Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
IBN ʿARABĪ: IL LIBRO DELLA CONOSCENZA
Edizione, traduzione e note a cura di Maurizio Marconi
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Maurizio Marconi
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El Azufre Rojo XII (2024), 33-55.
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ISSN: 2341-1368
INTRODUZIONE
L’autenticità dell’opera
Un’opera dal titolo Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʿrifa) è riportata nei due elenchi delle
sue opere redatti da Ibn ʿArabī stesso (1), e nell’elenco delle 43 opere studiate da Ṣadruddīn
al-Qūnawī insieme all’autore (2); inoltre essa è menzionata nelle al- t āt al- a i a (3), nel
Kitāb al- a āb al-m sta īm (4), e nel Kitāb a - a ā ir a-l-aʿlā (5).
Osman Yahya nella sua monumentale istoire et classi cation de l re d Ibn ʿArabī, Damasco,
1964, a pag. 372-373, dedica a quest’opera la notizia 433 (6) del suo Repertorio Generale [d’ora in poi RG] e ne elenca 18 manoscritti. Grazie al prezioso contributo di Julian Cook, della
MIAS di Oxford (7), ho avuto maggiori dettagli sul contenuto di 13 di questi manoscritti ed
ho verificato che si riferiscono in realtà a tre testi diversi, aventi tutti in comune la suddivisione in questioni: il primo è il “Credo dell’élite della gente di Allah”, che costituisce il terzo
credo riportato nell’Introduzione (m addima) della seconda redazione delle t āt (8) e che
contiene 65 questioni (9); il secondo è un’opera che contiene 53 o 54 questioni (10); il terzo è
un’opera che contiene 263 questioni e che ha un incipit diverso da quello dell’opera precedente (11). Quale di questi testi è dunque l’opera a cui fa riferimento Ibn ʿArabī?
1 Si tratta del i rist al-m annafāt redatto prima dell’anno 627 dall’Egira, ove l’opera è menzionata con il numero 185 nell’edizione di Affifi del 1953, mentre nell’edizione di ʿAwwād del 1954 è assente, e dell’I āza li-l-mali ala ar un diploma di autorizzazione all’insegnamento delle sue opere, redatto nell’anno 632 dall’Egira
per il Re di Damasco, ove l’opera è menzionata al numero 191 dell’elenco nell’edizione di Badawī del 1955.
2 Su questo testo si può consultare lo studio di Gerald Elmore “Sadr al-Dīn al-Qūnawīʾs Personal Study-List of
Books by Ibn al-ʿArabī”, pubblicato nel o rnal of ear astern t dies, Vol. 56, No. 3 (July 1997), pag. 161-181,
in particolare a pag. 166 e 171.
3 Il libro della conoscenza è citato nell’Introduzione [I 38.24 e 46.4], nel cap. 17 [I 163.7], nel cap. 73, questione
XXXVIII [II 66.12] e questione XCVII [II 99.30] e nel cap. 235 [II 536.20]. Dopo il Kitāb ma ā iʻ an-n m ed
il Kitāb in ā ad-da ā ir, il Kitāb al-maʿrifa è tra le opere che Ibn ʿArabī cita più spesso nelle t āt.
4 Nella questione XXXII a pag. 190 dell’edizione riportata in nota da Osman Yahya nella sua edizione del Kitāb
atm al-a li ā di at-Tirmiḏī, Imprimerie Catholique, Beirut, 1965.
5 A pag. 126 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, Beirut, 1999.
6 ll titolo della notizia è Kitāb al-masā il e tra le varianti di esso è riportato Kitāb al-maʿrifa .
7 Comunicazione personale del 22 novembre 2019.
8 Nella prima redazione, completata nell’anno 629 dall’Egira, l’introduzione si concludeva con il primo credo
(ʿa īda), quello della massa della gente dell’Islām, mentre nella seconda redazione, completata nell’anno 636
dall’Egira, Ibn ʿArabī ha aggiunto il credo dei principianti colti, ed il credo dell’élite della gente di Allah.
9 Questo testo si trova nei manoscritti Shehit Ali 1342, Bayazid 8013 e Berlin 1987.
10 Questo testo si trova nei manoscritti Shehit Ali 1341, Carullah 986 e 2080, Fayzullah 2119, Fatih 5322,
Laleli 1341, e Uppsala 162.
11 Questo testo si trova nel manoscritto Esad Efendi 1477.
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Il primo può essere facilmente escluso, poiché proprio nell’introduzione (m addima) della
seconda redazione delle t āt Ibn ʿArabī menziona due volte Il libro della conoscenza come
un’opera redatta in precedenza (12): restano quindi gli altri due testi.
Osman Yahya afferma che: “solo la copia Esad Ef. 1477 [cioè il terzo testo] è completa e,
secondo noi, la sola che corrisponda veramente al titolo dato da Ibn ʿArabī, K al- aʿrifa È
anche in questa copia che troviamo numerosi paragrafi aventi per titolo: as ala [cioè questione] che hanno la loro corrispondenza completa nel K al- a alli āt dell’autore. Secondo
le indicazioni di Ibn ʿArabī ( t. I, 38), il K al- asā il sarebbe una sorta di riassunto del K.
al- aʿrifa (13).
Di questo terzo testo in realtà esistono almeno 10 manoscritti, aventi tutti in comune lo stesso
incipit, al- amd li-llā i alla ī a aba-nā bi- i ʿan- , e in quasi tutti i casi un numero di questioni
superiore a 200 (14). Osman Yahya aveva riconosciuto nella copia Esad Efendi 1477 alcuni
brani tratti dal Kitāb at- a alli āt (15), ma le opere di Ibn ʿArabī da cui sono ricavate le questioni sono ben 16, ed oltre a queste vi sono 10 questioni tratte da opere di al-Gazālī, 14 questioni
tratte dal Kitāb al-i ilā āt a a di al-Qāšānī (m. 730 H) e 25 questioni tratte dal Šar f
al- i am di al-Qayṣarī (m. 751 H).
Si tratta quindi certamente di un’opera apocrifa, redatta più di un secolo dopo la morte di
Ibn ʿArabī, verosimilmente da un discepolo di al-Qāšānī (16) che ha raccolto tutto questo
materiale non per se stesso ma per altri (17).
12 t āt, Introduzione [I 38.24 e 46.4].
13 Osman Yahya intende dire che il secondo testo, quello con 53 o 54 questioni è un riassunto del terzo testo,
che contiene più di 200 questioni, ma a parte il fatto che nel secondo testo vi sono solo 8 questioni che hanno
la loro corrispondenza nel terzo, va anche osservato che Ibn ʿArabī non ha affermato che il Kitāb al-masā il
sarebbe una sorta di riassunto del Kitāb al-maʿrifa. Ciò che afferma nel punto delle t āt citato da Osman
Yahya [I 38.24] è che il contenuto del credo dell’élite della gente di Allah, cioè il primo testo, era già stato da
lui sviluppato in una precedente opera, cioè il Kitāb al-maʿrifa Il termine riassunto (i ti ār) ricorre in effetti due
righe prima [I 38.22], ma è riferito al credo precedente, la cui esposizione è basata sul Kitāb al-i ti ād fī l-iʿti ād
di al-Gazālī, come Ibn ʿArabī stesso precisa.
14 L’eccezione è costituita dal manoscritto Yemen Aḥqāf 2056, probabilmente il più antico tra quelli noti, che
annovera solo 88 questioni. Il manoscritto Escurial 417 ne ha 234, il Carullah 2120 225, l’Esad Efendi 1477
262, il Dār al-kutub al-miṣriyya 1221 ed il Tunis Nationale 8572 223, e il Dār al-kutub al-miṣriyya 771 296.
Confrontando questi sette testi [degli altri tre non ho copia né ulteriori informazioni] ho identificato 306 questioni, il che significa che la maggior parte delle questioni sono comuni, e nel 90% dei casi sono riuscito a risalire
alla fonte da cui il loro testo è stato ricavato, talora con aggiunte ed omissioni.
15 A pag. 189 della sua Histoire Osman Yahya esclude l’autenticità di un opera [RG 99] attribuita ad Ibn ʿArabī
sulla base della presenza di estratti del Kitāb at-ta alli āt. Non è chiaro perché nel caso del manoscritto Esad
Efendi 1477 tale criterio non potesse applicarsi.
16 A pag. 147r del manoscritto Esad Efendi 1477 si legge: “Tra ciò che si è trovato scritto dal nostro Maestro
dopo la sua morte vi è…” e segue una definizione tratta dal Kitāb al-i ilā āt a a di al-Qāšānī. Questa è
l’unica occasione in cui si riscontra l’espressione “il nostro Maestro”, mentre le citazioni di testi di Ibn ʿArabī
sono per lo più anonime o precedute in una dozzina di casi dalla formula: “il Maestro ha detto”.
17 Nella questione 152 dei due manoscritti conservati al Cairo ed editi da Saʿīd ʿAbd al-Fattāḥ con il titolo di
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Anche questo testo può dunque essere escluso, tanto più che con la sola eccezione del manoscritto Dār al-kutub al-miṣriyya 771 tutti gli altri manoscritti riportano come titolo Kitāb
al-masā il
Restano quindi due possibilità: o il Kitāb al-maʿrifa è una delle tante opere di Ibn ʿArabī di cui
non sono rimasti manoscritti noti, oppure può trattarsi del secondo testo incluso da Osman
Yahya nella voce RG 433. Per accertare quest’ultima possibilità basterebbe un manoscritto
olografo di Ibn ʿArabī o dotato di un suo certificato di lettura autografo, ma purtroppo i
manoscritti noti di questo testo sono solo copie non certificate, per cui è necessario ricorrere
a criteri di verifica indiretti.
Un primo criterio da soddisfare è quello dell’articolazione in questioni del Kitāb al-maʿrifa Ibn
ʿArabī pur citandolo una decina di volte dà solo alcune indicazioni sul suo contenuto ma non
fa mai riferimento al fatto che il testo sia suddiviso in questioni allo stesso modo del Credo
dell’élite della gente di Allah. La conferma viene data da Ibn Sawdakīn (18) nel suo Kitāb
asā il as-sā il [RG 436] (19), in cui riporta alcuni insegnamenti ricevuti direttamente da Ibn
ʿArabī: nella sezione XXIV di quest’opera si legge: “tra le cose che ho sentito da lui a commento delle questioni del suo libro intitolato La conoscenza…”. La stessa affermazione si trova
nella sezione XLI di un altro testo di Ibn Sawdakīn, il Kitāb la ā i al-asrār a-la ā i alan ār [RG 368a], recentemente edito da ʿAbd al-Bāqī Miftāḥ, Dār Nīnawā, Damasco, 2019.
Il secondo criterio da soddisfare è quello della corrispondenza tra il contenuto del testo che
abbiamo a disposizione con il testo del credo dell’élite della gente di Allah, riportato nelle
t āt. Il fatto che nel primo di questi due testi vi siano 53 o 54 questioni e nel secondo 65
non osta a questa corrispondenza, poiché Ibn ʿArabī non afferma che i due testi sono identici,
ma solo che trattano degli stessi argomenti, tant’è che in un altro punto delle t āt [I 46.4]
parla del primo Libro della conoscenza (20), lasciando intendere che il credo dell’élite della gente
di Allah fosse una seconda redazione, diversa dalla prima (21).
Kitāb al-maʻrifa, Dār al-Mutanabbī, Beirut, 1993, si legge: “Non ho menzionato per te questa questione se non
perché conoscessi qual è la tua dimora presso Allah”.
18 Su questo compagno di Ibn ʿArabī si possono consultare le pag. 195-197 di Ibn ʿArabī o la te d o fre o e,
di Claude Addas, Gallimard, 1989.
19 Quest’opera è stata edita e tradotta da Manfred Profitlich in ie erminolo ie Ibn ʿArabīs im Kitāb asā il as-sā il
des Ibn a da īn Klaus Schwarz Verlag, Freiburg im Breslau, 1973.
20 Nell’edizione di Osman Yahya si trova inspiegabilmente Kitāb al-maʻrifa al- lā cioè il Libro della conoscenza
rima malgrado nel manoscritto olografo di Ibn ʿArabī da lui utilizzato si legga chiaramente al-a al [di genere
maschile e quindi riferito al libro] e non al- lā [di genere femminile e quindi riferito alla conoscenza]. Va anche
osservato che alla fine del terzo credo vi sono tre certificati di lettura, i primi due risalenti all’anno 633 dall’Egira
ed il terzo all’anno 634 dall’Egira: i primi due si riferiscono all’insieme della terza parte ( z ) che include tutta
l’introduzione, mentre il terzo certificato si riferisce all’insieme del Libro della conoscenza. D’altra parte alla fine
della seconda parte vi sono solo due certificati di lettura, risalenti all’anno 633 dall’Egira, per cui è possibile che
il terzo certificato di lettura si riferisca esclusivamente al terzo credo e non a tutta l’introduzione: se così fosse
la denominazione di Libro della conoscenza indicherebbe che il terzo credo corrisponde alla sua seconda versione.
21 Se si fosse trattato dello stesso testo non avrebbe senso l’inclusione del Kitāb al-maʿrifa in aggiunta alle t āt
nell’elenco delle 43 opere studiate da Ṣadruddīn al-Qūnawī insieme all’autore.
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Nella tabella seguente ho riportato nelle colonne M i numeri progressivi delle questioni
del presunto Kitāb al-maʿrifa e nelle colonne C i numeri progressivi delle questioni del credo
dell’élite ad esse corrispondenti nella forma o nel contenuto.
M
Sezione
I
II
I
II
III
C
III
IV e V
IV
V
VI
VI
M
XIV
XV
XVI
C
XIII
XXXV
XVII
e XLIV
XVIII XIV
XIX
XV
M
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XX
XVI
XXXIV
VII
VII
XXI
XVII
XXXV
VIII
VIII
XXII
XVIII
XXXVI
IX
C
XLIII
XXXVIII
XXX
e LXI
XLV
M
XLII
XLIII
XLIV
XLV
XLVI
XLVII
XIX e XLVI XLVIII
XLIX
XLVII
L
XXVII e L
L
LI
LIII
XXV
e XXVIII
XXIII XIX
XXXVII
LI
XLII
XLI
X
IX e X
XXIV XX
XXXVIII XLVIII
LII
XI
XII
LVII
LVIII
XXV XXI
XXVI LV
XXXIX
XL
LIII
LIV
XXVII
XLI
XIII
C
XII
LIV
XLIX
XLIX
Ho riportato in allegato, dopo la traduzione del Libro della conoscenza, la traduzione di questo
credo, ove ho indicato più in dettaglio nelle note le corrispondenze e le differenze tra i due testi.
Vi sono complessivamente 16 questioni del Kitāb al-maʿrifa che non sono sviluppate nel credo
e viceversa 23 questioni del credo che non sono trattate nel Kitāb al-maʿrifa
Due terzi delle questioni sono sviluppate in entrambi i testi ed in otto casi il credo riprende
testualmente il contenuto dell’altro testo; in realtà, in assenza di un documento originale
potrebbe anche essere il contrario, cioè che il testo del Kitāb al-maʿrifa che abbiamo a disposizione riprenda molti contenuti del credo talora anche testualmente, ma affronteremo a breve
questo problema. In ogni caso il primo criterio si può considerare soddisfatto.
Il terzo criterio da soddisfare è verificare che i contenuti del Kitāb al-maʿrifa che Ibn ʿArabī
riporta in altri punti della sua opera si ritrovino nel testo in esame.
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1) Nella questione LVII del credo [I 46.4] Ibn ʿArabī afferma: “Nel primo Libro della conoscenza
abbiamo enunciato gli aspetti delle conoscenze che appartengono all’Intelletto nel Mondo e
non abbiamo spiegato da dove abbiamo tratto quella enumerazione. Sappi che l’Intelletto ha
360 volti ad ognuno dei quali corrispondono, dal lato del Vero, il Potente, 360 volti ognuno
dei quali gli elargisce una scienza che non è data dagli altri volti. Se moltiplichi i volti dell’Intelletto per i volti dell’apprendimento, il risultato è il numero delle scienze che appartengono
all’Intelletto, iscritte nella Tavola Custodita, che è l’Anima [Universale]”. Nella questione
XI del presunto Kitāb al-maʿrifa si legge: “Quando Egli diede esistenza a questo primo essere
apparvero in lui 360 volti rivolti alla Presenza divina ed il Vero, sia Egli esaltato, effuse su di
lui parte della Sua Scienza in misura delle predisposizioni all’accettazione che aveva esistenziato in lui, e la sua accettazione fu di 46.656.000 specie”; non solo vi è corrispondenza ma
vi è anche una successione logica tra i due testi, che contrasta con l’ipotesi di una redazione
apocrifa del secondo testo.
2) Nel cap. 17 delle t āt [I 163.7] si legge: “Questione. Il concetto esteriore di invenzione
è l’assenza del modello nel Testimone ( ā id). Com’è possibile l’invenzione riguardo ad una
cosa che non ha mai cessato di essere attestata da Lui, sia Egli esaltato, ed oggetto di scienza,
come abbiamo affermato riguardo alla Scienza che ha Allah delle cose?” e nella seconda
redazione Ibn ʿArabī ha aggiunto: “nel ibro della conoscenza di Alla ( itāb al-maʿrifa bi-llā )”
(22). Il tema dell’invenzione è trattato sia nella questione LIV del credo che nella questione
XLIII del presunto Kitāb al-maʿrifa ma solo nella prima vi è un riferimento ad Allah, senza
però una esplicita connessione dell’impossibilità per Lui dell’invenzione con la Sua scienza
eterna delle cose. Ciò che stupisce è che il tema dell’invenzione era stato ampiamente trattato
nella seconda sezione del cap. 2 [I 90.22 a 91.14] con un palese riferimento alla Scienza che
ha Allah delle cose.
3) La questione XXXVIII del cap. 73 recita [II 66.3]: “Cos’è l’autorizzazione (i n) (23) da
parte del nostro Signore riguardo all’obbedienza ed alla disobbedienza?”, ed Ibn ʿArabī risponde: “Egli, sia esaltato, ha detto: “Invero Allah non ordina le turpitudini” (Cor. VII-28),
quindi l’autorizzazione in cui sono associate l’obbedienza e la disobbedienza è l’autorizzazione divina affinché in colui che è autorizzato vi sia un atto, indipendentemente dal giudizio. Il
Suo giudicare le cose come obbedienza e disobbedienza è identico alla Sua Scienza di esse in
questa situazione e non è voluto; quindi il regime [o il giudizio] non è oggetto del comando,
bensì è ciò che è soggetto al regime [o al giudizio] ad essere voluto e ad essere oggetto del
comando. Dunque non è possibile l’autorizzazione riguardo all’obbedienza ed alla disobbe22 Questo titolo non ricorre in nessun’altra delle opere note di Ibn ʿArabī. Nelle note alla sua edizione delle
t āt Vol. II, pag. 59, Osman Yahya ritiene che si tratti del Libro della conoscenza.
23 Nel cap. 74 II 142.35] Ibn ʿArabī precisa che l’autorizzazione è il Comando divino.
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dienza in quanto tali”, e dopo un ulteriore sviluppo conclude [II 66.12] con: “ci siamo già
espressi in merito a questo argomento nel nostro Libro della conoscenza” (24). Questo argomento
è affrontato nella questione XXXVI del credo ma non vi è una questione corrispondente nel
testo del Libro della conoscenza di cui disponiamo.
4) Nella questione XCVII del cap. 73 [II 99.30] Ibn ʿArabī afferma: “Nel Libro della conoscenza
abbiamo detto: “Il possibile per la sua essenza non esige di diritto la non-esistenza, come
afferma qualcuno; ciò che il possibile esige di diritto per la sua essenza è solo la precedenza
dell’essere qualificato dalla non-esistenza rispetto all’essere qualificato dall’esistenza, e non
la non-esistenza: per questo [il possibile] riceve l’esistenza per la preponderanza [data ad
essa]. Quindi la non-esistenza rispetto alla quale viene data preponderanza all’esistenza non
è la non-esistenza che precede la sua esistenza, ma è solo la non-esistenza che è propria del
possibile in contrapposizione alla sua esistenza nello stato della sua esistenza, tale che se non
ci fosse l’esistenza ci sarebbe la non-esistenza, ed è questa la non-esistenza rispetto alla quale
viene data preponderanza all’esistenza nell’entità del possibile. Questo è ciò che esige la considerazione razionale”. Anche in questo caso l’argomento è trattato nelle questioni XXXVII
e LXV del credo, ma non vi sono questioni corrispondenti ad esse nel testo del Libro della
conoscenza di cui disponiamo.
5) Nel cap. 235 [II 536.20] Ibn ʿArabī afferma: “Nella questione della soddisfazione (ri ā) vi
è un significato sottile che abbiamo menzionato nel Libro della conoscenza, una piccola opera:
si vada a vedere lì”. Questo argomento è trattato nella questione LIII del credo e nella questione XLIX del Libro della conoscenza.
6) Nel “Libro della risposta corretta (Kitāb al- a āb al-m sta īm) alle estioni oste da at- irmi ī il
sa io” alla questione XXXII: “Qual è la descrizione delle misure ( ifat al-ma ādīr)?” Ibn
ʿArabī risponde: “La determinazione dei momenti nei quali ha luogo lo scorrere del regime
( m) e del Decreto ( a ā ): abbiamo già spiegato questi gradi nel Libro della conoscenza”. Nella
sua concisione questa risposta riecheggia un’affermazione che si trova nella questione LII
del Libro della conoscenza: “La Sua connessione con i regimi (a ām) prima del loro accadimento si chiama Decreto. La Sua connessione con il momento dell’accadimento del regime si
chiama Destino [( adar) o Misura]”. Tale affermazione non è però riportata nella questione
corrispondente del credo, così come nella risposta del capitolo 73 [II 63.17] alla questione
XXXIII del questionario di at-Tirmiḏī non vi è menzione del Decreto.
7) Nel Kitāb a - a ā ir a-l-aʻlā a pag. 126 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī afferma: “Nel suo
insieme il senso del verso è ciò che intendeva Abū Ḥāmid [al-Gazālī] dicendo che non c’è
24 Questa affermazione si trova anche nella prima redazione delle
pertanto si riferisce senza dubbio al primo Libro della conoscenza.
t āt in cui il terzo credo era assente e
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nella Possibilità un Mondo più originale di questo, poiché se ci fosse ed Egli l’avesse tenuto
per Sé si tratterebbe di un’avarizia che nega la Generosità e di un’impotenza che contraddice
il Potere […] La spiegazione di questo discorso non si addice a questo contesto e l’abbiamo
già menzionata nel Libro della conoscenza”. Tale menzione si trova nelle questioni XXXIX e
XL del Libro della conoscenza, ma questi testi non sono stati ripresi nel credo.
Dall’analisi di queste citazioni risulta quindi che non sempre i contenuti riferiti al Libro della
conoscenza si ritrovano nei manoscritti del Kitāb al-maʿrifa attualmente noti.
L’ultimo criterio indiretto per verificare l’autenticità del testo è il riscontro in esso di elementi
che si trovano solo nelle opere di Ibn ʿArabī. Oltre al fatto già segnalato che alcuni brani
del Kitāb al-maʿrifa sono identici a quelli riportati nel terzo credo, in tutti i manoscritti si trovano sette versi di otto piedi in metro basī che sono riportati anche nel ī ān al-maʿārif, nel
manoscritto Bibliothèque Nationale 2384, f. 64b, e che non si trovano in altre opere di Ibn
ʿArabī. Il ī ān raccoglie esclusivamente poesie redatte dall’autore e pertanto la presenza di
questi versi è un elemento forte a favore dell’autenticità del testo. Vi è poi la menzione nella
questione L dell’Imām Abū ʿAmr as-Salālaqī al-Ašʿārī, autore che Ibn ʿArabī cita anche nel
Kitāb al- alāl a-l- amāl a pag. 34 delle asā il, Dār Ṣāder, Beirut, 1997, ma che non è mai
citato nelle opere note di altri Maestri contemporanei o immediatamente successivi ad Ibn
ʿArabī. Infine, nella questione XLI si trova la seguente affermazione: “Mi è stato comunicato
che ʿAbd al-Qādir al-Ğīlī a Bagdād ha detto riguardo al Maestro Muḥammad al-Awānī
che egli faceva parte dei Solitari ed essi sono i signori (aʿ ān) degli Intimi”; si tratta di una
informazione che non è riportata nelle opere che riguardano la vita di ʿAbd al-Qādir al-Ğīlī,
ma che è stata trasmessa oralmente e nel cap. 30 delle t āt [I 201.19] Ibn ʿArabī afferma:
“Mi è stato riferito che ʿAbd al-Qādir al-Ğīlī, che era il Polo del suo tempo, riconoscesse a
Muḥammad ibn Qāʾid al-Awānī questa stazione spirituale [di Solitario]”.
Sulla base di tutte queste considerazioni si può concludere che il secondo testo incluso da
Osman Yahya nella voce RG 433 è opera di Ibn ʿArabī e corrisponde al Libro della conoscenza
da lui citato, ma non in modo completo poiché alcune questioni da lui stesso menzionate non
si ritrovano nei manoscritti che ci sono pervenuti. Il testo di questi manoscritti comporta solo
differenze marginali, per cui si deve supporre che essi siano copie dirette o indirette di un
manoscritto che già non era completo.
IL TITOLO
Anche se non abbiamo alcun manoscritto olografo o autenticato sappiamo con certezza che
il titolo dell’opera è il Libro della conoscenza, poiché è con esso che Ibn ʿArabī la menziona. Nei
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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13 manoscritti che ho potuto consultare, di cui 11 in copia digitale e 2 tramite la loro edizione, vi sono tuttavia delle differenze riguardo al titolo: 4 riportano Kitāb al-maʿrifa 3 Kitāb
al-maʿrifa al- lā 2 Kitāb al-masā il 2 Kitāb at-tanazz lāt al-la li a fī l-a ām al-ilā i a 1 Kitāb
al-masā il a- a itāb al-maʿrifa ed 1 isāla fī l-masā il al- l i a
Il titolo dell’opera è spesso riportato da Ibn ʿArabī nel testo stesso, ma nel caso del Libro della
conoscenza tale indicazione è assente nei manoscritti noti di questo testo, e ciò può spiegare le
varianti nel titolo, attribuibili nella maggior parte dei casi ai copisti. Il titolo Kitāb al-maʿrifa
al- lā può essere un’errata lettura dell’espressione Kitāb al-maʿrifa al-a al riportata da Ibn
ʿArabī nel terzo credo delle t āt così come il titolo Kitāb al-masā il può riferirsi alla suddivisione in questioni del testo. Il titolo più enigmatico è Kitāb at-tanazz lāt al-la li a fī l-a ām
al-ilā i a che Osman Yaḥyā ha ritenuto riferirsi ad un’opera diversa da quelle incluse nella
sezione RG 433 attribuendole la sezione RG 761 sulla base di un solo manoscritto conservato nella biblioteca di al-Azhar al Cairo. Egli stesso precisa di non aver potuto consultare
il manoscritto e si è basato quindi sulla descrizione data dal catalogo della biblioteca, che
riporta un incipit diverso da quello dei testi inclusi nella sezione RG 433. In realtà esiste un
altro manoscritto che riporta lo stesso titolo e che è conservato nella Staatsbibliothek zu Berlin - Preußischer Kulturbesitz con il codice Ms. or. oct. 2459: questo manoscritto è identico
a quello del Cairo ed ha le stesse lacune nel testo, lacune che non si trovano negli altri manoscritti; la parte iniziale è un cappello apposto dall’editore al testo vero e proprio del Libro
della conoscenza, cappello in cui vengono riportate otto frasi o episodi di Maestri del a a
f
di argomento vario. L’editore, pur affermando che il testo che sta presentando riguarda la
conoscenza di Allah, ha adottato un titolo che non risulta essere mai stato menzionato da Ibn
ʿArabī e che sembra essere una sintesi del modo in cui Ibn ʿArabī afferma di aver ottenuto la
sua scienza (25) e di uno degli argomenti principali del testo, cioè i regimi divini.
LA DATA ED IL LUOGO DI REDAZIONE
Con i manoscritti a disposizione non è possibile stabilire con certezza né la data né il luogo
di redazione dell’opera, ma la sua menzione in altre opere può aiutare a definire il periodo
in cui fu scritta. Abbiamo visto che il Libro della conoscenza è citato nella seconda redazione del
cap. 17 delle t āt ma non nella prima, il che può far supporre che all’epoca della prima
25 Nella questione 5 del Libro della conoscenza Ibn ʿArabī precisa: “Le nostre scienze non sono state scoperte dalle
parole né dalle bocche degli uomini, né dall’interno dei quaderni e delle pagine, bensì le nostre scienze derivano da teofanie (ta alli āt) sul cuore quando prevale il potere del a d e nello stato dell’estinzione nel
d,
ed i significati sussistono come similitudine e senza similitudine in base alla Presenza in cui avviene la discesa
(tanazz l). Tra esse [Presenze] vi è quella in cui [la discesa] avviene dalla porta del colloquio diurno (m āda a) e
quella in cui avviene dalla porta del colloquio notturno (m sāmara)”.
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redazione non fosse ancora stato scritto. Non abbiamo purtroppo indicazioni sulla data della
prima redazione di questo capitolo, ma possiamo presumere che ciò sia avvenuto nei primi
anni del settimo secolo dall’Egira.
Vi è poi la menzione nel Kitāb a - a ā ir a-l-aʻlā redatto ad Aleppo nell’anno 611 dall’Egira, il che consente di stabilire con certezza che il Libro della conoscenza sia stato redatto prima
di quella data. Vi è infine la menzione nel Kitāb al- a āb al-m sta īm che secondo Osman
Yaḥyā fu redatto nell’anno 602 dall’Egira, ma tale notizia non è stata confermata dall’esame
del manoscritto a cui egli fa riferimento (26).
Si può quindi ipotizzare che la redazione del testo sia avvenuta nel primo decennio del settimo secolo dall’Egira, periodo in cui venne anche redatto il secondo credo (27), che venne poi
inserito integralmente nella seconda versione delle t āt.
IL NUMERO DELLE QUESTIONI
Sia nel Libro della conoscenza che nel terzo credo le questioni non sono numerate ed i numeri
che compaiono tra parentesi quadre sia nell’edizione araba che nella traduzione sono stati
aggiunti da me solo per facilità di lettura e di confronto (28). Abbiamo già visto che alcune
questioni presenti nel testo originale sono assenti nei manoscritti che abbiamo a disposizione, per cui non è dato sapere quante questioni costituissero la versione originale. In questa
sezione mi limiterò quindi ad esaminare il numero delle questioni in cui è suddiviso il testo
dei manoscritti disponibili, poiché anche se il corpo del testo è praticamente identico vi sono
alcune differenze tra i vari manoscritti per quanto concerne le questioni. Dei dodici manoscritti completi studiati ve ne sono 5 (29) che hanno 54 questioni, 4 che hanno 53 questioni (30)
perché considerano la questione II parte integrante della prima, e 3 che hanno 52 questioni
perché oltre a non indicare la questione II omettono di indicare un’ulteriore questione (31).
26 Questa informazione è tratta dal data-base dei manoscritti accessibile ai membri della Muhyiddin Ibn ʿArabi
Society di Oxford.
27 Il testo di questo credo è contenuto nel manoscritto Veliyuddin 51 ed è una copia dell’originale redatto a
Damasco nell’anno 602 dall’Egira.
28 Solo in manoscritti tardivi come quello della Ibn al-ʿArabī Foundation pakistana, accessibile all’indirizzo web:
https://it.scribd.com/fullscreen/35140597?access_key=key-lsq57f05cdd3g3egfd3 è presente la numerazione.
29 I manoscritti Carullah 986 e 2080, Uppsala 162, Millet Fayzullah 2119 e Veliyuddin 1821. Gli ultimi due si
differenziano dai tre precedenti perché hanno la questione 2 spostata di una riga in basso.
30 I manoscritti Asafiyya 376, Fatih 5322, Tunis 12564 e Ibn al-ʿArabī Foundation.
31 I manoscritti Al-Azhar 961, Berlino 2459 e Laleli 1341. I primi due, che sono identici, mancano della riga di
testo in cui era indicata la questione XXI, mentre il terzo è privo dell’indicazione della questione XVII.
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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Poiché la differenza principale riguarda la questione II e questa è indicata come tale nel terzo
credo, che la riproduce testualmente, ho adottato per l’edizione la versione con 54 questioni.
IL CONTENUTO DELL’OPERA
Per Ibn ʿArabī i termini maʿrifa ed ʿilm hanno la stessa definizione ( add) e la stessa realtà
essenziale ( a ī a), cioè “lo svelamento della cosa per come essa è” (32) e per questo nella sua
opera talora essi sono apparentemente usati come sinonimi: per esempio nell’introduzione
delle t āt egli afferma [I 34.13]: “Il fulcro della scienza (ʿilm) da cui è caratterizzata la
Gente di Allah, sia Egli esaltato, si basa su sette questioni: a chi le conosce non è impedito
l’accesso ad alcunché della scienza delle realtà essenziali. Esse sono la conoscenza (maʿrifa) dei
Nomi di Allah, sia Egli esaltato, la conoscenza delle Teofanie (ta alli āt), la conoscenza del
discorso rivolto dal Vero ai Suoi servitori con il linguaggio della Legge, la conoscenza della
perfezione dell’esistenza e del suo difetto, la conoscenza dell’uomo per quanto attiene alle
sue verità, la conoscenza dello svelamento immaginativo e la conoscenza delle malattie e dei
rimedi. Noi abbiamo menzionato queste questioni nel capitolo di questo libro dedicato alla
conoscenza [cap.177], a cui ti rimando, se Allah vuole”, ma poi, nel capitolo citato afferma
[II 299.20]: “La conoscenza consiste nella scienza di sette cose e questa è la via che percorre
l’élite dei servitori di Allah: la prima è la scienza delle realtà essenziali ( a ā i ), cioè la scienza
dei Nomi divini; la seconda è la scienza dell’epifania (ta allī) del Vero nelle cose; la terza è la
scienza del discorso del Vero rivolto ai Suoi servitori sottoposti al vincolo legale [proferito]
tramite la lingua delle leggi tradizionali; la quarta è la scienza della perfezione e del difetto
nell’esistenza; la quinta è la scienza dell’uomo stesso per quanto attiene alle sue realtà essenziali; la sesta è la scienza dell’immaginazione ( a āl) e del suo mondo congiunto (m tta il) e
disgiunto (m nfa il); la settima è la scienza delle malattie e dei loro rimedi. Chi conosce queste
sette questioni ottiene ciò che si chiama conoscenza”.
Poco oltre, nello stesso capitolo [II 318.30], aggiunge: “Vi è divergenza tra i nostri compagni riguardo alla stazione della conoscenza (maʿrifa) ed al conoscitore ed alla stazione della
scienza (ʿilm) ed al sapiente. Un gruppo sostiene che la stazione della conoscenza è dominicale
(rabbānī) e la stazione della scienza è divina, compreso me stesso ed i realizzati come Sahl
at-Tustarī, Abū Yazīd, Ibn al-ʿArīf ed Abū Madyan. Un altro gruppo sostiene che la stazione
della conoscenza è divina e la stazione della scienza è inferiore ad essa. Anch’io sostengo
questo, poiché per conoscenza essi intendono ciò che io intendo per scienza, e per scienza essi
intendono ciò che io intendo per conoscenza. Quindi la divergenza è puramente verbale”.
32 Questa affermazione si trova nel Kitāb ma ā īʿ an-n
al-Manṣūb, Širkat al-Quds, il Cairo, 2016.
m, a pag. 93 dell’edizione curata ʿAbd al-ʿAzīz Sulṭān
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Ciò sembrerebbe confermare la sinonimia dei due termini, ma in realtà Ibn ʿArabī ha appena detto che ciò che egli intende per scienza non è ciò che egli intende per conoscenza e che
gli stessi termini vengono usati con intendimenti diversi. Se la loro definizione e la loro realtà
essenziale è la stessa la differenza può solo dipendere da colui che percepisce, dall’oggetto che
è percepito o dal modo in cui la percezione ha luogo.
Per quanto riguarda colui che percepisce, nel cap. 441 [IV 54.24] Ibn ʿArabī precisa: “Sappi
che Allah ha distinto i conoscitori (ʿārif n) ed i sapienti (ʿ lamā ) per mezzo di ciò con cui li
ha caratterizzati, differenziando gli uni dagli altri. La Scienza è un Suo Attributo, mentre la
conoscenza non è un Suo Attributo. Il sapiente è divino, il conoscitore è dominicale, secondo il linguaggio tecnico [degli iniziati]. Anche se la scienza, la conoscenza ed il sapere ( )
hanno tutti lo stesso significato (maʿnā), si comprende tuttavia che c’è una differenza tra di
loro nell’indicazione (dalāla), così come essi si differenziano nei termini. Del Vero si dice che è
Sapiente, ma non si dice di Lui che è Conoscitore, né che è Dotto ( fa ī ), mentre tutti questi
tre attributi si applicano all’uomo […] Chi vuole realizzare la distinzione tra la conoscenza
e la scienza, legga ciò che abbiamo menzionato nella nostra opera “I luoghi ove tramontano
le stelle (ma ā īʿ an-n m)””.
In effetti nella sezione di quest’opera dedicata alla scienza ed alla conoscenza (33) Ibn ʿArabī
spiega più estesamente le affermazioni riportate nel cap. 441, ma aggiunge anche altre due
considerazioni. La prima riguarda il motivo per cui alcuni di coloro che hanno realizzato la
stazione della scienza preferiscono chiamarla stazione della conoscenza: “In essi, Allah sia
soddisfatto di loro, prevale la gelosia per la via di Allah, poiché essi vedono che nel mondo
viene chiamato sapiente anche chi ha solo una delle scienze, pur essendo dedito ai desideri
e lasciandosi coinvolgere in cose dubbie, anzi proibite, e preferendo il poco al tanto: “Dì: i
beni mondani sono poco” (Cor. IV-77). Costui ha scienza di questo [poco] e prospera nella
sua vita mondana, mandando in rovina il suo aldilà […] Essi, Allah sia soddisfatto di loro,
considerano che la stazione elevata che loro ed i loro signori hanno ottenuto è più degna del
nome della scienza ed il suo possessore [è più degno] del nome di sapiente, come lo ha denominato il Vero. Essi sono presi dalla gelosia per il fatto che uomini vani (b āl) condividano
con loro lo stesso nome, senza che la stazione sia distinta, né sono in grado di togliere questo
nome agli uomini vani per via della sua diffusione tra la gente, e questo non dà loro prestigio. Questa faccenda li porta a denominare la stazione come conoscenza ed il suo possessore
come conoscitore”.
33 Questa sezione si trova nelle pagine 91-102 dell’edizione citata.
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Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
Ciò indica che nella lingua araba il termine ʿilm ha un senso più ampio del termine maʿrifa
(34) e pertanto è corretto tradurli rispettivamente con scienza e conoscenza, piuttosto che con
conoscenza e gnosi, lasciando privo di equivalente arabo il termine scienza (35).
La seconda considerazione è di ordine apparentemente linguistico: in arabo il verbo ʿarafa
può reggere un solo complemento oggetto mentre il verbo ʿalima ne può reggere due contemporaneamente. Il senso profondo di questa particolarità linguistica venne svelato a Ibn
ʿArabī nell’anno 586 dall’Egira mentre si trovava nel cimitero di Siviglia: “La scienza è ciò
che si percepisce dalla combinazione (tar īb) e la conoscenza è ciò che si percepisce nei singoli
termini (m fradāt)”, come lui stesso precisa nel cap. 516 [IV 156.21]. Egli precisa inoltre che
nel Corano lo stesso verbo ʿalima quando si riferisce ad un solo oggetto non significa sapere,
bensì conoscere: “Osserva ciò nel Suo detto, sia Egli esaltato: “[…] che voi non conoscete
(taʿlam na), ma che Allah conosce” (Cor. VIII-60), dato che qui la scienza fa le veci della
conoscenza ed è stata posta come suo sostituto, reggendo un solo complemento oggetto, e
quindi le è toccata la privazione per la sostituzione (ni āba)”.
Ulteriori chiarimenti sulla distinzione tra conoscenza e scienza in base al loro oggetto si
trovano nel cap. 71 [I 636.17] ove Ibn ʿArabī afferma: “Quando diciamo: “Avevo scienza
(ʿalimt ) che Zayd era in piedi”, il nostro oggetto (ma l b) non è Zayd in se stesso né la stazione
eretta in se stessa, bensì la relazione della stazione eretta con Zayd, e ciò è un oggetto unico,
trattandosi di una relazione unica ben determinata. Noi abbiamo scienza di Zayd da solo per
mezzo della conoscenza, e della stazione eretta da sola per mezzo della conoscenza, e quindi
diciamo: “Ho [ri]conosciuto (ʿaraft ) Zayd ed ho [ri]conosciuto la stazione eretta”. Questo
grado manca ai grammatici ed essi si immaginano che la connessione (taʿall ) della scienza
della relazione della stazione eretta con Zayd sia uguale alla sua connessione con Zayd e con
la stazione eretta, il che è sbagliato. Se Zayd non fosse noto (maʿl m) e la stazione eretta non
fosse anch’essa nota prima di quello, non sarebbe ammissibile mettere in relazione ciò di cui
non si ha scienza con ciò di cui non si ha scienza, perché non si saprebbe se quella relazione è
valida o no. Questo tipo di scienza viene chiamata dai dottori della Bilancia delle idee (as āb
mīzān al-maʿānī), [i logici] “concezione (ta a
r)” ed essa è la conoscenza dei singoli termini
[o: oggetti], mentre il “giudizio (ta dī )” è la conoscenza di oggetti composti, cioè la relazione
di un singolo con un singolo per mezzo della informazione che l’uno fornisce riguardo all’altro (36). Secondo i grammatici si tratta dell’incoativo (m btada ) [soggetto nominale] e dell’e34 Al contrario delle lingue occidentali moderne in cui il termine conoscenza ha un senso più ampio e generale
del termine scienza, che si riferisce soprattutto ad una conoscenza acquisita con un particolare metodo, definito
“scientifico”.
35 Una simile scelta è stata adottata da William Chittick nel suo libro
1989, pag. 148.
e
at of Kno led e, SUNY Press,
36 Nella trascrizione delle lezioni di psicologia impartite da René Guénon è riportato: «On peut dire d’une
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nunciativo ( abar), mentre per gli altri [i logici] è il soggetto (ma ʿ ) e l’attributo (ma m l)”.
Quindi la conoscenza coglie solo l’unità mentre la scienza, potendo essere connessa a più di
un oggetto, coglie anche la relazione tra singole unità.
Nel cap. 177 [II 316.5] Ibn ʿArabī afferma: “Abbiamo già menzionato l’insieme dei capitoli
e delle suddivisioni della conoscenza [cioè le sette scienze citate in precedenza] per i quali
l’uomo, quando li acquisisce, viene denominato specificamente conoscitore, e se a questo egli
aggiunge la scienza di Allah, di ciò che è necessario, ammissibile ed impossibile per Lui [cioè
le relazioni], e distingue tra la sua scienza della Sua Essenza e la sua scienza del Suo essere
Dio, allora si tratta della stazione di coloro che hanno scienza di Allah, non dei conoscitori,
poiché la conoscenza è una meta di viaggio (ma a a) ed una via, mentre la scienza è un argomento (
a) [probante]”. Una simile affermazione si trova anche nel cap. 73, questione
L [II 74.13]: “Chi conosce le relazioni (nisab) conosce Allah e chi ignora le relazioni ignora
Allah”, come pure nel cap. 441 [IV 55.2], ove Ibn ʿArabī precisa: “Sappi che i conoscitori
sono coloro che affermano l’Unità (m a id n), mentre i sapienti (ʿ lamā ), pur affermando
l’Unità in quanto conoscitori, hanno anche la scienza delle relazioni e quindi hanno la scienza dell’Unità della molteplicità e dell’Unità della distinzione, e solo loro la posseggono”.
Per quanto riguarda infine il modo in cui ha luogo la scienza o la conoscenza Ibn ʿArabī distingue il suo ottenimento mediante i sensi e la ragione, cioè le facoltà di cui l’uomo dispone,
dal suo ottenimento mediante vie che non sono di natura umana, quali le notificazioni divine
trasmesse nei Libri sacri o tramite le parole degli Inviati, e lo svelamento, l’ispirazione, la
teofania ed altre modalità dello stesso genere.
Nel cap. 177 [II 298.1] afferma: “Sappi che la scienza è senza errori solo per chi conosce le
cose con la sua essenza ( āt), mentre chiunque conosce una cosa per mezzo di qualcosa di
aggiuntivo alla sua essenza non fa che seguire ciecamente questo qualcosa in ciò che esso gli
apporta. In tutta l’esistenza c’è Uno solo che conosce le cose con la sua Essenza e per tutto ciò
che è diverso da quell’Uno la scienza delle cose e di altro che esse non può che essere adesione
cieca (ta līd). Se è dunque fermamente stabilito che per chi è diverso da Allah la scienza di
una cosa non risulta valida che per una adesione cieca, seguiamo allora ciecamente Allah,
soprattutto per quanto concerne la scienza al Suo riguardo. Abbiamo detto che per chi è
diverso da Allah la scienza di una cosa non ha luogo se non per una adesione cieca: l’uomo
infatti non conosce nessuna cosa se non con una delle facoltà che gli ha dato Allah, e cioè
i sensi e la ragione. È inevitabile che l’uomo segua ciecamente i suoi sensi in ciò che essi
gli apportano, ma può darsi che ciò che essi apportano sia sbagliato, come può darsi che
façon générale que le jugement est l’affirmation d’un rapport entre deux idées; dans la proposition, qui est
l’expression verbale du jugement, les deux idées dont il s’agit sont exprimées par deux termes qui jouent respectivement les rôles de sujet et d’attribut, et la copule, c’est-à-dire l’élément qui joint le sujet et l’attribut et qui est
généralement le verbe, n’est pas autre chose que l’expression du rapport lui-même».
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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corrisponda alla realtà cosi come essa è in se stessa, o che [l’uomo] segua ciecamente la sua
ragione per ciò che essa gli apporta con l’evidenza o con la riflessione, ma la ragione segue
il pensiero e di quest’ultimo ce n’è di giusto e di sbagliato: quindi la sua scienza delle cose è
mediante adeguazione (ittifā ), e non è altro che adesione cieca. Se le cose stanno così, per
chi è dotato di ragione e vuole conoscere Allah è necessario che egli Lo segua in ciò che
ha comunicato da Se stesso nei Suoi Libri e mediante le parole dei Suoi Inviati; e se vuole
conoscere le cose, e certo non le conosce per ciò che gli apportano le sue facoltà, che dunque
si sforzi, compiendo in gran quantità ciò che gli è stato ordinato (a - aʿāt), finché Allah non
sarà il suo udito, la sua vista e tutte le sue facoltà ed egli allora conoscerà tutte le realtà per
mezzo di Allah [o in Allah] e conoscerà Allah per mezzo di Allah, poiché è assolutamente
necessaria l’adesione cieca. […] Se questo è stabilito impegnati dunque ad obbedire a
quanto Allah ti ha comandato, riguardo alle opere da compiere per sottomissione a Lui,
alla sorveglianza (m rā aba) del tuo cuore nei confronti di ciò che gli sovviene, alla vergogna
( a ā ) nei confronti di Allah, al fatto di non oltrepassare i limiti da Lui stabiliti, all’isolarti
per Lui ed a prediligere la Sua Signoria, finché Allah non sarà l’insieme delle tue facoltà”.
E nel cap. 378 [III 489.11] aggiunge: “Egli non ha connaturato la ragione negli uomini e
nei inn per l’acquisizione di una scienza, bensì l’ha posta in essi come freno del desiderio in
questo mondo, non nell’altro […] Quando un uomo o un inn acquisisce una scienza senza
uno svelamento, ciò riguarda la facoltà di pensare che Egli ha posto in lui: tutto ciò che il
pensiero ( r) fornisce all’anima logica e che è effettivamente una scienza viene dal pensiero
[solo] per adesione (m āfa a), poiché le scienze che si trovano nell’uomo sono solo per natura
primordiale ( ra), evidenza ed ispirazione. Lo svelamento che egli ha gli svela solo la scienza
innata che Allah ha connaturato in lui (37), ed egli vede così l’oggetto della sua scienza:
quanto al pensiero è impossibile arrivare con esso alla scienza. Se mi venisse chiesto: “Come
sai questo, poiché non si tratta di ciò che è percepito dai sensi, e non resta quindi che la
riflessione?”, risponderei: “Non è come tu dici, poiché restano l’ispirazione e l’insegnamento
divino e l’anima logica li riceve per svelamento e gusto spirituale dal suo Signore dal volto
specifico che le appartiene, come ad ogni essere al di fuori di Allah. Il pensiero corretto non
aggiunge nulla alla possibilità e non conferisce se non questo [l’adesione]””.
Che si tratti di scienza o di conoscenza è Allah che la conferisce tramite svelamento e per
mettersi nelle condizioni di riceverla non è al pensiero che bisogna far ricorso, ma ai riti.
37 Per Ibn ʿArabī la scienza di ogni cosa è insita nella natura originaria dell’uomo, ma gli è stata velata. Nel
cap. 297 [II 686.5] egli afferma: “Allah ha posto nell’uomo la scienza di ogni cosa poi gli ha reso inaccessibile
la percezione di ciò che è stato deposto in lui, e questo non vale solo per l’uomo ma per tutto il Mondo” e nel
cap. 357 [III 257.16] aggiunge: “Quanto alla conoscenza delle cose per come esse sono in se stesse, sappi che
non avrai scienza di ciò se non quando Allah ti farà conoscere la tua anima [o: te stesso] da te stesso e ti farà testimoniare ciò nella tua essenza: allora otterrai ciò che cerchi, gustandolo mentre lo apprendi per svelamento”.
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In altri punti Ibn ʿArabī afferma che la ragione da sola è in grado di riconoscere alcune verità di ordine divino, ad esclusione però della Sua Essenza; nel cap. 363 [III 310.13] afferma:
“Sappi che per la scienza di Allah vi sono due vie: una via in cui la ragione è in grado da
sola di percepirLo prima dell’affermazione della Legge, ed essa è connessa con la Sua Unità
nella Sua Divinità, con il fatto che Egli non ha soci e con ciò che è necessario che sia il Dio
la Cui esistenza è necessaria, senza affrontare la scienza della Sua Essenza, sia Egli esaltato.
Chi affronta con la sua ragione la conoscenza dell’Essenza di Allah affronta una realtà che
non è in grado di capire e si espone ad un rischio immenso […] L’altra via è la via propria
della Legge, dopo che è stata stabilita”.
A questo proposito va sottolineato che il nome Allah ed il termine “Vero” ( a ) possono indicare sia l’Essenza divina in Se stessa, cioè il Principio Supremo, sia l’Essenza considerata in
relazione alle cose create, che Ibn ʿArabī chiama Divinità ( l a o l i a). La distinzione tra
l’Essenza e la Divinità, menzionata nel brano sopra riportato, sussiste solo dal “nostro” punto
di vista; per Ibn ʿArabī la Divinità non è un’entità (ʿa n) distinta dall’Essenza, ma solo una
relazione che è resa necessaria dall’esistenza di “ciò nei confronti di cui Dio è Dio” (ma l ),
cioè il servitore o la creatura, mentre l’Essenza in Se stessa “è indipendente dai Mondi” (Cor.
III-97). Nel cap.369 [III 363.31] afferma: “Poiché il Mondo non persiste se non per Allah e
l’attributo (naʿt) divino non persiste se non per il Mondo, ognuno dei due è nutrimento dell’altro e si nutre dell’altro perché la sua esistenza persista [...] L’uomo per esempio esiste come
entità in quanto uomo, ma non è caratterizzato dalla paternità finché non ha un figlio che
gli attribuisce questa caratteristica [...] Quindi Allah, per quanto attiene alla Sua Essenza ed
alla Sua Esistenza, è indipendente dai Mondi, ma per il fatto di essere Signore (rabb) esige necessariamente un vassallo (marb b). In quanto Entità Egli non ha esigenze, mentre in quanto
Signore Egli esige il vassallo realmente esistente o supposto tale”, e nel cap.389 [III 544.25]
aggiunge: “Venne chiesto a Sahl ibn ʿAbd Allāh [at-Tustarī]: “Che cos’è il nutrimento?”, ed
egli rispose: “Allah”. Sappi che l’espressione “ill” sta ad indicare Allah e quindi il Suo detto:
“Il Mio ill è la tua esistenza ( a n)” significa “La Mia Divinità non si è manifestata se non
per mezzo di te”, in quanto “ciò nei cui confronti Dio è Dio” (ma l ) è ciò che stabilisce in se
stesso l’esistenza di Dio, e per questo ha detto: “Chi conosce se stesso conosce il suo Signore”.
A quest’ultima frase profetica si contrappone l’affermazione di al-Ğunayd: “Non conosce
Allah se non Allah”, che Ibn ʿArabī riprende una decina di volte nelle t āt (38), ma a cui
aggiunge nel cap. 360 [II 282.33]: “e non conosce Allah se non l’Uomo Perfetto [o: Universale]”.
38 In un’occasione, nel cap. 50 [I 270.27], afferma: “Non ha scienza di Allah se non Allah”. D’altra parte nel
cap. 71 [I 636.10] precisa: “La conoscenza è un nome nobile con cui Allah ha denominato la scienza” e poco
oltre aggiunge: “La conoscenza è uno dei nomi della scienza”.
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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Quanto precede copre solo una piccola parte di quanto Ibn ʿArabī ha scritto sull’argomento,
ma è tuttavia utile per comprendere il contenuto del Libro della conoscenza.
Innanzitutto si può rilevare che in questo testo il termine scienza ricorre più del doppio delle
volte del termine conoscenza, ed Ibn ʿArabī non accenna alla distinzione che in altre opere
stabilisce tra esse, limitandosi alla loro identica definizione e realtà essenziale. Egli contrappone invece la scienza e la conoscenza ottenute tramite svelamento a ciò che la ragione, pur
basandosi sulle notificazioni divine, è in grado di cogliere mediante il pensiero e la riflessione. La sezione che fa da introduzione o cappello a tutte le questioni recita infatti: “La ragione ha un limite ( add) a cui si arresta in quanto pensante, non in quanto ricettiva. Perché
dunque non si arresta al suo limite?”. Ciò che la ragione non è in grado di cogliere con i suoi
strumenti lo può però ricevere, ed in questo caso è necessario che vi sia quell’adesione cieca
(ta līd) a cui faceva riferimento Ibn ʿArabī in uno dei brani precedentemente riportati, come
anche nella questione IV del ibro della conoscenza ove afferma: “basterebbe alla ragione fare
affidamento a ciò che apportano queste due categorie [gli Intimi ed i Profeti], se essa è equa”
e “l’affidarsi è meglio per chi non ha gustato le fonti dello svelamento”. Lo stesso Ibn ʿArabī si
atteneva a ciò: come riporta nel cap. 396 [III 559.9] egli aveva conoscenza della frase di Abū
Bakr: “Non ho visto nessuna cosa senza vedere Allah prima di essa”, ma non aveva capito
cosa egli volesse dire con ciò, né vi aveva riflettuto, e fu solo per la sollecitudine di Allah verso
di lui che la sua scienza gli arrivò d’improvviso”.
Nella questione V precisa: “le nostre scienze non sono state scoperte dalle parole né dalle
bocche degli uomini, né dall’interno dei quaderni e delle pagine, bensì le nostre scienze
derivano da teofanie”, e nella questione VII aggiunge: “ogni volta che incontri qualcosa di
analogo nei nostri libri o nei libri dei nostri compagni, ciò fa parte di quanto abbiamo menzionato [cioè le teofanie] e non di qualcosa di inferiore”. Quanto egli riporta nei suoi testi è
quindi frutto di svelamento e non di pensiero (39), ma per il lettore che scopre queste scienze
“dall’interno dei quaderni e delle pagine” non si tratta di svelamento bensì di ciò che ha apportato un Intimo, e l’attitudine raccomandata e attuata da Ibn ʿArabī è quella di accettare,
anche se non si comprende (40).
39 Nel cap. 373 [III 456.20] Ibn ʿArabī afferma: “Per Allah, in questo libro non ho scritto una lettera se non
per una dettatura divina, un getto dominicale o un’insufflazione spirituale in un cuore (r ʿ) esistente. Questa è in
somma la faccenda, anche se non siamo Inviati legiferanti, né Profeti che impongono un’osservanza”.
40 Solo in alcune questioni Ibn ʿArabī invita il lettore a cercare di comprendere [XVI, XXXVIII e LII], ad
osservare [VIII, XLV e XLVIII] o a meditare [LIII]. Nel cap. 144, dedicato alla stazione del pensiero ( r), egli
precisa [II 230.12]: “La stazione del pensiero non va al di là della considerazione di Dio in quanto è Dio e di
ciò che si addice che esiga chi ha la qualità della Divinità: la magnificazione, la venerazione e la dipendenza essenziale nei Suoi confronti. Tutto ciò era la norma già prima dell’esistenza delle leggi tradizionali. Poi è venuta
la Legge apportando ciò, insegnando ed ordinando. Ed ha ordinato di riflettere, anche se la natura originale
dell’uomo comporta ciò, affinché fosse un atto di adorazione per il quale venisse ricompensato chi lo facesse. In
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L’origine non mentale del testo spiega anche il fatto che il susseguirsi degli argomenti sfugga
talora ad una logica razionale, e ciò è ancor più evidente in un testo come il Libro della conoscenza già strutturalmente suddiviso in questioni separate: in effetti solo le questioni I-VII,
VIII-IX, X-XIV, XVIII-XIX, XXXIII-XXXIV e XXXV-XXXVI si susseguono con un
apparente filo conduttore.
In quest’opera Ibn ʿArabī non tratta delle sette scienze che sono il perno della stazione della
conoscenza, né aspetti che riguardano il metodo o la via iniziatica, ma solo questioni di ordine dottrinale, con formulazioni che il più delle volte sono molto sintetiche ad eccezione della
distinzione tra l’Essenza e la Divinità, a cui dedica una decina di questioni [I-IV, VI-VII, X,
XIV, XVI-XVII e LII] e dei diversi aspetti della scienza contingente, cioè quella umana, a
cui dedica sette questioni [XVIII-XIX, XXIX, XLII-XLVII, L e LIV].
Molte questioni affrontano argomenti che sono trattati dai teologi, come gli Attributi [XXII-XXIV] ed i Nomi divini [XXXV-XXXVI], l’incomparabilità e la comparabilità [IV e
XVII], il potere contingente [XX], l’accidente e la sostanza [XXV e XXVII], la scelta e
la costrizione [XLII], e l’Unicità divina [XXI], ma mentre per i teologi è il ragionamento
ad essere il fondamento delle loro formulazioni dottrinali per Ibn ʿArabī è lo svelamento,
ed anche quando concorda con una formulazione dei teologi egli precisa che la sua fonte è
differente [XXI e L]. Il più delle volte la sua risposta è diversa da quella fornita dai teologi, e
se nell’espressione essa può sembrare una confutazione simile a quelle che si trovano nei testi
teologici in realtà è la notificazione di una scienza che non ammette discussioni.
Vi sono poi questioni che trattano argomenti di carattere strettamente iniziatico, come quella riguardante i Solitari (afrād) [XLI], o metafisico, come quelle in cui si parla del volto
specifico (al- a al- ā ) che Allah ha in ogni essere [XII-XIV], volto di cui nessuno aveva
parlato prima di lui, ad eccezione di Abū Bakr, come precisa nel cap. 396 [III 559.8]. Non è
pertanto corretto considerare il Libro della conoscenza come un trattato di “teologia Sūf ī” (41),
effetti, quando la riflessione (tafa r) è un atto prescritto al servitore dalla Legge, essa gli dà dei risultati che non
dà quando il servitore vi si dedica non in quanto essa è prescritta dalla Legge. […] Il pensiero è uno stato che
non garantisce l’infallibilità: per questo è una stazione pericolosa. Colui che la possiede non sa se ha sbagliato
o se è nel giusto, in quanto la riflessione ammette sia la giustezza che l’errore. Se il suo possessore vuole essere
prevalentemente nel giusto riguardo alla scienza di Allah, allora deve approfondire tutti i versetti rivelati nel
Corano che menzionano la riflessione e la considerazione e non oltrepassare mai ciò […] Ma se tralasci i versetti della riflessione per i versetti della ragione, o i versetti dell’ascolto, o i versetti della scienza o i versetti della
fede, ed applichi in essi la riflessione, non sarai mai nel giusto […] La Gente di Allah, poiché conosce il rango
del pensiero e sa che esso costituisce il limite massimo degli exoteristi e della gente della considerazione tra i pii,
lo abbandona alla sua gente ed evita con orrore che esso sia un loro stato”.
41 Tale espressione è stato usata da Gerald Elmore nella sua recensione della prima edizione araba del Libro
della conoscenza [in realtà si trattava del ibro delle estioni], pubblicata nel N. XX del Journal of the Muhyiddīn
Ibn ʿArabī Society, 1996, pag. 86-88.
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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sia perché i temi che rientrano nel dominio teologico non sono trattati secondo il punto di vista proprio di questa disciplina, sia perché il testo include argomenti che sfuggono totalmente
a questo punto di vista.
Uno dei concetti più ricorrenti in tutta l’opera è quello di relazione (nisba), talora espressa
come correlazione (m nāsaba), attribuzione (i āfa), connessione (taʿall ) o legame (irtibā ), e
l’importanza di questo concetto è riassunta nell’affermazione già citata: “Chi conosce le relazioni conosce Allah e chi ignora le relazioni ignora Allah”. Nella questione LII Ibn ʿArabī
espone un elenco delle principali connessioni dell’Essenza con le realtà essenziali ( a ā i ) che
è unico nella sua opera (42) e conclude la sua esposizione affermando: “In tutto ciò l’Entità
(ʿa n) è unica e sono molteplici solo le connessioni con le realtà essenziali delle cose connesse,
ed i Nomi, per [la molteplicità] delle cose nominate. Cerca di comprendere”. In un’altra questione [XXIX] avverte però il lettore che una cosa è sapere che c’è una connessione, altro
è sapere come tale connessione si attua: “Per noi non è possibile la conoscenza di uno degli
stati che comporta una certa essenza se non dopo la conoscenza di quell’essenza, in modo da
conoscere come si correla con essa quel regime. L’Essenza del Vero, sia Egli esaltato, non ci
è nota e quindi dei regimi che sono correlati ad Essa non è assolutamente noto l’aspetto della
relazione con Essa”, ed a questo proposito nel cap. 394 [III 557.2] aggiunge: “Questa è una
scienza che conosce solo Allah, sia Egli esaltato, e non è possibile che la conosca altri che
Lui, e non ammette l’insegnamento, cioè che Allah la faccia conoscere a chi vuole dei Suoi
servitori. Essa è simile alla scienza dell’Essenza del Vero, e la scienza dell’Essenza del Vero è
impossibile da ottenere per altri che Allah”.
Nella prima parte del libro è spesso menzionato l’Intelletto primo (al-ʿa l al-a al), di cui
l’anima logica (an-nafs an-nā i a) o la ragione (ʿa l) in quanto intelligenza (43) è la manifestazione nel dominio individuale ed umano (44), ed esso non può che ricevere incessantemente le
scienze che Allah gli elargisce per poi effonderle ai gradi inferiori della manifestazione, come
viene affermato nella questione XI. È questo il modello a cui si attengono i sapienti di Allah:
ricevere e poi comunicare ciò che è esprimibile: si tratta di un atto di misericordia che per
Ibn ʿArabī è inseparabile dalla scienza e senza il quale uno non può dirsi sapiente, conformemente alla frase di Sahl ibn ʻAbdallāh at-Tustarī: “Il servitore non è conoscitore di Allah
se non è sapiente di Lui, e non è sapiente di Lui se non è una misericordia per le creature”
42 Tale elenco è stato poi ripreso testualmente nel Credo dell’élite della gente di Allah. Le singole connessioni
si trovano descritte in modo sparso nella sua opera, ma solo qui sono riunite.
43 Nel cap. 71 [I 641.8] è affermato che l’anima logica è la ragione.
44 Nel cap. 73, questione XXXIX [II 67.7] Ibn ʿArabī afferma: “Poiché le ragioni sono incapaci di percepire
l’Intelletto Primo da cui sono state manifestate, la loro incapacità di percepire il Creatore dell’Intelletto Primo
è ancora maggiore”.
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(45). La sua immensa opera non è in questo senso che un atto di misericordia verso coloro che
ancora non sanno, affinché si rendano conto della loro ignoranza e cerchino, se ne hanno
le qualifiche, di accrescere la loro scienza. Più di una volta egli afferma che l’unica cosa di
cui è ingiunto nel Corano di chiedere ad Allah che l’accresca è la scienza [Cor. XX-114] (46).
MANOSCRITTI DELL’OPERA
La presente edizione è stata stabilita sulla base dei seguenti sei manoscritti (47), selezionati in
base alla data di redazione e/o alla affidabilità dei testi:
1) Carullah 986: il manoscritto, conservato presso la Biblioteca Sulaymāniyya di Istanbul,
fa parte di una raccolta di 35 opere che, salvo la prima che è di Būnī, sono tutte di Ibn ʿArabī. I testi sono stati trascritti da un solo copista, di cui però non è riportato il nome, come
pure non è riportata la data di compilazione. Secondo Osman Yahya la raccolta venne
redatta quando Ibn ʿArabī era ancora vivente e l’uso della formula “Allah sia soddisfatto
di lui” dopo la menzione del suo nome potrebbe confermare questa ipotesi: certamente
è un testo molto antico. La scrittura è di stile magrebino, molto piccolo e fitto, tanto che
ogni pagina comporta 43 righe. Il manoscritto, dal titolo Kitāb al-maʿrifa al- lā inizia dalla
riga 14 del fronte del foglio 100 e finisce alla riga 33 del retro del foglio 102; le questioni,
non numerate, sono evidenziate in grassetto nero.
2) Carullah 2080: il manoscritto, anch’esso conservato presso la Biblioteca Sulaymāniyya
di Istanbul, fa parte di una raccolta di 34 opere, molte delle quali di Ibn ʿArabī, tutte
trascritte da un solo copista, che in due occasioni si identifica come ʿAbd al-Raḥīm b.
ʿAlī, intorno agli anni 791 e 793 dall’Egira, date riportate in due dei testi della raccolta. Il
manoscritto, che riporta il titolo Kitāb al-maʿrifa al- lā nell’e licit inizia dal verso del foglio
22 e termina alla fine del fronte del foglio 30, con 24 righe per pagina ed è scritto con
inchiostro nero in uno stile nas ī corsivo, non vocalizzato e spesso anche privo dei punti
diacritici, con rare annotazioni ai margini; le questioni, non numerate, sono evidenziate
in rosso.
3) Fatih 5322: il manoscritto, sempre della Biblioteca Sulaymāniyya, fa parte di una raccolta di 29 opere, prevalentemente di Ibn ʿArabī, trascritte nella prima metà del X secolo
45 Detto riportato nel Kitāb ma ā iʿ an-n
m a pag. 94 dell’edizione citata.
46 Ad esempio nel cap. 70 [I 643.5] e nel cap. 280 [II 612.9].
47 Le copie digitali di molti di questi manoscritti mi sono stati gentilmente forniti da Jane Clark, bibliotecaria
della Muhyiddin Ibn ʿArabi Society di Oxford, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti per il suo costante
supporto.
Il libro della conoscenza (Kitāb al-maʻrifa) di Ibn ʿArabī…
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dall’Egira, da più di un copista, nessuno dei quali si è identificato. Il testo inizia sul fronte
del foglio 84 e termina sul fronte del foglio 90, con 33 righe per pagina, scritto con inchiostro nero in uno stile nas ī molto chiaro, non vocalizzato e con evidenziazione delle
questioni in rosso. Il titolo, Kitāb al-masā il a- a itāb al-maʿrifa è riportato alla fine
dell’opera precedente.
4) Millet Feyzullah Efendi 2119: il manoscritto, conservato presso la Biblioteca Millet di
Istanbul, fa parte di una raccolta di 41 opere, quasi tutte di Ibn ʿArabī, trascritte intorno
all’anno 1088 dall’Egira dallo stesso copista, che in più occasioni si identifica come Ṣāliḥ
b. ʿAbd as-Salām al-Umlayṭi [o al-Amlīṭī] al-Buḥayrī. Il testo, intitolato Kitāb al-maʿrifa
inizia sul fronte del foglio 186 e termina sul retro del foglio 197, con 25 righe per pagina,
scritto con inchiostro nero in uno stile nas ī molto chiaro, parzialmente vocalizzato e con
evidenziazione delle questioni in rosso. In una decina di occasioni mancano dei brani.
5) Shehit Ali 1341: il manoscritto, conservato presso la Biblioteca Sulaymāniyya, fa parte
di una raccolta di 23 opere di Ibn ʿArabī trascritte a Damasco negli anni 724 e 725 dall’Egira dallo stesso copista, che più volte si identifica come Abū r-Riḍā al-Ḫurāsānī. Il testo
si limita solo ad alcuni estratti, cioè, nell’ordine in cui sono trascritte, le questioni X-XI,
XVII, XX, XXII-XXIII, XXIX, XXXI, tra il retro del foglio 122 ed il fronte del foglio
124, la sezione iniziale e la questione I sul fronte del foglio 125, le questioni XXXIX,
XL e XLII sul retro del foglio 136, e le questioni LII, LIII, LIV e XLVIII, sul retro del
foglio 137 e sul fronte del foglio 138. Il manoscritto ha 27 righe per pagina ed è scritto
con inchiostro nero in uno stile nas ī molto chiaro, parzialmente vocalizzato, con rare
annotazioni ai margini; le questioni sono evidenziate con un allungamento del tratto. Il
titolo dell’opera da cui sono estratte le questioni è Kitāb al-maʿrifa ed è riportato più volte.
6) Uppsala 162: il manoscritto, conservato presso la Biblioteca dell’Università di Uppsala in Svezia, fa parte di una raccolta di 19 opere di Ibn ʿArabī, tutte trascritte intorno
all’anno 920 dall’Egira dallo stesso copista, che in due occasioni si identifica come Yaḥyā
b. Mu’min al-Qādirī al-Qūnawī. Il testo, intitolato Kitāb al-maʿrifa al- lā inizia sul fronte
del foglio 64 e termina sul retro del foglio 74, con 27 righe per pagina, scritto in uno stile
nas ī abbastanza chiaro, non vocalizzato e con evidenziazione delle questioni in grassetto.
In base alla concordanza nelle varianti del testo e del titolo si possono distinguere due gruppi
simili, anche se si trovano varianti che sono comuni ad alcuni manoscritti dei due gruppi:
il primo è costituito dai manoscritti Carullah 986, Carullah 2080 e Uppsala 162, mentre il
secondo include i manoscritti Fatih 5322, Millet Feyzullah Efendi 2119 e Shehit Ali 1341. La
mancanza del testo originale o di una copia autenticata vanifica però la possibilità di ricostruire la storia di questo testo.
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Nell’edizione, quando si presentavano delle varianti tra i vari manoscritti, ho operato una
scelta più in base al significato che in base ad un manoscritto di riferimento, anche se la copia
Fatih 5322 appare quello più affidabile.
Ho inoltre esaminato i seguenti sei manoscritti, senza però utilizzarli per l’edizione:
7) Aṣafiyya 080: il manoscritto fa parte di una raccolta di 29 opere di Ibn ʿArabī trascritte
nell’anno 1331 dall’Egira, raccolta che è una copia di lavoro del manoscritto Aṣafiyya 376,
redatto nell’anno 996 dall’Egira ed edito come asa il Ibn al-ʿArabī ad Hyderabad nel 1948.
Di quest’ultimo manoscritto sono riuscito solo ad ottenere la pagina iniziale del Libro della
conoscenza che ha come titolo Kitāb al-masā il ma confrontando il testo del precedente con
l’edizione ho potuto verificare la correttezza di quest’ultima.
8) Berlin Or. oct. 2459: il manoscritto fa parte di una raccolta di tre opere di Ibn ʿArabī, priva di data di redazione. Esso corrisponde al testo edito al Cairo con il titolo Kitāb at-tanazz lāt
al-la li a fī l-a ām al-ilā i a e quindi è simile, se non identico, al manoscritto 961 della biblioteca di al-Azhar, su cui è stata basata l’edizione. Il titolo riportato è lo stesso dell’edizione.
9) Ibn ʻArabi Foundation, Pakistan, non numerato: il manoscritto redatto nell’anno 1324
dall’Egira, è quasi completamente vocalizzato e riporta come titolo Kitāb al-masā il.
10) Laleli 1341: fa parte di una raccolta di tre opere di Ibn ʿArabī trascritte nell’anno 1078
dall’Egira, ma è privo di un foglio contenente la parte centrale della questione XVI, al posto
del quale sono stati inseriti quattro fogli [42-45] di un testo non identificato. Il titolo riportato
è Kitāb al-maʿrifa
11) Tunis National 12564: il manoscritto fa parte di una raccolta di 25 opere di Ibn ʿArabī
redatta nell’anno 1237 dall’Egira; il testo è scritto in stile magrebino con le questioni evidenziate talora in blu, talora in rosso. Il titolo riportato nell’indice è isāla fī l-masā il al- l i a
12) Veliyuddin 1821: il manoscritto fa parte di una raccolta di 43 opere, di cui una dozzina di
Ibn ʿArabī, trascritte verso la fine del X secolo dell’Egira. Il titolo riportato è Kitāb al-maʿrifa
ALTRE EDIZIONI E TRADUZIONI
A differenza di altre opere di Ibn ʿArabī il Libro della conoscenza è stato oggetto di edizione
per la prima volta solo nel 1948, nelle già citate asa il Ibn al-ʿArabī pubblicate ad Hyderabad, Dā’irat al-maʿārif al-ʿuṯmāniyya, sulla base di un solo manoscritto, Aṣafiyya 376, in cui
peraltro alcuni punti erano illeggibili. Questa edizione ha avuto almeno due ristampe, la
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prima pubblicata da Dār iḥyā’ at-turāṯ al-ʿarabī a Beirut, senza data, e la seconda pubblicata
da Dār Sāder, sempre a Beirut, nel 1997, a cura di Muḥammad Šihāb ad-dīn al-ʿArabī, che
ha aggiunto la vocalizzazione al testo. Il titolo utilizzato in queste edizioni è Kitāb al-masā il
La seconda edizione, annotata, è stata pubblicata al Cairo nel 1987, Maktabat ʿālam alfikr, a cura di ʿAbd ar-Raḥmān Ḥasan Maḥmūd, con il titolo Kitāb at-tanazz lāt al-la li a
fī l-a ām al-ilā i a sulla base di un solo manoscritto conservato presso la Biblioteca di alAzhar con numero di catalogo specifico 961 e generale 33595. La stessa edizione è stata poi
ripubblicata a Beirut nel 2000, nel secondo volume della raccolta a m ʿat rasā il Ibn ʿArabī,
edita da Dār al-maḥağğa al-bayḍā’, senza menzione del curatore originale e sostituendo la
sua introduzione con una redatta dall’editore, senza nome.
Infine Saʿīd ʿAbd al-Fattāḥ ha pubblicato nel 1993, Dār al-Mutanabbī, Parigi-Beirut, un
testo da lui attribuito ad Ibn ʿArabī avente per titolo Kitāb al-maʿrifa ma si tratta dell’opera
apocrifa di cui abbiamo parlato all’inizio dell’introduzione e che dovrebbe essere più correttamente intitolata Kitāb al-masā il
Quanto alle traduzioni del ibro della conoscenza a mia conoscenza non è stata finora pubblicata alcuna traduzione integrale in lingua occidentale, ed al di là della menzione del suo
titolo tra le opere dell’autore, non ho trovato neppure degli estratti nei numerosi studi su Ibn
ʿArabī che ho potuto consultare, fatta eccezione dell’opera di Mohammed Chaouki Zine, Ibn
ʿArab nos olo ie et manifestation de l tre, Editions El-Ikhtilef, Algeri, 2010, in cui sono riportati
alcuni brani del testo.
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ESEMPI DI PAGINE DEI MANOSCRITTI UTILIZZATI
Prima pagina del manoscritto Carullah 386, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
Esempi di pagine dei manoscritti utilizzati
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Ultima pagina del manoscritto Carullah 386, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
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Prima pagina del manoscritto Carullah 2080, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
Esempi di pagine dei manoscritti utilizzati
59
Ultima pagina del manoscritto Carullah 2080, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
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Prima pagina del manoscritto Fatih 5322, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
Esempi di pagine dei manoscritti utilizzati
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Penultima pagina del manoscritto Fatih 5322, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
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Prima pagina del manoscritto Millet Feyzullah Efendi 2119, per gentile concessione della
Millet Yazma Eser Kütüphanesi di Istanbul.
Ultima pagina del manoscritto Millet Feyzullah Efendi 2119, per gentile concessione della
Millet Yazma Eser Kütüphanesi di Istanbul.
Esempi di pagine dei manoscritti utilizzati
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Prima pagina del manoscritto Shehit Ali 1341, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
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ISSN: 2341-1368
Ultima pagina del manoscritto Shehit Ali 1341, per gentile concessione della Süleymaniye
Kütüphanesi di Istanbul.
Prima pagina del manoscritto Uppsala 162.
Esempi di pagine dei manoscritti utilizzati
Penultima pagina del manoscritto Uppsala 162.
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TRADUZIONE:
IL LIBRO DELLA CONOSCENZA
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Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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Nel Nome di Allah, il Misericordioso, il Clemente
Sia lode ad Allah che dona i segreti ai signori delle contemplazioni e delle viste, che praticano quotidianamente i combattimenti interiori e lo ḏikr, [Colui ] che fa sorgere le luci, a coloro
che sono dotati di considerazione e discernimento, dietro il velo della ragione e dei pensieri.
Riguardo alle scienze, secondo questa suddivisione, si dice che esse sono un dono (wahb) da
un punto di vista ed un’acquisizione (kasb) da un [altro] punto di vista (1).
La scienza donata è quella in cui non vi è acquisizione per nessun aspetto ed essa è la scienza
che ha il grado eccelso. Essa è ciò che risultò alla costituzione naturale (ǧibilla) (2) che era pura
nell’origine e nella configurazione (naš’a) quando fluttuò nel mondo dei trasferimenti nelle
1 Nel cap. 46 delle Futūḥāt [I 254.2] Ibn ʿArabī precisa: “Noi sappiamo che vi è una scienza che acquisiamo
dai nostri pensieri e dai nostri sensi, e vi è una scienza che noi non acquisiamo con nulla di ciò che ci appartiene,
bensì è un dono da parte di Allah, quanto è Potente e Magnificente, che Egli ha fatto scendere nei nostri cuori
e sui nostri segreti, e che noi troviamo senza una causa apparente. Questa è una questione sottile, poiché la
maggior parte degli uomini si immagina che le scienze ottenute per il timor di Dio (taqwā) sono scienze di dono,
ma non è così: esse sono solo delle scienze acquisite per mezzo del timor di Dio. Allah ha fatto del timor di Dio
una via per l’ottenimento di questa scienza ed ha detto: “Se avete timore di Allah Egli creerà per voi un discernimento” (Cor. VIII-29), ed ha detto: “Abbiate timore di Allah ed Egli vi insegnerà” (Cor. II-282), come ha fatto
del pensiero valido un mezzo per l’ottenimento della scienza, ma secondo l’ordinamento delle premesse, e come
ha fatto della vista un mezzo per l’ottenimento della scienza delle cose visibili. La scienza donata non si ottiene
con un mezzo, bensì viene da presso di Lui, sia Egli glorificato. Sappi questo, affinché non si confondano per te
le realtà essenziali dei Nomi divini, poiché Colui che dona è Colui i Cui doni rientrano in questa definizione,
a differenza del Nome divino “il Generoso” […] Tutte le Profezie sono scienze donate, poiché la Profezia non
è acquisita, e tutte le Leggi fanno parte delle scienze del dono […] Per acquisizione nell’ambito delle scienze
intendo dire ciò in cui vi è un applicarsi [per ottenerlo] da parte del servitore, così come il dono è ciò in cui non
vi è un’applicarsi da parte del servitore”; e nel cap. 70 [I 582.31] aggiunge: “Sappi che i sapienti per Allah, tra le
scienze, non prendono se non la scienza donata, che è la scienza “da presso di Me (ladunnī)”, la scienza del Ḫiḍr
e dei suoi simili. A questa scienza essi non si sono mai applicati, neppure con un proposito improvviso, tanto che
essa non è mescolata con nulla delle tribolazioni che caratterizzano lo sforzo di acquisizione (kasb). La teofania
(taǧallī) divina priva dei substrati (mawādd) della Possibilità, quali lo spirito, il corpo e la ragione, è più completa
della teofania divina che ha luogo in essi, e d’altra parte alcune delle teofanie nei substrati della Possibilità sono
più perfette di altre. Se da una teofania divina sopravviene al sapiente per Allah il desiderio di un’altra teofania
che non ha ancora ottenuto, e dopo quello la ottiene ed essa gli conferisce una scienza che egli non possedeva,
egli non la include nella scienza donata, ma la aggiunge alla scienza acquisita. Ogni scienza che egli ottiene perché l’ha espressamente richiesta, o perché ha fatto una richiesta incondizionata, è da considerarsi una scienza
acquisita. Questo è possibile [tra i sapienti per Allah] solo per gli Inviati, che Allah faccia scendere su di loro le
Sue ṣalāt, poiché essi sono nella situazione di dover prescrivere legalmente l’acquisizione [e quindi devono dare
l’esempio agli altri]. Quando invece si limitano alla loro funzione profetica e non operano secondo la loro Missione, il loro stato spirituale con Allah è quello che abbiamo menzionato, cioè l’abbandono della richiesta di ciò
che è diverso da Lui e [l’abbandono] del desiderio”. Ibn ʿArabī ha dedicato alle categorie delle scienze del dono
un piccolo trattato, il Kitāb marātib ʿulūm al-wahb, edito da Saʿīd ʿAbd al-Fattāḥ nel Vol. I delle Rasā’il, al-Intišār
al-ʿarabī, Beirut, 2001, pag. 121-127, sulla base del manoscritto Veliyuddin 1826: in esso l’autore mette in corrispondenza le categorie con i quattro fiumi del Paradiso.
2 Inizia qui l’eulogia del Profeta, considerato sotto l’aspetto della sua costituzione naturale.
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fasi (aṭwār) (3) e si trasferì dal mondo dei nutrimenti (4) al mondo della santificazione (5) e della
purificazione, nel ciclo (dawr) più felice che ci fu (6), e nel più fausto ascendente (ṭāliʿ ) che sia
sorto, che fosse di notte o giorno.
E la configurazione naturale sortì al massimo della purezza e dell’equilibrio che era stato
conferito dalla ripetizione degli avvolgimenti (akwār) negli avvolgimenti (7), come è stato detto
riguardo al signore eletto e prescelto:
3 Talora Ibn ʿArabī usa l’espressione aṭwār limitatamente alle fasi di sviluppo del corpo umano, come nel cap.
73, questione CXLIII [II 124.24] o nella Risālat rūḥ al-quds, a pag. 386 dell’edizione pubblicata nel 2013 dalla
Ibn al-ʿArabī Foundation, ma in altri punti, come nel cap. 190 [II 383.14] estende tale termine a tutte le fasi
dell’esistenza di un essere, dal Patto primordiale fino al Giorno della Resurrezione.
4 Nel Kitāb mawāqiʿ an-nuǧūm, a pag. 209 dell’edizione Širkat al-Quds, Cairo, 2016, Ibn ʿArabī spiega che: “Il
segreto del nutrimento inizialmente è solo la vita, e dopo l’esistenza della vita il suo segreto è il mantenimento
della vita, e la vita ed il suo mantenimento sono due cose prodotte dal nutrimento. Quindi il nutrimento è più
elevato nel grado dell’esistenza che la vita, e la sua sfera è molto più ampia della sfera della vita. […] Ogni nutrimento è superiore alla vita prodotta da esso ed esso non cessa dal mondo più basso di elevarsi nelle fasi dei
mondi fino ad arrivare al nutrimento primo, che è il nutrimento dei nutrimenti, cioè l’Essenza incondizionata”.
5 L’espressione ʿālam at-taqdīs ricorre nelle Futūḥāt solo nel cap. 2 [I 58.31], ove parlando delle lettere Ibn ʿArabī
distingue: “il Mondo che è collegato ad Allah ed a cui sono collegate le creature, cioè [le lettere] alif, dāl, ḏāl,
rā’, zāy e wāw [le sei lettere che nella scrittura araba non si legano alle seguenti]” ed afferma che: “esse rappresentano il Mondo della santificazione tra le lettere cherubiniche”.
6 Secondo un ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, LIX-3, LXIV-77, LXV ad Sūra IX-8, LXXIII-5, XCVII-24,
Muslim, XXVIII-29, Abū Dā’ūd, XI-67, e da Ibn Ḥanbal, V-37 e 63, il Profeta disse: “Invero il tempo è
ritornato ciclicamente all’aspetto che aveva nel giorno in cui Allah lo creò”. Ibn ʿArabī lo cita nei capitoli 2 [I
80.15], 12 [I 143.21, 144.2 e 7], 69 [I 387.35] e 348 [III 203.12]; nel cap. 12 precisa inoltre [I 146.18]: “L’inizio
dell’esistenza del tempo fu nella Bilancia, per l’Equità (ʿadl) spirituale, e nel Nome “l’Interiore” […] Poi ritornò
ciclicamente, dopo il compimento della rivoluzione del tempo, che è di 78.000 anni, e cominciò un altro ciclo
del tempo per il Nome “l’Esteriore”, e si manifestò in esso il corpo di Muhammad, che Allah faccia scendere
su di lui la Sua salāt e la Pace”.
7 Il termine kawr, al plurale akwār, ha il duplice significato di giro o avvolgimento, riferito al turbante (ʿimāma)
con cui viene coperto ed avvolto il capo, e di accrescimento (ziyāda) o aggiunta. Questo termine ricorre nove
volte nel cap. XLVI del Kitāb at-tanazzulāt al-mawsiliyya ed ʿAbd al-ʿAzīz Sulṭān al-Manṣūb, in una nota alla
sua edizione pubblicata al Cairo nel 2016, a pag. 138, precisa che ogni ciclo (dawr) è un avvolgimento (kawr).
Ismāʿīl Ḥaqqī al-Burūsuwī nel suo Tafsīr rūḥ al-bayān, Dār al-Fikr, Beirut, senza data, Vol. II, pag. 370, riporta
il seguente ḥadīṯ, tramandato da Ibn ʿAbbās ma non recensito nelle raccolte canoniche: “Allah mi ha fatto
scendere sulla Terra nei lombi di Adamo, mi ha posto nei lombi di Noé sull’arca, e mi ha gettato nei lombi
di Abramo, poi Allah non ha cessato di farmi passare dai lombi nobili e dagli uteri puri finché mi ha fatto
sortire tra i miei genitori [ed i miei antenati] non si sono mai incontrati in un atto di fornicazione”. Ibn ʿArabī
non cita questa tradizione, ma come si vedrà nella nota seguente, attesta il trasferimento del Profeta nei lombi
dei Profeti, per cui il senso della frase riportata nel testo potrebbe essere che mentre per l’uomo ordinario la
genealogia comporta solo una discesa, nel caso del Profeta questa discesa si accompagnò ad una salita ed
ad un accrescimento, come risulta dal verso subito dopo riportato nel testo e dal commento di Ṣadruddīn
al-Qūnawī riportato in nota.
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Allah ti ha preferito ad Adamo, e non hai smesso di salire scendendo (8)
e la sua discesa nel mondo dell’ingiustizia e degli altri fu una purificazione, un chiarimento
ed un abbellimento, e venne benedetto in esso per una discesa, e [la discesa] fu identica alla
salita verso una stazione santissima ed un attributo preziosissimo, difficile da concepire per
coloro che si sforzano e che riflettono (9). Egli era equilibrato di costituzione, bello d’aspetto,
gradevole nell’indole, lodato per le imprese e le opere, Allah faccia scendere la Sua ṣalāt e la
Pace su di lui, sulla sua famiglia e sui suoi compagni timorati e buoni, finché il sovrano del
fiore (10) governerà i fiori e le opere cattive degli approssimati saranno le opere buone dei pii
(11).
8 Questo inciso poetico è riportato anche in altre due opere di Ibn ʿArabī: nel Kitāb muḥāḍarat al-abrār, a pag.
363 dell’edizione Dār Ṣādir, Beirut, senza data, nel corso della narrazione dell’episodio della donna che si
offrì al futuro padre del Profeta prima del concepimento di quest’ultimo [Ibn ʿArabī afferma di riportare l’episodio dalla versione di Ibn Isḥāq, ma nella traduzione di Alfred Guillaume, The Life of Muhammad, Oxford
University Press, 1970, pag. 69, come pure nell’edizione araba, tale inciso poetico è assente]; e nel Kitāb īǧāz
al-bayān, a pag. 199 dell’edizione di Maḥmūd Maḥmūd al-Gurāb, pubblicata in margine al primo volume
di Raḥma min al-raḥmān, Damasco 1989, ove Ibn ʿArabī, commentando il versetto: “Noi facemmo un patto
con Abramo ed Ismaele: Purificate la Mia Casa per coloro che circumambulano, coloro che [vi] si ritirano,
e coloro che si inchinano e si prosternano” (Cor. II-125), precisa: “Cioè: “Abbiamo ordinato loro in modo
categorico”, ed Egli ha associato Ismaele ad Abramo in questo patto per la nobiltà ed il rango elevato che
esso comporta, in quanto ha reso entrambi degni di purificare una casa che ha attribuito a Sé, e ne ha fatto
una meta per i Suoi servitori fino al Giorno della Resurrezione, siano essi Angeli, ǧinn e uomini. L’uomo per
sua natura desidera il bene per suo figlio più di quanto lo desideri per se stesso, ed Allah ha onorato Abramo
associando a lui suo figlio in ciò. Un altro aspetto è che Muḥammad, su di lui la Pace, ha una parte in questa
nobilitazione, in quanto era stato trasferito ad Ismaele da Abramo, e quindi il padre è stato nobilitato per la
nobiltà del figlio [cioè dal “discendente”], poiché in quel momento [Ismaele] lo portava [in sé] ed egli [il Profeta] fluttuava nei lombi discendendo in elevazione e purificazione, ed il più bel verso che ho trovato addirsi
all’Inviato di Allah, Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, è quello di chi ha detto: Allah ti ha
preferito ad Adamo, e non hai smesso di salire scendendo”.
9 Ṣadruddīn al-Qūnawī, nel suo Kitāb al-fukūk, a pag. 187 dell’edizione Intišārāt-i Mülä, Teheran, 1413 H, riferendosi all’uomo comune afferma: “Egli è colui che arriva al punto più basso, essendo per la sua molteplicità
lontano dalla sua origine, che è la Stazione dell’Unicità (waḥdāniyya) divina primordiale, in quanto è sceso dal
più alto dei ranghi […] al massimo dei gradi della molteplicità e della passività e lì si è fermato, a differenza
dei perfetti, per i quali il cerchio è completo, in quanto essi anche se scendono salgono nella loro discesa, come
uno dei biografi ha detto in lode del nostro Profeta, Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace: Allah
ti ha preferito ad Adamo, e non hai smesso di salire scendendo, e coloro che si fermano al punto più basso non sono in
questa situazione, poiché non oltrepassano metà del cerchio”. Ed al-Fargānī nel suo Kitāb muntahā al-madārik, a
pag. 442 del I volume dell’edizione Dār al-kutub al ʿilmiyya, Beirut, 2007, riporta l’inciso poetico precisando
che si tratta della stazione della distanza di due archi (qāba qawsayn), da lui stesso realizzata.
10 L’espressione sulṭān az-zahr, tradotta letteralmente come sovrano del fiore, indica in arabo una famiglia di
uccelli passeriformi che si nutrono del nettare dei fiori, talvolta impropriamente denominati mangiamiele, sia
in italiano che in arabo. Il nome scientifico della famiglia è Nectariniidae e questi uccelli svolgono un importante ruolo nell’impollinazione.
11 Ibn ʿArabī riporta questo detto nelle Futūḥāt nei capitoli 73, questione CLIV [II 136.30], 329 [III 109.3],
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Sezione. Quanto segue: la ragione ha un limite (ḥadd) a cui si arresta in quanto pensante,
non in quanto ricettiva (12). Perché dunque non si arresta al suo limite? L’uomo che conosce
la sua misura non perisce (13).
Questione [I]: Quale correlazione (14) c’è tra il Vero, Gloria a Lui, la Cui esistenza è necessaria per la Sua Essenza (ḏāt) (15), ed il possibile (mumkin) (16), anche se esso è necessario per
472 [IV 105.2], ove precisa: “In realtà non c’è altro che il bello in relazione ed il brutto in relazione, poiché
tutto ciò che viene da Allah è bello, che sia brutto o che apporti la felicità. La faccenda è relativa”; nel Kitāb
at-tadbīrāt al-ilāhiyya, a pag. 80 dell’edizione Ibn al-ʿArabī Foundation, Pakistan, 2013, e nel Kitāb mawāqiʿ annuǧūm, a pag. 88 dell’edizione Širkat al-quds, Cairo, 2016.
Questi due esempi di realtà che non si modificheranno nei tempi sono l’equivalente dell’espressione dawman o
dā’iman, cioè perpetuamente o in modo ininterrotto, che spesso accompagna la ṣalāt sul Profeta.
12 Nel cap. 3 [I 94.31] Ibn ʿArabī precisa: “Non è possibile che la ragione comprenda ( yudriku) Allah. Essa
accetta solo ciò che conosce per intuizione o ciò che le fornisce il pensiero ( fikr): ora, la comprensione che ha
di Allah il pensiero è errata e quindi anche la comprensione che ha di Lui la ragione per mezzo del pensiero è
errata. Ma in quanto essa è intelligenza, il suo regime è solo di comprendere ed afferrare ciò che le si presenta,
e talvolta Allah le fa dono della conoscenza di Lui ed essa la comprende, in quanto è intelligenza e non per
mezzo del pensiero. In effetti questa conoscenza che Allah dona a chi vuole dei Suoi servitori, la ragione da
sola non è in grado di coglierla, è però in grado di riceverla”; e nel cap. 47 [I 261.10] aggiunge: “Su quanto
abbiamo detto vi sono grosse divergenze tra i saggi, che si dedicano alla speculazione e che non seguono la
nostra via. Il teologo non ha invece alcuna parte in questa questione, proprio perché è teologo e non un saggio; quest’ultima denominazione invero si applica a colui che mette insieme la scienza divina [o metafisica],
la scienza naturale [o fisica], la matematica [o le scienze esatte] e la logica, che sono le quattro categorie delle
scienze. La via per ottenere queste scienze può essere o il pensiero o il dono, che è l’effusione ( fayḍ) divina; la
via dei nostri compagni si basa su quest’ultima e per essi, nel pensiero, non c’è alcuna via di accesso poiché in
esso può insinuarsi l’errore, la verità a cui esso arriva è solo presunta e non si può quindi essere sicuri di ciò
che esso apporta. […] Per questo viene detto riguardo alle scienze della Profezia e della Santità che esse sono
al di là del limite della ragione e che la ragione non ha alcun accesso ad esse per mezzo del pensiero, ma può
riceverle, soprattutto nel caso di chi ha l’intendimento sano, in cui non ha il sopravvento l’ambiguità dell’immaginazione e del pensiero, causa del guasto della sua riflessione”.
13 Questo detto è riportato anche nelle Futūḥāt, nei capitoli 22 [I 173.15], 72 [I 680.1], 285 [II 631.9], 351 [III
226.5] e 378 [III 490.19]. Il termine misura (qadr) può essere letto in due modi diversi: o in senso negativo
come limite e determinazione, oppure in senso positivo come valore, ma in questa sezione, come pure nei
riferimenti citati, misura ha il senso di limite che non va oltrepassato.
14 Il termine munāsaba, infinito della terza forma di nasaba, mettere in relazione, implica una reciprocità, cioè
una relazione reciproca, pertanto non va tradotto come relazione (nisba), ma piuttosto come correlazione, o
corrispondenza, anche se talvolta Ibn ʿArabī lo usa come sinonimo di nisba.
15 Come precisa René Guénon ne L’homme et son devenir selon le Vêdânta, Editions Traditionnelles, Parigi, 1974,
pag. 78: «Le mot «essence», quand on l’applique ainsi analogiquement, n’est plus aucunement le corrélatif de
«substance»; d’ailleurs, ce qui a un corrélatif quelconque ne peut être infini».
16 Il termine mumkin significa letteralmente possibile, ma alcuni lo traducono come essere possibile o essere
contingente. Questa traduzione è limitativa in quanto si applica solo al possibile qualificato dall’esistenza, mentre Ibn ʿArabī insiste sulla sua permanenza ed immutabilità nella non-esistenza, come precisa nel cap. 360 [III
275.5]: “Se [il possibile] fosse [solo] esistente e non fosse qualificato dalla non-esistenza, sarebbe il Vero, e se
fosse [solo] non-esistente e non fosse qualificato dall’esistenza, sarebbe l’impossibile”, e nel cap. 371 [III 443.5]:
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mezzo di Lui, secondo chi sostiene ciò (17) tra coloro che affermano che questa è l’implicazione (iqtiḍā’) dell’Essenza o coloro che affermano che questa è l’implicazione della Scienza
che precede la sua [del possibile] esistenza? Le fonti a cui attinge il pensiero per essa [correlazione] si fondano validamente solo sulle prove esistenti (18) che sono “invero (inna)” (19), ed
è indispensabile che tra l’indicazione (dalīl) e ciò che è indicato e tra la prova (burhān) e ciò
che è provato vi sia un aspetto per mezzo di cui si stabilisce la connessione (taʿalluq), e che è
connesso sia con l’indicazione che con ciò che è indicato. In mancanza di quest’aspetto un
indicatore (dāll) non raggiungerebbe mai ciò che è indicato dalla sua l’indicazione. Ora, il
Vero e la creazione (ḫalq) non si riuniscono mai in un aspetto per quanto attiene all’Essenza,
ma [si riuniscono] solo in quanto questa Essenza è qualificata (20) dalla Divinità (ulūhiyya), ma
“Sappi che il Mondo (ʿālam) sta ad indicare tutto ciò che è altro che Allah. Esso non è altro che l’insieme delle
possibilità, che siano esistenti o che siano non esistenti”.
17 Il riferimento non è alla correlazione, ma all’affermazione che il possibile è necessario per mezzo di Lui,
affermazione che implica una relazione tra il possibile ed il Vero, ma questa relazione di dipendenza non
comporta una correlazione, poiché il Vero è indipendente dai Mondi. Nel cap. 451 [IV 66.24] Ibn ʿArabī
precisa: “Noi sappiamo che tra il magnete ed il ferro vi è necessariamente una correlazione ed un legame
(irtibāṭ), come il legame delle creature con il Creatore, ma se prendiamo il magnete, il ferro è attratto verso di
esso e noi sappiamo che l’attrazione sta nel magnete, mentre nel ferro sta la ricettività, e per questo reagisce
con il movimento verso di esso. Se invece prendiamo il ferro, il magnete non è attratto verso di esso, e anche
se essi sono legati restano separati e distinti. Gli uomini, anzi il Mondo, sono dipendenti da Allah ed Allah è
indipendente dai Mondi”.
18 Nel cap. 90 [II 170.9] Ibn ʿArabī precisa: “Allah preferisce le prove esistenti alle prove dialettiche ed alle altre prove, per la perfezione della scienza che esse conferiscono mediante l’affermazione della verità e l’annientamento dell’argomento dell’avversario. Le prove dialettiche non hanno questa forza in quanto demoliscono
l’argomento dell’avversario ma non sempre affermano una verità; le prove sofistiche producono sconcerto ed
esse, per un aspetto, sono più vicine alle prove esistenti riguardo alla scienza divina, che le prove dialettiche”.
19 Analogamente, nel cap. 421 [IV 31.27] Ibn ʿArabī precisa: “Tra le prove non c’è nulla di più valido della
prova di “invero” e per coloro che sostengono le prove essa è la prova esistente, ma non c’è nulla di essa che
indichi la conoscenza della Personalità del Vero, ed il suo massimo è la scienza dell’attribuzione dell’esistenza
a Lui e del fatto che la Sua entità è un’entità esistente, e l’escludere da Lui ciò che spetta all’essere contingente:
con la prova non può essere conosciuto altro che questo”. Altri riferimenti alle prove esistenti si trovano nei
capitoli 2 [I 92.21], 71 [I 612.14] e 301 [III 7.24]. Sull’espressione burhān inna si possono consultare le voci
burhān e dalīl della Encyclopédie de l’Islam, seconda edizione, Vol. I, pag. 1367, e Vol. II, pag. 103.
20 Il termine manʿūt significa letteralmente “caratterizzato da un attributo di relazione”. Nel Libro dell’eternità,
a pag. 183 della traduzione pubblicata nel N. 4 di El Azufre Rojo, Ibn ʿArabī precisa: “Quanto agli Attributi
estrinseci (nuʿūt) ed alla differenza tra essi ed i Nomi e le Qualità (awṣāf ), essi sono dei termini che non indicano
un significato che sussiste nell’Essenza di Colui che è caratterizzato dall’Attributo estrinseco (manʿūt) [come nel
caso degli Attributi intrinseci], né sono dei Nomi, poiché essi appartengono a ciò che è caratterizzato dall’Attributo estrinseco e che è determinato con un Nome con cui è noto. Gli Attributi estrinseci sono solo dei termini che indicano l’Essenza in quanto messa in correlazione, per cui noi li chiamiamo Nomi di correlazione
(asmā’ al-iḍāfa), come il Primo (al-awwal). La negazione dell’inizialità (awwaliyya) nei Suoi riguardi è necessaria,
e se Gli attribuiamo l’essere Primo è necessaria l’esistenza delle nostre entità, come per la primordialità (qidam)
nei confronti della nostra novità (ḥudūṯ); invero il Produttore è Esistenza assoluta, che non ha né Primo né
Ultimo, ed Egli è il Sé nella Sua realtà essenziale”.
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questa è un’altra scienza, che la ragione è in grado di percepire da sola, senza avere bisogno
in ciò di uno svelamento visivo (kašf baṣarī) (21).
Per ogni cosa esistente intelligibile [(maʿqūl) dalla ragione] la scienza di essa per mezzo dell’indicazione può, secondo noi, precedere la sua visione attestante (šuhūd) (22), ad eccezione del
Vero, sia Gloria a Lui, poiché la visione attestante di Lui precede la scienza di Lui, quanto
all’Essenza (23), non quanto alla Divinità, poiché la Natura divina (ilāhiyya) in questo regime
21 Il temine kašf, che ricorre anche in Cor. XVII-56, è l’infinito di un verbo che significa togliere, levare, e
quando è riferito al velo indica letteralmente lo svelamento. Ibn ʿArabī non lo ha incluso nel suo elenco dei
termini tecnici [cap. 73, questione CLIII] né ha dedicato ad esso una trattazione specifica, ma in base alle indicazioni sparse nella sua opera egli distingue lo svelamento che riguarda le forme (al-kašf aṣ-ṣūrī) [cap. 108 (II
192.6) e 272 (II 581.26], a sua volta distinto in uno svelamento sensibile (ḥissī) ed in uno svelamento immaginativo (ḫayālī) [Risālat al-anwār, pag. 163 delle Rasā’il, Dār Ṣādir, Beirut, 1997], e lo svelamento che riguarda i
significati o le idee (al-kašf al-maʿnawī) [cap. 343 (III 172.28) e 273 (III 584.21)], che è il vero svelamento (al-kašf
al-ḥaqīqī) [cap. 181 (II 365.10)]. Lo svelamento è una elargizione (minḥa) da parte di Allah a chi Egli vuole dei
Suoi servitori [cap. 559 (IV 404.14)], e quando riguarda i significati ciò che ne consegue per l’uomo si chiama
mukāšafa [cap. 210 (II 497.4)], termine che può essere tradotto come intuizione; nel cap. 216 [II 507.31] Ibn
ʿArabī precisa: “L’intuizione è la causa della conoscenza del Vero nelle cose; le cose sono come dei veli sul
Vero e quando essi vengono tolti ha luogo lo svelamento di ciò che c’è dietro di essi e c’è l’intuizione, e colui
che ha l’intuizione vede il Vero nelle cose per svelamento”. Lo svelamento riguarda soprattutto la vista, sia
essa sensibile o interiore, tant’è che Ibn ʿArabī afferma che lo svelamento è visione (ru’ya) [cap. 172 (II 292.2)],
ma può anche riguardare l’udito [cap. 198 (II 457.12) e 340 (III 158.1)] e forse per questo nel testo che stiamo
traducendo ha specificato lo svelamento con l’aggettivo “visivo”.
22 Il termine šuhūd quale infinito del verbo šahida, essere testimone, attestare, non ricorre nel Corano [è usato
in tre versetti solo come plurale di šāhid, testimone] ma si trova in una decina di ḥadīṯ [Wensinck, Concordance
et indices de la tradition musulmane, E.J. Brill, Leiden, 1955, Vol. III, pag. 195] nei quali ha il significato di “essere
presente”. Ibn ʿArabī non lo ha incluso nel suo elenco dei termini tecnici, ed afferma che il suo significato è
“essere presente” [cap. 69 (I 427.34): “aš-šuhūd wa-huwa l-ḥuḍūr”] precisando che ciò implica una visione (ru’ya),
ma mentre quest’ultima non necessita una scienza preliminare di ciò che viene visto il šuhūd esige preliminarmente la scienza di ciò che viene attestato (mašhūd), scienza che consiste nelle credenze (ʿaqā’id) [cap. 266 (II
567.10)]. Nel cap. 269 [II 570.19] Ibn ʿArabī afferma: “Noi sappiamo con certezza, con una scienza che non
ammette incertezza e la cui prova non è inficiata da alcun dubbio […] che Allah possiede una casa chiamata
la Kaʿba, in un paese chiamato Mecca, a cui la gente affluisce in pellegrinaggio ogni anno, facendo intorno
ad essa circumambulazioni rituali. Questa casa viene poi attestata quando si arriva ad essa: questo è l’occhio
della certezza, che prima della visione attestante (šuhūd) era scienza certa e che determina nell’anima, per la
sua visione (ru’ya), un gusto che non c’era prima della sua visione”. Il šuhūd è quindi una particolare visione,
e la contemplazione (mušāhada), di cui si parlerà in seguito nel testo, è un particolare šuhūd. Per questo non ho
più tradotto sistematicamente šuhūd come contemplazione, poiché non riguarda solo le facoltà intellettuali, ma
anche quelle sensibili e mentali.
23 Questa affermazione non contraddice quanto affermato nella nota precedente riguardo alla necessità di
una scienza preliminare perché abbia luogo la visione attestante. Nel cap. 69 [I 538.27] Ibn ʿArabī precisa che
“la visione attestante di una cosa non implica la scienza della sua definizione (ḥadd) e della sua realtà essenziale”, ma solo la scienza di ciò che viene attestato, mentre “la scienza di una cosa implica la scienza della sua
definizione e della sua realtà essenziale”; d’altra parte nel cap. 178 [II 330.8] afferma che “la visione attestante
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è all’opposto dell’Essenza riguardo alla connessione della scienza. Quindi la Divinità è intelligibile ma non è oggetto di svelamento, mentre l’Essenza è oggetto di svelamento, ma non
è intelligibile. Questo mare [il mare della conoscenza dell’Essenza] è un mare che non ha
riva (24): chi cade in esso non può nuotarvi, poiché è il mare della rovina per le viste interiori
[razionali] che guardano all’Essenza e quindi non c’è modo di addentrarsi in esso. Quanti si
sono illusi tra i sapienti del passato che asserivano di avere una salda ragione e credevano di
nuotare in questo mare! Abbiamo incontrato un gruppo di Ašʿāriti che sostenevano questa
dottrina nella città di Fes (25) ed egli [uno di loro] nuotava nel mare della “sua” esistenza,
poiché oscillava con il suo pensiero tra la negazione (salb) e l’affermazione: l’affermazione si
riconduceva a lui, in quanto affermava solo ciò che trovava in se stesso e di se stesso parlava,
ed indicava e provava basandosi sulla sua entità, ma il Vero è al di là di tutto questo; la negazione si riconduce alla non-esistenza e la non-esistenza è la negazione dell’affermazione,
e quindi questo speculativo che oscillava tra la negazione e le attribuzioni non ha ottenuto
nulla della scienza di Allah, mai e poi mai! Noi abbiamo avuto successo e coloro che affermano il falso sono perduti.
Questione [II]: Come può ciò che è limitato conoscere l’Assoluto, quando la sua essenza
non Lo comporta e non ha alcun sentore di Esso? E come può il possibile arrivare alla conoscenza di Colui che è necessario per l’Essenza, quando non c’è aspetto del possibile senza
che ne sia concepibile la non-esistenza e l’estinzione (duṯūr)? Se vi fosse un aspetto comune tra
il Vero che è necessario per la Sua Essenza ed il Mondo, per quell’aspetto sarebbe ammissibile per il Vero ciò che è ammissibile per il Mondo, tra cui l’estinzione, ma ciò è impossibile.
non ha luogo se non in una forma” e quindi la visione attestante del Vero, quanto all’Essenza, può riguardare
solo una Sua teofania (taǧallī) nella forma, e non l’Essenza in se stessa.
24 Questa espressione, che ricorre già nelle opere di al-Ḥakīm at-Tirmiḏī, di an-Niffarī e di al-Gazālī, viene
impiegata da Ibn ʿArabī per descrivere diverse realtà, tra cui l’anima, nei capitoli 251 [II 552.20], 332 [III
121.25] e 452 [IV 68.9] delle Futūḥāt, come pure nella questione XXIX del presente trattato; il Corano nel
cap. 272 [II 581.11]; i Nomi divini nel cap. 271 [II 578.20]; la scienza del possibile nel cap. 360 [III 275.15]; e
la conoscenza nel Kitāb al-ḏaḫā’ir wa-l-aʿlāq, a pag. 140 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, 2000.
25 È probabile che a questo episodio si riferisca il brano riportato nel cap. 16 [I 160.4] ove Ibn `Arabî afferma:
“Sappi che l’essere contingente (kawn) non ha alcuna connessione con la scienza dell’Essenza, poiché ciò che
è connesso con lui è la scienza del Grado (martaba) [cioè la Divinità], che viene denominato Allah. [Questa
scienza] si limita alla conoscenza di Dio e di ciò che è necessario per Lui, Gloria a Lui, dei Nomi degli Atti
e degli Attributi estrinseci della Maestà […] Per noi non c’è divergenza sul fatto che Essa [Essenza] non sia
conosciuta, e che Le vengano applicati gli Attributi estrinseci di trascendenza rispetto agli attributi intrinseci
del contingente […] In ciò diverge da noi un gruppo dei teologi Ašʿāriti, che si immaginano di conoscere un
Attributo personale immutabile del Vero. Mai e poi mai! Come possono dire ciò? Un gruppo di teologi che
abbiamo incontrato, tra cui Abū ʿAbdallāh al-Kattānī, Abū l-ʿAbbās al-Ašqar, e al-Ḍarīr al-Salāwī, autore
del Poema giambico sulla teologia, è arrivato a rimproverare ad Abū Saʿīd al-Ḫarrāz, ad Abū Ḥāmid [al-Gazālī]
ed altri per avere detto: Non conosce Allah se non Allah”. In effetti la nisba al-Kattānī è frequente in persone
originarie di Fes, e la nisba as-Salāwī fa riferimento alla città di Salé, in Marocco.
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Quindi l’affermazione di un aspetto comune tra il Vero ed il Mondo è impossibile.
Questione [III]: Tuttavia affermo che la Divinità (26) ha dei regimi (aḥkām), anche se è
[Essa stessa] un regime (27), e nelle forme di questi regimi ha luogo la Teofania nella dimora
dell’aldilà (28), comunque sia.
Ed affermo il regime della Volontà (irāda), ma non affermo la scelta (iḫtiyār) (29), poiché il
26 In tutti i manoscritti che ho consultato si trova ilāhiyya e non ulūhiyya o ulūha, ma poiché nella Introduzione
delle Futūḥāt [I 41.22] la stessa questione ricorre con ulūha ho mantenuto la traduzione con Divinità.
27 Il termine ḥukm, al plurale aḥkām, è tra quelli che pongono maggiori problemi al traduttore: il suo significato originale è giudizio, sia in senso logico che giuridico, e per estensione si applica anche al potere di giudizio
esercitato da un’autorità. Ibn ʿArabī stesso lo usa spesso in riferimento ai cinque regimi giuridici che regolano
tutti gli atti umani, cioè vietato, biasimato, lecito, raccomandato ed obbligatorio, ma ancor più spesso lo usa
in riferimento alle entità delle possibilità ed agli Attributi divini. Un esempio può essere utile a comprendere
ciò di cui si tratta: un uomo può essere nel contempo padre, figlio, fratello, marito e tutti questi attributi sono
aḥkām che si applicano ad un’entità (ʿayn) unica e che derivano dalle diverse relazioni che questa entità ha con
altre entità, ma cessano di esistere col cessare delle relazioni e quindi non modificano realmente l’essenza
dell’entità. Ora, mentre l’Essenza è un’entità, la Divinità è un regime (ḥukm), non un’entità, ed esiste solo perché noi esistiamo e creiamo un Dio conforme alla nostra credenza. Nel cap. 69 [I 405.27] Ibn ʿArabī precisa:
“Il Vero è secondo il credo di tutti coloro che hanno un credo, dopo il loro sforzo di giurisprudenza (iǧtihād).
Egli, sia esaltato, ha detto: “e chi invoca insieme ad Allah un altro Dio, per il quale non ha alcuna prova”
(Cor. XXIII-117) [poiché se avesse una prova, fosse anche sbagliata, il suo credo sarebbe valido]. Comprendi
dunque. Così come Egli è secondo l’opinione che il Suo servitore ha di Lui […] Ed Allah ha detto: “Ed il tuo
Signore ha decretato che voi non adoriate se non Lui” (Cor. XVII-23), cioè Egli ha giudicato (ḥakama). Ed è a
causa Sua che la Divinità è adorata e lo scopo dell’adorazione di chiunque adori non è se non Allah, e non c’è
cosa che sia adorata per se stessa se non Allah”.
28 Nel cap. 64 [I 314.1] Ibn ʿArabī precisa: “Allah Si manifesterà in quel giorno [il Giorno della Resurrezione]
e dirà: “Che ogni comunità segua ciò che adorava” finché non resterà che questa comunità [muhammadiana]
con i suoi ipocriti. Ed il Vero Si manifesterà loro nella forma più vicina a quella con cui Si era manifestato loro
prima di quel [Giorno] e dirà “Io sono il vostro Signore” ed essi diranno “Ci rifugiamo in Allah da te! Noi
aspetteremo finché verrà il nostro Signore” Ed Egli, sia Egli esaltato, dirà loro: “C’è tra voi e lui un segno con
cui Lo riconoscerete?” Essi risponderanno “Si” ed Egli Si tramuterà nella forma in cui essi Lo riconoscono
per quel segno ed essi diranno “Tu sei il nostro Signore””. Le forme in cui Allah si tramuterà sono le diverse
credenze riguardanti la Divinità, che corrispondono ad altrettanti regimi di Essa.
29 Il termine iḫtiyār viene usato in senso letterale per indicare la scelta di ciò che è meglio, ed in senso giuridico
e teologico per indicare la libertà di scelta, che nel caso dell’uomo si chiama libero arbitrio. Ibn ʿArabī non
nega il primo significato, attestato in un versetto coranico che in una delle due letture possibili recita: “Allah
crea ciò che vuole e sceglie ciò che è meglio per voi” (Cor. XXVIII-68), ma il secondo. Poiché qui si tratta di
Volontà e nella questione LII di questo trattato egli afferma che: “La Sua connessione con le possibilità, in
quanto sono le possibilità per Lui, si chiama Scelta (iḫtiyār)” è probabile che in questa sede Ibn ʿArabī neghi
la libertà di scelta alla Volontà, come d’altra parte fa nel cap. 312 ove afferma [III 48.12]: “La Volontà (irāda)
non ha scelta, non c’è Libro né Sunna che lo abbia affermato, né ragione che lo abbia provato. Quella [la
scelta] appartiene al Volere (mašī’a): se Egli vuole (šā’a) è, e se vuole non è; il Profeta, su di lui la Pace, ha detto:
“Ciò che Allah vuole (šā’a) è, e ciò che non vuole non è”, stabilendo una connessione della negazione e dell’affermazione con il Volere, e non è stato riportato: “ciò che non vuole (lam yurid) non è”, ma è stato riportato:
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discorso [divino] riguardo alla scelta ha lo scopo di far arrivare alla saldezza della fede con
ciò che è stabilito nell’uso comune, analogamente agli ḥadīṯ della comparabilità e simili (30),
ed anche se essa [scelta] ha un accesso [(madḫal) nella questione] valido per un aspetto, come
abbiamo menzionato, tuttavia quello di cui ci stiamo occupando non implica ciò.
Questione [IV]: Quindi dico, in base a ciò che conferisce lo svelamento a cui ci si deve
attenere: “Invero Allah era e nessuna cosa [era] con Lui ed Egli è adesso come era” (31) nel
regime, e “adesso” ed “era” sono due cose riconducibili a noi (32), poiché per noi si sono manifestate esse ed altre simili, e la correlazione è stata esclusa per la manifestazione in Lui di
un regime unico da due aspetti diversi (33).
O Tu che doni la ragione (34), hai accecato le viste interiori (baṣā’ir) (35) dalla
“Se volessimo (law aradnā) che fosse così sarebbe così”, escludendo così la scelta. La Volontà è la connessione
del Volere con ciò che è voluto (murād), e ciò corrisponde al Suo detto: “Invero la Nostra Parola ad una cosa
quando la vogliamo …” (Cor. XVI-40); questa è la connessione del Volere […] La scelta appartiene all’Essenza
in quanto è Dio: se vuole fa e se vuole non fa; ed è l’esitazione (taraddud) divina riportata in una notificazione
autentica”. Ma la questione è più complessa poiché in molti altri passi delle Futūḥāt Ibn ʿArabī nega la scelta
anche al Volere.
30 La fede riguarda ciò che è nascosto o ignoto (gayb), non ciò che è visibile. La descrizione del Vero con
attributi che sono propri degli esseri contingenti, come quelli riportati nelle tradizioni che affermano che il
Vero ride, esita ecc. non è concepibile razionalmente ed è quindi oggetto della fede. Nel cap. 90 [II 169.5] Ibn
ʿArabī stesso riporta le scelte del Vero in ogni genere di cose esistenti o di atti da compiere.
31 Ḥadīṯ non recensito in questa forma nelle raccolte canoniche. Qui Ibn ʿArabī non lo riporta come ḥadīṯ, bensì
come uno svelamento, ma nelle Futūḥāt, ad esempio nel cap. 73, questione XXIII [II 56.3], lo cita come ḥadīṯ.
32 Mentre il primo “era” può avere lo stesso valore atemporale di espressioni come: “In principio erat verbum” o
del “C’era una volta...“ di certi racconti simbolici, quello della seconda parte ha un evidente significato temporale, essendo contrapposto ad “ora”.
33 I due aspetti possono essere il prima e il dopo la creazione, poiché se il Suo regime non cambia ciò significa
che non c’è correlazione tra Lui e la creazione.
34 Questa stessa espressione viene usata da Ibn ʿArabī all’inizio della sua Risālat al-anwār, a pag. 159 delle
Rasā’il, Dār Ṣādir, Beirut, 1997, all’inizio del Kitāb at-tanazzulāt al-mawṣiliyya, a pag. 50 dell’edizione Širkat
al-quds, Cairo, 2016, e nel Dīwān, a pag. 147 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, Beirut, 2002. Un’altra
traduzione possibile sarebbe: “O Tu che doni alla ragione”, poiché il verbo wahaba regge anche due accusativi;
ad esempio, nel Kitāb al-mīm wa-l-wāw wa-n-nūn, a pag. 77 del secondo volume delle Rasā’il’ edite da ʿAbd alʿAzīz Sulṭān al-Manṣūb, Širkat al-Quds, Cairo, 2017, si legge: “Colui che dona alle ragioni i [vari] tipi delle
conoscenze”.
35 Le viste interiori sono essenzialmente costituite dalla ragione (ʿaql), come precisa Ibn ʿArabī nel cap. 339
[III 151.19], aggiungendo che esse non sono in grado di percepire il Vero, così come non lo è la vista esteriore,
come afferma anche nel cap. 421 [IV 30.5]: “Allah, sia Egli esaltato ha detto: “Le viste non Lo percepiscono”
(Cor. VI-103), ciò da parte di ogni occhio, che si tratti degli occhi del volto o degli occhi del cuore. I cuori
percepiscono solo attraverso la vista (baṣar) e gli occhi del volto percepiscono solo attraverso la vista: laddove vi
è la vista vi è la percezione. Nella ragione la vista è chiamata l’occhio della vista interiore [(baṣīra) o intuizione]
mentre nel dominio esteriore la vista è chiamata la vista dell’occhio. Nel dominio esteriore l’occhio è la sede
della vista, mentre nel dominio interiore la vista interiore è la sede di quell’occhio che è vista per l’occhio del
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percezione dello svelamento ed esse sono indietreggiate.
Se sono eque abbandonano i loro pensieri e vengono
bisognose ad attingere la scienza con l’adab,
come un’effusione su un ricettacolo effimero (qābil fān) (36) la cui natura
è pura dalle specie del dubbio e dell’incertezza (37).
Esse si ergono sul piede della magnificazione (iǧlāl) ad apprendere
i gioielli della scienza in un vaso d’oro,
ed il loro apprendere è visivo, poiché la loro vista interiore (baṣīra)
ha l’essenza incarcerata in una casa di fiamma (lahab) (38).
Esse non hanno punto di appoggio riguardo all’esistenza del Vero
se non ricorrendo alle cause ed alla negazione,
ma esse hanno il giudizio (ḥukm) per mezzo della similitudine (tamṯīl). Le aiutano
i mondi del sensibile con l’elargizione e la rovina. (39)
volto. I nomi della vista sono differenti, ma essa non è diversa in se stessa. Come gli occhi non Lo vedono tramite la loro vista, così le viste interiori non Lo vedono con i loro occhi. È stato riportato da parte dell’Inviato
di Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, che: “Allah è velato alle ragioni [o intelletti]
così come è velato alle viste: il Pleroma Supremo [che fa parte del dominio spirituale] Lo cerca come voi stessi
Lo cercate””. Il velo corrisponde all’accecamento di cui si parla in questo verso, ma Allah può anche togliere
questo velo ed elargire alla ragione uno svelamento, illuminando la sua vista interiore, come precisa nel cap.
369 [III 407.12]: “Egli non comprende della scienza del mistero di Allah se non ciò che Allah vuole. Quando
vengono sollevati i veli e svelate le luci, le viste interiori percepiscono per esse tutto ciò che è intelligibile e le
viste esteriori percepiscono per esse tutto ciò che è visibile e la ragione comprende per mezzo di queste luci
tutto ciò che è possibile comprendere intelligibilmente”. Tutto ciò è strettamente connesso con quanto Ibn
ʿArabī ha affermato nella sezione introduttiva di quest’opera riguardo al fatto che la ragione ha un limite in
quanto pensante, ma non in quanto ricettiva.
36 Riferimento al versetto: “Tutto ciò che c’è su di essa [Terra] è effimero, e resta il volto del tuo Signore, dotato di Maestà e Generosità” (Cor. LV-26). Nel cap. 177 [II 306.7] Ibn ʿArabī afferma: “Ed Allah getta nel suo
cuore la luce della fede ed egli ha fede e non c’è con lui la luce di una scienza speculativa ma solo una natura
integra, una ragione ricettiva ed un edificio corporeo illuminato, lungi dall’uso del pensiero”.
37 L’abbandono dei pensieri comporta la purificazione dai dubbi e dalle incertezze.
38 Possibile riferimento alla natura ignea delle facoltà interiori. L’unico passo simile che ho trovato ricorre nel
cap. 310 [III 37.32] in cui nei versi introduttivi è riportato: “Le nuvole versano le piogge delle realtà essenziali
in una casa di argilla, di aria e di fiamma”.
39 Questi sette versi di otto piedi in metro basīṭ sono riportati anche nel Dīwān al-maʿārif, manoscritto Bibliothèque Nationale 2384, f. 64b, mentre non si trovano in altre opere di Ibn ʿArabī. La traduzione in lingua
occidentale di una poesia araba è sempre limitativa, poiché non riesce a rendere la molteplicità dei significati
e delle assonanze dei termini arabi, né ad esprimere le connessioni legate al valore numerico dei termini e
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Ciò a cui si riferisce la frase: “C’era Allah e nessuna cosa con Lui” è solo la Divinità, non
l’Essenza quanto alla Sua esistenza, e basta; realizza dunque. Ed ogni regime che viene riconosciuto all’Essenza nell’ambito della Scienza divina si applica solo alla Divinità: si tratta
di molti regimi ed essi sono relazioni, connessioni e negazioni che sono riconducibili ad
un’unica Entità che non è molteplice quanto alla realtà del [Suo] “Io sono” (inniyya) ed alla
Personalità [(huwiyya) o: alla realtà del (Suo) “Egli”] (40), ma solo quanto alle realtà essenziali
della Possibilità ed all’Allocuzione divina ( fahwāniyya) (41). Nel Mondo la molteplicità c’è sia
come regime che come entità, mentre qui [nella Divinità] la molteplicità c’è come regime,
non come entità, come relazione, non come verità, e qui è caduto in errore un gruppo degli islamici (islāmiyyūn) (42) in quanto hanno applicato a Chi non ammette la comparabilità
delle lettere. Ad esempio, il valore numerico del termine ʿaql secondo il piccolo computo è 2 [cioè 70 + 100 +
30 = 200, ridotto a 2 per l’eliminazione delle decine e delle centinaia] come due sono gli aspetti della ragione,
in quanto pensante e ricettiva, la lettera finale della rima è la bā’, che vale 2, ed alla fine di alcuni versi vi è
una dualità di termini, come “dubbio ed incertezza”, “cause e negazione”, “elargizione e rovina”, oppure un
termine che implica la dualità, come il verbo “sono indietreggiate”, che letteralmente significa “sono tornate
sui loro talloni”. Il termine arabo corrispondente a “oro (ḏahab)” equivale al verbo ḏahaba, andare via, sparire
e si ricollega così a fān, effimero, per cui il vaso d’oro richiama il ricettacolo effimero, e così via. Ringrazio
Pablo Beneito per avermi aiutato a cogliere questi aspetti.
40 I termini inniyya, anāya e huwiyya, quando riferiti al Principio, derivano dai pronomi usati nel Corano per
indicare Allah, mediante l’aggiunta del suffisso iyya. Innī, che è composto dalla particella inna, corroborativa
della verità del predicato, e dal pronome suffisso ī, ricorre ad esempio in Cor. XX-12. Nel cap. 287 [II 636.24]
Ibn ʿArabī afferma che “la inniyya è un’espressione che indica la Verità essenziale (ḥaqīqa) sotto il profilo dell’Unità (aḥadiyya)”, e nel cap. 428, che è dedicato alla inniyya, [IV 41.2] ribadisce che “la inniyya di una cosa è la sua
verità essenziale, nel linguaggio tecnico degli iniziati”. Inoltre, nel suo Kitāb mašāhid al-asrār, a pag 95 dell’edizione curata da Suad Hakim e Pablo Beneito, Editora Regional de Murcia, 1996, precisa che “la inniyya
è unificata e la Personalità (huwiyya) è moltiplicata”, per cui quando nel cap. 73, questione CLIII [II 130.8]
alla domanda: “Che cos’è la inniyya?” Ibn ʿArabī risponde: “La Verità essenziale quanto alla correlazione”, la
correlazione non è riferita ad “altro”, ma alla prima persona del discorso.
41 Questo termine, probabilmente derivato dalla parola fāh, che vuol dire bocca, è ignorato dai dizionari
della lingua araba e non si riscontra in opere antecedenti a quella di Ibn ʿArabī. Nel cap. 73, questione CLIII
[II 128.32], egli definisce la fahwāniyya come: “l’allocuzione (ḫitāb) del Vero faccia a faccia nel Mondo della
similitudine (`ālam al-miṯāl)”. Il verbo arabo fāha, che significa profferire, pronunciare [un discorso], ha un’assonanza fonetica sia con il verbo greco phêmi, che significa parlare, dire, sia con il verbo latino fari [ for, faris,
fatus sum], che ha lo stesso significato e da cui derivano numerose espressioni italiane, come fato, cioè “ciò che
è detto”, favola, favella, infante, cioè “il bimbo che non parla ancora”, ineffabile, nefando, ecc. Nel Dizionario
del Tommaseo si trova un termine, favellatòria, che quanto a costruzione [aggettivo sostantivato] è l’equivalente dell’arabo fahwāniyya.
42 Questa espressione ricorre anche nel cap. 35 [I 218.28], ove Ibn ʿArabī afferma: “I raziocinanti, cioè coloro
che si dedicano ai pensieri, divergono nelle loro affermazioni riguardo ad Allah, sia Egli esaltato, in proporzione al loro modo di considerarLo. Il Dio che è adorato dalla ragione priva della fede è come se fosse, anzi è,
un Dio stabilito in conformità a ciò che conferisce la considerazione di quella ragione, e quindi la Sua realtà
essenziale è diversa per ogni ragione e le ragioni si contrappongono. Ogni gruppo dei raziocinanti dichiara
che l’altro è ignorante riguardo ad Allah, anche se essi fanno parte degli islamici che considerano ed interpretano, ed ogni gruppo accusa l’altro di miscredenza”.
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(tašbīh) [l’Essenza] il regime di Chi ammette la comparabilità [la Divinità] facendo affidamento
su ciò che hanno realizzato delle cose che riuniscono e legano, come l’indicazione e l’indicato,
la verità ed il verificato, la causa e la condizione; ciò però non si addice all’Essenza, mentre
la Divinità lo ammette da un lato e lo ricusa da un altro. Un gruppo si è attaccato all’aspetto
dell’accettazione ed un altro gruppo si è attaccato all’aspetto del rifiuto (43) e così ha avuto luogo
il contrasto tra di loro. Ciascuna delle due parti afferma la falsità della dottrina del suo compagno e la Divinità sancisce come corrette entrambe le parti (44). Il motivo del loro contrasto è il
loro essere imprigionati nella sfera del pensiero, da cui non si allontanano per dirigersi verso le
stazioni spirituali che esulano dagli stadi (aṭwār) della ragione e cioè gli stadi dell’Intimità e della
Profezia: basterebbe alla ragione fare affidamento a ciò che apportano queste due categorie [gli
Intimi ed i Profeti], se essa è equa. E quando ciò non soddisfa il pensiero, l’insufficienza e la cecità
accompagnano la ragione ed essa rigetta le notificazioni profetiche e gli svelamenti e le ascrive alle
fantasticherie corrotte, per la loro inconciliabilità con le indicazioni che sussistono nell’oppositore
in ciò che egli presume. È lui che sbaglia nel credere un’indicazione ciò che non è un’indicazione,
poiché queste faccende non sono assolutamente in contrasto con le indicazioni razionali (45), ma
non tutto ciò che la ragione prende come un’indicazione lo è realmente (46), in quanto il suo errore è grande e la faccenda non è di evidenza immediata, ed in ciò i raziocinanti si equivalgono.
43 Non si tratta qui delle diverse credenze degli esseri raziocinanti, poiché si parla di due gruppi ben distinti e
contrapposti, ma Ibn ʿArabī non chiarisce di quale contrapposizione si tratti. Nelle Futūḥāt, nella questione del
credo dell’élite corrispondente a questa [I 41.29] Ibn ʿArabī afferma: “E qui è caduto in errore chi ha associato
Colui che ammette la comparabilità e Colui che non la ammette nel suo discorso riguardo agli Attributi”,
il che sembra far intendere che l’errore consista nel correlare gli Attributi all’Essenza in Se stessa, mentre in
realtà si riferiscono solo alla Divinità, errore che è comune sia a coloro che sostengono la molteplicità degli
Attributi come realtà (umūr) aggiuntive all’Essenza, come gli Ašʿāriti, che a coloro che sostengono che gli Attributi sono inerenti direttamente all’Essenza, come i Muʿtaziliti.
44 Cioè entrambe le parti hanno ragione in ciò che affermano e torto in ciò che negano, poiché la Divinità
ammette entrambi gli aspetti.
45 Altrove, come nel cap. 169 [II 286.24], Ibn ʿArabī afferma: “La maggior parte delle notificazioni divine
sono in contrasto con le indicazioni razionali”, ma in questo caso si tratta di indicazioni o prove che non sono
realmente tali.
46 La ragione accetta senza difficoltà le notificazioni riguardanti la trascendenza divina ma ricusa quelle che
comportano una comparabilità, basandosi sull’indicazione che gli Attributi di Colui che è eterno ed immutabile
non possono essere assimilati agli attributi di chi è transitorio e mutevole, poiché ciò comporterebbe la negazione
dell’eternità e dell’immutabilità di Dio. Per Ibn ʿArabī la vera indicazione è esattamente opposta, come precisa
nel cap. 138 [II 224.]: “Gli Attributi (nuʿūt) con cui il Vero ha descritto Se stesso, e che secondo i dottori exoterici
fanno parte delle notificazioni della comparabilità e dei versetti della comparabilità […] per noi sono Attributi reali che non si addicono se non a Lui, sia Egli esaltato, e che nel servitore sono dati in prestito (mustaʿāra),
come il resto dei Nomi che egli assume come tratti di carattere. “Egli è il migliore di coloro che ingannano”
(Cor. III-54 e VIII-30), ed Allah Si prende gioco di coloro tra i Suoi servitori che si prendono gioco di Lui,
con un inganno che appartiene solo a Lui, senza che essi se ne accorgano. Egli, sia esaltato, non ha descritto
Se stesso con le realtà contingenti, bensì ha indicato che questi Attributi appartengono ad Allah dall’origine
e non si manifestano nel servitore divino se non per il suo essere stato creato sulla Forma, in tutti gli aspetti”.
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Questo Profeta, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, fa parte dell’insieme
degli esseri razionali, anzi è tra i più nobili di essi ed il più perfetto quanto a ragione, ed egli
non ha dichiarato impossibile quello che gli ha apportato la sua indicazione [cioè la rivelazione], bensì la ragione gliene ha indicato la possibilità. L’affidarsi è meglio per chi non ha
gustato le fonti dello svelamento e non gli si è manifestata alcuna autorità (sulṭān) riguardo
ad esse (47). Se essi fossero equi con loro stessi e ammettessero a queste due categorie i loro
stati, sarebbero felici in entrambe le dimore ed apprenderebbero, ma la supremazia (ri’āsa)
impedisce loro ciò: “l’ultima cosa ad uscire dai cuori dei confessori (ṣiddīqūn) è l’amore per la
supremazia” (48).
Questione [V]: E poiché è assodato e confermato ciò che abbiamo menzionato, anche se
la comprensione della gente del pensiero è incapace di coglierlo, diciamo, rivolgendoci ai nostri amici ed ai nostri compagni che sono sulla nostra strada, che le nostre scienze non sono
state scoperte dalle parole né dalle bocche degli uomini, né dall’interno dei quaderni e delle
pagine, bensì le nostre scienze derivano da teofanie (taǧalliyāt) (49) sul cuore quando prevale il
47 Nel cap. 35 [I 218.21] Ibn ʿArabī afferma: “Chi non ha svelamento non ha scienza”.
48 Questo detto ricorre nel cap. 69 [I 408.32], nel cap. 560 [IV 455.3, 10 e 13] e nel Kitāb mawāqiʿ an-nuǧūm,
a pag 128 e 305 dell’edizione Širkat al-quds, Cairo, 2016. Ri’āsa o riyāsa può però anche essere inteso in senso
positivo, come comando, ed è sotto questo duplice aspetto che Ibn ʿArabī commenta questo detto nel cap. 560,
ove afferma: “Tra gli iniziati coloro che non conoscono dicono di esso [riyāsa]: “L’ultima cosa che esce dai cuori dei confessori è l’amore per il comando”. I Conoscitori, tra coloro che sostengono questa affermazione, la
intendono tuttavia in modo diverso da come la intende la maggioranza della gente della Via […] Essi amano
il comando con un amore diverso dall’amore della maggioranza per esso, in quanto lo amano per il fatto che
essi sono come ha detto Allah al loro proposito e cioè che Egli è il loro udito e la loro vista, menzionando tutte
le facoltà e le loro membra. E se sono in questo modo, essi non amano il comando se non per Allah, poiché
Allah ha la precedenza sul Mondo ed essi sono i Suoi servitori. Il capo (ra’īs) non può sussistere se non per colui
che è sottoposto al suo comando, sia di fatto che in teoria, ed il suo amore per chi è sottoposto al suo comando
(mar’ūs) è l’amore più grande in quanto su di lui è stabilita la sua supremazia: ciò che il Re ama di più sono i
suoi sudditi poiché senza di essi non sarebbe Re”.
49 Nel cap. 206 [II 485.20] Ibn ʿArabī precisa: “Sappi che per gli iniziati il taǧallī è ciò che viene svelato ai
cuori delle luci delle realtà nascoste (guyūb) ed esso si suddivide in diverse stazioni: vi è quella che è connessa
con le luci dei significati privi di substrato, appartenenti alle conoscenze ed ai segreti; quella che è connessa
con le luci delle luci; quella che è connessa con le luci degli spiriti, cioè gli Angeli; quella che è connessa con
le luci dei venti; quella che è connessa con le luci della Natura; quella che è connessa con le luci dei Nomi, e
quella che è connessa con le luci delle generatrici e delle madri, delle cause e dei mezzi secondo le loro categorie. Ognuna di queste luci quando spunta da un orizzonte e coincide con l’occhio della visione interiore esente
dalla cecità […] opera uno svelamento (kašafa) con tutta la luce di ciò che gli dispiega, ed esso vede le essenze
delle idee come esse sono in se stesse e vede la loro connessione con le forme delle espressioni e delle parole
che le indicano”; nello stesso capitolo [II 488.28] aggiunge: “Quanto alle luci dei significati privi di substrato
esse sono inesprimibili, poiché se fossero esprimibili entrerebbero nei substrati, in quanto le espressioni sono
dei substrati (mawādd) […] Esse sono solo conoscibili, e non se ne può parlare né riferire, e non ammettono la
comparabilità né la similitudine”.
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potere del waǧd (50) e nello stato dell’estinzione nel wuǧūd (51), ed i significati sussistono come
similitudine e senza similitudine in base alla Presenza in cui avviene la discesa. Tra esse
[Presenze] vi è quella in cui [la discesa] avviene dalla porta del colloquio diurno (muḥādaṯa)
e quella in cui avviene dalla porta del colloquio notturno (musāmara) (52), [cioè] dalla porta di
ciò che è esprimibile e dalla porta di ciò che non è esprimibile.
Questione [VI]: Tutto il dono divino è esprimibile e l’espressione lo afferra e lo dispiega,
sennonché talora esso è accompagnato dall’ordine di divulgarlo in un momento e dall’ordine di nasconderlo in un [altro] momento, e talvolta è spogliato di entrambi [gli ordini] per
metterci alla prova affinché ci atteniamo all’adab, manteniamo il pegno e ci rafforziamo nella
scienza delle circostanze che esigono il divulgare ed il nascondere e la realizzazione di questo
50 Nel cap. 236 [II 537.1] Ibn ʿArabī precisa che il waǧd, termine derivato dal verbo waǧada, trovare, indica
per gli iniziati (aṭ-ṭā’ifa): “ciò che il cuore incontra improvvisamente degli stati spirituali che estinguono per lui
la presenza di sé e quella degli altri; per essi talvolta il waǧd indica il frutto della tristezza nel cuore […] Il waǧd
è uno stato spirituale (ḥāl) e gli stati spirituali sono dei doni, non delle acquisizioni [...] Negli stati degli iniziati
il waǧd è l’equivalente dell’arrivo della rivelazione ai Profeti”.
51 Nel linguaggio ordinario wuǧūd indica l’esistenza, ciò che si trova, ma nel linguaggio tecnico assume un
altro significato. Nel cap. 237 [II 538.1] Ibn ʿArabī precisa che per gli iniziati il wuǧūd è il ritrovamento (wiǧdān)
del Vero nel waǧd.
52 I termini muḥādaṯa e musāmara indicano nel linguaggio tecnico due tipi di allocuzione (ḫiṭāb) divina. Ibn
ʿArabī ne distingue diversi tipi in base allo stato in cui si trova colui che ascolta, il Mondo in cui essa ha luogo
e la modalità con cui viene effettuata. Per quanto riguarda il primo aspetto egli precisa nel cap. 198, sezione
II [II 400.7]: “Il Discorso (kalām) e la Parola (qawl) sono due attributi di relazione di Allah: per mezzo della
Parola ascolta chi non è esistente, e ciò corrisponde al detto di Allah, sia Egli esaltato: “Invero la nostra
Parola ad una cosa, quando la vogliamo, è che le diciamo: Sii (kun) Ed essa è” (Cor. XVI-40); per mezzo del
Discorso ascolta chi è esistente, e ciò corrisponde al Suo detto, sia Egli esaltato: “Ed Allah si rivolse a Mosè
con un discorso” (Cor. IV-164). […] La Parola ha un effetto su ciò che è non-esistente ed esso è l’esistenza, e il
Discorso ha un effetto su ciò che è esistente, ed esso è la scienza”. Per quanto riguarda il secondo aspetto egli
distingue “l’Allocuzione del Vero faccia a faccia nel Mondo della similitudine” che chiama fahwāniyya [cap.
73, questione CLIII (II 128.33)], “l’Allocuzione del Vero ai conoscitori dal Mondo dei segreti e dei misteri”,
che chiama musāmara o colloquio notturno [cap. 73, questione CLIII (II 130.1)], e “l’Allocuzione del Vero ai
conoscitori tra i Suoi servitori dal Mondo della manifestazione sensibile (mulk)”, che chiama muḥādaṯa [cap.
73, questione CLIII (II 130.3)]. Nel cap. 71 [I 654.25] aggiunge inoltre che: “la ṣalāt è muḥādaṯa di giorno e
musāmara di notte”. Per quanto riguarda infine la modalità di effettuazione, Ibn ʿArabī distingue tre tipi di
allocuzione divina, riferendosi al versetto: “Non è dato all’uomo che Allah gli parli se non per rivelazione
(waḥy), o dietro un velo, o mandando un messaggero” (Cor. XLII-51), e nel cap. 366 [III 332.22], riguardo al
secondo tipo precisa: “Quanto al Suo detto, sia Egli esaltato: “o dietro un velo”, si tratta di una allocuzione
divina pronunciata all’udito, non al cuore [come nel caso della rivelazione], e colui a cui viene pronunciata
la percepisce e comprende da essa ciò che voleva dire Colui che gli ha fatto sentire quello. Talora ciò avviene
nella forma della teofania, nel qual caso quella forma divina rivolge a lui il discorso ed essa è il velo stesso. Ed
egli comprende da quella allocuzione la scienza di ciò che Egli indica e sa che quello è un velo e che Colui che
parla è dietro quel velo. Non tutti coloro che percepiscono la forma della teofania sanno che quella è Allah ed
il possessore di questo stato ha in più rispetto agli altri il fatto che riconosce che quella forma, anche se è un
velo, è essa stessa la manifestazione del Vero per lui”.
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consente di fare a meno dell’arrivo dell’ordine di divulgare e di nascondere. Il motivo per cui
la Divinità è esprimibile è che essa è un regime che viene scoperto per mezzo dell’abituale
indicazione esistente, ed è indispensabile che vi sia un aspetto comune che lega l’indicazione
con l’indicato, ed è per questo che è possibile parlare della teofania divina [cioè della Divinità]. La teofania essenziale (ḏātiyya) [cioè dell’Essenza] (53) [invece] non è esprimibile, bensì
è attestata e quando viene attestata non viene afferrata (54), ma non la attesta se non l’élite.
Non c’è al mondo via per arrivare ad essa, poiché è troppo elevata per essere colta con gli
sforzi individuali (55), per ciò che abbiamo menzionato del legame [a cui essa sfugge], ed essa
è una pura concessione, non una retribuzione, ed è l’accrescimento su ciò che è più bello (56).
Questione [VII]: Avendo assodato ciò che abbiamo menzionato, ogni volta che incontri
qualcosa di analogo nei nostri libri o nei libri dei nostri compagni, ciò fa parte di quanto
abbiamo menzionato [cioè le teofanie] e non di qualcosa di inferiore. E non desiderare ciò
53 Questa espressione ricorre nelle Futūḥāt solo nei capitoli 2 [I 91.30] ove Ibn ʿArabī precisa: “I cuori non
cessano mai di essere naturalmente disposti allo splendore, né di essere levigati e puri; in ogni cuore si manifesta la Presenza Divina, in quanto Rubino ( yāqūt aḥmar), cioè la teofania dell’Essenza - e quello è il cuore del
contemplante perfetto e sapiente - al di sopra della quale non vi sono altre teofanie. Al di sotto di questo vi è
la teofania degli Attributi ed al di sotto di entrambi la teofania degli Atti, ma in quanto essi fanno parte della
Presenza Divina”, 73 [II 29.15], 258 [II 557.21], 279 [II 606.30] ove precisa: “Sappi che per la gente delle
realtà essenziali, senza divergenza tra di loro, è escluso che vi sia la teofania essenziale senza un supporto di
manifestazione (maẓhar), mentre la teofania nei supporti di manifestazione, cioè la teofania nelle forme dell’oggetto delle credenze (muʿtaqadāt), esiste, senza alcuna divergenza, e la teofania nelle realtà intelligibili (maʿqūlāt)
esiste, senza divergenza, ed entrambe sono la teofania delle trasposizioni (iʿtibārāt), in quanto questi supporti
di manifestazione, siano essi le forme delle realtà intelligibili o le forme dell’oggetto delle credenze, sono dei
ponti (ǧusūr) che si attraversano con la scienza, cioè si sa che dietro a questa forma vi è una realtà che non è
possibile attestare, né sapere”, e 293 [II 666.6] dove Ibn ʿArabī dedica alle diverse modalità della teofania
essenziale due dense pagine che non è possibile riassumere in una nota. In questo stesso capitolo [II 667.6]
ricorre l’unica menzione della teofania dell’Essenza (taǧallī aḏ-ḏāt).
54 Già nella prima questione Ibn ʿArabī aveva affermato: “l’Essenza è oggetto di svelamento, ma non è intelligibile”.
55 Nel Kitāb al-ḏaḫā’ir wa-l-aʿlāq, a pag. 139 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, 2000, Ibn ʿArabī afferma:
“Il pensiero si immerge nelle profondità del suo [della perla] mare per cercare di estrarre questa perla, ma essa
non viene estratta col pensiero, che continua incessantemente ad immergersi. Costoro sono la gente dedita ai
pensieri, che cerca di ottenere queste cose mediante la riflessione e l’induzione […] [la conoscenza di] Allah
non può essere ottenuta se non per pura Sollecitudine [divina] e con un segreto svuotato dai pensieri, poiché
queste cose non si ottengono con gli sforzi individuali ma solo grazie alla Sollecitudine divina”.
56 Riferimento ai versetti: “Per coloro che operano bene vi sarà il più bello e di più” (Cor. X-26) e “Ed accresceremo a coloro che operano bene” (Cor. II-58 e VII-161). Ibn ʿArabī nel cap. 417 [IV 24.4] riferisce il “di
più” o l’accrescimento (ziyāda) al ḥadīṯ secondo il quale “nel Paradiso vi sarà ciò che l’occhio non ha [mai] visto,
l’orecchio non ha [mai] udito e che non si è [mai] presentato al cuore di un uomo” ma nel cap. 345 [III 183.24]
precisa che la visione divina per gli Uomini perfetti sarà una ricompensa, non un “di più”. L’espressione: “ed
è l’accrescimento su ciò che è più bello” ricorre nel cap. 559 [IV 409.22] in riferimento alla Misericordia della
Sollecitudine.
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che non può essere desiderato (57), poiché il velo della Potenza (ʿizza) (58) lo rende inaccessibile ed esso è il mare dello smarrimento [(ʿamā) o cecità] (59): da questo mare noi siamo
qualificati dalle Qualità della Signoria (awṣāf ar-rubūbiyya) come il Potere, la Costrizione, la
Pietà, la Misericordia e l’insieme dei Nomi da cui esso [mare] è caratterizzato, e questo è
ciò che spetta alla Divinità; così come la Divinità è qualificata da questo mare con ciò che
spetta a noi come lo stupore, il rallegrarsi, il ridere, la gioia, la compagnia, la localizzazione
e l’insieme degli attributi di relazione degli esseri (60). Se ti sforzi di purificare la tua essenza
dall’influenza del tuo velo e di liberarla dalla schiavitù dell’essere (61), arriverai a conoscere
57 Riferimento ad uno ḥadīṯ riportato da Ibn Ḥanbal, V-232 e 247, che recita: “Cercate rifugio in Allah da
un desiderio che conduce ad una disgrazia, da un desiderio che conduce a ciò che non è desiderabile, e da un
desiderio di ciò che non può essere desiderato”. Nel cap. 369 [III 363.10] Ibn ʿArabī afferma: “Le chiavi del
Mistero nessuno le conosce se non Lui [Cor. VI-59] e quindi non possono essere conosciute se non da Lui:
non desiderare di arrivare alla loro scienza da te stesso. Colui che desidera ciò che non può essere desiderato
dimostra la sua ignoranza”.
58 Il termine ʿizza ha molteplici significati, tra cui potenza, forza, elevatezza, inaccessibilità, invincibilità,
insuperabilità, esaltazione, auto-esaltazione e rarità.
59 L’espressione “mare dello smarrimento” ricorre nel Dīwān, a pag 125 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, 2002, nel Kitāb al-ḏaḫā’ir wa-l-aʿlāq, a pag. 125 dell’edizione Dār al-kutub al-ʿilmiyya, 2000, e nel Kitāb
al-ʿaẓama, a pag 329 delle Rasā’il, Širkat al-quds, Cairo, 2017, ed in queste ultime due opere è associata al velo
della Potenza. Nell’Introduzione delle Futūḥāt [I 41.31] nella questione corrispondente a quella del Kitāb almaʿrifa usa invece l’espressione “mare della Nube (ʿamā’)”, che ricorre anche nel Dīwān, a pag 343 dell’edizione
citata, e nel Kitāb manzil al-manāzil al-fahwāniyya, a pag 240 delle Rasā’il citate, ove è associata al Velo della
Potenza. Nell’Introduzione delle Futūḥāt egli spiega che il mare della Nube è un barzaḫ tra il Vero e le creature;
le due espressioni quindi non si contraddicono, poiché questo barzaḫ dal lato del Vero è il mare della Nube e
dal lato delle creature è il mare dello smarrimento. Nel cap. 73, questione CLIII [II 129.13] Ibn ʿArabī afferma: “Se ci chiedi che cosa sia il velo della Potenza ti risponderemo che esso corrisponde alla cecità ed allo
sconcerto, poiché esso impedisce di arrivare a conoscere la realtà così come essa è in se stessa; questa realtà
non la conosce veramente se non la Gente della prospettiva dall’alto (muṭṭalaʿ ) e se ci chiedi che cosa sia la
prospettiva dall’alto ti risponderemo che essa è quella di colui che guarda l’esistenza contingente (kawn) con
l’occhio del Vero”.
60 L’elenco di questi attributi di relazione ricorre una trentina di volte nelle Futūḥāt, con aggiunte ed omissioni, ed essi hanno tutti un fondamento nel Corano o nelle tradizioni profetiche.
61 Nel cap. 2 [I 64.8] Ibn ʿArabī afferma: “Quanto all’esteriore del mantello, esso non conosce mai colui che
lo indossa; esso non conosce che il lato interiore della sua propria essenza, che è il suo velo. Così non conosce il
Vero se non la Scienza [e non il sapiente] e non Lo loda in realtà se non la lode [e non colui che loda]. Quanto
a te, tu Lo conosci per mezzo della scienza, il tuo velo; tu non sei testimone che della scienza che sta in te,
quand’anche la scienza coincidesse perfettamente con il suo oggetto. La tua scienza sta in te ed è il tuo oggetto
di attestazione e di adorazione. Guardati dal dire […] che tu conosci l’oggetto della scienza: tu non conosci
di fatto se non la scienza ed è la scienza che ha scienza del suo oggetto. La scienza ed il Saputo sono separati
da mari insondabili. Il segreto della relazione tra essi […] è un mare sul quale è difficile imbarcarsi: in nessun
caso l’espressione o l’allusione esoterica consentono di attraversarlo. Solo lo svelamento ne ha la percezione,
attraverso veli numerosi, sottili, impercettibili, così fini che non si sentono neppure sull’occhio della visione
interiore”. Nel cap. 354 [III 246.21] aggiunge: “Sei tu il tuo velo da te stesso” e nel cap. 431 [IV 43.18] nei
versi introduttivi afferma: “Il velo del servitore dipende da lui ed egli non sa che la sua esistenza è identica al velo”.
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la Saggezza divina per la quale Egli ha ricevuto queste qualità con cui ha descritto Se stesso
nei Suoi Libri e tramite le lingue dei suoi Messaggeri e dei Suoi Inviati, su di loro la Pace,
e la Saggezza per la quale noi abbiamo ricevuto queste Qualità dominicali (rabbāniyya) da
cui siamo caratterizzati e che abbiamo trovato per mezzo di ciò che è inerente nelle nostre
essenze. Il recepimento (qabūl) di ciò che abbiamo menzionato è reale o simbolico, essenziale
o accidentale, di comprensione o di regime (62)?
Questione [VIII]: Osserva, che Allah ti dia successo: non sei arrivato a Colui a cui hai
voluto arrivare se non per mezzo di Lui e non è arrivato a te Colui che ha voluto arrivare a
te se non per mezzo di te (63). Osserva il movente (bāʿiṯ) che richiede la tua discesa da (ʿalā) Lui
(64) o la Sua discesa verso (ilā) di te (65): esso è la miniera della Saggezza che rende necessaria
la correlazione stessa tra te e Lui. Ed osserva se ciò è possibile nei riguardi della Presenza
dell’Essenza: troverai ciò impossibile.
Questione [IX]: La dipendenza (iftiqār) rende necessaria la discesa (66), senza dubbio né
62 Nei manoscritti si trovano due versioni: “ḥilmī aw ḥukmī” e “ḥikmī aw ḥukmī”, espressioni che purtroppo
non ricorrono mai nelle Futūḥāt. La seconda versione potrebbe essere tradotta come: “gnomica o di regime”.
63 Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag. 207 delle Rasā’il citate Ibn ʿArabī afferma: “La Nube (ʿamā’) è il Trono
della Vita ed è il sesto Trono, che non abbiamo menzionato tra i Troni precedenti poiché è relativo e non ha
un’esistenza se non per la relazione (nisba). Esso è il mare che separa il Vero dalle creature, il velo dell’Inaccessibilità (ʿizza) per noi e per Lui. Chi di noi vuole arrivare a Lui cade in questo mare ed attribuisce l’atto
all’essere generato (kawn), mentre all’essere generato non appartiene nulla dell’atto: tutto l’atto appartiene solo
all’Unico, il Costrittore (qahhār). E se Lui vuole arrivare a noi per come è Lui – e l’espressione “se vuole” è
metaforica e non reale, bensì è un’allusione per trasmettere un significato che si desidera venga compreso da
noi – la Sua discesa verso di noi avviene tramite noi. E si dice: Egli discende, e Si assise, ed Allah gioisce per
il pentimento del Suo servitore, ed il nostro Signore ride, si stupisce e si rallegra”.
64 Il verbo nazala, se seguito dalla preposizione ilā significa discendere dall’alto in basso, mentre se è seguito
dalla preposizione ʿalā significa fare sosta, prendere alloggio. Nel cap. 384 [III 523.25] Ibn ʿArabī precisa: “In
realtà, da parte del servitore, questa discesa è una salita (ṣuʿūd); noi la chiamiamo discesa solo perché egli cerca
tramite questo innalzamento di scendere presso il Vero”. Poco oltre [III 523.33] aggiunge: “In realtà (ḥaqīqa) è
per noi che scendiamo da Lui ed è per noi che Egli discende verso di noi e se non fosse così non sapremmo ciò
che Egli ci dice nella Sua allocuzione, ed Egli è il Ricco, il Lodato. Nella verità della realtà (ḥaqīqat al-ḥaqīqa)
è per Lui che noi scendiamo da Lui ed è per Lui che Egli scende verso di noi, e che si tratti di una condiscendenza o di una discesa completa Egli è Colui che parla e Colui che ascolta ed è Colui che sa ciò che dice […]
e non c’è quindi che Lui”.
65 Nel cap. 464, spiegando il significato delle lettere che compongono la formula lā ilāha illā Allah, Ibn ʿArabī
afferma [IV 90.3]: “Quanto alla hamza vocalizzata in “i” (maksūra) [cioè l’iniziale di ilāha e di illā] essa è il
movente del Vero alla discesa verso il Cielo di questo mondo e verso tutto ciò che sta dal lato della creazione:
questo riguardo al movente del Vero. Se si tratta invece del movente della creatura, è che la sua osservazione
di se stessa la spinge a sforzarsi di acquisire la scienza del suo Signore ed è per questo che la hamza è vocalizzata in “i” in ciò che viene negato [cioè ilāha, Dio] e nella parola dell’affermazione [cioè illā, se non]”.
66 La correlazione di cui Ibn ʿArabī parlava alla fine della precedente questione implica una mutua dipendenza tra Lui, in quanto Dio, e noi; nel cap. 73, questione VII [II 45.24] Ibn ʿArabī afferma:“Se non fosse per Lui
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incertezza, e la dipendenza per l’Essenza è impossibile e quindi la discesa è impossibile [per
Essa]. Stringiamo dunque le redini alla spiegazione (basṭ) di questo concetto, poiché esso è un
mare pericoloso ed anche se le sue rive sono apparenti, le sue onde sono immense, i suoi animali sono nocivi, e la sua imbarcazione non resiste alle sue onde, ed il suo vento è impetuoso
e non c’è pace per essa [imbarcazione], e non giova in esso la richiesta di soccorso, né giova in
esso l’allontanamento. Ma chi si immerge in esso è salvo e felice, chi lo osserva dalla sua riva
preoccupato per la sua terrificante potenza è salvo ed infelice, ed essi sono la maggioranza.
I credenti sono tanti e coloro che operano il bene sono pochi (67): che Allah vi dia successo
in ciò. Abbiamo già menzionato una parte di ciò che spetta all’Essenza ed al regime divino
ed abbiamo stabilito una distinzione tra essi per mezzo degli aspetti che ciascuna Presenza
di essi comporta.
Questione [X]: Chi si è indirizzato (mutawaǧǧih) (68) a dare l’esistenza a tutto ciò che è altro
che Allah, sia Egli esaltato, è solo la Divinità, i Suoi regimi, le Sue relazioni, e le Sue connessioni, che sono indicate come i Nomi e gli Attributi, e sono loro che richiedono gli effetti (āṯār)
noi non saremmo, se non fosse per noi Lui non sarebbe”. Nel cap. 409 [IV 13.3], commentando il detto: “I Miei Nomi
sono un velo su di te, e se li sollevi arrivi a Me”, aggiunge: “Gli Uomini di Allah sono coloro che non sono distolti, per la loro creazione sulla Forma, dalla loro povertà [o dipendenza], dal loro abbassamento e dalla loro
servitù. Quando trovano in loro stessi gli Attributi che questa creazione comporta, essi li manifestano nelle
circostanze che Allah ha stabilito, così come Allah, a cui tali Attributi appartengono in modo essenziale, non
li manifesta se non in circostanze particolari, al di fuori delle quali Egli riveste gli attributi di discesa (nuzūl)
e di Amore riguardo ai Suoi servitori, al punto di sembrare dipendere da loro e di mettersi Lui stesso al loro
posto. Poiché Allah assume la servitù al punto di discendere verso di voi nelle vostre stesse forme, a maggior
ragione voi stessi non dovete allontanarvene, né dovete volgere la vostra attenzione verso la forza inerente
alla Forma che trovate in voi: è a Lui e non a voi che essa appartiene, così come gli attributi con i quali Egli
discende verso di voi sono i vostri e non i Suoi. Se non fosse che i Suoi Nomi più belli sussistono in voi e voi ne
siete qualificati, ciò non vi sarebbe possibile: quindi rendete i Suoi Nomi alla Sua Forma, non a voi, e prendete
da Lui ciò con cui Egli discende”.
67 Riferimento al versetto: “Coloro che credono e compiono le opere buone sono pochi” (Cor. XXXVIII-24).
68 Il verbo tawaǧǧaha, di cui mutawaǧǧih è il participio attivo, come tutte le seste forme verbali ha un senso
riflessivo; letteralmente significa “assumere un volto (waǧh)” e può essere tradotto come rivolgersi, orientarsi,
indirizzarsi. Ibn ʿArabī associa spesso l’indirizzarsi a dare l’esistenza alla Volontà (irāda) divina, come nel cap.
47 [I 260.6] ove precisa: “La retta che esce dal centro verso il solo punto che gli corrisponde sulla circonferenza [poiché la retta incontra la circonferenza in un unico punto] è il “volto specifico (al-waǧhu-l-ḫāṣṣ)” che
ogni essere riceve dal suo Creatore, Gloria a Lui, e corrisponde al Suo detto: “Invero la nostra Parola ad una
cosa quando la vogliamo è solo “Sii (kun)” ed essa è” (Cor. XVI-40). Da questo punto di vista la Volontà è la
retta che abbiamo descritto uscire dal punto centrale verso la circonferenza e che corrisponde all’indirizzarsi
divino che determina quel punto sulla circonferenza, conferendogli l’esistenza. In realtà quel cerchio [cioè il
primo cerchio] non è altro che il cerchio delle possibilità (dā’irat al-mumkināt), ed il punto centrale che determina il punto sulla circonferenza non è altro che Colui la cui esistenza è necessaria per se stessa”, e nei capitoli
21 [I 171.19], 25 [I 188.20], 48 [I 266.3], 167 [II 280.33], 325 [III 93.19], 357 [III 260.29], 382 [III 516.6],
559 [IV 423.28] e 560 [IV 454.22]. D’altra parte la dipendenza (iftiqār) di ogni cosa dal Vero si traduce nel
fatto che “in ogni cosa vi è il volto del Vero” [cap. 527 (IV 170.12)].
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e l’esistenza di tutto ciò che è altro che essi (69), poiché un Costrittore senza un costretto, un
Potente senza un potuto, un Misericordioso senza un oggetto di misericordia, un Creatore
senza una creatura, e così via per l’insieme dei Nomi di relazione non è possibile. Anzi ciò
è necessario virtualmente (ṣalāḥiyyatan) (70) o in atto, quindi il costretto, se non è esistente, o
l’oggetto di misericordia, quanto alla Possibilità (imkān) è virtualmente costretto ed allo stesso
modo il Costrittore è virtualmente costrittore e questo è il regime della Divinità in potenza,
non in atto, ed anche se non è concepibile formalmente l’intervallo (bayniyya) (71) tra il Vero
ed il primo essere, esso è concepibile riguardo all’esistenza dei corpi ed i significati che essi
portano tra loro e loro, non tra il Vero e loro, per degli aspetti che gli uomini hanno già
menzionato e che quindi non c’è bisogno che noi menzioniamo, per la loro diffusione tra la
gente di questa materia (72).
69 Sul ruolo dei Nomi nella genesi del Mondo rimando il lettore alla traduzione del Libro della produzione dei
cerchi, pubblicata nel N. 5 della rivista El Azufre Rojo, 2018, in particolare alle pagine 80-87. Lo stesso tema
è stato trattato da Ibn ʿArabī nei capitoli 4 e 66 delle Futūḥāt, la cui traduzione ed analisi è stata pubblicata
da Gerald Elmore in uno studio intitolato “Four Texts of Ibn al-ʿArabī on the Creative Self-Manifestation of the Divine
Names”, Journal of the Muhyiddin Ibn ʿArabī Society, Vol. XXIX, 2001, pagg. 1-43. Va anche ricordato che nel cap.
198, nelle sezioni XI-XXXVIII, corrispondenti alle 28 lettere dell’alfabeto arabo, Ibn ʿArabī collega l’esistenziazione di altrettante realtà cosmiche, dall’Intelletto Primo fino all’uomo, all’indirizzarsi di 28 Nomi divini.
70 Il termine ṣalāḥiyya, che significa attitudine, capacità, competenza, potere, ricorre raramente nell’opera di
Ibn ʿArabī; nell’Introduzione delle Futūḥāt [I 41.35] e nel cap. 413 [IV 17.26] è contrapposto all’esistenza, nel
cap. 6 [I 119.27] e nel cap. 66 [I 323.12] è associato alla potenza (quwwa), e nel cap. 24 [I 183.21] è contrapposto all’atto. L’ho tradotto come virtualità per distinguerlo dalla potenza, anche se il senso è molto simile.
71 Il termine bayniyya è una preposizione sostantivata, come maʿiyya e qabliyya, e deriva dalla preposizione bayna, tra, che viene utilizzata per indicare una distanza tra due punti nello spazio o nel tempo, o per esprimere
una relazione distintiva. Nel primo caso può essere tradotto come intervallo, come il suo sinonimo bawn, ma
nel secondo è necessario ricorrere ad un neologismo, come “interità”, dal latino inter, tra. Ad esempio, nel
Kitāb al-ḏaḫā’ir wa-l-aʿlāq, a pag. 72 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī afferma: “L’interità (bayniyya) è qui la distinzione ( farq) tra le due stazioni e le due realtà essenziali, non un’intervallo (bayniyya) di spazio o di tempo”. Nel
testo che stiamo traducendo si parla di non esistenza [del possibile] e di esistenza, di potenza e di atto, ma il
passaggio apparente dalla potenza all’atto, e dalla non-esistenza all’esistenza, non implica un intervallo, né
di tempo né di spazio, come precisa Ibn ʿArabī nel Kitāb al-azal, a pag. 169 della traduzione pubblicata N. 4
della rivista El Azufre Rojo, 2017: “Tra l’esistenza del Vero e la creazione non c’è un’estensione, come viene
immaginato, né Egli restò così e così e “poi” diede l’esistenza: tutte queste sono erronee congetture di fantasia, che le intelligenze indenni da questa follia rigettano. Non c’è intervallo (bayniyya) per il Vero, né per la
creazione, riguardo all’esistenziazione, ma si tratta soltanto del collegamento (irtibāt) di nuovo con antico, o di
possibile con necessario, o di ciò la cui esistenza è necessaria per altro con ciò la cui esistenza è necessaria per
se stessa, nient’altro”; e nel cap. 48 [I 262.8], aggiunge: “Non resta dunque del concetto dell’interità (bayniyya)
tra il Vero e la creatura se non la distinzione (tamyīz) per mezzo dell’attributo personale e per mezzo di questo
noi distinguiamo il Vero dalla creatura”.
72 I corpi sono condizionati dal tempo e dallo spazio e pertanto è concepibile tra essi un intervallo sia spaziale
che temporale. L’espressione “gente di questa materia” si riferisce probabilmente ai fisici.
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La qualità (waṣf ) specifica e generale di tutti gli esseri è il fatto di essere potenti e la connessione del regime del Potente/potente con il potuto (maqdūr) non è assolutamente nota, né per
svelamento, né per mezzo della dimostrazione (73), poiché il potere contingente, per chi lo
afferma tra coloro la cui considerazione è ineccepibile riguardo a questa affermazione (74),
non ha effetto, né ha una connessione. Da dove trae quindi costui la conoscenza della con73 Tutti gli esseri hanno un potere (qudra), che nel loro caso viene definito contingente (ḥādiṯ) in contrapposizione al Potere del Vero che è eterno (qādim). Come l’oggetto della volontà, anche l’oggetto del potere è non
esistente [cap. 390 (III 548.3)] e quindi il potere è un attributo del dare l’esistenza [Introduzione (I 40.9) e cap.
69 (I 538.12)], ma mentre il Potere eterno è effettivamente connesso con il dare l’esistenza, il potere contingente è privo di questa connessione, come precisa Ibn ʿArabī nel Kitāb al-ǧalāla, a pag. 64 delle Rasā’il, Dār Ṣādir,
Beirut, 1997: “Quando Allah, sia Egli esaltato, volle sconcertare alcune creature […] creò il potere contingente nel potente contingente e [ne] rese impossibile l’efficacia (ta’ṯīr); creò l’indirizzarsi del potente contingente
verso l’atto, [indirizzarsi] che è l’acquisizione (kasb), e manifestò ciò che non era. Il potente contingente disse:
“Questo è il mio atto”, ed un altro potente contingente disse: “Questa è la mia acquisizione”, ed un terzo
potente contingente disse: “Non è né il mio atto né la mia acquisizione”, ed il Potente eterno disse: “Questo
è il Mio atto”, e disse il Vero. Per chi ha un intendimento sano non è impossibile che tra due potenti vi sia
un [comune] oggetto del potere, e ciò che è impossibile è solo che vi sia un effetto [comune] tra due efficaci”.
La connessione di cui si parla nel testo è quindi quella del Potere eterno, ed a questo proposito, nel cap. 28
[I 195.13] Ibn ʿArabī afferma: “Nessuno è stato testimone della connessione del Potere divino con le cose al
momento della loro esistenziazione. Egli, sia esaltato, ha detto: “Non li abbiamo resi testimoni della creazione
dei Cieli e della Terra” (Cor. XVIII-51)” e nel cap. 394 [III 557.1] aggiunge: “Non c’è scienza di una creatura
che sia diversa da Allah, e neppure dell’Intelletto Primo, che comprenda come dalla riunione di relazioni [e la
connessione è una relazione] possa aver luogo un’entità esistente, autonoma (mustaqilla) nella manifestazione,
non autonoma nell’indipendenza, bensì dipendente dalla Possibilità da cui è retta. Questa è una scienza che
conosce solo Allah, sia Egli esaltato, e non è possibile che la conosca altri che Lui, e non ammette l’insegnamento, cioè che Allah la faccia conoscere a chi vuole dei Suoi servitori. Essa è simile alla scienza dell’Essenza
del Vero, e la scienza dell’Essenza del Vero è impossibile da ottenere per altri che Allah”.
74 In ambito teologico sia gli Ašʿāriti che i Muʿtaziliti affermano l’esistenza del potere contingente, ma mentre
per i primi l’atto non è l’effetto del potere contingente, bensì del Potere eterno, per i Muʿtaziliti l’atto è l’effetto
del potere contingente, tuttavia, come precisa Ibn ʿArabī nel cap. 350 [III 211.33]: “La dottrina di alcuni tra
la gente comune è che l’atto appartiene veramente al servitore, ma malgrado ciò per loro il legame dell’atto
tra il Vero e la creatura non viene meno, poiché essi dicono anche che il potere contingente nel servitore, per
mezzo del quale avviene questo atto da parte dell’agente, è Allah che lo ha creato per lui, e quindi l’atto non
appartiene al servitore se non per il potere che Allah ha creato in lui di compierlo, e quindi non viene meno
la condivisione. E questa è la dottrina dei Muʿtaziliti”. Nel Kitāb al-bā’, a pag. 241 delle Rasā’il, Ibn al-ʿArabī
Foundation, Pakistan, 2013, ribadisce: “È impossibile che vi sia un effetto [comune] tra due efficaci, mentre
per noi non è impossibile che vi sia un [comune] oggetto del potere tra due potenti. Al Potere eterno appartiene l’effetto per la prova evidente ed al potere contingente non appartiene l’effetto per l’indicazione chiara.
Quando l’effetto viene esistenziato in occasione del potere contingente in colui che assiste, l’indicazione mostra alla ragione che questo potere contingente in occasione del quale si è manifestato questo effetto e che è
stato attribuito ad esso è un potere reale, dall’entità immutabile, e non ha dubbi che questo effetto è avvenuto
in occasione di esso e non per esso, e che il Potere eterno è quello a cui appartiene questo effetto”.
In alcuni manoscritti invece di: “è ineccepibile riguardo a questa affermazione” si legge: “è ineccepibile se
non riguardo a questa affermazione”. Entrambe le versioni sono possibili, poiché nel secondo caso l’affermazione riguarderebbe in particolare i Muʿtaziliti.
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nessione? Lo stesso vale per lo svelamento. Quanto a ciò che va oltre questa qualità specifica
riguardo alla quale, per coloro di noi che hanno realizzato, ha luogo la distinzione tra il Vero
e le creature, ciò è percepito con la prova e con lo svelamento.
Questione [XI]: Il primo essere condizionato e dipendente che si manifestò è un essere
chiamato l’Intelletto Primo, denominato anche come lo Spirito Universale, il Calamo (75),
l’Equità (ʿadl) (76), il Trono, la Verità per cui ha luogo la creazione (al-ḥaqq al-maḫlūq bi-hi) (77),
la Realtà Muḥammadiana, lo Spirito degli spiriti, il Prototipo evidente e come “ogni cosa”
(78). Esso ha molti nomi in considerazione dei volti che possiede (79) ed in un volto è secondo
metà della Forma [divina] nota a noi per ascolto [della parola profetica] e svelamento (80), ed
75 Secondo uno ḥadīṯ riportato da Abū Dā’ūd, XXXIX-16, at-Tirmiḏī, XXX-17, e da Ibn Ḥanbal, V-317,
“La prima cosa che Allah creò fu il Calamo”. Il termine qalam ricorre in Cor. LXVIII-1 e XCVI-4.
76 Nei capitoli 73, questione XXXVIII [II 60.11], 320 [III 77.24] e 338 [III 150.7] Ibn ʿArabī attribuisce
l’uso di questo termine per indicare la Verità per cui ha luogo la creazione a Sahl ibn ʿAbdallāh
at-Tustarī.
77 L’espressione al-ḥaqq al-maḫlūq bi-hi, che ricorre una trentina di volte nelle Futūḥāt, venne coniata da Abū
l-Ḥakam ʿAbd as-Salām ibn Barraǧān, come Ibn ʿArabī stesso riferisce nel cap. 73, questione XXXVIII [II
60.12], e nel cap. 320 [III 77.24]. Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 201 del terzo volume delle Rasā’il, Širkat alquds, il Cairo, 2017, tra i nomi del primo essere creato al posto di al-ḥaqq al-maḫlūq bi-hi riporta semplicemente
al-ḥaqq.
78 L’espressione kullu [o kulli o kulla a seconda dei casi] ša’yin ricorre 120 volte nel Corano ed ha valore numerico di 360. Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 204 dell’edizione citata, e nel cap. 357 [III 260.16] Ibn ʿArabī
identifica questa espressione con la Tavola custodita o Anima logica universale, ma ciò è solo apparentemente
in contraddizione con quanto espresso qui, poiché l’Anima universale sta all’Intelletto Primo come Eva ad
Adamo, da cui essa è tratta.
79 Nel cap. 198 [II 394.33] Ibn ʿArabī precisa: “Analogamente, noi chiamiamo l’Intelletto Primo Intelletto
per un significato che è diverso da quello per cui lo chiamiamo Calamo, diverso da quello per cui lo chiamiamo Spirito, diverso da quello per cui lo chiamiamo Cuore: l’entità è unica ed il regime è diverso”; e nel Kitāb
al-bā’, a pag. 234 delle Rasā’il, Ibn al-ʿArabī Foundation, Pakistan, 2013, afferma: “Il Calamo è l’Equità, la
Verità per cui sussistono i Cieli e la Terra, l’Intelletto Primo, la Realtà Muḥammadiana e la bā’”.
80 Si tratta della Forma su cui Allah ha creato Adamo, secondo un ḥadīṯ spesso riportato da Ibn ʿArabī ma
non recensito nelle raccolte canoniche, anche se confermato per svelamento, come viene precisato nel testo.
L’unico punto in cui Ibn ʿArabī parla di metà della Forma è il cap. 360 [III 280.9] ove afferma: “Allah non
ha dato questa perfezione all’Uomo Universale che si manifesta nella Forma divina se non affinché fosse un
sostituto del Vero, e per questo lo ha chiamato Califfo, e coloro che vengono dopo di lui tra i suoi simili sono
suoi califfi. Solo il primo è il Califfo del Vero, e ciò che si è manifestato di lui tra i suoi simili nel mondo dei
corpi sono califfi di questo Califfo e suoi sostituti […] Quanto alla seconda funzione di rappresentanza (niyāba)
essa consiste nel fatto che l’Uomo rappresenta in se stesso [o nella sua essenza] metà della Forma per ciò che
concerne la sua [della forma] spiritualità. Quando Allah Si è manifestato nella forma dell’uomo (bašar), come è
stato tramandato, Si è manifestato in questa forma sia nei sensi che nel significato, e questa specifica funzione
di rappresentanza riguarda lo spirito di questa forma in cui Egli Si è manifestato, e ciò non ha luogo se non
nella Presenza degli Atti divini che si manifestano nel mondo per mezzo dell’Uomo”. Le due metà della Forma sono dunque l’aspetto esteriore e quello interiore, o quello corporeo e quello spirituale, e l’Intelletto Primo
rappresenta solo l’aspetto interiore e spirituale, e ciò spiega il riferimento alle realtà spirituali che si trova nel
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in un altro volto è secondo la Forma [intera] (81) nella misura in cui ha luogo la Sua teofania,
in quanto il Mondo intero è secondo la Forma e l’uomo, parte del Mondo, è secondo la forma
del Mondo e quindi è secondo la Forma (82). Le realtà spirituali sono superiori nella perfezione rispetto al mondo dei corpi, per la loro predisposizione più perfetta e per questo l’uomo
desidera naturalmente ottenere la forza [(quwwa) o: la facoltà] spirituale. Tra loro c’è chi ci
riesce ed è perfetto e chi non ci riesce per ostacoli accidentali e originali in questa dimora;
quanto all’ultima dimora tutti arriveranno ad ottenerla e la distinzione tra loro avrà luogo
per altre faccende riconducibili alle forme in cui essi entrano.
Quando Egli diede esistenza a questo primo essere apparvero in lui 360 volti (83) rivolti alla
Presenza divina ed il Vero, sia Egli esaltato, effuse su di lui parte della Sua Scienza in misura
delle predisposizioni all’accettazione che aveva esistenziato in lui, e la sua accettazione fu di
seguito del testo. D’altra parte nel cap. 288 [II 642.19] precisa: “Quando Allah creò l’Intelletto primo, gli
conferì della Scienza ciò per cui esso ottenne l’eminenza su chi era inferiore a lui, e malgrado questo non disse
al suo riguardo che era stato creato secondo la Forma [divina], poiché è un essere prodotto senza un modello
preesistente […] Quando Allah creò l’Uomo Universale [cioè Adamo], gli accordò il rango dell’Intelletto
Primo e gli insegnò ciò che non aveva insegnato all’Intelletto riguardo alla realtà della Forma, che è il volto
che gli è proprio dal lato di Allah, e per il quale [l’Uomo] ha un sovrappiù rispetto a tutte le creature e per il
quale è lo scopo del Mondo. Quindi non Si manifestò come Forma esistente se non per l’Uomo, e l’Intelletto
Primo, in tutta la sua immensità, è una parte della Forma, ed ogni essere che è al di fuori dell’Uomo è nella
frammentarietà”. Nel cap. 371 [III 430.18] aggiunge che: “nell’Uomo Universale la perfezione è in atto, mentre nell’Intelletto Primo è in potenza”, il che corrisponde a quanto scrisse René Guénon ne Le symbolisme de
la Croix, Les Éditions Véga, 1979, a pag. 23: “l’«Homme Universel» n’existe que virtuellement, et en quelque
sorte négativement, à la façon d’un archétype idéal, tant que la réalisation effective de l’être total ne lui a pas
donné l’existence actuelle et positive; et cela est vrai pour tout être, quel qu’il soit, considéré comme effectuant
ou devant effectuer une telle réalisation”.
81 Non si tratta quindi dell’Intelletto Primo, ma di un altro volto o nome del primo essere manifestato. Ibn
ʿArabī non precisa qui a quale nome si riferisca, ma nel cap. 198 [II 396.6] afferma che la Verità per cui ha
luogo la creazione è anche identica all’Uomo Universale.
82 Da un punto di vista cosmogonico l’uomo è l’ultimo genere ad essere stato creato, ed è quindi successivo
alla creazione del Mondo, ma da un punto di vista metafisico ed atemporale la forma dell’Uomo ha la preminenza sulla forma del Mondo, come afferma Ibn ʿArabī nel cap. 329 [III 107.18]: “Il Profeta, che Allah faccia
scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, ha detto che Allah ha creato Adamo sulla Sua forma, ed il Mondo è
creato per mezzo di Adamo sulla Sua forma e se venisse meno ad esso l’Uomo il Mondo non sarebbe sulla
[Sua] forma, e se venisse meno il Mondo e restasse l’Uomo [questi] sarebbe sulla [Sua] forma”.
83 360 è il numero dei gradi di una circonferenza ed implica quindi un senso di totalità, come nell’espressione
araba “tutte le cose”, che ha lo stesso valore numerico. 360 è anche il valore numerico del nome della lettera
šīn, iniziale di Sole in arabo (šams), e per Ibn ʿArabī il “giorno” del Sole è costituito da 360 dei nostri giorni
[cap. 311 (III 45.30)]. Nelle Futūḥāt l’espressione “360 volti o facce” ricorre solo nell’Introduzione [I 46.5],
mentre nel cap. 13 [I 148.24] egli afferma: “Egli diede a questo Calamo 360 punte per il suo essere Calamo, e
360 teofanie o fini realtà (raqā’iq) per il suo essere Intelletto. Ogni punta o fine realtà attinge da 360 categorie
delle scienze sintetiche”.
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46.656.000 specie (84) ed apparvero in questo Intelletto dei regimi in questo numero, non
altro, ed esso ne diffuse in ogni mondo per ciò che gli spetta, per effusione e non per scelta,
poiché i suoi volti sono orientati verso Colui che gli ha dato l’esistenza ed il Mondo trae sostegno dalla sua [dell’Intelletto] essenza in proporzione alle sue [del Mondo] potenzialità, come
nel caso del recepimento della luce del Sole da parte del mondo degli esseri contingenti senza
che in ciò intervenga la volontà del Sole. Questa è la differenza tra l’effusione ( fayḍ) essenziale
e l’effusione volontaria (85), e ciò è riconducibile a colui stesso che effonde. Non avete considerato l’effusione del sapiente? Il suo discorso agli orecchi è volontario, in quanto può astenersi
da esso, e quando si manifesta l’entità del discorso nell’esistenza allora la sua effusione agli
orecchi è essenziale, non volontaria: realizza ciò, poiché è così in questo caso.
La sintesi tra le due effusioni avviene in questo modo ed un gruppo ha considerato l’effusione
di ciò che viene effuso ed ha affermato l’effusione essenziale (86), ed un gruppo ha considerato
l’effusione di Colui che effonde ed ha affermato l’effusione volontaria, e ciascuno sostiene che
l’altro ha sbagliato, ma la realtà divina dà ragione alle parole di ogni gruppo.
Quando si manifestò questa Verità per cui sono creati i Cieli e la Terra (87), che è la Tavola
della Divinità ed il Suo Calamo supremo nella mano destra santissima (88), che porta con sé
84 Questo numero è il cubo di 360. Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 202 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī
riporta questo numero come quello delle fini realtà che si estendono dall’Intelletto Primo al Mondo.
85 Questa distinzione non è mai riportata nelle Futūḥāt ove il termine effusione ricorre una trentina di volte,
per metà delle quali è associato all’aggettivo “divina”, ma si trova nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, ove a pag. 201
dell’edizione citata Ibn ʿArabī afferma: “Essa [la prima sostanza che ha ricevuto l’esistenza, cioè l’Intelletto
Primo] effonde con i due aspetti dell’effusione, cioè l’effusione essenziale e l’effusione volontaria: quella per
mezzo dell’essenza è incondizionata ed in essa non è caratterizzata dal trattenere, in quella per mezzo della
volontà è invece caratterizzata dal trattenere e dal dare”, ed a pag. 206 aggiunge: “si tratta di una effusione
mirabile, che è essenziale per lui [il Calamo] e volontaria per Allah, sia Egli esaltato”. Va peraltro osservato
che la distinzione tra l’effusione santissima (al-fayḍ al-aqdas) e l’effusione santa (al-fayḍ al-muqaddas) non ricorre
mai nelle opere note di Ibn ʿArabī, che menziona solo due volte al-fayḍ al-aqdas, senza specificarne il significato, nel cap. 3 delle Futūḥāt [I 93.1] e nel cap. 1 dei Fuṣūṣ al-ḥikam, ed è riportata per la prima volta nelle opere
di al-Qāšānī.
86 Ibn ʿArabī si riferisce probabilmente ai filosofi che, come Avicenna ed Averroé, sostenevano che l’Atto
creativo divino era un’effusione non volontaria, contrapponendosi così alla dottrina teologica secondo cui
il Mondo è stato creato per mezzo della Volontà divina. Su questo argomento si può consultare lo studio di
Olga Lizzini, Fluxus (fayḍ). Indagine sui fondamenti della metafisica e della fisica di Avicenna, Edizioni di pagina, 2011.
87 Si tratta di un altro nome o volto del primo essere manifestato, come è stato affermato in precedenza.
88 L’insieme di Penna e Tavola custodita, o di Intelletto Primo e Anima Universale, è in certo senso il prototipo dell’insieme di Adamo ed Eva, cioè dell’androgino primordiale, che rappresenta l’Uomo Universale nello
stato umano. A questo proposito si può consultare René Guénon, Le symbolisme de la croix, Les Éditions Véga,
1979, a pag. 27 e 43. Nel cap. 10, dopo aver spiegato che il posto lasciato vuoto da Eva in Adamo fu occupato
dal desiderio di accoppiarsi con lei, Ibn ʿArabī afferma [I.30] che: “il motivo di questa separazione e dell’esistenziazione di questo primo essere separato [cioè Eva] fu la ricerca della familiarità con il simile nel genere ed
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le creature (kā’ināt), il vertice del Mondo del Comando (amr) dominicale (89), caratterizzato
dall’attribuzione dell’eminenza, lo straboccante ( fayyāḍ) la cui realtà essenziale non ammette
le scelte e gli accidenti, recettivo alle tramutazioni ma che non ammette gli accidenti, che
non è una materia e non la ammette (90), procedettero da essa [la Verità per cui ha luogo la
creazione] delle luci nobili e sottili che egli depose con una specie di avvicinamento (iqbāl)
in spiriti che corrispondono ad esse [luci] nella sottilità e nella nobiltà e fu così il Pleroma
supremo (al-malā’ al-aʿlā) (91), il Mondo del Comando e dell’assoggettamento (tasḫīr) (92), ma
dopo l’esistenziazione dell’Anima e del suo [dell’Anima] indirizzarsi (tawaǧǧuh) verso di esso
con una specie di congiungimento (iltiḥām) divino e di avvicinamento dominicale.
Questione [XII]: E quando questa Equità (93) ricevette le scienze a non finire con una
affinché nel mondo dei corpi vi fosse, per mezzo di questo congiungimento (iltiḥām) naturale umano, perfetto
nella forma e che Allah ha voluto, ciò che assomiglia al Calamo Supremo ed alla Tavola custodita, [insieme]
che viene indicato come l’Intelletto Primo e l’Anima Universale”.
89 Nel cap. 73, questione CLIII [II 129.27] Ibn ʿArabī precisa: “Il Mondo del Comando è ciò che è stato
esistenziato da Allah non in occasione di una causa seconda (sabab) contingente, ed il Mondo della Creazione (ḫalq) è ciò che Allah ha esistenziato in occasione di una causa seconda contingente”. Del Mondo del
Comando fanno parte gli Angeli perdutamente innamorati della Bellezza divina, o Cherubini, ed “essi non
conoscono loro stessi, né Colui di cui sono innamorati, né cosa li ha fatti innamorare, ed essi sono ebbri nella
perplessità” [cap. 154 (II 250.2)]. L’intelletto Primo era uno di loro, ma Allah lo velò dalla teofania della Bellezza ed esso, a differenza dei suoi compagni “ha scienza di se stesso, quindi ha scienza di Colui che gli ha dato
l’esistenza, quindi ha scienza del Mondo e quindi ha scienza dell’Uomo” [Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 202
dell’edizione citata] ed è per questo che fu denominato Intelletto primo, in quanto fu il primo essere dotato
di intendimento. L’Anima Universale o la Tavola custodita, essendo stata creata in occasione di una causa
seconda, che è l’Intelletto Primo, fa parte invece del Mondo della Creazione [cap. 198 (II 427.30)].
90 Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 202 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī in riferimento all’Intelletto Primo
afferma: “La prima cosa del Mondo degli intelletti reggitori (mudabbira) a cui Allah diede l’esistenza è una
sostanza semplice che non è una materia né è nella materia”.
91 Questa espressione ricorre due volte nel Corano, XXXVII-8 e XXXVIII-69, ed Ibn ʿArabī precisa che
essa indica tutto ciò che è stato prodotto dalla Luce, mentre il Pleroma più basso (asfal) indica tutto ciò che è
stato prodotto dalla Natura [cap. 387 (III 537.19)].
92 Gli Angeli assoggettati costituiscono la seconda categoria angelica o spirituale, dopo i Cherubini, ed essi
non sono assoggettati ad Allah, bensì all’Uomo, fine ultimo della creazione, conformemente al versetto: “Egli
ha assoggettato (saḫḫara) a voi tutto ciò che si trova nei Cieli e sulla Terra” (Cor. XLV-13). Anche l’Intelletto
Primo e l’Anima Universale sono assoggettati, pur facendo parte del Pleroma Supremo, in cui Ibn ʿArabī
include anche gli Angeli preposti (muqaddamūn) ai restanti Angeli asserviti, tra i quali menziona Gabriele,
Michele, Isrāf īl, Ismāʿīl, ʿAzāzīl e ʿAzrā’īl [cap. 73 (II 13.2) e 303 (III 14.1)].
93 Il termine ʿadl, che è anche un Nome divino, è generalmente tradotto come Equità ed Ibn ʿArabī spesso
lo associa alla Bilancia, ma il senso originario del termine è inclinazione (mayl), come viene precisato nel cap.
558 [IV 236.35]: “L’equità è l’inclinazione e l’inclinazione è identica alla rettitudine (istiqāma) riguardo a ciò
per cui la rettitudine non può che essere l’inclinazione. Il giudice equo non giudica se non tra due [parti], ed è
inevitabile che sia equo nel giudizio con chi detiene il diritto, e quindi necessariamente è incline verso uno e si
allontana dall’altro. La rettitudine non è ciò che si immaginano gli uomini: i rami di un albero si intrecciano
gli uni con gli altri, ma tutti sono retti in quella stessa deviazione ed inclinazione, poiché essi procedono per
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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accettazione essenziale si manifestò con la forma della ricchezza (ginā) (94) e le fu nascosta la
dipendenza (iftiqār) dalla Presenza divina che era necessaria per essa [Equità], poiché il ricco
non ha accesso ad essa [Presenza] (95), per via dell’Essenza che implica ciò [la ricchezza] e
per il regime della gelosia (gayra) [divina] (96). Essa [Equità = Intelletto Primo] dunque si dedicò all’Anima con un amore angelico, un’autorità suprema ed un dominio massimo. Questo
Intelletto ha un’effusione essenziale ed un’effusione volontaria, così come ha un’accettazione
essenziale ed un’accettazione volontaria, ed è così per tutti gli esseri.
Non c’è nessuno degli esseri prodotti da una causa mediata (sabab) che non abbia due volti: un
volto con cui sta di fronte alla sua causa mediata e prende da essa, e nella causa mediata si
manifesta una potenza per la sua [dell’essere] dipendenza da essa tramite questo volto, ed un
altro volto con cui [l’essere] sta di fronte al suo Produttore, quanto è Potente e Magnificente.
Talvolta i regimi divini gli arrivano per via della sua causa mediata e per mezzo di essa, e
talvolta Egli lo chiama dal volto specifico (al-waǧh al-ḫāṣṣ) per Lui, e quando lo chiama dal
volto specifico per Lui non resta alla causa mediata alcun potere su di lui ed essa non sa dove
andare, ed è governata dall’abbassamento e dalla dipendenza verso Allah, sia Egli esaltato,
ed ha luogo per essa la teofania.
il regime della materia secondo il loro andamento naturale”. Nella sua Risālat ad-durra al-bayḍā’, a pag 136 del
Vol. II delle Rasā’il, al-Intišār al-ʿarabī, Beirut, 2001, Ibn ʿArabī, riferendosi all’Intelletto Primo, afferma: “fu
il primo a ricevere la forma dell’equità poiché si allontanò dalla sua Anima per accostarsi al suo Produttore,
sia Egli esaltato”, affermazione che riassume quanto viene riportato nel seguito del testo.
94 Il termine ginā indica l’assenza di bisogno, il poter fare a meno di qualsiasi cosa, e si contrappone così a faqr,
che indica l’avere bisogno di ogni cosa, così come la ricchezza si contrappone alla povertà. In senso traslato
ginā indica l’indipendenza, ed essa è propria dell’Essenza mentre le creature sono caratterizzate dalla povertà
e dalla dipendenza: “Voi siete i poveri verso Allah ed Allah è il Ricco, il Lodato” (Cor. XXXV-15).
95 Nel cap. 163 [II 265.3] Ibn ʿArabī afferma: “Sappi che la ricchezza, anche se è per Allah, e la potenza,
anche se è per Allah, sono due attributi con cui non si addice che il servitore entri da Allah, sia Egli esaltato,
anche se egli li possiede per Allah; è necessario che egli li abbandoni ed entri povero ed umile. Il significato
dell’entrare (duḫūl) è l’indirizzamento verso Allah: egli non si indirizza ad Allah con la sua ricchezza avuta
da Lui né con la sua potenza avuta da Lui, ma si indirizza ad Allah con il suo abbassamento ed il suo stato
di dipendenza. Invero la Presenza del Vero è dotata intrinsecamente di gelosia e non ammette né potente né
ricco”. Nel Vangelo di Matteo, XIX-24, è riportata la frase: “È più facile che un cammello passi attraverso la
cruna dell’ago che un ricco entri nel Regno di Dio”.
96 La gelosia divina ricorre in uno ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, LXVII-107, LXXXVI-40, XCVII-20, Muslim, XIX-16 e 17, ad-Dārimī, XI-37, e da Ibn Hanbal, II-326: “Certo Saʿd è geloso, ma io sono più geloso di
lui ed Allah è più geloso di me e per la Sua gelosia ha vietato le turpitudini”, ḥadīṯ che Ibn ʿArabī menziona
nei capitoli 73 [II 10.6 e 131.17], 178 [II 358.12], 558 [IV 321.35] e 560 [IV 495.22]. Nel cap. 162 [II 263.22]
egli precisa: “Nel versetto che riferisce il Suo detto: “Voi siete i poveri verso Allah” (Cor.XXXV-15), Allah Si
è denominato per noi con il nome di tutto ciò di cui si ha bisogno, per gelosia da parte Sua che si possa avere
bisogno di altri che Lui”.
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Ed Allah, Gloria a Lui, prese l’Anima e la chiamò dal volto specifico e l’Intelletto [che era la
sua causa mediata] la perse quanto all’effusione volontaria – e non ammette l’effusione volontaria se non l’accettazione volontaria – e l’Intelletto ritornò ad essere dipendente da Colui che
gli aveva dato l’esistenza, e trovò la porta chiusa di fronte a lui quanto al Nome specifico per
lui (97), e trovò il Nome “il Santissimo (quddūs)” (98) con cui il Vero lo governava e si sottomise
alla Sua autorità affinché il Suo effetto si manifestasse in lui e quando Esso lo ornò, in quel
momento entrò e si mise al servizio del tappeto della Presenza e fu dipendente [o: divenne
povero]: questo è ciò che era voluto (99).
E poiché ogni essere (mawǧūd) al di fuori del Vero, sia Egli esaltato, ha un volto verso di Lui,
sia Gloria a Lui, è possibile che sia qualificato dalla povertà e dalla ricchezza [o dalla dipendenza e dall’indipendenza]: dalla povertà quando volge il suo volto verso di Lui, e dalla
ricchezza quando volge il suo volto verso l’essere contingente (kawn) ed ha realizzato il volto
del Vero che c’è in esso, ma quando trascura la realizzazione di questo volto e la visione
attestante di quest’entità non c’è modo che la ricchezza arrivi a lui ed è un puro povero (100).
97 A mia conoscenza non ci sono punti dell’opera di Ibn ʿArabī in cui venga precisato quale sia il Nome specifico per l’Intelletto Primo. Nel cap. 198 [II 421.21] egli afferma: “Allah, sia Egli esaltato, ha detto: “Inventore
[o Creatore ex-novo] (badīʿ) dei Cieli e della Terra” (Cor.II-117 e VI-101), in quanto entrambi non sono stati
creati secondo un modello preesistente. La prima cosa che Allah ha creato è l’Intelletto, cioè il Calamo, ed
esso è la prima cosa prodotta ex-novo da parte di Allah, sia Egli esaltato. Ogni cosa creata senza un modello
è creata ex-novo (mubdaʿ) ed il suo Creatore è il suo Inventore (mubdiʿ)”.
98 Nel cap. 68 [I 381.31] Ibn ʿArabī afferma: “La vita, per la sua essenza è pura e purificata, e tutto ciò che è
altro che Allah è vivo e quindi tutto ciò che è altro che Allah è puro all’origine, e con il Suo Nome “il Santissimo” ha creato tutto il Mondo” e nel cap. 70 [I 559.25] aggiunge: “Invero tra i Suoi Nomi l’origine (aṣl) da cui
si manifestano le cose è il Nome “il Santissimo”, ed Egli è Colui che è puro per la Sua Essenza dall’impurità
delle cose create”.
99 Nel Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, a pag 202 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī afferma: “Questo Intelletto non cessa
di oscillare tra l’avanzare ed il retrocedere: esso avanza verso il suo Produttore per apprendere ed Egli Si manifesta a lui e svela nella sua essenza parte di come egli è, ed esso sa del suo Produttore nella misura di quanto
sa di se stesso, e la sua scienza della sua essenza non ha fine, e quindi la sua scienza del suo Signore non ha
fine: la via della sua scienza di sé sono le teofanie, e la via della sua scienza del suo Signore è la sua scienza di
sé. Poi avanza verso chi è più in basso di lui per insegnare, e così perpetuamente in continuo accrescimento.
Esso è il povero-ricco, il potente-abbassato, il servitore-signore, ed il Vero non cessa di ispirargli la ricerca
delle teofanie per ottenere le conoscenze, e per l’assidersi di questo Nome su di lui esso è uno dei Troni”.
100 Nel Libro delle risposte arabe, a pag. 250 della traduzione pubblicata sulla rivista El Azufre Rojo, N. 7, 2020,
Ibn ʿArabī afferma: “Tutte le creature sono povere nei confronti di Allah, sia Egli esaltato, a meno che esse
non siano colte da stati psichici accidentali dipendenti dai sentori della Potenza (ʿizza) divina, nella misura
di quanto hanno ottenuto della Forma divina su cui sono state create. Ogni uomo prova nella sua anima dei
momenti di potenza e di elevatezza, senza conoscerne il motivo, e ciò non dipende se non in modo particolare
dal suo essere secondo la Forma divina. […] Il sapiente è distolto dalla sua ricchezza per Allah a causa della
sua povertà verso Allah e ciò è preferibile per lui. […] Allah, sia Egli esaltato, ha detto: “O uomini, voi siete
i poveri verso Allah ed Allah è il Ricco, il Lodato” (Cor. XXXV-15), e questo servitore è tra le creature più
povere verso Allah, cioè quelle che meno contemplano la loro ricchezza per Allah e la loro potenza per Allah,
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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Questione [XIII]: Da questo volto nascosto (101) si manifestarono gli effetti da parte di tutti
gli esseri, siano essi alti o bassi, semplici o composti, animali, vegetali e minerali; poi si diversificarono le modalità di produzione degli effetti (102): vi è un effetto che è collegato con una
volontà, una decisione, un’intenzione, e vi è un effetto che è implicito nell’essenza di ciò che
ha effetto senza essere collegato con una volontà, come l’efficacia delle medicine purgative
ed astringenti, ed altre cose simili. Vi è ciò il cui effetto è sensibile e psichico e vi sono effetti
che sono nell’anima, e se quest’effetto richiama un movimento sensibile questo movimento è
un effetto dell’anima per il sussistere di un altro effetto esistente in essa: come un uomo che
vede lungo il suo cammino un dinaro e sa che il dinaro ha un effetto sulla sua anima e se
quell’effetto diventa intenso l’anima muove il corpo per prenderlo. Quindi il moto originario
a cui si riferisce il Suo detto: “La Potenza appartiene ad Allah, al Suo Inviato ed ai credenti” (Cor. LXIII-8),
nobilitandolo in quello. La sua povertà è identica alla sua indipendenza dal Mondo, e quindi il suo essere
correlato e qualificato con la povertà, che è la radice primaria, è preferibile per lui del suo essere qualificato
e correlato con la ricchezza per Allah, che è il ramo secondario, e bisogna basarsi sulle realtà essenziali e
primarie e non sugli accidenti occasionali e secondari”.
101 Si tratta del volto specifico che il Vero ha in ogni essere e che non appartiene ad altri che lui [cap. 198 (II
423.3)]; questo volto non fa parte del Mondo della Creazione, bensì del Mondo del Comando [cap. 70 (I 599.6)
e cap. 480 (IV 116.22)] e tramite esso Allah dona la scienza a chi vuole dei Suoi servitori, ma solo la gente di
Allah ha conoscenza di esso [cap. 480 (IV 116.23)]. Nel cap. 72 [I 720.33] Ibn ʿArabī afferma: “Per quanto
ne sappia non ho visto nessuno di coloro che ci hanno preceduto, né dei nostri contemporanei, che abbia
richiamato l’attenzione sull’affermazione di questo volto specifico in ogni cosa possibile, anche se essi non lo
ignoravano”, nel cap. 167 [II 273.27] aggiunge: “La scienza di questo volto è la scienza dell’elisir nell’alchimia naturale. Si tratta dell’elisir dei conoscitori, e io non ho mai visto nessuno, oltre a me, che abbia attirato
l’attenzione su di esso, e se non avessi ricevuto l’ordine di dare il buon consiglio a questa comunità, anzi ai
servitori di Allah, non ne avrei parlato”, e nel cap. 396 [III 559.8] precisa: “Per quanto ne sappiamo nessuno
ha richiamato l’attenzione su questo volto e su ciò che viene generato da esso nel cuore di colui che si è ritirato
nella Sua contemplazione, salvo Abū Bakr, il confessore [nella sua affermazione: “Non ho visto nessuna cosa
senza vedere Allah prima di essa”]”.
102 Il termine aṯar significa letteralmente traccia, vestigio, impronta, marchio e segno, ed in senso figurato
effetto, influsso, influenza. Nella questione X Ibn ʿArabī ha affermato che sono i Nomi e gli Attributi della Divinità a richiedere gli effetti e l’esistenza di tutto ciò che è altro che essi, e nel cap. 212 [II 500.18] afferma che:
“Il Mondo è l’effetto [o la traccia] dei Suoi Nomi”. Nel cap. 131 [II 216.10] aggiunge: “L’alto, il basso e l’intermedio, le cose diverse e quelle concordanti, i tipi di esseri esistenti, i loro generi, le loro specie, i loro individui,
i loro stati ed i loro regimi, tutto ciò si manifestò in un’Entità Unica. In Essa si differenziarono le forme (aškāl)
e si manifestarono i Nomi del Vero e furono essi ad avere effetto in ciò che si manifestava nell’esistenza, per la
gelosia che quegli effetti fossero attribuiti alle entità delle possibilità su Colui che si manifestava in esse. Poiché
quegli effetti appartengono ai Nomi divini - ed il Nome è Colui che è nominato - non c’è nulla nell’esistenza
se non Allah” e nel cap. 323 [III 85.8] precisa: “[…] è solo il Vero a generare tutte le opere che si manifestano
tramite le creature, e la creatura non ha alcun effetto in esse per quanto riguarda la loro genesi, anche se in
esse la creatura ha un regime, non un effetto, ma gli uomini non distinguono tra l’effetto e il regime. Quando
Allah vuole far esistere un moto o un significato delle cose la cui esistenza non è possibile se non in substrati,
in quanto esse non sussistono per se stesse ed è quindi indispensabile l’esistenza di un supporto (maḥall) in cui si
manifesti la genesi di ciò che non sussiste per se stesso, il supporto ha un regime nell’esistenziazione di questa
possibilità, ma non ha alcun effetto in essa: questa è la differenza tra l’effetto ed il regime”.
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appartiene al dinaro ed i moventi per esso sono di diversi tipi: vi è il movente della natura in
questo [moto] per la preziosità sostanziale del dinaro e per la specificità dell’oro; il movente
della gente comune che ha bisogno di esso senza considerarne la sostanza; il movente degli
asceti sinceri che si fanno scrupolo per il Nome di Allah inciso in esso; i moventi di coloro
che hanno realizzato, per tutto ciò che precede e per altro ancora (103). E poiché la sede di
questi moventi è l’anima, in queste faccende è l’anima quella che ha effetto per se stessa, ma
un simile effetto non si manifesta da essa se non per l’esistenza di queste entità esteriori.
Questione [XIV]: E per mezzo di questo volto che abbiamo menzionato non c’è effetto che
non appartenga alla Divinità, poiché per mezzo di esso si manifestano questi effetti da parte
di tutti gli esseri nei riguardi degli [altri] esseri. “Ed il tuo Signore ha decretato (qaḍā) che
voi non adorerete altro che Lui” (Cor. XVII-23) (104) con un Decreto autentico, “ed il vostro
Dio è un solo Dio” (Cor. II-163) (105), e se non ci fossero questa minuta propagazione, il velo
tenue e stupefacente ed il segreto più nascosto, la Divinità non sarebbe adorata negli Angeli,
negli astri, nelle sfere celesti, negli elementi, negli animali, nei vegetali, nei minerali e negli
uomini, poiché è la Divinità ad essere adorata dagli esseri, ed essi si sbagliano nell’attribuzione rispetto ad un volto (106), nient’altro, ma in questo volto vi è [per loro] l’infelicità perpetua.
Colui che realizza ha realizzato questo volto, e l’errore [di coloro che non hanno realizzato]
ha luogo dal lato della ragione, non dal lato del regime, poiché lo sguardo divino è maggiormente fissato su questi esseri adorati che sugli altri ed Egli ha collegato a loro gli effetti [pur
appartenendo questi alla Divinità], ed essi si manifestano presso di loro, al fine di sviare chi
Egli vuole e di guidare chi Egli vuole.
103 Lo stesso atto, che è l’effetto di un Nome divino e quindi di Colui che è nominato, può avere moventi
diversi, che corrispondono ai regimi del brano citato alla fine della nota precedente. Nel cap. 417 [IV 23.29]
Ibn ʿArabī afferma: “Tra coloro a cui spetta ad Allah dare la ricompensa è colui che compie l’Egira e che
muore prima di arrivare alla dimora verso cui emigrava. La sua ricompensa spetta ad Allah in misura del
movente che lo ha spinto ad emigrare, ed a questo proposito gli uomini hanno ranghi diversi. […] Al-Buḫārī
ha riportato da parte di ʿUmar ibn al-Ḫaṭṭāb, Allah sia soddisfatto di lui, che l’Inviato di Allah, che Allah
faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, ha detto: “Le opere valgono solo per le intenzioni ed ognuno
riceverà secondo la sua intenzione. Chi ha compiuto l’Egira per Allah e per il Suo Inviato, la sua Egira è stata
verso Allah ed il Suo Inviato, mentre chi ha compiuto l’Egira per ottenere delle ricchezze o per trovare una
donna da sposare, la sua Egira è stata verso ciò per cui è emigrato”.
104 Nel cap. 68 [I 366.15] e nel cap. 331 [IV 117.8] Ibn ʿArabī precisa che il verbo qaḍā non ha il senso di
comando (amr), bensì quello di decreto, sentenza (ḥukm).
105 Nel cap. 379 [III 494.28] Ibn ʿArabī afferma: “Il Dio è ciò che è adorato”, il che implica che qualsiasi cosa
venga adorata è Dio per colui che la adora; quindi questo versetto può essere inteso in senso descrittivo e non
prescrittivo, cioè “il vostro Dio – quale che esso sia – è un solo Dio”.
106 Nel cap. 355 [III 248.9] Ibn ʿArabī afferma: “Non è quindi adorato se non Allah, anche se essi sbagliano
nell’attribuzione, poiché Allah ha in ogni cosa un volto specifico”.
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Può succedere che un gruppo si innalzi dalla prospettiva di attribuire la Divinità in modo
assoluto ad essi [esseri adorati] e scorga il volto nascosto e dica: “Noi non li adoriamo se
non per avvicinarci di più ad Allah” (Cor. XXXIX-3) (107) e li prendono come ciambellani e
ministri (108) – cerchiamo rifugio in Allah – ma esso è più simile al primo [gruppo, cioè agli
idolatri].
Se questo gruppo vedesse lui stesso questo volto non adorerebbe la Divinità in un essere esteriore ad Essa, bensì adorerebbe la Divinità stessa, ma anche con la sua realizzazione di Essa
(109) ed il suo attenersi alla sua incapacità, alla sua insufficienza (110) ed alla sua caducità (itlāf )
(111) ciò non è possibile per esso [gruppo], e se gli apparisse ciò che abbiamo menzionato non
sarebbe caratterizzato dall’adorare una Divinità in un essere per se stesso.
Il sunto di ciò che abbiamo detto è che è la Divinità ad essere adorata in modo assoluto, non
gli esseri, e per questo ha detto: “ed il vostro Dio è un solo Dio” (Cor. II-163) (112), “Ed il tuo
Signore ha decretato che voi non adorerete altro che Lui” (Cor. XVII-23) ed il Suo Decreto
non può essere respinto. Chi arriva a conoscere i volti divini degli esseri non è assolutamente
possibile che sia asservito ad un essere e chi non li conosce e non li contempla è asservito
al volto del Vero nell’essere contingente, non all’essere, e in questa misura viene punito e gli
viene applicato il nome dell’associazione.
107 Costoro non sono idolatri puri ma credono anche in Allah, a cui associano però altri esseri oggetto di
adorazione credendo di potersi avvicinare a Lui tramite essi.
108 La stessa espressione ricorre nei capitoli 198 [II 418.10], 465 [IV 91.27] e 473 [IV 106.27].
109 Non si tratta della realizzazione del volto nascosto, che essi scorgono da lontano ma non vedono, bensì
della realizzazione della Divinità, testimoniata dal loro riferimento ad Allah.
110 Nel cap. 125 [II 208.14] Ibn ʿArabī precisa che “fa parte dell’adab con Allah l’attenersi [(wuqūf ) o il fermarsi] del servitore alla sua incapacità, povertà ed indigenza”.
111 Su questo termine vi è una grande divergenza tra i vari manoscritti, ad indicare che gli stessi copisti non
capivano bene di quale parola si trattasse.
112 Nel cap. 473, dedicato a questo versetto, Ibn ʿArabī precisa [IV 106.18]: “In questo versetto Allah, sia
Egli esaltato, si è rivolto ai musulmani ed a coloro che adorano altro che Allah per avvicinarsi a Lui, e quindi
non adorano se non Allah. E quando essi dissero: “Noi non li adoriamo se non per avvicinarci di più ad Allah” (Cor. XXXIX-3), affermandoLo e menzionando il motivo, Allah ci disse: “In verità il vostro Dio” (Cor.
XXXVII-4) ed il Dio a cui l’associatore cerca di avvicinarsi adorando ciò che ha associato a Lui “è uno” (Cor.
Ibidem), come se per voi non ci fosse divergenza riguardo alla Sua Unità. Ed Egli ha detto: “Ed il vostro Dio”,
mettendo insieme noi e loro “è un solo Dio” (Cor. II-163) ed essi non hanno associato se non a causa Sua, in
ciò che ha dato loro la loro considerazione. […] Essi non saranno puniti se non per avere fatto questo da loro
stessi e non perché ignorassero il rango di Allah in ciò”. Nel seguito del testo Ibn ʿArabī spiega che anche se è
vero che “dovunque vi volgiate là è il volto di Allah” (Cor. II 115) Allah non accetta la ṣalāt di chi si rivolge in
una direzione diversa da quella prescritta: allo stesso modo, anche se in ogni cosa vi è il volto del Vero, Egli
non accetta l’adorazione se non di Colui che ha ingiunto di adorare.
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Questione [XV]: Sappi che non c’è adorato che non scinda la sua responsabilità da colui
che lo adora, in questo mondo [senza che l’adoratore lo sappia], in quanto l’adoratore non
ascolta se non per la rottura del corso abituale delle cose, e nella dimora dell’aldilà in modo
scoperto. Egli, sia esaltato, ha detto: “Quando coloro che vengono seguiti scinderanno la loro
responsabilità da coloro che [li] seguono” (Cor. II-166) e per scindere la loro responsabilità
da essi diranno: “Essi di noi non hanno adorato altro che Te e noi non ci siamo sentiti adorati da loro per timore della punizione, ma sono loro che [ci] hanno annesso”, e verrà detto
loro: “Avete detto il vero, ma essi Ci hanno adorato in voi senza una valida visione interiore e
non come esigono le realtà essenziali e quindi Noi li puniamo con la cecità: “E chi è cieco in
questo [mondo] sarà cieco nell’aldilà ed ancora più sviato” (Cor. XVII-72). Essi sono esclusi
in questo modo dalla scienza in questo e nell’altro mondo, poi la punizione del Vero nei loro
riguardi sarà nel capitolo delle ingiustizie degli adoratori per avere forgiato delle menzogne
sulle creature attribuendo loro la Divinità, e la Sua punizione è un atto di giustizia per rispettare il diritto del prossimo [cioè l’essere che viene adorato] ed una punizione per l’ignorante
in quanto non ha cercato di sapere ed ha seguito la sua passione.
Invero Allah ci ha raccomandato l’indulgenza nei confronti dei diritti che ci riguardano (113)
e di non indulgere in ciò che riguarda il Suo diritto, ed Egli è più degno di questo attributo
[di indulgenza nei confronti di chi non rispetta il Suo diritto], e per questo l’associazione fa
parte delle ingiustizie dei servitori e non del diritto che Gli compete (114).
Tra gli esseri adorati vi è chi è beato e chi è dannato; colui che è beato è salvo e l’immagine
della sua forma che essi [gli associatori] hanno preso come oggetto di adorazione entrerà con
loro nel Fuoco infernale (115), e se non fosse per il Suo detto: “Egli [Allah] non sarà interrogato
113 Nel Kitāb al-amr al-muḥkam, a pag. 75 della traduzione pubblicata nel N. 11 di El Azufre Rojo, 2023, Ibn
ʿArabī afferma: “Essi [la gente della Via] biasimano la negligenza e non perdonano gli errori per i quali la
Legge non prevede indulgenza, mentre sono indulgenti per ciò che attiene ai loro diritti ed a ciò che riguarda
loro individualmente. Tra le condizioni della gente di questa Via vi è quella di rispettare il diritto degli altri
nei loro confronti e di non reclamare il loro diritto da parte degli altri”.
114 Nel cap. 72 [I 725.1] Ibn ʿArabī afferma: “Non vedi, nel caso del socio che viene annesso dall’associatore
ad Allah, sia Egli esaltato, come Allah non perdonerà questa ingiustizia? Essa fa parte dei diritti dell’altro,
non del diritto di Allah, poiché quando un servitore trascura uno dei diritti che Allah ha su di lui, per la Sua
Generosità Allah lo perdona, in quanto la negligenza fa parte della sua realtà essenziale […] Nel Giorno della
Resurrezione il socio, sia esso un astro, un vegetale, un animale, una pietra o un uomo, dirà: “O mio Signore,
interroga colui che ha fatto di me un Dio, qualificandomi con ciò che non mi si addice: puniscilo per me per
l’ingiustizia che ha commesso nei miei confronti” ed Allah punirà l’associatore per la sua ingiustizia”.
115 Nel cap. 331 [III 118.10] Ibn ʿArabī precisa: “Quando sarà il Giorno della Resurrezione e gli associatori
verranno fatti entrare nella dimora della dannazione, cioè la Ǧehenna, con loro verranno fatti entrare tutti
coloro che essi hanno adorato, salvo chi fa parte della gente del Paradiso e dei suoi abitanti, poiché essi non
entreranno con loro; ma entreranno con loro le immagini a cui essi hanno dato forma in questo mondo e che
hanno adorato perché simili a chi hanno creduto che fosse Dio. Essi [gli associatori] entreranno nel Fuoco
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riguardo a ciò che fa, ma essi saranno interrogati” (Cor. XXI-23) (116) vi sarebbe nel suo [ciò
che viene adorato] caso (qiṣṣa) ciò che viene detto (117) riguardo alla cessazione nell’aldilà degli
infernale per la punizione e la vendetta, mentre gli esseri adorati vi entreranno non per la vendetta, poiché
non hanno asserito di essere Dio, e neppure le immagini, bensì verranno fatti entrare [nel Fuoco infernale]
solo per dispetto nei confronti di coloro che li hanno adorati, ed Allah tormenterà questi ultimi con la loro
visione di essi, affinché sappiano che essi non sono stati di alcuna utilità per loro nei confronti di Allah, non
essendo degli Dei come loro asserivano. Egli, sia esaltato, ha detto: “Voi e ciò che avete adorato al di fuori di
Allah sarete legna da ardere nella Ǧehenna ed è lì che arriverete” (Cor. XXI-98), ed ha detto: “Ed il suo combustibile saranno gli uomini e le pietre” (Cor. II-24) e: “Se fossero stati degli Dei essi non sarebbero arrivati
lì” (Cor. XXI-99). Quanto a coloro della gente della beatitudine che sono stati adorati, come Muḥammad e
Gesù, su di loro la ṣalāt e la Pace, i Califfi dopo di lui, e coloro che abbiamo menzionato tra quelli che hanno
asserito [di essere Dio] per sobrietà [come Abū Yazīd] ed ebbrezza [come al-Ḥallāǧ] Egli ha detto: “Certo
coloro che hanno già ricevuto da Noi le cose più belle saranno lontani da essa [Ǧehenna]. Essi non sentiranno
alcun suono di essa e soggiorneranno in ciò che hanno desiderato” (Cor. XXI-101 e 102)”.
116 Nel cap. 69 [I 405.9] Ibn ʿArabī afferma: “La trasposizione simbolica della fissazione della qibla è l’escludere al servitore la scelta. La sua radice (aṣl) e la radice di tutto ciò che è altro che Allah è la costrizione (iḍṭirār)
e la coercizione (iǧbār): persino nella sua scelta il servitore è costretto. E sebbene Allah sia Agente e scelga, per
via del Suo detto: “ed Egli sceglie” (Cor. XXVIII-68) e del Suo detto: “e se avessimo voluto” (Cor. VII-176),
Egli non fa se non ciò che sa, ed il cambiamento della Scienza è impossibile. Egli, sia esaltato, ha detto: “La
Parola non cambia presso di Me ed Io non sono ingiusto con i servitori” (Cor. L-29), ed ha detto: “e ad Allah
spetta l’argomento decisivo” (Cor. VI-149). Non ho visto nessuno che abbia compreso questo detto divino: il
suo significato è estremamente chiaro e tuttavia per l’intensità della sua chiarezza è nascosto. Noi ne abbiamo
parlato in questo libro e lo abbiamo spiegato: esso è il segreto del destino. Chi comprende questa questione non
si oppone ad Allah in nulla di ciò che Egli decreta e fa accadere ai Suoi servitori, in essi e da essi. Per questo ha
detto: “Egli non sarà interrogato riguardo a ciò che fa, ma essi saranno interrogati” (Cor. XXI-23). Se tu fossi
intelligente avresti capito da Allah: questo versetto ti sarebbe bastato per lo scopo”, e nel cap. 558 [IV 240.4]
aggiunge: “Se fosse come se l’immaginano gli uomini e chi non ha scienza del segreto del destino, [il servitore]
direbbe: “Se Allah mi desse la possibilità di argomentare direi: “Sei Tu che hai fatto””, come disse Abū Yazīd,
ma Egli ha detto: “Egli non sarà interrogato riguardo a ciò che fa, ma essi saranno interrogati” (Cor. XXI23), ed ha sbarrato la porta. Un simile discorso non può che venire da chi è ignorante della faccenda, ma “ad
Allah spetta l’argomento decisivo” (Cor. VI-149), nel Suo detto: “Egli non sarà interrogato riguardo a ciò che
fa”, poiché Egli non ha fatto di Sua iniziativa, ma ha fatto per te solo ciò che tu sei nella tua immutabilità, e
per questo ha detto: “ma essi saranno interrogati”.
117 Su questa frase vi è divergenza tra i manoscritti: in due di essi si legge la-kāna fī qiṣṣati-hi mā yuqālu, ed
in terzo [Fatih 5322] la-kāna fī qiṣṣati-hi mā qāla, corretto da una mano diversa in yuqālu; in altri due si legge
la-kāna fī qaḍiyya mā qāla e nei restanti sei, tutti posteriori di alcuni secoli, la-kāna fī qaḍiyya mā maqāl. I termini
qiṣṣa e qaḍiyya hanno alcuni significati in comune, come caso, avvenimento e causa in giudizio, ma il primo ha
in particolare il senso di racconto, narrazione, mentre il secondo quello di giudizio in senso logico. Vi è poi
il problema del soggetto del pronome in qiṣṣati-hi e del verbo qāla nelle versioni che riportano questi termini,
soggetto che potrebbe essere il Vero o ciò che viene adorato, e di quale delle due parti del versetto coranico
riportato immediatamente prima come ipotesi irrealizzabile la frase in questione costituisce l’apodosi, cioè
se si tratta del fatto che Egli non sarà interrogato, nel qual caso l’apodosi riporta una Sua ipotetica risposta o
una questione rivolta a Lui, oppure del fatto che gli esseri saranno interrogati, nel qual caso l’apodosi riporta
un fatto che supplisce all’interrogazione. Non essendo riuscito a trovare una risposta certa a tutti questi quesiti
ho adottato la versione del manoscritto più affidabile [Fatih 5322] e tentato una traduzione che fosse coerente
con il resto del testo e con altri passi di Ibn ʿArabī: ho quindi considerato che nell’ipotesi che gli esseri non
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effetti divini in colui che viene adorato (118), poiché essi [gli associatori] non hanno adorato se
non Colui che fa ( fāʿil) e che ha effetto (119), e qui vi sono oceani insondabili.
Questione [XVI]: La Divinità comporta che nel Mondo vi sia chi è messo alla prova e chi
sta bene, e la cessazione dall’esistenza in esso del [Nome] “Colui che Si vendica (al-muntaqim)”
non è meglio [della cessazione] del suo contrario (120); se uno dei Nomi rimanesse senza regime e senza effetto ciò che comporta per Esso [Nome] il regime sarebbe inoperante (muʿaṭṭal)
e ciò è impossibile (121).
vengano interrogati e non vi sia quindi la scissione di responsabilità da parte di ciò che viene adorato al di
fuori di Allah, la cessazione in esso degli effetti divini sia una prova che non si tratta di un Dio associato e che
gli associatori, senza saperlo, non hanno adorato altri che Allah.
118 Nel cap. 67 [I 328.15], commentando il versetto “Ed il tuo Signore ha decretato che voi non adorerete altro che Lui” (Cor. XVII-23), Ibn ʿArabī afferma: “Per questo il Vero è geloso di questa qualità [la Divinità] e li
punisce in questo mondo se non hanno venerazione di Essa, ed Egli provvede al loro sostentamento ed ascolta
le loro preghiere e risponde loro quando essi invocano il loro Dio ritenuto tale, poiché Egli, sia glorificato, sa
che essi non fanno ricorso se non a questo Grado [la Divinità], anche se sbagliano nell’attribuzione e saranno
dannati nell’aldilà”, e nel cap. 292 [II 661.26] aggiunge: “Gli idoli sono dei supporti di manifestazione per
Lui, secondo ciò che credono i miscredenti, ed essi applicano loro il nome di Dio, e non adorano se non Dio,
che è ciò che quel supporto di manifestazione sta ad indicare. Ed Egli [Allah] soddisfa i loro bisogni, dà loro
da bere e li punisce se non venerano questo Lato divino in questa forma minerale. Ed essi sono i dannati,
anche se hanno colto nel segno, poiché non hanno adorato se non Allah”. Ciò spiega l’affermazione, riportata
nella questione precedente, secondo cui “lo sguardo divino è maggiormente fissato su questi esseri adorati che
sugli altri ed Egli ha collegato a loro gli effetti [pur appartenendo questi alla Divinità], ed essi si manifestano
presso di loro, al fine di sviare chi Egli vuole e di guidare chi Egli vuole”. Nel Corano è affermato più volte che
gli Dei associati non giovano e non danneggiano [X-18 e 106, XXI-66, XXII-12, XXV-55], e quindi l’apparente giovamento che ne ricavano gli associatori è solo dovuto agli effetti divini che si manifestano negli esseri
che vengono adorati, ma nel Giorno della Resurrezione questi effetti a favore degli associatori cesseranno e
sarà palese anche a loro che quelli che hanno adorato come Dei non sono mai stati tali.
119 Nel cap. 366 [III 328.28] riferendosi agli associatori Ibn ʿArabī afferma: “Quando videro che Allah fa di
Sua iniziativa [cioè direttamente] e fa per mezzo degli strumenti, essi fecero del socio una sorta di ministro,
assegnato alla manifestazione di alcuni degli Atti che avvengono nell’esistenza, e quando Allah venne menzionato [dal Profeta] da solo essi ritennero che costui non rispettasse la realtà come dovuto, in quanto sapevano
della dipendenza di alcuni Atti dall’esistenza di certe creature. Ciò di cui essi erano testimoni non sono che
gli Atti divini che avvengono nell’esistenza per mezzo delle cause create, ed essi non accettarono l’affermazione dell’Unità degli Atti, in quanto non la contemplavano; e se l’avessero accettata avrebbero soppresso la
saggezza di Allah nelle cause seconde, che Egli ha posto sia in alto che in basso. Questo è ciò che li conduce
alla repulsione [allorquando Allah viene menzionato da solo] ed alla mancanza di equità ed Allah li ha biasimati, preferendo a loro i credenti che invece considerano che non ci sia agente ( fāʿil) al di fuori di Allah e
che il potere contingente e le realtà che dipendono dalle cause mediate non abbiano alcun effetto sull’Atto”.
120 In tutti i manoscritti consultati si legge: “altrimenti (wa illā) la cessazione dall’esistenza in esso del [Nome]
“Colui che Si vendica” non sarebbe meglio [della cessazione] del suo contrario”, affermazione che è in contrasto con quanto Ibn ʿArabī ha scritto di suo pugno nella Introduzione delle Futūḥāt [I 42.6] e che ho riportato
nella traduzione, ritenendo il wa-illā un errore dei copisti.
121 Nel cap. 17 [I 162.11] Ibn ʿArabī afferma: “Forse che le realtà essenziali comportano che uno possa restare per due attimi in uno stesso stato (ḥāl), sì che l’Atto della Divinità sia inoperante nei suoi confronti? Ciò è
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In tutte le possibilità i Nomi divini che hanno effetto sono bilanciati (122) e quanto a ciò che
va al di là di questi Nomi che hanno effetto tra i Nomi dell’Essenza, noi di essi non abbiamo
a disposizione nulla se non ciò che è riconducibile alle negazioni, agli Attributi estrinseci
(nuʿūt) ed alcuni Nomi di perfezione (123), come la Vista e l’Udito, e questi non hanno alcuna
connessione con le possibilità per quanto riguarda l’effetto. Comprendi dunque ciò.
Questione [XVII]: Mi sono stupito di un gruppo che ha trasceso il suo limite ed oltrepassato il suo confine ritenendo di essere più a conoscenza di Allah di quanto lo sia Allah stesso e
dicendo: “Cerco rifugio in Allah dalla comparabilità (tašbīh)”, ed un altro [gruppo] dicendo:
“Cerco rifugio in Allah da un’incomparabilità [(tanzīḥ) o affermazione di trascendenza] che
porta ad una negazione degli Attributi (taʿṭīl)” in contrapposizione a colui che cerca rifu-
inconcepibile”, e nel cap. 92 [II 117.10] aggiunge: “Uno dei nostri compagni incontrò durante un suo viaggio
uno dei Sostituti e cominciò a parlargli del preoccupante stato di corruzione dei costumi degli uomini, in particolare dei re, dei ministri e dei sudditi, al che il Sostituto si incollerì e gli disse: «Cosa c’entri tu con i servi di
Allah? Non intrometterti tra il Signore ed il Suo servitore! Invero la Misericordia, il Perdono e la Benevolenza
sono alla ricerca di costoro: vuoi forse che il regime della Divinità resti inoperante? Pensa a te stesso e tralascia
queste cose e che il tuo sguardo si rivolga verso di Lui, sia Egli esaltato, e la tua occupazione sia con Allah»”.
122 Nel cap. 344 [III 175.35] Ibn ʿArabī afferma: “Sappi che il bilanciamento (muwāzana), in virtù dell’equilibrio [che comporta], è intelligibile ma non ha un regime esistente, in quanto se avesse un regime l’esistenziazione non avrebbe luogo. Il regime del bilanciamento è l’equilibrio e l’equilibrio si contrappone all’inclinazione e non c’è esistenziazione se non per l’inclinazione […] Nel possibile i due aspetti [l’esistenza e la
non-esistenza] sono alla pari ed Allah non gli ha dato l’esistenza se non dando la preponderanza [ad uno di
essi]. Poi Allah ha menzionato lo stato in cui si trovava in assenza del Mondo, ed ha menzionato di aver desiderato di essere conosciuto, dando la preponderanza al lato della conoscenza di Sé rispetto al suo contrario,
ed ha creato il Mondo dando la preponderanza al lato della scienza rispetto al suo contrario”. L’affermazione
che “in tutte le possibilità i Nomi divini che hanno effetto sono bilanciati” si riferisce dunque al loro stato
immutabile di non-manifestazione, mentre la loro manifestazione comporta una rottura di questo equilibrio.
123 Non c’è nell’opera di Ibn ʿArabī una classificazione univoca dei Nomi divini. Ad esempio, nel cap. 69 [I
463.20] afferma: “Vi sono Nomi che indicano l’Essenza e niente altro; Nomi che indicano Attributi di trascendenza (tanzīh); e Nomi che indicano Attributi riferiti agli Atti: non c’è un quarto grado”; nel cap. 176 [II
295.29] distingue cinque classi: i Nomi degli Atti, i Nomi degli Attributi intrinseci (ṣifāt), i Nomi degli Attributi estrinseci, i Nomi di trascendenza ed i Nomi dell’Essenza; nel cap. 177 [II 299.30] invece afferma: “I Nomi
divini sono ripartiti in quattro suddivisioni (aqsām): la prima indica l’Essenza ed è il Nome proprio, dal quale
non si comprende se non l’essenza di Colui che viene denominato; […] la seconda indica gli Attributi, ed essa
è a sua volta suddivisa in Nomi che indicano le entità di Attributi intelligibili la cui esistenza è possibile [cioè
gli Attributi intrinseci] e Nomi che indicano Attributi di relazione che non hanno esistenza nelle entità [cioè
gli Attributi estrinseci]; la terza indica gli Attributi degli Atti [o di azione] ed è suddivisa in Nomi espliciti e
Nomi impliciti; la quarta è condivisa (muštarik) ed indica ad esempio un Attributo d’azione per un aspetto ed
un Attributo di trascendenza per un altro”. Nel testo che stiamo traducendo Ibn ʿArabī distingue nell’ambito
dei Nomi, tutti riferiti all’Essenza, quelli che hanno effetto e quelli che non hanno effetto, pur avendo un
regime: i Nomi riconducibili alle negazioni sono i Nomi di trascendenza ed i Nomi di perfezione, espressione
che ricorre solo nel cap. 58 [I 290.8] in contrapposizione agli Attributi di Maestà (ǧalāl), sono gli Attributi
intrinseci, come precisa nel cap. 6 [I 118.35] parlando degli Attributi di perfezione.
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gio dalla comparabilità (124). Se [il primo gruppo] avesse dato alla scienza ciò che le spetta
avrebbe cercato rifugio dall’affermazione da parte del servitore dell’incomparabilità della
sua anima così come ha cercato rifugio dalla comparabilità ed avrebbe accettato la frase di
chi ha detto:
Ti sei manifestato a colui che hai fatto restare dopo la sua estinzione
e che è senza essere poiché sei Tu ad essere lui (125)
come avrebbe accettato la frase dell’altro che ha detto: “Gloria a me” e “Io sono Allah” (126)
ed altre espressioni simili. Questo anche se un gruppo aveva già accusato di miscredenza coloro che hanno detto queste parole ed un [altro] gruppo aveva interpretato queste loro parole
come aveva interpretato le notificazioni della comparabilità.
Il nostro discorso riguarda chi ha interpretato le notificazioni della comparabilità e non ha
interpretato queste parole: [questo gruppo] ha cercato rifugio dalla comparabilità, poi ha
124 Nella Introduzione delle Futūḥāt [I 43.31] Ibn ʿArabī precisa che questi due gruppi sono gli Ašʿāriti ed i
Corporalisti (muǧassima): mentre i primi evitavano la comparabilità o l’antropomorfismo mediante una interpretazione (ta’wīl), i secondi affermavano la natura corporea, anche se non umana, di Dio.
125 Nel cap. 2 [I 57.30] Ibn ʿArabī introduce questi versi con le seguenti considerazioni: “Vi è una grande
differenza tra un autore che dice: “Un tale, Allah abbia Misericordia di lui, mi ha riferito riguardo a un tale,
Allah abbia Misericordia di lui” ed uno che dice: “Il mio cuore mi ha riferito riguardo al mio Signore”. E se
già quest’ultimo è più elevato in rango, vi è tuttavia una grande differenza tra lui e chi dice: “Il mio Signore
mi ha riferito riguardo al mio Signore”, cioè “Il mio Signore mi ha riferito di Se stesso”. In ciò vi è una sottile
allusione: il primo è il Signore oggetto della credenza (al-muʿtaqad), il secondo è il Signore che non è soggetto
a limitazioni; [il primo] è con un intermediario [cioè il credo, il secondo] è senza intermediario [cioè diretto].
Questa è la scienza che si attualizza nel cuore per la contemplazione essenziale, e che da essa [contemplazione] straborda sul segreto (sirr), sullo spirito e sull’anima. Come si può conoscere il modo d’essere di colui
che attinge a questa fonte? Non lo potrai conoscere finché non conoscerai Allah, ed Egli, sia esaltato, non è
conoscibile sotto tutti gli aspetti, e così anche costui non è conoscibile. La ragione non sa dove egli sia, poiché
l’oggetto dell’intelligenza sono gli esseri (akwān), ma per costui non c’è essere, come è stato detto:….”. Gli stessi
versi sono riportati nel Kitāb al-azal, a pag. 165 della traduzione pubblicata nel N. IV di El Azufre Rojo, 2017,
nel Kitāb at-tadbīrāt al-ilāhiyya, a pag. 272 dell’edizione pubblicata dalla Ibn al-`Arabī Foundation, 2013, nel
Kitāb al-ḥuǧub, a pag. 129 dell’edizione pubblicata nel Vol. I delle Rasā’il, Ibn al-`Arabī Foundation, 2013, nel
Kitāb al-kutub, a pag. 364 delle Rasā’il pubblicate da Dār Ṣādir, 1997, e da Abū Ṭālib al-Makkī, nel suo Kitāb
qūt al qulūb, Vol. II, pag. 59, dell’edizione del Cairo dell’anno 1310 dall’Egira, ove sono attribuiti a al-Ǧunayd.
126 Queste frasi non sono affermazioni di trascendenza della propria anima, bensì di trascendenza dalla
propria anima, a cui il servitore è estinto. Nel cap. 407 [IV 11.16] Ibn ʿArabī afferma: “Non c’è nessuna delle
creature di Allah che dica “Io sono Allah”, se non l’Allah scritto nelle pergamene, che quando parla [tramite
la lingua del Suo servitore] dice: “Io sono Allah” […] Lo dice anche il servitore perfetto di cui il Vero è la lingua, l’udito, la vista, le facoltà e le membra, come Abū Yazīd ed altri simili a lui”. Ibn ʿArabī attribuisce questa
frase ad Abū Yazīd anche nei capitoli 50 [I 272.15], 331 [III 117.26] e 482 [IV 118.32], mentre non specifica
mai chi abbia detto “Gloria a Me”, se non implicitamente quando attribuisce le due frasi ad una stessa persona, come nel nostro testo e nei capitoli 52 [I 276.3] e 559 [IV 344.8]; nel cap. 558 [IV 262.20] attribuisce
però le due frasi a due persone diverse.
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affermato l’incomparabilità ed ha sviato le notificazioni [della comparabilità] da ciò che
comporta il loro senso esteriore senza cercare rifugio dall’affermazione dell’incomparabilità
nei riguardi delle creature (127), e poi ha affermato ciò che si addice al contingente volgendo
ciò che essi hanno detto addirsi per loro al Vero verso ciò che è conforme all’esistenza contingente, poiché le parole sono ricettacoli per le forme dei significati e quindi ammettono il
significato, due [significati] e più, e queste sono le parole condivise (muštarika) (128).
In questa questione l’incomparabilità non è meglio della comparabilità (129): le viste interiori
sono incapaci di percepire le oscurità dei segreti e ciò che comporta la Divinità.
Ciò che stupisce di più è che questo gruppo è fuggito dalla comparabilità verso la comparabilità ed ha fatto di ciò un’affermazione dell’incomparabilità, e coloro che sono intelligenti
hanno riso per la loro ignoranza in ciò che hanno apportato, poiché essi si sono allontanati
dalla comparabilità solo per dirigersi verso i significati contingenti che ci sono nelle loro
anime e quindi si sono spostati dai loro aspetti esteriori verso i significati contingenti che
sussistono in essi e sono fuggiti dalla comparabilità con loro [negli aspetti esteriori] verso la
comparabilità con loro [nei significati] ed hanno chiamato questo allontanamento incomparabilità (130). Quindi hanno affermato l’incomparabilità delle loro anime se le hanno riferite
ai significati divini, oppure hanno affermato la comparabilità del Vero se Lo riferiscono ai
significati dell’anima, ed al di fuori di ciò non arrivano.
127 Come verrà spiegato nel seguito, se per escludere la comparabilità dalle notificazioni divine che la indicano si traspongono queste dal loro senso esteriore ad un senso interiore corrispondente ad un significato o idea
presente nell’anima, implicitamente si afferma l’incomparabilità o la trascendenza dell’anima.
128 Si tratta di termini equivoci nel senso letterale della parola, cioè termini che possono significare diverse
cose, e coloro che affermano l’incomparabilità mediante la comparabilità attribuiscono ai termini usati nel
Corano e nelle notificazioni un significato superiore a quello immediato ed esteriore, come si vedrà nell’esempio riportato in una successiva nota.
129 Una chiara esposizione di queste due prospettive e del superamento della loro opposizione da parte di Ibn
ʿArabī si trova nel libro di William Chittick, The Sufi Path of Knowledge, SUNY Press, 1989, pag. 68-76.
130 Nel cap. 72 [I 681.20] Ibn ʿArabī afferma: “L’incomparabilità ha diversi gradi nella ragione: il più basso è l’affermazione dell’incomparabilità per mezzo della comparabilità, ed il più elevato presso la ragione è
l’affermazione dell’incomparabilità senza la comparabilità. Non c’è modo per la creatura di arrivare ad essa
se non facendone risalire la scienza ad Allah, sia Egli esaltato; l’incomparabilità senza comparabilità è anche riportata nella Legge, ma non si trova nella ragione. Il massimo a cui arriva la considerazione razionale
nell’affermazione dell’incomparabilità del Vero con l’assidersi (istiwā’), ad esempio, consiste nel passare dalla
spiegazione dell’assidersi corporeo sul Trono considerato come posto, all’affermazione dell’incomparabilità mediante la comparazione con l’assidersi del Sovrano temporale, cioè con l’impossessarsi del posto più
immenso e comprensivo, o del Regno. In questo modo la ragione non cessa di affermare l’incomparabilità
mediante la comparabilità, passando solo dalla comparabilità con una realtà contingente alla comparabilità
con una altra realtà contingente, superiore alla prima”.
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Se ritornassero alla sede della verifica (maḥall at-taḥqīq) [cioè alla Parola divina], poiché essi
hanno ricusato lo svelamento, e dicessero: “Il Vero, Gloria a Lui, ha stabilito per Se stesso
questi regimi nei Suoi Libri e mediante la lingua dei Suoi Inviati e dei Suoi messaggeri.
L’Essenza è ignorata da tutte le creature, cioè non è conosciuta, e questi sono per noi regimi
che appartengono all’Essenza, e l’ignoranza del regime è più comprensibile dell’ignoranza
dell’Essenza, poiché non è conosciuta la realtà essenziale della relazione di questo regime
con questa Essenza che è governata da esso finché Essa non è conosciuta in Se stessa, ma
poiché non c’è conoscenza di Essa, non c’é conoscenza della relazione dei regimi con Essa”,
non affermerebbero la comparabilità, né distinguerebbero il regime di incomparabilità per
se stesso, bensì lascerebbero la scienza di ciò a Chi ha descritto Se stesso con essi [regimi o
Attributi], cioè Allah, sia Egli esaltato (131).
È stato riportato che uno dei predecessori, essendo stato interrogato riguardo all’assidersi [divino] sul Trono, rispose: “L’assidersi è noto ma il come è ignorato; la fede in ciò è obbligatoria
ed il chiedere al riguardo è un’innovazione” (132). Noi e coloro che seguono la nostra Via, tra
131 Nel cap. 73 [II 3.28] Ibn ʿArabī afferma: “Sappi che il Vero, Gloria a Lui, quando i Suoi servitori Lo contemplano, ha due relazioni: una relazione di incomparabilità ed una relazione secondo la quale Egli discende
nell’immaginazione (ḫayāl) in una specie di comparabilità. La relazione di incomparabilità è la Sua teofania
in: “Non c’è cosa simile a Lui” (Cor. XLII-11), mentre l’altra relazione è la Sua teofania nel detto del Profeta,
che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace: “Adora Allah come se Lo vedessi” e nel suo altro detto: “Allah è nella direzione (qibla) di colui che fa la ṣalāt”, come pure nel versetto: “ovunque vi volgiate, là è il
volto di Allah” (Cor. II-115), ove “là” ( ṯamma) è un avverbio di luogo ed il volto di Allah è la Sua Essenza (ḏāt)
e la Sua realtà essenziale (ḥaqīqa). Così pure essa è menzionata negli aḥādīṯ e nei versetti pervenuti [a noi] con
termini che si applicano alle cose create, implicando con questi anche i loro significati propri, perché se ad essi
non si accompagnassero quei significati secondo cui sono intesi nel linguaggio comune non ci sarebbe vantaggio per colui a cui essi sono rivolti. Allah non vuole una spiegazione di ciò che voleva dire con essi che sia in
contrasto con quella lingua (lisān) in cui è discesa questa istruzione divina. Egli, sia esaltato, ha infatti detto:
“E non abbiamo inviato nessun Messaggero se non con la lingua della sua gente, affinché fosse chiaro a loro”
(Cor. XIV-4), cioè con la loro lingua (luga), affinché sapessero ciò di cui si trattava. E d’altronde il Messaggero
inviato con queste parole non le ha mai spiegate con una spiegazione che fosse in contrasto con il linguaggio
comune. Noi dunque riferiamo ad Allah, sia Egli esaltato, quei significati che sono impliciti nelle parole pervenute come Egli stesso li ha riferiti a Sé, e non ci arroghiamo l’arbitrio di interpretarle in un senso che non
sarebbe compreso da quella gente nella cui lingua sono discese queste parole, perché saremmo di “quelli che
alterano il senso delle parole” (Cor. V-13) e di “quelli che lo alterano dopo averlo compreso, essendo coscienti” (Cor. II-75) della loro trasgressione. Noi ci confessiamo ignoranti sul “come” (kayfa) di queste relazioni, e
questa è anche la convinzione dei primi musulmani (as-salaf ), senza eccezione, al riguardo. Se è stabilito per
te ciò che abbiamo menzionato, cioè il fatto che il Vero ha due relazioni sancite dal [testo della] Legge - e ti
è richiesto di indirizzarti (tawaǧǧuh) con il tuo cuore e il tuo atto di adorazione ad entrambe le relazioni - non
allontanarti da nessuna delle due, se sei perfetto, né volgerti verso una di esse a preferenza dell’altra se sei al
di sotto di questo grado di perfezione, cioè verso ciò che sostengono i teologi (ahl al-kalām) riguardo ad Allah,
basandosi sulle loro facoltà razionali, o verso ciò che si immaginano coloro che hanno capacità di intendere
molto ristrette, riguardo alla comparabilità del Vero con le Sue creature. Sia questi che quelli sono ignoranti
ed il vero sta nella sintesi tra entrambe [le relazioni].”
132 Al-Gazālī nel suo Iḥyāʼ ʿulūm ad-dīn, a pag. 179 del primo volume dell’edizione pubblicata a Beirut, Dār
al-kitāb al-ʿarabī, s.d., attribuisce questa frase all’Imām Mālik.
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la gente della scienza ottenuta mediante il gusto spirituale e la visione attestante, non percorriamo affatto questa strada. L’Essenza viene attestata ma è inesprimibile e la Personalità
(huwiyya) non cessa di accompagnarsi ad Essa; per questo il conoscitore ha detto: “Non c’è lui
se non Lui (lā huwa illā huwa)” (133), affermando la Personalità per Se stessa (134). Ma la nostra
è un’altra strada, che è resa ammissibile dalla Divinità, non dall’Essenza, e che la realtà essenziale di questo regime comporta; e tutti questi regimi appartengono ad Essa [Divinità]
e sono validi in se stessi, ed è così che ha luogo la visione attestante (šuhūd) riguardo ad Essa
per chi contempla: arriverai e vedrai.
È vero ciò che ha riportato Muslim nel suo Ṣaḥīḥ riguardo alla trasformazione (taḥawwul) della Divinità ed alla Sua tramutazione (tabaddul) nelle forme delle credenze e delle conoscenze
(135), e tra esse vi è il credo di coloro che affermano la comparabilità e [il credo] di altri, ed
è necessario che in quella dimora [il Giorno della Resurrezione] ogni gruppo Lo riconosca
ed è necessaria la Sua [della Divinità] manifestazione nelle forme delle loro credenze, ma ciò
è riconducibile a colui che percepisce, non a ciò che è percepito, poiché le realtà essenziali
non si tramutano (al-ḥaqā’iq lā tatabaddalu) (136). Per questo la contemplazione (mušāhada) della
Divinità per chi è fuori dalla nostra Via è imperfetta in qualsiasi Presenza abbia luogo, e per
133 Questa frase ricorre nel Miškāt al-anwār di al-Gazālī, a pag. 57 della traduzione di Roger Deladrière, Le
Tabernacle des Lumières, Éditions du Seuil, Parigi, 1981, mentre nel Šarḥ al-anfās ar-rūḥāniyya di Šams ad-dīn
ad-Daylamī, morto nell’anno 593 dall’Egira, a pag. 220 dell’edizione pubblicata nello Sri Lanka nel 2007,
Dār al-āṯār al-islāmiyya, viene attribuita ad al-Ḥallāǧ. Ibn ʿArabī la riporta, talora nella variante mā huwa illā
huwa, nei capitoli 369 [III 373.35] e 559 [IV 385.32] delle Futūḥāt, nel cap. IV dei Fuṣūṣ al-ḥikam, a pag. 80
dell’edizione pubblicata da Širkat al-Quds, Cairo, 2016, nel Kitāb al-ǧalāla e nel Kitāb al-yā’, rispettivamente a
pag. 66 e 138 delle Rasā’il pubblicate da Dār Ṣādir, Beirut, 1997. Cfr. anche Il libro del Sé divino, Il Leone Verde,
Torino, 2004, traduzione del Kitāb al-yā’ a cura di Chiara Casseler, in particolare a pag. 136.
134 Al-Gazālī, nel testo citato nella nota precedente, afferma che questa è l’affermazione dell’Unità (tawḥīd)
dell’élite, mentre “Non c’è Dio se non Allah” è l’affermazione dell’Unità della gente comune.
135 Ḥadīṯ riportato da Muslim, I-302; un sunto del suo contenuto è riportato nella nota 28. La Divinità non è
un’entità, ma solo un regime o una relazione, che in quanto tale esiste nella mente, nella parola e nella scrittura ma non come entità; tuttavia essa ha una realtà essenziale, come Ibn ʿArabī ha affermato poche righe
prima, e le realtà essenziali non cambiano anche se le forme in cui si manifestano sono diverse.
136 Nel cap. 198 [II 472.10] Ibn ʿArabī precisa: “Sappi che la sottigliezza non può tramutarsi in grossolanità
poiché le realtà essenziali non cambiano (lā tanqalibu), ma ciò che è sottile può diventare grossolano, come una
cosa calda che diventa fredda, o una cosa fredda che diventa calda”; nel cap. 177 [II 313.23] aggiunge: “Le
realtà essenziali non cambiano e la realtà essenziale dell’immaginazione è il cambiamento (tabaddul) in ogni
stato e la manifestazione in ogni forma, e non c’è esistenza vera (wuǧūd ḥaqīqī) che non ammette il cambiamento (tabdīl) se non Allah. Nell’esistenza realizzata (muḥaqqaq) non c’è che Allah, quanto a ciò che è altro che Lui
è nell’esistenza immaginale (ḫayālī), e quando il Vero si manifesta in questa esistenza immaginale non Si manifesta se non in conformità alla sua realtà essenziale [cioè la realtà essenziale dell’immaginazione], non con
la Sua Essenza, a cui appartiene l’esistenza vera. È per questo che è stato riportato nella tradizione autentica
che Egli Si tramuta nelle forme con cui Si manifesta ai Suoi servitori”.
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questo il mondo della rappresentazione (tamaṯṯul) e della tramutazione si chiama barzaḫ (137),
in quanto è intermediario tra le realtà essenziali corporee e quelle non corporee, e l’essenza
di questa Presenza intermedia conferisce queste teofanie per mezzo delle quali i significati si
legano alle forme con un legame effettivo, che non può essere sciolto (138).
A questa stazione ha alluso uno dei conoscitori in un aneddoto che riporto secondo una catena di trasmissione risalente a as-Sarī (139). Al-Ǧunayd ha riferito che as-Sarī ha detto: “Ho
sentito ʿ Ulaym al-Aswad (140) dire: “Chi si dirige verso le cose vedrà che esse se ne vanno da
lui e chi le abbandona le [vedrà] venire verso di lui”. Chiesi a as-Sarī come spiegava questo
ed egli rispose: “Egli stava menzionando il fatto che aveva cercato di acquisire [i mezzi per
vivere] sforzandosi ma non aveva ottenuto quanto bastava per il suo sostentamento, e disse:
“Ho recitato allora questo versetto: “Dì: considerate se Allah vi togliesse il vostro udito ed i
vostri sguardi e ponesse un sigillo sui vostri cuori” (Cor. VI-46), ed ho abbandonato l’acquisizione (kasb) affidandomi completamente ad Allah per ciò che è sufficiente. Se con la mia
mano avessi dato un colpo a questa colonna essa diventerebbe oro”. Ed egli colpì la colonna
con la sua mano ed ecco che luccicò come oro.
137 Nel mondo della rappresentazione o dell’immaginazione le idee e le realtà essenziali vengono tramutate
in forme che le rappresentano, ma che non sono identiche ad esse.
138 Non potendo sciogliere questo legame non è possibile tramite le forme che le rivestono cogliere i significati e le realtà essenziali in se stesse. Nel cap. 210 [II 496.26] Ibn ʿArabī afferma: “Sappi che all’intuizione
(mukāšafa) sono correlati i significati (maʿānī), mentre la contemplazione (mušāhada) è correlata con le essenze
(ḏāwāt); quindi la contemplazione riguarda il Denominato e l’intuizione il regime dei Nomi. Per noi l’intuizione è più completa della contemplazione, a meno che non si verifichi la contemplazione dell’Essenza del
Vero, nel qual caso la contemplazione sarebbe più perfetta, ma ciò non è possibile. Per questo diciamo che
l’intuizione è più perfetta, in quanto è più sottile. L’intuizione rende sottile il grossolano, mentre la contemplazione rende grossolano il sottile. Ciò che noi sosteniamo lo afferma anche un gruppo numeroso della Gente
di Allah, come Abū Hāmid, Ibn Farūk e al-Munḏirī, mentre altri sostengono il contrario. Noi diciamo che
essa è più perfetta, in quanto non c’è realtà che tu vedi che non abbia un regime in aggiunta a ciò su cui cade
la visione attestante e che può essere compreso solo con lo svelamento”.
139 Abū l-Ḥasan as-Sarī ibn al-Mugallas as-Saqaṭī, morto ultranovantenne a Bagdad nell’anno 251 dall’Egira, fu discepolo di Maʿrūf al-Ḫarqī e zio materno e Maestro di al-Ǧunayd. Ibn ʿArabī lo menziona nel Kitāb
muḥāḍarat al-abrār, a pag. 103-105 e 418 del secondo volume dell’edizione Dār Ṣādir, Beirut, s.d., e nel Kitāb
nasab al-ḫirqa, a pag. 34 dell’edizione Dār al-qubba az-zarqā’, Marrakeš, 2000.
140 Di questo ṣūf ī, che non è menzionato in nessuna delle raccolte di vite di ṣūf ī (ṭabaqāt) che ci sono pervenute, si sa pochissimo. Ibn ʿArabī lo menziona nei capitoli 40 [I 234.22 e 236.4], 167 [II 277.26] e 558 [IV
211.32] ed afferma [I 234.22] che era uno dei più grandi tra la gente della Via e che era menzionato nel
capitolo dei carismi del Kitāb maqāmāt al-awliyā’ di Abū ‘Abd al-Raḥmān al-Sulamī, ma di quest’opera non è
noto alcun manoscritto.
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Poi [ʿUlaym] disse: “O Sarī, le entità non cambiano (al-aʿyān lā tanqalibu), ma tu così Lo vedi
(141), per la tua realtà essenziale con il tuo Signore”.” (142).
Osserva il suo detto: “così Lo vedi”, cioè il Vero, “così lo vedi”, cioè il veduto, cioè la visione riguarda colui che vede, ossia la forma attestata da colui che vede. Anche per questo un
gruppo ha fatto un passo falso nel percorso della realizzazione dicendo: “Non c’è se non ciò
che vedi”, stabilendo che il Mondo è Allah e che Allah è identico al Mondo e non un’altra
141 Quest’ultima frase è riportata è riportata anche nei capitoli menzionati nella nota precedente e nel cap.
IX dei dei Fuṣūṣ al-ḥikam, a pag. 108 dell’edizione citata, ma mentre nei Fuṣūṣ al-ḥikam e nel cap. 167 si trova
tarā-hu come nel nostro testo, negli altri capitoli si trova tarā-hā, riferito alle entità o alla colonna. Nell’esempio
spesso riportato da Ibn ʿArabī del corpo caldo che diventa freddo per indicare che il calore non si tramuta in
freddezza e cioè che le realtà essenziali non si tramutano, il corpo corrisponde all’entità che non cambia, sia
essa calda o fredda, poiché le entità sono in realtà immutabili nella non esistenza o non-manifestazione e ciò
che le manifesta sono solo le forme e gli stati con cui Allah le riveste in ogni istante. Nel cap. 40 [I 236.6] Ibn
ʿArabī spiega: “La lapidità (ḥaǧariyya) non diventa oro poiché questa sostanza (ǧawhar) recepisce la realtà essenziale della lapidità così come il corpo recepisce il calore e si dice che è caldo. Quando Allah vuole rivestire
questa sostanza con la forma dell’oro toglie da essa la forma della pietra e la riveste con la forma dell’oro e la
sostanza o il corpo che era pietra si manifesta come oro, così come toglie il calore dal corpo caldo e lo riveste
con la freddezza, sì che esso diventa freddo. L’entità del calore non muta in freddezza ed il corpo freddo è nella
sua entità quello che era caldo: quindi le entità non cambiano. Così pure nel racconto di ʿUlaym la sostanza
che aveva recepito la forma dell’oro quando fu colpita è la stessa che aveva recepito la forma della pietra: la
sostanza è la sostanza nella sua entità e la pietra non è diventata oro né l’oro è diventato pietra”.
142 Nel cap. 40 [I 236.14] Ibn ʿArabī precisa: “Quanto alla sua affermazione: “per la tua realtà essenziale con
il tuo Signore” cioè quando sali alla tua realtà essenziale trovi te stesso un puro servitore, impotente, morto,
debole e privo di esistenza, come questa sostanza: finché non indossa le forme non appare alcuna entità di
essa nell’esistenza. Questo servitore indossa le forme dei Nomi divini e la sua entità si manifesta con essi, ed
il primo Nome che indossa è l’esistenza e si manifesta come essere per poi ricevere tutto ciò che per l’essere è
possibile ricevere in quanto esistente e quindi riceve tutti i Nomi divini con cui il Vero lo investe […] Questo
è il significato del suo detto: “per la tua realtà essenziale con il tuo Signore” cioè per il legame della tua realtà
essenziale con il tuo Signore, e non manchi di manifestarti in una forma divina, così come questo corpo non
manca di manifestarsi in una forma, e come tu ti diversifichi per le forme dei Nomi divini e vieni denominato
in base ad ogni forma con un nome diverso, così a questa sostanza viene applicato il nome della lapidità e
dell’aureità per la qualità, non per la sua entità”, e nel cap. 558 [IV 211.27] aggiunge: “È stato tramandato
che il Vero crea Se stesso e tutte le ragioni rigettano ciò perché non lo comprendono e non osservano che chi
ha una concezione (maqāla) di Allah si è raffigurato nella sua anima qualcosa di cui dice: “Questo è Allah”
e lo adora, ed esso non è altro che Allah e non lo ha creato in quel ricettacolo (maḥall) se non Allah, e questo
è il significato di quella notificazione. Le concezioni sono differenti per la diversità dei punti di vista con cui
essi Lo considerano. Chiunque ha un punto di vista non adora e non crede se non in ciò a cui Egli ha dato
l’esistenza nel suo ricettacolo e ciò che è esistenziato nel suo ricettacolo e nel suo cuore non è che una creatura
(maḫlūq), e non è che il Vero, ed è in quella forma, cioè in quella concezione, che Egli Si manifesta a lui anche
se l’Essenza in quanto tale è Unica, tuttavia così Lo percepisce. E questo è il significato del detto di ʿUlaym
al-Aswad quando batté con la sua mano la colonna ed essa divenne oro per chi vedeva. E quando colui che
vide fu stupito di quello, ʿUlaym gli disse: “O tale, in realtà le entità non cambiano, ma così le vedi per la tua
realtà essenziale con il tuo Signore”, alludendo alla manifestazione del Vero nella forma di ogni credo ad ogni
credente. Questo è il Vero creato per mezzo di Lui (al-ḥaqq al-maḫlūq bi-hi) nell’anima di ogni possessore di un
credo, sia egli Angelo, Ǧinn e uomo, che segua pedissequamente o che abbia una considerazione [propria]”.
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cosa. La causa di ciò è questa veduta attestante (mašhad), in quanto essi non l’hanno realizzata come si deve, e se l’avessero realizzata non avrebbero detto quello ed avrebbero affermato
ogni verità nella sua sede, per scienza e svelamento. Quindi, se non fai parte della gente
dello svelamento e della realizzazione, lascia l’interpretazione delle notificazioni che hanno
apportato la comparabilità a Chi ha descritto Se stesso con esse e non applicarla assolutamente a te, poiché renderesti vano il tuo principio (aṣl) in quanto tu credi alla negazione
della comparabilità e non hai smesso di farlo, ma hai abbandonato la comparabilità con la
creatura composita e l’hai affermata con la creatura intelligibile. Ma dove mai il possibile ha
in comune un regime con Colui che è necessario per Se stesso?
Questione [XVIII]: Chi percepisce (mudrik) e ciò che è percepito (mudrak) sono entrambi di
due tipi. Tra coloro che percepiscono vi è chi sa e che ha la facoltà di immaginare (quwwat
al-taḫayyul) (143), e quindi percepisce le forme delle cose viste, e chi sa soltanto, non avendo
la facoltà di immaginare in quanto non è un corpo né è in un corpo (144). Ciò che è percepito è anch’esso di due tipi: un percepito che è condizionato da una forma, ed è questo ad
essere immaginato da colui che ha la facoltà di immaginare e ad essere saputo da chi non
ha la facoltà di immaginare ed in cui non sussiste una forma di esso in quanto la sua realtà
essenziale non ammette ciò; ed un percepito che non può essere immaginato, in quanto non
ha forma, ma è soltanto saputo (145). Ogni creatura dotata di scienza innata (mafṭūr ʿalā l-ʿilm)
(146) e la cui realtà essenziale non comporta l’acquisizione [in modo indiretto] delle scienze
è di due tipi: un tipo la cui vita si manifesta sensibilmente in condizioni ordinarie e che è
143 Il termine taḫayyul indica l’immaginazione come atto, mentre il termine ḫayāl indica l’immaginazione
come facoltà. Nel cap. 73, questione CXVI [II 113.32] Ibn ʿArabī precisa: “Sappi che l’immaginazione (ḫayāl)
è tutta vera, mentre l’immaginazione (taḫayyul) può essere sia vera che falsa”.
144 Nel cap. 375 [III 470.9] Ibn ʿArabī precisa: “L’immaginazione non ha un potere che la faccia uscire dal
dominio delle cose sensibili poiché non è generata né manifestata nella sua entità se non dalla sensazione
(ḥiss)” ed i sensi, a loro volta, dipendono dall’esistenza del corpo [cap. 299 (II 691.4)].
145 Il termine arabo idrāk non si applica solo alla percezione in senso stretto, che riguarda esclusivamente
il dominio sensibile e formale, ma anche alla sua trasposizione nel dominio informale. Cfr. René Guénon,
L’homme et son devenir selon le Vêdânta, Editions Traditionnelles, Parigi, 1974, pag. 20-21.
146 Nel cap. 326 [III 99.8] Ibn ʿArabī precisa: “Questi spiriti particolari sono di ranghi diversi per quanto
concerne la scienza delle cose: ve ne sono che conoscono molte cose ed altri che ne conoscono poche. Non
c’è spirito che abbia più scienza di Allah di quanta ne hanno gli spiriti delle forme che non hanno bisogno di
essere governate, cioè gli spiriti dei minerali; di grado inferiore ad essi, nella scienza di Allah, sono gli spiriti
dei vegetali, ed ancora più in basso sono gli spiriti degli animali. Ciascuna di queste categorie ha innata la
scienza di Allah e la conoscenza di Lui, e la loro unica preoccupazione è di glorificarLo con la Sua lode, sia
Egli esaltato. La categoria più bassa di tutte, per ciò che concerne la scienza di Allah, è quella degli spiriti degli
uomini. Quanto agli Angeli, essi, come i minerali, hanno innata la scienza di Allah, e sono privi della ragione
e del desiderio; gli animali hanno innate la scienza di Allah ed il desiderio, mentre gli uomini ed i ǧinn hanno
innati il desiderio e le conoscenze, per quanto riguarda le loro forme, non quanto ai loro spiriti, ed Allah ha
dato loro la ragione affinché con essa rimettano il desiderio alla bilancia della Legge”. L’espressione mafṭūr ʿalā
l-ʿilm ricorre anche nei capitoli 44 [I 248.9], 73, questione LVI [II 78. 23], 288 [II 642.9] e 361 [III 297.12].
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capace di immaginare ma non acquisisce una scienza per mezzo del pensiero ( fikr), ed un
tipo la cui vita è nascosta ai sensi in condizioni ordinarie e che non è assolutamente capace
di immaginare (147). Non c’è nell’esistenza altro che ciò che abbiamo menzionato e quindi
tutta l’esistenza è viva e pronuncia la magnificazione del Vero, sia Egli glorificato, ma il loro
modo di pronunciarla si diversifica in base alle differenze delle loro realtà essenziali. Egli,
sia esaltato, ha detto: “Lo glorificano i sette Cieli, la Terra e chi è in essi” (Cor. XVII-44),
e la Sua affermazione: “e chi è in essi” è una refutazione di chi sostiene l’elisione del nome
che viene annesso (ḥaḏf al-muḍāf ) e la sua sostituzione con il nome a cui è fatta l’annessione
(148), come se Egli dicesse: “La gente dei sette Cieli e la gente della Terra” [negando così che
i Cieli e la Terra Lo glorifichino]. Egli ha negato questa implicazione con il Suo detto: “e chi
è in essi”, poiché una cosa simile [l’elisione] è stata riportata riguardo al Suo detto: “Chiedi
alla città in cui eravamo ed alla carovana” (Cor. XII-82), che però è diverso dal precedente
(149). [Vi è poi] il suo detto, si di lui la Pace, riguardo ad Uḥud (150): “Questo è un monte che
ci ama e che noi amiamo” (151), ed il suo detto: “[il giorno della Resurrezione] a favore del
mu’aḏḏin testimonierà ogni cosa umida o secca a cui sarà giunta la sua voce” (152) ed il suo detto: “Non c’è animale che non presti ascolto di venerdì per timore dell’Ora” (153). Tutte queste
cose comportano la scienza (154) ed essa ha come presupposto la vita (155), ma come abbiamo
147 Il primo tipo riguarda gli animali ed i vegetali, mentre il secondo si applica ai minerali.
148 Si tratta di ciò che gli arabisti italiani chiamano stato costrutto, come l’espressione “la casa dell’Emiro” in
cui il termine Emiro è il nome a cui è fatta l’annessione ed il termine casa il nome che viene annesso.
149 I grammatici arabi hanno interpretato questo versetto come una metafora (maǧāz) in cui il nome che regge
il caso obliquo nello stato costrutto [la gente] viene omesso e sostituito dal nome in caso obliquo, cioè il nome
a cui è fatta l’annessione [la città e la carovana]. Cfr. John Wansbrough, “Maǧāz al-qur’ān”: Periphrastic Exegesis,
in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, University of London, Vol. 33, N. 2 (1970), pag. 247266, in particolare alle pag. 248 e 254.
150 Si tratta di un monte, alto un migliaio di metri, che si trova a Nord di Medina e che nell’anno 3 dall’Egira
fu lo scenario dell’omonima battaglia in cui i Meccani sconfissero i musulmani.
151 Ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, XXIV-54, LVI-71 e 74, LX-10, LXX-28, XCVI-16, Muslim, XV, 462. 503
e 504, XLIII-10, Ibn Māǧah XXV-104. Ibn ʿArabī lo riporta nei capitoli 310 [III 38.6] e 357 [III 258.21] delle
Futūḥāt e nel Kitāb ayyām aš-ša’n, a pag. 55 del secondo volume delle Rasā’il pubblicate da Širkat al-quds, Cairo, 2016.
152 Ḥadīṯ riportato da Abū Dā’ūd, II-31, Ibn Māǧah, III-5, an-Nasā’ī, VII-14, e da Ibn Ḥanbal, II-136 ecc.
Ibn ʿArabī lo cita nell’Introduzione [I 36.9] e nei capitoli 12 [I 147.10], 285 [II 629.7], 310 [III 38.5], 357 [IIII
258.21], 378 [III 491.11] e 560 [IV 475.14].
153 Ḥadīṯ riportato da an-Nasā’ī, XIV-45, e da Mālik, VIII-16. Ibn ʿArabī lo riporta nel Kitāb ayyām aš-ša’n,
a pag. 55 dell’edizione citata.
154 Nel cap. 558 [IV 228.27] Ibn ʿArabī precisa: “Non c’è cosa, sia essa un accidente o una sostanza [...],
che non glorifichi con la lode di Allah, e non glorifica Allah se non un vivente che sa Chi glorifica e con cosa
glorifica”. Nel cap. 178 [II 328.7] aggiunge che ciò che spinge le cose alla glorificazione non è un ordine o
una prescrizione divina (taklīf ), ma una necessità intrinseca ed innata [come quella di respirare per l’uomo].
155 Nel cap. 48 [I 261.24] Ibn ʿArabī precisa: “La scienza è condizionata dalla vita, ma dall’esistenza della
vita non consegue l’esistenza della scienza”.
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detto, sia ciò che appare di essa ai sensi e sia ciò che non appare; ma ciò che non si manifesta
in condizioni ordinarie si manifesta con la rottura del corso ordinario delle cose al Profeta
ed all’Intimo. Quindi tutto è vivo e pronuncia la glorificazione di Allah e la Sua lode, “ma
voi non capite” – cioè non sapete – “la loro glorificazione. Invero Egli è Indulgente” – nel
concedere una dilazione a chi ha interpretato questa frase stravolgendone il senso e nel non
punirlo per questo – “e Coprente (gafūr)” (Cor. XVII-44), per il Suo velare alla percezione
uditiva il proferire [la lode da parte] di queste categorie (156).
Questione [XIX]: La scienza non è la concezione formale [(taṣawwur), o: rappresentazione] del suo oggetto né il significato che il suo oggetto rappresenta (157). In realtà non tutti
gli oggetti della scienza sono concepibili formalmente e non tutti i sapienti concepiscono in
questo modo. Quando il sapiente concepisce formalmente le cose che per la loro realtà essenziale sono concepibili in questo modo, non le concepisce affatto in quanto sapiente, bensì
in quanto è uno che immagina. Si tratta della facoltà della concezione formale e chi non
ha questa facoltà non concepisce formalmente ciò che può essere concepito in questo modo,
bensì percepisce direttamente. Non ogni oggetto della scienza è concepibile formalmente,
poiché ciò che non ammette per la sua realtà essenziale la forma non può essere concepito
formalmente ma solo saputo e quindi la scienza non è la sua concezione formale, e questo è
quanto è corretto (158).
Questione [XX]: Per noi, e per quelli tra noi che hanno realizzato, un essere creato non
ha affatto potere, poiché non c’è Agente se non Allah, sia Egli esaltato, il Creatore degli atti
che si manifestano alla vista [( fī l-ʿayn), o: nell’entità] per mezzo delle creature e di altro.
Questo perché noi non deduciamo il fatto che il Produttore sia Potente se non per l’esistenza
dell’effetto derivante da questo regime [il Potere], mentre razionalmente non troviamo alcun
effetto attribuibile ad una creatura: come può essere affermato il potere contingente quando
in realtà l’effetto è negato? (159).
156 Un commento simile del versetto è riportato anche nei capitoli 43 [I 247.13], 69 [I 398.30] e 369 [III
375.19 e 393.24].
157 Nel cap. 2, dopo aver affermato [I 91.19] che: “la scienza è l’attualizzazione (taḥṣīl) da parte del cuore [e
non della mente] di una certa realtà (amr) conformemente a come essa è in se stessa, sia essa esistente o inesistente” Ibn ʿArabī aggiunge [I 91.35]: “Se allora ti viene chiesto: “Che cosa è dunque la scienza?” rispondi:
“Essa è il conseguimento (dark) del percepito (mudrak) cosi come esso è in se stesso, quando la sua percezione
non è inaccessibile”; quanto a ciò di cui è inaccessibile il conseguimento, la scienza di questo è il suo non conseguimento, così come ha detto [Abū Bakr] il confessore (ṣiddīq): “L’incapacità di riuscire a percepire è una
percezione (al-ʿaǧzu ʿan dark al-idrāk idrāk)””.
158 Queste stesse considerazioni sono riportate anche nel cap. 198 [II 421.28] e nel cap. 558 [IV 315.10].
159 Rimando il lettore alle note 73 e 74 della questione X, ove viene trattato lo stesso argomento.
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Questione [XXI]: Non c’è bisogno per noi di apportare la prova dell’affermazione dell’Unicità (waḥdāniyya) (160), poiché la contemplazione (mušāhada) (161) impedisce la discussione riguardo ad Allah ed alla Sua Unicità, bensì si può dire all’associatore: “Noi e tu siamo d’accordo sull’Uno, ma tu Gli hai fatto un’aggiunta: qual è dunque la prova dell’affermazione di
ciò che è aggiunto?”. È lui che è tenuto a trovare la prova, non noi (162).
Questione [XXII]: Il fatto che il Produttore, sia Egli esaltato, sia Vivente, Sapiente, Potente e le altre Qualità (awṣāf ) (163) di perfezione, corrisponde per noi a regimi che vengono
correlati all’Essenza ed a negazioni (sulūb) valide con cui Egli è descritto, che non sono riconducibili ad entità aggiuntive all’Essenza (164), in quanto Egli è perfetto nell’Essenza, ed è impossibile la Sua perfezione mediante l’aggiunta, poiché ciò comporterebbe un difetto dell’Essenza, ed il difetto è impossibile e quindi la perfezione mediante l’aggiunta è impossibile (165).
Questione [XXIII]: L’Entità (ʿayn) anche se è una nell’essenza ha molteplici connessioni
(taʿalluqāt) (166) che si differenziano come regime per la diversità delle cose connesse; quindi
160 I termini più usati da Ibn ʿArabī per esprimere i diversi gradi dell’Unità sono aḥadiyya, waḥda, e waḥdāniyya, mentre wāḥidiyya ricorre solo in uno dei suoi wird [Ibn ʿArabī, Wird, Muhyiddin Ibn ʿArabi Society, 1979,
pag. 8]. Sia waḥda che waḥdāniyya sono correlati per Ibn ʿArabī con il termine wāḥid, che può significare sia uno
che unico, ma mentre il termine waḥda indica l’Unità o l’Unicità che comporta la molteplicità, come precisa
nel cap. 377 [III 483.31]: “L’Unità/Unicità (waḥda) che non ha molteplicità in sé è impossibile”, il termine
waḥdāniyya indica l’Unicità in quanto “relazione di incomparabilità (nisba tanzīh)” [cap. 172 (II 288.33)]. Nel
cap. 558 [IV 293.32] viene precisato: “Quanto all’Unicità (waḥdāniyya), essa è il sussistere (qiyām) dell’Unità
(aḥadiyya) in esso, cioè nell’Unico (wāḥid), ed essa non è l’Unità, né l’Unico, così come il corporeo (ǧismānī) non
è il corpo, poiché esso è ciò senza la cui sussistenza nel corpo o nella sostanza non si manifesterebbero gli attributi la cui sede sono i corpi; e così per lo Spirito e lo spirituale (rūḥānī). L’Unicità è una relazione realizzata
tra l’Unità e l’Unico. […] invero Allah è Unico nella Sua Divinità, e quindi è Unico nel rango (martaba) e per
questo ci ha ordinato di sapere che non c’è Dio se non Lui”.
161 Nel cap. 209 [II 495.22] Ibn ʿArabī precisa: “Gli iniziati affermano che il nome di contemplazione viene
usato in tre sensi: 1) la contemplazione della manifestazione nel Vero, che corrisponde alla visione delle cose
con le prove del tawḥīd, […]; 2) la contemplazione del Vero nella manifestazione, che è la visione del Vero nelle
cose; 3) la contemplazione del Vero senza la manifestazione, che è la realtà essenziale della certezza senza
alcun dubbio. Parlando di visione delle cose con le prove del tawḥīd, essi intendono l’unità (aḥadiyya) di ogni
cosa esistente (mawǧūd), che è la prova (dalīl) stessa dell’Unità del Vero; si tratta quindi di una prova della Sua
Unità, ma non della Sua Essenza (ʿayn)”.
162 La stessa affermazione è riportata nel cap. 172 [II 289.11] delle Futūḥāt e nel Kitāb al-kunh, a pag. 177 della
traduzione pubblicata nel N. 11 di El Azufre Rojo, 2023, senza riferimento però alla contemplazione.
163 Nel cap. 69 [I 427.17] Ibn ʿArabī precisa: “Abbiamo detto qualità (waṣf) non attributo (ṣifa), perché con
attributo si intende una cosa aggiunta ed un’entità aggiuntiva a quella di chi che ne è qualificato, mentre la
qualità può essere l’entità stessa di chi ne è qualificato, mediante una specifica relazione priva di un’entità
esistente”.
164 Si tratta del punto di vista dei teologi, come è precisato nel cap. 282 [II 619.7].
165 La stessa argomentazione è riportata nel cap. 56 [I 284.29] e nel cap. 73, questione CXVIII [II 114.17].
166 L’espressione “L’entità è una/unica” spesso seguita dalla frase “e le relazioni (nisab), [o i regimi, o le forme,
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Essa è sapiente di tot, capace di tot, volente tot, e così per tutto ciò che viene correlato ad Essa
dei regimi degli Attributi (167).
Questione [XXIV]: Gli attributi essenziali per coloro che ne sono qualificati sono identici
ad essi (168) e sono destinati (maqdūra) (169), mentre se si tratta di regimi subordinati a chi ne è
qualificato, che non sono né identici, né diversi da chi ne è qualificato, né esistenti, né non-esistenti, ma [solo] conosciuti (maʿlūma), allora non sono destinati, come la condizione spaziale
(taḥayyuz) per la sostanza e la sua accettazione degli accidenti, l’aggregazione, l’altezza, la
larghezza e la profondità per il corpo ed altre cose simili.
o gli effetti (āṯār)] sono diverse” ricorre decine di volte nelle Futūḥāt non solo in riferimento al Vero, ad Allah
ed alla Personalità (huwiyya) [cap. 198 (II 470.4)], ma anche all’uomo [cap. 72 (I 683.12)], al Mondo [cap. 369
(III 368.30)] ecc. In questo caso l’Entità è l’Essenza di cui Ibn ʿArabī ha parlato nella questione precedente,
Essenza intesa come Divinità e non in Se stessa, poiché è solo alla Divinità che vanno riferiti i regimi, come
ha spiegato nella questione IV.
167 Mentre nella precedente questione Ibn ʿArabī ha affermato che le Qualità o gli Attributi, come vengono
chiamate dai teologi, non sono entità aggiunte all’Essenza, ma solo dei regimi correlati ad Essa, in questa questione spiega che tali regimi dipendono dalla connessione dell’Essenza con la molteplicità delle cose, cioè delle
possibilità, come afferma nel cap. 473 [IV 107.11]: “Non c’è nulla nell’esistenza che ammetta gli opposti se non
il Mondo in quanto è uno ed è in questo uno che si manifestano gli opposti, ed essi sono i regimi delle entità
delle possibilità nell’Entità dell’esistenza [che è una]. Per mezzo della manifestazione di questi regimi vieni a
sapere degli opposti Nomi divini e dei loro simili, e quando sai questo puoi dire ciò che vuoi: che la molteplicità dei Nomi manifesta la molteplicità dei regimi, o che la molteplicità dei regimi manifesta la molteplicità
dei Nomi. Tutto ciò non è negato né dalla ragione, né dalla Legge, poiché l’esistenza lo attesta. Resta solo
da stabilire ciò che abbiamo menzionato e cioè a chi va attribuito il regime: ai Nomi divini o alle possibilità
esistenziali? Entrambi sono legati tra di loro ed esercitano il loro regime nell’Entità una”.
168 Qui non si tratta più dell’Entità una bensì della molteplicità degli esseri. Per quanto riguarda l’uomo, ad
esempio, nel cap. 298 [II 687.12] Ibn ʿArabī precisa: “Gli attributi che sono connaturati all’uomo non cambiano, poiché essi gli appartengono in modo essenziale nella costituzione naturale (naš’a) di questo mondo
e nella [sua] specifica complessione (mizāǧ). Essi includono la codardia, l’attaccamento tenace, l’invidia, la
bramosia, il raccontare storie, l’arroganza, la rudezza, la ricerca di sopraffare, ecc. Poiché non è proponibile
il loro cambiamento, Allah ha spiegato diversi campi di applicazione (maṣārif) per essi, verso i quali possono
essere diretti conformemente ad una norma della Legge. Se l’anima dirige le proprietà di questi attributi verso
questi campi di applicazione, otterrà la felicità e gradi elevati”.
169 Il termine maqdūr, participio passivo del verbo qadara, ricorre in Cor. XXXIII-38, ove ha il significato
di “destinato, decretato o misurato”, ma nelle Futūḥāt Ibn ʿArabī usa questo termine anche nel senso di “ciò
che è potuto” o dell’”oggetto del potere”, come si può constatare nella questione X di questo trattato. Ho adottato qui la traduzione “destinato” per indicare l’assenza di cambiamento che caratterizza gli attributi essenziali, a differenza della mutabilità degli accidenti (aʿrāḍ). Nel cap. 198 [II 454.9] Ibn ʿArabī precisa: “In realtà
non c’è cosa, tra quelle che non sussistono per loro stesse, che sia veramente permanente oltre al tempo della
sua esistenza, ma alcune sono seguite dai simili ed altre non lo sono. Quanto alla cosa che è seguita dai simili,
è quella che ci si immagina essere inerente (lāzim) [alla sostanza], come il giallo dell’oro ed il nero dell’uomo
negro. Quella che non è seguita dai simili si chiama accidente, mentre quella inerente si chiama attributo”.
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Questione [XXV]: Le entità, quanto alla loro sostanza (ǧawhar) (170), non si annientano
mai dopo la loro esistenza (171), e le forme, le figure, le misure, i modi d’essere (akwān) ed i colori (alwān) (172) sono accidenti riguardo all’entità della sostanza che vengono continuamente
prestati alla sostanza e per questo essa non cessa mai di essere dipendente ed il Produttore
di essere creatore.
170 Il termine sostanza è qui inteso nel senso teologico di sostanza individuale, che è il substrato non manifestato di tutti gli attributi ed accidenti di un essere. Nel cap. XXIII dei Fuṣuṣ-al-ḥikam, a pag. 194 dell’edizione
Širkat al-quds, Il Cairo, 2016, Ibn ʿArabī afferma: “Come dicono gli Ašʿāriti: “Tutto il Mondo è simile per
la sostanza”, ed è una sostanza unica, e ciò è identico alla nostra affermazione che l’entità è una”. Su questo
argomento si può consultare il testo inedito di René Guénon, Étude logique et métaphysique sur l’idée de substance, redatto nel 1916 e pubblicato un secolo dopo sul blog Œuvre de René Guénon [https://oeuvre-de-rene-guenon.
blogspot.com/2016/08/texte-inedit-etude-logique-et.html], in cui molte frasi sono testualmente identiche a
quelle di Ibn ʿArabī.
171 Nel cap. 153 [II 248.23] Ibn ʿArabī afferma: “Il Vero, sia Egli esaltato, ha l’attributo dell’esistenza e l’attributo della necessità intrinseca dell’esistenza, e ciò che si contrappone [concettualmente] a Lui si chiama la
non-esistenza assoluta (al-ʿadam al-muṭlaq) ed ha un attributo per il quale si chiama l’impossibile (al-muḥāl), e per
questo attributo non riceve mai l’esistenza. […] Noi siamo nel grado di mezzo poiché accettiamo l’esistenza per
la nostra essenza ed accettiamo la non-esistenza per la nostra essenza […] e la nostra relazione con la non-esistenza è più stretta che con l’esistenza, poiché siamo non-esistenti, ma non siamo qualificati dall’impossibilità,
bensì la nostra qualifica in questa non-esistenza è la possibilità, cioè non è nel nostro potere respingere da noi
stessi né l’esistenza, né la non-esistenza. Ma abbiamo delle entità immutabili distinte ed è ad esse che viene
rivolto il discorso dalle due parti; la non-esistenza ci dice: “Restate nella non-esistenza in cui vi trovate, poiché
non potete stare in due ranghi”, ed il Vero dice ad ognuna delle entità delle possibilità “Sii (kun)” ordinandole
l’esistenza. Il possibile dice: “Noi siamo nella non-esistenza, la conosciamo e la assaporiamo, e ci è arrivato
l’ordine di esistere da parte di Colui la Cui esistenza è necessaria, esistenza che noi non conosciamo […] Orsù,
aiutiamola contro questa impossibilità non-esistente, in modo da sapere per gusto cos’è quest’esistenza” Ed
esse furono al Suo detto “Sii” e dopo essere entrate nella Sua presa non tornano mai più alla non-esistenza
[…] Vennero gli accidenti e ricevettero l’esistenza, e quando l’ebbero gustata e conosciuta, la non-esistenza
li chiamò a sé e disse loro: “È da me che devi tornare poiché sei un accidente e non hai alcuna permanenza
nell’esistenza – poiché la realtà essenziale dell’accidente è quella di non avere permanenza – quindi torna da
me al mio comando”. Per questo l’argomentazione razionale indica che l’accidente si annienta per se stesso,
poiché Colui che fa [cioè il Creatore] non fa la non-esistenza, essendo essa un regime, non una cosa esistente.
Quindi gli accidenti si annientano nel secondo tempo rispetto al tempo della loro esistenza e cadono nella
presa della non-esistenza impossibile (al-`adam al-muḥāl) e dopo quello non tornano più all’esistenza, ma Allah
dà esistenza ai loro simili, ed essi assomigliano loro nella definizione (ḥadd) e nella realtà essenziale, ma non
sono identici a quelli che esistettero e si annientarono, per via della vastità divina”. Quindi le entità, una volta
che hanno ricevuto l’esistenza non tornano mai alla non-esistenza, mentre gli accidenti dopo aver ricevuto
l’esistenza tornano per sempre alla non-esistenza.
172 I termini akwān e alwān sono spesso associati nei testi di Ibn ʿArabī, come nel cap. 126 [II 208.25] ove viene affermato: “Vi è un Mondo che sussiste per se stesso ed un Mondo che non sussiste per se stesso; il primo è
costituito da sostanze e corpi, il secondo da modi d’essere e colori, cioè da attributi ed accidenti”. Nei capitoli
362 [III 303.14] e 496 [IV 132.19] è inoltre affermato che “i modi di essere [o le situazioni] sono il moto, la
sosta, la riunione e la separazione”. Va precisato che il termine akwān può essere inteso anche come “esseri
contingenti”, come nella espressione spesso ricorrente nelle Futūḥāt: “uno degli esseri (kawn min al-akwān)”
[capitoli 12 (I 145.33), 17 (I 162.8), 33 (I 181.18 e 182.8), 43 (I 236.32) ecc.]
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Quindi l’essere contingente (kawn) quanto alla sostanza non si estingue né si modifica e quanto alla forma è come abbiamo menzionato (173).
Questione [XXVI]: Il Mondo non è con il Produttore nella Sua esistenza (174) e tra i due
non c’è un intervallo (bawn) che si possa determinare concettualmente, bensì si tratta del
legame (irtibāṭ) di possibile con necessario e di creatura con Creatore (175). Esso [il Mondo]
è nel secondo grado dell’esistenza ed il Produttore è nel primo e tra i due non c’è un rango
figurativo (miṯāliyya) (176): “Ad Allah appartiene la similitudine più elevata” (Cor. XVI-60).
Dei due spazi (hayyizān) contigui che appartengono alle due sostanze nessuno è nel grado
dell’altro e tra i due non c’è un ulteriore spazio (177), e questa relazione [di contiguità e di grado] rende possibile che vi sia il legame, in modo approssimativo poiché l’espressione [verbale]
non è in grado di contenere più di ciò riguardo a questa questione (178). Questa è una terza
formulazione dottrinale che emerge tra quella degli antichi (qudamā’) e quella degli Ašʿāriti;
in questa dottrina viene negata l’eternità al Mondo, così come la negavano gli antichi, e viene
negata l’immaginaria determinazione concettuale (taqdīr) che gli Ašʿāriti suppongono esista
173 Nel cap. 361 [III 296.9] Ibn ʿArabī precisa: “Non c’è cosa che esca dalla non-esistenza se non le forme e
gli accidenti, per composizione e soluzione, e la sostanza ha un’entità immutabile ricettiva a queste forme”.
174 Nel cap. 73, questione XXIII [II 56.28], commentando la frase: “C’era Allah e nessuna cosa con Lui”,
Ibn ʿArabī afferma: “Il Mondo quindi non è mai con Allah, sia che sia qualificato dall’esistenza che dalla
non-esistenza, mentre Colui la cui esistenza vera è necessaria per la Sua stessa Essenza può essere veramente
qualificato dall’essere con il Mondo, sia nella non-esistenza che nell’esistenza”.
175 L’argomento è stato già sviluppato nella nota 71 della questione X. A questo proposito si può ricordare
quanto ha scritto René Guénon in Création et manifestation, a pag. 99 degli Aperçus sur l’ésotérisme islamique et
le Taoïsme, Gallimard, 1973: “Qu’il s’agisse de la manifestation considérée métaphysiquement ou de la création, la dépendance complète des êtres manifestés, en tout ce qu’ils sont réellement, à l’égard du Principe, est
affirmée tout aussi nettement et expressément dans un cas que dans l’autre; c’est seulement dans la façon plus
précise dont cette dépendance est envisagée de part et d’autre qu’apparaît une différence caractéristique, qui
correspond très exactement à celle des deux points de vue. Au point de vue métaphysique, cette dépendance
est en même temps une «participation»: dans toute la mesure de ce qu’ils ont de réalité en eux, les êtres participent du Principe, puisque toute réalité est en celui-ci; il n’en est d’ailleurs pas moins vrai que ces êtres, en
tant que contingents et limités, ainsi que la manifestation tout entière dont ils font partie, sont nuls par rapport
au Principe, comme nous le disions plus haut; mais il y a dans cette participation comme un lien avec celui-ci,
donc un lien entre le manifesté et le non-manifesté, qui permet aux êtres de dépasser la condition relative
inhérente à la manifestation”.
176 L’aggettivo miṯālī o miṯāliyya viene usato da Ibn ʿArabī in riferimento al dominio dell’immaginazione e
del barzaḫ [cap. 198 (II 441.15) e cap. 559 (IV 386.4)]. L’espressione sembra indicare che tra il Mondo ed il
Produttore non c’è un dominio intermediario assimilabile a quello dell’immaginazione tra l’intelligibile ed il
sensibile.
177 Il simbolismo spaziale qui utilizzato si riferisce al terzo dei modi d’essere, o situazioni, delle sostanze, cioè
alla riunione; se vi fosse uno spazio o una sostanza intermedia si tratterebbe invece della separazione [cfr. cap.
362 (III 303.15)].
178 Sull’impossibilità per l’uomo di conoscere la natura di questo legame si può consultare l’estratto del cap.
394 riportato nella nota 73 alla questione X.
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tra il Vero e le creature (179), mentre viene affermata la novità [(ḥudūṯ), o: contingenza] e la
dipendenza [delle creature], stabilendo così la non-esistenza delle creature nell’esistenza del
Produttore.
Questione [XXVII]: L’accidente (ʿaraḍ) scompare per se stesso nel secondo tempo successivo al tempo della sua esistenza. Il Vero è continuamente Creatore ed è quindi possibile la
dipendenza continua della sostanza; se l’accidente restasse cesserebbero questi due regimi
e la loro cessazione è impossibile (180), quindi la permanenza dell’accidente per due tempi è
impossibile, e ciò fa parte della verità ottenuta per svelamento (181). Il filo logico è che “Co179 Nel cap. 69 [I 388.33] Ibn ʿArabī afferma: “Il Vero, Gloria a Lui, determina (qaddara) le cose eternamente,
ma non si può dire che dà loro l’esistenza eternamente, poiché ciò è assurdo per due aspetti. Il fatto che Egli
sia esistenziatore dipende dal fatto di dare l’esistenza ed Egli non dà l’esistenza a ciò che già esiste, ma dà
l’esistenza a ciò che non è caratterizzato in se stesso dall’esistenza, cioè il non-esistente [la possibilità (mumkin)].
Ed è assurdo che ciò che esiste, e che prima non esisteva, sia qualificato dall’essere esistente eternamente. Esso
esiste per un esistenziatore che gli ha dato l’esistenza. […] L’altro aspetto dell’assurdità della tesi che il mondo
esiste eternamente è il seguente: poiché il concetto di eternità implica la negazione dell’inizio ed il Vero è
caratterizzato da essa, ne consegue che è impossibile caratterizzare l’esistenza del mondo con l’eternità, in
quanto ciò equivarrebbe a dire: il mondo trae l’esistenza da Allah [e nel contempo] non trae l’esistenza da
Allah, poiché la condizione iniziale gli è negata per il fatto di essere eterno. È assurdo che il mondo sia caratterizzato da questa qualità negativa che è l’eternità. Dire che Chi è veramente caratterizzato da essa, cioè il
Vero, “ha creato (ḫalaqa)” le creature eternamente nel senso di “ha determinato concettualmente (qaddara)”
non è assurdo, poiché il determinare concettualmente equivale alla Scienza. Ma ciò è assurdo se si intende
l’espressione “ha creato” nel senso di “ha dato l’esistenza”, poiché l’atto [esistenziatore] non ha luogo eternamente”. Su questo argomento si possono consultare le pag. 167-168 dei Testi di Ibn ʿArabī sull’eternità e sul tempo,
pubblicati nel N. 4 di El Azufre Rojo, 2017.
180 Nel cap. 126 [II 208.25] Ibn ʿArabī afferma: “Non c’è altro che il Mondo d’in alto e quello d’in basso, ed
esso è diviso in due parti: un mondo che sussiste per se stesso ed un mondo che non sussiste per se stesso. Il
primo è costituito dalle sostanze e dai corpi, il secondo è costituito dai modi d’essere e dai colori, cioè dagli
attributi e dagli accidenti. Il mondo dei corpi e delle sostanze non ha permanenza se non per l’esistenziazione
degli accidenti in essi. E quando non esiste in essi l’accidente, per mezzo del quale ha luogo la loro permanenza
e la loro esistenza, essi non ci sono; e non c’è dubbio che gli accidenti vengono meno nel momento successivo
a quello della loro esistenza. Il Vero non cessa di vigilare il mondo dei corpi e delle sostanze, superiori ed
inferiori: ogni volta che un accidente viene meno ad essi, accidente in cui consiste la sua esistenza, Egli crea
in quel momento un accidente simile o opposto ad esso in modo da preservare il Mondo dalla non-esistenza,
in ogni momento. Egli è incessantemente Creatore, ed il Mondo è incessantemente dipendente da Lui, sia
Egli esaltato, per una dipendenza essenziale, sia il mondo degli accidenti che quello delle sostanze. Questa è
la vigilanza del Vero verso la Sua creazione per conservare ad essa l’esistenza. E queste sono le opere a cui ha
fatto riferimento nel Suo Libro dicendo: “Ogni giorno Egli è all’opera” (Cor. LV-29)”.
181 Nel cap. 192 [II 384.34] Ibn ʿArabī afferma: “Lo stato non può permanere per due tempi, poiché se permanesse per due tempi il Vero non sarebbe più Creatore nei riguardi di colui in cui lo stato permane, e questi
non sarebbe più dipendente verso di Lui e sarebbe caratterizzato dall’indipendenza verso Allah, il che è impossibile, e ciò che conduce all’impossibile è impossibile. Questo è simile a ciò che dicono coloro [gli Ašʿāriti]
che sostengono che l’accidente non permane per due tempi, il che è corretto. Gli stati sono accidenti che capitano agli esseri prodotti da parte di Allah, che li crea in essi, e ciò è espresso dall’affermazione dell’opera in
cui Egli è occupato in questo e nell’altro mondo. […] Non fa parte della sua realtà essenziale restare per due
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lui che fa” non fa la non-esistenza e l’opposto [dell’accidente] non lo annienta, perché non
si riunisce con lui e perché è non esistente, né la cessazione della condizione lo annienta in
quanto il discorso riguardo a essa è come il discorso riguardo all’accidente che scompare (182).
Per questo abbiamo detto che [l’accidente] scompare per se stesso e che la sua permanenza
è impossibile.
Questione [XXVIII]: Il Vero, sia Egli esaltato, è attestato ( yušhadu) sotto ogni aspetto ed è
visto solo sotto l’aspetto dell’Atto per la soppressione della correlazione, in quanto esso [Atto]
è specifico dell’Essenza: in noi non c’è nulla di esso (183) a differenza della Scienza, della Volontà e degli altri Nomi, in quanto la realtà essenziale della contemplazione riguarda noi,
non Lui (184).
Questione [XXIX]: Per noi non è possibile la conoscenza di uno degli stati che comporta
una certa essenza se non dopo la conoscenza di quell’essenza, in modo da conoscere come
si correla con essa quel regime. L’Essenza del Vero, sia Egli esaltato, non ci è nota e quindi
dei regimi che sono correlati ad Essa non è assolutamente noto l’aspetto della relazione con
tempi, ed esso diviene inesistente nel tempo successivo a quello della sua esistenza, per se stesso, non per un
agente che produca in lui la non-esistenza, poiché la non-esistenza non viene prodotta, non essendo una cosa
esistente, né per il cessare di una condizione, né per un [accidente] opposto, in quanto tutto ciò è impossibile.
È quindi inevitabile che esso cessi di esistere per se stesso, cioè, nel secondo tempo dopo quello della sua esistenza, la non-esistenza è per esso [lo stato] una condizione necessaria, ed il ricettacolo non ha permanenza
senza di esso, o del suo simile o del suo contrario, e quindi in ogni tempo è dipendente per la sua permanenza
dal suo Signore, che dà esistenza per lui a dei simili o a dei contrari. Quando Egli dà esistenza ai simili, ci si
immagina che essi siano il primo [stato] e che esso sia rimasto come era, ma le cose non stanno così”, e nel
cap. 287 [II 639.12] aggiunge: “Allah è continuamente Creatore ad ogni attimo. Tra le cose ve ne sono la cui
durata di permanenza è il tempo della loro esistenza, ed esse approdano al loro termine nel secondo tempo
rispetto a quello della loro esistenza: questa è la durata più breve nel Mondo. Ed Allah ha fatto ciò affinché ad
ogni attimo sia valida la dipendenza da parte delle entità verso Allah, sia Egli esaltato. Se restassero per due
tempi, o più, esse sarebbero qualificate dall’indipendenza rispetto ad Allah in quella durata. Questa posizione
non la sostiene nessuno se non la gente dello svelamento realizzato tra di noi e gli Ašʿāriti tra i teologi”.
182 Nel cap. 48 [I 261.24] Ibn ʿArabī distingue la condizione dalla causa (ʿilla), precisando che la prima non
esige l’esistenza di ciò di cui è condizione, mentre la causa implica l’esistenza del suo effetto. La gratitudine ha
come condizione il favore, ma l’esistenza del favore non implica necessariamente la gratitudine, e quindi non
è la causa della gratitudine.
183 Nel cap. 41 [I 237.25] ] Ibn ʿArabī afferma: “Nessuno attesta l’Atto di Allah nella creazione per il velo del
Mistero che ha fatto discendere sulle creature”, e nel cap. 558 [IV 289.10] commentando il versetto “Non li
abbiamo resi testimoni della creazione dei Cieli” (Cor. XVIII-51) aggiunge: “Qui per ḫalq Egli intende senza
dubbio l’Atto, poiché la creatura non possiede alcun atto. In se stessa la creatura non ha una realtà essenziale
con cui possa attestare l’Atto di Allah, poiché non ha alcun atto ed attesta di Allah solo ciò che ha in se stessa”.
Sulla differenza tra la visione e la visione attestante (šuhūd) rimando il lettore alle note 22 e 23 della questione I.
184 Nel cap. 356 [III 254.23] Ibn ʿArabī afferma: “Il Mondo non attesta del Vero se non la forma dello stato
in cui si trova”, e nel cap. 362 [III 306.8] aggiunge: “Tutto ciò che è nell’esistenza è Vero, e tutto ciò che è nella visione
attestante è creatura”.
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Essa, [regimi] come l’essere insieme (maʿiyya), l’assidersi, il discendere, il ridere, l’essere lieto,
la mano, l’occhio e tutto ciò con cui ha stabilito un regime su Se stesso. Allo stesso modo è la
realtà essenziale dell’uomo e ciò che è correlato ad essa, e per questo egli, su di lui la Pace,
ha detto: “Chi conosce se stesso [o: la sua anima] conosce il suo Signore” (185); l’anima è un
mare senza riva ed Egli, riguardo alla conoscenza, ci ha rinviato a noi stessi e quando siamo
entrati nel mare della nostra conoscenza di noi ci siamo immersi e non abbiamo cessato di
resistere alle onde elevate con pensiero e svelamento (186) finché non abbiamo capito che la
nostra conoscenza della nostra anima è un mare senza una riva a cui approdare (187). Allora
ci siamo dedicati alla conoscenza della Signoria e ci siamo rassegnati, poiché è di noi che
abbiamo parlato ed è intorno a noi che abbiamo volteggiato, e non ci appare altro che noi:
185 Celebre ḥadīṯ, non recensito nelle raccolte canoniche, ma citato circa 80 volte nelle Futūḥāt. Per Ibn ʿArabī Il presupposto dottrinale di questa affermazione profetica è il fatto che Allah ha scienza dell’uomo e del
Mondo mediante la Sua scienza di Se stesso, come precisa nei capitoli 71 [I 661.4], 311 [III 44.27] e 346 [III
189.21], ove afferma: “Se tu avessi scienza di te stesso avresti scienza del tuo Signore, così come il tuo Signore
ha scienza di te e del Mondo per mezzo della Sua scienza di Se stesso, e tu sei la Sua forma e devi quindi
condividere con Lui questa scienza”. D’altra parte l’uomo, in quanto creato sulla Sua forma, è l’indicazione
(dalīl) di Lui ed Egli è Colui che è indicato (madlūl), ma anche se tra l’indicazione e l’indicato vi è un legame
essi non si riuniscono mai, come è affermato nei capitoli 2 [I 62.30], 68 [I 347.8], 71 [I 661.2], e 149 [II 243.7].
186 Nel cap. 71 [I 660.35] Ibn ʿArabī afferma: “La Notte del Qadr […] ha luogo nel terzo medio e nell’ultimo
terzo del mese, ma non cade mai nel primo. Il primo sei necessariamente tu e la priorità ti compete nella tua
conoscenza del tuo Signore. Tu ed Egli non si riuniscono, così come non si riuniscono l’indicazione e ciò che
viene indicato. “Chi conosce se stesso, conosce il suo Signore”, ed ha anteposto te e tu sei l’indicazione. La
priorità ti compete nella conoscenza legata alla riflessione ed in quella legata allo svelamento, in quanto la
conoscenza dello svelamento non ha luogo se non dopo una disciplina spirituale ed un combattimento interiore. È quindi inevitabile la tua anteriorità, sia per la riflessione che per lo svelamento. Analogamente la Sua
Scienza di te deriva dalla Sua Scienza di Lui e se Egli non si fosse descritto come Colui che conosce Se stesso
non ti conoscerebbe. Comprendi da dove viene la Scienza che Allah ha di te”. Nel cap. 369 [III 401.12], parlando delle quattro categorie in cui si suddividono coloro che hanno scienza di Allah in base alla modalità con
cui la apprendono, Ibn ʿArabī correla questo ḥadīṯ con coloro che apprendono la scienza divina mediante la
riflessione e l’induzione (istidlāl) e precisa che la categoria più elevata è quella di coloro che ricevono la scienza
da Allah in virtù del timore di Dio (taqwā).
187 Nel cap. 559 [IV 423.16] Ibn ʿArabī afferma: “Chi conosce la sua anima conosce il suo Signore […]
Secondo i conoscitori con questa frase la Legge ha chiuso la porta della scienza di Allah, in quanto sa che
nessuno può arrivare alla scienza della sua anima. L’anima in effetti non può essere intesa razionalmente
come priva dalla sua connessione con un corpo (haykal) che essa governa, sia esso luminoso o tenebroso, e
la sua quiddità può essere intesa solo in quanto governante, e non è intesa né attestata come priva di questa
connessione. Allo stesso modo Allah è inteso razionalmente solo come Dio, non può essere diversamente, e
non è possibile nella scienza di Lui spogliarLo dal Mondo che è Suo vassallo, e se non viene inteso come spogliato dal Mondo non è intelligibile la Sua Essenza ed Essa non è attestata in quanto tale. La scienza di Lui
è simile alla scienza dell’anima, e ciò che le riunisce è la mancanza di spoliazione (taǧrīd): la verità della Sua
Essenza è pura dalla connessione che c’è tra Allah ed il Mondo e dalla connessione che c’è tra la tua anima
ed il suo corpo. Chiunque affermi la spoliazione dell’anima dal governo di un corpo non ha alcuna nozione
della quiddità dell’anima”.
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quindi siamo noi il velo dell’inaccessibilità che protegge il Signore (188), che è troppo eccelso
ed elevato perché la Sua creatura possa percepirLo ( yudriku-hu) nel modo insondabile in cui
Egli percepisce Se stesso. Anzi la creatura è incapace di percepire se stessa, quindi come può
percepire il suo Creatore (munši’) in quanto Creatore per essa, ed a maggiore ragione quanto
alla Sua Essenza, sia Egli esaltato e santificato con grande elevatezza? Non c’è conoscitore
che Lo conosca nella Sua Verità, né uno che Lo possa descrivere (189).
Questione [XXX]: L’indicazione evidente prova l’affermazione di un unico Dio e la negazione di due Dei, ma non c’è assolutamente indicazione che provi la negazione di due
primordiali (qadīmayn) o più, né l’affermazione di ciò, ma vale l’ammissibilità (190), a meno
che non arrivi l’ascolto dell’affermazione o della negazione di questo. Non c’è Dio se non un
unico Dio, sia Egli glorificato ed esaltato al di sopra di ciò che essi associano.
Questione [XXXI]: La primordialità (qidam) attribuita al Produttore è la negazione della
primità (awwaliyya) che viene affermata in base ad una non-esistenza (191), non della primità
esistenziale con cui Egli ha denominato Se stesso nel Suo detto: “Egli è il Primo” (Cor. LVII3) (192).
188 Nel cap. 73, questione CLIII [II 129.13] Ibn ʿArabī afferma: “Se ci chiedi che cosa sia il velo della Inaccessibilità ti risponderemo che esso corrisponde alla cecità ed allo sconcerto, poiché esso impedisce di arrivare
a conoscere la realtà così come essa è in se stessa; questa realtà non la conosce veramente se non la Gente della
prospettiva trascendente (muṭṭalaʿ) e se ci chiedi che cosa sia la prospettiva trascendente ti risponderemo che
essa è quella di colui che guarda il Mondo (kawn) con l’occhio del Vero”.
189 In questa questione Ibn ʿArabī afferma che avendo seguito l’indicazione del detto profetico è arrivato
solo allo sconcerto ed all’incapacità di conoscere sia se stesso che il suo Signore, e questo è uno dei due esiti
possibili, come precisa nel cap. 198 [II 472.35], l’altro essendo la conoscenza di Allah in quanto Dio, non in
quanto Essenza. Ma c’è una via per conoscere se stessi e ad essa viene accennato nel cap. 559 [IV 416.11]: “Il
sovrintendente (naqīb) [uno dei gradi della gerarchia iniziatica limitato in ogni tempo a 12 persone, come precisato nel cap. 73 (II 7.25)] è colui che ha fatto uscire il tesoro della conoscenza di Allah dalla sua anima [o da
de stesso], poiché ha sentito […] la frase dell’Inviato di Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e
la Pace: “Chi conosce se stesso conosce il suo Signore” […] Quando ha saputo che tra l’indicazione e l’indicato
vi è un aspetto che [li] lega ha rinunciato alla scienza di Allah, essendo il suo sguardo rivolto all’indicazione,
che non è altro che la sua anima, ed è tra coloro che conoscono se stessi per mezzo di Allah. Un gruppo di
speculativi, tra cui Abū Ḥāmid [al-Gazālī], ha sostenuto ciò ma in questo noi abbiamo una via diversa dalla
loro, e quella che essi hanno seguito al riguardo non è valida, mentre la nostra lo è. Noi prendiamo la scienza
di Lui per fede [nel Suo Libro e nel Suo Inviato], poi operiamo in base ad essa finché il Vero diventa tutte le
nostre facoltà, sì che abbiamo scienza di Lui per mezzo di Lui ed a quel punto abbiamo scienza delle nostre
anime tramite Lui dopo aver scienza di Lui. Questa è la via della gente di Allah riguardo alla precedenza
della scienza di Allah”.
190 Ibn ʿArabī prende qui le distanze sia da chi afferma che da chi nega che vi siano cose primordiali al di
fuori di Dio. Su questo argomento si possono consultare le pag. 169-171 dei Testi di Ibn ʿArabī sull’eternità e sul
tempo, pubblicati nel N. 4 di El Azufre Rojo, 2017.
191 Cioè il Produttore non è il primo ad esistere rispetto ad una non-esistenza.
192 Nel cap. 73, q. LXXXIX [II 95.9] Ibn ʿArabī afferma: “La questione: qual è il Suo cominciare (bad’)? La
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Questione [XXXII]: La permanenza (baqā’) è la continuità dell’esistenza, nient’altro; non
è identica ad un attributo intrinseco (ṣifa) che permane e che [a sua volta] ha bisogno di una
permanenza (193). Colui per cui la permanenza resta, per Lui permane colui che è qualificato
dal suo essere permanente (al-maʿnūt bi-kawni-hi bāqī) (194), ed è ciò che abbiamo menzionato.
Se colui che resta è condizionato dal tempo la continuità della sua esistenza è data dal passare dei tempi su di lui, mentre se non è condizionato [dal tempo, la permanenza] è la continuità della sua esistenza, nient’altro.
Questione [XXXIII]: Il Discorso (kalām) (195) è conforme a ciò con cui è correlato e quindi
non c’è una definizione (ḥadd) che lo riassuma. Quindi la conoscenza della sua relazione con
il Produttore dipende dalla conoscenza della Sua Essenza, come abbiamo già affermato (196),
e lo stesso vale per il resto di ciò con cui Egli viene descritto e denominato.
Questione [XXXIV]: L’unicità (waḥdāniyya) del Discorso è una verità (197) e la teofania in
quanto Egli parla è una, mentre ciò che viene manifestato è differente, di genere diverso,
risposta: il pronome si riferisce al Vero ed il Suo cominciare fa parte del Nome il Primo, con cui il Vero Si è
denominato. Egli ha detto, sia Egli esaltato: “Egli è il Primo, l’Ultimo, l’Apparente ed il Nascosto, ed Egli è
Sapiente di ogni cosa” (Cor. LVII-3), denominando per noi Se stesso come Primo. Quindi il Suo cominciare
è la Primità del Vero ed essa è una relazione, in quanto l’origine degli esseri nella loro esistenza è il Vero ed è
quindi indispensabile che l’attribuzione della Primità spetti a Lui. Quindi il Suo cominciare è l’attribuzione
della Primità a Lui e l’attribuzione della Primità a Lui non c’è se non riguardo ai supporti di manifestazione. La Sua manifestazione è nell’Intelletto Primo, che è il Calamo supremo, ed esso è il primo che Allah ha
creato ed Egli è dunque il Primo in relazione a quel supporto di manifestazione, in quanto è il primo degli
esseri esistenziati da Lui. L’Essenza eterna non è caratterizzata dalla Primità, solo Allah, sia Egli esaltato,
è caratterizzato da essa […] il Nome Allah [a cui è riferito il pronome Egli nel versetto: “Egli è il Primo…”]
è Lui quanto al rango (martaba) ed il primo supporto di manifestazione che venne manifestato fu il Calamo
divino, che è l’Intelletto Primo. E l’entità non è supporto di manifestazione se non per la manifestazione del
Vero in essa, ed essa è prima”.
193 Si verrebbe così ad instaurare un circolo vizioso e ciò prova l’illogicità di considerare la permanenza come
un attributo aggiunto.
194 Colui la cui esistenza è necessaria per Lui stesso è permanente in Sé, mentre colui la cui esistenza dipende
da Allah è permanente perché Allah lo fa restare. Nei capitoli 329 [III 109.14] e 346 [III 187.20] Ibn ʿArabī
precisa che solo l’Uomo universale permane per la permanenza di Allah, mentre tutte le altre creature permangono perché Allah le fa restare.
195 Sulla differenza tra il Discorso e la Parola (qawl) rimando alla nota 52 al testo della questione V.
196 Si riferisce all’inizio della questione XXIX.
197 Nel cap. 71 [I 659.9] Ibn ʿArabī afferma: “La Notte del Qadr è la notte in cui viene determinato ogni comando saggio e quindi il comando discende verso di essa come entità unica, poi viene distinto in essa in conformità ai dettagli che esso comporta. Analogamente riguardo al Discorso dici che è unico in quanto discorso,
poi si differenzia in colui che lo proferisce, in conformità agli stati di colui a cui viene rivolto, in enunciazione,
interrogazione, affermazione, minaccia, ordine, divieto e le altre suddivisioni del discorso, malgrado la sua
unicità”. Analoghe affermazioni si trovano nei capitoli 363 [III 313.25] e 558 [IV 202.17].
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condizionato dal tempo e dallo spazio e talora condizionato dallo strumento. Esso si suddivide in comandi, divieti, notificazioni e nelle altre classi del discorso verbale che si basa sulle
forme e sulle espressioni.
Questione [XXXV]: Per l’Essenza i Nomi sono dei regimi che fanno risalire a Lui, a partire dagli esseri contingenti, ciò che si sa di Essa e ciò che non si sa di ciò che è possibile sapere. Vi è un Nome che indica l’entità dell’Essenza per il proiettare (īqāʿ ) la distinzione a colui
che ascolta l’espressione, [Nome] che si dice originale (murtaǧal) o privo di derivazione (ǧāmid)
(198), e questo Nome se non ci fossimo noi non si applicherebbe a Lui. Vi è poi un Nome da cui
si capisce un significato aggiunto all’entità dell’Essenza (199), ma esso indica l’Essenza o no?
Riguardo a ciò vi è un punto di arresto per la ragione. E se esso indica l’entità dell’Essenza,
si tratta dell’entità dell’Essenza a cui fa riferimento questo Nome o di un’Essenza aggiuntiva?
Vi è un gruppo che ritiene che esso si riferisce alla stessa Essenza, ed essi sono gli antichi, ed
un gruppo che ritiene che esso si riferisce ad un’Essenza aggiuntiva, ed essi sono gli Ašʿāriti,
come quando noi diciamo Sapiente, Potente, Volente, Vivente, Udente, Vedente, ecc.
Vi è poi un Nome da cui si capisce una connessione e nient’altro, come il Primo e l’Ultimo,
l’Apparente ed il Nascosto (200). Vi è poi un Nome da cui si capisce la negazione di ciò che non
si addice al Nominato, come l’Eterno ed il Santissimo. E con tutto ciò è da noi che deriva la
loro connessione, non da Lui, ed essi sono Nomi di riporto (asmā’ ḥaml), non i veri Nomi (201).
Questione [XXXVI]: Il Nome talvolta ricorre per esprimere [direttamente] il Nominato
e talvolta ricorre per esprimere la parola che indica il Nominato, ma la divergenza in questa
198 Si tratta del Nome Allah, come è precisato nel cap. 90 [II 174.26]: “Tra i Nomi Egli ha scelto il Nome
Allah e gli ha dato il Suo posto tra le parole. Esso è il Nome con cui è qualificato senza essere qualificato.
Tutti i Nomi sono un Suo Attributo, ma esso non è un Attributo; per questo la sua etimologia è difficile da
stabilire. Esso è un nome privo di derivazione (ǧāmid), un nome proprio (ʿalam) e il luogo dell’Essenza [divina]
nel mondo delle parole e delle lettere. Solo Lui, quanto è Magnificente ed Elevato, è chiamato così ed Egli ha
preservato questo Nome dall’associazione, come ad indicare che non c’è altro Dio”. I termini murtaǧal e ǧāmid
esprimono due aspetti diversi del nome privo di etimologia: il primo ne indica la novità, il secondo la fissità.
199 Si tratta degli Attributi intrinseci (ṣifāt).
200 Si tratta degli Attributi estrinseci o di relazione (nuʿūt). Sulla distinzione tra questi due tipi di Attributi
rimando alla nota 20 alla questione I.
201 Nel cap. 73, questione XXIV [II 56.33] Ibn ʿArabī afferma: “Sappi che questi Nomi divini di cui disponiamo sono in realtà i nomi dei Nomi divini con cui Egli ha denominato Se stesso in quanto è Colui che parla
(al-mutakallim) […] Egli è Colui che è denominato da essi in quanto [è] Colui che Si manifesta e quanto al Suo
Discorso, ed il Suo Discorso è la Sua Scienza, e la Sua Scienza è la Sua Essenza, e quindi Egli è denominato
da essi quanto alla Sua Essenza. Le relazioni non sono intelligibili nei riguardi di Colui che è qualificato
dall’Unità sotto tutti gli aspetti [come l’Essenza], quindi i Nomi non sono intelligibili se non in quanto sono
intelligibili le relazioni, e le relazioni non sono intelligibili se non in quanto sono intelligibili i supporti di manifestazione (maẓāhir) che sono indicati con il Mondo”.
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questione è puramente verbale (202). In realtà noi non disponiamo da parte del Vero, sia Egli
esaltato, che dei Suoi Nomi e non comprendiamo di Lui altro che questi, e per questa relazione Lo denominiamo noto e conosciuto e chiamiamo noi stessi sapienti e conoscitori. Per
questo la glorificazione e la santificazione hanno luogo solo per mezzo del Nome, ed Egli,
sia esaltato, ha detto: “Glorifica il Nome del tuo Signore, l’Altissimo” (Cor. LXXXVII-1) e
“Sia benedetto il Nome del tuo Signore” (Cor. LV-78) (203). Realizza dunque questa sezione,
tu che osservi.
Questione [XXXVII]: La lode (ḥamd) è l’elogio ad Allah per ciò di cui è degno ed il ringraziamento (šukr) è l’elogio ad Allah per i benefici che vengono da Lui. L’elogio ad Allah
non può che essere condizionato (muqayyad) o nell’espressione o nel significato a cui rimanda
la lode. Talvolta nell’espressione è riportato in modo assoluto e condizionato, come nel Suo
detto, sia Egli esaltato, in un’espressione assoluta verbale: “Dì: sia lode ad Allah” (Cor. XXVII-59); quanto all’espressione condizionata talora Egli l’ha condizionata con un Attributo
di trascendenza, come nel Suo detto, sia Egli esaltato: “Sia lode ad Allah che non ha preso
figli” (Cor. XVII-111) e talvolta l’ha condizionata con un Attributo di Atto, come nel Suo detto, sia Egli esaltato: “Sia lode ad Allah che ha fatto scendere sul Suo servitore il Libro” (Cor.
XVIII-1), e nel Suo detto: “Sia lode ad Allah che ha creato i Cieli e la Terra” (Cor. VI-1) e
non c’è lode tra le formule di lode contenute nel Libro che è stato fatto scendere da Lui che
esuli da questa suddivisione (204).
202 Ibn ʿArabī si riferisce qui alle dispute teologiche riguardanti il Nome, il Nominato e la denominazione.
Al-Gazālī, nel suo Rawḍat aṭ-ṭālibīn, a pag. 126 di Maǧmūʿat rasā’il al-imām al-Gazālī, Dār al-fikr, Beirut, 1416 H,
afferma ad esempio: “Sappi che l’insieme dei Nomi più belli si riconduce ad una Essenza ed a sette Attributi,
secondo la dottrina della gente della Sunna, a differenza dei Muʿtaziliti e dei filosofi: quindi il Nome è diverso
dalla denominazione e diverso dal Nominato, e questa è la verità. La definizione del Nome è che esso è la
parola stabilita per indicare il Nominato”.
203 Nel cap. 297 [II 683.26 e 30] Ibn ʿArabī precisa: “Tra le scienze che questa dimora spirituale comprende
vi è la scienza dei nomi dei Nomi e del fatto che ad essi spetta la stessa venerazione che è dovuta a Colui che è
nominato dai loro Nomi. Il Vero, Gloria a Lui, per il fatto di essere Colui che parla, ha menzionato Se stesso
con i Suoi Nomi. [...] Questi Nomi hanno per noi dei nomi nel linguaggio di tutti coloro che parlano. In arabo
il Nome con cui Egli ha chiamato Se stesso per il fatto di essere Colui che parla è Allah, in persiano Ḫudāy,
in abissino Wāq, nella lingua dei Franchi Creatore (krayṭūr), e così per tutte le lingue. Questi sono i nomi di
quei Nomi e sono molteplici per la molteplicità delle relazioni. Essi sono venerati da ogni gruppo di uomini
per ciò che essi denotano”.
204 Nel cap. 467 [IV 96.15] Ibn ʿArabī precisa: “La lode è l’elogio ( ṯanāʾ) di Allah ed è di due tipi: un elogio
di Lui per ciò che Gli appartiene, come “Sia Egli glorificato”, “Allah è il più grande” e “Non c’è Dio se non
Allah”, ed un elogio di Lui per ciò che viene da Lui, che è il ringraziamento per i favori ed i benefici che Egli
dona. A Lui spettano le conclusioni poiché la lode non ritorna se non ad Allah, in quanto Egli è Colui che
elogia tramite il servitore e Colui che viene elogiato, conformemente al suo detto, che Allah faccia scendere su
di lui la Sua ṣalāt e la Pace: “Tu sei così come Tu elogi Te stesso”. Egli è Colui per mezzo di cui il servitore Lo
elogia, quindi l’elogio ritorna a Lui in quanto è Colui che elogia ed in quanto è Colui che è elogiato, e l’esito
della lode spetta a Lui in entrambi i casi. Vi è poi un’altra suddivisione: la lode viene riportata da Allah in ter-
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Questione [XXXVIII]: Allah ha creato le creature perché i gradi dell’esistenza (205) fossero perfetti e perché la conoscenza fosse perfetta nell’esistenza, cioè perché fosse perfetta
l’esistenza delle ripartizioni della conoscenza. Quindi Egli ha creato le creature affinché esse
Lo conoscessero, poiché era un tesoro non conosciuto, come è stato riportato in una delle
notificazioni (206), non perché Egli, Gloria a Lui, potesse perfezionarSi nella Sua Essenza: Allah è ben più Alto di ciò. Egli conosceva Se stesso per Se stesso e tra i gradi della conoscenza
mancava solo che l’essere contingente (kawn) Lo conoscesse perché la conoscenza fosse perfetta: quindi ha dato l’esistenza alle creature ed ha ordinato loro di avere scienza di Lui. Allo
stesso modo l’esistenza si divide in primordiale e nuova (muḥdaṯ) e se non avesse creato l’essere
contingente, i gradi dell’esistenza non sarebbero stati perfetti (207). Comprendi dunque.
Questione [XXXIX]: Per Allah il nome dell’avarizia (buḫl) è impossibile [da applicare] e
se Egli risparmiasse qualcosa delle possibilità, il nome della generosità (ǧūd) riguardo a ciò
che Egli dà non sarebbe più appropriato per Lui del nome dell’avarizia riguardo a ciò che
mini assoluti e condizionati, anche se è condizionata per lo stato, poiché non è possibile nell’esistenza l’assenza
di condizionamento nella lode, in quanto è necessario che ci sia un motivo (bāʿiṯ) per essa e quel motivo è ciò
che la condiziona, anche se essa non è condizionata nell’espressione, come il Suo ordine, sia Egli esaltato, nel
Suo detto: “Dì: la lode spetta ad Allah” (Cor. XXVII-59), in cui non ha condizionato l’espressione. Quanto
alla lode condizionata è indispensabile che essa sia condizionata da un attributo di Atto, come il Suo detto:
“Sia lode ad Allah che ha creato i Cieli e la Terra” (Cor. VI-1), ed il Suo detto: “Sia lode ad Allah che ha fatto
scendere il Libro sul Suo servitore” (Cor. XVIII-1) e: “Sia lode ad Allah che ha separato i Cieli” (Cor. XXXV1), ma talvolta è condizionata da un attributo di trascendenza, come il Suo detto: “Sia lode ad Allah che non
ha preso figli” (Cor. XVII-111)”.
205 Per Ibn ʿArabī i gradi dell’esistenza sono quattro: esistenza nell’entità, nella mente [per l’uomo, e nella Scienza per Allah], nella parola e nello scritto, come precisa nei capitoli 2 [I 54.3], 177 [II 309.22] e 558 [IV 315.23].
206 “Ero un tesoro e non ero conosciuto, ed ho amato di essere conosciuto. Ho dunque creato le creature
e Mi sono fatto conoscere ad esse ed esse mi conobbero”. Ḥadīṯ non recensito nelle raccolte canoniche, ma
ritenuto autentico per svelamento, come precisa Ibn ʿArabī nel cap. 198 [II 399.29]. Esso è riportato anche
nei capitoli 73, questione CXVI [II 112.20], 146 [II 232.11], 177 [II 310.20], 178 [II 322.29 e 331.20], 358 [III
267.10] e 559 [IV 428.7], ed in tutte queste citazioni la parola tesoro non è mai seguita dall’aggettivo “nascosto (maḫf ī)”, implicito nel termine tesoro.
207 Nel cap. XXV dei Fuṣūṣ al-ḥikam, a pag. 209 dell’edizione citata, Ibn ʿArabī afferma: “La perfezione è
amata per se stessa, e la Sua Scienza di Se stesso in quanto è indipendente dai Mondi appartiene a Lui. Non
restava quindi che da completare il grado della scienza con la scienza nuova [(hādiṯ) o contingente] che ha
luogo da parte di queste entità, cioè le entità, quando ricevono l’esistenza. Così si è manifestata la forma della
perfezione per mezzo della scienza nuova e primordiale e si è perfezionato il grado della scienza sotto i due
aspetti. Allo stesso modo sono stati perfezionati i gradi dell’esistenza, poiché vi è un’esistenza eterna ed una
non eterna, che è quella nuova: quella eterna è l’esistenza del Vero per Se stesso e quella non eterna è l’esistenza del Vero per mezzo della forma del Mondo immutabile”.
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Egli trattiene (208). Non c’è nella Possibilità un Mondo più originale (abdaʿ ) di questo (209), per
i generi che contiene (210), e non c’è nella Possibilità un genere ulteriore; ed in quanto Egli ha
eretto il Mondo come un’indicazione di Lui è indispensabile che l’indicazione sia perfetta nei
suoi elementi (arkān) ed Egli non ha fatto restare se non i simili (amṯāl), ed il simile è identico
al simile nella sua realtà essenziale (211).
Questione [XL]: Non vi è nulla di più elevato dello svelamento e nulla di più basso del
velo: lo svelamento, che è la visione, è la meta delle cose ricercate, ed il velo, che è l’assenza di
visione, è la più grande delle privazioni. Entrambi i regimi sono manifesti nel Mondo e non
c’è nella Possibilità un Mondo più originale di questo, in quanto include la teofania (taǧallī)
ed il velo.
Questione [XLI]: I Solitari (afrād) in questa comunità sono coloro che esulano dalla giurisdizione del Polo, quelli che si basano su una visione interiore da parte del loro Signore e li
segue un testimone da parte Sua (212). In questa comunità essi sono a guisa dei Profeti nelle
comunità passate, i quali si basavano su una Legge da parte del loro Signore che riguardava
loro stessi, non essendo degli Inviati, e seguivano solo ciò che il Vero, sia Egli glorificato ed
esaltato, rivelava loro (213).
208 Nel Libro della produzione dei cerchi, a pag. 86 della traduzione pubblicata nel N. 5 della rivista El Azufre
Rojo, 2018, Ibn ʿArabī afferma: “E non restò nella possibilità qualcosa di più originale di esso, poiché esso
procede dalla Generosità assoluta, e se restasse qualcosa di più originale di esso la Generosità sarebbe stata
avara per ciò che non ha dato e che ha tenuto presso di sé della perfezione, e non sarebbe appropriato chiamarlo il Generoso in modo assoluto, mentre in Lui vi è dell’avarizia. Ed il Nome il Generoso, per ciò che dà,
non sarebbe meglio per Lui del Nome l’Avaro per ciò che trattiene e le realtà [o verità] essenziali sarebbero
false. Quindi è stabilito fermamente che il Nome l’Avaro è impossibile per Lui ed il fatto che possa avere fatto
restare presso di sé ciò che è più perfetto è impossibile, e poiché non è possibile l’aggiunta di una realtà, non
c’è nella Possibilità nulla di più originale di esso”.
209 Si tratta di una affermazione di al-Gazālī, più volte citata e commentata da Ibn ʿArabī, riportata nel Libro XXXV di Ihyā’ ʿulūm ad-dīn, a pag. 2509 del IV volume dell’edizione Laǧnat našr al-ṯaqāfa al-islāmiyya,
Il Cairo, 1937, e più estesamente nell’Imlā’ fī iškalat al-iḥyāʾ, a pag 3073 della stessa edizione. Il termine abdaʿ,
comparativo di badiʿ, è spesso tradotto come “più perfetto” o “più incomparabile”, ma la radice badaʿa significa
produrre ex novo, incominciare, da cui il Nome divino badīʿ, e nella forma baduʿa significa essere stupefacente,
straordinario o meraviglioso; ho pertanto adottato la traduzione “originale” perché in italiano esprime entrambi i significati.
210 Nel cap. 10 [I 137.8] Ibn ʿArabī precisa che i generi sono solo sei: l’Angelo, il ǧinn, il minerale, il vegetale,
l’animale e l’uomo.
211 In una poesia del cap. 364 [III 318.22] Ibn ʿArabī afferma: “Il simile non è identico al simile”, ma ciò non
contraddice quanto ha scritto nel testo che stiamo traducendo, poiché ha specificato “nella sua realtà essenziale”: nella forma che assume un simile non è identico ad un altro simile, ma la qualità di essere simile è la stessa.
212 Riferimento a Cor. XI-17.
213 Nel cap.73, questione LIII (II 76.16) Ibn ʿArabī precisa: “I Profeti sono di due tipi: i Profeti che hanno
una funzione legiferante e quelli che non hanno una funzione legiferante. I Profeti legiferanti a loro volta si
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Essi sono guardati dal Nome “il Singolare (al-fard)”, [così chiamato] per il Suo isolamento dai
Nomi. Il Polo è uno dei Solitari ma a differenza degli altri Solitari ha la prerogativa di essere
preposto all’osservazione del Mondo (214).
Mi è stato comunicato che ʿAbd al-Qādir al-Ǧīlī a Bagdād (215) ha detto riguardo al Maestro
Muḥammad [ibn ʿAbd ar-Raḥmān at-Tafsūnaǧī] (216) al-Awānī (217) che egli faceva parte dei
dividono in due classi: i Profeti che hanno una funzione legiferante solo nei propri confronti, come nel Suo
detto: “..se non ciò che Israele vietò a se stesso [prima che scendesse la Torah]” (Cor. III-93), ed i Profeti
dotati di funzione legiferante nei confronti degli altri, cioè gli Inviati, su di loro la Pace”. Dopo la venuta di
Muḥammad la porta della Profezia è chiusa, per cui vi sono solo Profeti che non hanno una funzione legiferante, ed essi sono gli Intimi (awliyā’) che sono eredi di un Profeta. Ibn ʿArabī definisce questo tipo di Profezia
come non vincolata [(muṭlaqa) alla formulazione di una Legge], espressione che ricorre solo otto volte nelle
Futūḥāt, tutte nelle questioni del cap. 73, oppure come generale (ʿāmma). Nel cap. 73 [II 3.3] afferma: “Sappi,
Allah assista noi e te con uno Spirito da parte Sua, che questo capitolo comprende le categorie degli Uomini
che sono in numero definito e di quelli che non hanno un numero fisso nel tempo. Esso inoltre tratta le questioni che non conoscono se non i più grandi tra i servitori di Allah, i quali sono nella loro epoca a guisa dei
Profeti all’epoca della Profezia: si tratta cioè della Profezia generale. La Profezia che è cessata con la venuta
di Muḥammad, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, è la Profezia legiferante, ma non è
cessata la sua stazione spirituale”.
214 Nel cap. 73 [II 19.9] Ibn ʿArabī precisa: “Tra essi vi sono i Solitari (afrād), che non sono vincolati da un numero [definito], ed essi nel linguaggio della Legge sono gli Approssimati. Faceva parte di loro Muḥammad alAwānī, noto come Ibn Qāʾid, originario di Wāna, nei dintorni di Bagdād. Egli era tra i compagni dell’Imām
ʿAbd al-Qādir al-Ǧīlī, che attestava […] che Muḥammad ibn Qāʾid al-Awānī faceva parte dei Solitari (mufradūn). Essi sono Uomini che esulano dalla giurisdizione del Polo e Ḫaḍir [il Ḫiḍr] è uno di loro. Il loro equivalente tra gli Angeli sono gli spiriti perdutamente innamorati della Maestà divina, cioè i Cherubini […] La loro
stazione spirituale si trova tra la Ṣiddīqiyya [la stazione di Abū Bakr] e la Profezia legiferante; si tratta di una
stazione illustre che la maggior parte della gente della nostra Via ignora, come Abū Ḥāmid [al-Gazālī] ed altri, perché gustarla è raro: essa è la stazione della Profezia non vincolata. Talvolta si ottiene per designazione,
talvolta per avere operato conformemente alla Legge e talvolta per l’affermazione dell’Unità del Vero e per
l’abbassamento nei Suoi riguardi […] Muḥammad, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace,
prima di essere inviato e di essere conosciuto pubblicamente era uno dei Solitari”.
215 ʿAbd al-Qādir al-Ǧīlī, nato a Ǧīl nell’anno 470 dall’Egira e morto a Bagdād nel 561, è uno dei Sūf ī più
celebri. Su di lui si può consultare l’opera di Mehmmed Ali Aïnî “Un grand saint de l’Islam: Abd-al-Kadir Guilānī”,
Parigi, Geuthner, 1938, la biografia di at-Tādif ī, tradotta da Muhtar Holland con il titolo “Necklaces of Gems”,
Al-Baz Publishing, 1998, e lo studio di Hamza Malik The Grey Falcon. The Life and Teaching of Shaykh ‘Abd al-Qā dir al-Jīlānī, Brill, Leiden, 2019. Ibn ʿArabī lo cita una ventina di volte nelle Futūhāt.
216 Nel manoscritto Fatih 5322 è aggiunto nel testo il seguente inciso: “Tasūnaǧ (sic) è un paese sulla riva
del Tigri, di fronte a [la città di] al-Nuʿmāniyya, sulla riva orientale”. Nel Thesaurus linguae arabicae (1632) di
َ ف
ْ س
Antonius Giggeius Vol. III, colonna 69, alla voce ط
ُ ج َن وsi legge Regio ad littus Tigris fluuij.
217 Su questo nome non vi è accordo tra i manoscritti: in tre di essi si trova il nome come riportato nel testo,
in altri tre si trova solo Muḥammad al-Awānī, ed in altri cinque si trova solo ʿAbd ar-Raḥmān at-Tafsūnaǧī.
Sembra che alcuni copisti abbiano riunito i nomi di due persone diverse: ʿAbd ar-Raḥmān at-Tafsūnaǧī e
Muḥammad ibn Qāʾid al-Awānī, che peraltro non risulta essere il figlio del primo. Entrambi sono spesso
menzionati nelle opere che riguardano la vita di ʿAbd al-Qādir al-Ǧīlī, come i Qalā’id al-ǧawāhir di at-Tādif ī e
la Ḫulāsat al-mafāḫir di al-Yāfiʿī; del primo è affermato che era uno dei Pilastri e che suo figlio sposò una delle
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Solitari ed essi sono i signori (aʿyān) degli Intimi.
Questione [XLII]: Colui che sceglie liberamente (muḫtār) è colui che fa una cosa se vuole
e la omette se vuole. La precedenza della Scienza dell’atto o dell’omissione rende impossibile
l’accadimento di ciò che la Scienza non sa in precedenza, quindi la scelta è impossibile (218).
Colui che è obbligato (muḍṭarr) è colui che è costretto a [fare] la cosa e non c’è costrizione
(ǧabr) (219): quindi non c’è obbligo né scelta. Realizza, tu che consideri questa questione: ne
trarrai profitto se Allah vuole.
Questione [XLIII]: L’invenzione (iḫtirāʿ ) è la produzione della cosa inventata prima nell’anima e poi in atto, ma non c’è cosa che si produca nell’anima che non sia già in essa (220). Non
c’è quindi invenzione ma solo l’assenza del simile nella manifestazione iniziale dell’entità,
[assenza] che viene denominata invenzione ma che non lo è realmente (221).
figlie di ʿAbd al-Qādir [pag. 344 dell’edizione dei Qalā’id pubblicata nella raccolta Sirr al-asrār, Dār al-kutub
al-ʿilmiyya, Beirut, 2007]. Del secondo non è fatta menzione in queste opere che fosse uno dei Solitari, ma
nelle Futūḥāt, ove at-Tafsūnaǧī non è mai menzionato, Ibn ʿArabī afferma quattro volte che Muḥammad ibn
Qāʾid al-Awānī era considerato uno dei Solitari [capitoli 25 (I 187.24), 30 (I 201.22), 73 (II 19.9) e 198 (II
392.20)]. Su di lui si possono consultare le pag. 441-444 della traduzione del Libro delle risposte arabe, pubblicato
nel N. 7 della rivista El Azufre Rojo, 2020.
218 Tutti gli atti dell’uomo, comprese le sue scelte, sono creati da Allah, che crea ciò che vuole ma che non
vuole se non ciò che sa, e ciò che sa dipende dal saputo, che non è altro che le possibilità immutabili dell’essere
umano. La scelta dell’uomo è così determinata da Allah, che però non ha scelta nella Sua Volontà, essendo
questa dipendente dalle possibilità dell’essere: l’uomo è quindi obbligato nella sua scelta, ma quest’obbligo non
deriva da qualcosa di esterno a lui, bensì dalla sua realtà più profonda. Nel cap. 238 [II 539.13] Ibn ʿArabī
afferma: “Essi sanno che il momento (waqt) conferisce quella faccenda e che Allah l’ha scelto per loro, poiché
Egli è Colui che dice: “Ed il tuo Signore crea ciò che vuole”, cioè determina il momento e dà l’esistenza, poi
ha detto: “e sceglie” ed ha negato che essi abbiano la scelta, dicendo: “ed essi non hanno la scelta (mā kāna lahum al-ḫiyāra)” (Cor. XXVIII-68), ma secondo noi il “mā” in questo caso è un pronome [non una negazione]
e sta per il complemento oggetto del Suo detto: “e sceglie”, cioè [sceglie] ciò che è la scelta (al-ḫiyāra) per loro”.
219 Nel cap. 73, questione XLIV [II 70.29], Ibn ʿArabī afferma: “Non c’è atto per nessuno al di fuori di Allah
e nell’esistenza non c’è atto che derivi da una scelta; le scelte conosciute nel Mondo derivano dalla costrizione
stessa, e gli esseri sono costretti nella loro scelta. Ma l’Atto vero non ha costrizione, né scelta, poiché è l’Essenza ad esigerlo”.
220 Nel Libro delle risposte arabe, a pag. 434 della traduzione pubblicata nel N. 7 della rivista El Azufre Rojo,
2020, Ibn ʿArabī afferma: “[…] dalla sua anima l’uomo sa [già] tutte le cose che apprende, e delle quali si
dice che prima di apprenderle egli non aveva scienza, in quanto originariamente l’anima non è né torbida,
né arrugginita, e gli oggetti della scienza sono incisi in essa come le forme nello specchio levigato, anche se lo
specchio non ne è consapevole”.
221 Nel cap. 2 [I 90.23] Ibn ʿArabī precisa: “Ciò che arriva (wārid) al momento mi ha interrogato sull’impiego
del termine invenzione riguardo al Vero, sia Egli esaltato, ed io ho risposto: la Scienza che il Vero ha di Sé è
identica alla Scienza che Egli ha del Mondo, poiché il Mondo non cessa di essere attestato da Lui, anche quando è qualificato come inesistente. Al contrario il Mondo [in quello stato] non ha scienza di se stesso, poiché
non esiste. […] Egli Stesso non cessa mai di esistere e di conseguenza la Sua Scienza non cessa mai; e la Sua
scienza di Se stesso è la Sua Scienza del Mondo: quindi la Sua Scienza del Mondo non cessa mai di esistere.
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Questione [XLIV]: Se l’unificazione (ittiḥād) consiste nel fatto che due essenze diventano
una ciò è impossibile, poiché se l’entità di ciascuna di esse è esistente nello stato dell’unificazione allora si tratta di due essenze [e non di una], e se l’entità dell’una cessa di esistere e resta
l’altra, allora non è che uno [e non una unificazione] (222).
Se l’unificazione è a guisa della manifestazione dell’uno nelle categorie dei numeri, sì da manifestare il numero – e sotto questo aspetto l’unificazione è valida (223) – e l’indicazione (dalīl)
è in contrasto con la percezione sensibile, [la faccenda] ha due aspetti: ad esempio, secondo
i sensi la scrittura deriva dal movimento della mano dello scrivente, mentre per l’indicazione
è Allah che lo crea [il movimento] ed esso è l’effetto del Potere eterno, non di quello contingente. Il sostare (wuqūf ) a questo grado della conoscenza per mezzo dello svelamento e della
visione attestante, non per mezzo del pensiero, si chiama unificazione.
Talvolta per noi l’unificazione sta ad indicare l’ottenimento da parte del servitore della stazione del subire l’azione (infiʿāl) (224) da lui per mezzo della sua himma e dell’indirizzarsi della
Egli dunque conosce il Mondo nel suo stato di non-esistenza e lo ha esistenziato in conformità a ciò che era
nella Sua Scienza. La spiegazione di questo seguirà alla fine del libro; si tratta del segreto del Destino, che è
nascosto alla maggioranza dei realizzati. In base a quanto precede non è possibile [per il Vero] l’invenzione
nei confronti del Mondo. Tuttavia questo termine si applica a Lui per un certo aspetto, anche se non da quello
che comporta la realtà essenziale dell’invenzione, poiché ciò implicherebbe una deficienza dal Lato divino [...]
Noi siamo non-esistenti nelle nostre entità e non c’è quindi invenzione nel modello, e non resta che l’invenzione nell’Atto, ed essa è valida per l’assenza del modello esistente in modo individuale”. Sul tema dell’invenzione
Ibn ʿArabī ha redatto un libro, di cui non sono noti manoscritti [Osman Yahya, Histoire et classification de l’œuvre
d’Ibn ʿArabī, Damasco, 1964, Vol. I, pag. 303].
222 Nel cap. 399 [III 566.7] Ibn ʿArabī afferma: “Questa è la dimora dell’unificazione, dal cui rischio nessuno
è esente, soprattutto i sapienti per Allah che pur sapendo come stanno le cose la affermano; c’è chi afferma
l’unificazione per un ordine divino, chi l’afferma per ciò che gli conferisce il momento e lo stato, e chi l’afferma
senza sapere di farlo: gli stati delle creature sono differenti al riguardo. Quanto alla gente della speculazione
razionale essi la dichiarano impossibile, poiché per loro significa che due essenze diventano un’essenza unica
è ciò è impossibile. Quanto a noi ed i nostri simili, noi vediamo un’essenza unica, non due essenze: ciò che
genera la divergenza sono le relazioni e gli aspetti, mentre nell’esistenza l’entità è una e le relazioni sono
non-esistenti”.
223 Nel cap. 73, questione CLIII [II 130.11] Ibn ʿArabī afferma: “L’unificazione consiste nel fatto che due
essenze diventano un’unica essenza, sia essa servitore o Signore; non può esservi unificazione che nel dominio dei numeri o in quello della Natura e si tratta di uno stato”, e nel cap. 223 [II 519.17] spiega che la serie
indefinita dei numeri è prodotta dalla manifestazione dell’uno mediante l’unificazione dell’uno con ciascuno
dei numeri precedenti.
224 Il termine infiʿāl, infinito della VII forma del verbo faʿala, fare, viene spesso tradotto come passività o reazione, ma in questo caso tali significati non sono del tutto appropriati, come si vedrà negli esempi riportati
nella nota seguente. Ibn ʿArabī si riferisce qui all’azione esercitata da un essere, mediante la sua himma, su un
altro essere (al-fiʿl bi-l-himma) al punto di assumerne le forme o di rivestirlo con la propria forma e di farlo agire
a proprio volere. Il termine infiʿāl esprime qui quindi l’effetto in un altro essere di questa azione, effetto che non
è definibile come passività, intesa come inattività o inerzia, né come reazione, poiché indicherebbe un’azione
riflessa o voluta da colui che subisce l’azione.
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sua volontà, non per mezzo di un esercizio né di un’applicazione [da parte sua], e per la sua
manifestazione con un attributo che appartiene in realtà al Vero, sia Egli esaltato: [ciò] viene
denominato unificazione, per la manifestazione del Vero nella forma del servitore e per la
manifestazione del servitore nella forma del Vero (225).
Talvolta nella nostra Via si usa il termine unificazione per indicare la compenetrazione (tadāḫul) da parte del Vero negli attributi e nelle creature: Egli ci ha caratterizzato con gli
attributi della perfezione, come la Vita, la Scienza, il Potere, la Volontà e l’insieme di tutti
i Nomi che Gli appartengono ed ha caratterizzato Se stesso con gli attributi di ciò che appartiene a noi, come la forma, l’occhio, la mano, il piede, il braccio, il riso, la dimenticanza,
lo stupore, la cortesia ed altre cose simili che ci appartengono. E poiché si è manifestata la
compenetrazione di questi attributi tra noi e Lui abbiamo chiamato ciò unificazione, per la
nostra manifestazione per mezzo di Lui e per la Sua manifestazione per mezzo di noi (226), ed
è quindi valida l’affermazione di chi ha detto a questo riguardo:
Io sono Colui che amo e Colui che amo è me (227).
225 Nel cap. 73, questione XXXVI [II 65.29] Ibn ʿArabī, rispondendo alla domanda: “Dove viene svelato
loro [il segreto del Destino]?” afferma: “Nello stato del subire l’azione da parte loro e dell’unificazione con
loro. Tra i supporti di manifestazione (maẓāhir) c’è chi sa di essere un supporto di manifestazione e chi non lo sa
e si immagina di essere estraneo al Vero. Il segno indicatore di chi sa di essere un supporto di manifestazione
è quello di avere supporti di manifestazione dove vuole nell’esistenza contingente, come Qaḍīb al-Bān: egli
aveva supporti di manifestazione in ciò che voleva dell’esistenza, non dovunque volesse. Tra gli Uomini vi è
chi si manifesta in ciò che vuole dell’esistenza [assumendo la forma di un altro essere], non dove vuole [con la
propria forma], mentre chi si manifesta dove vuole si manifesta anche in ciò che vuole dell’esistenza. La forma
unica si manifesta in posti diversi e le forme molteplici in successione coprono l’essenza unica alla vista di colui
che le percepisce. Quando l’Uomo arriva nel posto in cui conosce la teofania del Vero nelle diverse forme ad
una sola persona o a molte persone […] è in grado di essere qualificato da un attributo come questo. Questa
è la scienza del segreto del Destino che viene svelato loro quando si trovano in questa dimora iniziatica e con
questa facoltà”. D’altra parte nel cap. 558 [IV 255.21] Ibn ʿArabī afferma: “ed il Vero subisce qui l’azione da
parte di uno che subisce la [Sua] azione, poiché risponde alla domanda ed all’invocazione: “Io rispondo all’invocazione di chi invoca” - ed Egli Si è imposto la risposta - “quando invoca Me” (Cor. II-186)”.
226 Nel cap. 72 [I 690.34] Ibn ʿArabī afferma: “La stazione dell’unificazione è la [con]fusione (iltibās) del
servitore con un attributo del Signore, e se si intende invece parlare del servitore allora è la [con]fusione del
Signore con un attributo del servitore”.
227 Questo celebre verso di al-Ḥallāǧ, tratto dal suo Dīwān [pag. 93 dell’edizione critica pubblicata da Louis
Massignon in Journal Asiatique, N. 218, 1931], è riportato nei capitoli 178 [II 334.16, 353.17 e 361.10], 197 [II
390.13], 199 [II 479.15], 328 [III 104.9], 507 [IV 146.13], 559 [IV 401.22] e 560 [IV 454.18].
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Questione [XLV]: “Non c’è cosa come il Suo simile (laysa ka-miṯli-hi šay’) (228) ed Egli è Colui che ascolta e che vede” (Cor. XLII-11). La similarità (miṯliyya) è razionale e linguistica (229).
Zayd è simile ad ʿAmr nell’umanità poiché entrambi condividono gli attributi dell’anima:
questa è la similarità razionale e non è su di essa che si basa [il versetto]: “Non c’è cosa come
il Suo simile”, se non per l’aggiunta [pleonastica] della kāf o per una deduzione remota basata
sulla ipotetica considerazione del simile, non sulla sua esistenza [attuale] (230). Quindi nel versetto la similarità è linguistica e ciò è possibile: Zayd è come il leone e ʿAmr è come il mare,
cioè Zayd è simile al leone per coraggio e ʿAmr è simile al mare per generosità, purezza e
latitudine. “La similitudine della Sua Luce è come una lampada” (Cor. XXIV-35). Osserva!
Questione [XLVI]: Le scienze acquisite non sono altro che la relazione di un giudizio con
ciò che è giudicato per mezzo di una negazione o un’affermazione, e non c’è nulla dei termini
semplici (mufradāt) che venga acquisito (231). Per acquisizione (iktisāb) intendo ciò che si ottiene
con la speculazione (232) e se l’acquisizione viene attribuita alla concezione formale, che è la
conoscenza del termine semplice (mufrad), questo non riguarda altro che il termine, non il
228 Nei commenti exoterici del Corano questa parte del versetto viene intesa come: “Non c’è cosa simile a
Lui”, in quanto la maggior parte dei commentatori considera pleonastica (zā’ida) in ka-miṯli-hi la lettera kāf, che
prefissa ad un nome significa “come”, così come in italiano è pleonastico il come di “ora come ora”, mentre
altri commentatori considerano come pleonastico il termine miṯl, simile. Per Ibn ʿArabī invece questa kāf può
anche non essere pleonastica, bensì qualificativa (kāf aṣ-ṣifa), ed è questa la lettura che egli sottoscrive [(wa
huwa maḏhabu-nā) nel cap.499 (IV 135.10)]; il senso della frase allora è: “Non c’è cosa simile al Suo simile (laysa
miṯla miṯli-hi ša’y)”, come afferma nei capitoli 89 [II 97.30], 198 [II 470.25], 278 [II 603.9], 292 [II 662.2], 329
[III 109.27], 360 [III 282.5] e 499 [IV 135.33], aggiungendo che il Suo simile è l’Uomo universale o Adamo,
creato sulla Sua forma, e che se non c’è cosa simile al Suo simile, a maggior ragione non c’è cosa simile a Lui.
229 Nel cap. 35 [I 220.15] Ibn ʿArabī precisa che la similarità è puramente concettuale e che non esistono
due entità veramente simili, poiché sarebbero un’entità unica: “I simili sono intelligibili, non [realmente]
esistenti”. La distinzione tra i due tipi di similarità consiste nel fatto che nella similarità razionale due esseri
condividono gli attributi primari che li definiscono in quanto tali, mentre nella similarità linguistica o verbale
due esseri condividono degli attributi secondari, come ad esempio il coraggio nel caso del leone e dell’uomo.
Ibn ʿArabī chiarisce questa distinzione nei capitoli 3 [I 97.29] e 361 [III 298.33] delle Futūḥāt, e nel Kitāb alǧalāl wa-l-ǧamāl, a pag. 28-29 delle Rasā’il, Dār Ṣādir, Beirut, 1997.
230 In questo caso la lettura sarebbe: “Non c’è cosa simile a Lui”, lettura che nega la similarità razionale, cioè
che Allah e le cose abbiano la stessa realtà essenziale, come l’umanità nell’esempio dei due uomini riportato
nel testo.
231 Un’affermazione con il soggetto, il verbo essere ed il predicato è un esempio del ternario costituito da ciò
che è giudicato, dalla relazione e dal giudizio. Per poter comprendere la relazione è necessario che il significato dei termini che esprimono il soggetto ed il predicato sia già noto, per cui nulla viene acquisito riguardo
ai singoli termini.
232 Ad esempio con il sillogismo, ma anche in questo caso il significato dei termini che lo compongono deve
già essere noto. Riguardo all’esempio riportato nella nota precedente, nel cap. 21 [I 170.28] Ibn ʿArabī afferma: “La composizione dei due termini semplici, con l’attribuzione di uno dei due all’altro, non produce [o:
conclude] nulla; essa infatti è una asserzione (daʿwā) e colui che l’asserisce ha bisogno di una prova della sua
validità, affinché sia veridico ciò che si predica del soggetto, cioè l’informazione che egli dà riguardo ad esso”.
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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significato (233). Uno sente un termine che indica un significato e quel significato gli è noto
per mezzo dei sensi o per mezzo di un’intuizione, ma egli non sa se quel termine si applica ad
esso e per questo motivo si informa ed acquisisce la conoscenza che quel termine si applica a
quel significato che gli è già noto. Nient’altro.
Questione [XLVII]: Gli oggetti della scienza consistono in sensazione esteriore, interiore
ed intuitiva ed in ciò che viene composto di questo mediante la ragione, se si tratta di un
significato, e mediante l’immaginazione se si tratta di una forma, e talvolta la [sensazione]
interiore viene denominata percezione psichica, e si tratta della scienza delle sofferenze e di
altre cose simili. L’immaginazione non compone mai se non specificamente nella forma e
la ragione comprende ciò che l’immaginazione compone, ma non è nella facoltà dell’immaginazione di rappresentare parte di ciò che la ragione compone, e se si trovano delle forme
nei significati ciò avviene solo in base all’assunzione che se fossero forme sarebbero secondo
questa forma, come la scienza nella forma del latte (234), la saldezza nella religione nella forma della catena (235), la Sūra della Vacca che ha una lingua e due occhi che testimonieranno
per chi la legge (236), e le opere nella forma di un giovane leggiadro se sono buone (237). Non
rientra in questa categoria la ricchezza dalla quale la zakāt non ha preso la sua quota, e che
[nel giorno della Resurrezione] sarà un serpente calvo con due punti neri sopra gli occhi
(238); se fosse l’entità del trattenere [la zakāt, ad essere rappresentata] essa rientrerebbe in
quest’ambito, anzi [la rappresentazione formale] sarebbe ancor più sottile poiché [l’entità] è
non-esistente in quanto è un trattenere. Invece è solo l’entità della ricchezza ed essa condivide
233 Si tratta in questo caso di conoscenza del lessico, non di scienza, che riguarda i significati e non i termini
che li esprimono.
234 Riferimento ad un ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, III-22, LXII-6, XCI-15, 16 e 34, Muslim, XLII-6, Abū
Dā’ūd, XL-88, at-Tirmiḏī, XXXII-10, e da ad-Dārimī, X-13. Ibn ʿArabī lo menziona nei capitoli 2 [I 57.29]
ove precisa: “È in questo senso che egli, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, interpretò
il latte che aveva bevuto in sogno e del cui resto aveva gratificato ʿUmar. Gli fu chiesto: “Come lo interpreti,
o Inviato di Allah?” ed egli rispose: “È la scienza””, 70 [I 592.6], 73, questione XXV [II 58.9] e questione
XXXIX [II 66.22], 158 [II 257.6], 167 [II 279.23], 172 [II 292.7], 249 [II 550.10 e 551.8], 367 [III 341.12],
381 [III 507.12], e 558 [IV 219.30 e 220.1].
235 Riferimento ad un ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, XCI-26, Muslim, XLIV-16, at-Tirmiḏī, XXXII-9, Ibn
Māǧah XXXV-10, e da ad-Dārimī, X-13.
236 Riferimento ad un ḥadīṯ riportato da Muslim, VI-252 e da ad-Dārimī, XXIII-15. Ibn ʿArabī lo menziona
nel cap. 310 [III 40.12] ove afferma che ciò si applica anche alla Sūra della Famiglia di Imrān [III], conformemente al testo del ḥadīṯ.
237 Riferimento ad un ḥadīṯ riportato da Ibn Ḥanbal, IV-287. Ibn ʿArabī lo menziona nel cap. 72 [I 755.14].
238 Riferimento ad un ḥadīṯ riportato da al-Buḫārī, XXIV-3, LXV ad Sûra III-14, ad Sûra IX-6, XC-3, Muslim, XII-27 e 28, an-Nasā’ī, XXIII-3, 6, 9, 20, Ibn Māǧah VIII-3, e da Ibn Ḥanbal, II-98, 279, 316, ecc. Ibn
ʿArabī lo cita nei capitoli 35 [I 219.25], 70 [I 599.14] ove afferma: “Come chi rifiuta di fare la zakāt, “verrà da
lui la sua ricchezza” che è la misura della zakāt “come un serpente calvo con due macchie nere sopra gli occhi
che lo avvolgerà e gli verrà detto: questo è il tuo tesoro!”” e 176 [II 296.4].
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con il serpente la sostanza: si tratta dello spogliarsi di una forma che la sostanza portava per
indossare la forma del serpente.
Questione [XLVIII]: Il considerare le cose per se stesse [o: nella loro essenza] senza badare alla [loro] completezza, o difetto, o adeguatezza di natura, o inadeguatezza, o presentazione o collocamento, non è un atto bello né brutto, né lodato né biasimato. Il bello ed il brutto,
e la lode ed il biasimo, sono qualità stabilite da una Legge e da una disposizione naturale
(ṭabʿ ) in base all’adeguatezza o all’inadeguatezza [della cosa], e da uno che osserva completezza e difetto, nient’altro. Poi esse [le cose], nei riguardi del loro Autore ( fāʿil), in quanto si
basano su di Lui, sono tutte belle per adab divino. Osserva come consideri questa questione:
cesserà per te la nota divergenza riguardo ad esse, e per noi rientra in quest’ambito anche il
nobile ed il modesto.
Questione [XLIX]: Colui che è soddisfatto del Decreto non è tenuto ad essere soddisfatto della ingratitudine (kufr), delle disobbedienze e delle trasgressioni, poiché esse sono tutte
decretate ma non sono identiche al Decreto (239). Il Legislatore ci ha ordinato di essere soddisfatti del Decreto, non di ciò che è decretato, poiché si tratta della scelta del Vero, sia Egli
esaltato, [basata su ciò che Egli sa] non di ciò che Egli preferisce (240).
Non devi dire: “Sono soddisfatto di ciò (mā) che Allah ha decretato per me delle trasgressioni”, poiché qui “ciò” è identico al decretato, a meno che non lo usi in modo pleonastico, nel
qual caso ti è lecito dirlo.
239 Nel Libro delle risposte arabe, a pag. 203 della traduzione pubblicata nel N. 7 della rivista El Azufre Rojo,
2020, Ibn ʿArabī afferma: “Ed anche se noi non siamo soddisfatti di ciò che è decretato (maqḍī), poiché Allah
“non gradisce per i Suoi servitori l’ingratitudine (kufr)” (Cor. XXXIX-7) [malgrado essa sia stata decretata],
tuttavia è nostro dovere, ed è obbligatorio, essere soddisfatti del Decreto di Allah e della Sua misura (qadar),
poiché il Decreto non è identico a ciò che è decretato, pur non essendo in contraddizione, per chi ha appreso
la scienza”. Affermazioni simili sono riportate anche nella Introduzione delle Futūḥāt [I 45.26], e nei capitoli
73 [II 29.9], 129 [II 213.31], 178 [II 327.21], 358 [III 268.34], 558 [IV 216.22] e 559 [IV 439.2], come pure
nel cap. XIX dei Fuṣūṣ al-ḥikam, a pag. 178 dell’edizione citata.
240 Nel cap. 538 [IV 182.11] Ibn ʿArabī precisa: “A lui, su di lui la Pace, ed ai credenti, è stata ordinata la
rettitudine (istiqāma), ma il regime appartiene alla Scienza, non al Comando, ed Allah non è ingiusto con i
servitori. Egli, sia Egli esaltato, non ha Scienza se non di ciò che Gli apportano gli oggetti della scienza, e la
Scienza segue il suo oggetto, e non si manifesta nell’esistenza se non ciò che implica l’oggetto della scienza,
“e ad Allah appartiene l’argomento decisivo” (Cor. VI-149): chi non conosce la realtà in questo modo non ha
alcuna nozione di come stanno le cose. L’uomo ignora ciò che avverrà da lui prima che avvenga, e quando
accade da parte sua ciò che accade, non accade se non per la Scienza di Allah riguardo ad esso, ed Egli non ha
Scienza se non di ciò che è implicito nell’oggetto della scienza. È quindi valido il Suo detto: “ed Egli non gradisce per i Suoi servitori l’ingratitudine” (Cor. XXXIX-7); il gradimento (riḍā) è volontà (irāda) [tra i significati
dell’arabo riḍā vi è anche desiderio, volere], e non c’è contraddizione tra il Comando [prescrittivo, non quello
creativo] e la Volontà, ma soltanto tra il Comando e ciò che apporta la Scienza che segue il suo oggetto”.
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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Questione [L]: Dall’esistenza degli Attributi connessi [con un oggetto] non deriva necessariamente l’esistenza di ciò che è connesso, come l’esistenza nell’eternità del Potere, la cui
connessione è solo con il dare l’esistenza, e non è possibile che il dare l’esistenza sia eterno
(241). Lo stesso vale per la Scienza: dalla sua esistenza non deriva necessariamente che essa
sia connessa con le realtà essenziali degli oggetti della Scienza, bensì essa ha la virtualità
(ṣalāḥiyya) di connettersi.
Per noi la scienza contingente (muḥdaṯ) è unica (242) ed io non sostengo che per ogni oggetto vi
sia una scienza, in quanto riguardo ad essa non pongo come condizione la connessione con
tutti i suoi oggetti. [La scienza] è un significato che implica solo la virtualità di connettersi e
quando viene attribuita al Vero Gli viene attribuita come connessa all’infinità degli oggetti
della Scienza per evitare di far sussistere in Lui un’ignoranza di ciò che è possibile sapere,
che per Allah è impossibile.
Noi sosteniamo la sua unicità [cioè della scienza contingente] poiché se per ogni oggetto vi
fosse una scienza, essendo gli oggetti infiniti, e [l’uomo] avesse scienza di essi sussisterebbero
in lui infinite scienze, ma è impossibile che l’infinito entri nell’esistenza (243) e quindi l’esistenza di infinite scienze è impossibile. Per le ragioni menzionate l’Imām Abū ʿAmr as-Salālaqī
al-Ašʿārī (244), Allah abbia misericordia di lui, ha ritenuto ammissibile la connessione della
241 Su questo argomento rimando il lettore alla nota 179 alla questione XXVI.
242 Nel cap. 2 [I 53.23] Ibn ʿArabī precisa: “Egli si distingue dagli uomini per la Sua primordialità (qidam),
così come essi si distinguono da Lui per la loro contingenza [(ḥudūṯ) o novità]. Non si può dire che Egli si distingua da loro per la Sua Scienza come essi si distinguono da Lui per la loro scienza, poiché la sfera della scienza
è unica, primordiale con il primordiale, contingente con il contingente” e nel cap. 558 [IV 311.28] aggiunge:
“Tu sei il sapiente ed Egli è il Sapiente, ma tu sei contingente e l’attribuzione della scienza a te è contingente,
mentre Egli è primordiale e l’attribuzione della Scienza a Lui è primordiale. La Scienza è una in se stessa, ed
è caratterizzata dall’attributo di colui che è descritto da essa”
243 Ibn ʿArabī afferma molte volte nelle Futūḥāt che tutto ciò che entra nell’esistenza è finito e che ciò che è
infinito, come le possibilità, le realtà essenziali e le relazioni, non entra nell’esistenza. Ad esempio, nel cap. 404
[IV 6.15] afferma: “Il Vero è identico alla Sua esistenza. Non si può dire di Lui che entri nell’esistenza poiché
allora sarebbe finito, in quanto tutto ciò che entra nell’esistenza è finito. Il Produttore è l’esistenza stessa. Egli
non entra nell’esistenza: l’esistenza è la Sua quiddità (māhiyya). D’altra parte, tutto ciò che è altro che il Vero,
o entra nell’esistenza ed è finito per questo stesso fatto, oppure non vi entra e non può essere descritto come
finito. Realizza ciò, poiché non lo troverai menzionato altrove”. Tuttavia nel cap. 203 [II 482.26] precisa:
“Ciò che è infinito non entra nell’esistenza d’un colpo, ma poco a poco, senza una fine”.
244 Ibn ʿArabī lo cita riguardo allo stesso argomento anche nel Kitāb al-ǧalāl wa-l-ǧamāl, a pag. 34 delle Rasā’il,
Dār Ṣādir, Beirut, 1997. Il suo nome è riportato da Ibn al-Abbār nel suo Takmila li-kitāb aṣ-ṣila, a pag. 105 del
IV volume dell’edizione Dār al-fikr, Beirut, 1995, e da Hāǧǧī Ḫalīfa nel suo Kašf aẓ-ẓunūn, a pag. 580 del IV
volume dell’edizione di Gustav Flügel, Londra, 1845, ove è nominato come autore di Quwwat al-iršād, un’opera sui fondamenti del credo Ašʿārita anche nota come al-ʿAqīda al-burhāniyya. Su di lui si può consultare la
tesi redatta nel 2005 dallo storico Ǧamāl ʿAllāl al-Baḫtī, accessibile online al seguente indirizzo web: http://
www.aslein.net/showthread.php?t=11570. Secondo lo studioso, Abū ʿAmr, morto nell’anno 574 dall’Egira,
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scienza contingente con ciò che è infinito – ciò ci è stato riferito da uno dei suoi compagni che
aveva studiato sotto la sua guida – e per noi si tratta di un discorso valido, che noi approviamo e se le nostre fonti per arrivare ad esso sono diverse il senso comunque è unico.
Il sonno, la dimenticanza e la distrazione non sono un’obiezione per noi, poiché queste sono
faccende corporee naturali che intralciano [solo] gli strumenti [della scienza], e la loro sede
non è lo stato sottile umano (al-laṭīfa al-insāniyya) (245), che è quello che ha scienza, che il
corpo dorma o sia sveglio. Esso [lo stato sottile] non è ristretto ad un solo mondo, bensì gli
appartengono tutti i mondi, quello sensibile, l’immaginale, il razionale, il Mulk ed il Malakūt,
e dovunque lo conduce il Vero esso si muove e dovunque lo ferma esso si ferma, e dovunque
sia non è privo della sua connessione con un oggetto della scienza. Ogni volta che esso ha
scienza di qualcosa che non sapeva, ciò non è riconducibile ad un rinnovarsi di una scienza
in esso, poiché ciò che si rinnova è la connessione col suo oggetto, per la manifestazione
dell’oggetto in modo sensibile o non sensibile, ed esso lo percepisce con la scienza da cui era
caratterizzato prima della manifestazione di quell’oggetto (246): e lo stesso vale per la volontà.
Il nostro discorso in tutto questo riguarda solo gli attributi contingenti creati; quanto alla
Scienza di Allah ed agli Attributi ad essa connessi sono in accordo con noi i sapienti che
si basano sulla ragione, salvo una piccola schiera rappresentata dai Muʿtaziliti, di cui non
teniamo conto.
Questione [LI]: La ragione ha una luce e la fede ha una luce. Per mezzo della luce della
ragione arrivi alla conoscenza dell’esistenza di Allah, sia Egli esaltato, e del fatto che Egli è
Potente, Udente, Vedente, Sapiente, Volente, e delle restanti cose che sono necessarie per la
Divinità, di ciò che è ammissibile e di ciò che è impossibile [per Essa]. Per mezzo della luce
era originario di Fes ed il nome corretto sarebbe as-Salālaǧī.
245 Nel cap. 72 [I 671.1] Ibn ʿArabī afferma: “Il corpo è il veicolo dello spirito che è la modalità sottile dell’uomo insufflata in esso”.
246 Nel cap. 297 [II 686.4] Ibn ʿArabī afferma: “Tra ciò che è compreso in questa dimora iniziatica vi è il
fatto che Allah ha posto nell’uomo la scienza di ogni cosa poi gli ha reso inaccessibile la percezione di ciò che
è stato deposto in lui, e questo non vale solo per l’uomo ma per tutto il Mondo […] Gli infiniti oggetti di cui
Egli ha scienza sono tutti nell’uomo e nel Mondo, ed egli [l’uomo] non sa ciò che è in lui finché non gli viene
svelato istante dopo istante. In lui lo svelamento non può avvenire tutto d’un colpo poiché ciò comporta la
restrizione ed abbiamo invece detto che gli oggetti sono infiniti, per cui egli non sa se non cosa dopo cosa
senza una fine. Questo è uno dei più sorprendenti segreti divini, cioè che nell’esistenza del servitore entri ciò
che è infinito, così come nella Scienza del Vero entrano i suoi infiniti oggetti […] Tutto ciò che l’uomo, e con
lui ogni essere, viene continuamente a sapere è in realtà solo un ricordo ed il rinnovamento di ciò che aveva
dimenticato. Questa dimora iniziatica implica che il Vero ponga ad un certo momento l’uomo nella stazione
di connettere la sua scienza con l’infinito, e ciò non è impossibile secondo noi: ciò che è impossibile è solo
l’entrata dell’infinito nell’esistenza, non la connessione della scienza con esso”.
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della fede conosci l’Essenza del Vero (247) e ciò che Egli ha attribuito a Se stesso di quanto
comporta la comparabilità e l’incomparabilità, e ciò si apprende tramite contemplazione:
questo è il rango dei Profeti e degli Intimi (248).
Come la ragione ha una norma (ḥadd) (249) così la fede ha una norma: la norma della ragione
porta [il servitore] alla ponderazione riguardo ai suoi mezzi di sussistenza ed alle esigenze
della sua esistenza, conformemente a ciò che implica abitualmente la sua considerazione; la
norma della fede è la rottura del corso abituale per lui, affinché le sue abitudini vengano rotte
e trovi piacere nel tormento e dolore nel benessere, ed altre cose simili. Secondo la norma
della ragione scorrono le faccende delle creature dotate di ragione, e secondo la norma della
fede scorrono le faccende di alcuni di coloro che sono ricollegati (muntamīn) ad Allah [cioè
gli iniziati], sia Egli esaltato, i possessori degli stati spirituali, dei comandi divini e dei retti
propositi (ḫawāṭir) dominicali.
Questione [LII]: L’indirizzarsi (tawaǧǧuh) dell’Essenza sull’insieme delle possibilità si chiama Dio, con un significato che si chiama Divinità (ulūhiyya).
La Sua connessione (taʿalluq) [cioè dell’Essenza] con Se stessa e con l’insieme delle realtà essenziali delle cose verificate (muḥaqqaqāt) per come la cosa verificata si trova, sia essa esistente
o non esistente, si chiama Scienza (ʿilm).
La Sua connessione con le possibilità, in quanto sono le possibilità per Lui, si chiama Scelta
(iḫtiyār).
La Sua connessione con il possibile, per la precedenza della Scienza rispetto all’essere (kawn)
di ciò che è generato (mukawwan), si chiama Volere (mašī’a).
247 Nel Kitāb at-taǧalliyāt, a pag. 149 del secondo volume delle Rasā’il edite da ʿAbd al-ʿAzīz Sulṭān al-Manṣūb,
Širkat al-quds, Cairo, 2017, Ibn ʿArabī afferma: “Ci trovavamo nella luce del Mistero e vedemmo Sahl ibn
ʿAbdallāh at-Tustarī. Gli chiesi: “Quante sono le luci della conoscenza, Sahl?” ed egli rispose: “Due: la luce
della ragione e la luce della fede”. Gli chiesi: “Cos’è che è percepito (mudrak) dalla luce della ragione e cos’è che
è percepito dalla luce della fede?”, ed egli disse: “Ciò che è percepito dalla luce della ragione è “Non c’è cosa
simile a Lui” (Cor. XLII-11) e ciò che è percepito dalla luce della fede è l’Essenza senza limite””.
248 La fede non riguarda solo il “semplice” credente, ma anche gli Inviati, come è affermato in Cor. II285. Nel cap. 73, questione LXXXIV [II 91.5], Ibn ʿArabī precisa: “I Profeti legiferanti sono dei confessori
(ṣiddīqūn), poiché la gente di questa stazione non apprende la Legge se non da uno Spirito che discende con
essa sui loro cuori: si tratta della discesa di una notificazione (ḫabar), non di una scienza, ed essi non la accolgono se non con l’attributo della fede e non la svelano se non con la sua luce, e per questo sono confessori degli
spiriti che scendono su di loro con essa. Allo stesso modo chiunque accoglie da Allah ciò che riceve dal Vero
in quanto Egli lo notifica, lo accoglie solo dal lato della fede e della sua luce, non in quanto teofania, poiché la
teofania non conferisce la fede in ciò che apporta, bensì lo apporta per mezzo della luce della ragione”.
249 Il termine ḥadd ha in arabo numerosi significati riconducibili all’impedimento, alla proibizione ed al
limite da rispettare, tra cui limite, confine, prescrizione, norma, pena legale e, in senso logico, definizione.
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La Sua connessione con la specificazione di uno dei due stati ammissibili per il possibile per
quanto attiene alla sua entità [cioè lo stato di esistenza e quello di non-esistenza] si chiama
Volontà (irāda).
La Sua connessione con l’esistenziazione dell’essere si chiama Potere (qudra). La Sua connessione con i regimi (aḥkām) prima del loro accadimento si chiama Decreto (qaḍā’).
La Sua connessione con il momento dell’accadimento del regime si chiama Destino [(qadar)
o Misura].
La Sua connessione con il dar udito all’oggetto della genesi affinché sia si chiama Comando
(amr) ed esso è di due specie: con intermediario e senza intermediario. Quando non vi sono
intermediari è inevitabile conformarsi ad esso e l’essere è (250), mentre con l’intermediario
non è necessario l’essere e non si tratta di un Comando nel vero senso della parola, poiché
non c’è cosa che si arresti di fronte al Comando di Allah (251).
La Sua connessione con il far sentire a ciò che è generato per distoglierlo dal suo essere o da
un modo d’essere che proceda da lui, si chiama Divieto (nahy), e la sua forma è la stessa del
Comando riguardo alla ripartizione degli intermediari ed alla loro omissione.
La Sua connessione con l’attualizzazione nell’anima dell’essere generato [della scienza] di
com’è Essa [l’Essenza] o esseri diversi da Essa, o di ciò che è nell’anima, si chiama Notificazione (iḫbār). E se Essa è connessa con l’essere generato tramite la questione: “Che cosa hai?”
si chiama Interrogazione (istifhām). E se è connessa con lui sotto l’aspetto della discesa verso
di lui con la connessione del Comando, si chiama Appello (duʿā’), e sotto l’aspetto della connessione del Comando con questo [Appello] si chiama Discorso (kalām).
La Sua connessione con il Discorso senza che ciò implichi una scienza di esso, si chiama Audizione (samʿ ), e se ad essa è connessa una scienza si chiama Comprensione ( fahm).
La Sua connessione con la proprietà della Luce e con ciò che essa veicola degli oggetti visibili
si chiama Vista (baṣar) e Visione (ru’ya).
La Sua connessione con la percezione (idrāk) di ogni oggetto di percezione (mudrak), senza la
quale non sarebbe possibile una connessione da parte di queste connessioni tutte insieme, si
250 Si tratta di quello che i commentatori di Ibn ʿArabī, come al-Ǧandī, al-Kāšānī e al-Qaysarī, chiamano
il Comando della genesi (al-amr at-takwīnī), mentre quello con l’intermediario viene chiamato il Comando
prescrittivo (al-amr at-taklīfī).
251 Mentre il Comando della genesi è immediatamente efficace, il Comando prescrittivo non si traduce inevitabilmente in atto, poiché il servitore può ubbidire o disubbidire.
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
133
chiama Vita (ḥayā) (252). In tutto ciò l’Entità (ʿayn) è unica e sono molteplici solo le connessioni
con le realtà essenziali delle cose connesse, ed i Nomi, per [la molteplicità] delle cose nominate. Cerca di comprendere.
Questione [LIII]: La scienza della certezza è la conoscenza di Allah per mezzo di te, poiché tu sei l’indicazione stessa di Lui, ed è l’affermazione di un’Essenza di cui non è noto né
il come né il cosa, posta sotto il regime della Divinità come autorità ed argomento (huǧǧa) su
cui non c’è dubbio.
L’occhio della certezza è la contemplazione di questa Essenza con il Suo occhio, non con il
tuo, per mezzo di un’estinzione totale, insieme alla quale [contemplazione] non è intelligibile
la relazione (nisba) di una Divinità, né affermativamente né negativamente, bensì è una contemplazione che estingue i regimi e le descrizioni (rusūm) e che cancella gli effetti (253).
La verità (ḥaqq) della certezza è l’attribuzione della Divinità a questa Essenza dopo la contemplazione, non prima di essa, e questa è la differenza tra la scienza e la verità [della certezza], nient’altro, e qui i realizzati tacciono.
252 Allo stesso modo, nel cap. 73, questione CXII [II 107.27] Ibn ʿArabī afferma: “La Vita è la Sfera della
Misericordia che comprende ogni cosa. La relazione (nisba) della Vita con l’Essenza divina è una condizione
per la validità di ogni relazione attribuita ad Allah, si tratti della Scienza, della Volontà, del Potere, del Discorso, dell’Udito, della Vista e della Percezione, e se venisse meno la relazione della Vita con Lui cesserebbero tutte le relazioni, ed essa è la Misericordia essenziale che comprende tutti i Nomi”, e nel cap. 365 [III
322.7] aggiunge: “La Vita è la condizione per l’esistenza di tutte le relazioni che vengono attribuite ad Allah.
Questa relazione impone che Egli abbia come Suo Nome il Vivente (al-ḥayy): tutti i Nomi divini dipendono da
Esso (cioè dal Nome al-ḥayy), e Lo hanno come condizione, persino il Nome Allah”.
253 Nelle Futūḥāt viene affermato una ventina di volte che la contemplazione comporta l’estinzione ( fanā’),
come ad esempio nel cap. 69 [I 397.24], ove Ibn ʿArabī precisa: “Quando il Vero Si manifesta c’è lo stupore
(baht) e l’estinzione ( fanā’) e non è possibile né il discorso, né il colloquio. In effetti questa stazione divina comporta il fatto che Egli, sia esaltato, se ti fa attestare non ti parla e se ti parla non ti fa attestare, a meno che la
teofania abbia luogo nella forma, nel qual caso riunisce il discorso e la contemplazione. Se colui che contempla è assente a se stesso non è possibile il colloquio, in quanto l’Inviato di Allah, che Allah faccia scendere su
di lui la Sua salāt e la Pace, ha detto: “Adora Allah come se Lo vedessi, e anche se non Lo vedi Egli ti vede!”,
senza dubbio. Ora, tu sai che il servitore è assente durante la visione attestante (šuhūd), in quanto Colui che
è attestato si impossessa di lui, e quindi non c’è colloquio”, e nel cap. 350 [III 213.20] ove aggiunge: “Non
vedi che as-Sayyārī, uno degli iniziati citati nella Epistola di al-Qušayrī, ha detto che l’uomo intelligente non
gode mai di una contemplazione? Poi aggiunse a spiegazione che la contemplazione del Vero è estinzione, ed
in essa non c’è piacere. Il Discorso non è possibile nello stato di estinzione, poiché il vantaggio del Discorso
sta nell’essere compreso. Per questo Egli ha detto: “Non è dato all’uomo che Allah gli parli se non per mezzo
di una rivelazione o dietro un velo” (Cor. XLII-51)”. Su questo argomento Ibn ʿArabī ha anche redatto un
breve trattato intitolato “Il libro dell’estinzione nella contemplazione (Kitāb al-fanā’ fī l-mušāhada)”, di cui oltre alla
traduzione francese pubblicata nel 1961 nella rivista Études Traditionnelles esiste anche una traduzione italiana
a cura di Younis Tawfik, edita da SE, Torino, nel 1996.
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Dopo di ciò c’è la realtà essenziale (ḥaqīqa) della certezza, cioè la manifestazione da parte del
servitore totale degli atti ricevuti (infiʿālāt) (254), insieme al suo occultamento (gayba) da essi in
Lui e per Lui con un’assenza totale ed un’estinzione realizzata (255), e questo è il massimo dei
gradi [della certezza]. Tre di essi [gradi] sono scritturali, la scienza, l’occhio e la verità, ed
il quarto è tradizionale (sunnī) (256). [Il Profeta], su si lui la Pace, ha detto: “Qual è la realtà
essenziale della tua fede? Ogni verità ha una realtà essenziale” (257). E questa realtà essenziale
è quella con cui il servitore che ha realizzato se stesso verrà messo alla prova riguardo alla
sua asserzione sulla conoscenza della verità della certezza. Medita (ta’ammal) dunque!
Questione [LIV]: La contemplazione del Vero non comporta la comprensione della Sua
Essenza e per questo ha detto: “Gli sguardi non Lo percepiscono” (Cor. VI-103) e se la contemplazione comportasse la conoscenza della correlazione della Divinità con l’Essenza non
vi sarebbe utilità nel detto dell’Inviato di Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua
254 An-Nābulusī, nei suoi Ǧawāhir an-nuṣūṣ fī šarh al-fuṣūṣ, a pag. 447 del I volume dell’edizione Dār al-kutub
al-ʿilmiyya, Beirut, 2008, spiegando la relazione tra “ed essa è ( fa-yakūn)” con il Fiat (kun) divino, afferma:
“essa è l’equivalente del verbo semi-passivo [(al-fiʿl al-muṭāwiʿ ) o verbo il cui agente riceve l’effetto dell’azione
dell’agente di un altro verbo] nella lingua araba, come nella loro affermazione: ho infranto (kasartu) il vaso
ed il vaso si è rotto (inkasara). Ed il Suo detto; “Sii (kun)” è simile al loro detto: “Ho infranto il vaso”, ed il Suo
detto, sia Egli esaltato: “ed essa è” è simile al loro detto: “e si è rotto” e lo si denomina come un atto che procede dal vaso malgrado il vaso sia agito [(mafʿūl) o: passivo], non agente [( fāʿil) o: attivo], e quindi esso è agito
per un aspetto ed agente per un altro aspetto. A colui che infrange non appartiene nel vaso se non il rompere,
quanto al rompersi esso è un atto del vaso non un atto di colui che infrange, e per questo quando il vaso è di
pietra dura e viene data esistenza al rompere, cioè alla forma dell’atto da parte di chi infrange, e non viene
data esistenza al rompersi, colui che infrange è agente, ma il vaso non è agente per mancanza di ricettività e
di predisposizione da parte sua all’effetto dell’atto di chi infrange e quindi non procede da lui alcun atto. In
realtà tutti gli atti che procedono da altri che il Vero, sia Egli esaltato […] sono atti ricevuti dall’Atto del Vero,
sia Egli esaltato, e gli atti ricevuti si chiamano atti semi-passivi”.
255 Nel cap. 73, questione CVI [II 104.3], Ibn ʿArabī afferma: “[Il servitore perfetto] è totalmente annientato
nel Vero, in quanto non si manifesta a lui alcuna esistenza individuale malgrado la manifestazione da parte
sua degli atti divini ricevuti (al-infiʿālāt al-ilāhiyya), ed egli non trova in se stesso alcuna realtà essenziale con cui
uno di questi atti ricevuti possa essere correlato a lui, ed egli è totalmente Vero. Ciò corrisponde al suo detto,
che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace: “Fammi essere Luce”, cioè che ogni cosa si manifesti
in me e che io non mi manifesti in alcuna cosa”.
256 I primi tre gradi sono nominati nel Corano, rispettivamente nelle Sure CII-5, Cor. CII-7 e LXIX-51,
mentre il quarto si basa sul ḥadīṯ riportato nel seguito del testo.
257 Ḥadīṯ non recensito nelle raccolte canoniche. Nel cap. 388 [III 541.32] Ibn ʿArabī precisa: “Invero ogni
verità ha una realtà essenziale (ḥaqīqa) e la realtà essenziale che appartiene ad ogni verità non è altro che la
sua discesa (inzāl) nel rango di ciò che è testimoniato, percepito dalla vista. Questo è ciò che ha detto l’Inviato
di Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, all’uomo che aveva sentito affermare: “Io
sono credente veramente”. L’Inviato di Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, gli disse
infatti: “Ogni verità ha una realtà essenziale. Qual è la realtà essenziale della tua fede?”. E l’uomo rispose:
“È come se guardassi il Trono del mio Signore sorgere”, cioè nel Giorno della Resurrezione. E l’Inviato di
Allah, che Allah faccia scendere su di lui la Sua ṣalāt e la Pace, gli disse: “Hai conosciuto, persevera dunque”,
interpretando la realtà essenziale come la visione”.
Traduzione. Il Libro Della Conoscenza
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ṣalāt e la pace, riguardo all’epifania divina nella dimora dell’aldilà (258), né nel Suo detto, sia
Egli esaltato: “Io sono il vostro Signore” (Cor. XXI-92) ed essi diranno: “Cerchiamo rifugio
in Allah da Te” e non riconosceranno che Egli è il Vero malgrado la loro contemplazione.
Quindi la scienza della Divinità non implica necessariamente la scienza dell’Essenza; il perno (madār) della conoscenza si fonda su tre scienze (259): la scienza della Divinità, la scienza
dell’Essenza e la scienza dell’attribuzione di questa Divinità a questa Essenza, e dopo tutto
questo non c’è comprensione né percezione.
“Ed Allah dice il vero e guida sul retto sentiero” (Cor. XXXIII-4).
258 A questo riguardo rimando il lettore alla nota 28 alla questione III.
259 Nell’introduzione, all’inizio della sezione relativa al contenuto dell’opera, abbiamo riportato due brani
tratti dalle Futūḥāt in cui Ibn ʿArabī afferma che la conoscenza si fonda su sette scienze, precisando però [II
299.29] che: “ciò rientra in quanto hanno detto al-Muḥāsibī [che considerava solo quattro scienze] ed altri
riguardo alla conoscenza”. La classificazione delle scienze che conducono alla conoscenza può quindi variare
a seconda dei punti di vista con cui viene stabilita, e quella qui riportata, basata su tre scienze, è coerente con
i tre oggetti principali della scienza trattati nel libro, cioè l’Essenza, la Divinità e le relazioni.
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ANNESSO ALLA TRADUZIONE
Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
IL CREDO DELL’ÉLITE DELLA GENTE DI ALLAH
[I 38.21] Questo [ciò che precede], in forma abbreviata e riassuntiva, è il credo della massa
della gente della sottomissione, la gente dell’accettazione cieca (taqlīd) e la gente della speculazione (naẓar). Poi farò seguire ad esso, se Allah vuole, il credo dei principianti colti (an-nāši’a
aš-šādiya) in cui ho incluso un riassunto estremamente succinto de “Il giusto mezzo (iqtiṣād) [nella credenza
ā
t
tt
u
t ma’āḫiḏ) delle prove
[teologiche] per questa comunità religiosa, in prosa rimata per facilitarne l’apprendimento
allo studente, è l’ho chiamato “L’epistola su ciò che è noto degli articoli di fede della gente delle forme
esteriori”. Quindi farò seguire ad essa il credo dell’élite della gente di Allah, la gente della Via
di Allah, tra i realizzati, la gente dello svelamento e della realizzazione (wuǧūd), [argomento]
che ho sviscerato anche in un altro volume che ho intitolato “La conoscenza”. E con questo si
conclude l’introduzione del libro.
Quanto alla esposizione del credo della quintessenza, non le ho dedicato alcun capitolo spet
ì l’ho sparsa lungo i capitoli di questo libro, in
modo chiaro ed esaustivo, ma in posti diversi, come abbiamo detto. Colui a cui Allah elargirà la comprensione di queste cose le riconoscerà e saprà distinguerle dalle altre. Questa è
t
si equivalgono in ciò. Essa congiunge le cose più lontane con quelle più vicine e congiunge le
cose più basse con quelle più alte. Ed Allah è Colui che assiste, non c’è Signore oltre a Lui.
[…]
[I 41.3] Continuazione, concernente il credo dell’élite della gente di Allah, tra
considerazione [razionale] e svelamento.
Sia Lode ad Allah, che sconcerta le ragioni nei risultati delle aspirazioni (himam). E che Allah
faccia scendere la Sua salāt e la Pace su Muḥammad e sulla sua gente.
Questione [I] (1) Quanto segue: la ragione ha un limite a cui si arresta in quanto pensante, non in quanto ricettiva (2). Noi diciamo che ciò che è razionalmente impossibile può non
essere impossibile per quanto riguarda Dio, così come diciamo che ciò che è razionalmente
possibile può essere impossibile per quanto riguarda Dio.
1
t ut
u t
u t
u
t
utt
Libro della conoscenza.
2 Questa frase riprende testualmente l’inizio della sezione introduttiva del Libro della conoscenza.
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Questione [II] (3): Quale correlazione c’è tra il Vero, Gloria a Lui, la Cui esistenza è
necessaria per la Sua Essenza, ed il possibile, anche se esso è necessario per mezzo di Lui,
secondo chi sostiene ciò per l’implicazione dell’Essenza o per l’implicazione della Scienza? Le
fonti a cui attinge il pensiero per essa [correlazione] si fondano validamente solo sulle prove
esistenti, ed è indispensabile che tra l’indicazione e ciò che è indicato e tra la prova e ciò che
è provato vi sia un aspetto per mezzo di cui si stabilisce la connessione, il quale abbia una relazione (nisba) con l’indicazione ed una relazione con ciò che è indicato da quella indicazione:
in mancanza di questo aspetto un indicatore (dāll) non raggiungerebbe mai ciò che è indicato
dalla sua l’indicazione. Ora, la creazione ed il Vero non possono mai riunirsi in un aspetto
u t tt
u t u t
u
t
t
ma questo è un altro regime, che la ragione è in grado di percepire da sola.
Per ogni cosa (4) che la ragione è in grado di percepire da sola è possibile, secondo noi, che
la scienza di essa preceda la sua visione attestante, ma l’Essenza del Vero, sia Egli esaltato,
esula da questo regime, poiché la visione attestante di Essa ne precede la Scienza. Anzi, Essa
è attestata ma non è oggetto di scienza, così come la Divinità è oggetto di scienza ma non è
attestata (5). Quindi, [da questo punto di vista], l’Essenza si contrappone alla Divinità. Quanti raziocinanti, tra i sapienti speculativi che asseriscono di avere una salda ragione, dicono
di essere arrivati alla conoscenza dell’Essenza per mezzo della speculazione razionale! Ma si
sbagliano in ciò in quanto essi oscillano, nel loro pensiero, tra la negazione (salb
u
u t
u t
non ciò che egli osserva e cioè che Egli è Sapiente, Potente, Volente e l’insieme dei Nomi [che
riguardano la Divinità]. La negazione si riconduce alla non-esistenza ed alla negatività (nafy)
e la negatività non è un attributo dell’Essenza, in quanto gli attributi essenziali per le cose
t t
u
t
u
u t
u t
t
la negazione, non ottiene nulla della scienza di Allah (6).
Questione [III] (7): Come può chi è limitato conoscere l’Assoluto, quando la sua essenza
non comporta [una simile conoscenza]? E come può il possibile arrivare alla conoscenza
di Colui che è necessario per l’Essenza, quando non c’è aspetto del possibile senza che ne
3 u t u t
t tu
t
t
u t
Libro della conoscenza.
4 Rispetto al Libro della conoscenza
t t
t
t t
5 Rispetto al Libro della conoscenza
t tu
tuʿqalu con tuʿlamu e tukšafu con tušhadu
coerente con la parte precedente di entrambi i testi, ma mentre la prima sostituzione non cambia il senso, la
seconda lo precisa, poiché nelle Futūḥāt
t
t
u
plica una scienza, mentre la scienza della cosa e la sua visione attestante (šuhūd) non si riuniscono, come viene
t
Kitāb al-ḏaḫā’ir wa-l-aʿlāq
ā
utu
6
u
t
u
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t t F
7 u t u t
u t tu
t
t
u t
Libro della conoscenza.
139
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
sia concepibile la non-esistenza, l’estinzione e la mancanza? Se vi fosse un aspetto comune
tra Colui che è necessario per la Sua Essenza ed il possibile (8), per quell’aspetto sarebbe
ammissibile per il necessario ciò che è ammissibile per il possibile (9), tra cui l’estinzione e la
u t
u
u
u
10
aspetto comune tra il necessario ed il possibile è inammissibile ( ). Gli aspetti del possibile
sono subordinati ad esso ed in se stesso il possibile è passibile della non-esistenza: a maggior
t
u
tt
u
provato per il possibile ciò che è provato per ciò che è necessario per l’Essenza, per via di
u
tt
u
t
u t
t
per Colui che è necessario per l’Essenza, quindi l’esistenza di un aspetto comune tra il possibile e Colui che è necessario per l’Essenza è inammissibile.
Questione [IV] utt
t
t
un regime, e nelle forme di questi regimi ha luogo la Teofania nella dimora dell’aldilà, comunque sia (11). Vi fu infatti divergenza riguardo alla visione da parte del Profeta, su di lui la
Pace, del suo Signore, come è stato menzionato, e venne la novella (ḥadīṯ) della Luce suprema
sul cuscino (rafraf ) di perle e di giacinto (12), ed altre.
Questione [V]
t
t iḫtiyār) (13
14
tt
u
t
t
) è riportato solo in considerazione del possibile, privo della sua causa (ʿilla) e della sua causalità mediata (sababiyya).
Questione [VI] (15
t
u
tt
u
u
t u
u
arresta qui e ciò che segue è stato aggiunto, cioè il loro detto: “Ed Egli è ora come era (kāna)”
8
u
t tu t
t
t t
Libro della conoscenza, con il termine possibile.
9 Vedi la nota precedente.
10 Nel Libro della conoscenza
u
u
tt
u t
t
t t
u t
Libro della conoscenza.
11 u t
u t tu
t
u t
Libro della conoscenza, che però è priva
del seguito qui riportato.
12 Ḥadīṯ riportato da al-Bu ā
ad Sura
ad Sura LV-2, ad Sura
ū āū
Kitāb al-ḏaḫā’ir
wa-l-aʿlāq, a pag. 13 dell’edizione citata.
13 u t
t
t
u t
Libro della conoscenza, mentre il
ut
t
14
tu
u
yašā’
15
t ut
u t u t
u
u t
Libro della conoscenza, ove però
è più ampiamente sviluppato ed include una poesia che qui non viene riportata.
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(16), riferito al regime. “Ora” ed “era” sono due termini che riguardano noi, poiché si manifestano per noi, come altri [termini] simili, e la correlazione è esclusa.
Ciò riguardo a cui si dice: “C’era Allah e nessuna cosa con Lui.” è solo la Divinità, non
u t tt
t
all’Essenza, invero appartiene solo alla Divinità, che è costituita da relazioni, attribuzioni
e negazioni. La molteplicità riguarda le relazioni, non l’entità (ʿayn) [che è l’Essenza]. E qui
scivola chi associa nel suo discorso riguardo agli Attributi Colui che ammette la dichiarazione di similarità (tašbīh
t
u
tt
ciò essi si basano sulle cose che riuniscono (al-umūr al-ǧāmiʿa) che sono l’indicazione, la realtà
essenziale, la causa e la condizione, ed essi formulano giudizi in base ad esse sia su ciò che è
invisibile (gā’ib), sia su ciò che è visibile (šāhid). Quanto a una realtà visibile noi l’ammettiamo,
quanto ad una invisibile ciò non è ammissibile.
Questione [VII] (17
t
u
u barzaḫ tra il Vero e la creazione (18
u u
t
t
t t
tutt
t
u
t
tu
t
ridere, dal gioire, dalla compagnia e dalla maggior parte (19) degli attributi di relazione degli
esseri. Quindi rendi ciò che appartiene a Lui e prendi ciò che appartiene a te. A Lui appartiene la discesa ed a noi appartiene la salita (20).
Questione [VIII]: Non arrivi a Colui a cui desideri arrivare se non per Lui e per te: per te
quanto alla tua ricerca, e per Lui in quanto Egli è l’oggetto del tuo intento (21). È la Divinità
che comporta questo, non l’Essenza.
16 Nel Libro della conoscenza u t
t t
u
u t
non ne fosse consapevole all’epoca della sua redazione, poiché anche nella seconda stesura delle Futūḥāt nel
u t
t t
t
t
t
ḥadīṯ, senza menzionarne il carattere
u tut
t
t
u t
u
Kitāb ʿuqlat al-mustawfiz, opera del periodo andaluso, a pag. 197
del terzo volume delle Rasā’il t
u ān al-Man ū
t
u
t
t
t
u t
t tt
u
u t
17 u t u t
tt
u
t ut
u t
Libro della conoscenza.
18 Questa frase è assente nel Libro della conoscenza.
19 Nel Libro della conoscenza
u
20 u t u t
t
u
t
u t
Libro della conoscenza:
“Osserva il movente che richiede la tua discesa da (ʿalā) Lui o la Sua discesa verso (ilā) di te”.
21
u t
Libro della conoscenza si legge: “Osserva, che Allah ti dia successo: non sei arrivato
a Colui a cui hai voluto arrivare se non per mezzo di Lui e non è arrivato a te Colui che ha voluto arrivare a
te se non per mezzo di te”.
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Questione [IX] (22): Chi si è indirizzato a far esistere ciò che è altro che Allah, sia Egli esaltato, è la Divinità, tramite i Suoi regimi, le Sue relazioni e le Sue attribuzioni. Sono queste
tt
u
t
u
t
u
Potente senza un potuto, sia virtualmente che come esistenza, sia in potenza che in atto. [42]
Questione [X] (23): L’attributo di relazione (naʿt) speciale più caratteristico, che è esclusivo
della Divinità, è il Suo essere Potente, poiché il possibile non ha alcun potere [per la sua essenza] ma ha solo la capacità (tamakkun
tt
Questione [XI]: L’acquisizione (kasb) è la connessione della volontà del possibile con un
certo atto, ad esclusione di un altro. È la Podestate (iqtidār) divina (24) che lo fa esistere in occasione di quella connessione, e ciò per il possibile si chiama acquisizione.
Questione [XII] (25): La costrizione (ǧabr) non esiste per colui che ha realizzato, poiché egli
nega la validità dell’atto per il servitore [in quanto solo Allah è agente]. La costrizione implica che il possibile sia indotto a compiere l’atto malgrado non voglia farlo. Ora, i minerali
non sono coatti poiché non è concepibile da parte loro un atto, indicazione (dalāla) (26) [a cui
arriva] una ragione ordinaria (ʿaql ʿādī). Neppure il possibile è costretto, poiché non è concet u u tt
u
u
ʿaql muḥaqqiq),
t
tt
t u
22 u t u t
u
t
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Libro della conoscenza.
23 u t u t
u
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Libro della conoscenza.
24
u t
tt
t
sistenza ad ogni entità delle possibilità di cui il Vero vuole l’esistenza ed a cui dice: “Sii (kun)”. Egli ha nascosto
la Podestate (iqtidār) con il Suo detto kun, facendone un velo (sitr) sulla Podestate, sì che il possibile “è (kāna)”
t t
u
u
ha la Podestate (al-muqtadir)” è un altro regime, non è il regime del Potente (al-qādir). La Podestate è il regime
del Potente nel manifestare le cose per mano delle cause seconde (asbāb), e le cause seconde sono caratterizzate dall’acquisizione del potere. Esse sono dotate di podestate, cioè si esercitano nella podestate, ma non si
tratta che del Vero, sia Egli esaltato, poiché è Lui che ha la Podestate su tutto ciò a cui dà l’esistenza [cfr. Cor.
u
u
u
u
u
sponde al Suo detto: “Non appartiene forse a Lui la creazione”, e ciò a cui non dà l’esistenza per mezzo di una
causa seconda corrisponde a: “e il Comando (amr
u t
t
u
in gergo del Mondo della creazione e del Comando, intende per il Mondo della creazione ciò a cui Allah dà
l’esistenza per mano delle cause seconde, e ciò corrisponde al Suo detto: “di ciò che hanno fatto le Mie mani”
t
u
che non è stato esistenziato in occasione di una causa seconda. Quindi Allah è il Potente quanto al Comando,
t t u t
t
t
t t
u t
t t
è uno stato del Potente, come il dare il nome è uno stato di colui che dà il nome”.
25 t
t
t tt t
u t
Libro della conoscenza, ma anche se la conclusione
è la stessa l’argomentazione è diversa.
26
t
ūā
t
wa-lā la-hu
ā
t u t ttu
t
tt ut
u
dalālu-hu.
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Questione [XIII] (27): La Divinità implica che nel Mondo vi sia prova e benessere. L’eliminazione (izāla) dall’esistenza di “Colui che si vendica” non è migliore dell’eliminazione di
u
u
u
t
Nomi ne restasse uno che non ha regime esso sarebbe inoperante, e l’inoperatività (taʿṭīl) da
t
t
u
tt
Questione [XIV] (28): Chi percepisce e ciò che è percepito sono entrambi di due tipi. Tra
coloro che percepiscono vi è chi sa e che ha la facoltà di immaginare e chi sa e che non ha
la facoltà dell’immaginazione. Ciò che è percepito è anch’esso di due tipi. Vi è un percepito
che ha una forma: chi non ha la facoltà dell’immaginazione ne ha scienza per la sua forma
e non ne ha una concezione formale (taṣawwur), mentre chi ha la facoltà dell’immaginazione
ne ha scienza e ne ha una concezione formale. E vi è un percepito che non ha forma, che può
essere solo saputo.
Questione [XV] (29
t
ut
ut
tt
ut
t
t
t
u t
tt
per il sapiente dipende dal fatto che egli immagina, e la forma per la cosa saputa dipende
dal fatto che sia in una condizione in cui l’immaginazione la percepisca. Ma vi sono oggetti
della scienza che l’immaginazione non può percepire, e quindi è provato che essi non hanno
forma.
Questione [XVI] (30): Se si ammettesse l’atto da parte del possibile, si dovrebbe ammettere
che sia potente. Ma il possibile non ha atto, né quindi potere. L’attribuzione del potere al
possibile è una asserzione senza prova. Su questo argomento il nostro discorso è in contrasto
ā t
t
tt
27 t t
conoscenza.
28 t t
conoscenza.
29 t t
30 u t u
samente.
u t
u t
u
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t
u t
u
tt
u t
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tt
t
t
t
t
u t
u t
Libro della
Libro della
u t
Libro della conoscenza.
Libro della conoscenza, ma lo sviluppa diver-
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
143
Questione [XVII] (31): Da chi è uno sotto tutti gli aspetti non procede che uno (32). Ma
c’è qualcuno che corrisponda a questa descrizione o no? (33) Riguardo a ciò vi è una conu
ā t
tt u
dare l’esistenza se non per il fatto che Egli è Potente; e l’elezione (iḫtiṣāṣ) per il fatto che Egli
è Volente; ed il fare in modo perfetto (iḥkām) per il fatto che Egli è Sapiente? (34) Ora, il fatto
31 t
t
t t
u t
Libro della conoscenza, ma in modo
completamente diverso.
32 Nelle Futūḥāt
t u
t
t
t
u
t t
u t t t
tt u t
t
u
u
u
celebre frase di Avicenna, ripresa dalla scolastica nella forma latina “Ex uno non fit nisi unum
u tut
t
tt tutt
tt
u
u
u
u
t
ne. Sulla formulazione di Avicenna si può consultare lo studio di Wahid M. Amin, “From the One, Only One
Proceeds”, The Post-Classical Reception of a Key Principle of Avicenna’s Metaphysics, pubblicato nel N. 48 della rivista
tt
33
t
t wahda) sotto tutti gli aspetti, per la molteplicità non c’è aspetto per il quale possa manifestarsi da Esso, e quindi
u
tt
t
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t t
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tt
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t
u
t
u u
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u
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tt
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t aḥadiyya) è concepibile razionalmente ma non è esprimibile se non come un insieme [(maǧmūʿ
t
u u t
u
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t
t
t u
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u t ǧamʿiyya). Non
u
tt tutt
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tt
tt ut
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t
u
t
tt
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tt tutt
tt
tt
t
t
uno, ma il Mondo è molteplice e quindi è stato esistenziato da molti e la molteplicità non è altro che i Nomi
divini. Quindi esso è uno nell’unità della molteplicità, cioè l’unità che esige il Mondo in se stesso. Malgrado
t
u
u
t
t
tt
u
u
u
t tt
u t u
u
aspetti che derivano da Esso e per mezzo dei quali procede la molteplicità. Dunque la relazione degli aspetti
u t
u u
t
t
cede da Lui, sia Egli esaltato, come avviene in realtà. E come la molteplicità ha un’unità che si chiama unità
t
t
u
t
t
t
t
t
t
t
u t
fare di questa questione”.
34
t
u
u
che non nasca da due premesse. La tua esistenza non è forse dipendente dal Vero, Gloria a Lui, e dal Suo
essere Potente? L’averti fatto in modo perfetto (iḥkām) non è forse ascritto a Lui in quanto è il Sapiente? E la
tua elezione (iḫtiṣāṣ) ad una cosa ad esclusione di un’altra non è forse riconosciuta per il fatto che Egli è Colui
che vuole?”.
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u
u t
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t
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tt
t t
u
è valida riguardo alla connessione generale.
t
t
tt ut
u t
u t t
Lui, sia Egli esaltato? Analogamente per coloro che sostengono la relazione e le attribuzioni.
u
u t u
t waḥda) sotto tutti gli aspetti, bensì essi si trovano in
una situazione intermedia tra chi aderisce ad una scuola che nega la Sua esistenza, e tra chi
t
t waḥdāniyya) riguarda solo la Divinità, cioè “Non c’è
Dio se non Lui.”, e questo è valido e dimostrato.
tt tutt
tt
Questione [XVIII] (35
tt
t
t
t
t t
tutt
altri Attributi, sono relazioni e attribuzioni che Gli appartengono, non entità aggiunte [come
t
ā t
tt
perfetto per l’aggiunta è nella sua essenza inferiore al suo essere perfetto per l’aggiunta. Ma Egli è
perfetto per la Sua Essenza, quindi l’aggiunta all’Essenza è impossibile per l’Essenza, mentre
non è impossibile per le relazioni e le attribuzioni (36).
Quanto a chi sostiene che essi [gli Attributi] non sono Lui e non sono diversi da Lui (37), si
t tt
u
t
tt
u
u u t
u
t
u
u t
t gayr), ma nel contempo nega
38
u t
u
t
t u
u
u
i due [che sono reciprocamente “altro” l’uno per l’altro, cioè Lui e l’Attributo] sono quelli di
u
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u
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u
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t
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t
tutt
t
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Questione [XIX] (39
u u
tt
tt u u t
t
t
t
u
u
u
u
taqsīm) di ciò che viene
35
t
u t u t
u t tu
t
u t
Libro della conoscenza.
36 Le relazioni e le attribuzioni non sono esistenti come entità, ma sono solo delle realtà intelligibili che non
incrementano l’Essenza.
37 t tt
u
t
ā
u ā
t
anbal, riportata da alu Maqālāt
ut tt
t
u
38
t
t
che l’errore di questa frase sta nella premessa di considerare gli Attributi come entità aggiunte all’Essenza e
u
u
u
t
t
u
u t
t
u t
39
t ut
u t u t
u
u t
Libro della conoscenza.
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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Questione [XX] (40): Gli attributi essenziali, per colui che ne è caratterizzato, anche se
sono molteplici, non indicano la molteplicità di colui che ne è caratterizzato in se stesso, per
il fatto di essere l’insieme (maǧmūʿ ) della sua essenza, anche se sono concepiti distinti l’uno
dall’altro.
Questione [XXI] (41): Ogni forma nel Mondo è un accidente nella sostanza (ǧawhar) ed è
nei riguardi di essa che ha luogo il prestare (ḫalʿ ) ed il togliere (salḫ) (42). La sostanza è unica e
la divisione è nella forma, non nella sostanza.
Questione [XXII]: C’è chi sostiene che la molteplicità trae esistenza dalla prima cosa
43
causata (maʿlūl
t tt
), anche se unica, per tre aspetti (iʿtibārāt) che
si trovano in essa, cioè la sua intelligenza (ʿaql) della sua causa (ʿilla), di se stessa e della sua
possibilità (imkān) (44). A costoro noi diciamo: “Ciò si impone a voi anche nei riguardi della
u
t
tt
u
perché avete escluso che dalla prima cosa causata non può derivare che uno? O vi attenete
alla produzione della molteplicità dalla Causa prima o alla produzione di uno dalla prima
cosa causata, ma voi non sostenete nessuna delle due”.
Questione [XXIII]: Chi è dotato necessariamente della perfezione essenziale e dell’indipendenza essenziale non può essere causa per alcuna cosa, in quanto il suo essere causa comporta la sua dipendenza (tawaqquf ) dal causato. L’Essenza è estranea alla dipendenza dalla
cosa e quindi il Suo essere causa è impossibile, ma la Divinità (ulūha) ammette le attribuzioni
(iḍāfāt
t
tt
t
u
Essenza e non intendiamo [con questo termine] né le attribuzioni, né le relazioni”, noi rispondiamo: “Ciò è incontestabile nell’espressione. Diversamente dalla causa, poiché essa,
u t tu
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40
tt
ut
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Libro della conoscenza, ma il diu
u
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Attributi divini che agli attributi degli esseri, ma nella traduzione ho adottato quest’ultima opzione perché
u t
Libro della conoscenza il riferimento è senza dubbio agli esseri.
41
t ut
u t u t
t u
u t
Libro della conoscenza.
42 Questi due termini, che sono qui riferiti alla forma, possono essere anche tradotti come vestire e spogliare,
cioè alla sostanza viene prestata da Allah una forma con cui essa si veste, e poi questa forma si annienta, ed essa
ne viene spogliata. Nel Kitāb at-taǧalliyāt, a pag. 153 del secondo volume delle Rasā’il t t
“Ciò che fa perire il Mondo è lo spogliare ed il rivestire: esso viene spogliato di questo e viene rivestito di questo”.
43
t
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44
u
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u Refutazione dei filosofi (tahāfut al-falāsifa). Cfr. Nicholas Heer
ū
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Neoplatonism and Islamic
Thought
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riguardo a questo termine se non dal lato della Legge: è stato escluso, è stato dichiarato lecito
o è stato passato sotto silenzio?” (45).
Questione [XXIV]: La Divinità è un rango per l’Essenza, di cui solo Allah è degno. Essa
esige chi ne è degno [cioè Allah], ma Egli non la esige. “Colui nei cui confronti Dio è Dio (alma’lūh)” la esige ed Essa esige lui, ma l’Essenza è indipendente da ogni cosa. Se venisse meno
(ẓahara) (46) questo segreto [43] che collega ciò che abbiamo menzionato [cioè la Divinità
ed il Suo oggetto], la Divinità sarebbe annullata, ma non sarebbe annullata la perfezione
dell’Essenza. Qui il termine ẓahara
t
zāla)”, come nell’espressione “uscirono (ẓaharū) dal territorio”, cioè si allontanarono da esso. Questo corrisponde al
tt
ā
t u t ]: “La Divinità (ulūhiyya) ha un segreto: se esso venisse meno
sarebbe annullata la Divinità” (47).
Questione [XXV] (48): La scienza non cambia per il cambiamento del suo oggetto, bensì
è la connessione a cambiare, e la connessione è una relazione con un certo oggetto, come ad
tt
à ed era. La scienza è connessa
u
t t
t
tt
della scienza con il rinnovo (istiʿnāf
u
tt
cambiamento della connessione non deriva necessariamente il cambiamento della scienza,
così come dal cambiamento della cosa udita o vista non consegue il cambiamento della visione e dell’udito.
Questione [XXVI]: È stabilito che la scienza non cambia, ma anche l’oggetto di essa non
tt
u
t
u
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(muḥaqqaq
u
tt
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tt u
tt
45
u
u
t
t
tt
u
u t
t
t
t t
u
causa dell’esistenza del Mondo, sennonché l’uso di questo termine non ricorre nella Legge, e per questo noi
non lo usiamo e non Lo denominiamo Causa”.
46 Nel suo senso ordinario il verbo ẓahara
t
t
t
ut
esso va qui inteso nel senso di venir meno, cioè non si tratta della rivelazione del segreto ma della cessazione
di ciò che lo costituisce.
47
t
u t
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Futūḥāt, e il
cap. 7 dei Fuṣūṣ al-ḥikam,
u ān al-Man ū
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u
Signore, poiché è grazie a lui che la Sua Signoria persiste. Quindi ognuno è gradito al suo Signore e dunque è
u t
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u t
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t
individuo - se esso venisse meno sarebbe annullata la Signoria”.”.
The mystical
vision of existence in Classical Islam
t
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48
t ut
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t u
u t
Libro della conoscenza.
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di scienza che non cambia (49), mentre la relazione tra lo stare eretti ed il corpo è l’oggetto di
scienza in cui è ammesso il cambiamento; ma anche la relazione non cambia e anche questa
relazione individuale non appartiene che a questo individuo e quindi non cambia. Non vi è
tt
u
u t u tt
t
t
t
getto della relazione (al-mansūb) e il soggetto della relazione (al-mansūb ilay-hi), e la relazione
individuale (50). Se uno dice: “Abbiamo ammesso il cambiamento solo nel soggetto della relazione in quanto lo abbiamo visto in una certa condizione, poi lo abbiamo visto in un’altra
condizione”, noi rispondiamo: “Quando consideri il soggetto della relazione come una certa
realtà, non lo hai considerato nella sua verità - e la sua verità non è mutevole - né per ciò che
viene correlato con lui - e [anche] questa è una verità che non cambia mai - ma hai rivolto
l’attenzione a lui in quanto è correlata con lui una certa condizione. Quindi quella condizione, che abbiamo detto essere cessata, non è l’altro oggetto di scienza con cui è correlato,
poiché esso non abbandona il soggetto della sua relazione: si tratta solo di un altro oggetto di
t
u t
u
né il suo oggetto. La scienza ha solo delle connessioni con le cose sapute, o è connessa con le
cose sapute, dillo come vuoi”.
Questione [XXVII] (51): Non c’è nulla nell’ambito della scienza dei concetti formali (alʿilm at-taṣawwurī) (52) che venga acquisito con la speculazione razionale. Le scienze acquisite
non sono altro che la relazione di un saputo concepito nella forma (maʿlūm taṣawwurī) con
un [altro] saputo concepito nella forma. Anche la relazione astratta (muṭlaqa) fa parte della
scienza dei concetti formali. Se dunque attribuisci l’acquisizione alla scienza dei concetti
formali, ciò è solo perché hai sentito un termine (lafẓ) che un certo gruppo ha utilizzato per
u
t
t
u
tutt
u t
u t
t u
t
u u
u t
u
t
u
t
t
u
t u t
u
t
maʿnawiyya), né l’indicazione per mezzo della
quale giungere alla conoscenza di ciò che quell’individuo voleva dire con quell’espressione,
49
u
tt
t
tt
t
u t
eretto, poiché questi ultimi possono evidentemente cambiare.
50 Ad esempio il soggetto della relazione è il corpo, l’oggetto della relazione è lo stare eretti, la relazione è
u
t
t
tt
u
u
t
u
siede allo stare eretti si sostituisce lo stare seduti, ma nessuno di questi quattro oggetti della scienza cambia
t
u
seduto, ed è la successione temporale a dare l’illusione del cambiamento di ciò che è saputo.
51 u t u t
t ut
u t
Libro della conoscenza.
52
u t
t
(mufradāt
t
u t
t
t
tt
u
che sa concepisce formalmente le questioni nella sua anima, poi le fa apparire a coloro che apprendono nella
forma più bella”.
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u
tutt
t
[dapprima] fermamente stabiliti (markūza) nell’anima, poi essi vengono svelati per lui con le
circostanze, momento dopo momento.
Questione [XXVIII] (53): Descrivere la scienza come la comprensione (iḥāṭa) dei suoi og54
tt
t
t
), quindi la comprensione
è impossibile. Ma si dica: la scienza comprende la realtà essenziale di ogni cosa saputa, altrimenti essa non sarebbe saputa per via della comprensione, in quanto chi ha scienza solo di
un aspetto di una cosa non la comprende.
Questione [XXIX]: La visione della vista interiore è scienza e la visione della vista sensibile è la via per ottenere una scienza (55
tt
t
t u
tt
t
t
t
u t
luogo per via della cosa connessa, che è ciò che è sentito e ciò che è visto.
Questione [XXX] (56): L’eternità (azal) è un attributo negativo, cioè la negazione della
primità (awwaliyya). Quindi se diciamo “Primo” riferendoci alla Divinità, non si tratta che
del rango.
Questione [XXXI]
ā t
u
t
ḥudūṯ) o novità] di tutto ciò che
è diverso da Allah dalla contingenza delle realtà sottoposte alla condizione spaziale e dalla
contingenza dei loro accidenti. Questo non è corretto, a meno che non stabiliscano la prova
che ciò che è diverso da Allah, sia Egli esaltato, si limita a ciò che essi menzionano (57). Noi
tutt
tt
t
t
t
53
t ut
u t u t
t u
u t
Libro della conoscenza.
54 Nella questione L del Libro della conoscenza
tt
t
la scienza, per essere tale, non implica la connessione con tutti i suoi oggetti.
55 L’aspetto esteriore delle cose percepito dai sensi è solo uno dei loro aspetti, mentre la comprensione di esse
tutt
tt
t
t u t
56
u
t
u t
Libro della conoscenza, sostituendo qidam con
azal, termini che indicano entrambi l’eternità.
57
tt
t
tt
u t
t
nel qual caso si dice che è privo di substrato, o non sussiste per se stesso. Quanto a ciò che sussiste per se stesso
o è condizionato dallo spazio o non lo è. Quanto a ciò che non ha substrato e non è condizionato dallo spazio
o è ciò la cui esistenza è necessaria per se stessa, cioè Allah, sia Egli esaltato, o ciò la cui esistenza è necessat
u
t
t
t
che sussistono per se stesse vi sono quelle che non sono condizionate dallo spazio, come le anime logiche che
governano le sostanze luminose, naturali ed elementari del Mondo, e quelle che sono condizionate dallo spazio. Queste ultime o sono composte ed hanno parti, oppure sono prive di parti: se non ha parti è la sostanza
individuale e se ha parti è il corpo”.
149
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
Questione [XXXII]: Ogni cosa esistente (mawǧūd) che sussiste per se stessa non sottoposta
u
t
corso per la sua esistenza ed i luoghi non la cercano.
Questione [XXXIII]: L’indicazione (dalāla
t
u
t
t
questione, il tempo è determinato [(muqaddar
iḫtiṣāṣ
t
u
t
t
t
u
ā t
t
u
t
t
u t
u
t
u
u t
t t
u
58
). Questa indicazione è
u
Se egli dicesse che la relazione delle possibilità con l’esistenza o la relazione dell’esistenza
con le possibilità è una relazione unica in quanto relazione, non in quanto possibile, allora la
u
t
t
u
t
u
t
tutt
da Allah.
Questione [XXXIV]
t
t
u
u t
t59
turale in cui avviene il movimento della Sfera [celeste] ( ), è una incoerenza nel discorso.
tt
ttu
u
t
t
ā t
terminazione del tempo riguardo al primo possibile, quindi [per costoro] i movimenti della
Sfera avverrebbero in una “non-cosa”. Se l’altro [cioè l’oppositore di questa concezione] dice:
il tempo è il movimento della Sfera e la Sfera è sottoposta alla condizione spaziale, allora il
movimento non avviene se non in ciò che è condizionato dallo spazio. (60)
Questione [XXXV] (61
tu t
u
u
ā t
t
62
(muǧassima) ( ), nel loro errore riguardo alla parola condivisa [cioè che si applica sia ad Allah
che a ciò che è diverso da Allah] per come hanno ritenuto che essa appartenga alla comparabilità (tašbīh), mentre nel linguaggio la comparabilità ha luogo solo con l’espressione della
58
ā t
t
u
tt
t
u
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ut
u u t
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t
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u
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t tu
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u
t
t
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t
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ut
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The Philosophy of the Kalam,
The Kalām Cosmological Argument, Palgrave Macmillan, 1979.
t
u t
59
t
della maggior parte dei saggi (hukamā’).
60 u u t
t
ut
t tt
u
t
t
u
ternità e sul tempo”, El Azufre Rojo, nº 4, 2017, pag. 233-235.
61 u t u t
t ut
t
u t
Libro della conoscenza.
62
u t
Libro della conoscenza i due gruppi non erano indicati con il loro nome.
-
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similitudine o con la kāf u
t
t
tutt u
una comparabilità.
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la particella ka
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t
parabilità, ma in realtà non se ne sono allontanati. Essi si sono limitati a passare dalla comt
t
t
t
t
t
tt ut
t
t
Quindi [44] essi non sono mai andati al di là della comparabilità con realtà contingenti [anche se non corporee]. Se per assurdo seguissimo il loro assunto non ci discosteremmo dall’istiwā’ inteso come “risiedere” per l’istiwā’ inteso come “dominare”, così come hanno fatto
t
t
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assiso (istawā u
t t
t
t
u t
t t
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t
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u
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t
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u
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u u u
che è la realtà corporea. L’assidersi è una realtà essenziale intelligibile, concepibile razionalmente, che può essere attribuita ad ogni essenza in conformità a ciò che la realtà essenziale
di quell’essenza comporta. Non c’è nessun bisogno per noi di prenderci una responsabilità
stravolgendo il termine assidersi dal suo senso letterale. Questo è un errore evidente e non c’è
modo di nasconderlo.
Quanto ai Corporalisti non era necessario per loro passare oltre all’espressione riportata [nel
u
u
t
t
t
u
tt
t t
u
Questione [XXXVI]: Come Egli, sia esaltato, non ha ordinato la turpitudine [cfr. Cor.
ut
u
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t
t
fatto che Egli non la vuole è che il suo essere turpe non è la sua entità, bensì è il giudizio
[(ḥukm) o regime] di Allah riguardo ad essa, ed il giudizio di Allah riguardo alle cose non è
creato e ciò su cui non ha luogo la creazione non è voluto (63). E se esso [giudizio o regime] ci
è stato imposto riguardo all’obbedienza ci atteniamo ad esso e diciamo: la Volontà riguardo
all’obbedienza è accertata per ascolto [della tradizione], non razionalmente, ed essi [i teologi]
64
t
u
tu tu
). Noi l’abbiamo accettata [la Volon63
t
tt
ū
u
u t
Libro della conoscenza
u
u t t
di esistenza e quello di non-esistenza] si chiama Volontà”.
64
u
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u t
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151
tà riguardo all’obbedienza] per fede, come abbiamo accettato la pesa delle opere e le loro
t
u t
t ut
comporta l’indicazione.
Questione [XXXVII]: Per il possibile la non-esistenza che precede come regime la sua
esistenza non è voluta (murād) [cioè non è oggetto della Volontà divina] (65). Ma la non-esistent t
t t
u
t
t
u
t
u
t
è voluta nello stato dell’esistenza del possibile, poiché è ammissibile che la non-esistenza si
accompagni ad essa.
La non-esistenza del possibile che non è voluta è quella che si contrappone all’esistenza di
Colui che è necessario per la Sua Essenza, in quanto il rango (martaba) dell’Esistenza assoluta si contrappone alla Non-esistenza assoluta che appartiene al possibile (66), non essendo
possibile esistenza per lui in questo rango. Ciò riguarda l’esistenza della Divinità, nient’altro.
Questione [XXXVIII] (67): Per la ragione non è impossibile un’esistenza primordiale che
non sia Dio, e se ciò non è, è soltanto per via dell’ascolto [della tradizione].
Questione [XXXIX] u t
tt
u
al-muḫassis) voglia l’esit
u
t
u
u
u
t
u t
esistenza, bensì la sua relazione [cioè dell’esistenza] con un certo possibile, relazione che è
ammissibile anche con un altro possibile. L’esistenza, per quanto attiene al possibile in modo
assoluto e non in quanto è un certo possibile, non è voluta e non accade mai, se non per un
certo possibile. E se [l’esistenza è voluta] per un certo possibile, non è voluta in quanto tale,
ma per la sua relazione con un certo possibile, non altro (68).
65
t t
stesso, poiché se la non esistenza fosse per esso una qualità propria sarebbe impossibile la sua esistenza, così
come è impossibile l’esistenza dell’impossibile (muḥāl), ma noi sosteniamo la precedenza per esso della non
t
tt
t
t
u t
t
u t u
u
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66
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sistenza che appartiene al possibile, ma qui non sta parlando dell’Esistenza assoluta in se stessa, bensì del suo
rango, espressione che egli riserva di norma ad Allah in quanto Dio, non in quanto Essenza, come precisa
u t
u
t
u barzaḫ, si contrappone
per la Sua essenza alle creature ed all’Essenza; quindi la Sua esistenza si contrappone alla non-esistenza del
possibile, e non dell’impossibile.
67
t ut
u t u t
t u
u t
Libro della conoscenza.
68
t
t
u
t
t
iḍafī) o vincolata (muqayyad), espressioni che
ricorrono entrambe nel Libro della produzione dei cerchi, a pag. 46 e 57 della traduzione pubblicata nel N. 5 della
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Maurizio Marconi
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El Azufre Rojo XII (2024), 136-163
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ISSN: 2341-1368
Questione [XL]: L’indicazione prova la sussistenza ( ṯubūt
u
as-sabab al-muḫaṣṣiṣ) (69) e prova anche, per esempio, l’istruzione [divina] (tawqīf ) (70) riguardo a ciò
tt u t
tu
u t
uno degli speculativi, in un colloquio che abbiamo avuto con lui. Noi ci attenevamo [a ciò]
(71
u t
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u
t
udicato che Egli è in un certo modo e non in un altro. E che dire della chiara indicazione della
Sua esistenza e che la Sua esistenza è identica alla Sua Essenza, e che non c’è causa (ʿilla) per
la Sua Essenza, per la sussistenza della dipendenza dall’altro mentre Egli è il perfetto sotto
ogni aspetto? Quindi Egli esiste e la Sua esistenza è identica alla Sua Essenza, nient’altro.
Questione [XLI] (72): La dipendenza del possibile nei riguardi del Necessario per l’Essenza, e l’indipendenza essenziale per il Necessario nei confronti del possibile, si chiama Dio.
La Sua connessione (taʿalluq) [cioè dell’Essenza] con Se stessa e con le realtà essenziali di ogni
t muḥaqqaq), sia essa esistente o non esistente, si chiama Scienza.
La Sua connessione con le possibilità, in quanto sono le possibilità per Lui, si chiama Scelta
(iḫtiyār).
rivista El Azufre Rojo, 2018.
u
indipendenza dal Mondo [espressione che si riferisce all’Essenza o all’Esistenza assoluta] è identica alla Sua
indipendenza dall’esistenza del Mondo [cioè dall’esistenza dei possibili]”.
69 t
sabab
t
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u u
t
as-sabab al-muḫaṣṣiṣ
t
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u ān al-Man ūb si legge as-sabab almuḫaṣṣaṣ,
u
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tt hāḏā al-muḫaṣṣiṣ, cioè Costui che spe70 Nel linguaggio teologico il termine tawqīf,
t
waqqafa
t
u
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t
all’origine convenzionale ed umana (iṣṭilāḥ
ā t
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tawqīf,
t
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t
t nevano l’iṣṭilāḥ. Su questo argomento si può consultare lo studio di Giovanni Carrera, L’origine du langage d’après
les Mutakallimūn de l’époque classique u
t
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71
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stesso e che per gli speculativi sono proprie delle creature] per i realizzati tutte queste sono Attributi del Vero,
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tutt u
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tt niamo in ciò all’istruzione [divina] (tawqīf
u
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u
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e Lo denominiamo solo come Egli ha denominato Se stesso”. Altri riferimenti al tawqīf si trovano nei capitoli
72 u t
tutt
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u
t tu
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u
u t
t
Libro della conoscenza,
t
t
t-
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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La Sua connessione con il possibile, per la precedenza della Scienza rispetto all’essere (kawn)
del possibile, si chiama Volere (mašī’a).
u
u
u t t
quanto attiene alla sua entità [cioè lo stato di esistenza e quello di non-esistenza] si chiama
Volontà (irāda).
La Sua connessione con l’esistenziazione dell’essere si chiama Potere.
u
u t
tt
é sia si chiama Comando
(amr) ed esso è di due specie: con intermediario e senza intermediario. Quando non vi sono
intermediari è inevitabile l’esecuzione del Comando; quando vi è l’intermediario, [il Comando] non implica necessariamente l’esecuzione e non si tratta di un Comando nel vero senso
della parola, poiché non c’è cosa che si arresti di fronte al Comando di Allah.
La Sua connessione con il far sentire a ciò che è generato per distoglierlo dal suo essere o da
un modo d’essere che proceda da lui, si chiama Divieto, e la sua forma, nella composizione
della frase (taqsīm), è la forma imperativa.
La Sua connessione con l’attualizzazione [nell’anima dell’essere generato della scienza] di
come stanno le cose riguardo ad Essa o riguardo ad esseri che sono diversi da Essa, o di ciò
t
iḫbār). E se Essa è connessa con l’essere generato
t
t
u t
t
u tt
l’aspetto della discesa verso di lui nella forma imperativa, si chiama Appello, e sotto l’aspetto
della connessione del Comando con questo [Appello] si chiama Discorso (kalām).
La Sua connessione con il Discorso, senza che ciò implichi la scienza di esso, si chiama
Audizione, e se è connessa [con il Discorso] e la comprensione di ciò che è udito segue alla
connessione, si chiama Comprensione.
La Sua connessione con la proprietà della Luce e con ciò che essa veicola degli oggetti visibili
si chiama Vista e Visione.
La Sua connessione con la percezione (idrāk) di ogni oggetto di percezione (mudrak), senza la
quale non sarebbe possibile una connessione da parte di queste connessioni tutte insieme, si
t
tutt ò l’Entità (ʿayn) è unica e sono molteplici solo le connessioni con le
realtà essenziali delle cose connesse, ed i Nomi, per [la molteplicità] delle cose nominate.
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Questione [XLII] (73
u u t
t
u
tà, mentre la fede ha una luce tramite la quale percepisce ogni cosa, a meno che non vi sia
un impedimento. Tramite la luce della ragione arrivi alla conoscenza della Divinità, di ciò
che è necessario per Essa e di ciò che è impossibile, e di ciò che è ammissibile per Essa e ciò
che non è impossibile. Tramite la luce della fede, la ragione coglie la conoscenza dell’Essenza
e degli Attributi di relazione (nuʿūt) che il Vero ha ascritto a Se stesso.
Questione [XLIII] (74): Secondo noi non è possibile la conoscenza del modo in cui i regimi
sono correlati alle essenze se non dopo la conoscenza delle essenze oggetto della correlazione
e di ciò che è correlato ad esse. Solo allora [45]
t
u
t
t
ciò che viene attribuito ad Allah].
Questione [XLIV] (75
tt
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fuoco brucia per la sua realtà essenziale, non per la sua forma. Quindi il Suo detto, sia Egli
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u
ut
u
t
t
u
u
sta in essi, sono stati chiamati “fuoco”. Quindi essi ammettono la freschezza così come ammettono il calore.
Questione [XLV] (76): La permanenza (baqā’) è la continuità dell’esistenza per colui che
permane, non altro. Non è un attributo aggiunto, sì da avere bisogno [a sua volta] di permau
u
āriti, riguardo a ciò che
è contingente (muḥdaṯ). La permanenza è un accidente, e quindi non ha bisogno di permanenza. Questo riguarda solo la permanenza del Vero, sia Egli esaltato.
Questione [XLVI] (77
u t
u
u
che è detto con esso, non il Discorso. L’ordine ed il divieto, la domanda e la ricerca sono una
cosa sola nel Discorso.
Questione [XLVII] (78): La divergenza [tra i teologi] riguardo al Nome, il Nominato e
la denominazione (tasmiya), è una divergenza puramente verbale. Quanto al detto di Chi
tt
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73
74
75
76
77
78
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Libro della conoscenza.
Libro della conoscenza.
Libro della conoscenza.
u t
Libro della conoscenza.
Libro della conoscenza.
Libro della conoscenza.
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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tu
u
t
verso la terra del nemico. Quanto a chi vuole provare che il Nome è il Nominato basandosi
u
t
t
t
il nominato] sono le persone (ašḫāṣ), ma è per l’attribuzione della Divinità [a queste persone]
che essi [le] adorano [cioè essi adorano in realtà la Divinità, non le persone]. Non c’è quindi
prova che il Nome sia il Nominato e se fosse lo sarebbe in base alla lingua ed all’uso, non in
t
Questione [XLVIII] (79): L’esistenza delle possibilità è solo per la perfezione dei gradi
dell’esistenza essenziale e conoscitiva.
Questione [XLIX]: Ogni possibile si riduce ad una di due categorie, cioè velo (sitr) o teofania (taǧallī) (80
fatto esistere al massimo del grado a cui può arrivare (gāya)
ed al più perfetto, e non ce n’è di più perfetto. Se il più perfetto fosse illimitato, non sarebbe
concepibile la creazione della perfezione. Ed [il possibile] è fatto esistere in conformità alla
Presenza della perfezione, e quindi è perfetto (81).
Questione [L] (82): Gli oggetti della scienza si riducono, per quanto attiene a ciò con cui
sono percepiti, a sensazione (ḥiss t
t
tuizione (badīha), e a ciò che è composto da queste, per mezzo della ragione se si tratta di un
t
ḫayāl) se si tratta di una forma.
t
che l’immaginazione compone, ma non è nella facoltà dell’immaginazione concepire formalmente tutto ciò che la ragione comprende.
La Podestate (iqtidār) divina (83) ha un segreto che esula da tutto ciò, a cui la ragione si arresta (84).
Questione [LI] (85): La bellezza e la bruttezza sono [attributi] essenziali per il bello e per
il brutto. Ma vi sono cose di cui si percepisce la bellezza e la bruttezza, in considerazione di
una perfezione o di un difetto, di un obiettivo personale, di un’adeguatezza di natura o di
79 u t u t
t
tt
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Libro della conoscenza.
80 u t
t ut
u t
Libro della conoscenza.
81 u t
t
u t
t ut
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Libro della conoscenza.
82 u t u t
t
u t
Libro della conoscenza.
83 u
t
u t t
t
u t
84 Non ho trovato nelle Futūḥāt altri riferimenti espliciti a questo segreto.
85 u t u t
t
u t
Libro della conoscenza, ma lo sviluppa in
modo diverso e più esteso.
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una inadeguatezza, o di una norma abituale, e vi sono cose di cui non si percepisce la bellezza e la bruttezza se non da parte del Vero, cioè tramite la Legge, e quindi diciamo “questo
utt
u t
t
t tt
u
t
u
giudizio (ḥukm) [sulla bellezza o sulla bruttezza intrinseca della cosa o dell’atto], e per questo
aggiungiamo: “[questo è bello o brutto] in base al tempo, allo stato ed alla persona”.
Abbiamo posto queste condizioni per via di chi parla di omicidio sia che esso sia intenzionale, per rappresaglia o per punizione, e di chi parla dell’introduzione dell’organo maschile
in quello femminile, che sia per fornicazione o per rapporto matrimoniale, in quanto come
introduzione è un atto unico. Noi non siamo d’accordo [sull’assimilazione di questi casi], poiché il tempo è diverso, i requisiti del matrimonio non esistono nella fornicazione ed il tempo
in cui una cosa è lecita non è il tempo in cui è proibita, anche se l’entità della cosa proibita
u
t
u
t
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u
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u
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momento, né il movimento che appartiene ad
t
u
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t u
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utt za, non si ripeterà mai.
Vero sa ciò che è bello e ciò che
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u
tt
t u
circostanze è bello (86). Realizza ciò su cui ho attirato la tua attenzione e troverai la verità .
86
u t t
t
t
ttutt
t
scrupolo: chi è preservato dallo scrupolo vede un cibo [apparentemente] lecito come se fosse del maiale o
degli escrementi, e vede una bibita come se fosse vino. Egli non ha alcun dubbio su ciò che vede, mentre chi
siede vicino a lui vede la stessa cosa come un pezzo di buon pane e come dell’acqua dolce. Piacesse a Dio che
io sappia chi dei due ha la giusta percezione e chi invece ha solo dell’immaginazione: colui che percepisce lo
statuto legale in modo formale o chi percepisce l’oggetto sensibile nella sua condizione ordinaria? Anche da
t
u
ut
t
utt
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t
per se stesso e che la percezione giusta è quella di chi percepisce la bevanda proibita come se fosse vino. Se
la cosa non fosse in se stessa brutta non sarebbe possibile questo svelamento a chi lo percepisce e se l’atto del
t
t
t
utt
u
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u
tt
t
u
u
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tt
t
esso si presenti a chi lo percepisce nella sua condizione abituale sotto forma di qualcosa da mangiare. Ma dal
punto di vista della Legge, la non liceità ha più diritto dell’aspetto esteriore. Certamente, nel caso di chi vede
la cosa come un cibo [lecito], nella sua condizione ordinaria, vi è un disaccordo tra lui e la realtà essenziale
del giudizio della Legge, che sancisce che quella cosa è brutta. E se la cosa fosse brutta solo per convenzione
t
utt
u
t
u
t t
u
u t t
t
tt
u
t
t
u
t
t
t
dell’uomo, riguardo alla maggior parte delle cose, di percepire la bruttezza delle cose né la loro bellezza, e solo
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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Questione [LII]: L’esclusione (intifā’) dell’indicazione (dalīl) non implica necessariamente
u
t
che dice colui che sostiene l’in87
carnazione (ḥulūl) ( ): “Se Allah fosse in una cosa come era in Gesù farebbe rivivere i morti”
(88).
Questione [LIII] (89): La soddisfazione per il Decreto (qaḍā’) non implica necessariamente
t t
t
u
u t
Egli ci ha ingiunto di essere soddisfatti. La cosa decretata è l’oggetto del giudizio e non siamo
vincolati ad essere contenti di essa.
Questione [LIV] (90): Se per invenzione intendi la novità (ḥudūṯ) dell’idea inventata nell’at
u t
t
Allah. Se per invenzione intendi la novità della cosa inventata, senza un modello preesistente
u
t t
u t
u
t
Questione [LV] (91
irtibāṭ) del Mondo con Allah è la relazione di possibile con
necessario e di prodotto con produttore (92). Nell’eternità il Mondo non ha un rango, poiché
questo è il rango di Colui che è Necessario per l’Essenza. Egli è Allah e non c’è cosa con
Lui, indipendentemente dal fatto che il Mondo sia esistente o non-esistente. Chi si immagina
ā t
t
u
t
bawn) in cui l’esistenza del
possibile possa essere anticipata o ritardata, cade in una congettura fallace, che non corrise Allah ce le fa conoscere, le riconosciamo come belle o brutte. Ve ne sono tuttavia alcune di cui percepiamo
razionalmente la bruttezza nella nostra conoscenza: come la menzogna o l’ingratitudine di chi ha ricevuto dei
u
t
ut
u t
tt
che il castigo sia talora collegato a certi tipi di sincerità o che la ricompensa sia legata a certi tipi di menzogna,
questo compete ad Allah: è Lui che da la ricompensa per ciò che vuole, sia esso bello o bello, senza che ciò
dimostri la bellezza della cosa o la sua bruttezza. Mentire per salvare un credente dalla morte è un caso in cui
l’uomo viene ricompensato, anche se la menzogna è in se stessa una cosa brutta. D’altra parte, talora l’uomo
viene punito per la sua veridicità, anche se la veridicità è per se stessa una cosa buona”.
87 t
ḥulūl indica la discesa o il prendere posto nella sede (an-nuzūl fī-l-maḥall
u
t
u
u
t
u
u t
t
u tt
ut
u
u
t t
t
parlò dall’arbusto se non il Vero e quindi il Vero è la forma di un arbusto, e non ascoltò da parte di Mosè se
non il Vero, e quindi il Vero è la forma di Mosè in quanto Colui che ascolta, così come è l’arbusto in quanto
Colui che parla, e l’arbusto è un arbusto e Mosè è Mosè. Non c’è incarnazione, poiché la cosa non si incarna
in se stessa, e l’incarnazione comporta due essenze, mentre qui si tratta solo di due regimi”.
88 Cioè l’esclusione dell’incarnazione non implica l’esclusione del ridare vita ai morti.
89 u t u t
t ut
u t
Libro della conoscenza.
90 u t u t
t ut
u t
Libro della conoscenza.
91 u t u t
u t
Libro della conoscenza.
92 u t
t
t t
t
u
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sponde ad alcuna realtà essenziale. Per questo, riguardo all’indicazione [che prova] la cont
u
u
tt t
āriti. Già
93
abbiamo ricordato ciò in queste note ( ).
Questione [LVI]: Dalla connessione della scienza con il suo oggetto (maʿlūm) non consegue
necessariamente l’ottenimento dell’oggetto di scienza nell’anima del sapiente (94), né della sua
similitudine. La scienza è connessa con gli oggetti di scienza solo nella condizione in cui essi
si trovano nel loro rapporto (ḥayṯiyya) [con essa] quanto a esistenza e non-esistenza.
Quanto a chi sostiene che alcuni oggetti di scienza hanno quattro gradi nell’esistenza (95):
mentale (ḏihnī), individuale (ʿaynī), verbale e scritto, se egli intende per mente la scienza ciò
non è ammissibile, mentre se intende per mente l’immaginazione ciò è ammissibile, ma in
tt
t
t
t t
t
u
tt
scienza] mentale, in quanto esso corrisponde all’entità nella forma. [46] L’oggetto di scienza
verbale e quello scritto non sono in questa condizione, in quanto la parola e la scrittura sono
predisposti per l’indicazione e la comprensione. La forma dell’oggetto di scienza verbale o
tt
ttu
zāy, yā’ e dāl, in
lettere o suoni, non ha destra né sinistra, né lati, né occhio, né udito. Per questo diciamo che
non corrisponde ad esso nella forma, ma solo nell’indicazione. Di conseguenza, se accade al
suo riguardo la condivisione (mušāraka) [cioè il termine verbale o scritto può applicarsi a più
u
tt
t t
ut zione e dell’apposizione esplicativa. Nell’oggetto di scienza mentale non si introduce mai una
condivisione. Comprendi dunque.
Questione [LVII]: Nel primo “Libro della conoscenza (kitāb al-maʿrifa al-awwal)” abbiamo
u
t
tt
t
t tt
96
biamo spiegato da dove abbiamo tratto quella enumerazione (
t tt
360 volti ad ognuno dei quali corrispondono, dal lato del Vero, il Potente, 360 volti ognuno
93
94
95
u t
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u t
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u t
u t t t
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barzaḫ supremo.
96
u t
Libro della conoscenza
t
u
t
u t
u
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u
su di lui parte della Sua Scienza in misura delle predisposizioni all’accettazione che aveva esistenziato in lui,
e la sua accettazione fu di 46.656.000 specie”.
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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dei quali gli elargisce una scienza che non
t
t
t
t
t
telletto per i volti dell’apprendimento, il risultato è il numero delle scienze che appartengono
t tt
tt
ut t
Ciò che abbiamo menzionato, per uno svelamento divino, non c’è indicazione razionale che
u
tt t
questo va accettato così come sono stati accettati dalle parole del saggio [cioè Avicenna] i
97
tre aspetti (iʿtibārāt
t
t tt
), senza una indicazione, bensì
come postulato (muṣādara). E questo [ciò che abbiamo menzionato] è meglio di quello, poiché
il saggio ha asserito riguardo a quello la speculazione ed è stato tratto in errore da essa, per
ciò che abbiamo menzionato nelle “Sorgenti delle questioni (ʿuyūn al-masā’il)” (98) riguardo alla
99
questione della Perla Bianca (ad-durra al-bayḍā’
t tt
).
Quanto abbiamo menzionato non implica errore (daḫal), poiché non abbiamo asserito che
u
u
t
u
t
u
ut munkir) è di dire a chi parla: “Tu menti”, non può far altro, così come chi ha
u
u
tt
u t
t
t gono i tre aspetti, ed in Allah è la riuscita.
Questione [LVIII] (100): Non c’è possibile appartenente al Mondo della Creazione che non
abbia due volti: un volto verso la sua causa occasionale (sabab) ed un volto verso Allah, sia
Egli esaltato. Ogni velo ed oscurità che lo colpiscono vengono dalla sua causa occasionale,
ed ogni luce e svelamento viene dal lato del suo Vero. Per quanto riguarda il possibile appartenente al Mondo del Comando (101), non è possibile concepire un velo nei suoi riguardi
poiché non ha che un solo volto, che è la luce pura. “Non spetta ad Allah il culto esclusivo?”
Questione [LIX]: L’indicazione razionale prova che l’atto di far esistere (īǧād) è connesso
con il Potere (qudra
t
t
u
cendo di Se Stesso: “La Nostra sola parola ad una cosa quando la vogliamo, è che le diciamo
“Sii” (kun
u
u
97
t
u t
98 u u t
tt t
Al-wasā’il fī l-aǧwiba ʿan ʿuyūn al-masā’il, si può consultare
l’Histoire et classification de l’œuvre d’Ibn ʿArabī
99
Histoire a pag. 268-269 censisce un breve trattato intitolato “Risposta alla questione della
Perla Bianca, che è l’Intelletto Primo
u
t
tt
u t t t
stata pubblicata nel 1993 con il titolo Kitāb ad-durra al-baydā’
t
ū
100 u t u t
u
t tt
u t
Libro della conoscenza, ma la sviluppa in
modo diverso.
101 u
t
u t
t
u t
Libro della conoscenza.
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connesso il Comando e quella con cui è connesso il Potere, in modo da poter mettere insieme
l’ascolto [del dato tradizionale] e la ragione.
Noi diciamo che l’obbedienza [al Comando] ha avuto luogo per il Suo detto: “ed essa è”. Ora,
t
t
u
t
uno dei due [stati] possibili, cioè l’esistenza, mentre il Potere è connesso con il possibile ed il
102
u
tt
t
). Questa è una condizione che si può concepire come
intermedia tra la non-esistenza e l’esistenza. Quindi il Comando è connesso con quest’entità
t t
t
u
t
t
tt
u
t
t
u t
sistenza si indirizza a quell’entità quando ha luogo l’esistenza. Chi sostiene, nella spiegazione
del kun, la preparazione (tahayyu’) della cosa voluta, non è nel giusto (103).
Questione [LX]: L’intelligibilità (maʿqūliyya) della primità (awwaliyya) di ciò la cui esistenza
è necessaria per l’Altro [cioè del possibile] (104) è una relazione (nisba) che nega l’esistenza
dell’essere contingente (kawn) della necessità assoluta (105). Esso [cioè il possibile] è primo per
ogni cosa condizionata poiché è impossibile che qui [nel rango della necessità assoluta] esso
abbia una parte, in quanto non potrebbe fare a meno di essere così come la necessità assoluta, e quindi o sarebbe essa stessa, e ciò è assurdo, o sarebbe sussistente per essa, e ciò è assurdo per alcuni aspetti, tra cui il fatto che essa [la necessità assoluta] sussiste per se stessa (106), e
per la dipendenza (iftiqār) che sarebbe implicita per il Necessario assoluto, se questa sussistesse
per Esso (107). Quindi [la necessità assoluta del possibile] o sarebbe costitutiva (muqawwim) per
la sua essenza, e ciò è assurdo, o sarebbe costitutiva per il suo rango, e ciò è [pure] assurdo.
102
u
t t
u t
103 Non ho trovato nelle Futūḥāt t
t
u t
104
u
kawn) il Volere (mašī’a) divino è corret
u
t
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u
u
t
dalla possibilità (imkān), in considerazione di questa verità. Questo è il motivo per cui alcuni, avendo in vista
questo aspetto, hanno smesso di chiamarla il “possibile” e l’hanno chiamata “ciò la cui esistenza è necessaria
per l’Altro”.
105
tt
t
t
t
u
t
ut
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t
t
t
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implica che la sua esistenza e la sua non-esistenza siano entrambe possibili. La primità del possibile riguarda
solo il dominio del condizionato, non quello dell’assoluto.
106 La necessità assoluta non può sussistere per altro, ma solo per se stessa.
107 Se la necessità assoluta del possibile sussistesse per il Necessario assoluto quest’ultimo dipenderebbe dal
possibile per la Sua necessità assoluta.
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
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Questione [LXI] (108): L’intelligibilità della primità del Necessario assoluto è una relaziot
u
tt
u
Quindi il Necessario assoluto è primo in virtù di questa considerazione.
Se si ammettesse che il possibile non abbia esistenza, né in potenza, né in atto, si annullerebbe la relazione di primità per il Necessario assoluto, poiché essa non avrebbe oggetto con cui
correlarsi.
Questione [LXII]
t
u
t
stenza se non in quanto lui; quindi ha scienza di se stesso ( fa-nafsa-hu ʻalima) (109) ed ha scienza
t t
u t
tt
compresa in modo esauriente, ma ciò è impossibile nei confronti di questo Lato [divino], e
quindi la scienza di Lui è impossibile. Né è ammissibile che si possa sapere qualcosa di Lui,
poiché Egli non ha parti. Non resta quindi che la scienza di ciò che è da Lui e ciò che è da
Lui sei tu. Quindi sei tu l’oggetto della scienza (110).
Se si dice: “La nostra scienza che Egli non è così è una scienza di Lui”, noi rispondiamo: “Tu
Lo hai spogliato dei tuoi attributi, per ciò che l’indicazione comporta riguardo alla negazione della condivisione. Ma [attenzione], sei tu che sei distinto, secondo te, da un’Essenza che
ti è ignota, in quanto non è oggetto di scienza per Se stessa, non è Essa che è distinta per te,
per la privazione degli Attributi positivi che Le appartengono in Se stessa (111). Comprendi
108
u
t ut
u t
Libro della conoscenza.
109 u t
ttu
t
u
u ān al-Man ūb si
legge fa-nafsu-hu ʻalima, per cui la frase andrebbe tradotta: “in quanto Lui, cioè è Lui stesso che sa”. È molto
probabile che il testo autografo su cui entrambi hanno basato la loro edizione sia non vocalizzato, potendosi
t
t ttu
t
u
tt t
t
u
paragrafo, cioè: “sei tu l’oggetto della scienza”.
110
u
u
u
u t
l’impossibile, o l’esistenza e la non-esistenza assolute], la sede di manifestazione delle due forme ed il portatore
u
tu
tt
tt
nell’impossibile. Tu sei quindi [tra i due] la barriera che non si rompe e non si spezza. Se la non-esistenza
potesse parlare direbbe che sei sulla sua forma, poiché essa non vede di te se non la sua ombra, così come
l’Esistenza, che può parlare, ha detto che tu sei sulla Sua forma, poiché vede la Sua forma in te, ed Essa ha
scienza di te tramite te, per la Sua luce, e la Non-esistenza assoluta non ha scienza di te per la sua ombra. Così
tu
tt
F
u
tt
u t
tu
rango, non quanto alla tua forma, poiché se fossi oggetto di scienza quanto alla tua forma, il Vero sarebbe
oggetto di scienza, ma il Vero non è oggetto di scienza, quindi tu non puoi essere oggetto di scienza quanto
alla tua forma”.
111
u t
t
t
t
stri attributi.
162
Maurizio Marconi
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El Azufre Rojo XII (2024), 136-163
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ISSN: 2341-1368
Se tu avessi scienza di Lui non sarebbe Lui e se Egli ti ignorasse non saresti tu. È per la Sua
Scienza che ti ha fatto esistere ed è per la tua impotenza che Lo adori. Quindi Egli è Lui per
Lui (huwa huwa li-huwa), non per te, mentre tu sei tu per te e per Lui. Sei tu che dipendi da Lui,
non è Lui a dipendere da te. La circonferenza, in senso assoluto, dipende dal punto [centrale],
u t
ut
u t
[invece] dipende dalla circonferenza. Analogamente l’Essenza, in senso assoluto, non dipende da te. La Divinità dell’Essenza, dipende da “colui nei cui confronti Dio è Dio” (maʼlūh),
che sei tu, come il punto della circonferenza nella sua relazione con la circonferenza. (112).
Questione [LXIII]: Ciò che è connesso con la nostra visione del Vero, sia Egli esaltato, è
la Sua Essenza, Gloria a Lui, e ciò che è
t
u
ne che Egli è Dio, per mezzo delle attribuzioni e delle negazioni: quindi ciò che è connesso
è diverso. Tuttavia non si dice che la visione è un aumento di chiarezza nella scienza (113), a
u
u
t
identica alla Sua
quiddità (māhiyya), non possiamo fare a meno di riconoscere che l’intelligibilità dell’Essenza
non è l’intelligibilità del fatto che Essa è esistente.
Questione [LXIV]: La non-esistenza è il male (šarr) puro. Alcuni uomini non comprendono [47] la verità di questo discorso per la sua imperscrutabilità. Questo è quanto hanno detto i realizzati tra i sapienti di una volta e quelli recenti, ma essi hanno proferito questa frase
t
t
tt u t u u
discorso riguardo alle tenebre ed alla luce, avvenuto in un incontro a metà strada (munāzala):
114
t
t
t
t
). Abbiamo quindi appreso
112
113 u t
ʿulūm ad-dīn
t
tt
u
t
t u
u
ā
t
ā
t t
Iḥyā’
ā
u
u t
u
u
aspetto la visione dell’oggetto della scienza è più completa della scienza di essa e più chiara nella conoscenza
di essa. Ogni visione (ʿayn) è una scienza, ma non ogni scienza è una visione, poiché non è requisito necessario
t
t
u
t
t
scienza di essa, e non mi riferisco al nome. Quindi la visione è notoriamente di grado superiore alla scienza”.
114 Questo episodio è riportato nel Kitāb muḥādarat al-abrār
ā āder,
ut
t
tt
u
u
u
t
u
ū
ā
ā
u
t
uḥammad alā
ā
Muḥ
ā
uḥ
F l. Mentre dormivo vidi me stesso e gli altri in
una casa molto buia in cui non c’era altra luce che quella che emanava da noi stessi e le luci si estendevano su
di noi dai nostri corpi e risplendevamo di esse. Entrò da noi una persona dal volto e dal linguaggio bellissimi,
t
t
tu
rispose: “Sappiate che il bene è nell’esistenza ed il male nella non-esistenza””. Nella Risālat rūḥ al-quds, a pag.
260 dell’edizione pubblicata dalla
F u
t
t
t
ū
ā
u
t
uḥammad alā nell’anno 598 dall’Egira.
Annesso alla traduzione - Estratti dell’introduzione (muqaddima) delle Futūḥāt
163
che il Vero, sia Egli esaltato, possiede l’Esistenza assoluta senza alcuna limitazione, ed Essa è
il bene puro, privo di ogni male.
Ad Essa si contrappone la Non-esistenza assoluta che è il male puro, privo di ogni bene. E
115
u t
t
tt
t
u
).
Questione [LXV]: Dal punto di vista della realtà essenziale non è corretto dire che è ammissibile (ǧā’iz) che Allah faccia esistere una certa cosa e che è ammissibile che non la faccia
esistere, poiché il Suo Atto nei confronti delle cose non è ammissibile, per quanto attiene
a Lui, né è l’imposizione di uno che imponga [diverso da Allah]. Bensì è corretto dire che
quella cosa è possibile che sia fatta esistere ed è possibile che non sia fatta esistere. Quindi
essa dipende da Colui che dà la preponderanza (al-muraǧǧih), cioè Allah, sia Egli esaltato (116).
Abbiamo esaminato a fondo la Legge e non abbiamo trovato in essa nulla che contraddica
tt
t t
u t
u
u t
t
u t
u
Questo è il Credo dell’élite tra la Gente di Allah. Quanto al Credo della quintessenza dell’élite
al riguardo di Allah, si tratta di un argomento che va al di là di questo, e che abbiamo sparso
lungo questo libro, perché la maggior parte delle intelligenze, essendo esse velate dai loro
pensieri, non riesce a percepirlo a causa della sua mancanza di spoliazione (taǧrīd).
L’introduzione di questo libro è terminata: essa è come un’aggiunta sovrapposta ad esso e chi
vuole la può includere in esso e chi vuole può tralasciarla. “Ed Allah dice il Vero e guida sul
tt
t
u
t
t
tt
115
t
t
t
ut
bene puro e che la Non-esistenza assoluta è il male puro e le possibilità sono tra esse due: in quanto sono ricettive all’esistenza hanno una quota del bene, ed in quanto sono ricettive alla non-esistenza hanno una quota del
u
t
t
t
poiché solo quella non-esistenza in cui non c’è entità e di cui ciò che è caratterizzato da essa non ammette
l’essere (kawn), e che non è altro che l’impossibilità, è quella che è il male puro sotto ogni aspetto. Quanto alla
non-esistenza che implica le entità, quella è la non-esistenza della possibilità”.
116
t
che essa comporta da parte di chi dà la preponderanza, ed è quindi impossibile per Allah la scelta nel Volere,
essendo per Lui impossibile l’ammissibilità, in quanto è impossibile che per Allah vi sia qualcuno che gli faccia dare la preponderanza ad una cosa piuttosto che ad un’altra. È Lui stesso Colui che dà la preponderanza
u
u
t
u
noi è impossibile che l’ammissibilità venga attribuita ad Allah, al punto di dire che è ammissibile che Allah
ti perdoni ed è ammissibile che Allah non ti perdoni, e che è ammissibile che Allah crei e che è ammissibile
che Allah non crei: ciò per Allah è impossibile poiché equivale alla dipendenza da chi dà la preponderanza
t
u
u
quest’entità creata in quanto possibile ammette l’esistenza e la non-esistenza, ed è ammissibile che sia creata e
venga all’esistenza ed è ammissibile che non sia creata e non venga all’esistenza: se essa viene all’esistenza è per
Colui che dà la preponderanza, che è Allah, e se non viene all’esistenza è per Colui che dà la preponderanza,
che è Allah”.
164
Maurizio Marconi
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El Azufre Rojo XII (2024), 164-213
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ISSN: 2341-1368
EDIZIONE ARABA DEL KITĀB AL-MAʻRIFA DI IBN ʿARABĪ
Edizione critica di Maurizio Marconi
165
Edizione critica araba del Kitāb al-maʻrifa di Ibn ʿArabī...
ِﻛتاب ال َم ْع ِرفة
)(1
فهرس المخطوطات
ج :جار ﷲ برقم ٩٨٦
ر :جار ﷲ برقم ٢٠٨٠
ش :شهيد علي برقم ١٣٤١
ف :ﻓاﺗﺢ برقم ٥٣٢٢
ل :أوبساﻻ برقم ١٦٢
م :ملليت ﻓيز ﷲ برقم ٢١١٩
الر ِح ِيم
من ﱠ
ِب ْس ِم ﷲ ﱠ
الر ْح ِ
)(2
الحمد � واهب اﻷسرار·ﻷرباب ال ُمشاهدات واﻷبﺻار·القائمين
بوظائف) (3ال ُمجاهدات واﻷذكار· ُم ْ
ط ِلع اﻷنوار·ﻷﺻحاب النظر
واﻻسﺗبﺻار· ِم ْن خلف حجاب العقول واﻷﻓكار·ﻓقيل ﻓي العلوم
ي
ب باعﺗبار·و َك ْس ٌ
على هذا الﺗقسيم أنّها َو ْه ٌ
ب باعﺗبار·وال ِع ْلم ال َو ْهب ّ
ب ب َو ْج ٍه ِم ْن الوجوه وهو ال ِع ْلم العزيز
الذى ﻻ يَدخله َك ْس ٌ
المقدار·هو ما أ ّد ْ
ت إليه الجبلّة الطاهرة اﻷﺻل) (4والنشأة عندما
ت ﻓي عالَم اﻻنﺗقاﻻت ﻓي اﻷطوار·وانﺗقل ْ
ﺗر ّدد ْ
ت ِم ْن عالَم اﻷغذية
) (1ج :كﺗاب المعرﻓة اﻷُولى؛ ر :كﺗاب المعرﻓة اﻷُولى؛ ش :كﺗاب المعرﻓة؛ ف :كﺗاب المسائل وهو كﺗاب
المعرﻓة؛ ل :كﺗاب المعرﻓة اﻷُولى؛ م :كﺗاب المعرﻓة
) (2ل + :ﺻلّى ﷲ على ﷴ وآله وسلّم .قال الشيخ اﻹمام العالِم الراسخ الوارث العارف المحقّق الفرد محيي
سره؛ م + :وبه ﺗقﺗي
ي قدّس ﷲ ﱠ
الدين أبو عبد ﷲ ُم َح ﱠمد بن علي بن العرب ّ
) (3ج :وضائف
) (4ر :واﻷﺻل
2
ISSN: 2341-1368
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El Azufre Rojo XII (2024), 164-213
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Maurizio Marconi
إلى عا َلم الﺗقديس واﻹطهار·ﻓي أسعد دور يكون)ِ (1م ْن
طالع طلع) (2ﻓي ليل كان أو نهار·ﻓخرج ْ
ت النشأة
اﻷدوار·وأ ْي َمن
ٍ
)(3
الطبيعيّة على غاية الﺻفاء واﻻعﺗدال الذى أعطاه ﺗكرار
اﻷكوار ﻓي اﻷكوار·كما قيل ﻓي السيّد المﺻطفى
ﺗرﺗقي” ﻓكان
المخﺗار·“ﺗخيّرك ﷲ ِم ْن آدم ﻓما زل َ
ت منحدرا ْ
انحداره ﻓى عالَم الظلم واﻷغيار·ﺗﺻفية وﺗخليﺻا وﺗ ْحلية ﻓبُورك
ﻓيه ِم ْن انحدار وكان عين) (4الﺗرقّي إلى مقام أقدس ونعت أنفس
يعسر مدركه على المجﺗهدين والن ّ
ظار·ﻓكان المعﺗدل النشأة
ي ال ِخﺻال المحمود المناقب واﻵثار·ﺻلّى
الحسن الهيئة المرض ّ
ﷲ عليه وعلى آله وأﺻحابه اﻷﺗقياء اﻷخيار·ما َح َك َم سلطان
الزهر ﻓي اﻷزهار·وما كان ْ
ت سيّئات المق ّربين حسنات
اﻷبرار·وسلّم ﺗسليما كثيرا.
فصل أ ّما بعد ﻓ ّ
إن للعقول ح ّدا ﺗقف عنده ِم ْن حيث ما هي مف ّكرة
ﻻ ِم ْن حيث ما هي قابلة .ﻓما لها ﻻ ﺗقف عند ح ّدها؟ ﻓما هلك
امرؤ ع َرف ق ْد َره.
مسألة ][١
أيّة ُمناسبة بين الح ّق سبحانه الواجب الوجود بذاﺗه وبين ال ُم ْم ِكن
و ْ
إن كان واجبا به عند َم ْن يقول بذلك ِم ْن القائلين باقﺗضاء ذلك
ﺂخذها
للذات) (5أو القائلين باقﺗضاء ذلك للعلم) (6السابق بكونه؟ و َم ِ
) (1م :ﺗكون
) (2م- :
) (3م :مك ّ ِور
) (4ل :غير
) (5ج ،ر ،ل :الذات
) (6ر ،ل :العلم
3
166
167
Edizione critica araba del Kitāb al-maʻrifa di Ibn ʿArabī...
الفكريّة إنّما ﺗقوم وﺗﺻ ّﺢ بالبراهين الوجوديّة وهي)” (1إ ّن”) (2وﻻ
)(4
ب ّد بين) (3الدليل والمدلول والبرهان والمبَ ْر َهن عليه ِم ْن َو ْج ٍه به
يكون الﺗعلّق له ﺗعلّق بالدليل وﺗعلّق بالمدلول ولو ﻻ ذلك ال َو ْجه ما
وﺻل دا ﱞل) (5إلى مدلول دليله أبدا ﻓﻼ يﺻ ّﺢ أ ْن يجﺗمع الح ّق
)(6
والخلق ﻓي َو ْج ٍه أبدا ِم ْن حيث الذات لكن ِم ْن حيث ّ
أن هذه
الذات منعوﺗة باﻷلوهيّة) (7ﻓهذا علم) (8آخر ﺗسﺗق ّل) (9العقول بإدراكه
ي ﻓك ّل معقول عندنا يكون
ﻻ يحﺗاج ﻓي ذلك إلى كشف بﺻر ّ
موجودا يمكن أ ْن يﺗق ّدم) (10العلم به ِم ْن حيث ]الدليل على شهوده
)(13
إﻻ الح ّق سبحانه) (11ﻓإ ّن شهوده يﺗق ّدم) (12على العلم به ِم ْن حيث[
الذات ﻻ ِم ْن حيث اﻷلوهيّة) (14ﻓإ ّن اﻹلهيّة ﻓي هذا الحكم مناقضة
َف والذات
للذات ﻓي حكم ﺗعلّق العلم ﻓاﻷلوهيّة) (15ﺗ ُ ْعقَ ُل وﻻ ﺗ ُ ْكش ُ
َف وﻻ ﺗ ُ ْعقَ ُل وهذا البَ ْحر بَ ْحر ﻻ ساحل له َم ْن وقع ﻓيه ﻻ
ﺗ ُ ْكش ُ
)(18
يمكن أ ْن يسبﺢ) (16ﻓيه ﻓإنّه) (17بَ ْحر الهﻼك للبﺻائر بالذات ﻓﻼ
) (1ج ،ر ،ل + :براهين
) (2ج ،لٍّ :
أن
) (3م :مِن
) (4ل ،م- :
) (5ف :ذلك
) (6ر :هذا
) (7ف ،م :باﻹلهيّة
) (8مُ :حكم
) (9ل :يسﺗق ّل
) (10م + :على
) (11ل- :
) (12ج ،ر ،لُ :مﺗقدّم
) (13ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (14ف ،م :اﻹلهيّة
) (15ر ،ف ،م :ﻓاﻹلهيّة
) (16م :يسبّﺢ
) (17مِ :ﻷنّه
) (18ر :وﻻ
4
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ISSN: 2341-1368
El Azufre Rojo XII (2024), 164-213
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168
Maurizio Marconi
سبيل إلى الخوض ﻓيه وكم ِم ْن مﺗخيّل ِم ﱠم ْن ي ّدعي العقل الرﺻين
ِم ْن العلماء القدماء يظ ّن أنّه يسبﺢ) (1ﻓي هذا البَ ْحر .وقد عاينّا ِم ْنهم
)(2
جماعة على هذا المذهب ِم ْن اﻷشا ِع َرة بمدينة ﻓاس وهو يسبﺢ
ﻓي بَ ْحر وجوده ﻷنّه ُمﺗر ّدد بفكره بين السلب واﻹثبات ﻓاﻹثبات
راجع إليه ﻷنّه) (3ما أثبت) (4إﻻ ما هو عليه ﻓي نفسه ﻓفي نفسه
يﺗكلّم وعلي عينه يد ّل ويبرهن والح ّق وراء ذلك كلّه والسلب
راجع إلى العَ َدم وال َع َدم نفي اﻹثبات ﻓما حﺻل لهذا ال ُمف ّكر
ال ُمﺗر ّدد بين السلب واﻻضاﻓات ِم ْن العلم با� شىء هيهات ﻓزنا
وخسر المبطلون.
مسألة ][٢
)(5
أنّى للمقيﱠد بمعرﻓة ال ُمطلَق وذاﺗ ُه ﻻ ﺗقﺗضيه) (6وﻻ رائحة له ِم ْنه؟
وكيف لل ُم ْم ِكن أ ْن يﺻل إلى معرﻓة الواجب بالذات وما ِم ْن َو ْج ٍه
لل ُم ْم ِكن إﻻ ويجوز عليه العَ َدم وال ُدثور؟ ﻓلو جمع بين الح ّق
الواجب لذاﺗه وبين العالَم َو ْجهٌ لجاز على الح ّق ما جاز على
العالَم ِم ْن ذلك ال َو ْجه ِم ْن ال ُدثور وهذا ُمحال ،ﻓإثبات َو ْج ٍه جامع
بين الح ّق والعالَم ُمحال.
)(7
مسألة ][٣
) (1م :يسبّﺢ
) (2م :يسبّﺢ
) (3ج ،ر ،ل :رجع إليه ﻓإنّه
) (4م :يثبت
) (5ف ،م- :
) (6ل :ﻓإنّه ﻻ يقﺗضيه
) (7م + :مسألة
5
169
Edizione critica araba del Kitāb al-maʻrifa di Ibn ʿArabī...
لكنّي أقول :إ ّن لﻺلهيّة أحكاما وإ ْن كانت ُحكما .وﻓى ﺻ َور) (1هذه
اﻷحكام يقع الﺗجلّي ﻓي الدار اﻵخرة حيثما كان ْ
ت ﻓأقول بال ُحكم
ي لكنّي ﻻ أقول باﻻخﺗيار ﻓإ ّن الخطاب باﻻخﺗيار للﺗوﺻيل
اﻹراد ّ
بما ﺗق ّرر ﻓي العرف لثبوت اﻹيمان كأحاديث الﺗشبيه وأمثالها وإ ْن
كان له َم ْدخل ﺻحيﺢ ِم ْن َو ْج ٍه كما ذكرنا لكن ﻻ يقﺗضي ذلك ما
ﺻ َدده.
نحن بِ َ
مسألة ][٤
ي »إ ّن ﷲ كان وﻻ شىء
ﻓأقول على ما أعطاه الكش ُ
ف اﻻعﺗﺻام ّ
معه وهو اﻵن على ما عليه كان« ﻓي ال ُحكم واﻵن وكان أمران
عائدان علينا إذ بنا ظهرا وأمثالهما وقد انﺗف ْ
ت المناسبة بظهور
ُحكم واحد عليه ِم ْن َو ْجهين مخﺗلفين.
ت البﺻائ َر عن
يا واهب ال َع ْقل أعمي َ
َم َدارك الكشف) (2ﻓارﺗ ّد ْ
ت على العَ ِقب
ت أﻓكا َرها وأﺗ ْ
ت ﺗرك ْ
إ ْن أنﺻف ْ
ت
)(3
ﻓقيرة ﺗسﺗم ّد ال ِع ْل َم باﻷدب
)(4
س ِجيﱠﺗ ُه
ﻓان َ
ﻓَ ْيضا ً على قابل ٍ
)(5
زكيّة ِم ْن ضروب الش ّك وال َر ْيب
قام ْ
ت على قَ َدم اﻹجﻼل آ ِخذَة
جواه َر ال ِع ْلم ﻓي ُح ّق ِمن الذهب
ي إذ بﺻيرﺗها
وأ ْخذُها بﺻر ّ
) (1م :ﺻورة
) (2ج ،ر ،ل :ال َع ْقل
) (3ل :واﻷدب
) (4ف :ش َِجيﱠﺗُه
5
والريَب؛ م :غير واضﺢ
) ( لِ :
6
ISSN: 2341-1368
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El Azufre Rojo XII (2024), 164-213
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Maurizio Marconi
مسجونة) (1الذات ﻓي بيت ِمن اللهب
ﻓما لها ﻓي وجود ال ّ
حق ُم ْعﺗَ َم ٌد
ِس َوى الﺗعلّل بالع ّﻼت والسلب
لَ ِك ْن لها ال ُح ْك ُم بالﺗمثيل) (3ي ْعضدها
س باﻹرﻓاد والع َ
طب
عوالم ال ِح ّ
)(2
والمقُول عليه »كان ﷲ وﻻ شىء معه« إنّما هي اﻷلوهيّة ﻻ
الذات ِم ْن حيث وجودها ﻓحسب ﻓﺗحقّق .وك ّل ُح ْكم يثبت ﻓي باب
العلم اﻹلهي للذات إنّما هو ب ُح ْكم اﻷلوهيّة وهي أحكام كثيرة هي
سب وإضاﻓات وسلوب ﺗرجع إلى َع ْين واحدة لم ﺗﺗع ّدد ِم ْن حيث
نِ َ
اﻹ ِنّيّة وال ُه ِويّة وإنّما ﺗﺗع ّدد ِم ْن حيث الحقائق اﻹمكانيّة والفَ ْهوانيّة
سبا ﻻ حقيقة
ﻓالكثرة ﻓي العالَم ُح ْكما و َع ْينا وهناك ُح ْكما ﻻ َ
ع ْينا ونَ َ
وهنا زلّ ْ
ت قدم) (4طائفة ِمن اﻹسﻼميّين حيث َح َكمو ِب َم ْن) (5يقبل
الﺗشبيه على َم ْن ﻻ يقبل الﺗشبيه) (6واعﺗمدوا على ما ﺗحقّقوه ِمن
اﻷمور الجامعة) (7والرابطة كالدليل والمدلول والحقيقة والمحقّق
والعلّة والشرط وهذا ﻻ يليق بالذات لَ ِك ْن ﺗقبله) (8اﻷلوهيّة ِم ْن َو ْجه
ت طائفة َو ْجه القبول والﺗزم ْ
وﺗر ّده ِم ْن َو ْجه ﻓالﺗزم ْ
ت طائفة
أخرى َو ْجه الر ّد ووقع الخﻼف بينهما.
وقال ك ّل واحد ِمن الفريقين ِببُ ْ
طﻼن مذهب ﺻاحبه واﻷلوهيّة
سهم ﻓي دائرة الفكر
ﺗحكم باﻹﺻابة) (9للفريقين وسب ُ
ب اخﺗﻼﻓهم َح ْب ُ
) (1ف ،م :مشجونة؛ ر :مشحونة
) (2ل :اللحب
) (3ر :بالﺗمثّل
) (4ف :أقدام؛ م :وهناك أقدام
) (5مَ :م ْن
) (6فَ :ح َكمو بِ َم ْن ﻻ يقبل الﺗشبيه على َم ْن يقبل الﺗشبيه؛ م :على َم ْن ﻻ يقبله
) (7ل :مِ ن اﻷمر الجامع
) (8ل :ﺗقبل
) (9م :باﻹضاﻓة
7
170
171
Edizione critica araba del Kitāb al-maʻrifa di Ibn ʿArabī...
لم ي ْنزحوا) (1منها إلى المقامات الخارجة عن أطوار العقول وهي
ب العقول الﺗسليم لما يأﺗي به هذان
أطوار الوﻻية) (2والنب ّوة َح ْس ُ
الﺻنفان إ ْن) (3انﺻف ْ
ف الفكر حقّه وﺻحبها الﺗقﺻي ُر
ت وإ ْن لم يو ّ
والعمى ر ّدت اﻷخبار النبويّة) (4والكشوﻓات وألحقﺗْها بالخياﻻت
الفاسدة لمناقضﺗها اﻷدلّة الﺗي قام ْ
ت عند الخﺻم ﻓيما يزعم) (5وهو
المخطﺊ ﻓي كونه اعﺗقد دليﻼ ما ليس بدليل ﻓإ ّن هذه اﻷمور ﻻ
ﺗعارض اﻷدلّة العقليّة البﺗّة لكن ليس ك ّل ما يﺗّخذه العق ُل دليﻼ هو
ي
دليل ﻓي نفس اﻷمر) (6ﻷ ّن غلطه كثير وليس اﻷمر) (7بضرور ّ
ي ﺻلّى ﷲ عليه وسلّم)ِ (8م ْن جملة
ﻓيسﺗوي ﻓيه العقﻼء وهذا النب ّ
العقﻼء بل ِم ْن أج ّل العقﻼء وأكملهم عقﻼ ولم يُ ِح ْل ذلك الذى أﺗى
به دليلُه بل دلّه العق ُل على إمكانه ﻓالﺗسليم أ ْولى ِب َم ْن لم يذق
مدارك الكشف وﻻ ظهر له سلطان ﻓيها ﻓلو أنﺻفوا ِم ْن نفوسهم
وسلّموا لهذين الﺻنفين أحوالَهم لسعدوا ﻓي الدارين واسﺗفادوا
لك ّن الرئاسة منعﺗْهم)ِ (9م ْن ذلك وآخر ما يخرج ِم ْن قلوب
ب الرئاسة.
الﺻ ّديقين ح ﱡ
مسألة ][٥
) (1ر ،ف ،م :يبرحوا
) (2م :عن أطوار اﻷلوهيّة
) (3م :هذا الﺻنفان إذا
) (4م :النب ّوة
) (5م :زعم
) (6ف ،م :هو دليل -
) (7ف ،م- :
) (8م- :
) (9ف :مانعﺗْهم
8
ISSN: 2341-1368
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El Azufre Rojo XII (2024), 164-213
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Maurizio Marconi
ﺻ َر ْ
ت أﻓها ُم أهل) (1الفكر عن
وإذا ث َ َ
بت ما ذكرناه وﺗق ّرر وإ ْن قَ ُ
إدراكه ﻓلنقُ ْل مخاطبا أولياءنا وأﺻحابنا الذين على مدرجﺗنا إ ّن
علومنا غي ُر ُمقﺗَنﺻة ِمن اﻷلفاظ وﻻ ِم ْن أﻓواه الرجال وﻻ ِم ْن
بطون الدﻓاﺗر والطروس بل علو ُمنا عن ﺗجلّيات على القلب عند
غلبة سلطان ال َو ْج ِد وحالة الفناء بالوجود ﻓﺗقوم المعاني مثﻼ
وغير مثل على حسب الحضرة الﺗي يَقَ ُع الﺗن ّزل) (2ﻓيها ﻓ ِم ْنها ما
يَقَ ُع ِم ْن باب ال ُمحادثة) (3و ِم ْنها ما يَقَ ُع ِم ْن باب ال ُمسامرة و ِم ْن باب
ما ي ْنقا ُل و ِم ْن باب ما ﻻ ي ْنقا ُل).(4
مسألة ][٦
ي كلّه ي ْنقا ُل وﺗأخذه العبارة وﺗبسطه) (5غير أنّه قد
والو ْه ُ
ب اﻹله ّ
ت وأ ْم ُر الكﺗْمان ﻓي َو ْق ٍ
يقﺗرن به أ ْم ُر اﻹﻓشاء ﻓي َو ْق ٍ
ت وقد
ب ونحفظ اﻷمانة ونﺗق ّوى
يسلب) (6عنهما ابﺗﻼء ﻓي حقّنا لنلزم اﻷد َ
ﻓي ِع ْلم المواطن الﺗي ﺗوجب اﻹﻓشاء والكﺗْم ]ﻓيغني الﺗحقيق) (7ﻓي
ذلك عن ورود اﻷمر باﻹﻓشاء والكﺗْم[) (8والعلّة ﻓي كون اﻷلوهيّة
ي المألوف) (11وﻻ ب ّد ِم ْن
ﺗ ْنقا ُل ﻷنّها)ُ (9ح ْك ٌم ُمقﺗَ ٌ
نص) (10بالدليل الكون ّ
)(1
َو ْجه جامع يربط الدليل بمدلوله) (12ﻓ ِم ْن هناك ﺻ ّﺢ أ ْن ي ْنقال
) (1م- :
الﺗبرك
) (2م:
ّ
) (3م :ال ُمجاذبة
) (4م :وما ﻻ ينقال
) (5ج :وﺗنبسطه
) (6ف :يسكتُ ؛ م :نسكتُ
) (7ف ،ل :الﺗحقّق
) (8ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (9م :ي ْنقا ُل ﻷنّه
) (10م :مقﺗض
) (11ف ،م :المألوه
) (12ف :الدليل بالمدلول؛ م :بين الدليل والمدلولة
9
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ي ﻻ ي ْنقا ُل البﺗّة) (2لك ْن يُ ْش َه ُد وإذا
ي والﺗجلّي الذاﺗ ّ
الﺗجلّي اﻹله ّ
ﺻة وليس ﻓي الكون طريق
ض ِبتُ وﻻ يشهده إﻻ الخا ّ
شوهد ﻻ َي ْن َ
)(5
عن اﻹ ْدراك) (3بال ِسعايات) (4لما ذكرنا
اليه ينال به ﻓإنّه يﺗعالى َ
ِمن اﻻرﺗباط ﻓهو اخﺗﺻاص مج ّرد وليس جزاء وهو الزيادة على
ال ُح ْسنى.
مسألة ][٧
ت عليه ﻓي ُكﺗ ُبنا أو ُكﺗ ُب أﺻحابنا
بت ما ذكرناه ﻓكلّما وقف َ
وإذا ث َ َ
ِم ّما يجري هذا المجرى ﻓهو ِم ّما ذكرناه ﻓما دون ﻓﻼ ﺗطمع ﻓيما
ﻻ مطمع) (6ﻓيه ﻓإ ّن حجاب الع ّزة أحمى وهو بَ ْحر العمىِ .من هذا
البَ ْحر اﺗ ّﺻفنا بأوﺻاف الربوبيّة ِمن القدرة والقهر والرأﻓة
والرحمة) (7وجميع اﻷسماء الﺗي يﺗخلّق) (8بها وهي ّ
حق اﻷلوهيّة
كما اﺗ ّﺻفت اﻷلوهيةُ ِمن هذا البَ ْحر بما هو ّ
حق لنا ِمن الﺗع ّجب
والﺗبشبش والضحك والفرح والمعيّة واﻷينيّة) (9وجميع) (10النعوت
ت ﻓي ﺗخليص ذاﺗك ِمن يد حجابك وﺗحريرها ِمن
الكونيّة ﻓإ ْن سعي َ
ر ّق الكون ا ّ
ت على الحكمة اﻹلهيّة الﺗي لها) (11قَبِل) (12هذه
طلع َ
سه ﻓي ُكﺗ ُبه وعلى أ ْل ِسنَة سفرائه
اﻷوﺻاف الﺗي وﺻف بها ن ْف َ
) (1ج ،ل :هناك ؛ ف :يقال
) (2ف- :
) (3ف ،مْ :
أن يُدْرك
) (4م :بالسعات
) (5ف ،م :ذكرناه
) (6م :يط َمع
) (7ج ،ر :والرحمة والرأﻓة
) (8م :ﺗﺗخلّق
) (9ج ،ر :واﻷزليّة
) (10ج ،ر :وجمع
) (11ر :بها
) (12م :مثل
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ورسله عليهم الﺻﻼة والسﻼم) (1وعلى) (2الحكمة الﺗي لها) (3قَ ِبلنا
)(5
هذه اﻷوﺻاف الربّانيّة الﺗي أوﺻفنا) (4بها ووجدناها بما لحق
ي أو
ي أو مجاز ّ
ي وذاﺗ ّ
ﻓي ذواﺗنا وهل القبول ِلما ذكرناه حقيق ّ
ي؟
َ
ي) (6أو ُح ْكم ّ
ي و ِحلم ّ
ع َرض ّ
مسألة ][٨
انظ ْر وﻓّقك ﷲ َمن أردﺗ َه لَ ْم ﺗﺻل) (7إليه إﻻ به و َمن أراد أ ْن يﺻل
إليك لَ ْم يﺻل) (8إﻻ بك ﻓانظ ْر الباعث الداعى لنزولك عليه أو
نزوله عليك هو معد ُن الحكمة الموجبة عين المناسبة بينك وبينه
وانظ ْر هل يﺻ ّﺢ هذا ﻓي الحضرة الذاﺗيّة ﺗجد ذلك ُمحاﻻ.
مسألة ][٩
اﻻﻓﺗقار موجب) (9النزول بﻼ ش ّك وﻻ ريب واﻻﻓﺗقار على الذات
ُمحال ﻓالنزول)ُ (10محال ولنَ ْق ِبض ال ِعنان عن) (11ب ْسط هذا ال ُم ْد َرك
ﻓإنّه بَ ْحر ُم ْه ِلك وإ ْن كانت سواحله بادية لك ْن َم ْوجه عظيم ودوابّه
مؤذية وسفينﺗه ﻻ ﺗقوم ل َم ْوجه وريحه زعزع ﻻ سكون لها ﻻ
ﺗنفع) (12ﻓيه اﻻسﺗغاثة) (13وﻻ ﺗنفع) (1ﻓيه اﻹقالة لكن الغريق ﻓيه ناج
) (1ج ،ر ،ل :عليهم السﻼم
) (2ج ،ر ،ل :على
) (3ر :بها
) (4ف ،م :وﺻفنا
) (5ف ،م :نحن
6
ي
) ( ف ،م :وحِ كم ّ
) (7م :ﺗﺗ ّﺻل
) (8م + :إليك
) (9رْ :
مِن حيث
) (10ف :والنزول
) (11ف :على
) (12ف ،م :ينفع
) (13ر ،م :اﻻسﺗعانة
11
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سعيد والناظر إليه ِم ْن ِسيفه ال ُم ْش ِفق عليه ِم ْن ه َْوله ناج محروم
وهم اﻷكثرون ﻓالمؤمنون كثيرون والعاملون الﺻالحات قليلون
ي
هذا وﻓّقكم ﷲ) (2وقد ذكرنا طرﻓا ِم ّما ﺗسﺗحقّه الذات وال ُح ْكم اﻹله ّ
وﻓرقنا بينهما بالوجوه الﺗي) (3ﺗقﺗضيه ك ّل حضرة منها.
مسألة ][١٠
المﺗو ّجه على إيجاد ك ّل ما سوى ﷲ ﺗعالى) (4إ ّنما هي) (5اﻹلهيّة
وأحكا ُمها ونسبها وإضاﻓاﺗها المعبّر عنها باﻻسماء والﺻفات
وهي الﺗي اسﺗدعت اﻵثار ووجود ك ّل ما سواها إذ قاهر بﻼ
مقهور وقادر بﻼ مقدور وراحم بﻼ مرحوم وخالق بﻼ مخلوق
إلى جميع اﻻسماء اﻻضاﻓيّة ﻻ يﺻ ّﺢ ْ
بل ]ﻻ ب ّد ِمنه ﺻﻼحيّةً أو
ﻓ ْعﻼ ﻓالمقهور إذا كان معدوما والمرحوم) (7ﻓهو بالﺻﻼحيّة[)ِ (8من
حيث اﻹمكان مقهور ﻓالقاهر بالﺻﻼحيّة كذلك قاهر ﻓهو حكم
اﻷلوهيّة بالﺻﻼحيّة ﻻ بالفعل وإن لم يﺗﺻ ّور البينيّة) (9بين ال ّ
حق
)(11
والموجود) (10اﻷ ّول ﻓهي ﺗﺗﺻور ﻓي وجود اﻷجسام وما ﺗحمله
ِمن المعاني بينها وبينها ﻻ بين ال ّ
حق وبينها لوجوه قد ذكرها
الناس ﻻ نحﺗاج إلى ذكرها لﺗدا ُو ِلها بين أهل هذا الشأن والوﺻف
)(6
) (1ف ،م :ينفع
) (2مّ + :
عز وج ّل
) (3م :بالوجه الذي
) (4م- :
) (5ش ،ف ،م :هو
) (6ف ،م :اﻷلوهيّة
) (7م :أو المرحوم
) (8ش ،ف ،بين قوسين معقوﻓين :ﻷنّه مِ نه ﺻﻼحيّة
) (9ج :النسبة؛ ر :غير واضﺢ
) (10ج ،ر :والوجود
) (11م :اﻷجساد وما يحمله
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ص العا ّم لجميع) (1الموجودات كونها قادرة وﺗعلّق حكم القادر
الخا ّ
بالمقدور ﻻ يعلم البﺗ ّة ﻻ كشفا وﻻ بالدليل إذ القدرة الحادثة عند
س ِل َم) (2نظ ُره) (3ﻓي إثباﺗها ﻻ أثر لها ﻓﻼ ﺗعلّق لها ﻓ ِمن
ُمثْبِﺗها ِم ّمن َ
أين له) (4معرﻓة الﺗعلّق وكذلك الكشف وما عدا هذا الوﺻف
ص الذي به وقع اﻻمﺗياز عند المحقّقين ِمنّا بين ال ّ
حق والخلق
الخا ّ
ﻓ ُم ْد َرك بالدليل والكشف).(5
مسألة ][١١
ﻓأ ّول موجو ٍد َ
س ﱠمى
س ﱠمى العق ُل اﻷ ّول) (6ويُ َ
ظ َه َر مقيّد ﻓقير موجو ٌد يُ َ
)(8
س ﱠمى العرش
س ﱠمى العد ُل ويُ َ
س ﱠمى القلم[) (7ويُ َ
الروح الكلّي ]ويُ َ
س ﱠمى ال ّ
س ﱠمى روح
س ﱠمى الحقيقة المح ﱠمديّة ويُ َ
حق المخلوق به ويُ َ
وي ُ َ
س ﱠمى ك ّل شيء) (9وله أسماء
س ﱠمى اﻹمام المبين ويُ َ
اﻷرواح ويُ َ
كثيرة باعﺗبار ما ﻓيه ِمن الوجوه وهو على نﺻف الﺻورة
)(10
المعلومة عندنا سمعا وكشفا ﻓي َو ْجه وعلى الﺻورة ﻓي َو ْجه
آخر على حسب ما يقع ﺗجلّيه ﻷ ّن العالَم كلّه على الﺻورة
واﻹنسان ِمن العالَم على ﺻورة العالَم ﻓهو على الﺻورة
والروحانيّات أقوى على الكمال ِمن عالَم اﻷجسام ﻻسﺗعدادهم
) (1م :بجميع
) (2م :أسْلم
) (3ج ،ر ،ل + :إﻻ
) (4ش- :؛ م :لها
) (5ش :وبالكشف
) (6ج ،ر ،ش ،ل ،م- :
) (7ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ج ،ر ،ل
8
س ﱠمى العد ُل
س ﱠمى العق ُل ويُ َ
) ( م :يُ َ
) (9م :اﻹمام ال ُمنير ك ّل شيء
) (10ف :وكشفا وﻓي وجه على الﺻورة وﻓي وجه
13
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اﻷكمل ولهذا يرغب) (1البشر ﻓي ﺗحﺻيل الق ّوة الروحانيّة بالطبع
ﻓ ِمنهم َم ْن وﺻل ﻓكمل) (2و ِمنهم َم ْن لم يﺻل لموانع عرضيّة
وأﺻليّة ﻓي هذه الدار وأ ّما ﻓي الدار اﻵخرة ﻓالك ّل يﺻل إليها
ويقع اﻻمﺗياز بينهم) (3بأمور أخر ﺗرجع إلى الﺻ َور الﺗي يدخلون
ﻓيها.
ﻓل ّما أوجد) (4هذا الموجود اﻷ ّول َ
ظ َه َر له ِمن الوجوه إلى الحضرة
اﻹلهيّة ثلثمائة وسﺗ ّون)َ (5و ْجها ﻓأﻓاض ال ّ
حق ﺗعالى عليه ِمن ِع ْلمه
على قدر ما أوجده عليه)ِ (6من اﻻسﺗعداد للقبول ﻓكان) (7قبوله سﺗّة
وأربعين ألف ألف نوع وسﺗ ّمائة ألف نوع وسﺗّة وخمسين ألف
نوع ﻓظهر ْ
ت لهذا العقل أحكام بعددها) (8ﻻ غير ونَش ََر ِمنها ﻓي
ك ّل عالم بما يسﺗ ّ
حق ن ْشر إﻓاضة ﻻ ن ْشر اخﺗيار ﻓإ ّن وجوهه
مﺻروﻓة إلى ُموجده والعالم يسﺗم ّدون)ِ (9من ذاﺗه بحسب قواهم
كقبول عالم اﻷكوان لنور الشمس ] ِمن غير إرادة الشمس[) (10ﻓي
ي وذلك
ي والفيض اﻹراد ّ
ذلك وهذا الفرق) (11بين الفيض الذاﺗ ّ
راجع لنفس المفيض) .(12أﻻ ﺗرون إلى ﻓيض العا ِلم كﻼمه على
ي ﻷ ّن له اﻹمساك عنه ﻓإذا ظهر عين الكﻼم ﻓي
اﻷسماع إراد ّ
) (1ف :نَزَ َع ْ
ت
) (2م- :
) (3م- :
) (4م :وجد
) (5ف :وسﺗ ّين
) (6م- :
) (7ف :وكان
) (8م :ﺗعددها
) (9ج ،ر ،ش ،لُ :مسﺗمدّون
) (10ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (11ج ،ر ،ل :هذا هو الفرق
) (12ر :الفيض
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ي ﻓﺗحقّق هذا ﻓهو هنا
ي ﻻ إراد ّ
الوجود ﻓفيضه على اﻷسماع ذاﺗ ّ
كذلك.
ﻓالجمع بين الفيضين هكذا يكون ﻓﻼحظ ْ
ت طائفة ﻓيض المفاض
ت طائفة ﻓيض المفيض ﻓقال ْ
ي وﻻحظ ْ
ﻓقال ْ
ت
ت بالفيض الذاﺗ ّ
)(1
ي ﻓك ّل واحد يُخ ِ ّ
ﺻ ّ ِوب
َطﺊ ﺻاح َبه واﻹلهيّة ﺗ ُ َ
بالفيض اﻹراد ّ
قو َل ك ّل طائفة.
ول ّما ظهر هذا ال ّ
حق المخلوق به السموات واﻷرض الذى هو
لوح) (2اﻷلوهيّة) (3وقلمها اﻷعلى باليمين اﻷقدس الجارى بالكائنات
ي المخﺻوص بإضاﻓة الﺗشريف الفيّاض
رأس عالم اﻷ ْمر الربّان ّ
الذى ﻻ يقبل حقيقﺗه اﻻخﺗيارات واﻷعراض قاب َل الﺗح ّوﻻت لكنّه
ﻻ يقبل اﻷعراض ليس بما ّدة وﻻ يقبلها ﺻدر ْ
ت عنه أنوا ٌر
شريفة لطيفة أودعها بضرب ِمن اﻹقبال أرواحا ﺗناسبها ﻓي
اللطاﻓة والشرف ﻓكان المﻸ اﻷعلى عالم اﻷ ْمر والﺗسخير ولكن
ي
بعد إيجاد النفس وﺗو ّجهها عليه بضرب ِمن اﻻلﺗحام اﻹله ّ
ي
واﻹقبال الربّان ّ
مسألة ][١٢
ول ّما قَ ِب َل هذا العد ُل ما ﻻ يﺗناهى ِمن العلوم قَبوﻻ ذاﺗيّا َ
ظ َه َر
ب ع ّما يجب عليه ِمن اﻻﻓﺗقار للحضرة
بﺻورة ال ِغنَى ﻓان َح َج َ
ي ﻻ يدخلها للذات الﺗي ﺗقﺗضي) (4ذلك وب ُح ْكم
اﻹلهيّة ﻓإ ّن الغَنِ ّ
ع ْ
س ْل َ
الغ ْيرة ﻓاشﺗغل بالنفس اشﺗغال ﺗع ّ
ظمى
طن ٍة ُ
ي و َ
ش ٍ
ق ملك ّ
ﺗﺻور
) (1ج ،ل:
ّ
) (2ج ،ر ،ل- :
) (3ج ،ر ،ل ،م :اﻹلهيّة
) (4ج ،ر ،ل :نقيض
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ي كما له قبول
ي وﻓي ٌ
ض إراد ّ
ومملك ٍة ُك ْبرى ولهذا العقل ﻓيض ذاﺗ ّ
ي وهكذا) (1لك ّل موجود وما ِمن موجود ِمن
ي وقبول إراد ّ
ذاﺗ ّ
س َببه
س َبب إﻻ وله َو ْجهان َو ْجهٌ به يقابل َ
الموجودات كلّها عن َ
سبَبه) (2ع ّزة ﻓي اﻓﺗقاره اليه ِمن ذلك ال َو ْجه
ويأخذ عنه ويظهر ل َ
و َو ْجهٌ آخر يقابل به بارئه ع ّز وج ّل ﻓﺗارة ً ]ﺗ َ ِرد عليه اﻷحكا ُم
سبَبه وعلى يديه وﺗارة ً[) (3يدعوه ِمن ال َو ْجه
اﻹلهيّة ِمن طريق َ
سبَب عليه
ص به ]ﻓإذا دعاه من ال َو ْجه الخا ّ
الخا ّ
ص به[) (4لم يبق لل َ
سلطان وﻻ يعرف أين ذهب ﻓيَ ْحكم عليه الذ ّل واﻻﻓﺗقار إلى ﷲ
س ﷲ) (7سبحانه) (8ودعاها
ﺗعالى) (5ﻓيكون له الﺗجلّى ﻓقبض) (6النف َ
ي وﻻ
ِمن ال َو ْجه الخا ّ
ص ﻓفَقَ َدها العق ُل ِمن حيث الفيض اﻹراد ّ
ي ﻓرجع العقل ﻓقيرا إلى
ي إﻻ القبول) (9اﻹراد ّ
يقبل الفيض اﻹراد ّ
ُموجده ﻓوجد الباب قد ُ
ص به ﻓوجد
غ ِلق دونه ِمن حيث اﻻسم الخا ّ
اﻻسم الق ﱡدوس قد حكمه ال ّ
حق عليه ﻓدخل ﺗحت سلطانه حﺗّى
أظهر أثره ﻓيه ﻓل ّما حﻼه) (10عند ذلك دخل وخدم بساط الحضرة
واﻓﺗقر وهذا) (11كان ال ُمراد ول ّما كان لك ّل موجود ِم ّما سوى ال ّ
حق
ﺗعالى َو ْجه اليه سبحانه ﺻ ّﺢ له أ ْن يﺗ ّﺻف بالفقر وال ِغنَى ﻓبالفقر
) (1ج ،ل :هذا هي؛ ر :هذا
) (2ف :لنفسه
) (3ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (4ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ر
) (5م :ع ّز وج ّل
) (6ر ،ل :بفيض
) (7ج ،ر ،ل :إليه
) (8ج ،ر ،ل :ﺗعالى
) (9ف :القول
) (10ف :أحﻼه؛ ر :خﻼه
) (11ف :هذا
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إذا ﺻرف َو ْجهه إليه) (1وبال ِغنَى إذا ﺻرف َو ْجهه إلى الكون وهو
مﺗحقّق ب َو ْجه ال ّ
حق ِمنه ومﺗى غفل عن الﺗحقّق بذلك ال َو ْجه
وشهود) (2ذلك العين لم يكن لل ِغنَى إليه طريق وكان ﻓقيرا محضا.
مسألة ][١٣
ي ظهر ْ
ت اﻵثار عن الموجودات بأسرها
و ِمن ذلك ال َو ْجه الخف ّ
عل ّوها وسفلها بسيطها ومر ّكبها حيوانها ونباﺗها ومعدنها ث ّم
اخﺗلف ْ
ت) (3أنواع الﺗأثيرات ﻓ ِمنها أثر يقﺗرن به إرادة وعزم ونيّة
و ِمنها أثر يعطيه) (4ذات المؤث ّر ﻻ يقﺗرن معه إرادة كﺗأثير اﻷدوية
ضة وشبه) (5ذلك.
ال ُم ْس ِهلة والقابِ َ
و ِمنها ما يكون أثره حسيّا ون ْفسيّا و ِمنها آثار ﺗكون) (6ﻓي النفس
] ْ
سيّة ﻓﺗلك الحركة ِمن أثر
ﻓإن اسﺗدعى ذلك اﻷثر حركة ِح ّ
الن ْفس[) (7لقيام أثر آخر موجود ﻓيها كشخص أبﺻر ﻓي َم ْد َر َجﺗه
دينارا ﻓيعلم) (8أ ّن للدينار أثرا ﻓي ن ْفسه ﻓإ ْن ﺗق ّوى) (9ذلك اﻷثر
س الجس َم ﻷخذه ﻓالحركة اﻷﺻليّة للدينار والبواعث
ح ّركت الن ْف ُ
لذلك ﺗﺗن ّوع ﻓباعث الطبع) (10ﻓي) (11ذلك لنفاسة جوهريّة الدينار
) (1ف- :
) (2م :وشهو
) (3ر :اخﺗلف
) (4ج ،م :ﺗعطيه
) (5ل :وما أشبه
) (6ج :يكون
) (7ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ف ،م
) (8ف :أبﺻر دينارا ﻓاعلم
) (9م :ي ْقوى
) (10ج ،ر ،ل :الطمع
) (11ر- :
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ﺻيّة الذهب وباعث العا ّمة للحاجة إليه ِمن) (1غير ﺗأ ّمل إلى
وخا ّ
الجوهر وبواعث) (2الﺻادقين ِمن الز ّهاد الورعين)ِ (3ل َما عليه ِمن
اسم ﷲ وبواعث المحقّقين لهذه كلّها وزيادة .ول ّما كان ْ
ت هذه
البواعث محلّها النفس كانت الن ْفس ﻓي هذه اﻷمور هي المؤثّرة
ﻓي ذاﺗها لك ْن ﻻ يظهر ﻓيها مثل) (4هذه اﻵثار إﻻ بوجود هذه
اﻷعيان الخارجة.
مسألة ][١٤
وبهذا ال َو ْجه الذي ذكرناه ﻻ يكون أثرا إﻻ لﻸلوهيّة ﻷنّه بذلك
ال َو ْجه ظهر ْ
ت هذه اﻵثار عن اﻷكوان كلّها ﻓي اﻷكوان ﴿ َوقَضى
واح ٌد﴾) (6ﻓلو
َربﱡكَ أ َ ﱠﻻ ت َ ْعبُدُوا إﻻ ِإيﱠاهُ﴾) (5قضاء ﺻحيحا ﴿ َو ِإل ُه ُﻛ ْم ِإلهٌ ِ
)(8
س َريان الدقيق والحجاب العجيب) (7الرقيق والس ّر
ﻻ هذا ال َ
ع ِب َدت اﻷلوهيّةُ ﻓي المﻼئكة والكواكب واﻷﻓﻼك
اﻷخفى ما ُ
واﻷركان والحيوانات والنباﺗات) (9واﻷحجار واﻷناسى إذ اﻷلوهيّة
هي المعبودة ِمن الموجودات ﻓأخطأوا ﻓي اﻹضاﻓة ِمن َو ْج ٍه ﻻ
شقاوة اﻷبد ﻓال ُمحقّق ﺗحقّق) (10ذلك
غير ولك ْن كان ﻓي ذلك ال َو ْجه َ
ال َو ْجه ووقع) (11الخطأ ِمن جهة العقل ﻻ ِمن جهة ال ُح ْكم ﻓإ ّن النظر
) (1ف :مع
) (2ج ،ل :وباعث
) (3ج ،ر ،ل :الوارعين
) (4ر :ﻻ يظهر مِ نها
)] (5اﻹسراء[٢٣ :
)] (6البقرة[١٦٣ :
) (7ج ،ر ،ل- :
) (8ف :والسﺗر
) (9ج ،ر ،ل :والنبات
) (10ج ،ر ،ل :الذي يحقّق
) (11ج ،ر ،ل ،م :ورﻓع
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ي كان ﺗم ّكنُه)ِ (1من هؤﻻء المعبودين أكثر ِمن غيرهم ﻓر َب َ
ط
اﻹله ّ
اﻵثار بهم ﻓظهر ْ
ت عندهم ليض ّل َم ْن يشاء ويهدى َم ْن يشاء
وربﱠما ارﺗفع ْ
ت) (2طائفة عن َم ْد َرج)ِ (3ن ْس َبة اﻷلوهيّة لهم ُمطلقا
ولحظت) (4ال َو ْجه الخفى ﻓقال ْ
ﷲ
ت ﴿ما نَ ْعبُ ُد ُه ْم إﻻ ِليُقَ ِ ّربُونا إلى ِ
ُز ْلفى﴾)] (5ﻓاﺗخذوهم حجبة و ُوزَ راء[) (6نعوذ با� ولكن هي أشبه
ِمن اﻷولى ولو رأ ْ
ت هذه الطائفة هذا ال َو ْجه ِمن أنفسها ما َعبَ َدت
اﻷلوهيّة) (7ﻓي كون خارج عنها بل كان ْ
ت ﺗَ ْعبُ ُد نفسها ولكن أيضا
لﺗحقّقها بها ووقوﻓها مع عجزها وقﺻورها وإﺗْﻼﻓها) (8لم يﺗم ّكن
)(10
ﺻ ْ
ت بعبوديّة ألوهيّة
لها ذلك ولو ﻻح لها) (9ما ذكرناه ما اخﺗ ّ
ﻓي كون ب َع ْينه ومحﺻول ما قلناه ّ
أن اﻷلوهيّة هي المعبودة على
واح ٌد﴾)﴿ (12وقَضى
اﻹطﻼق ﻻ اﻷكوان ولهذا قال)َ ﴿ (11و ِإل ُه ُﻛ ْم ِإلهٌ ِ
ف على
َربﱡكَ أَ ﱠﻻ تَ ْعبُدُوا إِ ﱠﻻ إِيﱠاهُ﴾) (13وقضاؤه غير مردود ﻓ َم ْن)َ (14وقَ َ
)(17
هذه الوجوه اﻹلهيّة ِمن اﻷكوان ﻓما يﺻ ّﺢ) (15أن يﺗعبﱠده) (16كو ٌن
) (1م :يمكنه
) (2ج :ارﺗقع ْ
ت
) (3م :درج
) (4ل :غير واضﺢ
)] (5الزمر[٣ :
) (6ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ر
) (7ج ،ر ،ل :ألوهيّة
) (8ج :وإﻻﻓها؛ ر :واﻷﻓهام؛ ل :غير واضﺢ؛ م :وأﻻمها
) (9ج ،ل- :
) (10ف :بعبودة اﻷلوهيّة
) (11ج ،ر ،ل + :ﺗعالى
)] (12البقرة[١٦٣ :
)] (13اﻹسراء[٢٣ :
) (14ج ،ر ،ل :و َم ْن
) (15ل + :عنده
) (16ج ،ر ،ل :يﺗعبﱠد
) (17ر :كونا
19
182
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Edizione critica araba del Kitāb al-maʻrifa di Ibn ʿArabī...
أﺻﻼ و َم ْن لم َيعرﻓها وﻻ يُشاهدها ﺗعبﱠ َده)َ (1و ْجهُ ال ّ
حق ﻓي الكون
ﻻ الكون) (2وبهذا) (3الق ْدر يُعاقب ويُطلق عليه) (4ا ْس ُم ال ِش ْرك.
مسألة ][١٥
واعلم) (5أنّه ما ِمن معبو ٍد إﻻ ويﺗب ّرأ ِمن الذي َي ْعبُ ُده هنا ِمن حيث
ﻻ يسمع العابد إﻻ ب َخرق العوائد وﻓي) (6الدار اﻵخرة على الكشف
ِين ات ﱡ ِبعُوا ِم َن الﱠذ َ
قال ﺗعالى ﴿ ِإ ْذ تَبَ ﱠرأَ الﱠذ َ
ِين اتﱠ َبعُوا) (8)﴾(7وﺗب ﱡرؤهم
ِمنهم أن يقولوا ما َعبَدوا غي َرك ِمنّا ﻓلم نكن بمعبودين لهم خوﻓا
ﺻ َد ْقﺗم لكنّهم َع َبدونا ﻓيكم
ِمن العقوبة لكنّهم أضاﻓوا ﻓيقال لهم َ
على غير بﺻيرة ﺻحيحة وإن اقﺗضت الحقائق ﻓأخذناهم بال َع َمى
)(9
ﻛان ِفي ه ِذ ِه أَعْمى فَ ُه َو ِفي ْاﻵ ِخ َر ِة أَعْمى وأَ َ
﴿ َو َم ْن َ
س ِبيﻼ﴾
ض ﱡل َ
ﻓهم مﺻروﻓون ﻓي الدنيا واﻵخرة عن هذا الق ْدر ِمن ال ِعلم ث ّم
إ ّن) (10أ ْخذَ ال ّ
حق) (11لهم ِمن باب مظالم العباد ﻻﻓﺗرائهم على
)(12
المخلوقين بنِ ْسبَة اﻷلوهيّة لهم ﻓكان أخ ُده عدﻻ إقامةً ل ّ
حق الغير
وعقوبةً للجاهل حيث لم يسﺗبﺻر واﺗّبع هواه ﻓإ ّن ﷲ) (13قد ندبنا
إلى العفو ﻓيما يرجع الينا ِمن الحقوق وأن ﻻ نعفو ﻓيما يرجع إلى
) (1ر :ﺗع ﱠب َد
) (2م :اﻷكوان
) (3ج ،ر ،ل :بهذا
) (4ج ،ر ،ل :عليهم
) (5ف- :؛ م :ﻓاعلم
) (6م :ﻓي
7
اب
ور ُأوا العَذَ َ
) ( ف ،مَ + :
)] (8البقرة[١٦٦ :
)] (9اﻹسراء[٧٢ :
) (10م- :
) (11ج ،ر ،ل + :ﺗعالى
) (12م :أقامه ّ
لحق
) (13ف + :ﺗعالى
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حقّه وهو أولى بهذه الﺻفة ﻓلذلك كان الشرك ِمن) (1مظالم العباد
ﻻ ِمن حقّه الذي يرجع إليه والمعبودين)ِ (2منهم سعيد و ِمنهم شقي
ﻓالسعيد ناج والمثال الذي اﺗ ّخذوه معبودا على ﺻورﺗه) (3يدخل
)(5
سئَلُ َ
ون﴾
سئ َ ُل َ
ع ﱠما يَ ْفعَ ُل و ُه ْم يُ ْ
معهم النا َر ولو ﻻ قوله)﴿ (4ﻻ يُ ْ
عبِ َد ﻓي
ﺻﺗه) (6ما قال) (7ﻓي زوال اﻵثار اﻹلهيّة) (8ع ّمن ُ
لكان ﻓي قِ ّ
ور طوامس.
اﻵخرة ﻓإنّهم) (9ما َع َبدوا إﻻ الفاعل المؤثّر وهنا بُ ُح ٌ
مسألة ][١٦
ﻓإ ّن اﻷلوهيّة ﺗقﺗضي أن يكون ﻓي العالم ذو بﻼء وعاﻓية وإﻻ
ﻓليس زوا ُل المنﺗقم ِمنه ِمن الوجود بأ ْولى ِمن ض ّده ولو بقي ِمن
اﻷسماء اس ٌم ﻻ ُح ْكم له وﻻ أثر لكان ما يقﺗضي له ال ُح ْكم مع ّ
طﻼ
وهذا ُمحال وال ُممكنات) (10كلّها على موازنة اﻷسماء ال ُمؤثّرة
اﻹلهيّة وما عدا هذه اﻷسماء المؤثّرة ِمن أسماء الذات ﻓليس
بأيدينا ِمنها شىء إﻻ ما يرجع إلى السلوب والنعوت وبعض
أسماء الكمال كالبﺻر والسمع ﻓﻼ ﺗعلّق لها بال ُممكنات ِمن حيث
اﻷثر ﻓاعلم) (11ذلك.
) (1ف :عن
) (2ف :والمعبودين
) (3م + :ث ّم
) (4ر ،ف + :ﺗعالى
)] (5اﻷنبياء[٢٣ :
) (6ج ،ر ،ل ،م :قضيّة
) (7ر ،م :مقال
) (8ج ،ل :اﻹلهي
) (9ف :ﻓاﻓهم
) (10ر ،ل :ﻓال ُممكنات
) (11ف :ﻓاﻓهم
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مسألة)[١٧] (1
ت ح ّدها ﻓجعل ْ
ت طو َرها وﺗجاوز ْ
عجبتُ ِمن طائفة ﺗع ّد ْ
سها
ت نف َ
ت أعوذ با� ِمن الﺗشبيه وقال ْ
أعرف با� ِمن ﷲ بنفسه ﻓقال ْ
ت
عوذة
أخرى أعوذ با�)ِ (2من ﺗنزيه يؤ ّدي إلى ﺗعطيل ووقفت ال ُمﺗَ ّ
ِمن الﺗشبيه ﻓلو وﻓّت ال ِع ْل َم حقّه لﺗع ّوذ ْ
ت ِمن ﺗنزيه العبد نفسه
ﺗع ّوذها ِمن الﺗشبيه وسلم ْ
ت قول القائل:
َ
ْت بَ ْع َد ﻓَنَائِ ِه * ﻓَ َكانَ بِﻼ َك ْو ٍن ِﻷَنﱠ َك ُك ْنﺗَهُ
ت ِل َم ْن أ ْبقَي َ
ظ َه ْر َ
ت قول اﻵخر سبحاني وأنا ﷲ وأمثال ذلك هذا و ْ
إن كان ْ
وسلم ْ
ت
طائفةٌ قد كفّرت القائلين هذه) (3اﻷلفاظ وطائفةٌ ﺗأ ّول ْ
ت لهم ذلك كما
ﺗأ ّول ْ
ت أخبار الﺗشبيه ﻓكﻼ ُمنا) (4مع َم ْن ﺗأ ّول أخبار الﺗشبيه وما
ت ِمن الﺗشبيه ث ّم ن ّزه ْ
ﺗأ ّول هذه اﻷلفاظ ﻓإنّها ﺗع ّوذ ْ
ت وﺻرﻓت
اﻷخبار ع ّما ﺗعطيه) (5ظواه ُرها ولم) (6ﺗﺗع ّوذ)ِ (7من) (8الﺗنزيه ﻓي
ّ
حق الخلق وحينئذ كان ْ
ت يثبت ما يليق بال َح َدث بﺻ ْرف ما قالوه
)(9
م ّما يليق بال ّ
حق عندهم إلى ما يناسب الكون إذ اﻷلفاظ قابﻼت
لﺻ َور المعاني ﻓيقبل المعنى واﻹثنين ﻓﺻاعدا وﺗلك اﻷلفاظ
المشﺗركة وليس الﺗنزيه ﻓي هذه المسئلة بأ ْولى ِمن الﺗشبيه عميت
البﺻائر) (10عن إدراك غوامض اﻷسرار وما ﺗعطيه اﻷلوهيّة.
) (1م :عجبتُ
) (2ر :وقال ْ
ت أخرى
) (3ف :بهذه
) (4ر :ﻓكلّمنا
) (5م :يعطيه
6
ولو
) ( رْ :
7
يﺗعوذ
) ( لّ :
) (8ش :عن
) (9ف :قابلة
) (10ش :اﻷبﺻار
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ث ّم ّ
إن العجب ك ّل العجب)ِ (1من هذه الطائفة هرب ْ
ت ِمن الﺗشبيه إلى
الﺗشبيه) (2وجعل ْ
ت ذلك ﺗنزيها ﻓضحك العقﻼء بجهلهم ﻓيما أﺗَ ْوا به
ﻓإنّهم ما عدلوا ِمن الﺗشبيه إﻻ إلى ما ﻓي) (3نفوسهم ِمن المعاني
ال ُم ْحدثة ﻓانﺗقلوا)ِ (4من ظواهرهم إلى معانيهم ال ُم ْحدثة القائمة بهم
)(6
ﻓهربوا ِمن الﺗشبيه بهم ]إلى الﺗشبيه بهم[) (5وس ّموا هذا العدول
إن حملوها على المعاني اﻹلهيّة أو ال ّ
ﺗنزيها ﻓنفوسهم ن ّزهوا ْ
حق
شبّهوا ْ
إن حملوه على المعاني النفسيّة وما لهم قَ َد ٌم يجول ﻓي غير
هذا ﻓلو رجعوا إلى مح ّل الﺗحقيق إذ حرموا الكشف وقالوا ال ّ
حق
ت لنفسه هذه اﻷحكام ﻓي ُكﺗبه وعلى أل ِسنَة ُرسله
سبحانه أثبَ َ
ي ﻻ ﺗُعلَم) (7وهذه
وسفرائه والذات مجهولة عند الخلق كلّهم أ ْ
أحكام للذات) (8عندنا والجهل) (9بال ُح ْكم أقرب ِمن الجهل بالذات إذ
ﻻ) (10ﺗعرف) (11حقيقة نسبة هذا ال ُح ْكم لهذه الذات المحكوم عليها
به حﺗّى ﺗعرف هي ﻓي نفسها وﻻ معرﻓة بها ﻓﻼ معرﻓة بنسبة
اﻷحكام لها) (12وكانوا) (13ﻻ يشبّهون وﻻ يعيّنون ُح ْكم ﺗنزيه بعينه
بل يسلّمون ِع ْلم ذلك ِل َمن وﺻف بها) (14نفسه وهو ﷲ ﺗعالى.
) (1م :ث ّم ّ
إن العجب
) (2م :هرب ْ
ت مِ ن الﺗشبيه
) (3ف :إﻻ إلى
) (4ج ،ر ،ل :ﻓانقلبوا
) (5ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (6م :العدل
) (7ل :يُعلَم
) (8ج ،ر ،ل :الذات
) (9ر ،م :ﻓالجهل
) (10ج ،ر ،ل :وﻻ
) (11ج ،م :يعرف
) (12ج ،ر ،ل ،م :إليها
) (13ش ،م :ﻓكانوا
) (14م :وﺻفه
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ﻓقال ْ
ت) (1ما ث ّم إﻻ ما ﺗرى ﻓجعلت العا َلم هو ﷲ وﷲ نفس العالَم
ليس أمر) (2آخر وسببه هذا المشهد لكونهم ما ﺗحقّقوا به) (3ﺗحقّق
)(4
أهله ﻓلو ﺗحقّقوا به ما قالوا بذلك وأثبﺗوا ك ّل ّ
حق ﻓي موطنه
علما وكشفا ﻓاﺗرك ﺗأويل اﻷخبار الواردة بالﺗشبيه ِل َمن وﺻف بها
سه إذا لم ﺗكن ِمن أهل هذا) (5الكشف والﺗحقيق وﻻ ﺗحمله عليك
نف َ
ت
أﺻﻼ ﻓإنّك ﺗبطل) (6أﺻلك حيث ﺗعﺗقد) (7نفي الﺗشبيه وما) (8زل َ
ت الﺗشبيه بالمخلوق ال ُم َر ّكب وأثبﺗﱠه بالمخلوق
ِمنه ولكن ﺗرك َ
المعقول وأنّى لل ُم ْم ِكن أن يجﺗمع مع الواجب بالذات ﻓي ُح ْك ٍم أبدا.
مسألة ][١٨
ض ْربين ُم ْد ِرك يعلم) (9وله ق ّوة
ال ُم ْد ِرك وال ُم ْد َرك كﻼهما على َ
الﺗخيّل ﻓيمسك ﺻ َور ال َم ْرئيّات و ُم ْد ِرك يعلم) (10ﻓقط وليس له ق ّوة
ض ْربين ُم ْد َرك
الﺗخيّل اذ ليس جسما وﻻ ﻓي جسم وال ُم ْد َرك على َ
مقيّ ٌد بﺻورة ﻓهذا يﺗخيّله َم ْن له ق ّوة الﺗخيّل ]ويعلمه َم ْن ليس) (11له
ق ّوة الﺗخيّل[) (12ﻓﻼ يقوم به ِمنه ﺻورة ﻷ ّن حقيقﺗه ﺗأبى ذلك
و ُم ْد َرك ﻻ يمكن أن يﺗخيّل ﻷنّه ﻻ ﺻورة له ولكن يعلم) (13ﻓقط
) (1ل :ﻓقالوا
) (2ج ،ر ،ل :أمرا
) (3م :ﺗحقّقون
) (4ج ،ر ،ل :حقيقة ﻓي موطنها
) (5ج ،ر ،ل ،م- :
) (6ج ،ر ،ل :أﺻﻼ يبطل
) (7م :يعﺗقد
) (8ف :و
) (9ج :بعلم
) (10ج :بعلم
) (11ج ،ر ،ل :ﻻ
) (12ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (13ج :ﺗعلم
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ب العلوم
وك ﱡل مفطو ٍر على العلم الذى ﻻ) (1ﺗعطي) (2حقيقﺗ ُه كس َ
ب ظهر ْ
س بالعادة ﻓيﺗخيّل
ض ْر ٌ
ت َحياﺗ ُه للح ّ
ض ْربين َ
ﻓهو) (4على َ
ب بطن ْ
ت َحياﺗ ُه عن
ض ْر ٌ
وﻻ يكﺗسب) (5علما ِمن طريق ِﻓ ْك ٍر و َ
س بالعادة ﻓﻼ يﺗخيّل البﺗ ّة وما ﻓي الوجود سوى ما ذكرناه
الح ّ
ي ناطق بﺗعظيم ال ّ
حق سبحانه) (6لكن يخﺗلف نطقهم
ﻓالوجود كلّه َح ّ
س ْب ُع
سماواتُ ال ﱠ
س ِبّ ُﺢ) (7لَهُ ال ﱠ
باخﺗﻼف حقائقهم قال ﺗعالى ﴿ت ُ َ
)(8
يه َن﴾ ر ّد على َم ْن يقول
و ْاﻷ َ ْر ُ
يه ﱠن﴾ ﻓقوله ﴿و َم ْن ِف ِ
ض و َم ْن ِف ِ
بحذف المضاف وإقامة المضاف إليه مقامه كأنّه يقول أهل
السموات السبع وأهل اﻷرض ﻓنفي هذا اﻻحﺗمال بقوله ﴿و َم ْن
سئ َ ِل ا ْلقَ ْريَةَ الﱠتِي ُﻛنﱠا فِيها
يه َن﴾ إذ قد ورد مثل ذلك ﻓي قوله ﴿ َوا ْ
فِ ِ
)(10
ير﴾) (9وليس هذا كذلك وقوله عليه السﻼم ﻓي أ ُ ُحد »هذا
وا ْل ِع َ
َجبَل) (11يُ ِحبﱡنا ونُ ِحبﱡه« وقوله »يَ ْش َه ُد للمؤ ِذّن مدى ﺻوﺗه ِمن
َر ْ
ب ويا ِب ٍس« وقوله »ما ِمن دابّة إﻻ وهي ُمﺻي َخة يوم الجمعة
ط ٍ
شفقا)ِ (12من الساعة« وهذه أمور كلّها ﺗقﺗضي العلم وهو مشروط
س وما لم يظهر ﻓما لم
بالحياة لكن كما قلنا بما ظهر ِمنها للح ّ
ي ناطق
ي ﻓالك ّل َح ّ
ي والول ّ
ق) (13العادة للنب ّ
يظهر بالعادة ظهر بخ َْر ِ
)(3
) (1ج ،ر- :
) (2ف :يعطي
) (3ج ،ر :المعلوم
) (4ج ،ف ،م :ﻓهم
) (5ج ،ر :يكسب
) (6ج ،ر ،ل :بﺗعظيم الباري
7
سبِّ ُﺢ
) ( ج ،ل ،م :يُ َ
)] (8اﻹسراء[٤٤ :
)] (9يوسف[٨٢ :
) (10ل- :
) (11ل + :أ ُ ُحد
) (12م :سقفا
) (13م :بالعادة يخرق
27
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ي ﻻ) (3ﺗعلمون
بﺗسبيﺢ ﷲ وحمده)﴿ (1لﻛن ﻻ تفقهون﴾) (2أ ْ
﴿تسبيحهم إنّه ﻛان حليما﴾ بإمهال َم ْن ﺗأ ّول) (4هذا القول وﺻرﻓه
إلى غير َو ْجهه ولم يأخذه به ﴿غفورا﴾ بسﺗْ ِره نطقَ هذه
ي.
اﻷﺻناف) (5عن اﻹدراك ال َ
س ْم ِع ّ
مسألة ][١٩
ال ِع ْلم ليس ﺗﺻ ّور المعلوم وﻻ هو المعنى الذى يﺗﺻ ّور المعلوم
إن ما ك ّل معلوم يﺗﺻ ّور ]وﻻ ك ّل عا ِلم يﺗﺻ ّور[) (6ﻓ ّ
ﻓ ّ
إن العا ِلم إذا
ﺗﺻ ّور اﻷشياء الﺗي ِم ْن حقيقﺗها أن) (7يﺗﺻ ّور ﻓليس يﺗﺻ ّورها ِم ْن
كونه عا ِلما ﻓقط بل ِم ْن كونه مﺗخ ِيّﻼ وهي ق ّوة الﺗﺻ ّور ﻓ َمن
ليس ْ
ت له هذه الق ّوة ﻻ يﺗﺻ ّور ما يمكن أن يُﺗﺻ ّور ولكن يُدرك
)(9
وﻻ ك ّل معلوم يﺗﺻ ّور ﻓإنّه َمن) (8ليس ِم ْن حقيقﺗه أن يقبل
الﺻورة ﻓﻼ يﺗﺻ ّور ولكن يُ ْعلم ﻓال ِع ْلم) (10ليس الﺗﺻ ّور على هذا
وهو الﺻحيﺢ.
مسألة ][٢٠
) (1م :بﺗسبيﺢ ﷲ ّ
عز وج ّل وبحمده
)] (2اﻹسراء[٤٤ :
) (3ج- :
4
يﺗأول
) ( لّ :
) (5ف :اﻷﺻنام
) (6ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (7ل + :ﻻ
) (8ل- :
) (9ل :ﺗقبل
) (10ل :بِالعِلم
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ليس لمخلوق) (1قدرة أﺻﻼ عندنا وعند المحقّقين ِمنّا إذ ﻻ ﻓاعل
إﻻ ﷲ ﺗعالى خالق اﻷﻓعال الظاهرة ﻓي العين على أيدي الخلق
وغيرها وذلك أنّه ما اسﺗدللنا على أن كون الباري قادرا) (2إﻻ
بوجود اﻷثر عن) (3هذا الحكم ولم نجد أثرا لمخلوق عقﻼ ﻓ ِم ْن أين
ثبﺗت القدرة ُ الحادثةُ مع انﺗفاء اﻷثر حقيقةً.
مسألة ][٢١
ﻻ حاجة لنا ﻓي إقامة الدليل على إثبات الوحدانيّة ﻓإ ّن المشاهدة
ﺗمنع ِمن ال ِجدال ﻓي ﷲ وﻓي وحدانيّﺗه ولكن قد يُقال للمشرك:
ت عليه ﻓما الدليل على
ت زد َ
نحن وإيّاك ُم ْج َمعون على واحد وأن َ
إثبات الزائد؟ ﻓهو يﺗكلّف) (4الدليل ﻻ نحن.
مسألة ][٢٢
كون الباري ﺗعالى) (5حيّا عا ِلما قادرا إلى غير ذلك ِمن أوﺻاف
الكمال عندنا أحكام للذات) (6أضيف ْ
سلوب ﺻحيحة وﺻف بها
تو ُ
ﻻ ﺗرجع إلى أعيان زائدة على الذات ﻷنّه كامل الذات ﻓ ُمحال
ص ُمحال ﻓالكمال بالزائد
كماله بالزائد ﻓإ ّن ﻓيه نقص الذات والنق ُ
ُمحال.
مسألة ][٢٣
) (1ج ،ر ،ل :للمخلوق
) (2ل- :
) (3ش :على
4
ب
) ( ف + :طل َ
) (5ف- :؛ م :ج ّل وعلى
) (6ج ،ر ،ل :الذات
29
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العين وإن كانت واحدة الذات ﻓلها ﺗعلّقات مﺗع ّددة ﺗﺗن ّوع بﺗن ّوع
المﺗعلّقات حكما ﻓهي) (1عا ِلمة بكذا) (2وقادرة لكذا) (3ومريدة) (4لكذا
وهكذا) (5جميع ما يُنسب اليها ِم ْن أحكام الﺻفات.
مسألة ][٢٤
الﺻفات الذاﺗيّة للموﺻوﻓين هي عينها ﻓهي مقدورة) (6ﻓإن كانت
أحكاما ﺗابعة للموﺻوف ﻻ عين الموﺻوف وﻻ غير الموﺻوف
وﻻ موجودة وﻻ معدومة لكن معلومة ﻓليست بمقدورة) (7كالﺗحيّز
للجوهر وقبوله اﻷعراض) (8والﺗأليف للجسم والطول والعرض
والعُمق له) (9ومثل ذلك.
مسألة ][٢٥
اﻷعيان ِم ْن حيث الجوهر) (10ﻻ ﺗنعدم بعد وجودها أبدا والﺻور
واﻷشكال والمقادير واﻷلوان واﻷكوان) (11أعراض ﻓي عين
الجوهر وهي الﺗي ﺗ ُ ْخلَ ُع على الجوهر على الدوام ولهذا ﻻ ﺗزال
ﻓقيرة على الدوام والباري خالق على الدوام ﻓالكون)ِ (12م ْن حيث
الجوهر ﻻ يفنى وﻻ يﺗب ّدل و ِم ْن حيث الﺻورة ﻓكما) (13ذكرنا.
) (1ر :ﻓهو
) (2ج ،ر ،ل ،م :لكذا
) (3ف :بكذا
) (4م :ومزيدة
) (5م :وهذا
) (6ج ،ر ،ل :معدودة
) (7ر :بمعدودة
) (8ج ،ر ،ل :لﻸعراض
) (9ف- :
) (10ف ،م :الجوهريّة
) (11ف ،م :واﻷكوان واﻷلوان
) (12ل :والكون
) (13م :كما
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مسألة ][٢٦
ليس العا َلم مع الباري ﻓي وجوده وﻻ بينهما بَ ٌ
ون يُ َقد ُﱠر بل هو
ارﺗباط ُم ْم ِكن) (1بواجب ومخلوق بخالق ﻓهو ﻓي الدرجة الثانية ِمن
� ا ْل َمثَ ُل
الوجود والباري ﻓي اﻷ ُولى وليس بينهما رﺗبة مثاليّة)َ ﴿ (2و ِ ﱠ ِ
ْاﻷَعْلى﴾) (3الحيّزان المﺗجاوران) (4للجوهرين ليس واحد ِمنهما ﻓي
)(6
درجة اﻵخر ]وﻻ بينهما ح ِيّز[) (5ﻓيمكن بهذه النسبة يكون
اﻻرﺗباط على الﺗقريب إذ العبارة ﻻ ﺗسع أكثر ِم ْن هذا ﻓي هذه
المسئلة وهذا مذهب ثالث ﻻح بين القدماء واﻷشاعرة ﻓانﺗفى
ال ِقدم) (7عن العالَم ﻓي هذا المذهب) (8وﻻ يقول به القدماء وانﺗفى
ي الذي ﺗق ّدره) (9اﻷشاعرة بين ال ّ
حق والخلق ويثبت
الﺗقدير الوهم ّ
الحدوث واﻻﻓﺗقار وثبت العدم للخلق ﻓي وجود الباري.
مسألة ][٢٧
العرض ينعدم لنفسه ﻓي الزمان الثانى ِم ْن) (10زمان وجوده
ﻓكان) (11ال ّ
حق خالقا على الدوام وﺻ ّﺢ اﻻﻓﺗقار ِمن الجوهر على
الدوام ولو بقى العرض ﻻرﺗفع هذان ال ُح ْكمان وارﺗفاعهما ُمحال
)(12
ﻓبقاء العرض زمانين ُمحال وهذا ِم ْن باب الحقيقة الكشفيّة
) (1م :يمكن
) (2م :مثاله
)] (3النحل[٦٠ :
) (4ف :الحيّز ْين المﺗجاور ْين
) (5ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (6ل :ﻓيكون
) (7ج ،ر ،ل :العدم
) (8ف :عن العالَم -
) (9ف ،م :يقدره
) (10ج ،ل :بعد
) (11ج ،ر ،ل :وكان
) (12م :الكثيفة
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ي أ ّن الفاعل ﻻ يفعل العدم والض ّد ﻻ يُ ْع ِد ُمه ﻷنّه ﻻ
والسياق النظر ّ
يجﺗمع معه وﻷ ّن الض ّد معدوم وانعدام) (1الشرط ﻻ يُ ْع ِد ُمه ﻷ ّن
الكﻼم ﻓيه كالكﻼم ﻓي العرض الذي انعدم ﻓلهذا قلنا) (2ينعدم لنفسه
ويسﺗحيل بقاؤه.
مسألة ][٢٨
ال ّ
حق ﺗعالى يُ ْش َه ُد ِم ْن ك ّل َو ْجه ويُرى إﻻ ِم ْن َو ْجه الف ْعل
ص بالذات ليس ﻓينا ِم ْنه شىء بخﻼف
المناسبة ﻷنّه خا ّ
وإﻻرادة وغير ذلك ِمن اﻷسماء ﻷ ّن حقيقة المشاهدة ِم ْن
نحن ﻻ ِم ْن حيث هو.
لرﻓع
ال ِعلم
حيث
مسألة ][٢٩
ﻻ يﺗم ّكن عندنا معرﻓةُ حال ِمن أحوال) (3ما ﺗقﺗضيه ذات ّما إﻻ
ب إليها ذلك ال ُح ْك ُم
س ُ
بعد معرﻓة ﺗلك الذات حﺗ ّى يُعرف كيف يُ ْن َ
وذات ال ّ
ب) (5إليها ﻻ
س ُ
حق ﺗعالى ﻻ ﺗ ُعلم) (4عندنا ﻓاﻷحكام الﺗي ﺗ ُ ْن َ
)(8
يُعلم)َ (6و ْجهُ النسبة إليها أﺻﻼ) (7كالمعيّة واﻻسﺗواء والنزول
والضحك والﺗبشبش واليد والعين وك ّل ما َح َك َم على نفسه به
ب إليها ولهذا قال عليه
س ُ
وعلى هذا ال ِم ْنوال حقيقةُ اﻹنسان وما يُ ْن َ
السﻼم » َم ْن عرف نفسه) (9عرف ربّه« والنفس بَ ْحر ﻻ ساحل له
) (1م :وإعدام
) (2ل- :
) (3ف :اﻷحوال
) (4ل :يُعلم
) (5م :يُنسب
) (6ج ،ل :ﺗُعلم
) (7ف :أيضا
) (8ج ،ر ،ل- :
) (9ش + :ﻓقد
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ﻓأحالنا ﻓي المعرﻓة علينا ﻓل ّما دخلنا بَ ْحر) (1معرﻓﺗنا بنا غ َِر ْقنا
وما بَ ِر ْحنا نقاسي أمواج ثَبَ ِجه) (3ﻓكرةً وكشفا) (4إلى أن َع َرﻓنا أ ّن
معرﻓﺗنا بنا بَ ْحر ﻻ ساحل له ينﺗهي) (5اليه ﻓننﺗقل) (6إلى معرﻓة
الربوبيّة ﻓ َيئِ ْسنا) (7ﻓفينا نﺗكلّم وعلينا نَحوم وما) (8يبدو) (9لنا ِسوانا
ب يج ّل) (10ويﺗعالى) (11أن
ﻓنحن حجاب الع ّزة اﻷحمى على الر ّ
سه بل الخلق قاﺻر عن إدراك
يُدركه خلقُه على كنه ما يُدرك نف َ
نفسه ﻓكيف له) (12بالظفر بإدراك منشئه ِم ْن حيث هو منشىء له
ﻓأحرى ِم ْن حيث ذاﺗه ﺗعالى وﺗق ّدس عل ّوا كبيرا) (13ﻻ يعرﻓه على
ف.
ف وﻻ يﺻفه واﺻ ٌ
حقّه عار ٌ
)(2
مسألة ][٣٠
د ّل الدليل الواضﺢ على إثبات إله واحد ونفي إلهين لم يد ّل دليل
ق ّ
ط على نفي قديمين ﻓﺻاعدا وﻻ) (14على إثبات ذلك بل الجواز
إﻻ أن يرد السمع بإثبات ذلك أو بنفيه ﻓﻼ إله إﻻ) (15إله واحد
سبحانه وﺗعالى ع ّما يشركون.
) (1م :نَحْ ن
) (2م :عرﻓنا
) (3م :نلجة
) (4ل :وكشفنا
) (5ر :ننﺗهي
) (6ف ،ل :ينﺗقل؛ م :ﺗنﺗقل
) (7م :ﻓليَئِسنا
) (8ج ،ر :وﻻ
) (9ج ،ف ،م :يبدوا
) (10ج ،ر ،ل :يﺗجلّى
) (11ش :وﺗعالى
) (12ش- :
) (13م + :إﻻ
) (14م :و
) (15ج ،ر + :هو
33
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مسألة ][٣١
ب اﻷ ّوليّة الﺗي ثبوﺗها عن
س ْل ُ
ال ِق َدم) (1المنسوب إلى الباري ﺗعالى)َ (2
سه ﻓي قوله هو
َع َدم ﻻ) (3اﻷ ّوليّة الوجوديّة الﺗي س ّمى بها نف َ
اﻷ ّول.
مسألة ][٣٢
البقاء اسﺗمرار الوجود ﻻ غير ﻻ عين) (4ﺻفة ﻓﺗبقى ﻓيحﺗاج إلى
بقاء ﻓالذي يبقى به) (5البقاء به يبقى) (6الباقي المنعوت بكونه باقيا
وهو ما ذكرناه وإن) (7كان الباقي ِم ّمن ]يﺗقيّد بالزمان ﻓاسﺗمرار
وجوده بمرور اﻷزمان) (8عليه وإن كان الباقي ِم ّمن[) (9ﻻ يﺗقيّد
ﻓاسﺗمرار وجوده ﻻ غير.
مسألة ][٣٣
الكﻼم على حسب َما) (10ينسب اليه ﻓليس ث َ ّم ح ّد يجمعه ﻓمعرﻓة
نسبﺗه إلى الباري موقوﻓة على معرﻓة ذاﺗه كما) (11ق ّررناه وكذلك
س ِ ّمي.
سائر ما نُ ِعت به و ُ
) (1ف :لل ِق َدم
) (2ج ،ر- :
) (3م- :
) (4ل :غير
) (5م :ﻓالذي ببقائه
) (6ج :ليبقى
) (7ف ،م :ﻓإن
) (8م :الزمان
) (9ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ج ،ر ،ل
) (10مَ :م ْن
) (11ف + :قد
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مسألة ][٣٤
وحدانيّة) (1الكﻼم حقيقة) (2والﺗجلّي)ِ (3من كونه مﺗكلّما واح ٌد
ف مﺗن ّوع مقيّد بالوقت والمكان وقد يﺗقيّد
والمﺗجلﱠى اليه) (4مخﺗل ٌ
باﻵلة ﻓينقسم) (5إلى اﻷوامر والنواهي واﻹخبارات وغير ذلك ِمن
ﺻيَﻎ والعبارات.
ي الموقوف على ال ِ
أقسام الكﻼم اللفظ ّ
مسألة ][٣٥
ع ِل َم منها وما
اﻷسماء للذات أحكام ﺗ ُرجع) (6إليه ِمن ال ُمحدثات ما ُ
ﻻ يُعلم)ِ (7م ّما يﺻ ّﺢ أن يُعلم) (8ﻓثَ ّم اس ٌم يد ّل على عين الذات
ﻹيقاع) (9الﺗميﱡز) (10للسامع ﻓي العبارة يُس ّمى ُم ْرﺗَ َجﻼ أو) (11جا ِمدا
وهذا اﻻسم لو ﻻ نحن ما أطلق عليه .وثَ ّم اس ٌم يُعقل ِمنه معنى
زائد) (12على عين الذات وهل يد ّل على الذات) (13أم ﻻ؟ ﻓيه ﺗَ َوقﱡف
بالنظر إلى العقل) (14وإن د ّل على عين الذات) (15ﻓهل هو عين
الذات المقول عليها هذا اﻹسم أم ذات زائدة)(16؟ ﻓذهب ْ
ت طائفة إلى
أنّه عين الذات وهم القدماء وذهب ْ
ت طائفة إلى ذات زائدة وهم
) (1م :أ َح ِديّة
) (2ج ،م :حقيقﺗه؛ ر :حقيقيّة
) (3ج ،ر ،ل :ﻓالﺗجلّي
) (4م :له
) (5م :ﻓﺗنقسم
) (6ل :يرجع
) (7م :يَعلم
) (8م :يَعلم
) (9ج ،ر ،ل :ﻻ يقع
) (10م :الﺗمييز
11
ي
) ( م :أ ْ
) (12م :زائدا
) (13ج ،ر ،ل :العين؛ م :عين الذات
14
ي
) (15ج ،ر ،ل :بالنظر العقل ّ
) ( ج ،ر ،ل ،م- :
) (16ل- :
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ي وسميع وبﺻير وغير
اﻷشاعرة كقولنا) (1عا ِلم وقادر و ُمريد وح ّ
ذلك .وث ّم اس ٌم ﺗ ُعقل)ِ (2منه إضاﻓةٌ ﻻ غير كاﻷ ّول واﻵخر والظاهر
والباطن) .(3وث ّم اس ٌم يُعقل ِمنه سلب ما ﻻ يليق بالمس ّمى كالقديم
والق ّدوس ومع هذا كلّه ﻓ ِمنّا ﺗعلّقها) (4ﻻ ِمنه ﻓهي أسماء ح ْمل ﻻ
أسماء ﺗحقّق).(5
مسألة ][٣٦
اﻹسم قد يَ ِر ُد ويُراد به المس ّمى ويَ ِر ُد ويُراد به اللفظ الدا ّل على
ي ﻻ غير ليس بأيدينا على
المس ّمى ﻓالخﻼف ﻓي هذه المسئلة لفظ ّ
الحقيقة ِمن ال ّ
حق ﺗعالى إﻻ أسماؤه وﻻ نعقل)ِ (6منه غيرها وبهذه
سنا علماء وعارﻓين
النسبة نس ّميه معروﻓا ومعلوما ونس ّمي أنف َ
ولهذا ﻻ يقع الﺗسبيﺢ والﺗقديس إﻻ على اﻹسم ﻓقال ﺗعالى)َ ﴿ (7
س ِبّﺢِ
س ُم َر ِبّكَ ﴾) (10ﻓحقّق هذا الفﺻل
باركَ ا ْ
ا ْ
س َم َر ِبّكَ ْاﻷ َ ْعلَى) (9)﴾(8و﴿تَ َ
أيّها الناظر.
مسألة ][٣٧
) (1ج ،ل ،م :لقولنا
) (2ج ،م :يُعقل
) (3ج ،ل ،م :والباطن والظاهر
) (4ف :نعقلها؛ م :يعقلها
) (5ف :ﺗحقيق
) (6ف :يُعقل
) (7مّ :
عز وج ّل
) (8ف- :
)] (9اﻷ َ ْعلَى[١ :
)] (10الرحمن[٧٨ :
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الحمد هو الثناء على ﷲ ]بما هو أهله والشكر الثناء على ﷲ بما
يكون ِمنه ِمن النِ َعم) (1وﻻ يكون الثناء أبدا على ﷲ) (3)[(2إﻻ مقيّدا
إ ّما بالنطق وإ ّما بالمعنى الباعث على الحمد وقد يَرد ﻓي النطق
ي ﴿قُ ِل ا ْل َح ْم ُد
مطلقا ومقيّدا مثل قوله ﺗعالى) (4ﻓي المطلق اللفظ ّ
�
�﴾) (5وأ ّما المقيّد ﻓﺗارة يقيّده بﺻفة ﺗنزيه كقوله ﺗعالى ﴿ا ْل َح ْم ُد ِ ﱠ ِ
ِﱠِ
)(7
الﱠذِي لَ ْم يَت ﱠ ِخ ْذ َولَدا ً﴾) (6وﺗارة يقيّده بﺻفة ﻓ ْعل كقوله ﺗعالى
� الﱠذِي
� الﱠذِي أ َ ْن َز َل عَلى َ
تاب﴾) (8وقوله ﴿ا ْل َح ْم ُد ِ ﱠ ِ
﴿ا ْل َح ْم ُد ِ ﱠ ِ
ع ْب ِد ِه ا ْل ِﻛ َ
ض﴾) (9وما خرج حم ٌد ِم ْن محاميد الكﺗب
سماوا ِ
َخلَ َ
ت و ْاﻷ َ ْر َ
ق ال ﱠ
ال ُمن ّزلة ِم ْن عنده عن هذا الﺗقسيم.
مسألة ][٣٨
َخلَقَ ﷲ الخ ْلق ليكمل مراﺗب الوجود وليكمل المعرﻓة ﻓي الوجود
ي ليكمل وجود ﺗقاسيم المعرﻓة ﻓ َخلَقَ الخ ْلق ليعرﻓوه إذ كان كنزا
أ ْ
)(10
ﻻ يُعرف كما ورد ﻓي بعض اﻷخبار المشهورة ﻻ ليكمل هو
سبحانه ﻓي ذاﺗه ﺗعالى ﷲ) (11عن ذلك ﻓكان)َ (12يعرف نفسه بنفسه
ﻓبقي ِم ْن مراﺗب المعرﻓة أن يَعرﻓه الكو ُن ﻓيكمل) (13المعرﻓة
) (1ل :بال ِنعَم
) (2ج ،ر ،ل :على ﷲ أبدا
) (3ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (4ج ،ر ،ل- :
)] (5النمل[٥٩ :
)] (6اﻹسراء[١١١ :
) (7مّ :
عز وج ّل
)] (8الكهف[١ :
)] (9اﻷنعام[١ :
) (10ج ،ر ،ل- :
) (11م :ليكمل هو ﻓي ذاﺗه سبحانه وﺗعالى
) (12ج ،ر :وكان
) (13ف :ﻓﺗكمل
37
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ﻓأوجد الخ ْلق وأ َم َرهم بالعلم به) (1وكذلك) (2الوجود ينقسم إلى قديم
و ُمحدث ﻓلو لم يخلق الكون ما كمل ْ
ب الوجود ﻓاﻓهم.
ت مراﺗ ُ
مسألة ][٣٩
اسم البُ ْخل على ﷲ)ُ (3محال ﻓلو ا ّدخر شيئا ِمن ال ُممكنات لم يكن
اسم الجود) (4عليه ﻓيما أعطى بأ ْولى ِمن اسم البُ ْخل) (5عليه ﻓيما
أمسك ﻓليس ﻓي اﻻمكان أبدع ِم ْن هذا العالَم ِم ْن حيث حﺻر
ب العالَم
ﺻ َ
اﻷجناس ﻓليس ﻓي اﻹمكان جنس زائد و ِم ْن حيث أنّه نَ َ
دليﻼ عليه) (6ﻓﻼ ب ّد أن يكون الدليل كامل اﻷركان ﻓما أبقى شيئا
إﻻ اﻷمثال ﻓالمثل) (7عين المثل ﻓي حقيقﺗه.
مسألة ][٤٠
ليس ث َ ّم أعلى ِمن الكشف وﻻ أدنى)ِ (8من الحجاب ﻓالكشف) (9غاية
عدم
المطالب) (10وهو الرؤية والحجاب أعظم الحرمان وهو َ
الرؤية وقد ظهر ال ُح ْكمان ﻓي العالَم ﻓليس ﻓي اﻹمكان أبدع ِم ْن
هذا العالَم لحﺻ ِره) (11بين الﺗجلّي والحجاب.
مسألة ][٤١
) (1ل- :
) (2ج ،ل :لذلك
) (3ج ،ر ،ل + :ﺗعالى
) (4ج :الوجود؛ ر :الجواد
) (5ر :البخيل
) (6ش ،ف :على العلم
) (7ج ،ر :والمثل
) (8ر :وأدنى؛ ش :وﻷدنى
) (9ر :والكشف
) (10ج ،ر ،ل :الطالب
بحﺻره؛ ل :يحﺻره
) (11ف:
ِ
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اﻷﻓراد ﻓي هذه اﻷ ُ ّمة هم الخارجون عن دائرة القطب وهم الذين
على بيّنة ِم ْن ربّهم ويﺗلوهم) (1شاهد ِم ْنه) (2وهم ﻓي هذه اﻷ ُ ّمة
بمنزلة اﻷنبياء ﻓي اﻷمم الخالية الذين كانوا على شريعة ِم ْن ربّهم
سل وﻻ ُمﺗﱠبعين إﻻ لما) (3يُوحي ال ّ
حق إليهم
ﻓي أنفسهم ليسوا ب ُر ُ
سبحانه وﺗعالى وينظر إليهم اﻹسم الفَ ْرد بانفراده عن اﻷسماء
والقطب ِمن اﻷﻓراد وله مزيّة الﺗق ّدم بالنظر ﻓي العالَم بخﻼف
ي ببغداد أنّه قال ﻓي
سائر اﻷﻓراد وأ ُ ْخ ِب ْرتُ عن عبد القادر الجيل ّ
ي) (6أنّه ِمن
ي) (5اﻷوان ّ
الشيخ ُمح ّمد ابن) (4عبد الرحمن الطفسونج ّ
اﻷﻓراد وهم أعيان اﻷولياء.
مسألة ][٤٢
سب ُْق
ال ُمخﺗار هو الذي يفعل أمرا ما إن شاء ويﺗركه) (7إن شاء و َ
العلم بالفعل أو بالﺗرك يحيل) (8وقوع ما لم َي ْس ِب ْق به العل ُم
ﻓاﻻخﺗيار ُمحال والمضط ّر هو المجبور على اﻷمر) (9وﻻ جبر
ﻓﻼ) (10اضطرار وﻻ اخﺗيار ﻓحقّق أيّها الناظر هذه المسئلة ﺗنﺗفع
بها إن شاء ﷲ.
مسألة ][٤٣
) (1م :ويﺗلوه
) (2ج ،ر ،ل :مِ ْنهم
) (3ج ،ر ،ل :ما
) (4ف ،م :ﻓي الشيخ -
5
ي
ي ؛ ف :الطسونج ّ
) ( ج ،ر :الطسمونج ّ
6
ي-
ي؛ م :الطفسونج ّ
ي +وطسونج قرية على جانب الدِجْ لة ُمحاذاة النُ ْعمانِيّة من الجانب الشرقِ ّ
) ( ف :الطسونج ّ
) (7ج ،ر ،ل :ويﺗرك
) (8ل :ﻓحيل
) (9م :اﻷمور
) (10ل :بﻼ
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اﻻخﺗراع حﺻول المخﺗرع ﻓي النفس ]أ ﱠوﻻ ث ُ ّم بالفعل ولم يحﺻل
ع َد ُم المثل ﻓي
ﻓي النفس[) (1شيء لم يكن ﻓيها ﻓﻼ اخﺗراع لكن َ
ظهور العين ابﺗداء س ّماه) (2اخﺗراعا وليس على) (3حقيقة اﻻخﺗراع.
مسألة ][٤٤
ﺻ ِيير الذاﺗين ذاﺗا واحدة ﻓهو ُمحال ﻻنّه إن كان
إذا كان اﻻﺗ ّحاد ﺗ َ ْ
عين) (4ك ّل واحد ِم ْنهما موجودا ﻓي حال اﻻﺗّحاد) (5ﻓهما ذاﺗان وإن
عدمت العين الواحدة وبقيت اﻷ ُخرى ﻓليس إﻻ واحد) (6ﻓإن كان
اﻻﺗ ّحاد بمنزلة ظهور الواحد ﻓي مراﺗب العدد ﻓيظهر العدد ﻓقد
س ﻓيكون
يﺻ ّﺢ اﻻﺗّحاد ِم ْن هذا ال َو ْجه ويكون) (7الدليل مخالفا للح ّ
سا وبالدليل أ ّن ﷲ
له َو ْجهان كال ِكﺗابة عن حركة يد الكاﺗب ح ّ
خالقها وأنّها أثر القدرة القديمة ﻻ ال ُم ْحدثة) (8ﻓالوقوف على هذا
)(9
القدر ِمن المعرﻓة بطريق الكشف والشهود ﻻ ِم ْن طريق الفكر
يس ّمى ا ِﺗ ّحادا.
وقد يكون اﻻﺗّحاد عندنا) (10عبارة عن حﺻول العبد ﻓي مقام
اﻻنفعال عنه ب ِه ّمﺗه وﺗو ّجه إرادﺗه ﻻ ب ُمباشرة وﻻ ُمعالجة
) (1ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (2ل :ﻓس ّماه
) (3ر- :
) (4م- :
) (5ل- :
) (6ف :ﻓليس لﻸ ﱠول ح ّد
) (7م :وقد يكون
) (8م :القديمة للمحدث
) (9م :النظر
) (10ل- :
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ﻓلظهوره بﺻفة هي لل ّ
حق) (1ﺗعالى حقيقة يس ّمى) (2اﺗّحادا لظهور
حق ﻓي ﺻورة عبد ولظهور عبد ﻓي ﺻورة ّ
ّ
حق.
وقد يطلق اﻻﺗّحاد ﻓي طريقنا لﺗداخل ال ّ
حق ﻓي اﻷوﺻاف والخلق
ﺻفَنا بأوﺻاف الكمال ِمن الحياة والعلم والقدرة واﻹرادة
ﻓ َو َ
ف نفسه بأوﺻاف ما) (3هو لنا
وجميع اﻷسماء كلّها وهي له و َو َ
ﺻ َ
ِمن الﺻورة والعين واليد والرجل والذراع ]والضحك والنسيان
والﺗع ّجب والﺗبشبش[) (4وأمثال) (5ذلك ِم ّما هو لنا ﻓل ّما) (6ظهر
ﺗداخل هذه اﻷوﺻاف بيننا وبينه س ّمينا ذلك اﺗ ّحادا لظهورنا به
وظهوره) (7بنا ﻓيﺻ ّﺢ قول القائل عن) (8هذا.
أنا َم ْن أ ْه َوى و َم ْن أ ْه َوى أنا
مسألة ][٤٥
ير﴾) (9ال ُمماثلة عقليّة ولغويّة
س ﻛ َِمثْ ِل ِه َ
ش ْي ٌء و ُه َو ال ﱠ
﴿لَ ْي َ
س ِمي ُع ا ْلبَ ِص ُ
زيد مثل عمرو ﻓي اﻹنسانيّة ﻻشﺗراكهما ﻓي ﺻفات) (10النفس هذه
ال ُم َماثلة العقليّة وليس عليها ﴿ليس ﻛمثله شىء﴾) (11إﻻ بزيادة
ّ
الحق
) (1ل:
) (2ف :ﺗس ّمى
) (3مَ :من
) (4ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ج ،ر ،ل
) (5ج ،ر ،ل :وغير
) (6م :ﻓما
) (7ف :ﻓظهوره
) (8ج ،م :على
)] (9الشورى[١١ :
) (10ج ،ر ،ل :ﺻفة
) (11م :كمثله
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الكاف أو بﺗخريج بعيد على ﺗقدير ﻓرض المثل ﻻ على وجوده
ﻓال ُمماثلة إذًا ﻓي اﻵية لغويّة وهو الﺻحيﺢ زيد كاﻻسد وعمرو
ي زيد مثل اﻻسد شجاعةً وعمرو) (2مثل البحر جودا
كالبحر أ ْ
ور ِه ﻛ َِمشْﻛا ٍة﴾) (4ﻓانظر.
ونزاهة واﺗ ّساعا)َ ﴿ (3مث َ ُل نُ ِ
)(1
مسألة ][٤٦
العلوم ال ُمكﺗسبة ليس إﻻ نسبة ُح ْكم ل َمحكوم) (5عليه بنفي أو إثبات
وليس شيء)ِ (6من ال ُمفردات ُمكﺗسبا) (7وأعني باﻻكﺗساب ما حﺻل
ب) (9اﻻكﺗساب إلى الﺗﺻ ّور الذي هو معرﻓة
بالنظر إذا) (8نُ ِس َ
ال ُمفرد ﻓليس ذلك إﻻ ﻓي اللفظ ﻻ ِمن جهة المعنى وإنّما يسمع
سا أو َب ِديهة
لفظا يد ّل على معنى ذلك المعنى عنده معلوم إ ّما ح ّ
ض َع له ﻓلهذا يسأل عنه ﻓيكﺗسب
لكن ﻻ يعرف) (10أ ّن ذلك اللفظ ُو ِ
أ ّن ذلك اللفظ موضوع لذلك المعنى المعلوم عنده ليس) (11إﻻ.
مسألة ][٤٧
س ظاهر وباطن) (12وبَ ِديهة) (13وما
المعلومات منحﺻرة ﻓي ح ّ
ﺗر ّكب ِمن ذلك عقﻼ إن كان معنى وخياﻻ إن كان ﺻورة وقد
) (1م :وجود
) (2م :و
) (3ج ،ر ،ل :جودا ْأو نزهة ْأو اﺗ ّساعا؛ م :جودا ْأو براعة واﺗ ّساعا
)] (4النور[٣٥ :
) (5ف :ال َمحكوم
) (6ج ،ل :نفي
) (7فُ :مكﺗسب
) (8ف ،م :ﻓإذا
) (9م :نظر
) (10م :نعرف
) (11م- :
) (12ف ،م :أو باطن
) (13م :أو بَ ِديهة
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يس ّمى) (1الباطن) (2إدراكا نفسيّا) (3وهو العلم باﻵﻻم وشبهها ﻓالخيال
ﺻة والعقل يعقل ما ر ّكب
ﻻ يُ َر ِ ّك ُ
ب أبدا إﻻ ﻓي الﺻور) (4خا ّ
الخيال وليس ﻓي ق ّوة الخيال أن يﺻ ّور بعض ما يُ َر ِ ّكبُه العقل وإن
وقعت الﺻور ﻓي المعاني ﻓليس إﻻ على ﺗقدير أن لو كانت
ﺻورا لكانت على هذه الﺻورة كالعلم ﻓي ﺻورة اللبن والثبات
ﻓي الدين) (5ﻓي ﺻورة الق ْيد وسورة البقرة لها لسان وعينان ﺗشهد
ب حسن إذا كانت ﺻالحة وليس
لقارئها واﻷعمال ﻓي ﺻورة شا ّ ٍ
)(6
ﻓي هذه المرﺗبة المال الذي لم ﺗأخذ ِمنه الزكاة ح ّ
ظها ﻓيكون
شجاعا أقرع له زبيبﺗان ﻓلو كان عين المنع كان ُم ْلحقا بهذا الباب
بل ألطف) (7ﻷنّه عد ٌم ِمن حيث هو من ٌع وإنّما هو عين المال وقد
اشﺗرك مع الشجاع ﻓي الجوهر ﻓهو خل ُع ﺻورة كان الجوهر
حا ِمﻼ لها ولباس) (8ﺻورة الشجاع.
مسألة ][٤٨
النظر ﻓي اﻻشياء ِمن حيث ذواﺗها ِمن غير نظر إلى كمال أو
نقص) (9أو مﻼئمة طبع أو مناﻓرة أو عرض أو وضع ﻻ حسنة
وﻻ قبيحة وﻻ) (10محمودة وﻻ مذمومة ﻓالحسن والقبﺢ والحمد
ف وضعيّة وضعها شرعٌ وطب ٌع) (11ب ُح ْكم مﻼئمﺗه أو
والذ ّم أوﺻا ٌ
) (1ف :ويس ّمى
) (2م :النظر عن
3
ي
) ( ف ،م :إدراك نفس ّ
) (4ف :الﺻورة
) (5ف :اللبن والدين؛ م :اللبن والثياب ﻓي الدين
) (6ج ،ر ،ل :ﻓﺗكون
) (7ج ،ل :بﻼ لطف
) (8ج ،ر :ولبس؛ ل :وليس
) (9ج ،ر ،ل :نقﺻان
) (10ج ،ر ،ل :ﻻ
) (11ج ،ر ،ل ،م :أو طب ٌع
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أقول أ ّن لك ّل معلوم علما ﻓإنّي) (1ﻻ أشﺗرط) (2ﻓيه الﺗعلﱡق بك ّل
المعلومات وإنّما هو معنى ﻓيه ﺻﻼحيّة الﺗعلﱡق ﻓإذا نسب إلى
ال ّ
حق نسب إليه مﺗعلّقا بما ﻻ يﺗناهي ِمن المعلومات حذرا ِم ْن أن
يقوم به جه ٌل بما) (3يﺻ ّﺢ أن يعلم وذلك على ﷲ ُمحال وقلنا
بوحدانيّﺗه إذ لو كان لك ّل معلوم علم والمعلومات ﻻ نهاية لها
]وهو عا ِلم بها[) (4ﻓكان يقوم به علوم ﻻ نهاية لها ودخول ما ﻻ
)(5
نهاية له ﻓي الوجود ُمحال ﻓوجود علوم ﻻ نهاية لها محال .و ِل َما
ي رحمه ﷲ
ي اﻷشعر ّ
ذكرناه ج ّوز اﻹمام أبو عمرو السﻼلق ّ
ﺗعالى) (6ﺗعلﱡقَ العلم ال ُم ْحدث) (7بما ﻻ نهاية له ح ّدثنى بذلك بعض
أﺻحابه ِم ّمن قرأ عليه عنه) (8وهو قول ﺻحيﺢ عندنا نرﺗضيه
وإن اخﺗلف ْ
ت مﺂخذنا ﻓي) (9دركه) (10ﻓالمدلول واحد وﻻ يعﺗرض
علينا بالنوم) (11والغفلة والذهول ﻓإ ّن ﺗلك أمورا بدنيّة طبيعيّة
ﺗ َ ْعﺗ َ ِو ُر) (12اﻵﻻت ليس محلّها اللطيفة اﻹنسانيّة ﻓهي العالمة نام
الجسم أو اسﺗيقظ وليس يحﺻرها عالَ ٌم واحد ﻓلها العوالم) (13كلّها
سيّها وخياليّها) (14وعقليّها ملكها وملكوﺗها) (15ﻓحيثما سار بها
ح ّ
) (1م :ﻓإنّني
) (2ج ،ل :ﻷشﺗرط؛ ر :ﻻ نشﺗرط
) (3ر :ل َما
) (4ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :ج ،ر ،ل
) (5فِ :ل َما
6
ي رحمه ﷲ؛ ر :اﻷشعري -
) ( ج ،ل :اﻷشعر ّ
) (7م :بال ُمحدث
) (8ر ،ل- :
) (9ج ،ر ،ل + :ذلك
) (10م :مداركه
) (11م :بالنور
) (12م :بِعثور
) (13ف ،م :العالَم
14
سها وخيالها
) ( ف :ح ّ
) (15م :ملكيّها وملكوﺗيّها
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ال ّ
ت وحيثما أوقفها) (1وقف ْ
حق سار ْ
ت وﻻ ﺗخلو) (2عن ﺗعلﱡقها بمعلوم
ت ومهما علم ْ
حيث كان ْ
ت ما لم ﺗكن به) (3عالمة) (4ﻓليس ذلك راجع
سا
لﺗج ّدد) (5علم ﻓيها وإنّما ﺗج ّدد الﺗعلﱡق بالمعلوم لظهور المعلوم ح ّ
س ﻓأدركﺗْه) (6بالعلم الذى اﺗّﺻف ْ
ت به) (7قبل ظهور
كان أو غير ح ّ
ذلك المعلوم وكذلك اﻹرادة سواء وكﻼمنا ﻓي هذا كلّه إنّما هو ﻓي
الﺻفات المحدثة المخلوقة وأ ّما علم ﷲ وﺻفاﺗه المﺗعلّقة ﻓقد
واﻓقنا على ذلك العقﻼء إﻻ شرذمة قليلة وهي المعﺗزلة وﻻ اعﺗبار
لهم عندنا.
مسألة ][٥١
للعقل نور ولﻺيمان نور ﻓبنور العقل ﺗﺻل) (8إلى معرﻓة وجود
ﷲ ﺗعالى وكونه قادرا سميعا بﺻيرا) (9عالما مريدا) (10إلى غير
ذلك ِم ّما يجب لﻸلوهيّة وما يجوز عليها وما يسﺗحيل وبنور
اﻹيمان ﺗعرف) (11ذات ال ّ
حق وما وﺻف نفسه به ِم ّما يقﺗضى
الﺗشبيه والﺗنزيه ﻓيأخذها مشاهدة وهذه درجة اﻷنبياء واﻷولياء
كما أ ّن للعقل ح ّدا) (12ولﻺيمان ح ّدا) (13ﻓح ّد العقل يوﺻله إلى
) (1ل :وقفها
) (2م :يخلو
) (3ف ،م- :
) (4ل :عالم؛ م + :به
) (5ل :إلى ﺗجدّد
) (6م :ﻓأدرك ْ
ت
) (7م- :
) (8ف ،ل :نﺻل
) (9ف- :
) (10ج ،ر ،ل- :؛ م :سميعا بﺻيرا قادرا عالما مريدا
) (11ف :نعرف؛ ل :غير واضﺢ
) (12ف :ح ّد
) (13ف :ح ّد
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الﺗدبير ﻓي أسبابه ومﺻالﺢ وجوده بحسب ما يقﺗضيه نظ ُره ِمن
العادة وح ّد اﻹيمان خر ُق العادات عنده لﺗخرق) (1العادات له ﻓيجد
)(2
اللذّة ﻓي العذاب واﻷلم ﻓي النعيم وشبهه وعلى ح ّد العقل ﺗجري
أمور العقﻼء ِمن الخلق وعلى ح ّد اﻹيمان ﺗجري) (3أمور بعض
المنﺗمين إلى ﷲ ﺗعالى أﺻحاب اﻷحوال) (4واﻷوامر اﻹلهيّة
والخواطر المسﺗقيمة الربّانيّة.
مسألة ][٥٢
ﺗو ّجه الذات على جميع الممكنات يس ّمى إلها لمعنى يس ّمى أ ُلوهيّة.
وﺗعلّقها بنفسها وبجميع حقائق المحقﱠقات على ما المحقﱠق عليه
وجودا كان المحقﱠق أو عدما يس ّمى ِعلما .ﺗعلّقها بالممكنات ِمن
حيث ما هي الممكنات عليه يس ّمى اخﺗيارا .ﺗعلّقها بالممكن ِمن
حيث س ْبق العلم قبل كون المك ﱠون يس ّمى مشيئة .ﺗعلّقها بﺗخﺻيص
أحد الجائزين للممكن على الﺗعيين يس ّمى إرادة .ﺗعلّقها بإيجاد
الكون يس ّمى قدرة .ﺗعلّقها باﻷحكام قبل وقوعها يس ّمى قضاء.
ﺗعلّقها بوقت وقوع ال ُح ْكم يس ّمى قَ َدرا .ﺗعلّقها باسماع المك ﱠون
لكونه يس ّمى أمرا وهو على نوعين بواسطة وبﻼ واسطة
ﻓبارﺗفاع الوسائط ﻻ ب ّد ِمن اﻻمﺗثال ﻓيكون الكون وﻻ يلزم الكون
بالواسطة وﻻ ب ّد وﻻ هو أمر) (5ﻓي عين الحقيقة إذ ﻻ يقف لﻸمر
ي شيء) .(6ﺗعلقها بإسماع المك ﱠون لﺻرﻓه) (7عن كونه أو كون
اﻹله ّ
) (1ج ،ل ،م :ليخرق
) (2ل :يجري
) (3ل :يجري
) (4م- :
) (5ل- :
6
ي بشيء
) ( م :اﻷمر اﻹله ّ
) (7ج ،ر ،ل :ليﺻرﻓه
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ﺻادر ِمنه يس ّمى ن ْهيا وﺻورﺗه ﺻورة اﻷمر ﻓي الﺗقسيم ِمن
الواسطة) (1وﺗركها .ﺗعلّقها بﺗحﺻيل ما هي عليه هي) (2أو غيرها
ِمن الكائنات) (3أو ما ﻓي النفس ﻓي نفس المك ﱠون يس ّمى إخبارا.
ﻓإن ﺗعلّق ْ
ي شيء عندك يس ّمى اسﺗفهاما.
ت بالمك ﱠون على طريق أ ّ
ﻓإن) (4ﺗعلّق ْ
ت به على جهة النزول إليه ﺗعلق اﻷمر يس ّمى ]دعاء
و ِمن باب ﺗعلّق اﻷمر إلى هذا يس ّمى[) (5كﻼما .ﺗعلّقها بالكﻼم ِمن
غير اشﺗراط علم بذلك يس ّمى سمعا .ﻓإن ﺗعلّق عل ٌم بذلك يس ّمى
ﻓهما .ﺗعلّقها بكيفيّة النور وما يحمله ِمن المرئيّات يس ّمى بﺻرا
ورؤية) .(6ﺗعلّقها بإدراك ك ّل مد َرك الذي ﻻ يﺻ ّﺢ ﺗعلّ ٌق ِمن هذه
الﺗعلّقات كلّها إﻻ به يس ّمى حياة .والعين ﻓي ذلك كلّه واحدة
ﺗع ّددت) (7الﺗعلّقات لحقائق) (8المﺗعلّقات واﻷسماء للمس ّميات
ﻓﺗف ّهم).(9
مسألة ][٥٣
ت عين الدليل عليه وهو إثبات
ِعلم اليقين معرﻓة ﷲ) (10بك إذ أن َ
ذات غير مكيّفة وﻻ معلومة الماهيّة محكو ٌم عليها باﻷلوهيّة
سلطانا وح ّجة ﻻ ريب ﻓيه .عين اليقين مشاهدة هذه الذات بعينها
ﻻ بعينك ﻓناء كلّيّا ﻻ يعقل معها نسبة ألوهيّة إثباﺗا أو نفيا لكن
) (1ف :الوسائط
) (2ش ،ل- :
) (3م :الممكنات
) (4ج ،ر ،ش :وإن
) (5ما بين قوسين معقوﻓين سقط ﻓي :م
) (6م :أو رؤية
) (7ف :بعدد؛ ش ،م :ﺗع ّدد
) (8ف ،م :بحقائق
) (9م- :
) (10ف + :ﺗعالى
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مشاهدة ﺗُفني) (1اﻷحكا َم والرسو َم وﺗَ ْمحو) (2اﻵثارّ .
حق اليقين نسبة
اﻷلوهيّة لهذه الذات بعد المشاهدة ﻻ قبلها وهو الفرق بين العلم
وال ّ
حق ليس إﻻ وهنا سكت المحقّقون .وبعد هذا حقيقة اليقين
ي مع غيبﺗه عنها ﻓيه به غيبا كلّيّا
ظهور اﻻنفعاﻻت عن العبد الكلّ ّ
وﻓناء محقّقا) (3وهذه غاية المراﺗب ﻓالثﻼثة)ِ (4كﺗابيّة علم وعين
سنّيّة .قال عليه السﻼم »ﻓما حقيقة إيمانك لك ّل ّ
و ّ
حق
حق والرابعة ُ
حقيقة« ﻓهذه الحقيقة بها يخﺗبر العبد المحقّق نفسه ﻓي دعواه ﻓي
معرﻓة ّ
حق اليقين ﻓﺗأ ّمل.
مسألة ][٥٤
مشاهدة ال ّ
حق ﻻ ﺗعطي اﻹحاطةَ بذاﺗه ولذلك قال ﴿ﻻ تُد ِْر ُﻛهُ
صار﴾) (5ولو كانت المشاهدة ﺗعطي معرﻓة مناسبة اﻷلوهيّة
ْاﻷ َ ْب ُ
للذات لم ﺗكن ﻓائدة لقول رسول ﷲ ﺻلّى ﷲ عليه وسلّم) (6ﻓي
)(7
ي ﻓي الدار اﻵخرة وقوله ﺗعالى للناس ﴿أَنَا َربﱡ ُﻛ ْم﴾
الﺗجلّي اﻹله ّ
ﻓيقولون نعوذ با� منك ولم يعرﻓوا أنّه ال ّ
حق مع مشاهدﺗهم إيّاه
ﻓإذن) (8العلم باﻷلوهيّة ﻻ يلزم منه العلم بالذات ﻓ َمدار المعرﻓة
على الحقيقة على علوم) (9ثﻼثة) :(10علم اﻷلوهيّة وعلم الذات وعلم
) (1ف ،م :ﺗ َنفي
) (2ج ،ر ،ل :ﺗ َمحق؛ م :يَمحو
) (3م :محقا
) (4ر ،ش :ﻓالثلثة
)] (5اﻷنعام[١٠٣ :
) (6ر :رسوله عليه السﻼم
)] (7اﻷنبياء[٩٢ :
) (8م :ﻓإذا
) (9ج ،ش ،ل ،م :علم
) (10ج ،ر ،ل ،م :ثﻼث؛ ش :ثلث
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نسبة هذه اﻷلوهيّة لهذه الذات وبعد هذا كلّه ﻓﻼ إحاطة وﻻ إدراك
)(2) (1
حق وهو يهدي السبيل﴾ .
﴿وﷲ يقول ال ّ
)] (1اﻷحزاب[٤ :
) (2ج + :والحمد � ربّ العالمين وﺻلّى ﷲ على سيّدنا مح ّمد وآله وسلّم؛ ر + :والحمد � ربّ العالمين وﺻلّى
ﷲ على سيّدنا مح ّمد وآله وسلّم .ﺗ ّم كﺗاب المعرﻓة اﻷولى مِ ن ﺗﺻانيف الشيخ رضي ﷲ عنه؛ ل + :والحمد �
ربّ العالمين وﺻلّى ﷲ على سيّدنا مح ّمد وآله وسلّم؛ م + :انﺗهى هذه المسائل وﷲ أعلم .والحمد � ربّ
العالمين وﺻلّى ﷲ على سيّدنا مح ّمد وآله وﺻحبه وسلّم ﺗسليما كثيرا إلى يوم الدين
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