Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
di Luisa Bonanni*
P
er analizzare il concetto di
amore, così come esso è elaborato nell’opera schellinghiana del 1809 Philosophische Untersuchen über das Wesen der menschlichen
Freiheit und die damit zusammenhängenden Gegenstände, si assume qui come
guida la tesi esposta da Gianni Carchia
nel saggio Indifferenza, eros, amore: la
critica dell’essere spirituale nella filosofia
della libertà di Schelling, apparso per la
prima volta nel l994 e poi pubblicato in
L’amore del pensiero1.
Il ruolo che Schelling attribuisce all’amore nell’ambito della libertà umana si
intende pienamente solo a partire dalla
centralità della libertà stessa rispetto al
«sistema scientifico dell’universo»2. Se,
infatti, «Il sentimento (Gefühl) della libertà è impresso immediatamente in ciascuno»3, le Ricerche del 1809 riguardano
non il sentimento, bensì il concetto della
libertà, e mirano al tempo stesso a guadagnare una comprensione in profondità di quel fenomeno e a darne un’adeguata espressione a livello concettuale.
L’indagine, tuttavia, non si esaurisce in
un discorso analitico e definitorio, ma
prende avvio da quell’impulso all’unità
della ragione che presiede alla costruzione di un sistema, nel quale i vari elementi
sono organicamente relazionati4:
il sentimento è una cosa magnifica, quando
rimane nel fondo; ma non quando viene alla
luce, vuol farsi essere e dominare. Se, secon-
* Libera ricercatrice.
117
ottobre 2024
1 _ I termini del confronto
doi: 10.53136/97912218150928
The paper reconstructs Gianni Carchia’s reading of the elaborate notion of love in Schelling’s
philosophy of freedom. Love, according to Schelling, is a relationship between two terms, which
have the power to exist independently of the relationship itself and therefore freely choose to
bind themselves to each other. According to the analysis conducted by the philosopher from
Turin, love in this context is not only a uniting force, but also a self-destructive force, pushing
man towards the abyss. On the basis of his reading of Schellingian texts, Carchia then theorized
a form of philosophy in which the dialectical form of mediation is transcended by narrative.
_Contributo ricevuto il 30/11/2023. Sottoposto a peer review, accettato il 25/04/2024.
118
_
Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
le, ma immediata e irrelativa, di pensare
l’Assoluto. L’essenza in quanto abisso e
assenza di fondamento (Ungrund) vi è
designata nel contesto dialettico-speculativo come indifferenza, e come amore
fuori dall’ambito logico. «Ora, come
stanno insieme determinazioni palesemente così in contrasto tra loro?»10. A
partire da questo interrogativo, Carchia
mette in evidenza che, affinché i due
principi del fondamento e dell’esistenza
esistano e siano distinti, essi debbono riferirsi in qualche modo all’indifferenza,
non risolvendosi in una radice comune;
ciò consente altresì l’esistere di quella
L’analogia che Baader ha messo in conciliazione che è portata dall’amore:
luce, oltre all’ambivalenza rilevata qui da
Schelling, implica in prima istanza che la
è sottinteso qui che solo il rapporto di
medesima tensione unificatrice presieda
indifferenza può porre veramente l’Assoluto
alla generazione e alla conoscenza. La ficome ab-solutum, vale a dire sciolto, libero,
losofia stessa prende il nome dall’amore,
davvero oltre i principi. […] Per questo
6
oltre che dalla saggezza ; infatti quello
l’essenza originaria è, in quanto indifferenza,
che Schelling ritiene il più importante
irrelativa, senza attinenza ai principi. Allorsistema filosofico, lo spinozismo, può
ché, col processo della rivelazione, comincerà
essere paragonato alla statua di Pigmala storia del rapporto tra i due principi, essi si
lione, «che dovette essere animata dal
rapporteranno sempre disgiuntamente, mai
7
caldo soffio dell’amore» : priva del fuoinsieme, all’Ungrund che li porrà. […] Ciò si
co del sentimento, essa sarebbe restata
capisce solo se si tiene presente che la logica
rigida e morta.
dell’amore non è una logica della necessità,
8
Gianni Carchia ha dedicato la sua
ma della libera scelta: l’amore è il legame non
analisi alle pagine finali delle Ricerche,
casualisticamente11 determinato, ma libera«curiosamente tra le più neglette dalla
mente intrapreso, tra due momenti che nulla,
critica»9; è infatti proprio in quel luogo
di per sé, portava a coincidere tra loro12.
del testo che egli individua la svolta del
pensiero di Schelling rispetto alla preceIn quest’ottica, la libertà umana e
dente filosofia dell’identità, segnata da quella divina perdono entrambe il loro
una modalità non più logico-relaziona- carattere formale, e la libertà è invece
do la bella concezione di F. von Baader, l’impulso alla conoscenza ha grandissima analogia con l’impulso alla generazione, c’è anche
nella conoscenza qualcosa di analogo al riserbo e alla verecondia, e per contro si dà anche
un’impudicizia e un’inverecondia, una specie
di libidine da fauni, che va libando ogni cosa,
senza serietà e senza amore, di configurare
o produrre qualcosa: il vincolo della nostra
personalità è lo spirito, e se soltanto l’attivo
legame dei due principi può divenire creativo
e produttivo, l’entusiasmo in senso proprio è
il principio efficace di ogni arte produttiva o
figurativa e di ogni scienza5.
Luisa Bonanni
descritta come reale e vivente facoltà del
bene del male13. Luigi Pareyson chiarisce come tra il 1806 e il 1809, dopo che
negli anni precedenti si era concentrato
soprattutto sulla filosofia della natura,
Schelling fosse approdato a un impianto
filosofico-speculativo caratterizzato dal
«concetto centrale dell’unità inseparabile di ideale e reale»14. Gli opposti, in questa fase della filosofia di Schelling, sono
indifferenti nell’Assoluto, ma in Dio vi è
anche il principio del male, quindi vi è
lotta – e vittoria finale. In quanto diviene, Dio si fa persona:
vi è dunque una natura in Dio, ch’è il fondamento oscuro della sua esistenza. Su questo
fondamento si basa l’esistenza delle cose,
che in tal modo sono divise da Dio pur non
essendo fuori di lui, e da questo fondamento
si origina il male, che in tal modo risale a Dio
senza essere imputabile a lui15.
Un Dio personale e vivente è tale perché ha una storia, fatta di contrasto tra
principi opposti e di ritorno a sé: lo spirito da solo non è in grado di esprimere la
complessità ontologica, esistenziale e nozionale, del Dio vivente: se Dio non fosse
anche natura, non solo non ci sarebbero
le cose, ma non ci sarebbe neanche Dio
stesso. Se è vero che Dio non ha voluto
il male, ma lascia comunque agire il fondamento, l’azione malvagia dell’uomo fa
necessariamente ripensare le categorie
tradizionali di onnipotenza e perfezione
divina.
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119
Quale parte abbia in questo contesto
la forza dell’amore intesa non solo come
potere unificante (Liebe), ma anche come
brama, ricerca, attività febbrile (Eros) – e
più precisamente se in questa fase della
riflessione di Schelling a essa sia attribuito un ruolo16 – è questione strettamente
connessa a quella del senso della spiritualità umana, visto ciò che dell’uomo
troviamo scritto nelle Ricerche:
in lui è il più profondo abisso, e il cielo più
elevato, ossia ambedue i centri. […] L’uomo in
quanto scaturisce dal fondamento (in quanto
è creatura), ha in sé un principio indipendente
rispetto a Dio: ma in quanto appunto questo
principio viene rischiarato nella luce – senza
che perciò cessi di essere oscuro secondo il
fondamento – sorge insieme a lui qualcosa
di più alto, lo spirito. Poiché l’eterno spirito
esprime l’unità, ossia il verbo nella natura17.
2 _ Il testo di Schelling
La questione subito presentata nelle Ricerche riguarda sia la possibilità di comprendere l’esistenza del male all’interno
di una costruzione razionale unitaria della totalità del reale, di un sistema panteistico e immanentistico, sia quella di far
rientrare in tale sistema la libertà umana.
Pur confutando la tesi dell’identificazione del panteismo con il fatalismo,
Schelling ritiene che, come gli altri sistemi costruiti prima dell’idealismo, esso
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_
Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
non chiarisca il concetto di libertà. TutL’idealismo a sua volta consiste nella
tavia, questa inettitudine del panteismo a comprensione della libertà, intesa come
fondare la libertà non risiede nella inclu- sviluppo del principio oltre sé stesso,
sione in Dio del finito:
verso la costituzione di un’istanza autonoma, che gli si contrappone in modo
il seguire delle cose da Dio è una rivelazione analogo ai pensieri che un’anima produche Dio fa di sé stesso. Ma Dio può rivelarsi ce e che acquistano vita propria rispetto
soltanto in ciò che è simile a lui, in esseri li- alla loro fonte. Una tale concezione ha sì
beri e agenti per sé stessi […]. Tanto poco si spiritualizzato lo spinozismo, affermancontraddicono immanenza in Dio e libertà, do la trasfigurazione della natura in rache appunto solo il libero, e in quanto è libe- gione tramite la libertà, ma il suo limite
ro, è in Dio, e il non libero, in quanto non è consiste nell’aver accolto un’accezione
libero, è necessariamente fuori di Dio18. solo formale proprio del concetto di libertà. Da qui Schelling prende le mosse,
La polemica con Spinoza non è qui da ciò che egli chiama «il primo perfetto
rivolta al panteismo, ma a quella sorta di concetto della libertà formale»20, per counilaterale realismo, che non contempla struire, invece, il concetto reale della lil’abisso della libertà assoluta al fondo del bertà, intesa come facoltà della scelta tra
sistema razionale.
il bene e il male. Il punto è che, perché ci
Scrive in proposito Nicolai Hartmann: sia possibile scegliere, il male deve avere
una sua positività, ma se esso viene connon è il panteismo di Spinoza ciò che annulla siderato originario si perde la perfezione
la libertà, bensì il suo determinismo meccani- di Dio: se si vuole salvare Dio non si salcistico. Se si congiunge il primo, anziché con va allora la libertà: «si tratta nientemeno
una concezione realistico-causale del mondo, che di mostrare in Dio stesso l’origine
con una idealistica, in questo panteismo del male, senza tuttavia rifiutare l’assonasce spazio per la libertà. Il vero concetto lutezza del bene in lui»21. L’ipotesi che il
di libertà è stato scoperto per la prima volta male sia manchevolezza o imperfezione
dall’idealismo; consiste nell’intuizione che il non fonda l’opposizione e toglie al male
principio di ogni essere non è una sostanza stesso realtà; se, al contrario, ci si rifugia
priva di vita con i predicati dell’esistenza, nel dualismo di bene e male o si pensa
dell’incondizionatezza e dell’infinità, bensì ad una caduta dell’essere malvagio origiuna potenza creatrice, vivente; nell’intuizione, nario da Dio, resta comunque il mistero
cioè, che tale principio è qualcosa di spiritua- dell’origine di un tale essere, o di quella
le, di operante finalisticamente, d’intelligente: dell’atto di ribellione.
in breve, una volontà19.
L’autore riprende la distinzione tra essenza come esistenza e come fondamen-
Luisa Bonanni
to: quest’ultimo è la natura in Dio, che
non è separabile da lui, ma tuttavia ne
è distinta. Non c’è precedenza temporale, né causale: «nel circolo da cui tutto
diviene, non è contraddittorio che ciò
da cui l’Uno è prodotto, sia a sua volta
prodotto da lui»22. Il fondamento della
finitezza risiede nell’identità con Dio, in
quanto fondamento del suo proprio essere. In ciò che, pur essendo in Dio, non
è tuttavia Dio stesso, hanno dunque origine le cose che, secondo questa concezione dell’immanenza, non sono Dio, ma
sono in lui, poiché esse hanno origine dal
desiderio dell’Uno di generare sé stesso23. Il mondo come lo vediamo, infatti,
nel suo essere ordinato rimanda sempre
ad una oscurità di fondo, ciò che rende
possibile l’esistenza della creatura stessa:
ogni nascita è nascita dall’oscurità alla luce: il
seme deve essere nascosto nella terra e morire
nelle tenebre affinché una più bella e luminosa
forma si innalzi e si dispieghi ai raggi del sole.
L’uomo viene concepito nel grembo materno;
e solo dal buio dell’irrazionale (dal sentimento,
dall’aspirazione, splendida madre della conoscenza) si destano i luminosi pensieri24.
Insieme all’aspirazione (Sehnsucht)
sorge quindi la rappresentazione di Dio
a sé stesso, la sua immagine riflessa che è
sia intelletto che spirito; esso separa, per
rendere consapevole l’unità che nel fondamento c’era, ma non era sviluppata.
La distinzione tra essenza e fondamento fa sì che in Dio ci sia il desiderio di
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121
generare sé stesso, da cui scaturiscono
intelletto, volontà e amore da una parte,
e natura dall’altra. Dal desiderio stesso
nasce allora la singolarità, composta dalla materia e dall’anima, indipendente25
dall’intelletto perché appunto ha la sua
origine dall’appetito. Il volere individuale della creatura è il fondo oscuro che
l’intelletto universale rischiara; l’uomo
come creatura ha nella natura il suo principio, ma come parte della luce diviene
spirito. Questa spiritualità dell’uomo, in
quanto personalità («individualità elevata a spirito»26), può volersi separare dal
volere universale ed essere nella periferia
ciò che è soltanto in quanto rimane nel
centro: allora si crea il disordine dello
spirito e la discordia della separazione
dei principi, mentre se il principio singolo resta nel centro come fondamento,
regna lo spirito dell’amore (der Geist der
Liebe). Le forze del nostro volere restano
in equilibrio se il volere stesso resta unito
a quello universale: se se ne separa, non
sa più tenerle insieme e si trova a lottare
con gli appetiti e i desideri, per cercare
di dominarli in qualche modo. Quello
che risulta è una sorta di vita, che è però
falsa, simile alla malattia: infatti non è
nulla di reale, ma scimmiotta la verità27.
Per chiarire una tale falsa unità, c’è bisogno di qualcosa di positivo, che perciò
si deve necessariamente ammettere nel
male, ma che resterà sempre inesplicabile, finché non sarà riconosciuta una radice di libertà, nel fondamento indipendente della natura28.
122
_
Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
Una volta riconosciuta la possibilità
del male sulla base della distinzione tra
fondamento ed essenza, si tratta poi di
spiegarne la realtà, giacché esso è necessario alla rivelazione di Dio e al trionfo dell’amore. Paradossalmente, infatti,
«ogni essere può rivelarsi soltanto nel suo
opposto, l’amore solo nell’odio, l’unità
nella discordia. Se non vi fosse nessuna
separazione dei principi, l’unità non potrebbe mostrare la sua onnipotenza: se
non vi fosse dissidio, non potrebbe divenire reale l’amore»29. Come già esposto,
questo implica innanzitutto il rifiuto del
dualismo dei principi, dal momento che il
male avviene non nel principio originario,
il quale semplicemente per amore lascia
agire la natura che è in sé distinta da sé,
ma proprio nella creatura umana. Il ruolo
dell’uomo perciò è cruciale: egli sceglie
tra il bene e il male; non può non farlo, se
Dio deve rivelarsi e l’amore trionfare.
Nicolai Hartmann sottolinea come
ciò non possa essere compreso dall’intelletto se non per analogia, attraverso
similitudini; il principio oscuro è qui
spiegato come l’egoismo della creatura,
cieco volere contrapposto alla volontà
universale30. Solo nell’uomo esso si trasfigura in spirito, dunque in noi ci sono
tutte le possibilità, c’è la differenza tra i
principi e la loro armonia: il male non è
separazione o soppressione di un principio, bensì dominio del principio abissale
su quello della luce.
È significativo che in questo stesso
luogo del saggio compaia un concetto
assai importante: qui si parla infatti del
caos, lo stato originario al quale il male
vuole tornare. Tutta la natura manifesta
nelle sue creature un principio egoista,
che fa da fondamento alla nascita dello
spirito, come il fondamento originario ha
fatto per la parola dell’amore. Se il male
è la più alta potenza del fondamento che
agisce nella natura, allora Dio stesso ha
agito non solo come amore, ma anche
come natura e l’avanzare del caos che
ne segue è la disgregazione che prepara
l’unità. Il principio di entropia, dunque,
sembra appartenere strutturalmente alla
vita del mondo, anzi l’attrazione che
esercita sulla natura tutta è essa stessa il
principio vivificante nel suo primo sorgere. C’è una forza molto potente, che
spinge verso ciò che non si riesce mai a
ricomprendere del tutto nell’ambito della razionalità: il caos attira come ciò che
non potrà mai essere ricondotto all’armonia, perché conterrà sempre un’eccedenza, un imprevisto, un pericolo.
L’uomo ha – in quanto è creatura –
connaturato il desiderio di individualità:
l’angoscia della vita stessa strappa l’uomo dal
centro nel quale è stato creato; poiché questo,
come la purissima essenza di ogni volere è
fuoco distruggitore di ogni volere particolare;
per poter vivere ad esso l’uomo deve morire
ad ogni individualità, per cui è una ricerca
quasi necessaria quella di uscire dal centro
verso la periferia, per trovare in quella un riposo alla propria individualità31.
Luisa Bonanni
La colpa e la morte, frutto dell’inevitabile allontanarsi della creatura dal
centro verso la periferia per farsi centro
essa stessa, appaiono dunque necessarie,
come del resto è poi necessaria la morte
della medesima individualità per consentire la redenzione. La scelta avviene in
ogni singolo uomo, e dobbiamo perciò
chiarire come avvenga la singola decisione. Se si accettasse la nozione di libertà
come liberum arbitrium indifferentiae,
per la quale l’uomo può scegliere indifferentemente in ciascun atto della sua
vita il bene o il male, la libertà si ridurrebbe a mero caso e ad atto arazionale,
più ancora che irrazionale, quindi se ne
falserebbe il concetto. Perciò, preferibile a questa concezione è il determinismo
kantiano dei motivi, che però non tiene
conto del fatto che l’essenza intellegibile
(o carattere) dell’uomo non può essere
determinata dall’esterno, perché essa,
in quanto libera, è insieme necessaria32.
Il carattere intelligibile è libero, perché
come tale non può essere determinato,
essendo fuori dal dominio del tempo e
della causalità; per determinarsi «essa
medesima secondo quell’essenza che è,
cioè secondo la sua propria natura, dovrebbe servire di determinazione a se
stessa»33. Libero in assoluto è chi agisce
conformemente soltanto alle leggi della
propria essenza, senza altri condizionamenti: in altre parole, niente dall’esterno
ci costringe e fare quello che facciamo,
eppure non possiamo che farlo, dato ciò
che siamo.
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123
Finché Dio come amore tiene unite in
sé le forze dell’individualità e dello spirituale in modo che la prima funga da
mezzo rispetto alla seconda e non viceversa, il male non si manifesta nell’uomo.
Tale apparizione avviene invece quando
la materia, come potenza che non può
attualizzarsi, ci porta allo squilibrio e alla
dissennatezza. Significativo è in questo
contesto il riferimento all’immaginazione, che crea apparenze e riflessi dell’essere vero, facendo entrare la menzogna
e la falsità nello spirito dell’uomo e facendogli così perdere la libertà. Infatti,
«vi è nel male una contraddizione che si
consuma e si annichila in se stessa; esso
tende a diventare creaturale, appunto
mentre annulla il vincolo della creaturalità e, per la presunzione di essere tutto,
cade nel nulla»34.
Se il male consiste in un contrasto tra i due
principi, il bene può consistere soltanto nel
perfetto accordo dei medesimi, e il vincolo
che li unisce deve essere divino, poiché essi
non sono in maniera condizionata, ma in maniera perfetta e incondizionata35.
Il mondo così posto dall’Io è un mondo decaduto, una seconda creazione, che
ne presuppone una originaria e non immediatamente rammemorabile.
La religiosità in tale ottica è interpretata come legame dell’individualità con
la luce, legame necessario, ma all’interno
del quale siamo liberi; la stessa personalità di Dio è tale perché egli è vincolato
124
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Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
al fondamento, alla natura, alla realtà.
D’altra parte, la dimensione dell’amore
è anche quella della libertà: «certo un
più libero e conscio volere è il volere
dell’amore, appunto perché è tale: la rivelazione che da esso segue è attività e
azione»36. La realizzazione dell’esistenza
di Dio come personalità è in Dio stesso e
non fuori di lui, cosicché la possibilità di
scegliere coincide con la necessità dettata dall’amore, che gli consente di dominare il suo fondamento legandolo a sé.
L’uomo, invece, non riesce a legare del
tutto a sé la sua condizione: da questo
nasce la tristezza che caratterizza ogni
forma di vita finita in quanto tale e che
durerà nel mondo fin quando alla fine
il male sarà «ricacciato eternamente nel
non essere»37.
3_La lettura di Carchia
L’articolo di Gianni Carchia Indifferenza,
eros, amore: la critica dell’essere spirituale
nella «filosofia della libertà» di Schelling
prende le mosse dal rapporto di indifferenza tra i due principi del Grund e
dell’Existenz, del reale e dell’ideale, che
– caratterizzati appunto sul fondamento
di tale rapporto – non si possono intendere né come opposti né come identici38.
Affinché i due principi esistano e siano
distinti, essi devono riferirsi in qualche
modo all’indifferenza, ma senza con ciò
risolversi in una radice comune. Questa
strutturale dualità fornisce la condizione
di possibilità per la conciliazione operata dall’amore. L’amore, infatti, stringe un
legame su due principi che, per essere
originariamente disuniti, richiedono l’intervento di una forza esterna.
L’indifferenza è tale perché in essa il
contrasto tra opposte forze viene meno;
l’esaurirsi del rapporto di predicazione,
però, non significa la riduzione al nulla
dell’essere, poiché la nozione di essere
non è coestensiva a quella di essere come
determinazione categoriale e non si riduce a ciò che si può esprimere apofanticamente. L’essenza propria dell’indifferenza consiste in una tensione tra il principio
del fondamento e quello dell’esistenza,
che, mantenendo una distinzione reale,
rendono possibile la rivelazione di Dio,
la sua opera di riconciliazione che egli
porta avanti come amore. Qui la libertà
va intesa come autonomia e non come
arbitrio immotivato. Perciò, l’amore è
strettamente connesso alla libertà ed è
la forza elettiva che conduce liberamente ad un vincolo ciò che sarebbe potuto
anche restare separato.
Riferendosi alla costellazione concettuale schellinghiana, Carchia sottolinea
come questo amore sia oltre l’elemento
spirituale, perché ingloba i due principi
connettendoli, mentre il Geist è solo uno
dei due principi:
più alta della dialettica dell’identità assoluta,
quale si realizza nell’affermarsi dello spirito al
culmine della rivelazione, dove si dà l’assorbirsi del Grund entro l’Existenz, sta la libertà
Luisa Bonanni
dell’unità. Oltre il consumarsi e trasfigurarsi
del fondamento nella chiarezza dello spirituale, fino all’espulsione del male, c’è l’Assoluto
come amore39.
Eppure, quella forza divina che porta all’unità non è, secondo l’analisi di
Carchia, l’unica forma dell’amore tematizzata nella filosofia della libertà: se
ne può ritrovare anche un aspetto erotico-demoniaco, se si esamina lo sviluppo
dato agli spunti teorici delle Ricerche
nelle successive Lezioni di Stoccarda40. In
quest’opera, infatti, rispetto alla natura,
che è «una maniera ancora imperfetta
del rivelarsi di Dio, maniera imperfetta
ma necessaria alla rivelazione»41, l’amore divino è il legame che dà origine alla
creazione, non la potenza ideale: nelle
Lezioni «Schelling mantiene limpida la
differenza fra il principio dell’ideale e
l’Assoluto come Amore»42, distinzione
che nelle Ricerche è quella tra spirito e
amore. Carchia sottolinea che non è ancora qui distinto il fondamento originario, ossia l’Assoluto, inteso come indifferenza, rispetto al fondamento, inteso
come uno dei principi.
Nella creazione Dio si rivela e si esprime come Verbo, capacità di articolare
e dare significato a ciò che isolatamente non ne ha. È come se, in un processo
che in quanto natura sembrerebbe semplicemente temporale e progressivo, si
inserisse una dimensione verticale di discontinuità: l’amore come intervento del
divino puro nella natura. Il vincolo delle
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125
potenze, ciò che garantisce la loro progressione, non è a sua volta temporale43.
Carchia rintraccia anche nell’uso del
lessico la teoria secondo la quale al fondo
dell’animo (Gemüt) agisce una forza depressiva, che è «peso, gravezza, oscurità,
[…] malinconia e depressione, nostalgia
di una pienezza e di una totalità che mancano alla finitudine»44. Nelle successive
Lezioni a questa tendenza autodistruttiva
dell’animo si contrappone lo spirito come
brama, appetito, desiderio di essere e fame
di materia; siamo appunto in presenza di
«una determinazione erotico-demonica
dell’essere spirituale»45. Un tale carattere
è fonte di possibile perversione, come già
rilevato, se lo spirito stesso tende ad affermarsi come volontà individuale. Esso
deve al contrario subordinarsi a ciò che va
oltre l’individualità: «ciò che vi è di assoluto nell’uomo è il suo elemento impersonale, non condizionato, non relativo, non
egoistico»46. Questo elemento, secondo
l’analisi portata avanti da Carchia, è rappresentato nelle Ricerche dalla ragione,
che svolge quindi rispetto al desiderio il
ruolo che in Dio è quello dell’assenza di
fondamento come indifferenza rispetto
all’attività dello spirito:
è chiaro che la dottrina della ragione (Vernunft) delle Ricerche è l’altra faccia del rapporto
da esse stabilito fra l’Ungrund, il non-fondamento, e lo spirito. La ragione è, rispetto
all’attività dello spirito, la passività del Grund,
la sua Indifferenz47.
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Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
Volendo ora focalizzare la nostra riflessione sul rapporto tra eros e amore,
esso «è lo stesso che intercorre tra ricerca
e possesso»48: lo spirito, infatti, tende a
sollevarsi dal caos originario verso l’armonia dell’unità, che vincola tra loro le
forze e gli impulsi. La dialettica tra bene
e male è riconducibile, dunque, a quella
tra ragione e follia:
sua lettura di Schelling e pone il compimento della filosofia nella tensione verso
la forma della narrazione, rispetto alla
quale la dialettica riveste solo il ruolo di
una fase intermedia. Egli prende avvio
dall’Introduzione a Le età del mondo53,
dove è messo subito in evidenza che l’epoca narrata coincide con il passato, perché quella è l’epoca oggetto del sapere:
in questo senso, la follia come caos permanente e vitale della volontà spirituale sregolata e bramosa di affermarsi, è la base necessaria dell’intelletto che, guardando alla saldezza
dell’anima, riesce a disciplinare e a controllare quella volontà, tenendola sotto di sé49.
per sua natura, dunque, tutto il saputo viene
narrato; ma qui il saputo non è dato e disponibile bell’e pronto dall’inizio, bensì nasce
sempre soltanto dall’interno. La luce della
scienza, prima di poter divenire esteriore,
deve sorgere mediante interiore separazione e
liberazione. […] Infatti l’opinione, nutrita di
epoca in epoca, di poter infine trasformare la
filosofia in scienza effettuale mediante la dialettica, tradisce una non piccola limitatezza,
dato che appunto l’esserci e la necessità della
dialettica dimostrano che ancora essa non è
affatto scienza effettuale54.
Lo slancio erotico dello spirituale appare qui come la congiunzione tra l’elemento pulsionale, legato alla natura, e la
chiarezza del giudizio che nasce dall’intelletto. Se nella filosofia, che è la forma
dell’espressione spirituale più elevata, la
ragione («altra faccia dell’intelletto»50)
riceve l’impulso dal sentimento, tale
sentimento è amore nel senso di entusiasmo51, dunque ha una connotazione di
erotismo più che di conciliazione. L’amore del pensiero sarà, allora, spinta, ricerca, anelito, non compiutezza del sapere;
ci può per questo far cadere nell’abisso
al quale apparteniamo intrinsecamente
nella nostra libera finitezza.
In un ulteriore scritto coevo a quello
fin qui considerato, Filosofia come narrazione. Note su un paradigma schellinghiano52, Carchia porta a conclusione questa
Poiché individua qui «come problema della filosofia l’articolazione del rapporto tra mito e dialettica, tra narrazione
e conoscenza»55, Carchia ritiene che il
superamento del punto di vista della conoscenza trascendentale verso il sapere
genealogico e l’ingresso nell’«epoca dell’
“amore”»56 implichino un movimento di
costruzione del sapere stesso, e dunque
appunto un processo dialettico: «il vero
sapere è genealogia: esso ha bisogno,
perciò, della dialettica, dunque del dialogo, perché è il risultato di un processo,
Luisa Bonanni
non qualcosa di già dato»57. La scissione,
caratteristica dell’epoca presente, tra natura e spirito porta con sé quella tra conoscenza e sapere, tra intelletto e inconscio; nel dialogo interiore tra queste due
istanze risiede il modello della dialettica,
che ne è quindi la manifestazione esteriore e ha il compito di «far elevare alla
consapevolezza il sapere di origine»58.
Come Dio si rivela nel mondo, così
l’uomo si rispecchia nella riflessione, tramite l’intelletto che opera la mediazione
nel presente, in vista di una epoca che
della mediazione non avrà più bisogno.
La forma della narrazione sarà perciò
anche più ampiamente comunicabile e
sembra indicare alla filosofia la strada
per aprirsi a un pubblico più ampio:
questa nuova e superiore forma della scienza,
il narrare, è indicata come meta anche in rapporto alla sua universalità, alla sua ben diversa visibilità. Il passaggio dalla dialettica alla
narrazione dovrà essere, secondo Schelling,
un aprirsi del pensiero alla comunicazione
universale, un divenire “popolare” da parte
della filosofia, secondo il modello alto rappresentato per la cultura medievale dalla Divina
Commedia di Dante59.
La forma narrativa, però, è lontana
dall’affermarsi pienamente e dal prendere il posto di quella dialettica: lo stesso
Schelling, come rileva l’analisi di Carchia, è consapevole di essere solo un annunciatore, e quindi di fare uso di una
forma filosofica ibrida, «fatta di oscurità
_
127
e di luce, di mito e di logos, di frammenti
e di aspirazione all’unità, di sentimento e
di ragione, di esposizione e di narrazione»60. La conclusione alla quale giunge
Carchia, cioè che nell’ambito del pensiero di Schelling non sia possibile arrivare
davvero al «tramonto della filosofia nel
mito»61, fa pensare ancora una volta allo
Streben costitutivo dell’Eros, al desiderio
più che alla sua realizzazione; insomma,
rinvia a una tensione analoga a quella
che fonda la libertà dell’uomo.
_ Note
1 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, Quodlibet, Macerata 2000, pp. 101-120. Il libro, che
consta, come si legge nella Prefazione di pugno
dell’autore, di una raccolta di «saggi […] scritti nell’arco di quindici anni», è stato pubblicato
postumo.
2 _ F.W.J. SCHELLING, Philosophische Untersuchen über das Wesen der menschlichen Freiheit
und die damit zusammenhängenden Gegenstände
(1809), trad. it. S. Drago Del Boca, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti
che vi sono connessi, in ID., Scritti sulla filosofia,
la religione, la libertà, a cura di Luigi Pareyson,
Mursia, Milano 1990, p. 82.
3 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 81.
4 _ Sulla connessione tra sistema e libertà in
questa opera di Schelling si veda l’Introduzione di
Giuseppina Strummiello in F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e
sugli oggetti ad essa connessi, Rusconi, Milano 1996.
128
_
Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
5 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che
vi sono connessi, cit., pp. 134-135. Lo scritto di
Franz von Baader al quale si fa riferimento è Über
die Analogie der Erkentniss und Zeugungstriebes
(1808), trad. it. L. Procesi Xella, Sull’analogia
dell’istinto di conoscere e dell’istinto di generare,
in F. VON BAADER, Filosofia erotica, a cura di L.
Procesi Xella, Rusconi, Milano 1982, pp. 83-94.
6 _ Ibidem.
7 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 90.
8 _ La figura di Carchia è stata magistralmente
ricordata, subito dopo la sua prematura scomparsa, da Vittorio Stella in apertura di «Quaderni di
Estetica e Critica», IV-V (1999-2000), Estetiche
della natura, Bulzoni, Roma, pp. 9-10. Di poco
successivo il volume a cura di Liliana Lanzardo,
Aura. Scritti per Gianni Carchia, SEB 27, Torino
2002, che contiene cinquantacinque testimonianze su questo pensatore da parte di filosofi, intellettuali, artisti. Da segnalare anche la Prefazione di
Sergio Givone a G. CARCHIA, Immagine e verità.
Studi sulla tradizione classica, Edizioni di storia e
letteratura, Roma 2003, pp. VII-X e l’Introduzione di Gianluca Garelli a G. CARCHIA, Kant e la
verità dell’apparenza, Ananke, Torino 2007, pp.
7-25. Dello stesso autore è il contributo Apparenza e contingenza. Gianni Carchia e la Critica del
Giudizio in ID., Letture kantiane. L’apparente e il
contingente, Bulzoni, Roma 2006. Mario Perniola, inoltre, gli riserva uno spazio importante nella
sua Estetica italiana contemporanea, Giunti-Bompiani, Firenze 2017, pp. 210-217. Focalizzato
sull’ambito estetico è il successivo articolo di Riccardo Ferrari, Dinanzi all’altare dell’immagine.
Note sull’estetica di Gianni Carchia, «Altraparola». Utopia e insorgenze. Per Miguel Abensour, I
(Ottobre 2018), pp. 139-147. Recentemente, Daniela Angelucci, in Là fuori, ombre corte, Roma
2023, pp. 86, 88, 100, ne considera la posizione a
proposito dell’estetica psicoanalitica.
Tutte le sue opere sono in ristampa presso l’editore Quodlibet.
9 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, cit., p.
102. Qui l’autore precisa che «non ne dice pressoché nulla Heidegger e lo stesso commento di
Fuhrmans, solitamente puntuale e articolato, vi
gira sostanzialmente intorno».
Quest’ultima parte del saggio schellinghiano
è stata poi oggetto di dettagliato commento da
parte di M. DALLA VALLE, Filosofia e salvezza (SW
VII, 406-416), in F. FORLIN – M. DALLA VALLE (a
cura di), L’essenza della libertà. Guida alla lettura
delle Ricerche Filosofiche di F.W.J. Schelling, Mimesis, Milano-Udine 2010, pp. 107-123. In tale
contributo non viene però presa in considerazione la posizione di Carchia e di conseguenza si
pone l’accento sulla funzione unificatrice dell’amore, che «è in grado di offrire un’unità comune
a tutte le cose senza spogliarle della loro individualità, anzi compenetrandole tutte dell’esistenza
divina, che diventa perciò omnia in omnibus» (ivi,
p. 122).
10 _ Ibidem.
11 _ Il senso del passo suggerisce che «casualisticamente» sia un refuso per «causalisticamente»
(o ‘causalmente’). Ad ogni modo intendo il testo
nel senso che l’amore è un legame che non scaturisce da una costrizione deterministica analoga a
quella che struttura, giusta per esempio la concezione kantiana della natura che è oggetto della
conoscenza scientifica, il nesso causale.
Luisa Bonanni
12 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, cit.,
pp. 103-104.
13 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., pp. 91-92.
14 _ L. PAREYSON, Prospettive di filosofia moderna e contemporanea, Mursia, Milano 2017, p. 337.
15 _ Ivi, p. 338.
16 _ Riguardo alla continuità nel pensiero di
Schelling prima e dopo le Ricerche si è pronunciato favorevolmente Xavier Tilliette in Schelling,
une Philosophie en Devenir (1970), recentemente
ripreso da M. VATER, Being in centro. The Anthropology of Schelling’s Human Freedom, «Lo Sguardo», XXX (2020) 1, pp. 123-140.
Su una linea che, pur accettando la tesi della
continuità, mette in rilievo l’aspetto dell’evoluzione nella riflessione di Schelling si trova M. DALLA
VALLE, Filosofia e salvezza (SW VII, 406-416), cit.,
p. 110: «se la “svolta” che avviene in questi anni
può essere riassunta nel graduale passaggio da
una ragione pura a una ragione storica, allora le
Ricerche sulla libertà, sebbene per tanti versi dipendano ancora dal lessico dell’identità, tuttavia,
possono a buon diritto essere considerate come
una prefigurazione della filosofia positiva».
17 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 100.
18 _ Ivi, p. 88.
19 _ N. HARTMANN, Die Philosophie des deutschen Idealismus (1929), trad. it. V. Verra, La filosofia dell’Idealismo tedesco, Mursia, Milano 1972,
pp. 145-146.
20 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 91.
_
129
21 _ N. HARTMANN, op. cit., p. 147.
22 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 96.
23 _ Tale desiderio originario è qui accostato alla materia platonica. L’interesse di Schelling
per il Timeo è molto precoce: risale infatti al 1794,
prima dunque di quello per Fichte, e condiziona
lo sviluppo del suo pensiero. Si veda in proposito
quanto ricostruito da F. MOISO in F.W.J. SCHELLING, Timaeus (1794), Guerini e Associati, Milano
1995, pp. 15-19. Più avanti nelle Ricerche (p. 105)
Schelling attribuisce alla concezione platonica
quel riconoscimento della realtà del male, di cui
denuncia la mancanza nei sistemi filosofici dei
propri contemporanei. In un altro passo (p. 118),
egli paragona il peccato alla «falsa immaginazione» del Timeo, poiché entrambi tramite rappresentazioni apparenti riflettono la verità dell’essere
senza contenerla.
24 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 97.
25 _ Segnalo qui una svista nella traduzione di
riferimento: il tedesco unabhängig vi è infatti reso
con dipendente (p. 99), dando adito in italiano ad
un possibile fraintendimento del testo.
26 _ Ivi, p. 104.
27 _ Il paragone con la malattia è preso da
Schelling da uno scritto di Franz von Baader apparso nel 1807 sulla rivista «Annali della Medicina come Scienza». Un’analoga interpretazione
della perversione si trova in un altro scritto dello
stesso Baader, il già citato Sull’analogia dell’istinto
di conoscere e dell’istinto del generare. Ivi l’autore sottolinea il carattere androgino della facoltà
conoscitiva: si dà vera conoscenza quando i due
130
_
Eros e libertà: Gianni Carchia interprete di Schelling
principi opposti (caratterizzati di volta in volta come il maschile e il femminile, lo spirito e la
carne, il superiore e l’inferiore) si congiungono
esercitando l’uno il potere di conferire la forma
e l’altro quello di accoglierla. La menzogna, analogamente a ciò che qui è visto come perversione
sessuale, consiste nell’inversione dei ruoli e a livello verbale porta con sé l’impotenza ad esprimersi,
cosa che per un uomo di studio rappresenta l’inferno (F. VON BAADER, Filosofia erotica, cit., p. 88).
Per l’influsso del pensiero di Baader sulla filosofia
della libertà di Schelling si veda: F. MOISO, Vita,
natura, libertà, Mursia, Milano 1990, pp. 294-298.
28 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 104.
29 _ Ivi, p. 106.
30 _ N. HARTMANN, op. cit., p. 147-148.
31 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 112.
32 _ Per questo aspetto del saggio schellinghiano, riguardante la questione del libero arbitrio in senso stretto, si rimanda alla sintesi di M.
MORI in Libertà, necessità e determinismo, il Mulino, Bologna 2001, pp. 59-64.
33 _ F.W.J. SCHELLING, Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi
sono connessi, cit., p. 114.
34 _ Ivi, p. 118.
35 _ Ivi, p. 119.
36 _ Ivi, p. 122.
37 _ Ivi, p. 128.
38 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, cit.,
pp. 101-102.
39 _ Ivi, p. 105.
40 _ F.W.J SCHELLING, Stuttgarter Privatvorlesungen (1810), trad. it. L. Pareyson, Lezioni di
Stoccarda, in ID., Scritti sulla filosofia, la religione,
la libertà, Mursia, Milano 1990, pp. 141-193.
41 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, cit., p.
105.
42 _ Ibidem.
43 _ Ivi, p. 108.
44 _ Ivi, p. 110.
45 _ Ivi, p. 111.
46 _ Ivi, p. 114.
47 _ Ivi, p. 115.
48 _ Ibidem.
49 _ Ibidem.
50 _ Ivi, p. 118.
51 _ Ivi, p. 135.
52 _ Ivi, pp. 59-72.
53 _ F.W.J SCHELLING, Die Weltalter, trad. it.
V. Limone e V. Cicero, Bompiani, Milano 2013
(La traduzione utilizzata da Carchia è invece di C.
TATASCIORE, Guida, Napoli 1991).
54 _ Ivi, p. 9.
55 _ G. CARCHIA, L’amore del pensiero, cit., p. 60.
56 _ Ivi, p. 62. Carchia mette tra virgolette
il termine, a mio avviso per segnalarne al lettore
l’ambiguità semantica, ampiamente problematizzata nello scritto su Schelling precedentemente
trattato.
57 _ Ibidem.
58 _ Ivi, p. 63.
59 _ Ivi, p. 66.
60 _ Ivi, p. 67.
61 _ Ivi, p. 72.