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Montenero Sabino e le pietre del fuoco

MONTENERO SABINO E LE “PIETRE DEL FUOCO” PIERO CERULEO ontenero Sabino, l’antico Castrum Montis Nigri, è oggi un piccolo comune della provincia di Rieti che sorge sopra un contrafforte scosceso dei Monti Sabini, fra le due montagne di S. Elia e Secordaro, e racchiuso tra i torrenti Riella e Petraro, nelle vicinanze di una zona, oggi ricoperta di fitti boschi che doveva un tempo ospitare un’antica città romana. Il paese sorge su uno sperone roccioso ed ha una struttura stretta ed allungata dovuta alla particolare configurazione dello sperone sul quale sorge l’abitato. L’abitato, con una caratteristica e pittoresca struttura a spina di pesce, è costituito da una doppia fila di case intervallate da angusti vicoli e disposte ai lati di un’unica strada, l’attuale Via Roma, che collega le due estremità del borgo, la Chiesa in basso e la poderosa mole del Castello in alto. Il paese infatti è dominato dal castello ed è circondato dalle mura di cinta ancora ben conservate. Il castello di Montenero appare per la prima volta nella documentazione nel 1085 ed è un insediamento posto al centro di una zona di forte diboscamento, il cui toponimo evoca la presenza di boschi formati dalla presenza dominante di essenze arboree sempreverdi con il fogliame verde-scuro, come il leccio. Come molti altri castelli sabini appartenne al Monastero di Farfa, i cui registri ne evidenziano l’esistenza già dal 1023. La storia successiva di Montenero è ricca di successioni dinastiche e di passaggi di proprietà: i Lavi, gli Orsini, i Mareri, i Savelli, i Vincentini furono soltanto alcuni dei signori del luogo. I dintorni di Montenero Sabino sono caratterizzati da basse ma scoscese montagne dai versanti molto ripidi e coperti da fitti boschi che lasciano liberi solo piccoli appezzamenti di terreno destinati a pascolo o ad agricoltura. Il nome del paese deriverebbe non soltanto dai folti ed oscuri boschi che ricoprono i monti che lo circondano, (soprattutto lecci e querce), ma anche dalla presenza, nel territorio, della “pietra nera” o “pietra focaia” che in passato fu ampiamente sfruttata. Infatti essa era utilizzata sin dalla preistoria, nell’industria litica, per fabbricare utensili. Ma in tempi più recenti, in età moderna e contemporanea, la stessa “pietra focaia”, ricavata dagli abitanti del luogo dalle cave presenti in zona, fu utilizzata per la fabbricazione di acciarini e pietre focaie per archibugi ed altre armi da fuoco, con un mercato che si è mantenuto fino agli inizi del 1900 (soprattutto durante il predominio dello Stato Pontificio). Ne esistevano due cave principali; una forniva una M ANNALI 2006 10 qualità nera, che si diceva avesse dato il nome al paese. L’altra forniva invece pietra focaia per i fucili, che, a quanto si diceva, “tirata a polimento, rivaleggia con qualunque più fine agata d’oriente”. Le selci lavorate venivano probabilmente portate a valle, sulla Salaria e da lì a Rieti e soprattutto a Roma. La nostra attenzione su Montenero Sabino è stata attirata da un articolo scritto, sul finire del 1800, da Giuseppe Bellucci, insigne studioso. Giuseppe Bellucci (Perugia, 1844-1921) naturalista, antropologo e paletnologo, è stato più volte rettore dell’università perugina. Egli ha realizzato nel campo delle scienze umane nel cinquantennio fra il 1871 e il 1920 una imponente mole di lavoro, dalle indagini sul campo alla raccolta e catalogazione di materiali, divulgate attraverso un gran numero di pubblicazioni, relazioni a incontri scientifici, di realizzazioni espositive in Italia e in altri Paesi. In seguito alla morte del Bellucci, avvenuta il 3 gennaio 1921, l’insieme della sua collezione e la sua ricca biblioteca antropologica passarono ai Musei Civici del Comune di Perugia che nel secondo dopoguerra furono rilevati dallo Stato dando luogo all’attuale Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Il grosso dei materiali lasciati dal Bellucci è formato da reperti pre e protostorici ed etrusco-romani e costituisce il fondamento stesso del museo. Il Bellucci si dedicò, fra le tante cose, alla esplorazione del territorio reatino alla ricerca di vestigia preistoriche. Nel corso delle sue ricerche si trovò ad esplorare il territorio di Montenero Sabino facendo delle interessanti scoperte che pubblicò in un suo breve articolo che riportiamo di seguito: “Mi fu indicato da parecchie persone che sulle alture di Montenero, piccolo paese della Sabina, distante da Rieti venti chilometri circa, rinvenivasi una considerevole quantità di pietra focaia alla superficie del suolo; in codesto luogo esistevano per lo addietro fabbriche di pietre d’acciarino o da fucile, le quali utilizzavano la selce ivi esistente. Volli fare un’escursione a Montenero, onde esplorare se la selce del luogo fosse stata usufruita in tempi a noi remotissimi, per la fabbricazione delle armi o degli utensili litici. Rinvenni colà una copia rilevantissima di noduli e scaglie di selce piromaca e di una specie di quarzite, copia però da non stare al confronto con quella quantità, che può dirsi enorme, da me constatata, precedentemente ad Abeto (Norcia) (Bellucci 1874). In mezzo ai moltissimi noduli e alle numerose scaglie di selce, di cui il terreno è da pertutto disseminato a Montenero, raccolsi dei pezzi, che per la forma, per la patina e pei ritocchi che offrono, sono indubbiamente antichissimi; vi figurano dei nuclei faccettati, delle pietra da fionda a for- ma di dischi, più o meno regolari, de’raschiatoi, de’coltelli, qualche cuspide di freccia a forma di dente di squalo, ed infine de’ rifiuti della lavorazione rappresentati da semplici scaglie, da frammenti di selce con segni evidentissimi di sostenuta azione del fuoco. Raccolsi preferentemente codeste selci anticamente utilizzate, nel terreno, che ha il vocabolo di – Forcella Napoleone. – Il numero dello pietre tagliate e lavorate che potei rinvenire sebbene limitatissimo, è sufficiente però per ritenere che l’uomo usufruì anche nell’epoca preistorica la selce di Montenero, e che tra gli altri centri di lavorazione di armi ed utensili litici nell’Italia centrale debba d’ora innanzi esser posta anche codesta località. Ebbi poi conferma sul luogo della lavorazione, a cui colà si attendeva negli anni trascorsi, delle pietre focaie per fucili e per acciarini, e nel suolo notai anzi una quantità rilevante di scaglie di selci irregolari, e con tale aspetto da ritenersi recentemente distaccate dai noduli o arnioni e provenienti dalla lavorarono testè indicata; mi fu pure indicato che un certo Du Conte, vecchio campagnuolo di quella località, seguitò a lavorar selce, fino a tre anni addietro, epoca della sua morte; egli preparava lunghe scaglie di pietra focaia, che inviava di poi a Roma, ove subivano un’ulteriore divisione ed eran condotte a compimento. Il figlio del Du Conte ha ereditato dal padre una copia considerevole di scaglie di selce, distaccate per percussione dagli arnioni e noduli di Montenero. Esaminai codeste selci tagliate, e ne ottenni degli esemplari per confronto; le trovai in tutto corrispondenti e quelle che io aveva raccolto nei terreni di Montenero, e che aveva già per il loro aspetto giudicato siccome prodotti di recente lavorazione. Chi è esperto nell’esame delle selci lavorate non scambierebbe certamente quelle tagliate dal Du Conte per selci preistoriche; ma chi tenesse conto soltanto della forma e non avesse pratica nel riconoscimento delle selci troverebbe in quella casupola di Montenero migliaia di coltelli di selce, che per forma, per lunghezza e per tagliente affilatissimo, potrebbero gareggiare con i più preziosi coltelli dell’epoca della pietra. Non è questo poi il solo caso offerto in Italia di una lavorazione contemporanea selce; il Maggiore Angelucci nelle sue ricerche di archeologia storica e preistorica nella Capitanata racconta che ad Ischitella, cercando armi ed utensili litici preistorici, gli fu indicato essere, ancora colà (1872) uno scardaro o fabbricante di scarde (corruzione forse di scaglie), che le avrebbe tagliate immediatamente e con quelle forme che al richiedente sarebbero piaciute o aggradite (Angelucci 1872). Dalle indagini istituite e dalle cose esposte, mi pare potersi concludere che nella piccola parte della regione Sabina finora esplorata, non mancano prove evidenti per ammettere, che l’uomo visse colà anche nell’epoca preistorica, foggiando ad armi ed utensili la selce, e rifugiandosi nelle grotte e caverne, come gli altri trogloditi suoi contemporanei”. Quindi nel corso delle sue esplorazioni egli individuò le zone dove veniva estratta e lavorata la selce per la produzione delle “pietre del fuoco”. Egli riuscì anche a distinguere, tra la grande quantità di manufatti reperibili nei campi, alcuni utensili preistorici che descrisse. Egli infatti cita nuclei faccettati, dischi, punte, raschiatoi, coltelli e varie schegge alcune delle quali con tracce di azione del fuoco. Dalla scarna descrizione di tali manufatti si può supporre la loro attribuzione genericamente al Paleolitico inferiore-medio. Da allora nessuno più si è interessato alle scoperte del Bellucci e a Montenero Sabino. Spinti dalla curiosità ci siamo recati nel territorio di Montenero Sabino alla ricerca dei siti individuati da Bellucci. Abbiamo cercato invano la località “Forcella Napoleone” citata dal Bellucci. È ignota sia agli abitanti del luogo sia all’Ufficio del Catasto di Rieti. Abbiamo però trovato una notevole quantità di selce lavorata nella località riportata col toponimo “Osteria dello Scrocco”sulla Tavola I.G.M. in scala 1:25.000 - F.144 - I N.O. “Salisano”. Tale località è situata nei pressi di una “forcella” che si affaccia sulla valle percorsa dalla Salaria che conduce da Rieti a Roma e si trova ad una quota di 670 m. sul livello del mare. Si tratta per lo più di nuclei e schegge informi ed irregolari chiaramente prodotti intenzionalmente dall’uomo. La stragrande maggioranza di tali manufatti non è di origine preistorica, Infatti non presenta alcuna traccia tecnologica riferibile ad una qualche cultura preistorica. Inoltre tra questa serie di manufatti non si riconoscono utensili ma solo nuclei e schegge informi con patina fresca e senza tracce o sbrecciature d’uso. Quindi la conclusione più ovvia è che ci troviamo in presenza di almeno una delle officine di lavorazione delle “pietre del fuoco” citate dal Bellucci. Tra la grande quantità di manufatti di selce reperibili in superficie nei campi si distinguono però alcuni manufatti che non esitiamo a definire preistorici. In essi infatti sono ben riconoscibili sia una precisa tecnologia che una chiara tipologia che ci permettono di attribuire tali manufatti genericamente al Paleolitico inferiore-medio. Tra i pochi manufatti sicuramente preistorici abbiamo potuto distinguere i seguenti oggetti: – Grosso chopping tool ricavato da un ciottolo di selce allungato conservante il cortice per gran parte della superficie. La parte scheggiata, che costituisce la parte tagliente del manufatto, è intensamente patinata di bianco. Tipologicamente il manufatto rientra nel quadro delle industrie su ciottolo arcaiche del Paleolitico inferiore (fig. 1). – Grosso nucleo informe di selce grigia conservante piccole tracce di cortice. In manufatto non presenta piani di percussione preparati e le schegge sono state prelevate in maniera casuale. – Grossa scheggia laminiforme senza cortice, il tallone è assente. Non è ritoccata ma presenta sbrecciature d’u11 ANNALI 2006 so. La patina è intensa e presenta tracce di ossidi sulla superficie (fig. 2, n. 6). – Denticolato, probabilmente usto come punta. Tallone sfaccettato, patina intensa con tracce di ossidi ferrosi (fig. 2, n. 1). – Coltello a dorso naturale, tallone puntiforme, tracce di sbrecciature d’uso (fig. 2, n. 3). – Scheggia, tallone liscio e inclinato, patina intensa, tracce di ossidi sulla sua superficie (fig. 2, n. 4). – Scheggia, tallone liscio e inclinato, patina intensa, tracce di ossidi sulla sua superficie. Presenta all’estremità una tacca sulla parte ventrale (fig. 2, n. 5). – Grossa scheggia conservante il cortice sulla parte dorsale. Il tallone è diedro ed il bulbo di percussione è pronunciato. – Scheggia di selce grigia fratturata senza traccia di cortice. Il tallone è diedro. – Piccola scheggia con tallone puntiforme, patina intensa, presenta un lato con piccoli ritocchi a scagliette. – Becco su scheggia corticale con tallone assente (fig. 2, n. 2). – Raschiatoio semplice convesso su grossa scheggia con cortice, tallone puntiforme, ritocco a scaglie tendente al denticolato (fig. 2, n. 7). – Chopping tool a profilo ovale conservante parte del cortice, forte patina bianca. – Nucleo subdiscoidale conservante piccola porzione di cortice. Presenta tracce di fluitazione. Presenza di ossidi ferrosi sulle sue superfici. – Nucleo subdiscoidale conservante ampia porzione di cortice. Patina molto intensa. Presenza di ossidi ferrosi sulle sue superfici. – Grosso nucleo informe con patina intensa e molte tracce di ossidi ferrosi sulla sua superficie. Conserva una piccola porzione di cortice. Naturalmente non è escluso che alcuni dei manufatti sopra elencati rientrino tra quelli prodotti dall’uomo moANNALI 2006 12 Fig. 1 – GROSSO CHOPPING TOOL RISALENTE AL PALEOLITICO INFERIORE derno per la realizzazione delle pietre del fuoco. Tali manufatti testimoniano la presenza nell’area di gruppi di Homo erectus prima e di Homo neandertalensis dopo. Poiché i terrazzi fluviali del Tevere da Passo Corese a Magliano Sabino, pochi chilometri ad ovest, hanno restituito abbondanti resti riferibili al Paleolitico inferiore-medio, è probabile che gruppi di cacciatori che frequentavano la valle del Tevere, ricca di acqua e di selvaggina, si siano spinti verso i rilievi montuosi di Montenero Sabino attratti dall’abbondanza della selce, materia prima allora di fondamentale importanza. Per quanto riguarda invece le caratteristiche dei materiali silicei prodotti in epoca moderna per la realizzazione delle pietre del fuoco possiamo fare le seguenti considerazioni. I manufatti di selce sono composti quasi esclusivamente da nuclei e schegge. I nuclei hanno dimensioni varie: da piccole a grandi. Sono informi, non presentano piani di percussione preparati e le schegge sono state prelevate casualmente, apparentemente senza una Fig. 2 – STRUMENTI PALEOLITICI (DA SINISTRA A DESTRA E DALL’ALTO IN BASSO) N. 1 - DENTICOLATO N. 2 - BECCO SU SCHEGGIA N. 3 - COLTELLO A DORSO NATURALE N. 4 - SCHEGGIA N. 5 - SCHEGGIA N. 6 - SCHEGGIA N. 7 - RASCHIATOIO SEMPLICE CONVESSO precisa catena operatoria. Molto spesso conservano ampie porzioni di cortice e molti di essi presentano delle superfici concave dovute all’asportazione di grosse schegge. Le schegge, anch’esse, sono di dimensioni varie: da piccole a grandi. Il piano di percussione nella grande maggioranza è liscio, grande e molto inclinato e ci indica che il colpo per staccare la scheggia veniva dato con forza con un percussore duro. In molti casi il piano di percussione è stato asportato ed in rari casi è puntiforme. Le schegge hanno forma molto irregolare e spessore variabile il che ci fa supporre che le schegge buone per la produzione delle pietre del fuoco siano state portate via mentre sia stata lasciata sul posto solo la grande quantità di schegge inutilizzabili per tale scopo. Infatti tra l’abbondante materiale presente sul posto non abbiamo riconosciuto manufatti preparati ed utilizzabili per la realizzazione di pietre focaie, questo ci suggerisce che probabilmente il materiale, una volta raccolto dal terreno, veniva sgrossato e portato via in apposite officine mentre tutti gli scarti venivano lasciati sul posto. Questa parte del territorio sabino non è molto ricca di vestigia preistoriche, ma ciò è dovuto probabilmente ad una lacuna nelle ricerche piuttosto che alla scarsa frequentazione da parte dell’uomo preistorico. In letteratura non risultano ritrovamenti risalenti al Paleolitico inferiore e medio mentre per il Paleolitico superiore e per il mesolitico è citato il sito di Petescia, in comune di Cittaducale, 10 km da Rieti. Il giacimento, scavato da O. Acanfora e A.M. Radmilli nel 1953 (Acanfora 1962-63) e 1961 (Radmilli 1961) ha restituito in stratigrafia, sotto i livelli del bronzo e del neolitico, dopo uno strato sterile, un livello con industria di tipo epigravettiaFig. 3 – SCHEMA DI SEQUENZA DI TAGLIO DI “MOLENDE” PER ACCIARINO: 1A) DECALOTTAMENTO DEL NODULO (1) CHE CREA UN PIANO DI PERCUSSIONE PRINCIPALE (1A) 2-3-4A) STACCO DI LAME CORTICATE (SCARTI) 5-6A) STACCO DI LAME DA PIETRA FOCAIA 7-12) FRAZIONAMENTO DI UNA LAMA ALLO SCALPELLO PASSIVO (S) INSERITO IN UNA PANCA LIGNEA (P) 7-13-14) PIETRE FOCAIE REGOLARI M) MARTELLO PER SBOZZARE M1) MARTELLO A DUE PUNTE PER STACCARE LAME M3) MARTELLO FRANCESE PER TAGLIO E RITOCCO 13 ANNALI 2006 no attribuito in base alla fauna e flora oloceniche al mesolitico. Industria epigravettiana è stata trovata anche a Grotta Pila presso Poggio Moiano. In quest’ultima località, nei livelli superiori, sono presenti sepolture della cultura eneolitica di Rinaldone (Radmilli 1952). Altri materiali riferibili alla cultura eneolitica di Rinaldone sono presenti nella Grotta di Monte Muro Pizzo, sempre in comune di Poggio Moiano (Ceruleo 1999). Infine ritrovamenti sporadici sono stati effettuati in varie parti del territorio. Alcuni di essi sono citati dal Bellucci. Se ci spostiamo più ad ovest, lungo i terrazzi fluviali del Tevere i ritrovamenti invece diventano molto numerosi. Radmilli segnala la presenza di industrie litiche sui terrazzi fluviali del Tevere nei dintorni di Poggio Mirteto (Radmilli 1952). Egli rinvenne tali industrie in una vasta area compresa tra “Ponte Sfondato” e la stazione ferroviaria di Poggio Mirteto. Per l’associazione di rifiuti di lavorazione con strumenti litici rifiniti il Radmilli ipotizzò “la presenza di una stazione preistorica propria dei popoli cacciatori e raccoglitori musteriani che vivevano all’aperto sui terrazzi tiberini”. Lo Studioso attribuì i ritrovamenti al Pontiniano, considerato un aspetto particolare del musteriano italiano e quindi risalente al Paleolitico medio. In quegli stessi anni Segre rinvenne in una grotta del Soratte un vaso allora attribuito all’Età del bronzo (Segre 1952) ma in seguito da alcuni Autori attribuito al Neolitico finale e collegato al culto delle acque (Tusa 1980, Bernabei et al. 1996). Successivamente nel 1982 fu effettuato un intervento di scavo stratigrafico in un deposito del Paleolitico superiore individuato e segnalato in seguito a lavori di sbancamento in località “Ponte Sfondato” in comune di Montopoli in Sabina (Bulgarelli e Cassoli 1984). Furono individuati due livelli archeologici con industrie litiche e faune di aspetto molto simili e definite dagli Autori comparabili “con l’industria rinvenuta a Cenciano Diruto (VT) correlata alla fase a crans dell’Epigravettiano antico” ed attribuibili quindi al Paleolitico superiore. Altre industrie paleolitiche sono state segnalate a Con- trada Carbone (Montopoli Sabina) e a Colli della Città (Torrita Tiberina) e nei terrazzi fluviali tra Fara Sabina e Magliano Sabina, queste ultime riferibili al Paleolitico medio (Zarattini 1986). Molto recentemente l’area alle falde del Monte Soratte è stata oggetto di una accurata ricerca di superficie che ha portato alla individuazione di molti siti che hanno restituito industrie attribuite dall’Autore al Paleolitico medio (Parenti 2003). Altri siti preistorici sono situati lungo i terrazzi fluviali del Tevere tra Monte Soratte e Passo Corese (Ceruleo 2004). Una zona che restituisce molti materiali è quella compresa tra il Farfa e la diga del Tevere, in riva idrografica sinistra. Si tratta di una serie di terrazzi fluviali (almeno due ordini) ondulati che raggiungono una quota massima di circa 100 m. s.l.m. lungo i quali sono presenti numerose stazioni prestoriche risalenti per la maggior parte al Paleolitico inferiore. I materiali sono più concentrati nelle località di Piani di San Vittore, Caprola e Ponticchio ricadenti nei comuni di Montopoli in Sabina e Fara in Sabina (I.G.M. Foglio 144 - IV S.E. - Montopoli di Sabina). Infine citiamo i numerosi siti rinvenuti poco più a valle nei pressi di Cretone (Ceruleo e Zei 1996, 1998, Ceruleo 1996, 1997, 2001, 2002, Belluomini et alii 1999, Palombo e Zarattini 2003). Il ritrovamento di industria riferibile al Paleolitico inferiore e medio nel territorio di Montenero Sabino, pur se di modeste dimensioni, colma quindi un vuoto nella conoscenza delle vicende di quel territorio e va fatto merito al Bellucci di aver per primo individuato le località. Un ulteriore approfondimento invece merita il ritrovamento delle cave di pietra focaia. LE PIETRE FOCAIE O “FOLENDE” La grande quantità di selce lavorata per la produzione di pietre focaie rinvenuta nel territorio si Montenero Sabino ci pone alcuni interrogativi: ma come erano fatte le “pietre del fuoco” e quale è la loro storia? Le pietre focaie erano delle schegge di selce, opportunamente lavorate (fig. 3), che davano il fuoco percuotendole con un arnese metallico, cioè l’acciarino (fig. 4). La selce è una roccia sedimentaria composta quasi esclusivamente di silice. Questa roccia si forma in due modi: – per accumulo di resti di organismi a guscio o scheletro siliceo quali radiolari, diatomee e spugne, prendendo il nome di radiolarite o diatomite. – per segregazione e accumulo di silice, proveniente da rocce terrigene e rocce carbonatiche. Fig. 4 – ACCIARINO DEI PRIMI ANNI DEL 1800 ANNALI 2006 14 La selce si presenta in noduli o in liste entro rocce compatte, per lo più calcaree ed ha una ampia gamma di colori, principalmente rosso, bianco, giallo, verde, grigio e nero. Fig. 5 – 1) PIETRA FOCAIA IN SELCE DANESE 2) PIETRA FOCAIA IN SELCE LOCALE E SCHEGGIATA DAGLI IROCHESI (1 E 2, 1640 CIRCA) 3) PIETRA FOCAIA IN SELCE BALTICA TIPO “A CUNEO” (1650-1780) 4) PIETRA FOCAIA IN SELCE FRANCESE, TIPO USATO PER ACCENDERE IL FUOCO 5) PIETRA FOCAIA MILITARE STILE “FRANCESE” IN SELCE DI MEUSNES 6) PIETRA FOCAIA DI STILE “INGLESE” IN SELCE NERA DI BRANDOM (GB) È a tessitura microcristallina e pressoché inattaccabile dagli agenti atmosferici, peculiarità che, insieme con la relativa abbondanza, la durezza e la frattura concoide ne hanno fatto il materiale principe delle prime industrie litiche. Infatti le selci lavorate sono una testimonianza fondamentale dei primi insediamenti umani e le tecniche di lavorazione utilizzate per crearle consentono di individuare i diversi periodi della preistoria. L’uso della selce da parte dell’uomo per la produzione di utensili è durato oltre due milioni di anni; a partire dall’età del Bronzo finale i manufatti in selce in Europa diverranno sempre più rari e scadenti per sparire del tutto intorno al IV sec. a.C. L’uso della selce (come pietra focaia) e dell’acciarino risale alla 2ª metà del 1500 mentre la polvere da sparo, elemento fondamentale per le armi da fuoco, ha origini medievali imprecisate. Il suo uso è documentato già nel XIV secolo. Grandi interessi militari ed economici interessarono la produzione delle pietre focaie, specialmente in Europa. I principali centri di produzione europei furono la Francia e l’Inghilterra (fig. 5). In Italia un grosso centro di produzione fu il veronese che cominciò la produzione in serie nella seconda metà del 1700. A tal proposito in un documento del 1841 si legge che i cercatori di selce, zappando qua e là, strappavano il tessuto erboso e lasciavano i campi coperti di frantumi e scaglie, micidiali per il filo della falce da mietere (AA.VV. 1988, p. 9). La produzione francese terminò agli inizi del 1900 mentre in Inghilterra questo artigianato durò fino al 1935. Al giorno d’oggi solo pochissimi artigiani specializzati producono pietre focaie per il mercato europeo ed americano di hobbisti del tiro ad avancarica con l’acciarino a selce. Le pietre focaie italiane hanno una patria specifica: la Lessinia in provincia di Verona nei paesi di Cerro, Lugo, Trezzolano, Mezzane, S. Anna d’Alfaedo dove affiora abbondante la selce, materiale costituito da quarzo microcristallino in noduli derivato da silice amorfa originata da piccolissimi organismi marini dissolti negli strati di pietra calcarea del Biancone, formatosi nei mari profondi del Cretaceo 130 milioni di anni fa. La produzione degli acciarini era frutto della lavorazione della selce, qui detta folenda. Così scriveva nel 1885 Paolo Orsi (AA.VV. 1988, p. 3). “I luoghi del veronese presenti in addietro per la industria delle selci da acciarini, furono i paesi di Cerro nel Distretto di Verona, e San Mauro di Saline in quello di Tregnago. Colà veggonsi tuttora monticelli di schegge e rifiuti accumulati da anni e anni. Nel 1851 il De Stefani spediva a Lodi alla Ditta Cavezzoli molti quintali di quei rifiuti per la fabbrica di porcellane attivata in quella città. (...) al tempo delle guerre Napoleoniche la sola ditta Boldrini esportava da Verona cento barili al giorno di pietre da fucili, contenenti ognuno ventimila pezzi”. E sempre l’Orsi così prosegue: “Colla invenzione degli zolfini e dei fiammiferi per uso domestico o delle capsule o altri fulminanti per i fucili, l’industria della selce da acciarino anche nel Veronese andò man mano scemando, per modo che circa l’anno 1845, di pietre da fucile si spedirono solo in Dalmazia e nel levante, e di quelle da acciarino nelle città marittime, nell’alto Tirolo e nella Baviera. Nell’anno 1837 Ferdinando I d’Austria, passando per Verona, volle vedere anche la fabbrica di aghi del suddetto Sig. Luigi Boldrini, ed in quella occasione 22 lavoratori di selci, fatti venire appositamente dal Cerro, furon fatti lavorare in presenza dell’Imperatore. La Ditta Boldrini spedisce oggi ancora selci da acciarino in sporta da 2 a 3.000 pezzi nelle piazze di Chioggia, Adria e Sinigaglia per uso dei pescatori e naviganti e manda a Trieste le più grandi prescelte per le navi mercantili. Alcune poche vanno anche nel Tirolo e nella Baviera: rare sono le piccole commissioni di selci da fucile per la Dalmazia e il Montenegro”. Si calcola che in detto periodo siano state prodotte 70 milioni di pietre. Altre erano normalmente utilizzate per uso civile. Ancora oggi passando in questi luoghi si possono notare lungo le strade, cumuli di pietre di scarto derivanti dalle fasi di lavorazione che tanta importanza ebbe 15 ANNALI 2006 nei secoli scorsi per questi poveri territori di montagna dove, per evitare la silicosi che portava l’età media a 30 anni, bisognava lavorare sempre all’aperto. Spesso non è facile distinguere una selce preistorica da una realizzata per ricavare le pietre del fuoco. Mentre la prima è il risultato di decine di migliaia di anni di affinamento di abilità e tecniche basate sull’uso di percussori teneri quali osso o corno di renna o cervo e forse anche legno, la tecnica delle pietre focaie è basata sull’uso di un percussore duro costituito da uno strumento di ferro o di acciaio. Ogni lama di pietra focaia era progettata e realizzata per produrre 2 o 3 pietre focaie quadrangolari (fig. 6) e anche altri scarti utili per altri usi da acciarino. Molti studiosi attribuiscono all’armaiolo francese Marin le Bourgeoys (1600 circa) la prima forma “moderna” di acciarino che poi divenne uno standard a partire della seconda metà del 1700 e fu in uso in tutti gli eserciti europei fino alla prima metà del 1800 quando furono introdotte le nuove tecniche a percussione basate sull’impiego di capsule di fulminato di mercurio (1830 circa) che sostituì la pietra focaia come mezzo di accensione della carica di polvere da sparo. Tuttavia le armi dotate di “acciarino a selce” rimasero in uso per ancora quasi un altro secolo specialmente nelle aree “a scarso livello tecnologico” come ad esempio in alcune colonie dell’impero britannico. Conosciuta fin dagli albori della nostra civiltà, la sel- ce inizialmente fu usata dall’uomo oltre che per fabbricare i più svariati utensili, anche per ottenere il fuoco: battendo con forza due selci tra di loro oppure percuotendo la selce contro pirite o contro acciarini temprati si generavano scintille che venivano poi sfruttate per accendere l’esca. Tale sistema, pur perfezionato con l’invenzione dell’acciarino, rimase in uso fino ai decenni dell’Ottocento, quando fu messo a punto e commercializzato su larga scala il fiammifero. Il suo uso come pietra focaia nei meccanismi di accensione di armi da fuoco, in un periodo che va dal 1650 al 1850 circa, fu il motivo di una consistente produzione di selci in tutta Europa. I produttori di pietre focaie o Folendàri, come venivano chiamati nella Lessinia, grande centro di produzione del veronese, battevano il nucleo siliceo con particolari martelli fino a ricavarne le pietre focaie, di forma quadrangolare, affilate nella parte anteriore (filo) e più grosse nella parte posteriore (tallone). In un congegno di sparo, la pietra focaia, posta tra le ganasce del cane, andando a battere sulla faccia della martellina, ne asportava minuscole particelle di metallo incandescenti. Queste, andando a loro volta a precipitare nello scodellino, accendevano la polvere che dava fuoco alla carica (fig. 7). Dopo circa 10 colpi si doveva sostituire la pietra o rifarne il filo con un piccolo scalpello e un martello. Fino ai primi anni dell’Ottocento l’industria delle armi non poteva fare a meno della folenda. L’UOMO ED IL FUOCO: L’USO DELLA PIETRA FOCAIA PER LA PRODUZIONE DEL FUOCO Fig. 6 – OFFICINA DI CÀ PALÙI (VENETO) A) GRANDE LAMA DA PIETRA FOCAIA B) PIANO DI PERCUSSIONE E BULBO TIPICI C-D-E) FRAZIONAMENTO DI UNA LAMA (RICOSTRUZIONE) C-E) SCARTI DI LAVORAZIONE. ESSI FORMANO LA MASSA DEI CUMULI DA DOVE LE LAME (A) E LE PIETRE REGOLARI (D) SONO ASSENTI O QUASI ANNALI 2006 16 Il fuoco è stato di fondamentale importanza per l’uomo, o meglio per gli ominidi, nella conquista di nuove nicchie ecologiche. Le sue tecniche di produzione, conservazione e trasporto gli hanno permesso di spaziare dalla savana arida, dove gli incendi si sviluppano spontaneamente, alle foreste umide e temperate dove è un problema conservare il fuoco, alle steppe glaciali prive di legno combustibile ma dove il fuoco è importantissimo per la sopravvivenza. Inoltre l’impiego del fuoco per la cottura dei cibi ha portato indiscutibili vantaggi per l’assimilazione delle sostanze animali e vegetali accrescendone il potere nutritivo, parallelamente si resero meno necessarie strutture scheletriche e muscolari robuste per la masticazione. L’alleggerimento della faccia nell’uomo moderno si realizzò con qualche correlazione con i cambiamenti della dieta dovuti alla cottura dei cibi. Anche l’aumento del cervello ne sarebbe stato favorito. Non possiamo inoltre dimenticare l’importanza del prodotto manufatti di selce percuotendo la materia prima con la tecnica di percussione che provoca scintille, quindi può essere successo che tali scintille a volte abbiano innescato il fuoco e forse non sempre l’uomo è riuscito a collegare la causa e l’effetto. Studi recenti hanno stabilito che circa 790.000 anni fa gli uomini erano già in grado di dominare il fuoco. Nel sito archeologico israeliano di Gesher Benot Ya’aqov, un gruppo di paleontologi, coordinati da Naama Goren-Inbar dell’Università di Gerusalemme, ha infatti trovato resti di legni bruciati e pietre focaie che costituiscono la testimonianza storica più antica del controllo del fuoco. In particolare, sarebbero stati bruciati sei differenti tipi di legno, compreso l’olivo e la vite selvatica. Secondo gli studiosi, questa capacità sarebbe stata posseduta o dall’Homo erectus, o dall’ergaster, o da un Homo sapiens arcaico. La scoperta è stata pubblicata su “Science”. Sempre circa 700/400 mila anni è stata verificata la presenza di focolari all’interno di abitati, come nei siti acheuleani di Terra Amata (Nizza) e Chukut’ien presso Pechino (Balter 1995). Il fuoco poteva inoltre essere impiegato anche per dirottare animali verso trappole, come pare sia avvenuto ad opera di cacciatori di elefanti, circa 400.000 anni fa, a TorFig. 7 – 1-2-3-4-5-6) TIPI DI “CANE” DA ACCIARINO A PIETRA TROVATI NEI SITI ralba (Spagna) dove, in un’antica palude, soIROCHESI (1620-1680) 7-8-9-10) MANUFATTI DELLA NECROPOLI IROCHESE DI STRIKLER no state rinvenute ossa di molti animali in(PENNSYLVANIA, 1640) sieme con tracce di fuoco. 7-8) PUNTE DI FRECCIA 9) PUNTA DI FRECCIA IN DIASPRO LOCALE In alcuni siti del Paleolitico superiore in 10) PUNTA DI FRECCIA IN SELCE DANESE Francia e Belgio sono stati trovati noduli di N.B. – LE FIGURE NN. 3-5-6-7 SONO STATE TRATTE DA: AA.VV. (1988), LE PIETRE pirite con tracce di percussione che fanno DEL FUOCO. “FOLENDE” VERONESI E SELCI EUROPEE. CATALOGO DELLA supporre la capacità di produrre il fuoco da MOSTRA TENUTASI A BASSANO DEL GRAPPA, 7 MAGGIO-19 GIUGNO 1988. parte dell’Homo sapiens. Le tracce della capacità di produrre il fuoco aumentafuoco come elemento di coesione della famiglia e del gruppo e nel suo valore simbolico. no durante il Mesolitico ed in Inghilterra, nel sito di Star Intorno al fuoco si svilupparono miti e simboli di naCarr datato circa 7000 a.C., oltre alla pirite sono state trotura spirituale: nei sacrifici il fuoco assume un valore culvate tracce di esca costituite da un fungo (Fomes fomentatuale, in vari riti diventa fonte e simbolo di luce perenne. rius). La prima conquista fu la conservazione e l’alimentaA partire poi dal Neolitico la presenza di selce e pirite zione del fuoco naturale e, successivamente, la sua pronei corredi funerari di sepolture fa supporre all’accensioduzione. ne del fuoco anche un valore simbolico e rituale. Le tracce più antiche dell’uso del fuoco risalgono a cirNel marsupio dell’uomo di Similaun, datato circa ca 1,4 My e sono state trovate in Kenia nel sito di Che5300 anni fa, sono stati trovati frammenti di selce, tracce sowania e più a sud a Swarktrans in Sud Africa (Brain et di pirite e un tipo di fungo da esca per il fuoco che fanno alii 1988). pensare a un’attrezzatura per la produzione del fuoco. Entrambi i siti furono frequentati dall’Homo erectus. Durante l’età del ferro la pirite è sostituita dalla marNaturalmente non è possibile sapere se il fuoco sia stacassite (altro solfuro di ferro). to “naturale” o prodotto dai frequentatori di Chesowania In epoca romana diverse fonti parlano delle tecniche e Swarktrans, tuttavia è certo che fu conservato. di accensione del fuoco. Ad esempio nel VI libro dell’Eneide Virgilio scrisse: Il fatto è che per oltre 2.000.000 di anni l’uomo ha 17 ANNALI 2006 co” ed abbiano usato invece esclusivamente sistemi di sfregamento di legni duri contro legni teneri, sistema che richiede in media circa 90 secondi per accendere il fuoco contro circa soli 20 secondi delle “pietre del fuoco”. ACCIARINO E PIETRA FOCAIA Se battete con forza un frammento di pirite (solfato di ferro: FeS2) contro una selce, scaturiranno scintille. Facendo cadere queste scintille su di un’esca adatta, potete ottenere una brace. Mettendo poi questa brace sopra un ciuffo d’erba secca e soffiandoci sopra, potete ottenere la fiamma. Sembra che questo sistema sia stato usato anche in tempi primitivi per accendere il fuoco. Le prime armi da fuoco avevano un meccanismo di accensione della polvere da sparo che usava ancora la pirite. Con l’invenzione della metallurgia dell’acciaio, è stato possibile sostituire questo metallo alla pirite, tuttavia è soltanto dall’inizio del XVII secolo che i dispositivi di sparo hanno cominciato ad utilizzare la coppia: acciaio/selce chiamati rispettivamente acciarino e pietra focaia. Da quel momento, fucili e pistole furono dotate di un diVARI TIPI DI PIETRE DEL FUOCO RINVENUTE NEI DINTORNI spositivo a molla che con la manovra del grilletto DI TIVOLI E GUIDONIA MONTECELIO faceva scattare una pietra focaia contro un accia“Cercano i semi della fiamma nascosti nelle vene della selrino, le scintille prodotte finivano su di uno scodellino ce”. Questo vuol dire che la selce veniva utilizzata per la riempito di polvere da sparo. All’arrivo delle scintille, queproduzione del fuoco. sta polvere si incendiava e la combustione procedeva lunPer la produzione del fuoco sono state suggerite due go un forellino che arrivava fino alla camera di scoppio tecniche principali: la percussione e la frizione. La tecnidove la carica di polvere pirica esplodeva facendo partire ca per percussione consiste nel produrre scintille percuoil proiettile. tendo due corpi. Uno può essere la selce, ma l’altro deve Le pietre focaie italiane hanno una patria specifica: la contenere del ferro legato a un altro elemento, come zolfo Lessinia in provincia di Verona nei paesi di Cerro, Lugo, (pirite) o carbonio. Le scintille ottenute possono incenTrezzolano, Mezzane, S. Anna d’Alfaedo dove affiora abdiare stoppa o foglie secche. Possono ottenersi scintille anbondante la selce, materiale costituito da quarzo microche percuotendo due marcassiti (bisolfuro di ferro, come cristallino in noduli derivato da silice amorfa originata da la pirite) tra loro, come probabilmente si faceva 13000 anpiccolissimi organismi marini dissolti negli strati di pietra calcarea del Biancone, formatoni a.C. a Chaleux (Belgio), dove sosi nei mari profondi del Cretano stati trovati noduli di marcassite ceo 130 milioni di anni fa. in un giacimento preistorico. La produzione degli acciariUn’altra tecnica per produrre il ni era frutto della lavorazione fuoco è la frizione, realizzata in didella selce, qui detta folenda. versi modi: due bacchette di legno Così scriveva nel 1885 Paolo vengono strofinate fra loro oppure Orsi: “I luoghi del veronese preuna è fatta scorrere avanti e indiesenti in addietro per la industria tro su un pezzo di legno più grande oppure si fa ruotare la bacchetdelle selci da acciarini, furono i ta a modo di trapano su un’altra. paesi di Cerro nel Distretto di Notiamo che le popolazioni di Verona, e San Mauro di Saline cacciatori e raccoglitori storiche coin quello di Tregnago. Colà vegme gli Indiani del Nord America, gonsi tuttora monticelli di gli Indios del Sud America ed i Boschegge e rifiuti accumulati da DA ACCIARINO A PIETRA RECANTE ANCORA scimani del Kalahari (Sud Africa) “CANE” anni e anni. Nel 1851 il De SteINCASTRATA LA PIETRA FOCAIA, RINVENUTO NEI abbiano ignorato le “pietre del fuo- PRESSI DI MONTECELIO fani spediva a Lodi alla Ditta ANNALI 2006 18 Cavezzoli molti quintali di quei rifiuti per la fabbrica di porcellane attivata in quella città. (...) Al tempo delle guerre Napoleoniche la sola ditta Boldrini esportava da Verona cento barili al giorno di pietre da fucili, contenenti ognuno ventimila pezzi”. E sempre l’Orsi così prosegue: “Colla invenzione degli zolfini e dei fiammiferi per uso domestico o delle capsule o altri fulminanti per i fucili, l’industria della selce da acciarino anche nel Veronese andò man mano scemando, per modo che circa l’anno 1845, di pietre da fucile si spedirono solo in Dalmazia e nel levante, e di quelle da acciarino nelle città marittime, nell’alto Tirolo e nella Baviera. Nell’anno 1837 Ferdinando I d’Austria, passando per Verona, volle vedere anche la fabbrica di aghi del suddetto Sig. Luigi Boldrini, ed in quella occasione 22 lavoratori di selci, fatti venire appositamente dal Cerro, furon fatti lavorare in presenza dell’Imperatore. La Ditta Boldrini spedisce oggi ancora selci da acciarino in sporta da 2 a 3.000 pezzi nelle piazze di Chioggia, Adria e Sinigaglia per uso dei pescatori e naviganti e manda a Trieste le più grandi prescelte per le navi mercantili. Alcune poche vanno anche nel Tirolo e nella Baviera: rare sono le piccole commissioni di selci da fucile per la Dalmazia e il Montenegro”. Si calcola che in detto periodo siano state prodotte 70 milioni di pietre. Altre erano normalmente utilizzate per uso civile. Ancora oggi passando in questi luoghi si possono notare lungo le strade, cumuli di pietre di scarto derivanti dalle fasi di lavorazione che tanta importanza ebbe nei secoli scorsi per questi poveri territori di montagna dove, per evitare la silicosi che portava l’età media a 30 anni, bisognava lavorare sempre all’aperto! Abbiamo terminato questo breve viaggio nei dintorni di Montenero Sabino alla ricerca delle “pietre del fuoco” scoperte da Bellucci. Abbiamo potuto così esaminare il lungo rapporto dell’uomo con la pietra focaia, dalla più lontana preistoria fino ai giorni nostri. Oggi la nostra civiltà non ha più bisogno delle “pietre del fuoco” che hanno contribuito in maniera determinante al progresso dell’uomo accompagnandolo nel suo lungo cammino verso la civiltà ma ritengo sia nostro dovere mantenerne la memoria. BIBLIOGRAFIA BALTER M. (1995), Did Homo erectus tame fire first?, Science 1995; 268: 1570. BELLUCCI G. (1874), Archivio per l’Antropologia e l’Etnologia, Vol. 4º, 1874, pag. 12. BRAIN C.K, SILLEN A. (1988), Evidence of Swartkrans cave for the earliest use of fire, Nature 1988, 336, 464-6. BULGARELLI G., CASSOLI P. (1984), Interventi in campo paletnologico della Soprintendenza L. Pigorini, Quad. A.E.I., 8:21-29. BELLUOMINI G., CERASOLI M., CERULEO P., VESICA P., ZEI M. 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