L’avvenire socialista, 1 maggio 1922.
138
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 1, doc. 3. L’avvenire socialista, 27 maggio 1922.
139
ASP, Sottopref. b. 68 doc. 336 e doc. 337.
140
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 150 e doc. 151.
131
43
Natali furono sparati dei colpi di pistola dai quali si mise in salvo scappando in bicicletta, secondo la
relazione dei Carabinieri i colpi furono invece sparati in aria a scopo di spavalderia ed il Natali non ebbe
a subire nessuna aggressione, anzi si sarebbe addirittura fermato a parlare coi fascisti. L’incursione a
Spazzavento è il tipico caso di azione preparatoria con logiche di tipo militare. Infatti il 12 le camice
nere tornano a Spazzavento, presumibilmente dopo aver studiato i nomi trovati nell’elenco rubato, ed
in piena notte si presentano alle case di tali Meoni, Monti, Fattori e Ferrarini perquisendole. A casa del
Meoni si impossessano della bandiera del circolo giovanile, che viene poi fatto chiudere. Intimano
anche la consegna della bandiera del circolo adulti, che avviene il 14 con la solita sfilata per le vie di
Pistoia per esibire il bottino di guerra141.
Il bollettino di guerra del mese di maggio continua con altri episodi. Sul fiume Ombrone i fascisti
sparano contro al droghiere Beneforti. Vengono picchiati anche Massimo Mazzoni, a quanto pare per la
seconda volta, e l’anarchico Silvestri. Il tesoriere del sindacato ferrovieri, Primo Pardini, viene
minacciato. Non si tralascia di continuare a perseguitare quelle che sono ormai “vecchie conoscenze”
del fascio, come il socialista Signori di San Marcello, che viene minacciato dentro ad una trattoria142,
Francesco Barghini, malmenato il 29 maggio in un caffè 143, ed il Breschi, di nuovo vittima delle
attenzioni fasciste. Da tempo il Lenzi lo assaliva con il pretesto che corteggiava sua sorella, adesso le
camice nere li bruciano la casa in Porta Carratica. L’incendio ebbe anche un’altra vittima, la sorella del
Breschi, che a causa della serie di vessazioni fasciste culminate nel rogo dell’abitazione perse l’equilibrio
mentale144. Contemporaneamente il giornale comunista denuncia frequenti spedizioni notturne in un
paese vicino Pistoia, omettendone però il nome,145 ed una sparatoria in San Lorenzo146.
Giugno si apre con un nuovo fatto di sangue. Il 7 è vittima di un’aggressione, per la seconda volta in un
mese, l’anarchico Silvestri. Verso le ore 23 tre fascisti, che lo avevano pedinato da via Curtatone e
Montanara passando per via Verdi, lo fermano in Corso Vittorio Emanuele, all’altezza di piazza
Mazzini, intimandogli di dichiarare di essere collaboratore del giornale “l’avvenire comunista”. Per tutta
risposta il Silvestri dichiarò di non essere né comunista né socialista ma anarchico. I fascisti a quel
punto dettero a intendere al Silvestri di essere sul punto di aggredirlo causandone la fuga. Mentre
scappava il Silvestri fu però raggiunto da un colpo di pistola alla gamba sinistra. Gli aggressori furono
identificati in tre fascisti giovanissimi: Dino Rafanelli, studente, nato il 2 agosto1905, sedicenne; Aldo
Ardenghi, studente, nato il 30 giugno 1906, quindicenne; Nello Nerozzi, commerciante, nato il 20
marzo 1904, diciottenne. I tre confessarono il fatto aggiungendo solo che il colpo era
141
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 1, doc. 3, doc. 4, doc. 5, doc. 9, doc. 11 e doc. 12. L’avvenire socialista, 13 maggio 1922
e 27 maggio 1922.
142
L’avvenire socialista, 13 maggio 1922 e 27 maggio 1922.
143
L’avvenire socialista, 24 giugno 1922.
144
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 123-124.
145
L’avvenire, 27 maggio 1922.
146
L’avvenire, 3 giugno 1922.
44
involontariamente partito al Nerozzi147. Da rilevare che il Nerozzi era stato uno dei protagonisti,
nonché l’unico ferito di parte fascista, degli scontri di San Marcello del luglio 1921.
Il giorno dopo un grave incidente avviene in Porta Lucchese, conclusosi incredibilmente senza feriti. La
sera dell’8, presso le mura, tra il fascista Pietro Montichelli ed i comunisti Bernini e Chiti nasceva una
lite in cui facevano velocemente la loro comparsa le pistole. Il primo a minacciare l’uso dell’arma fu il
Bernini. Quest’episodio mostra bene la differente determinazione nell’uso della forza esistente tra le
due parti, come nota anche Petracchi in merito ai fatti di San Marcello del luglio ’21. Infatti se il Bernini
si limitò a minacciare, il Montichelli, da solo contro due, cercò per quattro volte di far sparare la sua
arma, che però non funzionò. Nel mentre i due comunisti si detterò alla fuga148.
Il 10 vengono distrutte delle copie del giornale L’azione comunista149. Il 14 avviene l’ennesima azione di
violenza ai danni di Francesco Barghini che verso le 22 in piazza San Lorenzo viene fermato, picchiato,
bastonato ed accoltellato ad una gamba150. Il 15 a Capostrada viene ferito alla gamba destra con un
colpo di pistola il comunista Umberto Guidi. Due giorni dopo i fascisti arrestati per tale reato, già
rilasciati, si recano in ospedale, dove il Guidi è ricoverato, e lo minacciano151.
La prima domenica di luglio, il 2, avvengono gravi incidenti a Quarrata ed a Momigno. Nel primo paese
i fascisti locali stavano tentando fin dalla primavera di far cascare il consiglio comunale152, aumentando
il livello di tensione e deteriorando sensibilmente la situazione dell’ordine pubblico, tipica strategia
fascista in casi del genere. Le autorità diffidarono i fascisti dal rendersi responsabili di intimidazioni,
cosa che dette l’occasione al Fascio di Pistoia di presentare un memoriale alla direzione nazionale che a
sua volta, nella persona di Costanzo Ciano, fece pressioni sul Ministero dell’interno per chiedere
l’allontanamento del capitano Mazzone, dall’atteggiamento incerto verso i fascisti, e del Maresciallo
Cerroni. Il prefetto Olivieri il 30 giugno comunicò al sottoprefetto di Pistoia la notizia. Intanto il giorno
prima, il 29 giugno, si erano verificati dei tafferugli in piazza che videro la fuga dei fascisti. Partendo da
questo pretesto, e per rafforzare l’azione di Ciano dimostrando l’inettitudine dell’autorità, arrivarono a
Quarrata una sessantina di fascisti da fuori, come sempre in questi casi, a dare man forte a quelli locali.
Mentre alcuni occupavano la piazza del mercato gli altri cominciarono una ricerca meticolosa nei locali
e nelle case per individuare i “sovversivi” che avevano partecipato agli scontri del 29. Il bilancio della
spedizione fu tragico. Luigi Giuntini fu ferito da un colpo di arma da fuoco e suo figlio, Torello, non
iscritto a nessun partito, anch’esso ferito, decedeva il giorno dopo all’ospedale di Pistoia153.
147
Il giornale L’avvenire da quando era passato nelle mani dei comunisti veniva chiamato normalmente “l’avvenire
comunista”. ASP, Sottopref. b. 69 doc. 43. e doc. 44. L’avvenire socialista, 24 giugno 1922.
148
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 28 e doc. 29.
149
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 645.
150
L’avvenire socialista, 24 giugno 1922.
151
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 25 e doc. 404. L’avvenire socialista, 24 giugno 1922.
152
Quarrata era la sede del comune di Tizzana.
153
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 277. L’avvenire socialista, 8 luglio 1922. La bandiera del popolo, 16 luglio 1922. G.
PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. pp. 676-677.
45
A Momigno l’azione squadrista prese anche le tinte della faida di paese. La settimana prima a
Montagnana c’era stato un diverbio tra fascisti e comunisti durante una festa intorno alla questione
simbolica degli inni che doveva suonare la banda. La domenica dopo avviene lo scontro in piena regola,
pianificato a quanto pare da entrambe le parti. I fascisti avevano infatti chiamato rinforzi da Casore del
Monte ma i loro avversari, ormai probabilmente a conoscenza di questo tipo di tattiche, non stettero a
guardare e chiesero aiuti ai comunisti di Sarripoli. Le due parti vennero a scontarsi in una località detta
“Le fontane” nel pomeriggio, dove nacque subito una sparatoria. Alla fine si registrò un morto, il
comunista Cesare Contrucci di 28 anni, e due feriti, i fratelli fascisti Virgilio Canigiani di 26 anni e
Amleto Canigiani di 20 anni154.
Lo sciopero legalitario, iniziato alla mezzanotte del 31 luglio, segnò l’inizio di agosto del 1922. A
Pistoia, come altrove, la reazione delle camice nere fu dura ed imponente155. Il fascio pistoiese nominò
un comitato segreto di azione156. Gli industriali, forti dell’aiuto dei fascisti, proclamarono la serrata.
Ormai la piazza era completamente nelle mani delle camice nere, e lo sciopero segnò una netta sconfitta
del movimento operaio. Già il 2 agosto arrivava l’ordine di tornare al lavoro. In una Pistoia presidiata
militarmente dai fascisti e imbandierata di tricolori non si svolsero né comizi né cortei, mentre veniva
occupato dalle squadre anche il municipio157 e dichiarata decaduta la giunta di sinistra, sostituita da un
commissario prefettizio, dopo un breve colloquio con il sottoprefetto158. Il 4 ed il 5, cioè a sciopero
oramai concluso, convergevano «con mezzi rapidi»159 sulla città e la sua immediata periferia circa 500
fascisti toscani guidati da Dino Perrone Compagni160, che causavano gravissimi incidenti, coinvolgendo
anche il partito popolare che non aveva aderito allo sciopero, anzi lo aveva condannato duramente
come «inconsulto»161. Il 4 agosto veniva ferito l’operaio Fabio Gori, che moriva l’11 in ospedale162. La
notte dello stesso giorno veniva ucciso anche l’anarchico Migliorini, tappezziere. L’assassino è
identificato nel fascista Dino Mancini, di 19 anni, abitante in Porta al Borgo163. Negli stessi giorni uno
154
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 187 e doc. 194. G. PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. p. 677. Cfr: L’avvenire
socialista, 8 luglio 1922, che riporta un nome diverso per uno dei due fascisti feriti, Anelito invece che Amleto
155
«Lo sciopero fu un parziale fallimento per la scarsa partecipazione e risultò totalmente inefficace per gli obbiettivi
che si era prefissato. Tuttavia esso fu all’origine – pretesto più che ragione – di una vasta reazione fascista e
nazionalista. In questa occasione i fascisti occuparono infatti molte delle amministrazioni rosse e delle Camere del
Lavoro che fino a quel momento non erano riusciti a conquistare. La mobilitazione fascista, per la prima volta, assunse
l’aspetto di una manifestazione nazionale e segnò la definitiva sconfitta delle organizzazioni che rappresentavano a
sinistra, in ambito politico e sindacale, il movimento operaio». «I tempi della mobilitazione fascista confermano come
gli obbiettivi posti dai dirigenti non fossero propriamente una reazione allo sciopero dell’alleanza del lavoro, dal
momento che i fascisti si mossero solo quando si avviava al termine: si concluse infatti intorno all’8 agosto.
All’indomani della fine dello sciopero, i fascisti colpirono principalmente le località che, nei mesi e negli anni
precedenti, non erano ancora riusciti a occupare». G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 43 e pp. 46-47.
156
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 262.
157
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 115-116. La bandiera del popolo, 13 agosto 1922.
158
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 124.
159
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 262.
160
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 458.
161
La bandiera del popolo, 6 agosto 1921.
162
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 284. Il documento riporta che il Gori era un simpatizzante del P.P.I.
163
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 259, doc. 260, doc. 262 e doc. 269.
46
squadrista rimane ferito, probabilmente per mano fascista a causa di un errore di persona 164 . Il
pomeriggio del 4 si verificavano anche incidenti a Ramini165 mentre a Ponte nuovo veniva devastato il
circolo comunista con danni per millecinquecento lire166. La notte del 5 i fascisti fiorentini su due
autocarri si recavano a Bonelle dove, su indicazione del fascio di Pistoia, incendiavano le case dei
comunisti Cosimiro Gargini, Dante Gargini, Gargino Gargini, Omero Gargini, Licio Gargini, Giovanni
Capecchi e devastavano la cooperativa comunista arrecando danni per cinquantamila lire. La relazione
dei Carabinieri rende bene l’idea del terrore che potevano suscitare nella popolazione queste spedizioni
punitive: «L’ora di notte in cui tali devastazioni ed incendi avvennero, la sorpresa e la rapidità con la
quale vennero eseguiti, il fatto che la popolazione all’apparire dei fascisti parte fuggì per la campagna
parte si rinchiuse in casa, ha tolto la possibilità di avere testimoni che possano dare indicazioni degli
autori»167. Nelle stesse ore veniva devastato anche un circolo comunista in città, per la precisione in
Piazza Mazzini, sempre ad opera di elementi fascisti venuti da fuori ma guidati da quelli locali, con un
totale di danni di duemilacinquecento lire. I presenti interrogati dalle autorità per paura «non seppero o
non vollero dare indicazione alcuna»168. In questi giorni gli squadristi diffidano anche gli edicolanti dal
vendere L’avanti, Il paese e L’umanità comunista169. Vengono poi danneggiate la Cassa rurale, la cooperativa
di consumo ed il circolo ricreativo dei popolari a Spazzavento170, minacciato un ferroviere cattolico e
alcuni sacerdoti171. Il camion, di proprietà dell’associazione agraria di San Miniato, che trasportava i
fascisti a Spazzavento, che a quanto pare prima avevano devastato uno dei circoli comunisti di cui
parlavamo, fu fermato per ben due volte, in Porta lucchese ed a Spazzzavento, dalla Guardia Regia e dai
Carabinieri, e lasciato tranquillamente proseguire 172 . La bandiera del popolo riportò la notizia della
spedizione a Spazzavento con toni di evidente spavento in un articolo teso a rassicurare i propri
aderenti, a rivendicare posizioni anticomuniste e meriti di “italianità”. Lo stesso Don Ceccarelli si
pronunciava evitando qualsiasi condanna, tranquillizzando i soci delle casse rurali ed invitando ad una
sottoscrizione per ripagare i danni 173. Questa risposta metteva in evidenza il disorientamento dei
popolari che cercavano, con argomenti moderati ed un linguaggio patriottico, di placare la furia fascista.
Una strategia che peraltro non dovette influenzare molto le camice nere, dato che il 16 il dirigente del
P.P.I. Ardelio Petrucci fu vittima delle loro violenze. Il Petrucci si trovava in compagnia del fratello e
della sorella al caffè Moderno. I fascisti, riconosciutolo, prima inveirono contro di lui, poi obbligarono
164
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 273.
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 261.
166
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 273. A Ponte nuovo il pretesto pare fosse l’incendio di un pagliaio di proprietà di un
fascista.
167
Ibidem.
168
Ibidem.
169
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 645.
170
La bandiera del popolo, 13 agosto 1922.
171
La bandiera del popolo, 6 agosto 1921.
172
ASP, Sottopref. b. 69 doc. 280.
173
La bandiera del popolo, 13 agosto 1922.
165
47
l’orchestra presente a suonare i loro inni intimando ai presenti di alzarsi in piedi, cosa che il Petrucci
non fece. Questo piccolo atto di resistenza gli costò caro. Mentre rincasava con la sorella verso le 23
veniva bastonato da quattro squadristi174. Ad agosto cadeva anche la giunta popolare di Montale mentre
La bandiera del popolo, per cause ancora non chiare, cessava dal 27 agosto le pubblicazioni per riprenderle
solo il 24 settembre175.
Fra la fine di agosto e l’inizio di settembre le rappresaglie fasciste colpivano anche alcune lavoratrici
della filanda di seta Mandorli. La scusa fu trovata, come al solito, in alcune frasi pronunciate dalle
operaie nei confronti di una collega che portava un nastrino tricolore. Appostati all’uscita, gli squadristi
fermarono le operaie responsabili di tale oltraggio alla nazione dipingendo le loro facce di nero176.
Sempre a settembre venivano uccisi dei contadini comunisti a Buggiano, mentre veniva costretta alle
dimissioni la giunta di sinistra di San Marcello177. Il 29 a Fabbiana una rissa tra “sovversivi” e fascisti
degenera in una sparatoria178.
Dopo l’agosto del 1922, con lo stroncamento dello sciopero legalitario, le organizzazioni avversarie del
fascismo sono ormai allo sbando in tutto il centro-nord, le sole resistenze sono atti isolati di singoli o
delle autorità statali non conniventi che cercano fuori tempo massimo di mantenere la legalità. La
conquista del territorio è un fatto compiuto, a Pistoia come altrove179. I fascisti giudicarono ormai
maturi i tempi per la conquista del potere centrale. La Toscana era una delle aree in cui i fascisti erano
più forti e numerosi e fu scelta come una delle zone da cui cominciare l’assalto definitivo allo Stato.
L’ordine prevedeva di mobilitarsi nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, facendo convergere le camice nere
dalle campagne verso le città capoluogo, in quelle che si configurano come tante prove generali su scala
più piccola, e da lì verso Roma. Il riordino delle squadre fasciste, avvenuto con il regolamento della
milizia fascista all’inizio di ottobre, divideva l’organizzazione secondo il modello degli eserciti dell’antica
Roma in principi, triari ecc… I principi, che erano le vere e proprie camice nere secondo la nuova
organizzazione, dovevano radunarsi nel capoluogo e da qui, i meglio armati, muoversi verso la capitale.
I rimanenti dovevano restare a presidiare il territorio occupando poste, telegrafi, stazioni ferroviarie e
prefetture per bloccare le comunicazioni statali fra il centro e la periferia, impedire l’afflusso di rinforzi
a Roma nel caso si fosse arrivati ad uno scontro e dimostrare per l’ultima volta la sconfitta dello Stato
liberale. In gran parte dei casi tutto questo avvenne senza colpo ferire, le autorità non reagirono, per
calcolo politico o palese connivenza, e le occupazioni fecero seguito ad accordi verbali, anche se non
174
La bandiera del popolo, 20 agosto 1922. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 124.
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. pp. 125-127.
176
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 116.
177
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 112 e p. 127.
178
PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. p. 678.
179
«Si era giunti all’impunità totale. In settembre e ottobre prevalsero forme di pressione tendenti alla liquidazione delle
cooperative mediante delibera assembleare: Sullo svolgimento delle adunanze vigilavano le camice nere. Gli squadristi
la facevano ovunque da dominatori, impadronendosi delle stesse strutture pubbliche per piegarle alle proprie esigenze».
M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 145
175
48
mancarono significative eccezioni, come a Foggia e a Cremona180. Le partenze per la capitale avvennero
in maniera piuttosto caotica e continuarono per diversi giorni, almeno fino al 31, quindi anche dopo il
conferimento dell’incarico a formare un nuovo governo a Benito Mussolini. Anzi, il 29 l’afflusso dei
fascisti verso i luoghi di raccolta prestabiliti intorno a Roma era aumentato rispetto al 28181. Molti
squadristi rimasti nelle città in un primo tempo, per assolvere ai compiti di occupazione del territorio,
cominciarono a partire anch’essi verso la capitale a mano a mano che diventava evidente che nelle città
presidiate non c’era niente da temere da parte delle autorità statali. 182
I fascisti pistoiesi furono fra i primi d’Italia a mobilitarsi. Il sottoprefetto comunicava al prefetto la
notizia già il 26 di ottobre: «Stanotte ebbe qui luogo mobilitazione fascisti. Sono pervenuti in città circa
seicento fascisti»183. Il 27 sempre il sottoprefetto impartiva al comandante dei Carabinieri le disposizioni
del Ministero dell’interno che ordinavano di reagire ai tentativi insurrezionali fascisti anche con l’uso
delle armi quando ogni altro mezzo non fosse stato efficace184. La notte fra il 27 e il 28 il prefetto passò
i propri poteri a quelli dell’autorità militare185. Nonostante queste misure i fascisti la mattina del 28 alle 7
occupavano la stazione ferroviaria, bloccando un treno di carabinieri, gli uffici delle poste, del telegrafo
e la centrale telefonica, mentre la sottoprefettura restava presidiata dalle forze dell’ordine 186 . Le
occupazioni avvenivano senza incidenti malgrado le disposizioni del Ministero dell’interno. La sezione
del P.N.F. di Pistoia fece affiggere un manifesto in cui dichiarava tutti i fascisti mobilitati, invitando gli
squadristi a concentrarsi nel capoluogo ed i triari a raggiungere le proprie sedi. Dalla montagna
arrivavano in città 19 squadre. La sede del P.N.F. di Pistoia si trasformò «in un vero e proprio ufficio di
mobilitazione tipo militare»187, sorvegliato e presidiato nelle vie di accesso da fascisti armati di moschetti
con issata la baionetta188. A Serravalle pare che i fascisti fermassero dei camion pieni di Guardie
Regie189. In città si formarono 12 squadre di 25 uomini ciascuna per controllare i punti strategici190.
180
G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. pp. 84-85.
Ivi pp. 84-112.
182
Convince il giudizio espresso da Giulia Albanese: «Se proviamo a guardare alle azioni contemporaneamente svolte
dai fascisti nel resto d’Italia e la colleghiamo alla strategia fascista dei mesi precedenti, l’evento appare più complesso,
meno rocambolesco e fortunoso di quanto si sia abituati a credere. Mentre infatti qualche decina di migliaia di uomini
marciavano verso Roma, in molte città gli squadristi occupavano (spesso solo formalmente) i principali luoghi di potere
e gli snodi di comunicazione tra periferia e centro. Essi impedirono ai prefetti di controllare l’ordine pubblico, talvolta
addirittura sequestrandoli per qualche ora, bloccarono l’attività degli uffici postali e telegrafici, e tentarono, a volte con
successo, di fermare treni e stazioni per impedire la circolazione di notizie e forze dell’ordine». Ivi p. VII.
183
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 388. Nella comunicazione dello stesso giorno del sottoprefetto al comandante del
presidio militare di Pistoia si aggiungeva che la mobilitazione era avvenuta «per scopi ignorati», chiedendo di
concentrare tutte le forze alla caserma Umberto I, quando in realtà era chiarissimo a tutti quanto stava avvenendo, anche
in considerazione del fatto che nei mesi e soprattutto nelle settimane precedenti i fascisti non avevano certo nascosto i
loro piani, anzi li avevano più volte discussi pubblicamente sui giornali. ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 390. Cfr: G.
ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. pp. 58-83.
184
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 386.
185
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 383, doc. 384 e doc. 385. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 134.
186
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 380, doc. 381 e doc. 382. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 134. G.
PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…, cit. p. 425.
187
La nazione, 28 ottobre 1922.
188
Il popolo pistoiese, 4 novembre 1992.
189
G. PETRACCHI, Pistoia dalla prima alla seconda guerra mondiale…, cit. p. 425.
181
49
Frattanto, il 27 mattina, un primo contingente di squadristi, sotto la guida di Enrico Spinelli, era partito
su camion e macchine, requisite nella notte, verso Empoli per raggiungere le squadre fiorentine e di lì
muovere per Roma191. Nel resoconto de Il popolo pistoiese «l’autorità era completamente assente. Né
carabinieri né agenti si sono veduti per le vie della città»192. Il 29 venivano seguiti da un secondo gruppo
comandato da Ilio Lenzi. Come si vede sia l’occupazione del territorio sia la partenza delle squadre
verso Roma ricalcano le modalità generali della mobilitazione fascista. Il Lenzi probabilmente era
restato a presidiare la città coi suoi uomini mentre le camice nere meglio armate partivano per la
capitale seguendo gli ordini ricevuti. Una volta constatato che in città la situazione era completamente
in mano ai fascisti, nonché l’assoluta mancanza di qualsiasi iniziativa tesa a contrastarli da parte delle
autorità, il Lenzi deve essersi risolto a raggiungere lo Spinelli193. Questa circostanza fu poi abilmente
sfruttata in modo strumentale dallo Spinelli nel contrasto sorto tra i due un anno più tardi, un tipico
esempio di lotta per il potere locale all’interno del P.N.F. Infatti lo Spinelli accusò Lenzi di essere un
codardo e di essersi mosso per Roma a cose già fatte.
Entrati a Roma, gli squadristi pistoiesi parteciparono alla sfilata davanti al monumento al milite ignoto e
sotto il Quirinale, nonché agli scontri cruenti che in quei giorni avvenivano nella città con gli
antifascisti.194.
Durante i giorni di mobilitazione in città i parroci Don Ceccarelli e Don Bonciolini subirono violenze,
così come il parroco di Bagni di Montecatini195. Nel pomeriggio del 30 un corteo si svolgeva per le vie
della città fino alla piazza del Duomo per festeggiare la nomina di Mussolini a Presidente del
consiglio196. Lungi dal calmare le acque, la nomina di Mussolini segnò in realtà un rilancio ulteriore
dell’azione squadrista, che aumentò il livello di violenza rispetto ai giorni precedenti197. Ed infatti la
190
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 134.
Si trattava di uomini delle squadre “Disperata”, “Pacino Pacini” e “Randaccio”. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…,
cit. p. 133. A. CIPRIANI, Il fascismo pistoiese…, cit. p. 35-36. Il popolo pistoiese, 4 novembre 1992.
192
Il popolo pistoiese, 4 novembre 1922.
193
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 134. A. CIPRIANI, Il fascismo pistoiese…, cit. pp. 35-36.
194
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 134. G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. pp. 117-120.
195
La bandiera del popolo, 4 novembre 1922. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 135.
196
Il popolo pistoiese, 4 novembre 1992.
197
In merito a queste violenze ed alle manifestazioni di piazza appare convincente il giudizio espresso da Giulia
Albanese «anche nei festeggiamenti finali la provincia conto più di quanto fosse stato previsto dai dirigenti nazionali. Il
corteo romano che sfilò dinanzi all’Altare della Patria e al Quirinale non esaurì, infatti, almeno agli occhi di molti
fascisti rimasti nelle loro città, i festeggiamenti. Numerosi furono i cortei in varie città d‘Italia per la nomina del nuovo
capo di governo. [...] Servirono ovunque per rappresentare che non di un semplice cambio di governo si trattava, quanto
piuttosto di una molto più netta e radicale presa di potere da parte dei fascisti. [...] I festeggiamenti in onore del nuovo
capo del governo, cominciati in tutta Italia dal 30 ottobre, non segnarono comunque una distensione del clima politico.
Già a partire dalla nomina di Mussolini si registrò infatti un incremento di scontri violenti – e soprattutto mortali – e una
trasformazione rilevante dei repertori d’azione fascisti. Le modalità prevalse nei giorni precedenti, secondo il piano di
mobilitazione tracciato dai cosiddetti “quadrumviri della rivoluzione fascista”, furono, a partire da questo momento,
superate dagli eventi. Le squadre rimasero mobilitate e armate, e nel momento della vittoria politica il loro potere si
rafforzò, malgrado la loro funzione fosse ormai vanificata dall’esito delle negoziazioni politiche. L’obiettivo politico
raggiunto dal fascismo non era infatti considerato sufficiente da un gran numero di squadristi. La vittoria non era
concepibile, per molti di essi, senza l’eliminazione degli avversari, o almeno dei loro simboli. [...] La situazione
presentava incertezze anche per l’esercito: la nomina di Mussolini suggeriva un ritorno alla normalità che in realtà non
191
50
notte Leopoldo Bozzi, futuro leader del fascismo pistoiese ma all’epoca ancora in ombra, guidò una
spedizione squadrista contro il carcere allo scopo di liberare alcuni fascisti. I documenti che riportiamo
si riferiscono proprio a questo episodio, poco noto nei dettagli ma capace di gettare una luce diversa
sulla figura dello stesso Bozzi, fin’ora considerato sostanzialmente estraneo ai metodi rudi e sbrigativi
propri di fascisti come il Lenzi e lo Spinelli, oltre a dimostrare che già a quell’epoca vantava un proprio
personale potere sul fascismo pistoiese. Il Bozzi infatti si presentava alle una di notte a casa del
direttore delle carceri Berti per chiedere la scarcerazione dei detenuti fascisti e minacciando di passare a
vie di fatto per ottenere quanto richiesto. Per essere sicuri del risultato il Bozzi e gli altri fascisti
sequestravano il direttore e lo portavano in macchina a casa del Commissario di P.S. Di Bartola al quale
intimavano a sua volta di provvedere alla scarcerazione. Di fronte alla risposta del Commissario che ciò
non era compreso nelle sue funzioni, Bozzi se ne andava, portandosi dietro il direttore, aggiungendo
che «avrebbe agito alla fascista». La relazione del Commissario ci informa che insieme al Bozzi, ma in
disparte, c’era anche il segretario della federazione circondariale del P.N.F. Martini. Arrivato verso le
due di notte al carcere e penetratovi grazie al direttore, Bozzi minacciava il capoguardia di far attaccare
il carcere dai fascisti da tempo radunatisi all’esterno. In appoggio alle sue parole giungeva una telefonata
intimidatoria da parte fascista, mentre le camice nere in attesa all’esterno assumevano atteggiamenti
sempre più minacciosi. Alle tre e mezzo circa il direttore ed il capoguardia acconsentivano ad esaudire
le imposizioni del Bozzi e scarceravano 17 detenuti198.
Dal contegno del Commissario si evince un’altra testimonianza sul comportamento perlomeno
titubante tenuto dalle forze dell’ordine e dall’esercito in quei giorni. Questi infatti, dapprima tenta di
convincere i fascisti a rinunciare, argomentando «che quello che stavano commettendo era un attentato
al loro Duce Mussolini», facendo quindi appello alla speranza di una normalizzazione che in realtà gli
squadristi non avevano nessuna intenzione di favorire. In seguito Di Bartola si reca a dare l’allarme alla
caserma dei Carabinieri dove impiega più di un’ora solo per radunarli, segno evidente di una debole
volontà di reazione dei militi dell’arma. Alla fine, constatata l’avvenuta forzatura delle carceri, il
Commissario stesso rinuncia all’azione, sostenendo di non poter prendere una decisone così grave e
capace di scatenare un conflitto senza gli ordini delle autorità militari. In realtà, come abbiamo visto, già
nei giorni precedenti i militari avevano ricevuto precise, e puntualmente disattese, disposizioni che li
permettevano di reagire con la forza in tali situazioni. Sempre da queste informazioni ricaviamo
un’immagine del Bozzi lontana da quella abituale, che lo vuole fautore della “normalizzazione” tanto
cara a Mussolini nel suo impegno di “durare”, ma, esattamente all’opposto, proprio nei giorni in cui il
Duce cerca energicamente di riportare all’ordine le squadre, il Bozzi si rende protagonista di un assalto
c’era stato, sicchè i comandanti e gli ufficiali non sapevano se avallare ogni azione dei fascisti oppure se considerare
indebite le violazioni operate dallo squadrismo una volta che Mussolini aveva raggiunto il governo ». G. ALBANESE, La
marcia su Roma…, cit. pp. 114-115.
198
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 377, doc. 378 e doc. 379.
51
alle strutture dello Stato che segue le linee del fascismo intransigente, non intenzionato a rientrare nei
ranghi ma teso alla continuazione della propria battaglia. Evidentemente Bozzi in questo frangente
sentiva il bisogno di consolidare la propria posizione all’interno del fascismo pistoiese usando proprio
quei metodi violenti che in seguito deprecherà, ma che sono anche gli unici sui quali fino ad allora si era
retto il fascismo, troppo importanti quindi per essere subito accantonati ma che al tempo stesso si
stanno già facendo troppo ingombranti. Appare quindi plausibile formulare un’ipotesi secondo la quale
si possano distinguere due momenti all’interno della carriera fascista del Bozzi, non necessariamente
contrapposti o in contraddizione tra loro, il primo più tipicamente squadrista ed il secondo più
pragmatico ed attento alla fase politica, in cui era necessario sbarazzarsi di un’immagine da squadrista
tout court mantenendo però dei meriti da rivendicare in caso di necessità, elementi che con tutta
probabilità saranno alla base del suo successo sugli avversari nella lotta per il potere locale.
Il primo novembre rientravano da Roma le squadre comandate da Lenzi e Spinelli e si svolgeva
immediatamente un altro corteo. Solo allora ai fascisti venne dato l’ordine di smobilitare e di cessare
l’occupazione degli uffici pubblici mentre il 3 le autorità militari restituivano i poteri al sottoprefetto199.
Lo scontro fra i tre leader del fascismo pistoiese entra d’ora in poi nel vivo e sarà risolto per gradi,
prima con l’espulsione del Lenzi ad opera dello Spinelli e successivamente con l’accantonamento di
quest’ultimo ad opera del gruppo radunatosi attorno a Leopoldo Bozzi.
199
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 366. Il popolo pistoiese, 4 novembre 1992.
52
La violenza dopo la marcia
La presa del potere, com’è noto, non decretava la fine delle violenze 200 . Sbaragliate del tutto le
organizzazioni di sinistra, l’attenzione dei fascisti andava concentrandosi sul finire del 1922 soprattutto
contro i cattolici. Per alcuni mesi i parroci Don Ceccarelli e Don Bonciolini furono fatti oggetto di
ripetute violenze. Don Ceccarelli venne addirittura sequestrato nella sua canonica, portato in
automobile fino a Prato, purgato e bastonato 201 . Anche Don Bonciolini fu costretto a subire il
trattamento all’olio di ricino e ad allontanarsi varie volte dalla sua parrocchia sotto le minacce fasciste202.
Fu occupato il circolo cattolico di Bottegone ed aggredito nel teatro del paese il cattolico Pagnini203.
Stessa sorte toccava al parroco di Piteglio Don Pellegrineschi204. A Montemagno venivano occupati il
circolo e la cooperativa cattolica205. A Lamporecchio veniva allontanato dal paese il segretario comunale
perché popolare206. Lo stesso Lenzi in novembre si preoccupava di invitare i fascisti a cessare le
violenze, perlomeno quelle “non autorizzate” dal P.N.F. pistoiese, in esecuzione alle direttive nazionali
volte a presentare un fascismo rispettabile, ottenendo però scarsi risultati 207 . Il 25 dicembre a
Montemagno subiva la purga con l’olio di ricino il vicepresidente del circolo giovanile cattolico
Giovanni Noci ad opera di fascisti guidati da Marino Chiti ed il 27 il cassiere della cassa rurale Callisto
Bellini veniva picchiato insieme al figlio Corrado. Le violenze fasciste a Montemagno continuarono
anche in gennaio. Il 18 veniva di nuovo imposta la chiusura del circolo cattolico. Il 27 veniva addirittura
bastonato il vicedirettore del seminario vescovile di Pistoia insieme ad un altro cattolico, Aquilino Noci,
e la sera una spedizione veniva fatta nei locali del circolo, dove i fascisti, presentatisi con una lista di
ricercati, imponevano ancora una volta la chiusura e trattenuti all’interno tre cattolici, presenti nella
lista, li insultavano e picchiavano. Il 29 le camice nere di Chiti si recavano alle case di Aquilino Noci e di
Corrado Bellini intimando il ritiro delle denunce e la sera a Quarrata venivano purgati due soci del
circolo cattolico di Montemagno208. Da Natale fino a Pasqua sono segnalate tensioni tra i fascisti e i
popolari di Tobbiana209. Il 27 gennaio subiva un’aggressione a mano armata anche il parroco di San
200
«La violenza, oltre ad essere una componente fondamentale dell’ideologia e del discorso fascista, servì al governo
per guadagnare e stabilizzare il consenso attraverso la paura e per liberare il campo da possibili avversari. L’obbiettivo
della normalizzazione e anche quello del controllo dello squadrismo fascista da parte di un potere centrale […] andava
di pari passo con la consapevolezza dell’importanza della violenza e della minaccia come mezzi per stabilizzare il
consenso e per imporre la propria strategia di governo». G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. pp. 176-177.
201
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 559.
202
La bandiera del popolo, 10 dicembre 1922.
203
Ibidem.
204
La bandiera del popolo, 24 dicembre 1922.
205
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 558. La bandiera del popolo, 12 novembre 1922.
206
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 568. La bandiera del popolo, 19 novembre 1922.
207
La bandiera del popolo, 12 novembre 1922.
208
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 561.
209
ASP, Sottopref. b. 68 doc. 669. ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 670.
53
Piero a Agliana, che si rifiutava di bere l’olio di ricino e veniva quindi percosso210. Il 3 febbraio una
relazione del sottoprefetto segnalava come pericolosa la situazione fra cattolici e fascisti ad Agliana,
Quarrata, Montemagno, Casalguidi e Catena 211 . Ancora l’11 marzo il prete di San Marcello Don
Pellegrineschi subiva una visita notturna delle camice nere alla canonica a scopo intimidatorio212.
Come si vede già da questa prima rassegna di episodi, le violenze squadristiche a Pistoia e nel suo
circondario si spingono ben oltre la marcia su Roma. Per tutto il 1923 continuano le azioni delle
squadre. Le vicende del pistoiese confermano la tesi secondo cui nella fase post-marcia la violenza
politica fosse il risultato sia di conflitti interni allo squadrismo ma anche, ed ancora una volta, di una
precisa volontà di colpire i residui delle forze antifasciste. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad un
riprodursi della strategia di attacco diretto contro gli individui abbinata all’occupazione del territorio213.
Tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923 il governo di Mussolini riorganizzò parte degli apparati armati
dello stato. Il 31 dicembre del 1922 veniva sciolta la Guardia Regia, invisa a molti fascisti, che veniva di
fatto sostituita il 5 gennaio del 1923 dalla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale214. Si cercava di
mettere sotto controllo l’azione delle squadre nell’ottica della “normalizzazione”. Non per questo però
le violenze venivano a cessare. Da ora in poi spesso saranno gli stessi militi della M.V.S.N. a rendersi
protagonisti delle azioni, rafforzati dal rappresentare a tutti gli effetti l’autorità statale. Inoltre molti
squadristi erano recalcitranti all’assorbimento nella milizia, e la sua costituzione non decretò
l’immediato scioglimento delle squadre d’azione. A Pistoia ancora a marzo permaneva l’organizzazione
squadrista215.
Il 22 febbraio i componenti della neocostituita milizia compirono subito una spedizione a San Marcello,
ancora memori degli scontri del luglio 1921. La dinamica ricalca nelle linee generali quanto avvenuto
quasi due anni prima. Un camion con circa 15 militi della M.V.S.N. comandati dal segretario del P.N.F.
pistoiese Enrico Spinelli si era recato la mattina a Cutigliano per una riunione con i segretari di
Mammiano e San Marcello. Durante il viaggio di ritorno il camion fece sosta nella piazza di San
Marcello. Qui lo Spinelli ed i suoi militi percossero l’operaio Lorenzo Fini, il presidente della
cooperativa socialista Giuseppe Bernardini ed il bracciante Giovanni Catani. La stessa sorte subiva
Renato Bellucci, segretario della sezione del P.P.I. di San Marcello, intervenuto in soccorso del
Catani216. Il giorno precedente lo Spinelli aveva rilasciato delle dichiarazioni che rendono perfettamente
l’idea di quali fossero, a suo avviso, le funzioni della M.V.S.N.
210
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 558. M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p.113. G. PETRACCHI, Pistoia dalla
prima alla seconda guerra mondiale…, cit. p. 429.
211
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 558.
212
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 552.
213
Cfr: G. ALBANESE, La marcia su Roma…, cit. p. 175.
214
Ivi pp. 178-179.
215
ASP, Sottopref. b. 68 doc. 575.
216
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 6, doc. 7, doc. 8, doc. 9, doc. 10, doc. 11, doc. 12 e doc.14.
54
«Ho avuto autorizzazione da S.E. Mussolini direttamente, di agire come meglio credevo nella Montagna
Pistoiese, e durante le elezioni, se occorre, occuperò i vari paesi della Montagna con la Milizia per
tenere tutto a posto»217.
Le azioni continuarono nei mesi seguenti. Nei primi giorni di maggio i militi ancora effettuano ronde
notturne per la città «a scopo dileggio». Durante una di queste vengono danneggiati il teatro Politeama e
il cinematografo Eden. Alle ronde partecipava anche Antonio Lavarini, proprietario del noto emporio
cittadino. Il sottoprefetto faceva presente ai propri superiori che nel caso «la situazione dovesse
aggravarsi sarò costretto chiedere rinforzi per mantenimento ordine pubblico non potendo usare milizia
nazionale per ragioni ovvie» 218 . La mattina del 6 maggio il dottor Virginio Tesi, presidente
dell’associazione nazionale combattenti, veniva fermato per le vie del centro, diffidato a circolare dopo
le ore 20 «pena bastonate e maggiori guai»219. La sera dell’8 in piazza del Duomo a Pistoia alcuni militi
fermavano un passante, qualificatosi come un socialista di Livorno, ed appena appresa la sua
appartenenza politica iniziavano a percuoterlo. Non solo. Dopo il primo trattamento il malcapitato
veniva portato al Bar centrale dove era lasciato nelle mani di alcuni fascisti, fra cui uno, tale Vincenzo
Biagi, che era stato addirittura espulso dal P.N.F. Qui veniva ulteriormente bastonato. Due ufficiali
dell’esercito ed un altro della M.V.S.N. intervenuti per fermare l’aggressione furono ammoniti di non
immischiarsi negli affari dei fascisti. Alcuni minuti dopo membri della milizia e fascisti in borghese
avviavano un alterco con gli ufficiali che terminava solo in seguito all’intervento dello Spinelli220.
Al teatro Manzoni il centurione della milizia e segretario del fascio di Casalguidi Marino Chiti, piccolo
Ras locale della zona compresa fra Casalguidi e Quarrata, insieme ad un’altro fascista allontanavano dal
palco reale del teatro un socio dell’associazione nazionale mutilati ed invalidi di guerra, perché
antifascista, che aveva diritto al posto in base ad una convenzione tra il teatro e l’associazione221.
Nella notte fra il 4 ed il 5 maggio un’azione fascista, pare guidata dal tenente Umberto Toni della
M.V.S.N. ma commissionata dallo Spinelli, viene diretta contro la sede della loggia massonica
217
Il Commissario prefettizio del comune di San Marcello, filofascista, avvertiva la contraddizione tra le funzioni di un
organo dello Stato e l’uso politico che ne facevano i fascisti, commentando così le parole dello Spinelli e gli incidenti
del 22 febbraio. «Qui abbiamo adunque una cattiva interpretazione del funzionamento della Milizia, è un impiego
abusivo di essa. La Milizia non può certo essere impiegata per propaganda elettorale, e per commettere atti di violenza,
di vendetta, di sopraffazione; e non può essere alle dipendenze di un Segretario politico che arbitrariamente ne disponga
a suo capriccio. Se così fosse, non sarebbe che una guardia pretoriana, ed invece della rigenerazione e ricostruzione
Nazionale s’andrebbe incontro rapidamente allo sfacelo, all’anarchia. Per carità di Patria, per l’interesse del Paese che
ora collima con la buona organizzazione del Partito Fascista, e buona riuscita del grave compito che si è assunto, io
invoco che sia mantenuta salda la disciplina non soltanto con richiami in discorsi o con parole, ma colpendo
esemplarmente ogni più piccola infrazione, perché dalla Milizia Volontaria, dal Partito Fascista, deve partire il buon
esempio per tutti». ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 12.
218
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 527.
219
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 522. Le minacce al Tesi sembra provenissero dal tenente della Milizia Umberto
Toni. Cfr: Sottopref. b. 68 doc. 747.
220
ASP, Sottopref. b. 68 doc. 754.
221
Alle proteste del presidente dell’associazione il comandante della legione della milizia opponeva che «se il gesto del
Chiti era in certo modo censurabile per il luogo dove si era svolto (potendo dar luogo ad incidente clamoroso) era però
giustificato dal legittimo sdegno di vedere assiso nel palco delle LL. MM. chi professa idee contrarie alla Real Casa ed
alle nazionali istituzioni». ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 2, doc. 3 e doc. 4.
55
“Ferruccio”, da cui vennero asportati vari documenti, i verbali e l’elenco dei soci, materiali che
torneranno utili in seguito nella lotta politica interna al P.N.F. pistoiese. La stessa notte, forse anche a
scopo diversivo, venne spezzata l’insegna de Il nuovo giornale222.
In montagna alcune sopraffazioni vengono compiute dai fascisti di San Marcello, Mammiano e
Gavinana nei confronti dei cattolici di Piteglio223.
A marzo e ad agosto intimidazioni e angherie vengono operate ai danni dell’On. Dino Philipson224, un
notabile liberale che aveva cavalcato e finanziato il fascismo per servirsene, rimanendone però poi
travolto. A settembre alcuni incidenti si verificano a Vicofaro intorno ad un asilo e ad un ricreatorio
festivo organizzati dal parroco del paese. I protagonisti sono fascisti di porta lucchese, fra i quali il
milite della milizia Fulgensio Lotti225. Il 30 settembre le elezioni amministrative a Treppio si svolgono
sotto l’attenta vigilanza delle camice nere, con il solito corollario di violenze226. Nel novembre sempre
Marino Chiti, dopo averlo fatto attentamente sorvegliare, dispone la chiusura del circolo ricreativo di
Cantagrillo227.
Nell’autunno esplode il conflitto interno al P.N.F. pistoiese tra Ilio Lenzi, strumentalizzato ed usato dal
Philipson, ed Enrico Spinelli. In quest’occasione i metodi propri del linguaggio politico squadrista
basato sulla violenza trovano attuazione in un conflitto interno al fascismo stesso. Ai primi di
novembre le due fazioni si affrontano apertamente. Il 5 Giuseppe Bendinelli, dimessosi dal fascio in
222
Lo Spinelli usò gli elenchi trafugati per far espellere dal P.N.F. i suoi oppositori iscritti alla massoneria. ASP,
Sottopref. b. 68 doc. 747 doc. 748 e doc. 749, ed anche ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 124, doc. 129, doc. 526, doc.
529, doc. 530, doc. 534 e doc. 535.
223
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 536, doc. 537 e doc. 538.
224
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 149.
225
Secondo la denuncia del parroco Ademaro Maggini i fascisti avrebbero preso di mira quelle istituzioni perché
cattoliche e si sarebbero recati per due domeniche consecutive a disturbarne le attività ed il 14 settembre avrebbero
anche terrorizzato i bambini e le maestre sparando un colpo di rivoltella in aria. La relazione del capitano Luigi
Sansone, comandante della compagnia dei Carabinieri, descrive gli eventi come molto meno gravi, quasi una bravata di
ragazzi. I fascisti si sarebbero recati a chiedere la consegna di un prosciutto, premio della fiera di beneficenza svoltasi
qualche giorno prima in paese, ed il colpo sparato in aria dal milite diciottenne non sarebbe stato di rivoltella bensì di
“castagnola”. ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 459, doc. 460, doc. 461 e doc. 462,
226
Secondo una denuncia anonima pervenuta al sottoprefetto «Le elezioni amministrative svoltesi in Treppio – Comune
di Sambuca – ebbero una astenenza di voti di circa più di 200 sopra un 600 elettori. L’astensione provocata della
maggioranza degli elettori fu per causa di voto vincolato sopra scheda unica, più per le sopraffazioni fatte dai fascisti i
quali si permettevano di stracciare schede contrarie, percuotere coloro che reagivano a simili abusi ed arrivarono
perfino a perquisire gli elettori prima che fossero entrati in coda di voto. La maggioranza degli elettori a simili oltraggi
si rifiutò ostinatamente dall’urna, ritornando ognuno alle proprie abitazioni. I fascisti presero nota di parecchi astenenti
vociferando che domenica prossima 7 ottobre interverranno numerosi in questo paese per minacciare e percuotere. Noi
onesti e liberi Cittadini rivolgiamo preghiere alla S.V. affinché provveda in merito, come persona responsabile
dell’ordine pubblico». L’anonimo era firmato «la maggioranze elettorale». Il sottoprefetto chiese informazioni al
comandante dei Carabinieri, preoccupandosi di fornire insieme un nome già confezionato, quello del comunista Battelli
Giuseppe, a cui attribuire la colpa della denuncia. La risposta dei Carabinieri ha dell’incredibile ed è un esempio
chiarissimo della copertura totale di cui godevano oramai i fascisti. «Alle elezioni in Treppio assistettero solo 5 fascisti i
quali permisero che le persone sovversive svolgessero propaganda antinazionale nella sala delle elezioni e solo uno di
costoro, più accanito, fu fatto uscire dalla sala stessa mentre invece qualsiasi altro elettore poteva votare liberamente».
ASP, Sottopref. b. 69.
227
La relazione del Chiti ci informa che il circolo era già stato devastato nel 1921. ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 35.
56
solidarietà con il Lenzi espulso228, offese in un ritrovo pubblico, con l’evidente scopo dunque di farsi
sentire, Enrico Spinelli ed i fascisti Umberto Toni, Alvaro Zoppi e Silvio Landi. La sera lo Spinelli si
recò a casa del Bendinelli per avere spiegazioni. Il colloquio fu concitato, tanto che gli altri tre fascisti
riuscirono ad udirlo dalla strada. Sul momento comunque la cosa finì lì, anche se il Bendinelli alla fine si
affacciò alla finestra sfidando gli altri ad un confronto la mattina successiva alla stazione. Cosa che
puntualmente avvenne. La mattina alle 6 si scontravano alla stazione Bendinelli, Zoppi, Landi, Toni ed
altri. Il Bendinelli veniva percosso e bastonato. Qualche ora dopo, presso il negozio di Ilio Lenzi in
piazza Cino, gli stessi fascisti protagonisti dell’episodio alla stazione venivano a diverbio con un altro
sostenitore del Lenzi, diverbio che degenerava subito in rissa. Il Lenzi intervenne armato di un bastone
di metallo ferendo gravemente Alvaro Zoppi ed avendo poi a sua volta la peggio. Rimaneva ferito
leggermente anche Umberto Toni, mentre Ilio Lenzi e suo padre Carlo venivano temporaneamente
arrestatati. Rimesso in libertà, il primo si sarebbe dato subito alla latitanza. Frattanto in ospedale la
moglie del Bendinelli pugnalava il fascista Giovanni Landi tentando di aggredire anche il Toni e
Leopoldo Bozzi229.
Lo scontro tra le due fazioni si estendeva anche nelle campagne. Di nuovo il controllo del territorio
diventava un fattore rilevante per determinare l’esito dello scontro politico. A Casalguidi si
contrappongo Marino Chiti e Ugo Fedi. Il Chiti chiese l’espulsione del Fedi dalla milizia e dal partito
perché indisciplinato e dedito al vino mentre il Fedi accusò il Chiti di irregolarità nell’amministrazione
del fascio. La ricerca di protezioni ed appoggi da parte dei due contendenti fece si che il piccolo scontro
locale diventasse una pedina della più generale partita fra Lenzi e Spinelli. Il Chiti si schierò con il primo
mentre il Fedi cercò rifugio nell’area spinelliana. La sera di Natale durante una festa al cinematografo di
Cantagrillo una lite fra il fratello del Chiti, Alabindo, ed un militare venne sedata per l’intervento del
Fedi, che impedì ad Alabindo di lanciare uno sgabello. L’atto fu considerato un’offesa e preso a
pretesto da Marino Chiti. Riuniti una trentina di militi e fascisti in borghese si recò a Cantagrillo alla
ricerca del Fedi e del suo gruppo per arrivare ad uno scontro, circostanza evitata dall’intervento dei
Carabinieri230.
L’uso della violenza organizzata militarmente si era radicato al punto tale da essere utilizzata anche fuori
dalle lotte politiche. A dicembre i fascisti di Quarrata, Tizzana e Carmignano impiegano l’esperienza
squadrista a fini privati. Recatisi in quindici di notte a casa del contadino Natale Lunardi a Bacchereto,
fingendosi Carabinieri, penetrano in casa armati e minacciando di morte la famiglia costringono il padre
ed i quattro figli a firmare una dichiarazione in cui si impegnano a non prendere a mezzadria un fondo
228
Dopo varie vicissitudini alla fine il Lenzi fu espulso dal P.N.F., dopo che aveva cercato di convincere un altro
espulso a bastonare il capo squadra della milizia Zoppi Alvaro. L’azione fascista, 10 novembre 1923. ASP, Sottopref.
b. 68 doc. 122.
229
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 134 e doc. 135. L’azione fascista, 10 novembre 1923.
230
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781.
57
venutosi a trovare libero a causa della disdetta del contratto. Intimano poi al loro accompagnatore, tale
Balli, di non far parola della spedizione pena la morte231.
Alla fine del 1923 il dominio del fascismo a Pistoia e nel circondario è ormai totale e si esplica su ogni
aspetto della vita pubblica. Solo il P.P.I. continua a svolgere in sordina la sua attività. A novembre per il
sottoprefetto a Pistoia e nella sua giurisdizione non esistevano più giornali sovversivi. L’impatto del
“biennio nero” sulla stampa locale era stato pesantissimo. Dei numerosi giornali pubblicati a inizio anni
’20 ne restavano in vita solo quattro: L’azione fascista, con una tiratura di 2.500 copie; Il popolo pistoiese,
che fiancheggiava apertamente il governo e l’amministrazione comunale fascista, diretto dall’Avv.
Giannino Giannini, iscritto al P.N.F., con una tiratura ridotta ad 800 copie; Il commercio pistoiese, giornale
prettamente economico che si teneva alla larga dalle questioni politiche e diretto da un’affarista di
dubbia moralità, con una tiratura di 300 copie; infine La bandiera del popolo, l’unico foglio locale non
allineato, di impostazione sturziana, critico verso il fascismo ma, come abbiamo visto, in maniera molto
moderata, unico reale concorrente al periodico fascista con la sua tiratura di 1.500 copie232.
Nello stesso mese il sottoprefetto assicurava che «in questo Circondario finora non si sono manifestati
sintomi di ripresa di attività da parte di gruppi contrari al Governo e alle idealità nazionali», mentre già
cominciava l’emigrazione politica, dato che alcuni “sovversivi” «pare abbiano trovato rifugio in Francia,
riuscendo a varcare la frontiera senza passaporto. Ignorasi in quali città essi abbiano preso dimora»233.
231
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc. 38, doc. 41, doc. 42, doc. 43, doc. 44, doc. 45, doc. 46, doc. 47, doc. 48, doc. 49,
doc. 50, doc. 51, doc. 53, doc. 54, doc. 55, doc. 56, doc. 58, doc. 59, doc. 60, doc. 61, doc. 62 e doc. 63.
232
ASP, Sottopref. b. 68 f. 781 doc.________ e doc. 163.
233
ASP, Sottopref. b. 68 doc. 652 e doc. 654.
58
Lo sviluppo quantitativo e territoriale dei Fasci
Come abbiamo visto dopo una fase di incubazione durante il 1920, all’inizio del 1921 il fascismo a
Pistoia si costituisce ufficialmente come forza politica organizzata. Permangono a tutt’oggi incertezze
sulla data esatta di fondazione del Fascio di combattimento pistoiese. Un primo direttorio era già stato
costituito da Nereo Nesi il 26 dicembre 1920, e come abbiamo visto il giorno prima Il popolo pistoiese
aveva riportato in un trafiletto un comunicato del Fascio di combattimento. La costituzione ufficiale
sembra essere avvenuta il 22 gennaio del 1921, anche se alcune fonti parlano del 13 dello stesso mese,
differenze comunque sia minime234. La cittadinanza veniva informata con un manifesto del fascio del 1
febbraio che era un esplicito richiamo alle passioni mobilitanti di cui parlavamo ed alla nazione come
valore supremo: «Anche in Pistoia – come nelle città consorelle – è sorto il Fascio di combattimento
per opporsi ad ogni estremismo fazioso nelle competizioni economiche, politiche e sociali. I fascisti
non tutelano gli interessi di un partito o di una singola classe. L’opera nostra sarà a tutela di chiunque
sia minacciato di sopraffazione e non useremo la violenza, se non quando essa sia necessaria per
respingere la violenza altrui. Noi che abbiamo contribuito – con le nostre modeste forze – sui Campi di
Battaglia, ad integrare l’Italia nei suoi confini naturali, non possiamo permettere che la Patria nostra
diletta sia alla mercé di pochi energumeni i quali per ambizioni personali tentano di spezzare la
compagine della Nazione convalescente dalla lunga guerra, trasformando la lotta d’idee in sanguinose
lotte tra le persone. Alla distruzione sistematica tentata da alcuni nel dopo guerra, urge contrapporre
un’assidua opera di ricostruzione!... Sorga ed insorga la parte più sana del Paese per elevare la coscienza
Nazionale, prenda parte attiva alla moralizzazione della famiglia, alla maggior considerazione della
scuola, al consolidamento delle industrie e dei commerci, allo sviluppo delle arti, allo studio delle
discipline scientifiche, concorrendo così a valorizzare i prodotti della Vittoria! Cittadini! Noi non
ricorriamo alle ciarle da comizio, vi diciamo semplicemente: tutti coloro, cui sta a cuore l’avvenire della
Patria e preme che non sia manomesso il diritto e la libertà, possono trovar posto tra noi per rendersi
utili al Paese»235.
L’organizzazione all’inizio era ancora stentata tanto che le prime riunioni venivano fatte nelle case degli
stessi aderenti fino a quando l’antica e nobile famiglia dei Cancellieri fornì una sede nella omonima
via236.
All’inizio il Fascio di combattimento contava 100 iscritti, che già a maggio erano più che triplicati
raggiungendo quota 350. Come riporta Petracchi, il 26 maggio 1921 erano già nate sei sottosezioni che
234
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 76. R. RISALITI, Nascita e affermazione del fascismo…, cit. p. 46.
ASP, Sottopref. b. 63. Le maiuscole sono nel testo. Il richiamo alla violenza come strumento politico è immediato,
accompagnato dalla dichiarazione di usarla solo come reazione, in maniera difensiva. Il punto però era poi che per i
fascisti era una “violenza” contro la nazione la mera esistenza degli avversari, a cui si doveva reagire. Il manifesto
proclamava i fascisti come i custodi della vittoria nella guerra, e identificava i membri del Fascio con i combattenti.
236
M. FRANCINI, Primo dopoguerra…, cit. p. 76.
235
59
comprendevano 313 aderenti così ripartiti: 25 a Corbezzi; 43 a Cutigliano; 120 a San Marcello; 35 a
Pracchia; 60 a Piteglio e 30 a Lamporecchio. Il numero totale dei fascisti del circondario pistoiese
ammontava quindi a circa 663. Nella Valdinievole, allora in provincia di Lucca, i fasci erano presenti a
Montecatini, Pescia, Monsummano e Buggiano.237
Purtroppo per il circondario pistoiese non possediamo altre statistiche intermedie che ci permettano di
ricostruire con precisione l’andamento delle adesioni ai fasci, come ha fatto Renzo De Felice per tutte e
71 le province italiane238. L’unico altro dato si riferisce esattamente ad un anno dopo, cioè al 31 maggio
1922, ma è comunque assai significativo.
La rilevazione fu compiuta dal capitano dei Carabinieri Mazzone ed inviata dal sottoprefetto Rebua al
prefetto di Firenze. Rispetto all’anno precedente lo sviluppo dei fasci è imponente. Fra sezioni e
sottosezioni si contano ormai 20 sedi di fasci e gli iscritti ammontano a 3.291, cifra arrotondata dal
sottoprefetto a 3.400. Nel dettaglio la relazione dei Carabinieri ripartisce così i fascisti239.
Indicazione associazione
Comune
Sede
Numero degli iscritti
Sottosezione
San Marcello
Mammiamo Pistoiese
30
Sottosezione
San Marcello
Gavinana
60
Sottosezione
San Marcello
Bardalone
50
Sottosezione
Pistoia
Pracchia
70
Sottosezione
Pistoia
Piteccio
50
Sottosezione
Cutigliano
Cutigliano
70
Sottosezione
Serravalle
Serravalle
40
Sottosezione
Larciano
Larciano
145
Sottosezione
Agliana
Agliana San Piero
60
Sottosezione
Montale
Montale
150
Sottosezione
Serravalle
Casalguidi
200
Sottosezione
Tizzana
Quarrata
60
Sottosezione
Lamporecchio
Lamporecchio
91
Sottosezione
Marliana
Marliana
50
Sottosezione
Marliana
Casore del Monte
45
Sottosezione
Marliana
Avaglio
30
Sezione
Pistoia
Pistoia
2.000
Sottosezione
Pistoia
Corbezzi
60
Sottosezione
Tobbiana
25
Sottosezione
Momigno
5
237
La sezione di Montecatini contava 300 iscritti, più una sezione femminile di 40 iscritti. A Pescia i fascisti sono 150,
a Monsummano 60 e a Buggiano 110. G. PETRACCHI, 28 ottobre 1922 e dintorni…, cit. p. 664.
238
R. DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere…, cit. pp. 8-11.
239
Il sottopretto riporta un totale di 3.361 fascisti e l’arrotonda poi a 3.400. In realtà tale cifra è errata, in quanto il
sottoprefetto deve aver probabilmente sbagliato il conteggio o la trascrizione del risultato. La cifra reale che si desume
sommando i numeri della tabella compilata dal capitano Mazzone è infatti di 3.261, cioè inferiore di 100 unità. Noi
abbiamo riportato la cifra di 3.291 aggiungendovi due dati inseriti a mano sempre dal sottoprefetto sul documento
originale che sono evidenziati in corsivo in fondo alla tabella qui elaborata. Cfr: ASP, Sottopref. b. 69 doc. 453.
60
La precisione di questi dati ci permette di elaborare anche un prospetto dell’impatto della presenza
fascista sul totale della popolazione240.
Popolazione al censimento del 1921
Comune
Numero dei fascisti al 31 maggio
1922
%
Agliana
5.772
60
1,03
Cutigliano
3.276
70
2,13
Lamporecchio
6.487
91
1,40
Larciano
5.412
145
2,68
Marliana
4.794
125
2,61
Montale
5.463
175
3,20
Pistoia
72.748
2.185
3,00
Quarrata
13.766
60
0,43
San Marcello
9.074
140
1,54
Serravalle
8.020
240
2,99
Totale popolazione dei 10 comuni
134.812
3.291
2,44
Totale popolazione del circondario
146.204
3.291
2,25
In 16 mesi le sedi sono dunque passate da 7 a 20, in pratica triplicano, ed ancora più impressionante è il
dato del numero degli iscritti, che aumentano nello stesso lasso di tempo di ben 33 volte. Uno sviluppo
rapido e impetuoso. Le percentuali sulla popolazione ci indicano che esso rimane comunque un
fenomeno che interessa una netta minoranza, ed anche se si potesse computare nel conteggio l’area,
difficilmente quantificabile, dei simpatizzanti e dei fiancheggiatori non sembra che la situazione sia
passibile di un ribaltamento. Non appare quindi possibile parlare già da ora di “consenso”, intendendo
col termine un’adesione estesa, un’accettazione di massa del fascismo, un “comune sentire” diffuso in
tutti gli strati del paese, problema che va semmai impostato per gli anni seguenti della dittatura. Il
discorso va mantenuto all’interno della crescita di quello che, per gli standard dell’epoca, rappresenta il
movimento politico che raccoglie indubbiamente le adesioni più ampie, tali da creare un solco enorme
con le forze antifasciste. Da questo punto di vista, anche questi dati ci confermano che il fascismo
seppe affascinare e mobilitare, intercettare stati d’animo ed organizzarli in maniera funzionale alla sua
azione. Basta rapportare queste cifre al numero complessivo degli iscritti al partito socialista, che alla
vigilia del biennio rosso vantava alle spalle una storia pluridecennale, per comprendere le dimensioni del
fenomeno. Nel 1919 a Pistoia gli iscritti al PSI erano soltanto 437241. Anche a Pistoia il fascismo è
diventato il più grande movimento di massa mai esistito fino ad allora, presente nella sua forma
peculiare di organizzazione politico-militare in 10 dei 12 comuni del circondario. Non è ancora il
240
I dati sulla popolazione sono stati presi da A. MORELLI, L. TOMMASINI, Socialismo e classe operaia a Pistoia
durante la prima guerra mondiale, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 13. I valori sul numero dei fascisti della precedente
tabella sono stati aggregati per comune, imputando Momigno al comune di Pistoia e Tobbiana a quello di Montale.
241
A. MORELLI, L. TOMMASINI, Socialismo e classe…, cit. p. 187.
61
“regime reazionario di massa”, ma le sue dimensioni indicano senza ombra di dubbio che è riuscito ad
aggregare intorno a sé un blocco come nessuno dei suoi concorrenti era riuscito a fare. Un trend che
ripropone quanto sta avvenendo in Italia, dove «in circa 18 mesi il fascismo diviene la principale forza
politico-militare»242. E che il fascismo a Pistoia abbia trovato un florido terreno di coltura è confermato
anche dal fatto che la percentuale dei fascisti sul totale della popolazione pistoiese, il 2,25 %, è superiore
sia alla quota percentuale dei fascisti, alla stessa data, sul totale della popolazione italiana, lo 0,81 %243,
sia a quella dei fascisti toscani rispetto agli abitanti della regione, che si attesta all’ 1,82 %.
Se si sposta lo sguardo ad un confronto più ampio si colgono altre differenze ed elementi importanti244.
Su base nazionale i fascisti passano dagli 80.476 aderenti del 31 marzo 1921 ai 187.098 del 31 maggio
dello stesso anno. Un anno dopo, il 31 maggio 1922, sono 322.310. Quindi fra il marzo e il maggio del
‘21 sono più che raddoppiati, mentre nei 14 mesi che intercorrono fra la prima e la terza rilevazione il
loro numero quadruplica. In toscana nelle stesse date di rilevazione si passa dai 2.600 ai 14.340 per
arrivare infine a 51.372, in pratica un aumento di 5 volte e mezzo fra le prime due rilevazioni e di 20
volte fra la prima e l’ultima. La crescita del fascismo pistoiese in proporzione appare quindi superiore,
anche se c’è da dire che nella rilevazione pistoiese fra il primo ed il terzo dato intercorrono due mesi in
più, 16 invece che 14. Se i fascisti toscani fra il marzo e maggio del 1921 crescono di 5 volte e mezzo,
quelli di Pistoia aumentano di 6 volte e mezzo fra gennaio e maggio, mentre all’aumento complessivo di
20 volte dei fascisti toscani corrisponde un aumento di 33 volte di quelli pistoiesi.
A Lucca dai 405 del 31 marzo 1921 si arriva ai 1.731 del 31 maggio per giungere un anno dopo a 4.159.
Un aumento iniziale di 4 volte e complessivo di 10. Anche in questo caso la crescita delle adesioni al
fascio pistoiese rispetto alla città limitrofa appare più sostenuta. Da rilevare che nonostante la differente
estensione territoriale ed importanza cittadina i fascisti di Pistoia sono pari a tre quarti di quelli di
Lucca, a testimoniare ancora una volta l’esistenza di un contesto favorevole. Nella provincia di Firenze,
che più ci interessa perché comprensiva anche dei dati del circondario di Pistoia, si passa da 500 a 6.353
fino ad arrivare a 20.880. Il dato è superiore a quello del pistoiese in entrambi i casi, rispettivamente un
aumento di quasi 13 e 42 volte. La travolgente crescita del fascismo fiorentino, più volte evidenziata
dalla storiografia, si nutre anche di quella del fascismo pistoiese, anzi il dato ci conferma uno stretto
legame fra il capoluogo di provincia ed il circondario di Pistoia, che trae, come è evidente anche dalla
precedente esposizione delle spedizioni delle camice nere, forza, sostentamento, uomini e mezzi da
Prato e da Firenze. Si può dunque avanzare l’ipotesi che se il fascismo pistoiese è dotato di una sua
propria peculiare forza motrice, la spinta in avanti del fascismo fiorentino ed i fattori imitativi e di
242
M. PALLA, Lo Stato fascista, a cura di, Milano, La nuova Italia, 2001, p. 11.
Il dato nazionale va comunque preso con cautela, stante i forti squilibri territoriali che fanno del fascismo un
fenomeno radicato soprattutto nel centro-nord, con le significative eccezioni della Puglia e di Napoli, mentre nel resto
del sud e nello isole il suo radicamento è successivo alla marcia su Roma.
244
I dati che usiamo per i raffronti sono stati tratti da M. PALLA, Lo Stato fascista…, cit. pp. 60-78. R. DE FELICE,
Mussolini il fascista. La conquista del potere…, cit. pp. 8-11.
243
62
trapiantazione non sono comunque trascurabili, anzi il rapporto di interdipendenza è reciproco.
L’esplosione del fascismo fiorentino si trascina dietro quella del fascismo pistoiese nutrendosi a sua
volta di esso.
Il dato è evidente anche se confrontiamo l’aumento percentuale degli iscritti. Sul totale nazionale i
fascisti di Pistoia sono lo 0,12 % nel marzo del ’21, lo 0,35 % a maggio e balzano all’1,02 % al 31
maggio 1922. Alle stesse date i fascisti nella provincia fiorentina passano dallo 0,62 % al 3,39 % per
saltare poi al 6,47 %. Seppur in maniera più attenuata il fascismo pistoiese beneficia del balzo in avanti
provinciale. Anche su base regionale la percentuale segue un andamento di lenta crescita. Dal 3,84 %
del marzo ’21 le camice nere pistoiesi diventano il 4,62 % per poi risalire al 6,40% nel maggio ’22. Nel
frattempo la rappresentatività della provincia fiorentina in Toscana conosce uno sviluppo rapidissimo
passando dal 19,23 % al 44,30 % per assestarsi al 40, 64 % del maggio 1922. All’interno di questo
sviluppo provinciale il fascismo pistoiese si connota come altalenante, passando dal 20 % iniziale ad un
drastico ridimensionamento che lo riduce al 10,43 % per poi tornare al 15,76 %.
Un altro dato interessante per comprendere i caratteri del primo fascismo pistoiese ci viene dalla sua
ramificazione territoriale. La progressiva estensione sul territorio della presenza fascista è un dato
comune sia allo sviluppo nazionale del movimento, seppur con forti squilibri geografici, sia all’interno
della regione toscana e delle province di Firenze e Lucca. In Italia il numero delle sezioni fasciste passa
da 317 nel marzo 1921 a 1.001 nel maggio fino alle 2.124 del maggio 1922. In Toscana da 25 a 114 ed
infine a 411. Nella provincia di Lucca da 5 a 12 a 36. In quella di Firenze si va dalle 5 iniziali alle 9 del
maggio 1921 alle 133 dell’anno dopo. Le sedi dei fasci pistoiesi seguono anch’esse questa tendenza
moltiplicatrice. Quello che qui interessa mettere in evidenza è, semmai, il carattere peculiare del
circordario.
Come abbiamo visto nel maggio 1921 la sezione del Fascio di combattimento di Pistoia ha già dato vita
a sei sottosezioni, cinque di queste sono in territori montani. Solo la sottosezione di Lamporecchio è
fuori dall’arco appeninico. Queste sedi raccolgono un totale di 283 aderenti, pari al 42, 68 % degli
iscritti al fascio pistoiese. Nel maggio 1922 12 sedi su 20 sono in territori montani, più della meta. La
percentuale sugli iscritti nel circondario è scesa al 16,56 %, pari a 545 adesioni, ma se togliamo dal
conteggio i 2.000 fascisti attestati nel capoluogo circondariale per prendere in considerazione solo gli
iscritti nei piccoli centri il dato rimane pressoché invariato, infatti il 42,21 % degli aderenti al P.N.F.
risiede in zone montane. Le stesse azioni squadriste mettono in evidenza una particolare aggressità della
violenza fascista nei territori appenninici.
La massiccia presenza dei fascisti in una città di media-piccola dimensione come Pistoia conferma il
dato generale che il fascismo «è di massa e al tempo stesso “nazionale” […] solo in una parte ben
delimitata dell’Italia, più nei piccoli centri urbani che nelle metropoli» Al tempo stesso però, la non
trascurabile presenza di nuclei considerevoli di camice nere sull’appennino se non smentisce,
63
rimanendo comunque una presenza di minoranza, l’affermazione che lo squadrismo sia un fenomeno
più di pianura che collinare o montano245, mette in luce una particolare presenza che fin’ora non è stata
spiegata. Una presenza che a quanto pare doveva poi rivelarsi per certi aspetti decisiva al momento della
marcia su Roma. In quei giorni infatti almeno 19 squadre arrivarono ad occupare Pistoia dalla
montagna, mentre non pare irrilevante il contributo dato dai fascisti montani a quelle che partirono alla
volta della capitale246. Nei limiti dello spazio qui disponibile indichiamo fra le possibili cause diversi
elementi. In primo luogo non va trascurato un dato oggettivo, e cioè la netta predominanza delle aree
montane su quelle pianeggianti rispetto alla superficie complessiva del circondario. All’epoca quella
montane era un’area al tempo stesso dinamica ed in arretrata. Infatti fra il 1901 ed il 1921 la
popolazione della montagna aveva conosciuto un aumento demografico considerevole 247 , quindi
lontana da fenomeni di spopolamento, con una popolazione sparsa in numerosi piccoli centri. Rispetto
alle zone pianeggianti, dove prevaleva seppur di poco la mezzadria, sugli appennini era diffusa la piccola
proprietà contadina in forma di modestissimi appezzamenti a conduzione diretta, che però non
producevano abbastanza da garantire il sostentamento dei nuclei familiari, e si basavano su forme di
conduzione arcaiche. Mancava dunque una classe medio-piccola di proprietari terrieri che lasciava il
posto a situazioni ibride in quanto molti contadini erano costretti ad integrare i loro redditi con altre
mansioni nella pastorizia, nel bracciantato o addirittura nell’industria, data la presenza sparsa degli
stabilimenti della SMI in varie località. Contemporaneamente però era presente in misura massiccia la
grande proprietà terriera248. In montagna quindi si venivano a creare le condizioni per il dispiegamento
sia della reazione agraria sia di quella industriale, che come abbiamo visto non di rado fornì i mezzi alle
squadre fasciste, quando non aderì in prima persona ai fasci. Inoltre l’impatto della modernizzazione
industriale in territori chiusi ed economicamente arretrati, a cui si contrapponevano le classiche
resistenze della cultura contadina che viveva come un’umiliazione il passaggio da un lavoro autonomo,
sul proprio piccolo appezzamento, ad uno subordinato ed anonimo nell’industria, crearono le
condizioni perché circolasse un vasto senso di scontento a cui i fascisti attinsero a piene mani. A questo
proposito è stato notato che se da una parte la situazione del mondo contadino offriva possibilità di
azione alle forze che propugnavano miglioramenti sociali, dall’altra le campagne fornirono, fino alla
prima guerra mondiale, un bacino di voti per i conservatori249. La causa di questo apparente paradosso
potrebbe essere ricercata nella tradizionale tendenza ad ostacolare i rinnovamenti, e l’industrializzazione
245
M. PALLA, Lo Stato fascista…, cit. p. 16.
Sul numero effettivo dei partecipanti pistoiesi alla marcia su Roma si attende ancora una parola definitiva e
ponderata, stante le diverse versioni che forniscono i vari elenchi, inquinati anche dal fatto che negli anni del regime il
poter vantare di aver partecipato alla marcia era un titolo utile per farsi aprire molte strade. Un elenco pubblicato nel
1982 annovera 345 nomi, di cui 111 imputabili a residenti in località montane. Cfr: Pistoia e la sua provincia, N° 5,
ottobre 1982. A. CIPRIANI, Il fascismo pistoiese…, cit. pp. 36-37.
247
Nei comuni di Cutigliano, Marliana, Piteglio, Sambuca e San Marcello l’aumento era stato del 20, 47 %.
A. MORELLI, L. TOMMASINI, Socialismo e classe…, cit. p. 14.
248
Ivi pp. 17-32.
249
Ivi p. 32.
246
64
era uno di questi, da parte delle cultura contadina. In questo contesto una formazione politica come
quella fascista, caratterizzata da un’ideologia non definita, da spinte alla reazione accompagnate da
spinte al cambiamento, da un predominio dell’azione sulla teoria e da forti atteggianti populisti, poteva
trovare, e di fatto lo fece, ampi spazi in cui muoversi.
Per finire notiamo come nell’altra area del circondario, la zona pianeggiante e collinare intorno al
Montalbano, si riscontri una diffusione dei fasci abbastanza uniforme sia nelle zone tradizionalmente
“rosse” sia in quelle dove forte era il movimento cattolico delle leghe bianche e delle casse rurali. Unica
eccezione è costituita da Quarrata. Come si vede nella tabella nel maggio 1922 la sezione di Quarrata
contava 60 iscritti, pari allo 0,43 % della popolazione del comune. Il paese oppose una forte resistenza
ai fascisti, rinvenibile anche nelle cronache dell’epoca di parte antifascista che ne vantano sempre la
fiera resistenza. C’è da dire che a quanto pare le forze dell’ordine stanziate in paese non lasciarono
spazio ai fascisti, respingendoli, e dando luogo per questo anche alle loro lamentele ad alti livelli.
Un’altra testimonianza di quanto fosse “resistibile” l’ascesa del fascismo. Sembra di capire
dall’andamento delle spedizioni squadriste che il fascismo a Quarrata fu un fenomeno in larga parte di
trapiantazione, sostenuto in buona parte da Marino Chiti, con incursioni che, quando non venivano
respinte dalle autorità, cercavano di creare spazio ai pochi elementi fascisti locali, incapaci di un’azione
autonoma. A conferma di questa tesi c’è il fatto che la prima grave violenza squadrista si rinviene solo
nel luglio 1922, quando cioè il fascismo è ormai padrone del territorio e può concentrare le sue forze
nello scardinamento di quella che si configura come un’ultima isola. Si conferma dunque anche qui la
possibilità di fermare il fascismo se contrastato a dovere, specie da parte di chi avrebbe dovuto farlo.
65
Simbologia, violenza e politica al servizio di una nuova religione
Il fascismo mise dunque in campo un’azione in cui l’uso della violenza fu organico alla realizzazione di
un progetto politico. Abbiamo visto come il livello microstorico da noi analizzato rispecchi fedelmente
la dinamica di distruzione delle organizzazioni avversarie finalizzata alla presa del potere, prima locale e
poi nazionale, in un crescendo di violenze che segna anche le tappe del sempre più stretto controllo del
territorio.
Violenza e politica divennero una cosa sola e si arricchirono di un vasto apparato simbolico e rituale250.
Si andava strutturando una complessa liturgia che, lungi dall’essere un semplice orpello all’azione delle
squadre, dispiegava effetti aggreganti e significanti che sostanziavano l’essenza stessa della politica
fascista, avviata sulla strada della costruzione di se stessa come una religione politica, in cui simboli, riti,
atti e credo contribuivano a definire il passaggio dalla politica alla religione. Come scrive Emilio
Gentile: «La politica diventa una religione perché pretende di definire il significato ultimo dell’esistenza
individuale e collettiva attraverso un complesso di credenze, espresse per mezzo di miti, riti e
simboli»251.
I fascisti si consideravano i “crociati” della nazione ed «attuarono l’opera di propaganda della fede con
la pratica della violenza, mitizzata e sublimata come manifestazione di virilità e di coraggio, strumento
necessario per liberare la nazione dai suoi dissacratori. L’offensiva armata dello squadrismo contro il
proletariato, per i fascisti, era una santa crociata»252.
In quanto crociati, per i fascisti l’impegno nelle squadre assunse le caratteristiche di uno stile di vita
consono alla rivoluzione nazionale, «l’adesione ai fasci era vissuta come un atto di consacrazione della
propria vita alla patria»253. La violenza era parte organica di questo stile di vita. Osserva Nello che «la
violenza […] tendeva spesso, tra i nazionalrivoluzionari, a costituire non solo lo strumento
indispensabile e giusto per la realizzazione rivoluzionaria, bensì la rivoluzione stessa, nel momento in
cui si risolveva nell’intervento, nell’azione nella storia, nonché nella pratica del nuovo stile di vita,
ardito, “pericoloso”, romantico, avventuroso, “idealista”, perché negatore di ogni concezione
250
«La novità della politica fascista non risiedeva nella sola violenza o nella sua organizzazione militare, bensì nella
combinazione di queste caratteristiche con il rituale, come nel culto dei “martiri” del movimento». A. LYTTELTON,
Fascismo e violenza…, cit. p. 980.
251
E. GENTILE, Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. VII.
252
E. GENTILE, Il culto del littorio…, cit. p. 42.
253
Ivi p. 39. «Lo squadrista professionale ricorreva metodicamente alla violenza. La sua stessa esistenza si svolgeva in
forma itinerante, nella struttura cameratesca della squadra d’azione, da uno scontro all’altro, in diverse regioni d’Italia:
minoranza attiva e dinamica, contrappostasi alla “maggioranza amorfa dei sovversivi”». «L’esperienza politica era
vissuta come appartenenza a un gruppo coeso e solidale; lo scontro fisico veniva valutato quale espressione della
propria personalità e insieme adempimento di un’importante missione sociale». M. FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 9.
e p. 44.
66
materialistica e utilitaristica dell’esistenza singola e di gruppo, in nome della ricerca e della “conquista”
esclusiva dei “valori spirituali” dell’individuo e della nazione»254.
La violenza fascista puntava sulle emozioni, su rituali che già nell’azione delle squadre divennero
scenografie portatrici di una propria retorica255. L’incendio delle sedi degli avversari, i roghi di libri e
giornali, una pratica che prese l’avvio in Italia prima ancora che nella Germania nazista degli anni ’30,
l’asportazione dei simboli, delle bandiere, che richiamava direttamente alle pratiche militari di conquista,
l’inaugurazione dei gagliardetti, simbolo delle squadre e pretesto per molte spedizioni, divennero tutti
momenti di rappresentazione della rinascita della nazione ed al tempo stesso della rivoluzione
nazionale256. La conquista delle piazze, dei paesi e poi delle città, riconsacrate alla nazione, erano un
altro aspetto importante della contesa sia per il controllo del territorio ma anche per il controllo degli
spazi simbolici e dell’immaginario. Tutti elementi che abbiamo visto all’opera nella nostra indagine
microstorica, che vede non a caso la prima vera e propria azione fascista a Pistoia puntare alla conquista
della piazza dove si svolgeva il comizio della CGdL.
La violenza era uno sbocco concreto per le passioni mobilitanti, nelle squadre si creava un clima di
cameratismo, di fratellanza, di comuni emozioni, di azione condivisa. Per questo il successo delle
camice nere non può essere analizzato solo basandosi sulla loro forza militare. Ed è da questo punto di
vista che si può correttamente impostare il discorso sul consenso per gli anni dell’ascesa del fascismo.
La violenza e la sua ritualità furono condivise anche nell’opinione pubblica ed attrassero proseliti257. La
violenza si trasformò in estetica, il manganello divenne un simbolo di purificazione, le “spedizioni
punitive” divennero “operazioni di propaganda”. Le camice nere individuarono obiettivi simbolici
254
P. NELLO, La violenza fascista…, cit. p. 1015.
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 18. «I fascisti assegnarono al simbolismo politico una funzione
predominante nell’azione e nell’organizzazione, attribuendogli, nel linguaggio e nei gesti, espressione e significato
esplicitamente religiosi». E. GENTILE, Il culto del littorio…, cit. p. 40.
256
Senza comprendere l’importanza simbolica dei gagliardetti in questo senso mal si comprenderebbero anche missive
come quella del Sindaco di Marliana al sottoprefetto in merito alla proibizione della festa prevista dai fascisti per la
circostanza nel giugno del 1922: «Questo locale fascio di combattimento ha già da tempo disposto per l’inaugurazione
del gagliardetto il dì 11 giugno p.v. e sull’acconsentimento di questo ufficio che nulla poteva avere fino ad ora in
contrario, ha organizzato una festa assai notevole invitando i fasci vicini, i quali date le vie di accesso non sarebbero
certo venuti che in esigua rappresentanza. L’on Capanni che già ha fatto conoscere la sua adesione prendendo formale
impegno e qualche altro capo del partito, facendo all’uopo spese assai considerevoli nei preparativi. Ora dato che sui
quotidiani è stato letto un telegramma del Ministero ai prefetti, con cui si danno disposizioni affinché cortei e comizi
siano EVITATI, il segretario del fascio, rilevando che la parola EVITATI fa supporre un trattamento esclusivo come lo
avrebbe fatto supporre la parola PROIBITI, e che quindi doveva essere nella facoltà dell’autorità politica discernere
quando devesi permettere o no tali cortei, mi prega di farle presente tutto quanto, e in considerazione che la festa col
relativo corteo non può essere oggimai evitata se non proibendola, mediante atto di imperio, cosa che certamente il
Ministero non vuole. Chiedere alla S.V. il benestare a tale festa; tanto più che nel paese di Marliana organizzazioni
rosse non esistono e i fascisti non intendono molestare in modo alcuno i loro antagonisti, dediti per intero alla
inaugurazione del loro gagliardetto. Del resto danno assicurazione che l’ordine pubblico non sarà turbato in modo
alcuno e i discorsi occasionali saranno limitati nel numero e nel tono, onde togliere alla manifestazione di partito, tutto
quel sapore di battaglia e di attualità che appunto è qualche volta la causa unica dei disordini siano essi dovuti a questi o
quello. Per quanto riguarda l’ordine pubblico e le assicurazioni del Segretario del fascio, conoscendo i vari elementi che
lo compongono e la disciplina ben nota dei gregari, sono sicuro che ove la festa sarà permessa, nessun incidente sarà per
nascere, tanto più che il locale picchetto di RR. CC. potrà per l’occasione e per eccesso di prudenza essere rinforzato».
ASP, Sottopref. b. 69, doc. 739 e doc. 744.
257
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 55. e p. 66. P. NELLO, La violenza fascista…, cit. p. 1024.
255
67
dotati di forte richiamo e di carica emotiva, sia per i loro potenziali aderenti che per gli avversari. La
loro azione non era indiscriminata ma informata ad un assortito arsenale di messaggi258. La distruzione
delle Camere del Lavoro, l’assalto ai municipi che sventolavano la bandiera rossa, la trafugazione dei
simboli degli avversari, da una parte ristabiliva l’ordine agli occhi dei potenziali simpatizzanti del
fascismo, dall’altra affermava la vittoria sul nemico. Una traduzione sul piano simbolico di un altro
aspetto importante della violenza fascista, che emerge fortemente dall’indagine microstorica, il suo
essere cioè più mirata ad umiliare che ad uccidere, a metter l’avversario in ginocchio, in una condizione
da cui è difficile rialzarsi, villipeso e ferito, senza più forza e credibilità, sia esso un uomo o
un’organizzazione, anzi rafforzando la sconfitta sulle organizzazioni proprio a partire dal terrore e dalle
persecuzioni contro i singoli, come nei casi di Onorato Damen e del Barghini. Anche l’umiliazione
divenne un’arma politica, connessa alla violenza. I comportamenti remissivi e conciliatori non servivano
a placare la furia squadrista. I tanti sfottò, le beffe, le piccole scaramucce davanti al Bar centrale, le liti
nelle strade, le gogne pubbliche, miravano a quest’umiliazione che irradiava il suo messaggio e
diffondeva il senso della sconfitta, in un crescendo che alzava sempre più il tiro e portava ad esiti come
quelli che abbiamo visto nel caso di Bonelle, con i suoi abitanti in fuga disordinata nella notte, «dopo
mesi di pressione culminata in grandi operazioni attuate su larga scala con metodi militari, la sola vista
di fascisti armati piegava ogni resistenza e induceva a rese umilianti che impedivano ogni possibilità di
ripresa»259.
La simbologia e la ritualità fascista si espressero anche sul piano della coesione interna ed al tempo
stesso come strumento di fascinazione per attirare nuovi proseliti. Il gagliardetto ancora una volta
svolgeva un ruolo importante come simbolo del gruppo, ma anche il saluto, l’adozione, seppur tarda,
della camicia nera come divisa, le canzoni, la retorica del cameratismo. Si strutturava dentro alle squadre
un senso di comunità coesa e forte, temprata nella lotta, che non disdegnava momenti ludici e
ricreativi260. Comportandosi come una religione sincretica, il fascismo seppe pescare riti e simboli in
258
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 91. «Le spedizioni squadriste, al di là degli obiettivi di aggressione e di
distruzione, ebbero sempre anche carattere simbolico […] il manganello ed il fuoco furono i simboli terroristici della
violenza purificatrice dello squadrismo. Il manganello era come un talismano […], il fuoco era il simbolo della forza
distruttrice e purificatrice della violenza squadrista. Ogni spedizione si concludeva con il rogo pubblico dei simboli e
dei luoghi di culto dei nemici. […] compiuta la distruzione e la purificazione, seguiva la riconsacrazione della
popolazione e del luogo al culto della patria con una cerimonia di esposizione e venerazione della bandiera nazionale,
un pellegrinaggio al monumento o un rito fascista di consegna del gagliardetto, il vessillo delle squadre. Dopo la
conquista di una nuova zona, la cerimonia di benedizione del gagliardetto fu spesso presentata come rito simbolico della
redenzione della popolazione ricondotta alla fede nazionale». E. GENTILE, Il culto del littorio…, cit. pp. 43-44.
259
«La brutalità fascista conosceva il gusto della beffa, ma - sotto la cappa goliardica di alcune sue espressioni –
condizionava pesantemente gli avversari, sottoposti alla minaccia costante di azioni di forza, mediante una violenza
potenziale che da un momento all’altro si traduceva in vie di fatto». In merito alle umiliazioni Franzinelli scrive anche
che «trattamenti così barbari modificavano la percezione di sé e della propria immagine, pubblica e privata; la ripresa
dell’attività politica, dopo la sperimentazione di forme brutalmente raffinate di violenza, era problematica». M.
FRANZINELLI, Squadristi…, cit. p. 35. p. 78. e p. 81
260
«Molti squadristi credevano di essere coinvolti in una crociata per la riscossa nazionale […], per la maggioranza,
tuttavia, il motivo principale di un’attività ininterrotta non risiedeva forse molto in un cinico carrierismo o in un
idealismo patriottico quanto in una sorta di cameratismo. La “spedizione punitiva” […] per i partecipanti era spesso una
68
altri movimenti ed in altre tradizioni, fossero esse vicine o avversarie. Il fascismo trasformò anche i suoi
morti in martiri, ed i loro funerali divennero un momento importante nell’esplicazione della liturgia
fascista. Non importava poi che il “caduto” fosse vittima degli scontri o morisse, come spesso
accadeva, in incidenti di vario tipo ma quasi sempre riconducibili alla presenza costante delle armi,
come le bombe a mano o le pistole. Dalla nostra indagine microstorica viene alla luce proprio uno di
questi casi, che evidenzia bene l’importanza della ritualità e del bisogno di trasformare il “caduto”
fascista in un martire, indipendentemente dalle circostanze della sua morte, proprio per inserirlo
all’interno della liturgia fascista. Come ogni religione, il fascismo mette in scena i funerali dei propri
“credenti” con tutto il suo apparato rituale, e lo fa ad ogni costo. Nell’agosto 1921 il fascista Bollaffio,
triestino, moriva sparandosi accidentalmente mentre maneggiava la propria rivoltella. Il sottoprefetto di
Pistoia contravveniva agli ordini ricevuti di tumulazione immediata della salma senza funerali, come
stabilito dal prefetto di Firenze onde evitare incidenti, e la faceva invece depositare presso l’ospedale in
attesa dell’arrivo del fratello del Bollaffio, che a quanto pare avrebbe dovuto riportare la salma a Trieste.
Il Fascio di Pistoia chiese l’autorizzazione ad effettuare i funerali pubblici del Bollaffio, facendo
partecipare anche i Fasci di altre località. Il sottoprefetto tentennò argomentando che era a conoscenza
di un accordo tra il prefetto di Firenze ed il fascio fiorentino in merito alla proibizione di funerali di tale
tipo, senza però prendere altri provvedimenti per la custodia della salma e dichiarando che avrebbe
verificato i dettagli dell’accordo fiorentino. A quel punto il Fascio di combattimento di Pistoia trafugò
la salma dall’ospedale e la espose in una camera ardente «appositamente apprestata» per rendere i dovuti
onori al proprio “caduto”. Nel riferirsi ai fascisti, in queste circostanze il sottoprefetto scriveva di loro:
«Bisogna tener presente che si tratta di persone eccitate al massimo grado che ogni qualvolta porta a
degli eccessi»261. La forza delle passioni mobilitanti eccitava gli animi e traspariva all’esterno, destando
timori.
Paxton scrive che: «attuando una deliberata sostituzione del dibattito razionale con una forma
immediata di esperienza sensoria […] il fascismo trasformò la politica in estetica»262, mise in scena un
«seducente spettacolo» e usufruì di «abili tecniche pubblicitarie» 263. Trova qui ragione la «spiccata
gita coi ragazzi, una scusa per fare un sacco di confusione, bere e mangiare senza pagare, e stare bene insomma. […] le
origini di molte squadre possono essere rinvenute tra gruppi di adolescenti e giovani uniti da primari legami di parentela
e di amicizia. […] Come le bande giovanili, le squadre offrivano le opportunità per mettere in mostra la propria
“virilità” mediante l’azione violenta. La violenza per lo squadrista era il requisito di appartenenza ad un gruppo di
eguali, e la squadra era un potente centro d’attrattività, lealtà e solidarietà. […] Il movimento fascista fece uso, per “far
coesione”, di espedienti simbolici […] come il saluto, l’uso di uniformi, e la rituale derisione degli oppositori. […] Le
stesse forme di violenza fascista non erano prive di un loro crudo simbolismo. Il manganello assumeva i connotati di un
simbolo di virilità; le caricature del manganello acquisiscono una forma simile a quella dei randelli usati a carnevale».
A. LYTTELTON, Fascismo e violenza…, cit. pp. 979-980.
261
Il sottoprefetto di Pistoia, nella giustificazione che mandò al prefetto di Firenze, aggiungeva anche che era stata sua
deliberata intenzione quella di prendere tempo in attesa di un modificarsi della situazione a Firenze, potendo così
autorizzare i funerali, sia pure in forma privata e non solenne. La relazione appare per l’ennesima volta la copertura di
una piccola connivenza con i voleri e le pratiche del Fascio. ASP, Sottopref. b. 63, doc. 378.
262
R. O. PAXTON, Il fascismo in azione…, cit. p. 19.
263
Ivi p. 85.
69
propensione dei fascisti a trasfigurare subito in termini epico-religiosi le vicende della loro politica»264.
Lo squadrismo fascista riuscì a coniugare il suo farsi religione con degli obiettivi politici ed una pratica
conseguente assai concreta. Fu da questa combinazione che risultò la miscela vincente del fascismo, da
cui nacquero anche molte caratteristiche tipiche del fascismo regime nel ventennio. Il fascismo volle
una mobilitazione delle masse al servizio del culto della nazione e della sua espansione, fu totalitario nel
senso che unì alla volontà di monopolio del potere politico la richiesta di una passione religiosa nei suoi
adepti, e poi per estensione a tutti gli abitanti della nazione, procedendo nell’identificazione tra fascismo
e nazione, rifiutò le altre opzioni politiche come false religioni e falsi dei, prendendosi il monopolio
della verità rivelata, ed entrando intimamente in competizione con le religioni tradizionali, al di là delle
convergenze strategiche nell’immediato. La violenza delle squadre in questo senso fu non solo uno
strumento ma anche l’effetto di un pensiero autoritario e fideistico, antidemocratico, che mirava a
forzare il consenso ed irreggimentarlo nelle proprie organizzazioni e da lì a lanciarsi sempre in avanti
verso altre conquiste, fino alla catastrofe finale. Tutti aspetti “intimi” al fascismo, che come disse
Mussolini non credeva nella “pace perpetua”, formatisi già nella sua fase di gestazione e che
permarranno sempre fino al crepuscolo di Salò quando, nella guerra civile, questa volta combattuta da
tutte e due le parti, e non da una sola come negli anni ’20, torneranno con prepotenza tutti i temi dello
squadrismo delle origini, mai sopiti e mai accantonati del tutto.
264
E. GENTILE, Il culto del littorio…, cit. p. 41.
70
POSTFAZIONE
Marco Francini
Come l’autore ha scritto illustrando le motivazioni che lo hanno mosso, la ricerca sullo squadrismo va a
colmare un vuoto nella pubblicistica locale sul fascismo: infatti Stefano Bartolini, utilizzando una vasta
gamma di fonti (pubblicistica dell’epoca e materiali archivistici) ricostruisce, per primo con sistematicità
e scrupolo, la sequenza di episodi di violenza politica che interessarono il territorio del vecchio
circondario e in parte la Valdinievole - per la quale soccorrono i contributi di Cesare Bocci e Riccardo
Maffei - e si concentrarono nel periodo compreso fra il 1919 e il 1924, ovviamente con il picco nel
biennio 1921-1922. Proprio la dipendenza di allora dell’attuale provincia da quelle di Firenze e Lucca
rende ragione - almeno in parte - del fatto che dal fascismo pistoiese non sortì nessuna personalità di
primo piano a livello regionale e tanto meno nazionale, perché i vari Nereo Nesi, Enrico Spinelli,
Leopoldo Bozzi furono oscurati da figure del calibro di Dino Perrone Compagni e Tullio Tamburini al
di qua del Montalbano, di Carlo Scorza al di là.
Reduce di guerra e pluridecorato, il maggiore di fanteria Nereo Nesi fu segretario del fascio di
combattimento di Pistoia alle sue origini. In una sorta di memoriale di autodifesa, inviato al
rappresentante liberale del Comitato di liberazione nazionale alla fine della seconda guerra mondiale e
conservato in un fondo dell’Archivio di Stato di Pistoia, rivendicò le proprie scelte non motivate da
posizioni politiche, perché anzi «di politica non me ne intendevo affatto, ciò che era vanto e forza degli
ufficiali del vecchio e glorioso Esercito italiano»; bensì per amore verso la patria e la legge, e pertanto
«come reazione alla delinquenza ed all’anarchia dilagante di elementi indegni di qualsiasi ordine sociale,
ribelli ad ogni e qualsiasi convivenza civile e che non potevano essere tollerati e giustificati da chiunque
avesse senso di dignità, costume di vita, affetto alla famiglia, desiderio di pace». Nesi afferma di avere
agito in quella carica con moderazione ed equilibrio, essendo mosso dalla «volontà di non seminare
odio». Egli afferma che nel periodo della sua segreteria - fra marzo e giugno del 1921 - «nulla di grave
accadde nel pistoiese né a persone né a cose»: dice che in quei mesi non erano ancora operanti squadre
d’azione le quali sarebbero state organizzate solo dopo il suo allontanamento dalla guida del fascio.
Sarebbe stato lui l’artefice del “patto di pacificazione” con i partiti avversari nella zona della montagna e
si sarebbe dimesso in conseguenza del falò di copie del settimanale socialista ad opera di «elementi» del
fascio «che, già da tempo, agivano di loro iniziativa ed in contrasto alle mie direttive». Se quest’ultima
affermazione può essere attendibile, fino a prova contraria, la ricerca di Bartolini conferma i risultati di
altre precedenti circa la presenza dello squadrismo - magari non autoctono, ma di matrice fiorentina sul territorio pistoiese fin dall’inizio del 1921.
71
Come che sia stato, lo squadrismo pistoiese non produsse un capo indiscusso, riconosciuto
all’unanimità, tanto è vero che divampò uno scontro interno, con modalità violente, appunto
“squadristiche”, che mise di fronte lo Enrico Spinelli e Ilio Lensi, un altro pretendente alla leadership.
Nella miriade dei fatti elencati e illustrati da Bartolini mi sembra che siano da segnalare l’eccidio di
Larciano il 25 ottobre 1920, dopo la vittoria socialista nelle elezioni amministrative, la devastazione
della Camera del lavoro di Pistoia il 5 maggio 1921, la vicenda del fascista scomparso a Bonelle, il caso
di San Marcello nell’estate del 1921. A guardare nel loro insieme gli obiettivi della violenza, lo
squadrismo pistoiese operò a difesa degli interessi non tanto o non soltanto delle classi dirigenti, ma di
fasce della società impaurite dalla prospettiva di una rivoluzione socialista. L’azione mirata del “braccio
armato”, insieme alla trasformazione del movimento in partito, può contribuire a interpretare la
cospicua crescita degli iscritti al Pnf nella città e comune capoluogo dall’autunno del 1921 alla
primavera del 1922.
Bartolini evidenzia la strategia dello squadrismo che fu quella di conquistare il potere dalla periferia,
smantellando le organizzazioni dei partiti, dei sindacati, delle amministrazioni popolari, in modo da
stringere via via il cerchio e infine portare l’attacco al cuore dello Stato.
Dopo la marcia su Roma, mentre la parte dello squadrismo rappresentata da Lensi fu inquadrata nella
“Milizia” e soddisfatta con l’assegnazione di incarichi di comando, quella spinelliana, che costituiva l’ala
intransigente del Pnf sul piano politico, non accettò la “normalizzazione” e dominò la scena sino
all’epoca della segreteria nazionale di Farinacci. Il rigurgito squadrista del 1925, che a Pistoia si indirizzò
soprattutto contro la massoneria, è un elemento della matrice cittadina dello squadrismo pistoiese.
Lo scritto di Bartolini è interessante anche perché non si limita al censimento delle azioni e delle
spedizioni squadriste. Smentendo la singolare opinione di chi sostiene la futilità di continuare a studiare
il periodo fascista, perché tutto sarebbe ormai stato detto e chiarito in via definitiva, l’autore riflette,
rifacendosi alle tesi dello studioso statunitense Robert O. Paxton intorno alla categoria delle «passioni
mobilitanti», sul senso della violenza nel primo dopoguerra, messa «al servizio di un progetto politico»,
per avvicinarsi a decifrare i comportamenti dei militanti nei fasci di combattimento, dal momento che,
per capirne il successo, non si può prescindere dalla svolta squadrista.
L’analisi dello stretto rapporto stabilitosi nel fascismo tra politica e violenza, puntualmente
documentato per la realtà pistoiese, e un’interpretazione del valore simbolico degli atteggiamenti e dei
comportamenti dello squadrismo conducono l’autore a condividere l’idea espressa da Emilio Gentile di
una curvatura sempre più accentuata del fascismo verso la costruzione di una religione civile mediante
la sacralizzazione della politica. Anche lo squadrismo pistoiese ha avuto i propri martiri (Pacino Pacini,
Alessandro Zanni), assimilati ai caduti in guerra, intorno ai quali si svilupparono miti e culti: se la
condivisione dell’esperienza delle spedizioni aveva creato fra i partecipanti il senso del cameratismo, i
rituali, i sentimenti e le emozioni, che accompagnarono le commemorazioni annuali, lo cementarono
72
nel tempo e furono la manifestazione sempre rinnovata dell’appartenenza a una comunità di
“prescelti”.
73
Appendice
Pianta di Pistoia con piano di difesa in caso di insurrezione durante il “biennio rosso”, 1919.
ASP, Sottopref. b. 63
74
Violenze squadriste 1920
Ottobre
Novembre
Prime azioni squadristiche
6 novembre: aggressioni a Villa di Baggio
18 ottobre: uccisione di un contadino alle porte di
Pistoia
Violenze squadriste 1921 – I semestre
Gennaio
7/1 allarme
arrivo
fascisti a
Pistoia.
Nascita
ufficiale del
Fascio di
combattimento
a Pistoia.
Rissa Val di
Nievole.
Bombe a
Pistoia
e sulla linea
ferroviaria.
Febbraio
20 /2
spedizione
in piazza
Garibladi a
Pistoia, a
Corbezzi,
Capostrada
e poi di
nuovo alla
stazione di
Pistoia.
Spedizione a
Pescia del
Fascio
fiorentino.
Marzo
21/3 spedizione
montagna.
24/3 minacce al
sindaco di
Pistoia Leati.
25/3
devastazione
sede comunista
di Cutigliano.
26/3 spedizioni
a Carmignano e
Monsummano.
Aprile
2/4 minacce
nellla zona di
Monsummano.
Sequestro
Damen.
Devastazione
sezione
socialista
Larciano,
tricolore issato
sul municipio,
incidenti a
Lamporecchio.
75
Maggio
5/5
devastazione
Camera del
Lavoro di
Pistoia.
6/5 spedizione
a Tobbiana.
8/5
inaugurazione
galgiardetto
10/5 sequestro
Damen.
rappresaglie per
la morte di
Pacino Pacini.
Incidenti a
Masiano
15/5
spedizione a
Seano.
Aggressione ai
popolari in Val
di Nievole.
Spedizione ad
Agliana.
Spedizione a
San Marcello e
Gavinana dopo
l’inaugurazione
del gagliardetto
a Pracchia.
Incidenti alle
Case Nuove di
Masiano.
28/5 ronde in
porta lucchese a
Pistoia.
Giugno
Pistoia:
provocazioni
in San Marco,
aggressioni a
Gargini,
Barghini
Silvio,
Giannini,
Pavesi,
rapimento
Don
Ceccarelli,
incendio
giornali.
Spedizione
contro il
funerale di un
sindacalista.
Luglio
17/7 incidenti
a Montale
17/7
spedizione a
San Marcello.
20/7 Pistoia
aggressione
Breschi.
22/7
devastazione
circolo
socialista
Pieve a
Nievole.
Violenze squadriste 1921 – II semestre
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Ferimento
11/9
Aggressione
13/11
Giovannelli.
occupazione
all’On.
Larciano
2/8 scontro
Casalguidi
aggressione a
Ventavoli a
con gli Arditi
20/9 incidenti Monsummano.
Mazzei.
del Popolo in
e occupazione 10/10 attacco al Scontri con
San Marco con del circolo
circolo cattolico morti a
ferimento di
cattolico a
di via degli orafi Buggiano.
Barghini,
Montale.
a Pistoia con
Eschini e Del
Attacco ai
ferimento di
Moro.
contadini di
Loris.
5/8 Casalguidi Corbezzi.
aggressione a
Bertinotti.
Pieve a
Nievole
aggressione a
Gori.
Aggressioni a
Larciano.
15/8
intimidazioni
ai comunisti di
Larciano.
Proibizione
vendita
giornali.
24/8
intimidazioni a
Barghini.
Serravalle
aggressioni ai
contadini
Prunetta
intimidazioni a
Micheloni.
76
Dicembre
Attacchi alle
organizzazioni
contadine di
Quarrata.
Gennaio
10/1
distruzione del
circolo
comunista di
Serravalle.
20/1
intimidazioni al
tribunale di
Pistoia con
aggressione a
Mucci.
31/1 rogo di
giornali in
piazza.
31/1
devastazione
circolo
ricreativo in
Porta al Borgo
a Pistoia.
31/1 spari
contro il
circolo
ricreativo dei
ferrovieri.
Carmignano
aggressione a
Mario Pratesi.
Violenze squadriste 1922 – I semestre
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
12/2 incidenti Spedizione
Devastazione
5/5 Pistoia
a Santomato. contro un
lega proletaria
aggressioni a
Ronde a Villa cooperativa
di Massa e
Matani, Simoni
di Baggio.
cattolica a
Cozzile con
e Palandri.
Quarrata.
uccisione di un 9/5 Pistoia
Ronde nel
contadino.
nuova
quartiere di San Incendio
aggressione a
Marco a
circolo operaio Matani.
Pistoia.
a Bonelle.
9/5 assalto al
Intimidazioni a 2/4 scontri a
circolo di
Barghini.
Cutigliano.
Spazzavento,
Pistoia
aggressione a
aggressione a
Natali.
Benedetti.
12/5 nuova
Larciano
spedizione a
chiusura circolo Spazzavento.
operaio.
Pistoia
Pistoia
aggressioni a
aggressioni a
Beneforti,
Lombardi e
Mazzoni,
Spinelli.
Silvestri,
9/4 Pistoia
Pardini.
aggressione a
San Marcello
Mazzoncini.
minacce a
10/4
Signori.
spedizione a
29/5 Pistoia
Popiglio.
aggressione a
16/4 assalto al Barghini.
circolo operaio Pistoia
di Popiglio e
incendio casa
aggressioni a
di Breschi.
Ponte alla
Spedizioni nei
Lima.
paesi limitrofi,
sparatoria in
San Lorenzo a
Pistoia.
77
Giugno
7/6 Pistoia
aggressione a
Silvestri.
8/6 Pistoia
incidenti in
Porta
Lucchese.
10/6
distruzione di
copie del
giornale
comunista.
14/6 nuova
aggressione a
Barghini.
15/6
Capostrada
aggressione a
Guidi.
29/6 scontri a
Quarrata.
Luglio
2/7
spedizione a
Quarrata e
uccisione di
Giuntini.
2/7 scontri a
Momigno e
uccisione di
Contrucci.
Violenze squadriste 1922 – II semestre
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
4-5/8
Attacco alle 26/10
Aggressioni a
spedizione dei
lavoratrici
mobilitazione
Don Ceccarelli, a
fascisti
della filanda fascisti pistoiesi Don Bocciolini e
fiorentini a
Mandorli.
per la marcia su a Don
Pistoia con
Uccisione
Roma,
Pellegrineschi.
scontri in città.
contadini a
occupazione
Occupazione
Uccisioni di
Buggiano.
della città e
circolo cattolico
Gori e
29/9
assalto alle
di bottegone.
Migliorini.
sparatoria a
carceri.
Aggressione a
4/8 incidenti a
Fabbiana.
Aggressioni ai
Pagnini.
Ramini.
parroci.
Montemagno
5/8 spedizione
occupazione
a Bonelle con
circolo e
incendio ci case
cooperativa
e devastazione
cattolica.
della
Lamporecchio
cooperativa
allontanamento
comunista.
segretario
5/8 Pistoia
comunale.
devastazione
circolo
comunista.
Diffide contro
la vendita dei
giornali
antifascisti.
Attacchi alle
organizzazioni
cattoliche di
Spazzavento.
Minacce a
sacerdoti.
16/8
aggressione a
Petrucci.
Attacco alle
lavoratrici della
filanda
Mandorli.
78
Dicembre
25/12
Montemagno
purga del Noci
e aggressione ai
Bellini.