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Un ampio e articolato dibattito 1 , relativo al Mezzogiorno tra Rivoluzione e Restaurazione, ha interessato, negli ultimi anni, categorie differenti di studiosi che hanno voluto puntare l'attenzione non soltanto sugli aspetti politico-istituzionali del decennio francese a Napoli e del coevo esperimento costituzionale inglese in Sicilia, ma anche sul ricco corollario di fenomeni economico-sociali, e sui riflessi pedagogico-culturali, sottesi alla formazione di quella nuova società che avrebbe caratterizzato il "secolo borghese". Studi recenti hanno voluto sottolineare un certo senso di continuità tra le varie fasi del riformismo settecentesco -e del suo frastornato rapporto con i vertici del potere -e le "conquiste" che sembrarono consolidarsi in quel travagliato momento di passaggio compreso tra gli anni giacobini e la Restaurazione.
Polittico castelbuonese. Lettura strapaesana, Le Madonie, Castelbuono, 1983, p. 15. 2 Tra il 1951 e il 2001, Petralia Sottana è passata da 6.157 abitanti a 3.311, Petralia Soprana da 5.649 a 3.688, Gangi da 11.015 a 7.614, Geraci da 3.784 a 2.105, San Mauro Castelverde da 4.875 a 2.166, Isnello da 3.697 a 1923, Collesano da 6.348 a sarebbe certo il fondatore e direttore a sorprendersene, se glielo si facesse notare. E avrebbe ragione. Non ci vuole, infatti, molto a capire che «Mediterranea» è conforme allo spirito e alla personalità di Cancila, una rivista di ricerca e di riflessione, che si fa con le idee e gli orientamenti del fondatore, ma ancor più, e anche per lui, in itinere, strada facendo. Contano i risultati di ricerca e di lavoro che via via si acquisiscono, così come ha fatto Cancila stesso nella sua lunga attività scientifica, senza ambizioni di costruire teorie e interpretazioni, generali o non, da riuscire e da imporre come prescrittive. Se tali teorie e interpretazioni maturano nel lavoro che si fa, si faranno notare da sole. E in «Mediterranea» c'è già molto di questo, e non si fa nessun torto a Cancila, anzi gli si rende l'onore dovuto, se gli si dice che questa rivista rimarrà come il suo opus maius, il degno e coerente coronamento di una milizia storiografica pluridecennale e ricca di conseguimenti notevoli, nonché, per gli studiosi e per la vita intellettuale del nostro tempo, come una sua grande, esemplare benemerenza.
Non si possono incontrare et urtarsi se non quei che caminano per la medesma via, ma quei che vanno per diverse strade non possono né urtarsi né incomodarsi; […] il regno di Cristo non è di questo mondo, ma in Cielo, e […] però la religione camina per via celeste, et il governo di stato per via mondana, e però uno non può mai incommodar l'altro. 1
2024
febbraio XII indizione 1598 (s.c. 1599)-quando ormai era defunto da un quindicennio: «Antoniam de Aragona, puellam virginem filiam condam don Antonij de Aragon olim ducis Montis Alti et comitis Collisani, sponsam ex una parte» 4. In un memoriale al sovrano del 1660, il nipote ex filio, Giovanni IV, a proposito della nonna Antonia elencherà i parenti del padre (il suo bisnonno), ma non farà alcun riferimento alla madre della stessa Antonia (la sua bisnonna). Per Giovanni IV, la nonna Antonia era figlia di Antonio II d'Aragona, duca di Montalto, e inoltre nipote ex filio di Antonio I d'Aragona e pronipote di Ferdinando d'Aragona, primo duca di Montalto e figlio naturale del re di Napoli Ferdinando 5. Ma chi era la madre? Il defunto Antonio II d'Aragona e Cardona, padre di Antonia, si era sposato due volte: nel 1562 con Maria La Cerda, figlia del viceré duca di Medinaceli e, nel 1577, vedovo, con Aloisia de Luna e Vega, vedova dal 1571 del principe di Paternò Cesare Moncada. Dalla prima ebbe Maria d'Aragona e La Cerda, erede universale, che sposò Francesco Moncada, figlio di primo letto di Aloisia; dalla seconda (ossia Aloisia de Luna) ebbe Bianca Antonia, sua erede particolare con una dote di paraggio di 60.000 ducati (onze 20000) 6. Di Bianca Antonia non si hanno più notizie ed è da escludere che fosse da identificare con la nostra Antonia, moglie di Giuseppe I, anche perché in occasione della costituzione della sua dote nel 1599, Aloisa de Luna, ancora vivente, non partecipò in nessun modo, risultando peraltro del tutto assente. Né la ricordò nel suo testamento del 28 febbraio 1620 7. La dote di Antonia fu interamente pagata dalla sorellastra Maria d'Aragona e La Cerda, duchessa di Montalto e principessa di Paternò, indicata nel contratto matrimoniale come «principale dotante». E, ulteriore conferma che Antonia non era Bianca Maria, la dote a lei assegnata non fu di 60.000 ducati, ossia di 20000 onze, bensì di 44.000 scudi, ossia di 17600 onze. Per il viceré d'Osuna, in una lettera del maggio 1614 a re Filippo III, Antonia d'Aragona era figlia bastarda del duca di Montalto 4 Ivi, cc. 411r-v.
Il presente lavoro raccoglie, con numerose modifiche e ampie integrazioni, le pagine dedicate ai Ventimiglia di Geraci nei miei due precedenti volumi Castelbuono medievale e i Ventimiglia e Nascita di una città. Castelbuono nel secolo XVI, pubblicati rispettivamente nel 2010 e nel 2013 dall’Associazione Mediterranea di Palermo, mentre sono quasi interamente inedite le pagine sul marchese Giovanni III Ventimiglia. Con questo personaggio, deceduto nel 1619, si chiudeva definitivamente il ciclo più esaltante e prestigioso della storia della famiglia. Con la sua scomparsa i Ventimiglia di Geraci uscivano infatti per sempre dalla grande storia, per rimanere confinati nell’ambito strettamente siciliano, talora − nei momenti migliori − anche meridionale, ma con ruoli comunque non di primissimo piano.
Siamo (dico siamo, perché consideriamo Ninni sempre presente tra noi), siamo fieri di quanto abbiamo creato e ci auguriamo che i nostri successori seguano il nostro esempio. E adesso, carissimo Ninni, ave atque vale, sento che non tarderò a raggiungerti e potremo riprendere le nostre lunghe chiacchierate, non più al telefono come negli ultimissimi anni, ma de visu in Paradiso, convinto come sono che per noi c'è sicuramente posto, perché abbiamo sempre lavorato con onestà, serietà e impegno, dalla nascita sino agli ultimi giorni, altrimenti non ce l'avremmo mai fatta ad arrivare dove siamo arrivati. Un forte abbraccio, Orazio
Il marchese di Geraci Giovanni III Ventimiglia (1559-1619) discendeva da una delle famiglie più prestigiose della Sicilia, al cui governo i suoi predecessori avevano dato tra medioevo ed età moderna un viceré e parecchi presidenti del Regno, ossia viceré interinali. Egli stesso fu presidente del Regno di Sicilia per circa un triennio nel 1595-98 e ancora a fine 1606. In precedenza (1588-89, 1592-94) era stato stratigoto di Messina, dove fu apprezzato per la sua prudenza e per il suo valore, e dal novembre 1591 aveva tenuto la carica di vicario e capitano d'arme generale del Val di Noto, alla quale nel giugno 1592 aggiunse quella di vicario e capitano d'arme generale del Valdemone, che ne facevano nei due Valli l'alter ego del viceré.
in L. Lotti-R. Villari (a cura di), Filippo II e il Mediterraneo, Laterza, Roma, 2003, pp. 125-145 , 2003
International Journal of Pentecostal Missiology, 2019
Revista Mexicana de Física E, 2020
Journal of Earth Science, 2018
Arte, Individuo y Sociedad, 2024
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Jurnal Online Manajemen ELPEI
Maine Policy Review
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Revista Latinoamericana de Herpetología , 2024
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