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Richard Avenarius, Il concetto umano di mondo

2015, Il concetto umano di mondo

Saggio introduttivo alla traduzione italiana di Der menschliche Weltbegriff di Richard Avenarius

Il pellicano rosso nuova serie a cura di Paolo De Benedetti 235 -0 Pagine guardia.indd 1 23/10/15 15:52 «Bisognerà evitare il tentativo di ricostruire ciò che la grazia ha demolito». A. Louf -0 Pagine guardia.indd 2 23/10/15 15:52 RICHARD AVENARIUS Il concetto umano di mondo a cura di Chiara Russo Krauss MORCELLIANA -0 Pagine guardia.indd 3 23/10/15 15:52 Titolo originale dell’opera: Der menschliche Weltbegriff (1891) © 2015 Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia Traduzione di Chiara Russo Krauss Prima edizione: ottobre 2015 Lavoro realizzato grazie a una borsa di studio dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici www.morcelliana.com I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dell’accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS, SLSI e CNA, CONFARTIGIANATO, CASARTIGIANI, CLAAI e LEGACOOP il 17 novembre 2005. Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe n. 2, 20121 Milano, telefax 02.809506, e-mail [email protected] ISBN 978-88-372-2920-7 LegoDigit srl - Via Galileo Galilei 15/1 - 38015 Lavis (TN) -0 Pagine guardia.indd 4 23/10/15 15:52 Introduzione l’empiriocriticismo di avenarius tra psicofisiologia e teoria della conoscenza 1. Nel 1891 Avenarius dava alle stampe Der menschliche Weltbegriff 1. Era passato solo un anno dalla pub1 Tra gli scritti che si concentrano sull’opera in questione si vedano O. Ewald, Richard Avenarius als Begründer der Empiriokritizismus, Berlin 1905, in particolare pp. 18-88; L. Ziegler, Über einige Begriffe der “Philosophie der reinen Erfahrung”, in «Logos» ii (1911-1912), pp. 316-349, in particolare pp. 338-348. Delle due monografie scritte dall’allievo di Avenarius Joseph Petzoldt e volte ad approfondire e sistematizzare il pensiero del maestro, quella che sviluppa i temi del Weltbegriff è Das Weltproblem vom positivistische Standpunkt aus, Leipzig 1906. In seguito alla pubblicazione del Weltbegriff Wilhelm Schuppe scrisse una lettera aperta ad Avenarius, per discutere le posizioni espresse nell’opera del collega e confrontarle con le proprie (W. Schuppe, Die Bestätigung des naiven Realismus. Offener Brief an Herrn Prof. Dr. Richard Avenarius, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» iii [1893], pp. 365-388). La lettera ebbe una breve risposta a firma di Avenarius stesso (R. Avenarius, Anmerkung zu der Abhandlung von R. Willy, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xviii [1894], pp. 29-31) e una risposta più lunga da parte di uno degli allievi di Avenarius (R. Willy, Das Erkenntnisstheoretische Ich und der natürliche Weltbegriff, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xviii [1894], pp. 1-28). Si segnalano le seguenti recensioni alla prima edizione del Weltbegriff: P. Barth, in «Philosophische Monatshefte» xxviii (1892), pp. 622624; W. Caldwell, in «The Philosophical Review» i (1892), pp. 325-327; L. Grandgeorge, in «Revue Philosophique de la France et de l’Étranger» xxxiv (1892), pp. 533-540; J. Rehmke, in «Göttingische gelehrte Anzeigen» (1892), pp. 596-605; recensione anonima su «The Monist» ii (1892), pp. 451-453. Alla seconda edizione: recensione anonima su «Revue de Métaphysique et de Morale» xiv (1906), p. 10. Alla terza edizione: H. Prager, in «Zeitschrift für 5 00 Introduzione.indd 5 26/10/15 09:36 blicazione del secondo volume della Kritik der reinen Erfahrung, un’opera di quasi ottocento pagine, alla cui elaborazione aveva dedicato dieci anni della sua vita. Basterebbe questo dato per comprendere come le idee contenute nel Weltbegriff fossero state sviluppate insieme a quelle espresse nella Kritik e formassero quasi un tutt’uno con esse. Ciò nonostante Avenarius stesso, nella Prefazione del Weltbegriff, parla di una «relativa indipendenza reciproca» tra le due opere (p. viii; tr. it. infra, p. 52)2, i cui temi e i cui stili di scrittura possono effettivamente apparire molto distanti fra loro. Non a caso un acuto commentatore come Leopold Ziegler fu portato ad affermare che Avenarius «che nella sua opera principale ha offerto poco più di un sensualismo positivistico trasposto in formule, nel suo ultimo lavoro [il Weltbegriff] ha rotto veramente con tutte le direzioni storiche del passato»3. Il primo passo da compiere per comprendere Der menschliche Weltbegriff è dunque chiarirne il rapporto con la Kritik der reinen Erfahrung, così da stabilire come sia possibile che due opere nate in così stretta comunione possano per altri versi apparire tanto diverse l’una dall’altra. Philosophie und philosophische Kritik» cl (1913), pp. 205-207; recensione anonima su «Revue de Métaphysique et de Morale» xx (1912), p. 13. 2 Nel presente saggio introduttivo i riferimenti a Der menschliche Weltbegriff sono riportati indicando il numero del paragrafo. Per le parti dell’opera i cui paragrafi sono sprovvisti di numero viene citata la pagina della seconda edizione tedesca (1905) e della traduzione italiana dell’opera qui di seguito proposta. 3 L. Ziegler, Über einige Begriffe der “Philosophie der reinen Erfahrung”, cit., p. 348. 6 00 Introduzione.indd 6 26/10/15 09:36 2. Possiamo anzitutto affermare che tanto nel Weltbegriff quanto nella Kritik l’oggetto delle ricerche di Avenarius è la conoscenza umana, oppure, dal momento che egli accosta spesso i due termini, possiamo dire più precisamente che l’oggetto delle sue ricerche sono la conoscenza e l’esperienza. Quello che cambia tra le due opere è invece l’approccio alla questione. All’inizio del Weltbegriff Avenarius rende conto del tentativo portato avanti nella Kritik, spiegando come in quello scritto egli avesse provato ad adottare la prospettiva realistica propria della psicologia sperimentale o della psichiatria. Compiendo una mossa per così dire “anticartesiana”, invece di cercare di fondare il sapere su basi certe, mettendo in sospeso ogni possibile conoscenza e dubitando di ogni cosa, Avenarius aveva scelto di mettere da parte ogni possibile dubbio per affrontare la questione della conoscenza e dell’esperienza dal punto di vista gnoseologicamente ingenuo delle scienze naturali. Procedendo in questo modo, Avenarius voleva evitare di cadere prigioniero da un lato della «immediata datità della coscienza» e dall’altro delle prospettive unilaterali proprie di quelle che egli era solito definire «teorie particolari della conoscenza». Nel momento in cui estendo il dubbio a tutta la realtà, vengo infatti consegnato a quell’unica certezza che è rappresentata dalla mia coscienza in quanto è ciò che è immediatamente dato. Una volta ritrovatomi su questo terreno “idealistico”, mi è però impossibile procedere al di là di esso per riguadagnare un’oggettività, perché tutto ciò che provo a porre come misura delle mie cono7 00 Introduzione.indd 7 26/10/15 09:36 scenze non può che trovarsi nuovamente nella coscienza, con il risultato che, pur avendo acquisito un fondamento certo per le mie conoscenze, su di esso non riesco ad edificare alcunché. Se invece guardo alla conoscenza e all’esperienza dalla prospettiva di uno scienziato, posso trattarle come dei comuni fenomeni psichici, che dipendono dal nostro cervello e che come tali possono essere studiati. Ed è proprio percorrendo questa strada che, secondo Avenarius, si può approdare a una vera teoria generale della conoscenza, nel momento in cui – invece di affannarci a determinare unilateralmente cosa sia o debba essere la conoscenza, come fanno le teorie particolari, che dicono “la conoscenza è questo”, “questo è ciò che viene conosciuto” (l’essenza, il fenomeno, i dati provenienti dai sensi o quant’altro) – ci limitiamo a descrivere dal punto di vista neurologico e psichico cosa accade quando qualcosa viene conosciuto, quando una conoscenza viene affermata, modificata o rigettata. Nella Kritik Avenarius sceglie dunque la strada più “fruttuosa”, a scapito di quella gnoseologicamente più corretta, aggirando l’impasse dell’immediata datità della coscienza in favore di un realismo dichiaratamente ingenuo. Così facendo, egli sviluppa un’indagine psicofisiologica sul funzionamento dei meccanismi conoscitivi, osservati prima dal loro versante cerebrale (nel primo volume) e poi dal loro versante psichico (nel secondo). Il presupposto di questa separazione dell’indagine era il rigido parallelismo psicofisico propugnato da Avenarius. Affermare che l’attività cerebrale e quella psichica sono tra loro parallele vuol dire certamente so8 00 Introduzione.indd 8 26/10/15 09:36 stenere che la serie dei fenomeni psichici è strettamente dipendente dalla serie dei fenomeni cerebrali (nel senso che ogni variazione verificatasi nella prima deve trovare la propria condizione in una parallela variazione occorsa nella seconda), ma vuol dire anche che le serie non debbono essere intrecciate tra loro, che nessun elemento dell’una deve comparire nell’altra. Pertanto deve essere possibile tanto seguire la serie dei fenomeni psichici senza curarsi del loro versante cerebrale (il che è piuttosto abituale), quanto seguire la serie dei fenomeni cerebrali senza curarsi del loro versante psichico, e studiare dunque l’intero comportamento umano esclusivamente come un insieme di processi fisico-organici. Pur avendo come conseguenza la possibilità di studiare l’attività umana esclusivamente dal versante organico, il parallelismo psicofisico sostenuto da Avenarius si oppone ad ogni forma di riduzionismo materialistico. Il fondamento di tale parallelismo era infatti la dipendenza logica delle variazioni psichiche dalle variazioni cerebrali, la quale implica che in nessun modo l’ambito psichico possa essere considerato dipendente dall’attività cerebrale nel senso di un esser causato o generato da essa. Il versante psichico e il versante fisico sono due dati parimenti originari e sono per l’appunto solo le variazioni dell’uno a dipendere dalle variazioni dell’altro, e solo nel senso che, quando qualcosa si modifica a livello dell’attività cerebrale, allora si deve modificare qualcosa anche nell’ambito dell’attività psichica. Ad ogni modo questa duplice indagine fisiologica e psichica portata avanti nella Kritik non è una vera e propria indagine scientifica, condotta in laboratorio, per 9 00 Introduzione.indd 9 26/10/15 09:36 mezzo di esperimenti. Avenarius, infatti, pur rifacendosi spesso al lavoro di studiosi come Wundt o Helmholtz, preferisce procedere sulla base di assunti, presupposti, proposizioni generali, per una via che saremmo portati a definire “deduttiva”. Ad esempio nelle pagine della Kritik egli non si occupa di ricercare quali sono i centri neuronali concretamente responsabili dei processi conoscitivi, ma si limita a delineare il concetto di “sistema C”, cui corrisponderebbe quella parte del sistema nervoso centrale da cui si assume che i contenuti psichici dipendano direttamente. L’attività di questo sistema C è secondo Avenarius fondata sulla sua autoconservazione: dal momento che ogni stimolo implica una rottura dell’equilibrio del sistema, la sua elaborazione rappresenta una riaffermazione dello stato di quiete. Proprio in tale autoconservazione risiederebbe la molla dell’evoluzione del cervello, poiché per un organo vivente conservarsi non significa chiudersi agli stimoli, così da non esserne minacciato, bensì sviluppare delle modalità standard – ovvero abituali – di risposta agli stimoli così da consentirne un’elaborazione sempre più perfetta. Considerando però che la fonte primaria di stimoli non è altri che l’ambiente che ci circonda, Avenarius afferma che l’attività del cervello consiste proprio nel progressivo esercizio di schemi cerebrali in grado di rispondere agli stimoli ambientali con sempre maggiore efficacia4. 4 Proprio il concetto di “esercizio” (Übung) risulta centrale nell’economia della Kritik, in quanto esso serve ad esprimere quel miglioramento delle risposte del sistema che avviene tramite la loro successiva ripetizione. Dunque grazie all’esercizio, che permette al sistema di sviluppare delle rispo- 10 00 Introduzione.indd 10 26/10/15 09:36 In particolare, nel corso di questo processo di perfezionamento delle risposte del sistema, tutti i momenti che servono effettivamente ad elaborare gli stimoli provenienti dall’ambiente si conserverebbero, a differenza di quelli non funzionali a questo scopo, che decadrebbero progressivamente proprio a causa del loro mancato utilizzo, con il risultato che il sistema, liberandosi di quei momenti che non corrispondono all’ambiente, diverrebbe sempre più adatto ad esso. Se questo è ciò che accade sul versante cerebrale, il corrispettivo psichico di tale attività per Avenarius va invece cercato nel processo di comprensione dei contenuti particolari per mezzo di concetti generali che la psicologia ottocentesca – in particolar modo quella di matrice herbartiana – definiva “appercezione”. Come il cervello elabora i nuovi stimoli attraverso degli schemi operazionali abituali, così i contenuti psichici nuovi e “ignoti” vengono compresi riconducendoli ad altri abituali e “noti”. Come le risposte cerebrali si liberano progressivamente di tutti i momenti che non sono necessari ad elaborare gli stimoli provenienti dall’ambiente, così i concetti si spogliano progressivamente di tutti quegli aspetti che non servono alla comprensione di ciò che ci circonda, divenendo in tal modo sempre più puramente empirici. È questa l’“esperienza pura” di cui parla Avenarius: il perfetto adeguamento dei concetti all’ambiente per ste abituali (üblich) ottimali, da impiegare al porsi degli stimoli provenienti dall’ambiente, il cervello si evolve progressivamente, incrementando le proprie capacità di conservazione. 11 00 Introduzione.indd 11 26/10/15 09:36 mezzo dell’«eliminazione progressiva»5 di tutto ciò che non è empirico. L’esperienza pura non è quindi identificata né con le pure sensazioni (che sono qualcosa che non viene mai esperito) né con una supposta esperienza incontaminata da cercare risalendo alle origini del nostro sapere; al contrario, il raggiungimento dell’esperienza pura è da considerarsi come «funzione dello spazio e del tempo»6, ovvero come qualcosa che è destinato a realizzarsi man mano che procede la nostra storia evolutiva e che il nostro ambiente di riferimento si allarga fino ad abbracciare tutta la Terra. Con la Kritik Avenarius costruisce dunque una sorta di teoria “biologica” della conoscenza, che mette in relazione l’evoluzione dell’organo-cervello con l’evoluzione dei nostri saperi. Questa sorta di reinterpretazione della adaequatio intellectus et rei nei termini di un adattamento dei concetti all’ambiente, fondato sul parallelo adattamento del sostrato cerebrale agli stimoli ambientali, fa sì che per Avenarius le conoscenze non vadano più misurate in base alla loro “verità”, cioè in base ad una presunta corrispondenza con un’irraggiungibile realtà oggettiva, ma in base alla loro Haltbarkeit, ovvero a partire dal loro destino evolutivo. Giocando sull’ambiguità del termine tedesco, che può indicare tanto la “sostenibilità” psichica (nel senso di possibilità di portare avanti una determinata convinzione) quanto la “conservabilità” biologica (propria di quelle strutture che sono in grado di mantenersi nel tempo perché adatte all’am5 Cfr. R. Avenarius, Kritik der reinen Erfahrung, 2 voll., Leipzig 188818901, 1907-19082 (d’ora in poi Kritik), vol. i, p. 198. 6 Kritik, vol. i, p. 199. 12 00 Introduzione.indd 12 26/10/15 09:36 biente), Avenarius individua nell’Haltbarkeit il principio cardine della propria psicofisiologia della conoscenza, facendone il pendant positivo dell’eliminazione progressiva: se in base a quest’ultima tutte le strutture cerebrali e i concetti che non dipendono dall’ambiente sono destinati a scomparire, quel che è destinato a rimanere è invece ciò che è haltbar. Pertanto, nel valutare le nostre conoscenze, non dobbiamo chiederci se esse siano “vere” o “false”, ma se esse siano destinate a incorrere nell’eliminazione progressiva o se siano al contrario sostenibili/conservabili7. Certo si potrebbe rilevare che, se le conoscenze sostenibili sono comunque quelle empiriche, ovvero quelle che dipendono dall’ambiente, Avenarius in fondo ricadrebbe in una concezione della conoscenza basata sulla corrispondenza con la realtà. Ciò non è scorretto, dato che tra gli scopi di Avenarius v’era sicuramente quello di giungere ad una concezione della conoscenza umana per cui questa è effettivamente conoscenza di qualcosa, di una realtà. Quel che conta, però, è che tale realtà non è più il metafisico e sfuggente “mondo esterno”, ma è l’ambiente in cui ci conserviamo e in cui si svolge la nostra storia evolutiva, e che tale ambiente non è qualcosa che le nostre conoscenze rispecchierebbero, bensì ciò a cui esse si adattano. Come sottolineato più volte dai suoi allievi, l’empiriocriticismo di Avenarius condividerebbe dunque con posizioni solipsistiche e scettiche l’idea che non vi sia 7 Essendo costretta a sciogliere l’ambiguità semantica del termine tedesco, nel saggio introduttivo e nella traduzione dell’opera ho scelto di rendere haltbar con “sostenibile”. 13 00 Introduzione.indd 13 26/10/15 09:36 alcuna metafisica “realtà” fuori di noi cui la conoscenza dovrebbe riferirsi, ma al contempo si differenzierebbe da queste nella misura in cui, partendo da una simile consapevolezza, andrebbe in cerca di un altro criterio che ci permetta di valutare i nostri saperi, senza rinunciare a stabilire “differenze di valore” tra le conoscenze dei diversi individui8. Tale criterio verrebbe quindi individuato in quel «carattere biologico della verità» che «lo scetticismo ignora completamente», ovvero nel «rapporto [della verità] con il nostro impulso alla conservazione»9. 3. Il principale risultato della Kritik è dunque la tesi che in generale la nostra attività cerebrale diviene sempre più adatta all’ambiente e che in generale i contenuti psichici che da tale attività dipendono si spogliano progressivamente di tutti gli elementi non empirici e non sostenibili, avvicinandosi così all’esperienza pura. Tale risultato viene raggiunto, come detto, mettendo da parte ogni possibile questione gnoseologica, per partire direttamente dall’analisi dei rapporti tra ambiente, cervello e contenuti psichici. Considerato ciò, rimanevano due compiti fondamentali che Avenarius cerca di affrontare nel Weltbegriff: il primo era quello di riprendere in mano il problema di quale sia il punto di partenza gno8 Cfr. R. Willy, Der Empiriokritizismus als einzig wissenschaftliche Standpunkt, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xx (1896), pp. 55-86, pp. 191-225, pp. 261-301, qui p. 60. 9 Cfr. M. Klein, Die Philosophie der reinen Erfahrung, in «Naturwissenschaftliche Wochenschrift» ix (1894), pp. 1-6, x (1895), pp. 453-462, xi (1896), pp. 377-382, pp. 389-394, qui vol. ix, p. 3. 14 00 Introduzione.indd 14 26/10/15 09:36 seologicamente saldo su cui fondare una teoria della conoscenza; il secondo era invece quello di integrare i risultati della Kritik, non accontentandosi più di stabilire in generale in che direzione debbano evolversi il nostro cervello e il nostro sapere, ma procedendo piuttosto ad esaminare in concreto quali siano i contenuti psichici che si sono effettivamente sviluppati nel corso della nostra evoluzione cerebrale. Anche se nella Kritik Avenarius aveva messo tra parentesi la questione dell’immediata datità della coscienza, per occuparsi della conoscenza e dell’esperienza come si farebbe con un qualsiasi altro oggetto di indagine psicofisiologica, egli era ben consapevole che questa poteva essere tutt’al più una soluzione temporanea, un metodo per aggirare un problema che non per questo cessava di esistere in tutta la sua serietà. Che tale problema non potesse essere accantonato tanto facilmente lo dimostrava tra l’altro il fatto che, anche partendo dal rapporto tra ambiente, cervello e contenuti psichici, si viene sospinti su posizioni idealistiche, perché se è vero che l’ambiente causa le percezioni in noi, l’unica cosa che è effettivamente data sono comunque queste ultime, per cui l’esistenza dell’ambiente risulta tutt’al più inferita a partire da esse. Ma se, anche provando a partire dal realismo, si finisce comunque a dover fare i conti con l’idealismo, allora è proprio da quest’ultimo che bisogna prendere le mosse, ovvero dall’immediata datità della coscienza. Ecco dunque che la questione fondamentale diviene quella di conciliare la prospettiva idealistica dell’immediata datità della coscienza (la sola da cui sia gnoseologicamente giustificato partire) con la 15 00 Introduzione.indd 15 26/10/15 09:36 prospettiva realistico-scientifica (che, indagando la dipendenza della conoscenza dal cervello e dall’ambiente, è invece la sola in grado di spiegare come funzionano i nostri processi intellettivi). La proposta di soluzione al problema della conciliazione tra la prospettiva idealistica e quella realistica presentata da Avenarius nel Weltbegriff si basa sulla distinzione tra me stesso – l’io – e gli altri uomini. La coscienza immediata da cui bisogna partire è la mia, perché tutta la realtà si dà solo come qualcosa che è sul piano della mia esperienza. La conoscenza e l’esperienza di cui si può indagare da cosa dipendano sono invece quelle del mio prossimo, le quali costituiscono, al tempo stesso, una parte di ciò che si dà sul piano della mia esperienza. In particolare il modo in cui la conoscenza e l’esperienza altrui si danno all’interno del piano della mia esperienza è attraverso le asserzioni. È solo grazie al linguaggio, infatti, che dispongo di un’esperienza, quella del mio prossimo, la quale, non essendo più il piano della immediata datità della coscienza su cui si colloca ogni cosa, ma piuttosto una parte di ciò che si dà sul piano della mia esperienza, può essere trattata alla stregua di ogni altro fenomeno che si dà su tale piano, e sottoposta a un’indagine scientifica volta a stabilire da cosa essa dipenda. Chi vuole svolgere una ricerca di tipo psicofisiologico non dovrebbe pertanto parlare di contenuti di coscienza, rappresentazioni, vissuti etc. – tutti termini che rimandano a ciò che io esperisco in prima persona – ma, più correttamente, di contenuti di asserzione. Per questo motivo Avenarius stesso, nello scrivere di fenomeni psichici, adopera costantemente le virgolette, a se16 00 Introduzione.indd 16 26/10/15 09:36 gnalare che si sta riferendo a contenuti asseriti dal suo prossimo, o “valori-E”, come pure li chiama. A ben vedere, però, già nella Kritik i contenuti psichici di cui veniva indagata la dipendenza dal cervello erano riportati tra virgolette, ed erano dunque valori-E, contenuti di asserzione. Difatti, come riferisce lo stesso Avenarius nella Prefazione del Weltbegriff, durante la composizione della sua opera principale egli aveva già sviluppato il suo personale punto di vista, secondo cui bisogna partire “idealisticamente” dalla propria esperienza per poi indagare “realisticamente” i rapporti di dipendenza tra quei componenti di essa che sono l’ambiente, il cervello e i contenuti di asserzione degli altri uomini. Ciò nonostante egli aveva preferito lasciare in secondo piano la questione del punto di vista da cui venivano svolte le ricerche della Kritik, perché ciò che contava in quell’opera era solo stabilire in che modo funzionino i processi conoscitivi dal versante cerebrale e da quello psichico, e non da che punto di vista sia giustificato parlare di tali processi. In questo modo Avenarius allargava la platea di coloro che potevano accogliere le sue suggestioni, perché la teoria psicofisiologica della conoscenza delineata nella Kritik poteva essere accolta anche da chi non avesse sposato le sue tesi sul punto di vista da adottare. Viceversa, la proposta di soluzione dell’antinomia tra idealismo e realismo presentata separatamente nel Weltbegriff poteva venir condivisa anche da chi avesse rifiutato la sua concezione dei processi cerebrali e psichici. Ecco dunque spiegato il motivo della singolare scelta compiuta da Avenarius: quella di riservare a un altro 17 00 Introduzione.indd 17 26/10/15 09:36 scritto l’illustrazione del punto di vista da cui erano state sviluppate le idee contenute nella sua opera principale. 4. Il Weltbegriff non costituisce però soltanto la chiarificazione dei presupposti gnoseologici della Kritik, ma anche un’integrazione rispetto alla teoria dell’evoluzione della conoscenza umana contenuta in quest’ultima. Come detto, nella Kritik Avenarius aveva scelto di procedere per una sorta di via “deduttiva”, volta a stabilire in linea di principio come si deve assumere che funzionino l’attività cerebrale e psichica in generale. Questa scelta era dovuta principalmente al fatto che il percorso che dovrebbe consentirci di stabilire, sulla base di indagini ed esperimenti, come funziona concretamente il cervello, e quali sono in concreto i contenuti psichici che dipendono dai differenti processi cerebrali, appariva ancora tanto remoto agli occhi di Avenarius da risultare sostanzialmente impraticabile. Per arrivare a una simile conoscenza dei rapporti mente-cervello bisognava infatti acquisire una conoscenza di quest’organo così perfetta da poter essere pensata al massimo come meta ideale per una psicofisiologia come quella tardo-ottocentesca, che in questo campo compiva allora i suoi primi passi. Visto che tale indagine, ammesso che potesse essere ritenuta attuabile, non era certo assolvibile dalla Kritik, Avenarius aveva preferito dedicarsi a costruire un’ipotesi generale sulla direzione in cui si muove l’evoluzione cerebrale e psichica, con la speranza che siffatta ipotesi potesse svolgere una funzione euristica per la coeva psicologia sperimentale, evitandole di smarrirsi in una 18 00 Introduzione.indd 18 26/10/15 09:36 molteplicità di studi specialistici privi di un quadro di riferimento. In particolare, partendo dal presupposto che l’attività cerebrale procede sempre attraverso tre stadi – uno iniziale di quiete, uno di disequilibrio in cui il sistema risponde al porsi di uno stimolo mettendo in atto delle variazioni volte a ristabilire la quiete, e infine uno in cui viene ripristinato l’equilibrio – Avenarius assume che anche sul versante psichico debba essere riscontrabile una processualità simile. A prescindere dal contenuto particolare dei concetti che si realizzerebbero in ciascuno dei tre momenti, egli stabilisce che quelli che compaiono nel primo e nell’ultimo stadio debbano avere una connotazione positiva, al contrario di quelli dello stadio intermedio, che sarebbero invece caratterizzati in parte positivamente e in parte negativamente, a seconda che le variazioni messe in atto dal sistema comportino un avvicinamento o un allontanamento rispetto al ripristino dell’equilibrio. Pertanto, mentre tutti i contenuti corrispondenti al primo momento possiedono i caratteri positivi di “esistente”, “sicuro”, “noto” ed “esperito”, per cui il concetto nel suo insieme è dotato di una «caratteristica interamente positiva»10, nel secondo momento alcuni di questi contenuti vedono i loro caratteri svilupparsi in senso negativo, diventando ad esempio un che di “non esperito” ed “ignoto”, anche se magari ancora “esistente”, dato che i caratteri non devono necessariamente diventare negativi tutti assieme. 10 Cfr. Kritik, vol. ii, p. 396. 19 00 Introduzione.indd 19 26/10/15 09:36 Nel corso di questo processo i contenuti che acquisiscono i caratteri negativi di “non esistente”, “non sicuro”, “ignoto” e “non esperito” sono anche quelli destinati a venir rimossi, a cadere per effetto dell’eliminazione progressiva, con il risultato che il concetto che si afferma al termine di questo processo di rimozione è nuovamente composto solo di contenuti caratterizzati interamente in senso positivo come “esistenti”, “sicuri”, “noti” ed “esperiti”. Dunque, pur presentando gli stessi caratteri, il momento iniziale e quello finale dell’evoluzione di un concetto secondo Avenarius si differenziano per il fatto che i contenuti del concetto conclusivo risultano purificati da tutto ciò che, pur comparendo in origine come “esistente”, “sicuro”, “noto” ed “esperito”, nel corso dell’evoluzione si è modificato – diventando “non esistente”, “non sicuro”, “ignoto” e “non esperito” – per poi venir eliminato dal concetto in questione. Nella Kritik Avenarius giungeva dunque al risultato che l’evoluzione dei nostri concetti vede in generale il passaggio da uno stadio in cui i loro contenuti sono caratterizzati in modo interamente positivo ad uno dove emergono dei caratteri negativi, per concludersi con il ripristino della caratterizzazione positiva. Nel Weltbegriff egli vuole invece capire quali sono in concreto i contenuti che vengono così caratterizzati nel corso dell’evoluzione umana, applicando tale schema ad un concetto in particolare: il concetto di mondo. Per Avenarius, infatti, il compito della critica dell’esperienza pura era solo quello di stabilire le condizioni generali della purificazione dell’esperienza, incarico che risultava assolto una volta individuato il processo di 20 00 Introduzione.indd 20 26/10/15 09:36 evoluzione umana, il quale porta a eliminare tutto ciò che è non empirico. Tutt’altra cosa era invece riuscire ad elaborare un sistema dell’esperienza pura, ovvero un sistema che fissasse quali sono in concreto i concetti puramente empirici. Con il Weltbegriff Avenarius intende compiere un primo, fondamentale passo in questa direzione, nella misura in cui lo scopo dell’opera è per l’appunto stabilire quale sia il concetto puramente empirico di mondo che è destinato a realizzarsi nel corso dell’evoluzione umana11. Dunque nel Weltbegriff Avenarius sceglie di allontanarsi dalla prospettiva psicofisiologica generale propria della Kritik per indagare nel dettaglio l’evoluzione psicofisiologica di un determinato concetto, quello di mondo. Resta tuttavia il problema dell’insufficiente conoscenza del funzionamento del cervello, in sé e nel suo rapporto con i contenuti psichici. In particolare, Avenarius è consapevole di non poter descrivere come funziona lo sviluppo cerebrale responsabile dell’evoluzione del concetto di mondo. Per tale motivo egli limita il suo campo di indagine al processo evolutivo che si è già svolto nel corso della storia umana. In questo modo, invece di partire dall’attività cerebrale per definire poi quali sono i concetti di mondo che vengono via via realizzati in quanto dipendenti da essa, Avenarius 11 Anche l’ultimo lavoro di Avenarius – la serie di articoli intitolata Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie e pubblicata sulla «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» tra il 1894 e il 1895 – può essere visto nell’ottica di una fondazione di un sistema dell’esperienza pura, dato che il suo scopo è per l’appunto definire il concetto puramente empirico di “oggetto della psicologia”. 21 00 Introduzione.indd 21 26/10/15 09:36 parte dall’analisi dei concetti di mondo che sono effettivamente comparsi nel corso del tempo. Ciò gli consente comunque di affermare che tutti i contenuti eliminati dal concetto di mondo nel corso della sua storia erano dipendenti da funzioni cerebrali non condizionate dall’ambiente. Lo strumento di cui Avenarius si serve per stabilire quale dev’essere il concetto di mondo puramente empirico e come procede il suo sviluppo psicofisiologico è dunque una ricostruzione della storia del concetto di mondo, volta a far emergere qual è quella parte di esso che viene progressivamente eliminata (i cosiddetti “concetti accessori”) e qual è invece quella che viene conservata nel corso del tempo, risultando alla fine l’unica sostenibile (il “concetto universale”)12. 5. Da quanto abbiamo detto emerge come il Weltbegriff, rispetto alla Kritik, si ponga allo stesso tempo a un livello più generale e ad uno più particolare. Da un lato, infatti, è il Weltbegriff che sembra contenere entro di sé la Kritik, nella misura in cui esso ha il compito di chiarire quale fosse il punto di vista da cui sono state svolte le ricerche contenute nell’opera precedente e in che modo queste possano essere giustificate gnoseologicamente; dall’altro, invece, è la Kritik che sembra contenere entro di sé le indagini condotte nel Weltbegriff, dato che in essa viene delineata una teoria psicofisiologica sullo sviluppo dei concetti che l’opera successiva mette poi alla prova, applicandola ad un concetto particolare. 12 Cfr. Kritik, vol. ii, p. 379. 22 00 Introduzione.indd 22 26/10/15 09:36 Per comprendere questo apparente paradosso bisogna chiarire come si leghino tra loro la questione del punto di vista da adottare e quella dell’evoluzione del concetto di mondo, addentrandoci nel merito delle risposte fornite da Avenarius a tali problemi. Come detto in precedenza, anche se Avenarius afferma di aver adottato una prospettiva “realista” all’interno della Kritik, in realtà egli sceglie come punto di partenza della propria filosofia quello dell’immediata datità della coscienza, basandosi sull’assunto che essa è l’unico fondamento possibile, dato che non si può che prendere le mosse da ciò che concretamente troviamo. Ciò nonostante la scelta di porre a fondamento l’immediatezza della coscienza non viene da lui interpretata nel senso di una riduzione al soggetto, quanto piuttosto come un partire dall’esperienza nella sua effettività. Questa esperienza che fornisce ad Avenarius la base delle sue riflessioni non è però l’esperienza pura (l’esperienza da cui è stato rimosso tutto ciò che non è propriamente empirico), anche se per altri versi essa è comunque “pura”, nel senso che per ottenerla bisogna spogliarsi di quella sorta di «misterioso impulso a scegliere il punto di vista più elevato, profondo, astratto o, quanto meno, più complicato possibile» che è proprio delle «ricerche che si occupano della conoscenza umana»13. Solo liberandoci da quei punti di vista uni13 Kritik, vol. i, p. 11. A tal proposito, nel suo articolo di critica alle posizioni di Avenarius, Wundt affermava: «In realtà l’espressione “puro”, all’interno della cerchia di pensiero empiriocritica, non si riferisce tanto all’esperienza stessa, quanto piuttosto a quel punto di vista completamente disinteressato, di osservazione puramente oggettiva, che viene richiesto per 23 00 Introduzione.indd 23 26/10/15 09:36 laterali che abbiamo già visto essere propri delle teorie particolari della conoscenza, per limitarci invece a descrivere ciò che incontriamo nella vita di tutti i giorni, otteniamo la nostra esperienza naturale o, per usare la terminologia avenariusiana, il trovato: «Io, con tutti i miei pensieri e sentimenti, mi trovai in mezzo ad un ambiente. [...] Di questo ambiente facevano parte anche altri uomini con innumerevoli asserzioni; e ciò che essi dicevano stava per lo più a sua volta in un rapporto di dipendenza con l’ambiente. Inoltre questi uomini parlavano e agivano come me [...] per questo non ho pensato altro se non che gli altri uomini fossero esseri come me e che io stesso fossi un essere come loro» (§ 6). Questa esperienza e i suoi contenuti fondamentali – l’io, l’ambiente e gli altri uomini – costituiscono dunque il punto di partenza delle riflessioni di Avenarius. Il fatto che per giungere a tale esperienza egli si sia dovuto spogliare di ogni punto di vista filosofico, per adottarne invece uno “ingenuo”, non garantisce però né che l’esperienza in questione sia puramente empirica (ossia che in essa non si nasconda qualcosa che non sia effettivamente esperienza), né che essa sia sostenibile, ovvero in grado di conservarsi senza dare origine a problemi che ne rendano necessaria la variazione. Il compito che Avenarius affidava al Weltbegriff è dunque quello di saggiare l’empiricità e la sostenibilità determinare il contenuto effettivo dell’esperienza» (W. Wundt, Über naiven und kritischen Realismus. ii: der Empiriokritizismus, in «Philosophische Studien» xiii [1898], pp. 1-105; pp. 323-433, qui p. 7). 24 00 Introduzione.indd 24 26/10/15 09:36 dell’esperienza trovata adottando il punto di vista ingenuo. Perseguendo tale compito si rischia però di incorrere nuovamente in tutti quei problemi che sorgono ogni qual volta si ha a che fare con l’immediata datità della coscienza. Infatti, stando alla concezione di Avenarius stesso, per stabilire se la mia esperienza è effettivamente empirica e sostenibile dovrei indagare da cosa essa dipende, separando così ciò che corrisponde a schemi cerebrali effettivamente condizionati dall’ambiente e conservabili da ciò che rimanda invece a schemi cerebrali non dipendenti dall’ambiente e destinati a scomparire progressivamente per carenza di utilizzo. Quest’operazione non è tuttavia possibile in riferimento alla mia esperienza, perché oltre essa non c’è niente, né ambiente, né cervello, mentre l’ambiente e il cervello che sono in essa, proprio perché sono in essa, non possono esserne al contempo la condizione. Per aggirare questo ostacolo, una volta fissato il contenuto della propria esperienza, Avenarius la attribuisce al suo prossimo, assumendo che sia questi ad asserire: «Io, con tutti i miei pensieri e sentimenti, mi trovai in mezzo ad un ambiente etc.». Così facendo, infatti, non abbiamo più a che fare con il trovato, con il piano della mia esperienza, ma con un contenuto di asserzione altrui – il concetto di mondo – che è una parte determinata di tale piano, parte di cui può essere studiato lo sviluppo psicofisiologico. In altre parole, per evitare di restare ancorato al piano della propria esperienza personale e di ciò che egli ha trovato in prima persona, Avenarius opera un cambio di prospettiva, guardando ai contenuti da lui stesso esperiti come 25 00 Introduzione.indd 25 26/10/15 09:36 se questi fossero asseriti, per così dire, in terza persona, da un altro uomo. Per Avenarius questo cambio di prospettiva non costituisce però soltanto un espediente, un meccanismo concettuale costruito con lo scopo di non ricadere nelle solite antinomie tra idealismo e realismo. Certo, se si rimane alla considerazione del proprio trovato, è impossibile mettere in relazione i vissuti personali con qualcosa che sarebbe di là da essi. Ma, a prescindere da questa considerazione “filosofica”, alla base del passaggio da una prospettiva “in prima persona” ad una “in terza persona” c’è un vero e proprio dato di fatto: noi non abbiamo alcuna conoscenza diretta della relazione che c’è tra i nostri vissuti da una parte e noi stessi, il nostro cervello e l’ambiente dall’altra, perché tale relazione viene conosciuta in modo diretto solo rispetto al nostro prossimo, e poi da questi viene trasferita a noi stessi, per analogia. In altre parole, qualcosa come l’esperienza del rapporto tra il nostro vissuto “albero” e l’oggetto “albero” non esiste, perché nella nostra esperienza l’albero come oggetto e l’albero come vissuto sono una e una sola cosa. A ben vedere quel che abbiamo è esclusivamente l’esperienza del rapporto tra l’asserzione “albero” del mio prossimo e l’oggetto “albero”, ed è partendo da questa esperienza, che viene proiettata su noi stessi, che possiamo parlare anche di un rapporto che sussisterebbe tra il nostro vissuto “albero” e l’oggetto “albero”. Pertanto quando nella vita di tutti i giorni consideriamo i nostri vissuti come qualcosa che “dipende-da”, in realtà non stiamo facendo altro che trasferire su noi 26 00 Introduzione.indd 26 26/10/15 09:36 stessi la nostra conoscenza del fatto che le asserzioni altrui sono un qualcosa che “dipende-da”, ovvero non stiamo facendo altro che considerare noi stessi in analogia con il nostro prossimo, anche se ciò avviene in modo inconscio e inconsapevole. Il considerarsi come un altro uomo non è dunque soltanto l’escamotage messo in piedi da Avenarius per uscire dalle secche dell’idealismo filosofico, ma è la modalità standard che adottiamo ogni qual volta consideriamo i nostri vissuti come qualcosa che è in rapporto ad altro e non semplicemente come qualcosa che “si dà”. Questa possibilità di considerare la propria esperienza in due modi – dal nostro punto di vista, come qualcosa che semplicemente “si dà”, oppure come un qualcosa di asserito da un individuo terzo e che “dipende-da” (il cervello, l’ambiente etc.) – nel Weltbegriff viene indicata con la differenza tra “prospettiva assoluta” e “prospettiva relativa”. La prospettiva “assoluta” è per l’appunto quella del piano della mia esperienza, che è absolutus – slegato, sciolto – in quanto non può essere messo in relazione con qualcosa che sarebbe di là da esso giacché questo qualcosa semplicemente non c’è. La prospettiva relativa è invece quella che si adotta quando ci si considera in terza persona, in analogia con l’altro uomo, ed è così chiamata perché ci permette per l’appunto di mettere in relazione la nostra esperienza (trattata come un contenuto di asserzione) con qualcosa di là da essa. Nel distinguere tali prospettive bisogna sottolineare come la prospettiva relativa sia comunque possibile solo all’interno di quella assoluta. Infatti, quando 27 00 Introduzione.indd 27 26/10/15 09:36 considero la mia esperienza come se fosse un contenuto asserito dal mio prossimo, mettendola in relazione con l’ambiente o il cervello altrui (che sto considerando come se fosse il mio), tutti questi elementi – l’asserzione, l’ambiente e il cervello – fanno comunque parte del piano della mia esperienza e in quanto tale sono assunti assolutamente. La prospettiva relativa non può pertanto mai prescindere da quella assoluta, perché far ciò vorrebbe dire prescindere dal piano dell’esperienza, mentre è solo all’interno di questo che può darsi qualcosa o la relazione tra qualcosa. 6. Questo gioco tra le due prospettive, che innerva tutto il Weltbegriff, fa sì che lo scopo dell’opera risulti da un lato l’analisi dell’esperienza in prima persona, in quanto essa è il fondamento su cui Avenarius erige la sua filosofia, e dall’altro l’analisi di questa esperienza in terza persona, osservata cioè come se fosse un determinato contenuto di asserzione di un altro uomo, vale a dire il concetto di mondo, di cui bisogna ricostruire lo sviluppo psicofisiologico, così da accertarne la sostenibilità. Come abbiamo già visto, similmente a quanto accade nella Kritik, anche nel Weltbegriff Avenarius non realizza una vera e propria indagine psicofisiologica volta a ricercare quale sia l’attività cerebrale da cui il concetto di mondo dipende. Egli si occupa invece di ricostruire la storia di tale concetto. In particolare, nel momento in cui imposta la sua ricerca come un tentativo di ripercorrere le diverse fasi che hanno segnato l’evoluzione del concetto di mondo, Avenarius assume 28 00 Introduzione.indd 28 26/10/15 09:36 che quei contenuti che egli aveva trovato adottando un punto di vista ingenuo non siano solo il punto di partenza della sua filosofia, ma più in generale il punto di partenza delle riflessioni di ogni uomo, e quindi dell’umanità stessa. In altre parole, quel concetto di mondo costituito da io, ambiente ed altri uomini per Avenarius sarebbe il concetto di mondo che gli uomini si formano spontaneamente e originariamente, e dal quale tutti gli altri concetti di mondo deriverebbero, in quanto sue variazioni. Per questo motivo egli definisce tale concetto il «concetto naturale di mondo». Una volta assunto che il concetto naturale di mondo è la radice comune dalla cui variazione si sviluppa ogni altro concetto di mondo, sorgono due questioni: 1) come accade che il concetto naturale di mondo dia origine a delle variazioni? 2) cos’è sostenibile, il concetto naturale di mondo o le sue variazioni? La risposta alla prima domanda viene cercata nella storia evolutiva del concetto di mondo, perché la via più agevole per comprendere come si determinino delle variazioni nel concetto naturale di mondo è analizzare le variazioni che esso ha effettivamente subito durante la sua storia. Sempre la storia del concetto di mondo ci può anche aiutare a rispondere alla seconda domanda, sulla sostenibilità del concetto naturale di mondo e delle sue variazioni, mostrandoci cosa si è conservato e cosa è stato invece eliminato nel corso del tempo. Poiché la ricostruzione della storia evolutiva del concetto di mondo viene condotta in accordo con le teorie della Kritik circa lo sviluppo dei contenuti conoscitivi, in essa Avenarius individua tre fasi: una prima, 29 00 Introduzione.indd 29 26/10/15 09:36 rappresentata per l’appunto dal concetto naturale di mondo, ovvero da quell’insieme di io, ambiente ed altri uomini che per Avenarius è il contenuto primario dell’esperienza sua e di ogni altro uomo; una seconda, in cui interviene un elemento di disturbo che determina – per usare un’espressione della Kritik – «l’incepparsi di una generalizzazione»14, nel senso che il concetto di mondo iniziale si trova a fare i conti con qualcosa che non è in grado di comprendere, per cui è costretto a modificarsi, a variare, nel tentativo di «appercepire» tale elemento estraneo; infine una terza fase, in cui l’«enigma del mondo»15 che caratterizzava il secondo momento viene risolto o tramite la riaffermazione del concetto di mondo iniziale (nel momento in cui l’elemento di disturbo è derubricato a falso problema) oppure tramite la sostituzione o modifica di esso (per cui si afferma un nuovo e variato concetto di mondo, che riesce a comprendere stabilmente quell’elemento estraneo, senza che insorgano nuovi problemi). Da questa scansione della storia del concetto di mondo – che si ritrova nella divisione del Weltbegriff in tre parti – si evince che per comprendere come e perché il concetto naturale di mondo finisca col variare è necessario spiegare quale sia l’elemento di disturbo che dà avvio alla seconda fase, e in che modo esso si origini. In altre parole bisogna cercare dov’è, nelle pieghe del concetto di mondo, che si annida quel germe di una possibile incomprensione in grado di svilupparsi fino a mettere 14 15 Kritik, vol. ii, p. 248. Cfr. Kritik, vol. ii, pp. 383 ss. 30 00 Introduzione.indd 30 26/10/15 09:36 in crisi il concetto naturale di mondo, determinandone la variazione. Per rispondere a questa domanda Avenarius analizza più nel dettaglio il contenuto del concetto naturale di mondo – «Io, con tutti i miei pensieri e sentimenti, mi trovai in mezzo ad un ambiente etc.» – rilevando che non tutto ciò che è presente in esso è effettivamente un’esperienza. Esso racchiude infatti anche un contenuto ipotetico, corrispondente all’assunto secondo cui gli altri uomini sono esseri come me; esseri, cioè, i cui movimenti, gesti e suoni hanno un senso, sono asserzioni. Che il mio prossimo sia simile a me e che i suoi movimenti non siano semplicemente un qualcosa di meccanico, al pari dei movimenti dei semplici componenti dell’ambiente, è un’ipotesi perché per poterla confermare io dovrei mettermi dal suo punto di vista, per esperire ciò che egli stesso esperisce. Ma ciò non è possibile, in quanto non posso mai abbandonare il mio punto di vista; tutto ciò che posso fare è solo attribuire un significato ai gesti altrui, in analogia con il significato effettivamente detenuto dai miei gesti. Denunciando il carattere ipotetico della significatività del movimenti, gesti e suoni degli altri uomini Avenarius non intende però sostenere che sia necessario rimuovere questa ipotesi dal concetto naturale di mondo. Tale ipotesi, infatti, risulta comunque intimamente legata all’esperienza, o quanto meno si accorda maggiormente con essa rispetto all’ipotesi opposta, secondo cui gli altri uomini non sarebbero esseri come me, così che i loro gesti dovrebbero essere considerati come movimenti di un automa, aventi una valenza esclusivamente meccanica. 31 00 Introduzione.indd 31 26/10/15 09:36 Dunque secondo Avenarius la problematicità dell’ipotesi racchiusa nel concetto naturale di mondo non è data dal significato linguistico dei gesti altrui in sé, ma dal modo in cui questa ipotesi può essere sviluppata. Come abbiamo detto, i movimenti, gesti e suoni altrui acquisiscono un significato nel momento in cui io li interpreto in analogia con i miei stessi movimenti, gesti e suoni, per cui essi risultano significativi al pari di questi. Tale processo è comunque fondato sull’esperienza, in quanto, sulla base dell’esperienza per cui i miei movimenti hanno non solo una valenza meccanica, ma anche un significato, io attribuisco agli analoghi movimenti altrui un analogo significato. L’errore nasce invece nel momento in cui l’ipotesi del significato dei movimenti altrui si allontana dal suo essere una analogia con l’esperienza per divenire qualcosa che non ha affatto una base empirica, ma anzi contraddice persino l’esperienza. In particolare ciò accade nel momento in cui l’analogia tra me e il mio prossimo dà vita a un’impropria sovrapposizione tra due punti di vista inconciliabili. Sulla base dell’assunto per cui io e il mio prossimo siamo simili è infatti possibile tanto guardare a se stessi come se si fosse un altro uomo (come accade dalla prospettiva relativa), quanto adottare il punto di vista altrui, calandosi nei panni dell’altro uomo, per cui egli non è un più visto come un altro uomo, ma come un io. Anche se, cambiando punto di vista, io posso tanto considerare me stesso come un altro uomo quanto l’altro uomo come un io, quel che non posso mai fare è fondere insieme i due punti di vista, considerando me o il mio prossimo 32 00 Introduzione.indd 32 26/10/15 09:36 allo stesso tempo come un io e come un altro uomo. Quando ciò accade si genera infatti il paradosso per cui un altro uomo, che è una parte dell’esperienza, diviene al contempo qualcuno che ha l’esperienza. Il tentativo di unire il mio punto di vista, per cui l’altro è per l’appunto un altro uomo, e il suo punto di vista, per cui egli è un io, conduce dunque a una duplicazione dell’esperienza: da un lato abbiamo la mia e dall’altro abbiamo la sua, la quale – appartenendo a un uomo che è parte della mia esperienza – deve essere anch’essa in qualche modo contenuta nella mia esperienza. Nasce così il problema di come faccia l’esperienza altrui a darsi all’interno della mia, dato che io non la esperisco; problema cui si risponde affermando che l’esperienza altrui è inaccessibile perché nascosta dentro l’altro uomo, nella sua interiorità. Una volta che la duplicazione dell’esperienza nata dalla sovrapposizione dei due punti di vista è stata risolta collocando l’esperienza del mio prossimo in lui, i gesti e suoni dotati di significato non sono più il modo fondamentale in cui si dà l’esperienza dell’altro, ma divengono tutt’al più uno strumento per inferire ciò che accade dentro di lui, perché i contenuti espressi dai suoi movimenti sono stati ormai trasferiti o, meglio, inseriti al suo interno, nella supposta dimensione interiore. Questo processo, che Avenarius chiama «introiezione» (Introjektion) o «inserimento» (Einlegung), non si accorda con l’esperienza non solo perché io attribuisco al mio prossimo qualcosa di cui non faccio esperienza rispetto a lui, come la sua esperienza interiore, ma anche e soprattutto perché io gli attribuisco qualcosa che non 33 00 Introduzione.indd 33 26/10/15 09:36 esperisco nemmeno rispetto a me stesso. Difatti io non ho alcuna esperienza di qualcosa come il mio “interno”: né i miei vissuti, né tantomeno il significato linguistico dei miei gesti, vengono esperiti come un qualcosa che sarebbe dentro di me. Per questo motivo la dimensione interiore che si origina nel momento in cui sovrappongo le due prospettive, inserendo il significato linguistico delle asserzioni del mio prossimo dentro di lui, non è il frutto di una analogia con l’esperienza, ma di una vera e propria «creazione dal nulla»16. A chi potrebbe dissentire dall’affermazione secondo cui io stesso non ho un’“interiorità” Avenarius risponde che l’idea del mio “interno” non è qualcosa di originario, perché essa deriva proprio dall’introiezione dei contenuti di asserzione negli altri uomini. In altre parole, Avenarius ritiene che solo dopo aver donato al mio prossimo un’interiorità, mal interpretando il significato linguistico dei suoi gesti e dei suoi suoni, io inizierei ad attribuire anche a me stesso una dimensione interiore come quella degli altri uomini, sulla base dell’analogia che sussiste tra me e loro. Il risultato paradossale di questo modo di pensare sarebbe quindi che invece di ricondurre l’ignoto al noto (interpretando l’esperienza altrui sulla base della mia), io ricondurrei il noto all’ignoto (interpretando la mia esperienza sulla base di una malintesa esperienza altrui)17. 16 Cfr. R. Avenarius, Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xviii (1894), pp. 137-161, pp. 400-420; xix (1895), pp. 1-18; pp. 129-145, qui xviii, p. 159. 17 Cfr. ibi, xviii, p. 153. 34 00 Introduzione.indd 34 26/10/15 09:36 7. Con l’introiezione entra in gioco uno dei temi fondamentali del Weltbegriff e più in generale del pensiero di Avenarius, il quale ritornerà sull’argomento nella sua ultima opera, le Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie. Se il punto debole del concetto naturale di mondo è l’ipotesi della significatività dei movimenti altrui, l’introiezione è quell’elemento problematico che si sviluppa a partire da tale debolezza, finendo col mettere in crisi lo stesso concetto naturale di mondo. Con l’introiezione è infatti aperto il vaso di Pandora degli enigmi filosofici, perché nel momento in cui i contenuti di asserzione vengono collocati all’interno dell’altro uomo si genera d’un colpo ogni sorta di interrogativi sul rapporto tra questo interno e ciò che si troverebbe invece fuori di esso. Mentre l’esperienza originaria che trovava espressione nel concetto naturale di mondo era un’esperienza unitaria, perché tutti i suoi componenti – l’io, l’ambiente e gli altri uomini – erano collocati su uno stesso piano, una volta che i contenuti di asserzione sono posti dentro gli uomini, all’interno del piano dell’esperienza si genera un altro piano, quello dell’esperienza interna. L’introiezione determina così una scissione della realtà in più sfere – l’interno e l’esterno, il soggetto e l’oggetto etc. – i cui rapporti risultano inesplicabili. La storia delle variazioni del concetto naturale di mondo è dunque la storia dell’introiezione e del modo in cui nel corso dei secoli si è cercato di rispondere agli interrogativi da questa scaturiti. Nel ricostruire il percorso compiuto dal pensiero umano dai suoi inizi animistici fino ad arrivare all’epoca a lui coeva, Avenarius 35 00 Introduzione.indd 35 26/10/15 09:36 disegna pertanto quella che potremmo definire, rifacendoci alla celebre espressione nietzscheiana, la “storia di un errore”: tutti i sistemi filosofici che si sono succeduti, infatti, non sono altro che tentativi sempre più elaborati di fornire una soluzione alla divisione della realtà in due sfere determinatasi con l’introiezione, o provando a spiegare come queste si relazionino o cercando di ricondurre l’una all’altra, come fanno l’idealismo e il materialismo. Lo scopo della ricostruzione della storia del pensiero fornita da Avenarius nel Weltbegriff non è però soltanto svelare il ruolo giocatovi dall’introiezione, intesa come radice nascosta dei diversi interrogativi filosofici, ma è anche mettere in evidenza l’azione svolta nel corso di questa storia dal principio dell’eliminazione progressiva. Dopo aver stabilito come si determina la variazione del concetto di mondo, Avenarius deve infatti stabilire cosa la storia ha rivelato essere sostenibile, se il concetto di mondo o le sue variazioni. Ovviamente agli occhi di un empiriocriticista i falsi problemi nati con l’introiezione non possono che aver generato false soluzioni, destinate l’una dopo l’altra a venire caratterizzate come “non esistenti”, “non sicure”, “ignote” e “non empiriche”, per essere poi rimosse dai contenuti del concetto di mondo. Non sono però soltanto le variazioni del concetto naturale di mondo nate in risposta ai problemi derivanti dall’introiezione ad essere progressivamente eliminate, ma anche questi problemi stessi vengono accantonati l’uno dopo l’altro, in quanto questioni mal poste e insolubili, fino al momento in cui sarà l’introiezione stessa a venir eliminata. 36 00 Introduzione.indd 36 26/10/15 09:36 La storia dell’introiezione diviene così la storia del suo progressivo svelamento e della sua ineluttabile eliminazione, culminanti con l’opera di Avenarius stesso. In quest’ottica il Weltbegriff rappresenta il momento conclusivo delle tre fasi che scandiscono l’evoluzione del concetto di mondo, in quanto nelle sue pagine Avenarius non si limita a smascherare l’introiezione ma si propone anche di elaborare una concezione del mondo che ne possa garantire il definitivo superamento. Per riuscire in questo proposito bisogna sì ritornare al concetto naturale di mondo, recuperandone ciò che rimane dopo l’eliminazione dell’introiezione, ma si deve al contempo disinnescare ciò che nel concetto naturale di mondo dava adito ad incomprensioni, ovvero l’ipotesi dell’affinità tra me e gli altri uomini. Questo significa che per ottenere un concetto di mondo pienamente sostenibile, in grado di non incorrere in ulteriori variazioni, non basta riproporre semplicemente quel concetto naturale di mondo per cui «Io con tutti i miei pensieri etc.», ma bisogna fissare con esattezza tutti i contenuti che fanno parte di esso, chiarendo al tempo stesso in che misura è possibile interpretare il mio prossimo in analogia con me stesso. L’ultima parte del Weltbegriff è dunque volta alla costruzione di un nuovo e definitivo concetto di mondo, il quale, pur esprimendo gli stessi contenuti del concetto naturale di mondo, vuol delinearli in modo tale da non dare più adito a fraintendimenti. In particolare, dovendo «esprimere in forma linguistica» – o, meglio, in una forma linguistica sostenibile e invariabile – «quel che il “concetto naturale di mondo” contiene in forma di intui37 00 Introduzione.indd 37 26/10/15 09:36 zione» (§ 192) Avenarius prende le mosse dal carattere fondamentale proprio di ogni cosa: quello di essere un trovato. Difatti, se tutto ciò che c’è si dà solo come esperienza, niente sfugge a questa determinazione, così che proprio quella di “trovato” risulta essere la descrizione massimamente generale del mondo. A differenza di questa prima caratterizzazione, tutte le ulteriori determinazioni del concetto di mondo fissano delle differenze tra i contenuti che si danno in esso, a cominciare dalla successiva, quella tra “fatti” e “pensieri”. Questi diversi modi di darsi dei contenuti esperiti non vanno però intesi come se fossero assolutamente differenti, in quanto: 1) tra loro vi sono innumerevoli forme intermedie (Avenarius cita ad esempio le immagini postume); 2) ognuno di questi modi è confrontabile con gli altri (un contenuto che si dà come pensiero può essere più o meno simile a uno che si dà come fatto e viceversa); 3) essi sono variabili (qualcosa che è stato trovato come un fatto in un secondo momento può venir esperito come un pensiero e viceversa). Se dunque vogliamo esprimere in un concetto sostenibile quel che si dà sul piano della nostra esperienza dobbiamo dire che tutto ciò che c’è è un trovato, e più nel dettaglio un trovato come “fatto” o come “pensiero”. Oltre a questa è però possibile un’ulteriore differenziazione, quella tra “io” e “ambiente”. Ogni contenuto del concetto di mondo appartiene infatti a una di queste regioni del piano dell’esperienza, le quali, anche loro, non vanno considerate come assolutamente differenti, al punto che, a seconda di dove traccio il confine tra di esse, uno stesso contenuto (ad esempio il mio cor38 00 Introduzione.indd 38 26/10/15 09:36 po) può essere annoverato tra i componenti dell’una o dell’altra. Ovviamente questa determinazione dei contenuti del concetto di mondo è in certa misura legata alla precedente, dal momento che quanto si dà come “pensiero” appartiene alla sfera dell’“io”. Alla diade io-ambiente nel suo concetto di mondo Avenarius dà il nome di «coordinazione empiriocritica principale», a sottolineare la «coappartenenza e indivisibilità» tra i due termini, dei quali l’io viene definito «membro centrale» e l’ambiente «membro opposto» (§§ 148 e 149). Se dunque ciò che caratterizza l’io è l’essere il membro centrale di una coordinazione empiriocritica, il contenuto ipotetico del concetto naturale di mondo viene ad essere così riformulato: «Un componente del mio ambiente – l’altro uomo – è membro centrale di una coordinazione empiriocritica principale» (§ 152). Per evitare di ricadere nella sovrapposizione tra il mio punto di vista e quello altrui bisogna però chiarire in che misura è possibile parlare del mio prossimo in quanto altro-io, stabilendo cioè come deve essere pensata la seconda coordinazione empiriocritica, considerando che il suo membro centrale risulta al contempo membro opposto della prima. Definire in che termini si può parlare dell’esperienza dell’altro uomo non è però solo un modo per evitare l’introiezione, ma è anche un passo necessario per chiarire come si può adottare la prospettiva relativa, e quindi come si possono analizzare i rapporti di dipendenza tra l’esperienza, l’individuo cui appartiene e l’ambiente. È chiaro che nel mettere in luce come si deve assumere l’esperienza altrui secondo il concetto definitivo 39 00 Introduzione.indd 39 26/10/15 09:36 di mondo Avenarius non può che rifarsi a quanto già affermato e messo in pratica nel corso dell’opera, sottolineando cioè ancora una volta come l’esperienza altrui si dia esclusivamente nel linguaggio altrui, come contenuti di asserzione. È questo ciò che Avenarius intende dire quando sostiene che i membri della seconda coordinazione empiriocritica devono essere assunti come dei determinati «elementi e caratteri» (§ 159). Gli elementi e caratteri, infatti, non sono altro che i due tipi fondamentali di contenuti di asserzione, di valori-E: le sensazioni (verde, blu, freddo, caldo etc.) e quel che conferisce ad esse una certa Färbung, una certa tonalità (piacevolezza, spiacevolezza etc.). L’ipotesi dell’affinità umana nel concetto di mondo proposto da Avenarius prende dunque questa veste: se all’interno della prima coordinazione empiriocritica l’altro uomo, in quanto membro opposto, viene assunto al contempo come membro centrale di una seconda coordinazione empiriocritica, il membro centrale e il membro opposto di questa si danno come contenuti di asserzione. Adesso tali contenuti di asserzione (ovvero l’esperienza altrui in quanto seconda coordinazione empiriocritica) dipendono dall’altro uomo in quanto membro opposto della prima coordinazione empiriocritica, e in particolare dal rapporto che costui ha con l’ambiente (il quale è anch’esso membro opposto della prima coordinazione). Parlando più precisamente bisogna però affermare che essi dipendono direttamente solo dal cervello dell’altro uomo, dal suo sistema C, e nel dettaglio da determinate variazioni che si verificano in esso. Per questo motivo, se vogliamo analizzare da cosa dipen40 00 Introduzione.indd 40 26/10/15 09:36 dono i contenuti di asserzione che costituiscono la seconda coordinazione empiriocritica, invece di prendere in considerazione l’interezza dell’altro uomo, possiamo concentrarci solo sul suo sistema C e sulle sue variazioni. È questo il senso della cosiddetta «sostituzione empiriocritica» (§ 158), secondo cui, quando nella prima coordinazione il membro opposto costituito dall’altro uomo viene considerato come membro centrale di una seconda coordinazione, assunta come contenuti di asserzione, a fare le veci dell’altro uomo (a sostituirlo) all’interno della prima coordinazione deve subentrare il suo sistema C o, meglio, le determinate variazioni che si verificano in esso. Nel gioco tra le due coordinazioni principali Avenarius sistematizza dunque il meccanismo concettuale da lui elaborato per conciliare idealismo filosofico e realismo scientifico: la prima coordinazione, corrispondente alla prospettiva assoluta e “idealistica”, descrive quell’unità di io e ambiente che si dà immediatamente alla coscienza, mentre la seconda coordinazione ci fornisce la prospettiva “realistica”, che fa dipendere l’esperienza (quella altrui, che si dà come insieme di contenuti di asserzione) dalle variazioni del sistema C. In questo modo Avenarius fissa il quadro entro cui è possibile sviluppare una scienza psicofisiologica, ponendo come limite e condizione di possibilità di questa il suo riferirsi esclusivamente a rapporti di dipendenza che si danno all’interno della mia esperienza, come quelli che sussistono tra le variazioni del sistema C dell’altro uomo e gli elementi e caratteri che costituiscono i suoi contenuti di asserzione. 41 00 Introduzione.indd 41 26/10/15 09:36 8. Possiamo quindi trarre le somme del percorso tracciato da Avenarius nel Weltbegriff. Cercando un fondamento stabile su cui edificare la sua filosofia, Avenarius prende le mosse da quanto concretamente trovato in prima persona, ovvero se stesso, l’ambiente e gli altri uomini. Osservando però il contenuto di questo trovato da una prospettiva terza, egli vi riconosce lo stesso contenuto del concetto originario e “naturale” di mondo, così che la domanda su come egli sia arrivato a quel contenuto finisce col diventare la domanda su quale sia il percorso storico che ha fatto sì che, dopo una lunga evoluzione, questo “altro uomo” che è Richard Avenarius abbia riguadagnato il concetto naturale di mondo che il pensiero filosofico aveva smarrito. La risposta a questo interrogativo è la storia dell’introiezione e della sua progressiva eliminazione, la quale è pertanto a un tempo la storia del pensiero umano e la storia autobiografica di Avenarius stesso e del percorso intellettuale che egli ha compiuto per risalire al momento in cui per la prima volta è intervenuta l’introiezione a falsificare la nostra esperienza naturale. Dopo secoli di evoluzione cerebrale, che hanno visto l’una dopo l’altra cadere tutte le variazioni del concetto di mondo scaturite dall’introiezione, Avenarius può quindi finalmente riaffermare il concetto naturale di mondo. Per metterne al sicuro il contenuto egli deve però esprimerlo in una forma che non dia adito a ulteriori incomprensioni. Il concetto di mondo che Avenarius propone al termine del Weltbegriff afferma dunque: che ogni cosa è un trovato (1), il quale si dà come fatto o pensiero (2) e fa parte del membro centrale o del 42 00 Introduzione.indd 42 26/10/15 09:36 membro opposto di una coordinazione empiriocritica (3); inoltre esso specifica che è possibile assumere che gli altri uomini, in quanto membri opposti della coordinazione empiriocritica, siano a loro volta membri centrali di una seconda coordinazione empiriocritica (4), nel qual caso questa seconda coordinazione viene assunta come elementi e caratteri, ovvero come contenuti di asserzione (5), mentre gli altri uomini vengono rappresentati dalle variazioni del loro sistema C, in quanto è da queste che i contenuti di asserzione dipendono direttamente (6). Se è vero che questo concetto di mondo compare al termine dell’opera, esso ne è però anche il punto di partenza: grazie all’alternanza tra prospettiva assoluta e prospettiva relativa l’esperienza che Avenarius pone a fondamento del suo pensiero costituisce infatti allo stesso tempo un contenuto di asserzione risultante da una millenaria storia evolutiva. Dopotutto lo stesso passaggio dalla mia prospettiva a quella altrui risulta essere a un tempo un dispositivo attuato nel corso dell’indagine – e quindi un qualcosa di presupposto da essa – e un suo risultato, nella misura in cui confluisce nel concetto di mondo proposto in chiusura dello scritto. Il costante rovesciamento di prospettive fa dunque sì che l’opera di Avenarius assuma una struttura circolare, in cui i presupposti della ricerca ottengono una validazione a posteriori nel corso della ricerca stessa. Nonostante la sua dichiarata volontà di non aumentare il già cospicuo numero di «sistemi filosofici» (p. viii; tr. it. infra, p. 52) – forse più uno sfoggio di modestia che un serio convincimento –, il progetto filosofico delinea43 00 Introduzione.indd 43 26/10/15 09:36 to da Avenarius nelle sue opere della maturità prende proprio la forma di un sistema, in cui il concetto naturale di mondo – come ciò che è trovato originariamente in prima persona e come ciò che viene riformulato in forma sostenibile al termine del processo storico-evolutivo di eliminazione dell’introiezione – emerge come punto di partenza e punto di approdo. Volgendo lo sguardo al complesso del sistema filosofico elaborato da Avenarius non si può non notare il ruolo chiave che la questione del linguaggio riveste in esso. È sull’ipotesi del significato linguistico dei movimenti altrui che si gioca infatti la partita decisiva per le sorti del concetto naturale di mondo, perché, se da un lato Avenarius attribuisce ad una errata interpretazione di tale ipotesi la “colpa” dell’introiezione, individuando così in un problema “linguistico” la radice dei diversi interrogativi filosofici, dall’altro è proprio grazie al linguaggio che possiamo sciogliere questi interrogativi. È infatti solo grazie alla possibilità di disporre dell’esperienza altrui, dischiusaci dalle asserzioni, che possiamo ricucire la spaccatura della realtà in mondo esterno e mondo interno determinata dall’introiezione, affermando che un mondo “esterno” si può dare solo dalla prospettiva relativa, come “esterno dell’altro uomo”, e mai dalla prospettiva assoluta, come “esterno rispetto al piano dell’esperienza tout court”. Ed è sempre grazie all’esperienza altrui, quale si esprime nel linguaggio, che possiamo conciliare l’approccio idealistico, che proclama il carattere irrelato dell’esperienza, con l’approccio realistico proprio degli scienziati, che ne studiano invece la dipendenza dal cervello e dall’ambiente. 44 00 Introduzione.indd 44 26/10/15 09:36 Nel sistema di Avenarius il linguaggio appare dunque come fonte di perdizione e di salvezza, tanto da risultare la «questione filosofica katæ ejxochvn» (§ 122), una caratteristica, questa, che avvicina fortemente l’empirio-criticismo al neopositivismo novecentesco, dimostrando, ancora una volta, la rilevanza di un autore che non fu solo un punto di riferimento per i suoi contemporanei, ma anche un pensatore che esercitò una notevole influenza sul dibattito filosofico della prima metà del ventesimo secolo. Chiara Russo Krauss 45 00 Introduzione.indd 45 26/10/15 09:36 46 00 Introduzione.indd 46 26/10/15 09:36 nota alla traduzione Con le sue tre edizioni Der menschliche Weltbegriff fu l’opera di maggior successo di Avenarius. La prima edizione vide le stampe nel 1891. La seconda, curata da Joseph Petzoldt nel 1905 (a nove anni dalla morte dell’autore), si distingue dalla precedente solo per la correzione di alcuni errori di stampa e per l’aggiunta da parte di Petzoldt di un breve brano tratto dalla serie di articoli di Avenarius intitolata Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie1, con lo scopo di illustrare ulteriormente il concetto di “introiezione”. Nella terza edizione, pubblicata nel 1912, all’opera furono affiancate per intero le Bemerkungen, nonché la lettera aperta ad Avenarius scritta da Wilhelm Schuppe nel 1893, corredata della sintetica risposta di Avenarius2. La traduzione qui presente è stata svolta sul testo della seconda edizione, ma si è scelto di non riportare an1 R. Avenarius, Bemerkungen zum Begriff des Gegenstandes der Psychologie, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xviii (1894), pp. 137-161, pp. 400-420; xix (1895), pp. 1-18; pp. 129-145. 2 W. Schuppe, Die Bestätigung des naiven Realismus. Offener Brief an Herrn Prof. Dr. Richard Avenarius, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» iii (1893), pp. 365-388; R. Avenarius, Anmerkung zu der Abhandlung von R. Willy, in «Vierteljahrsschrift für wissenschaftliche Philosophie» xviii (1894), pp. 29-31. 47 01 Nota traduttore.indd 47 23/10/15 16:08 che il brano delle Bemerkungen aggiuntovi da Petzoldt, per rispettare il progetto originario dell’autore. Nel testo Avenarius adopera le virgolette ad apice singolo per indicare i contenuti di asserzione e le virgolette a doppio apice per tutti gli altri usi. Nella traduzione abbiamo mantenuto questa differenza, limitandoci a sostituire le virgolette a doppio apice con i caporali quando queste sono utilizzate per citazioni testuali. Le note al testo, che nell’originale comparivano in chiusura, sono state spostate a piè di pagina. Il ricco indice ragionato redatto da Avenarius è collocato, come nell’originale, tra Prefazione e Introduzione. Per facilitare la lettura alcuni rimandi alla terminologia della Kritik der reinen Erfahrung sono stati esplicitati in nota. Ad ogni modo tutti gli interventi della traduttrice in nota sono segnalati dall’uso di parentesi quadre. 48 01 Nota traduttore.indd 48 23/10/15 16:08