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CONCHIGLIE E ALTRE MERAVIGLIE

2024, http://www.endasravenna.it/wp/pagine-darte/conchiglie-e-altre-meraviglie/

A short survey about how shells, shellkrafts and pearls have been used as jewels and/or apothropaic charms.

CONCHIGLIE E ALTRE MERAVIGLIE 1 A sinistra: ricostruzione della cuffia di conchiglie della dama di Caviglione (oggi al Museo dei Balzi Rossi, Imperia, vissuta tra 30.000 e 20.000 anni fa); e a destra il ritratto a mosaico dell’imperatrice bizantina Teodora (VI secolo, Basilica di San Vitale, Ravenna) con diadema e pendenti in perle. Non è un accostamento azzardato, quello costituito dall’insieme di queste immagini, perché a ben guardare c’è un particolare ritornante, ovvero la conchiglia insieme al suo prodotto più prezioso: la perla, e insieme, la madreperla. Nessuno resiste ancora oggi, camminando su una spiaggia, al gesto di chinarsi per raccogliere conchiglie. Forse un istinto infantile, forse semplicemente naturale, ma la conchiglia attrae sempre la nostra attenzione. Farsene un “gioiello” semplice, da appendere al collo con un cordoncino è passo successivo comune, oppure portare le conchiglie a casa da usare come decorazione, da conservare come ricordo, come portafortuna. Ma perché la conchiglia, le conchiglie tutte, ci attraggono e ci parlano? La lunga strada per comprendere un simbolo Quando vengono rinvenuti resti preistorici di sepolture non lontanissime dal mare, in cui i reperti che sono riusciti ad arrivare fino al nostro tempo hanno corredi funerari ove compaiono copricapi e/o gioielli realizzati con conchiglie, vengono dati ai personaggi nomi che ricordano il luogo e qualifiche di principi, o di dame. Personaggi che sembrano usciti dal tempo arcaico eppure vivo da qualche parte nella memoria di tutti, quella delle fiabe. Personaggi di cui si ammira l’abbondanza di oggetti lasciati presso i loro resti, quasi a proteggerli apotropaicamente per quel tempo oscuro e ignoto del poi. Corredi che comprendono conchiglie forate, o segmenti di conchiglie, unite a denti, corni, artigli, oppure ossa o segmenti di ossa, di animali uccisi. Già in un’antichità remota si è intuita la parentela della sostanza tra la conchiglia e l’osso. 2 A sinistra: la donna di Ostuni (Santa Maria d’Agnano, LE, 25.000 anni fa), a destra, la cosiddetta Venere di Brassempouy, statuetta in avorio risalente a circa 25.000 anni fa). Entrambi esempi di copricapi realizzati con l’aggiunta di conchiglie. Sotto: a sinistra il cosiddetto Principe delle Arene Candide, ora al Museo Archeologico di Genova risalente a circa 24.000 anni fa. A destra: ritratto di Enrico III di Francia, XVI secolo dall’abito tempestato di perle. “Ossa” spesso dai colori smaglianti, o dalle forme geometriche affascinanti, quando restituite dal mare non potevano passare inosservate, o far trattenere la mano dal raccoglierle. Anche perché la memoria fisica di geometrie naturali, come quelle che stanno alla base dello sviluppo di ogni cellula, sembra mescolarsi con quella memoria che inizia con “c’era una volta”. Per risalire al senso di un qualche valore preistorico delle conchiglie, ci viene in aiuto il lavoro di Marija Gimbutas1. Grazie alle sue approfondite ricerche, la studiosa ci segnala che le conchiglie, sia bivalvi che gasteropodi, permettono di visualizzare il concetto di maternità, di vita. Del resto, non possono apparire altrimenti le conchiglie, a un essere umano di tempi infinitamente antichi. 1 Gimbutas Marija, Kurgan, Milano, Medusa, 2010; Gimbutas Marija, Il linguaggio della dea, Milano, CDE, 1991; Gimbutas Marija, La civiltà della dea, I volume, Viterbo, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, 2012; Gimbutas Marija, La civiltà della dea, II volume, Viterbo, Stampa Alternativa / Nuovi equilibri, 2013; Gimbutas Marija, Le dee viventi, Milano, Medusa, 2005. 3 Qui sopra, esempi di collane realizzate con elementi ricavati da conchiglie o madreperla (a destra), di area indopacifica (XX secolo). Tempi in cui la coscienza del mondo è ancora in evoluzione, e le conchiglie sembrano quasi sassi che le onde depositano vicino alla riva, Sassi che però hanno forme equilibrate e affascinanti, colorate, ma soprattutto, ospitano creature vive. Non è il caso di andare oltre nell’indagine dopo aver constatato la possibile presenza di questo stupore, il quale ha certamente messo in moto ragionamenti, via via sempre più ampi e articolati. Quanto a noi, a distanza di troppe centinaia di migliaia di anni, dopo esserci adattati lo spazio circostante, fatichiamo a comprendere un pensiero tanto lontano. Siamo abituati a prove, confutazioni, a scritto e immagini che ci aiutano a capire. O talvolta fanno deragliare l’immediatezza dell’istinto. Elementi di collana di conchiglie forate rinvenuta in una grotta sulla costa del Marocco, risalente a 142.000 anni fa. Un confronto Rebecca Wragg Sykes2 Ci mette delicatamente in guardia dal caratterizzare le persone a cui i resti preistorici ritrovati appartengono. Perché ci piace raccontarci la storia con quel che conosciamo e che ci rassicura, e quindi, se una sepoltura ci arriva integra attraverso tempi incalcolabili dalla nostra memoria, ci piace pensare che si sia trattato di una persona importante, principe o principessa, re o regina, così come l’arte storica ci ha insegnato, sulla deriva della saggezza delle fiabe. Ignoriamo, concentrandoci come bambini sulla scoperta, che milioni e milioni di altri esseri sono morti in quel tempo infinitamente lungo e ignoto, non percepibile per noi. Perché i sommovimenti naturali e il tempo atmosferico, per non parlare dell’azione umana nei tempi storici, hanno modificato, disperso, rimodellato, ogni granello di polvere. E quindi non ci è dato sapere come vivessero in realtà quei nostri lontani antenati. Antenati che non avevano regni, non avevano famiglia, non avevano casa, ma vivevano come potevano quando trovavano un luogo accogliente e abbastanza sicuro; si coalizzavano in gruppi, partecipi ciascuno della vita dell’insieme con quel che potevano inventarsi, con apporti propri, e probabilmente istintivi, perché la sopravvivenza del gruppo era la sopravvivenza del singolo. E questo non in un’ottica di brutalità, ma di graduale avvicinamento alla com-prensione, alla com-mozione. Uno sviluppo costante e libero da sovrastrutture dogmatiche, proprio come i bambini. Una situazione che, davanti al mistero della morte, portava a una forma di com-passione diversa dalla nostra, perché non vi erano mezzi per ricavare tombe, se non spazi di fortuna da coprire alla meglio per evitare che gli animali facessero scempio dei cadaveri. Né vi erano ancora attrezzi per scavare una sepoltura profonda abbastanza da proteggere quietamente i poveri resti. Così è accaduto per la piccola Neve3, come per il bimbo rinvenuto a Le Moustier4. Nel secondo caso si tratta dei resti di un neonato, ritrovati nel Perigord francese nella località di Le Moustier, da cui ha preso il nome in seguito una delle culture preistoriche europee che ha lasciato numerose tracce. Sotto una casa abbandonata, ove gli strati di terreno consolidato lungo i millenni hanno iniziato in tempi moderni a disfarsi, sono comparsi i resti di un piccino sepolto lì 40.000 anni fa circa, avvolto in una pelle chiaramente usata. Sepoltura che, secondo un ragionamento che cerca di liberarsi dalle sovrastrutture della nostra quotidianità, mostra determinate caratteristiche. Il neonato è stato sepolto nel pietrisco, come per altri neanderthal, in un avallamento di una grotta, poi abbandonato per una migrazione. Poiché i neanderthal non avevano strumenti per scavare, il corpo del piccino è stato adagiato avvolto in quel che probabilmente la madre aveva a portata di mano e di cui poteva fare a meno, almeno in quel momento, per evitare che animali selvatici se ne cibassero. La pelle come prima protezione; quindi sopra, ghiaia, sabbia, terra, sono state con ogni probabilità una sepoltura per noi sommaria, ma era tutto quanto si poteva avere allora, e che anche in questo caso ha retto per tanto tempo. Si può ipotizzare una situazione simile per la neonata del mesolitico sulla costa ligure, che gli scopritori hanno battezzato Neve. Certo in questo caso la piccina, morta prima di raggiungere i due mesi di vita, è stata sepolta con un marsupio in pelle, usato e frusto, probabilmente il suo, decorato con frammenti di conchiglie forate. La sepoltura, simile alla precedente per condizione, all’ingresso di una caverna, ci parla di un sofferto abbandono, con un’accurata copertura a protezione del corpicino dallo scempio possibile di animali in cerca di cibo. Il marsupio decorato, che la madre probabilmente usava da tempo, è stato quanto ella si è potuta permettere di lasciare indietro per la sua piccina. Appare una constatazione un po’ azzardata, nonostante l’epoca e il luogo differenti, voler pensare alla piccola come ad un membro importante del gruppo, figlia di qualche personaggio. 2 Kindred: Neanderthal Life, Love, Death and Art, Londra, Bloomsbury, 2020. Nella versione italiana: Neanderthal. Vita, arte, amore e morte, 2021. 3 La sepoltura italiana è stata rinventura a Arma Veirana, nel comun ligure di Erli, in val Neva. Notizie su DiRE, Agenzia di Stampa nazionale del 14 -12 – 2021, e Archeologia Viva, 8 settembre 2022. Consultati nel settembre 2024. La piccina in questione, è in una sepoltura di circa 10.000 anni fa, e aveva tra 40 e i 50 giorni di vita, avvolta in un marsupio di pelle decorato da conchiglie. 4 Sykes, p. 45 e segg. 4 Soprattutto se si tiene in considerazione che l’Europa non ha mai avuto limiti per i nostri antenati che dovevano spostarsi continuamente come cacciatori e raccoglitori, superando mutamenti climatici che facevano spostare i branchi di animali da cacciare, o modificavano clima e terreni, portando a variazioni notevoli anche nel mondo verde. Catalogare i ritrovamenti come frutto di una società simile alla nostra in sostanza, è una sovrastruttura frutto del nostro mondo, del nostro sociale, e non di una realtà che in effetti non conosciamo. Solo il caso, e la vicinanza al mare – diversamente dal piccino di Le Moustier – ci ha tramandato le conchiglie. Questo ci indica solo che il gruppo umano a cui apparteneva la piccola era avvezzo a raccogliere i “frutti” del mare, sapeva lavorare le conchiglie di conseguenza, le conosceva, se ne cibava, le usava. Una deviazione necessaria Forse, quello sopra, è un discorso troppo ampio, ma ci porta inevitabilmente a rivalutare una vecchia scoperta, quella del premio nobel del 1965 Jacques Monod, che nelle prime pagine del suo celebre Il caso e la necessità ci insegna a non giudicare/catalogare “scientificamente” le cose troppo in fretta con un esempio strettamente scientifico. [… immaginiamo che… esperti della NASA marziana, desiderosi di scoprire sulla Terra le prove di un’attività organizzata, creatrice di ‘artefatti’ (mandino una) prima astronave marziana (che) atterri nella foresta di Fontainbleau, ad esempio vicino al villaggio di Barbizon. La macchina esamina e confronta le due serie di oggetti più evidenti che esistono nei dintorni: le case di Barbizon da un lato e le rocce di Apremont dall’altro… essa concluderà senza difficoltà che le rocce sono oggetti naturali, mentre le case sono artefatti. Rivolgendo poi la sua attenzione ad oggetti di dimensioni più modeste, esaminerà alcuni sassolini, a fianco dei quali scoprirà cristalli, ad esempio di quarzo. In base agli stessi criteri essa dovrà evidentemente concludere che, se i sassi sono naturali, i cristalli di quarzo sono invece oggetti artificiali… Ma supponiamo che la macchina studi ora un altro tipo di oggetto, per esempio un favo di api selvatiche. Essa vi troverebbe evidentemente tutti i criteri di un’origine artificiale… per cui quel favo verrebbe classificato nella stessa categoria di oggetti a cui appartengono le case di Barbizon… Risulterebbe ben presto chiaro, proseguendo nell’indagine, che – se esiste una contraddizione – essa non dipende da un errore di programmazione ma dall’ambiguità dei nostri giudizi. Infatti se ora la macchina esamina non più il favo ma le stesse api, essa non potrà riconoscere in esse che oggetti artificiali, estremamente elaborati. Anche l’esame più superficiale rivelerà nell’ape chiari elementi di simmetria semplice… Inoltre, e soprattutto, esaminando le api una dopo l’altra, il programma noterà che l’estrema complessità della loro struttura (per esempio il numero e la posizione dei peli addominali o le nervature delle ali) è riprodotta in ogni individuo con fedeltà straordinaria, prova quanto mai lampante che tali esseri sono i prodotti di un’attività deliberata, costruttrice, di tipo raffinatissimo. La macchina, sulla base di prove così schiaccianti, non potrebbe che segnalare… di aver scoperto sulla Terra un’industria al cui confronto la loro sembrerebbe probabilmente primitiva.]5 A sinistra, conchiglia di Haliotis rinvenuta in un sito preistorico, usata come contenitore, a destra un esemplare naturale attuale. 5 Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Milano, Mondadori, 1970, pp. 19-21. 5 6 Pregiati contenitori tardo rinascimentali realizzati in metalli preziosi con inserti di madreperla, conchiglie private dell’epitelio per mostrare la madreperla, e corallo. L’unica cosa che si salva, da una catalogazione scientifica a tutti i costi, è per noi il fascino che emana della conchiglia in sé, qualcosa di non esprimibile più dettagliatamente di così, che costituisce un filo ininterrotto tra noi e tutti i nostri antenati. Con quel poco di magia simbolica che possiamo percepire, ci possiamo rendere conto che la conchiglia occupa un posto importante nella storia umana. Ha un valore di vita e rinascita, di resistenza, e probabile resilienza in senso fisico in un’ottica di tempo, di ere geologiche. La conchiglia, intera, o qualche parte di sé per il tutto, sta nella nostra mano, ci può accompagnare. E’ di innegabile utilità quando, in tempi remoti, diventa un comodo contenitore impermeabile, per l’acqua, o qualunque altra cosa che la nostra mano non può stringere. Da qui la necessità di uno sguardo scientifico sulle cose, esteso con prudenza. Un accettare i ritrovamenti dapprincipio per quello che appaiono, senza affrettarsi a trarre conclusioni basate sulle nostre esperienze dirette. Il qui e ora nostro, non corrisponde necessariamente al qui e ora di altri. Esemplare di Pecten jacobaeus, area adriatica. A sinistra la valva superiore, a destra, la valva concava inferiore, usata come contenitore o decorazione apotropaica. Conchiglie radiate I bivalvi, soprattutto del genere Pecten, con forme e colori tanto perfetti, oltre all’utilità immediata di essere ottimi contenitori impermeabili “manabili”, hanno probabilmente suscitato associazioni di idee semplici, immediate, come tutte le cose della natura che circondava gli esseri umani della preistoria. Ecco così che nell’antichità il loro simbolismo era collegato idealmente agli organi della nascita. Il latino concha indica la conchiglia e per estensione la perla e i genitali femminili. Venere, dea della fecondità e della femminilità esce dalle valve di una conchiglia. 7 La nascita di Venere, Botticelli 1485. Nel Cristianesimo il guscio della conchiglia è anche la tomba cui si affida il corpo prima della resurrezione; ed è in questo contesto che ad esempio sui sarcofagi tardo romani e bizantini vanno viste le conchiglie che spesso compaiono nelle scansioni architettoniche ad arco o absidate che fan da sfondo ai personaggi rappresentati. La perla poi, è la conoscenza del Cristianesimo celata ai pagani6. Le due valve della conchiglia simboleggiano l’Antico e il Nuovo Testamento, mentre la perla è il Salvatore. Nell’arte successiva spesso si vedranno perle/uovo a coronamento del simbolismo della conchiglia che compare quale apoteosi di personaggi femminili particolarmente distinti, quali, soprattutto, la Madonna. 8 Piero della Francesca 1472-74 Avevamo tuttavia avuto esempi precedenti, che alla luce della storia del simbolo in sé acquisiscono una potente valenza, come il ritratto a mosaico bizantino dell’Imperatrice Teodora, di cui si è scritto sopra. Qui e oltre in questo paragrafo, cfr. Spinelli Anna, Il mare e l’acqua nei mosaici di Ravenna: le simbologie che accompagnano la vita. Reperibile liberamente in rete su: Academia.edu. 6 All’inizio della nostra epoca era diffusa la credenza che nel Mar Rosso (e per estensione nell’ancora poco noto – per il mondo mediterraneo – Oceano Indiano), le conchiglie stessero sulla riva con le valve aperte nell’attesa di cibo. Quando, come spesso accade in quei mari scoppia la tempesta, il fulmine entra nella conchiglia, la quale, spaventata serra subito le valve, e il fulmine, colpendo i globi oculari della creatura, glieli trasforma in perle. La conchiglia in seguito muore, ma le perle si dice che risplendano laggiù, nel Mar Rosso. Su questa fantasiosa tradizione si innesta quella del fulmine divino, di Maria e della nascita di Gesù. E tuttavia, la leggenda marina è chiaramente basata su fatti naturali così come potevano venir narrati, carichi di meraviglia, da viaggiatori e mercanti i quali, a contatto col mondo arabo, per secoli tramiti marittimi verso l’Estremo Oriente, lasciavano trapelare tracce di un ambiente totalmente ignoto a quello romano imperiale. I racconti, passando di bocca in bocca, si colorivano caricandosi di imprecisioni e fantasie. Sopra immagini di diverse varietà di tridacne in vivo, e sotto un esemplare da collezione. Le conchiglie cui si riferisce la storia sono senza dubbio le Tridacna gigas (Linneo), bivalvi che raggiungono spesso dimensioni notevoli, superando i due metri d’ampiezza e il quintale di peso. Per la sua forma lobata che richiama quella della conchiglia di san Giacomo, la tridacna è stata spesso preda ambita per venir trasformata in acquasantiera. Infatti sono celebri quelle della chiesa di Saint Sulpice a Parigi (XIII sec.) che misurano circa un metro e mezzo. Usate nei reliquari, spesso incastonate in metalli preziosi, sono state oggetto di una caccia spietata, che ha dato origine a leggende ben più fosche che le ha portate sull’orlo dell’estinzione, tanto che oggi si tratta di animali protetti. Poiché vivono su fondali corallini, le tridacne si cementano alle madrepore durante la crescita, lasciando sporgere dalle valve solo il mantello che con movimenti ritmici raccoglie piccole alghe e microrganismi vegetali di cui si nutre. Tutt’altro quindi che il terribile predatore pronto ad afferrare i malcapitati subacquei a caccia di perle e tesori sommersi che una certa tradizione fantastica ha consolidato fino ai nostri giorni. Fantasia che spesso si è sommata all’idea del castigo divino meritato dai malcapitati. E tuttavia leggende sui mitici animali dell’Oceano Indiano si sono diffuse per secoli, come può testimoniare qualche pagina diaristica antica di viaggio: 9 (26 giugno 1404) [… Dalla città di Ormus, grande abitato che era appartenuto all’India minore mentre ora era di Timur beg, a questa città di Soltania, arrivano molte perle e pietre di pregio, che dal Catai vengono per mare le navi fino a una distanza di dieci giornate da questo centro. Navigano attraverso il Mare Occidiano che è quello al di fuori della terra, e per arrivare al fiume vanno per dieci giorni fino alla città di Ormus. Le navi e le fuste che navigano in quel mare non hanno nel fasciame né nelle costole altro che cavicchi di legno e corde; poiché se fossero rifinite in ferro, tosto si disferebbero, per via delle pietre diamantine che abbondano in questo mare. Con queste fuste arriva una gran quantità di perle, che tuttavia vengono prese per essere lavorate e forate;… La maggior parte delle perle al mondo si pesca e si trova in quel Mare del Catai, e viene portato in questo posto di Ormus per essere forato e lavorato. Mercanti cristiani e mori dicono di non sapere ancora da queste parti dove si lavorino né dove si formino le perle, se non in questo centro di Ormus; e da qui da Ormus si viene fino alla città di Soltania in sessanta giorni. Inoltre dicono in questa terra di ponente che la perla nasce in una conchiglia grande che chiamano nacchera, e quelli che vengono da quella terra e dalle parti di Ormus e del Catai dicono che le perle nascono e si trovano nelle ostriche; e le ostriche in cui si trovano sono grandi e bianche come la carta; e ne portano a questa città di Soltania e a quella di Turis ricavandone anellini da donna, orecchini e altre cose che sono simili alle perle…]7 Decorazione parietale con conchiglia lungo il cammino di San Giacomo di Compostella. Se il Pecten Jacobaeus prende il nome dal santo grazie al culto del quale si sviluppa il pellegrinaggio meditativo lungo il cammino di San Giacomo di Compostella, rendendo tale conchiglia un oggetto prezioso per il pellegrino, spesso occhieggiante dall’arte locale sulla costa settentrionale iberica, è interessante notare che sulla costa meridionale della stessa penisola esistono pavimenti di sacrari e templi tappezzati di conchiglie bivalvi. Sia del genere pecten, già viste, che di 7 Il brano è riassunto dalla traduzione del diario originale: Spinelli Anna, Dal Mare di Alboran a Samarcanda. Diario dell’ambasciata castigliana alla corte di Tamerlano (1403-1406), Ravenna, Fernandel, 2004, pp. 180-82. Il Mare Occidiano citato nel brano, era nell’antichità il mare che circondava le terre note, Quindi l’Oceano Atlantico e quello Indiano insieme, ovvero il mare esterno ai tre continenti di Europa, Africa e Asia. Quanto alle pietre diamantine, si intendevano i coralli. Le imbarcazioni, nell’Oceano Indiano, sono state costruite fino a tempi recenti solo in legno, con cavicchi e corde, senza elementi metallici, che sarebbero stati corrosi rapidamente dalla salinità di quel mare. Inoltre, essendo realizzate con un materiale uniforme, sono più resistenti nei numerosi bassi fondali ai coralli. Tra le cose che si favoleggiavano in tempi andati c’è la presenza presunta di diamanti, talvolta rinvenuti in depositi alluvionali nel subcontinente indiano, e da questo è probabilmente discesa la credenza che pietre taglienti come il diamante costituissero la materia delle iridescenti quanto pericolose madrepore. Quanto al termine ‘nacchera’ Il termine è derivato da un vocabolo arabo che ha i significati di ‘incavo’, ‘depressione’, ‘cavità’, ‘orbita dell’occhio’, ‘palmo della mano’. In spagnolo indicava il timpano o il timballo in quanto tamburelli o strumenti concavi, e anche lumache e conchiglie. Oggi nacares indica la madreperla o il tamburello ed è stato qui tradotto con l’equivalente italiano di ‘nacchera’, che pur obsoleto nel senso, è riferito sia al tamburello che a una varietà di bivalve (Pinna spcs.) molto più grande dell’ostrica perlifera, produttore di bisso, la cui pesca e conseguente produzione del tessuto è oggi scomparsa. 10 Glycymeris, data la maggior facilità di ritrovamento lungo le spiagge mediterranee, ma tale uso risale al tempo fenicio, ed è diffuso in buona parte del Mediterraneo a partire dal Vicino Oriente. 11 Mosaico pavimentale di San Vitale a Ravenna (VI secolo) reminiscente dei pavimenti fenici risalenti probabilmente al VI secolo a. C. in area mediterranea (vedi sopra). A sinistra con conchiglie di pecten, a destra con Glycymeris. Spagna meridionale (Cfr. Conchas de Salvación in bibliografia). Sotto: esemplare di Glycymeris. Non ci è dato sapere se vi sia un legame continuativo tra quelle decorazioni risalenti a un periodo compreso tra il X e il IV secolo a. C. e i Pecten portati dai pellegrini per abbeverarsi lungo il tragitto. Forse un certo valore apotropaico – difesa psicologica e rinnovamento attraverso il sacrificio del viaggio – accomuna questi oggetti fin dall’infanzia dell’umanità. Una forma di affettuoso attaccamento a qualcosa di cui si è perso il ricordo e che ricompare, per esempio, negli stati meridionali degli Stati Uniti, dove gli spagnoli hanno lasciato comunque grosse influenze, per esempio nell’uso di coprire con conchiglie di bivalvi radiati le tombe8. 12 Quanto alla perla, “frutto” di molti bivalvi, essa può senz’altro collegarsi al valore della nascita, della rassicurante continuità del valore della vita. Perciò si usa la madreperla come gioiello. Ad alimentare la leggenda delle conchiglie colpite dal fulmine che ne trasforma gli occhi in perla, potrebbe aver probabilmente contribuito il ritrovamento, un tempo senza dubbio ben più frequente dei cosiddetti “occhi di gatto”, in realtà opercoli di una famiglia di gasteropodi marini di buone dimensioni e molto comune in passato, i turbinidi. Usati per ricavare madreperla fino a rasentare l’orlo dell’estinzione, hanno un opercolo che in alcuni casi può arrivare a pesare anche mezzo chilo, grezzo all’esterno, ma di madreperla lucida all’interno con una macchia centrale di colore variabile a seconda della specie, che lo fa somigliare in modo inquietante ad un occhio. Il loro ritrovamento fortuito li ha trasformati in occhi divini, e considerare talismani preziosissimi. Nell’Apocalisse, a proposito della Gerusalemme celeste è scritto: E le 12 porte sono 12 perle; ciascuna porta formata da una sola perla (21,21). Nel mondo anglofono le Porte del Cielo si chiamano infatti Pearly Gates. Nel mondo islamico infine, le parole eccelse sono paragonate a Cfr. in rete “Riportami a casa” ovvero il senso delle tombe ricoperte di conchiglie nel Sud degli Stati Uniti. Arzyncampo (consultato nel settembre 2024). 8 perle, dato che la parola è il dono supremo di Dio all’uomo. Infilare perle è in arabo metafora comune per indicare la composizione di versi, ovvero nell’impiegare il genio dato da Dio, la scintilla divina più autentica. Di perle possono essere incoronate le immagini dei martiri, un simbolo della ricompensa eccelsa che essi ottengono, come la palma, come l’alloro. Del resto, nell’antichità dell’estremo oriente, il drago, una variazione dell’uroboro che rappresenta i corsi e i ricorsi della vita, insegue una perla perfetta. Perla che è una lacrima della Luna, nel suo incessante andare e ripresentarsi sempre diversa ogni giorno, sempre nuova, a coronare ciò che è eterno e rinnovato a un tempo. Conchiglie a portata di mano L’impiego utilitaristico delle conchiglie viaggia di pari passo con quello affascinante del simbolismo attraverso la preistoria e poi la storia umana. E’ così che troviamo conchiglie usate come strumenti sonori potenti, soprattutto i grandi gasteropodi del genere Charonia, un tempo diffusi anche nel Mediterraneo, e oggi piuttosto nei mari tropicali, dove sono state oggetto di pesca sconsiderata fino quasi all’estinzione, la cui conseguenza è stata il minare l’esistenza stessa di zone costiere e isole9. 9 I gasteropodi del genere Charonia si nutrono di predatori del corallo, il quale crea barriere protettive costiere in tempi lunghi, ma la cui riduzione porta il mare a erodere le coste. 13 14 I grandi viaggi di scoperta dell’età moderna hanno contribuito ad accrescere il fascino e il valore delle conchiglie. Quelle adeguate per forma e struttura presero il posto per esempio delle pietre dure per la produzione di cammei. Arte della gioielleria già nota nell’antichità, ma che dal Settecento in poi si avvalse anche di conchiglie dal guscio spesso come le Cassis, tra i materiali per la fabbricazione di cammei. Nel Settecento, grazie agli scavi di Pompei e al manierismo artistico che pretendeva rifarsi alla classicità, con un già diffuso attaccamento all’esotismo, al fascino dell’ignoto oriente, fu proprio nella zona costiera campana che probabilmente nacque quest’arte, essendo già in voga da parecchi secoli la lavorazione del prezioso corallo. In quello stesso secolo, la passione per oggetti pregiati esotici, come perle e madreperle, portò anche all’invenzione dei bottoni in madreperla, spesso dipinti come miniature. Divenuti oggetti d’uso comune nel giro di un secolo, i bottoni rischiarono di portare sull’orlo dell’estinzione i trochidi, gasteropodi dalla spessa madreperla. In particolare il Trochus niloticus, che già nel nome ci fa comprendere come manie e leggende si unissero nella credenza che tali conchiglie venissero dall’Egitto misterioso, magico e affascinante, mentre in realtà provenivano dall’Oceano Indiano, e arrivavano a noi attraverso il Mar Rosso, su fino alle piste che costeggiavano il Nordafrica. Si può tuttavia presumere che oggetti di madreperla, ricavati dalle stesse conchiglie, fossero in uso già alla fine dell’impero romano, tempo da cui tuttavia non sono arrivati materialmente reperti del genere. La madreperla, da sempre è stata materiale ambito per intarsi su oggetti preziosi, come cofani portagioie, mobili (suppellettili che solo le classi sociali superiori potevano permettersi), e poi strumenti musicali, e anche armi da fuoco. 15 16 Va da sé che le conchiglie, grazie ai viaggi di scoperta commerciale e ai ritrovamenti in mari esotici, sono diventate anche oggetto da collezione. La pittura olandese di genere ce ne presenta numerosi esempi10. L’Olanda del Seicento, alle prese coi problemi economici di un paese che andava faticosamente ritagliandosi l’autonomia e sviluppando una propria cultura sociale, era disposta a guardare con interesse concreto ad ogni novità che arrivasse dall’oriente. Un oriente che già costituiva motivo di speculazioni economiche in cui proprio l’industrioso paese, dopo essere stato una colonia spagnola penalizzata, si sarebbe guadagnata un posto di tutto rispetto. Non fu un caso che le migliorie introdotte nella carpenteria navale permettessero agli olandesi di diventare i maggiori e incontrastati produttori di capienti imbarcazioni da trasporto oceanico, resistenti e 10 Cfr. in questa stessa raccolta di articoli: Spinelli Anna, Tulipani e speculazioni… di borsa e di pensiero. attrezzate per le difficoltà di viaggi lunghissimi e in condizioni quantomeno difficili11. Ecco così che nella pittura di genere comparvero fiori e frutti esotici, e soprattutto i celebri tulipani virosati12. 17 Fiori che si andarono ad aggiungere in Olanda a quelle cose – belle perché esotiche – dall’alto rendimento, quali il cacao, il tabacco, le porcellane. Nella nuova classe di benestanti che si andava consolidando nelle grandi città commerciali settentrionali dei Paesi Bassi, oltre ad argenterie e porcellane, in casa ci fu spazio per l’arte, non necessariamente utile, ma fatta di oggetti di pregio da esibire. Perciò fu forse inevitabile che fiori ricercati perché ignoti in precedenza, e dai prezzi proibitivi, divenissero oggetto di rappresentazioni, come appare da buona parte della corrente pittorica di fiori dalla fine del XVI secolo in poi. I fiori, nei trionfi di mazzi esuberanti e impossibili, non furono i soli soggetti della pittura di questo genere poiché li si vede normalmente accompagnati da vasi in porcellane cinesi o giapponesi rese con tanta perfezione da poter identificare fornaci e luoghi di provenienza. Spesso in queste esuberanti nature “morte” i mazzi di fiori sono accompagnati da altri costosi esotismi, quali raffinati oggetti in metallo di provenienza varia o grandi conchiglie dell’Oceano Indiano a loro volta perfettamente identificabili. 11 Cfr. Spinelli 2003 al capitolo La pirateria locale in Europa e s. v. Indiaman. I corsari olandesi bottinavano le saline spagnole del nuovo mondo per cedere il sale ai paesi baltici in cambio di legname con cui soddisfacevano le numerose commesse interne e straniere di galeoni per la navigazione e il trasporto oceanico, gli indiamen. Inoltre, si deve soprattutto agli olandesi la diffusione del tabacco, del cioccolato, e il costante impulso all’importazione di porcellane prodotte su ordinazione in Cina, oltre che dal Giappone, di cui gli olandesi rimasero gli unici referenti stranieri dopo la chiusura dei contatti commerciali con l’estero nel periodo shogunale. Ancora oggi, nelle storielle popolari delle coste cinesi, in città come Hong Kong e in Indonesia, l’olandese rimane come proverbiale sinonimo di avidità e mancanza di scrupoli nel far denaro. 12 Il termine indica scientificamente il tipo unico di marezzatura sui petali di celebri tulipani olandesi, che solo nel XX secolo si è scoperto essere dovuta a un virus. Cfr. l’articolo in questa serie: Tulipani e speculazioni... di borsa e di pensiero. http://www.endasravenna.it/wp/pagine-darte/tulipani-e-speculazioni/ . 18 Chi poteva poi permettersi di ottenere tante conchiglie esotiche, e magari anche madrepore coralline, lanciò la moda negli stessi secoli della cosiddetta rocaille (foto sotto). Ovvero, una decorazione composta di pietre e sassi particolarmente attraenti, uniti a prodotti del mare quali grandi conchiglie e frammenti corallini per decorare, come fossero stalattiti, angoli di giardini privati, da mostrare agli ospiti, come tocco di esotismo. Moda che sconfinava nella mania di stanzette delle meraviglie, cui si aggiungevano porcellane o altri oggetti preziosi, quanto spesso ignoti, ottenuti dalle importazioni a seguito dei grandi viaggi per mare. E’ sempre nell’Oceano Indiano che i primi avventurieri portoghesi si trovarono di fronte a una tale profusione di lucidissime conchiglie di ciprea, da presumere che esse fossero il materia di base della porcellana cinese. Un prodotto da sempre ambito da essere ritenuto persino portentoso, il cui segreto sarebbe stato scoperto per caso solo agli inizi del Settecento in area bavarese13. I marinai portoghesi che trovarono tanta profusione di cipree, pensarono di raccoglierle e polverizzarle, per impastarle come l’argilla e fabbricare porcellana. Inutilmente. Ma quel primo incontro con questa meraviglia dei mari orientali, grazie all’aspetto dell’apertura ventrale di tali conchiglie portava ad un’associazione visiva con i genitali femminili, tanto che i marinai le chiamarono porsole, ovvero ‘porcelline’, passando poi lo stesso nome alla porcellana. Il nome scientifico di poi, cipree, si rifà alla leggenda di Venere come dea dell’amore, mantenendo viva quella prima impressione. Nell’Oceano Indiano poi, tra le tante cipree, ce n’erano due varietà, piccole, comuni, da essere usate come moneta in tutti i paesi che si affacciavano su quel mare. La Monetaria moneta e la Monetaria annulus venivano raccolte soprattutto nell’arcipelago delle Maldive, immergendo in acque basse foglie raggiate di palma, a cui i piccoli gasteropodi tendevano ad aggrapparsi per nascondersi. Venivano poi raccolte e vendute (in cambio di oro) ai commercianti degli altri paesi. Questo perché le monete di rame, o di altro metallo, tendevano a ossidarsi fino a disfarsi rapidamente a causa della Cfr. Spinelli Anna su Academia.edu.: Dal segreto leggendario della porcellana all’invenzione della maiolica, 2010; e Arte islamica e Mediterraneo. Castelli, musica, maioliche, 2007. 13 salinità di quel mare. Lo stesso motivo accennato sopra, a proposito del fatto che le imbarcazioni dell’Oceano Indiano non avevano chiodi o altri elementi metallici. 19 Insieme di esemplari di Monetaria moneta e Monetaria annulus, esemplari adulti e juvenilia. Sotto, altre varietà di cipree dell’Oceano Indiano. Sempre dall’Oceano Indiano arrivavano per il mondo induista e buddhista le conchiglie di buccina, che un mito voleva essere state usate per nascondere e proteggere testi sacri. Ancora oggi nei monasteri le conchiglie di Turbinella pyrum, le buccine, vengono conservate, incastonate in decorazioni preziose, come simbolo beneaugurante, e talvolta usate alla stregua delle charonia come strumento a fiato per scandire i tempi della vita del monastero. Antico simbolo della forza e dell’energia delle divinità creatrici, il loro suono viene recepito come il primordiale ōm, a cui tutti torniamo. Suono sconvolgente che annichilisce la mente affinché si prepari alla percezione, all’intuizione del suono della verità. Così, se la buccina è un orecchio, la perla è la parola della saggezza. 20 Qui sopra, esemplari di conchiglie di Turbinella pyrum. A sinistra lavorate come oggetti sacri, a destra al naturale. Alla fine di questa raccolta di usi, antichi e moderni, resta per noi il fascino dell’oggetto conchiglia, e tutta la leggendaria mitologia che l’accompagna. Forse non serve cercare il senso e il significato di questa passione universale, letteralmente, ma basta fermarsi al fascino che le conchiglie esercitano sugli esseri umani. Un fascino che potrebbe semplicemente essere quello che ci portiamo dietro fin dall’infanzia, quando si entra in contatto con queste meraviglie della natura. Anna Spinelli Stellaria solaris 21 BIBLIOGRAFIA Carassiti Anna Maria, Dizionario di mitologia greca e romana, Roma, Newton Compton, 1996. Cattabiani Alfredo, Acquario, Milano, Mondadori, 2002. 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