Mousai
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Mousai
Laboratorio di archeologia e storia delle arti
collana diretta da
Stefano Bruni
comitato scientifico
Gianfranco Adornato, Francesco Buranelli, Francesca Cappelletti,
Stella Sonia Chiodo, Alessandra Coen, Marco Collareta, Roberto Contini,
Valter Curzi, Gigetta Dalli Regoli, Lucia Faedo, Vincenzo Farinella, Michele Feo,
Françoise Gaultier, Sauro Gelichi, Elisabetta Govi, Sonia Maffei,
Concetta Masseria, Maria Elisa Micheli, Marina Micozzi, Andrea Muzzi,
Alessandro Naso, Fabrizio Paolucci, Giovanna Perini Folesani,
Maria Grazia Picozzi, Stefano Renzoni, Max Seidel,
Carlo Sisi, Lucia Tongiorgi Tomasi
Ogni volume è sottoposto a doppio referee anonimo.
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Gioielli per gli dei
Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Atti delle Giornate di Studi
Urbino, 13-14 gennaio 2023
a cura di Alessandra Coen
Edizioni ETS
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www.edizioniets.com
La pubblicazione è stata realizzata con il contributo
dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo - Dipartimento di Studi Umanistici
© Copyright 2024
Edizioni ETS
Palazzo Roncioni - Lungarno Mediceo, 16, I-56127 Pisa
[email protected]
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Distribuzione
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Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI)
Promozione
PDE PROMOZIONE SRL
via Zago 2/2 - 40128 Bologna
ISBN 978-884676867-4
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Indice
Premessa
Alessandra Coenvii
Attorno ai Τυρρηνîν ἱερά χρήματα. Alcune riflessioni in forma di introduzione al volume
Stefano Bruni ix
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Preziosi doni per Menerva. Gioielli e ornamenti dal santuario di Portonaccio a Veio
Laura M. Michetti
1
Preziosi doni per Cavatha. Gioielli e ornamenti dal Santuario Meridionale di Pyrgi
Alessandro Conti
13
Estetica e devozione. Indagine sull’iconografia degli ornamenti femminili
nel panorama cultuale ceretano e veiente
Chiara Lo Verme, Carla Tulini
23
Gli ornamenti dall’area sacra di Banditella, presso Vulci
Elisa Biancifiori
35
Oggetti preziosi spezzati nel ‘complesso monumentale’ di Tarquinia
Giovanna Bagnasco Gianni
43
I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
Alessandra Coen
57
Gioielli e ornamenti nel santuario dell’acropoli di Volterra
Lisa Rosselli, Marisa Bonamici
71
Rariora dal complesso di Ortaglia nel territorio volterrano nord occidentale
Stefano Bruni
85
Ornamenti per Feronia: testimonianze dal santuario capenate
M. Gilda Benedettini, Anna Maria Moretti Sgubini
99
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Dediche votive in metalli preziosi dall’Italia meridionale
Pier Giovanni Guzzo
109
Dediche di gioielli nei santuari di area sannitica
Gianluca Tagliamonte, Antonella Natali
121
Abbreviazioni bibliografiche
133
vi
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera*
Alessandra Coen
Il rinvenimento di oggetti preziosi, in particolare gioielli, nei santuari femminili pone da sempre diversi
interrogativi1. Essi possono essere interpretati come votivi per trasformazione, secondo un’ormai ben nota definizione di J.P Morel 2, ovvero rappresentare l’offerta alla divinità di oggetti personali, il cui significato anche
affettivo rende ancor più pregnante il valore della dedica. Va tuttavia considerata anche l’ipotesi che in qualche
caso si tratti piuttosto di monili usati per adornare la statua della dea o consacrati a seguito della loro esibizione
in riti iniziatici e feste collettive3. L’assimilazione alla divinità, anche attraverso la condivisone di vesti e ornamenti, è d’altro canto ben evidente nelle manifestazioni della coroplastica, tanto che in alcuni casi non è ancora
chiaro se statue o busti rappresentino i/le fedeli o piuttosto la divinità stessa.
Il santuario di Campo della Fiera ha restituito resti di un acròlito (un braccio e una mano che stringe una
melograna), probabilmente raffigurante Demetra o Persefone, databile tra V e IV sec. a.C.4. Non abbiamo
elementi per poter capire se la statua fosse arricchita anche da ornamenti, come avviene per alcune immagini
della/e dea/e che provengono da santuari greci o magno-greci5. Anche in area laziale, ad es. le note statue della
dea e della figlia Proserpina dal deposito votivo in loc. Casaletto ad Ariccia indossano gioielli6.
L’associazione degli ornamenti ai culti delle due divinità eleusine è ampiamente testimoniata dalle cd.
statuette di Athena Lindia, molto comuni in ambiente siceliota e strettamente legate appunto ai culti ctonii
di Demetra e Kore, che indossano appunto più file di collane con pendenti a ghianda e circolari o a protome
animalesca, a costituire una sorta di pettorale7. Il tipo si data principalmente tra gli ultimi decenni del VI e
il V sec. a.C., ma non mancano attestazioni seriori, come hanno evidenziato gli studi di M. Albertocchi. Il
modello è replicato anche in ambiente punico, pure più tardi nel corso del IV sec. a.C., come mostrano le
* In primo luogo vorrei ringraziare Simonetta Stopponi per avermi dato l’opportunità di studiare questi interessantissimi materiali
provenienti da uno dei luoghi più suggestivi dell’Etruria. Un ringraziamento va anche a Marco Cruciani per il grande supporto e la pazienza
dimostrata.
1
Sul dono delle gemme, vd. ad es. Mastrocinque 2009; Rigato 2011. Per l’ambito magno greco, Guzzo 1998a; Parisi 2017, 533 e gli
interventi di G.P. Guzzo e G. Tagliamonte, A. Natali in questi stessi Atti.
2
Morel 1992.
3
Cenni in questo senso in Betti 2003, 159; Castor 2009, 249; Rigato 2011, 46 ss.; de Grummond 2011; Franco 2017, 246. Fondamentali per il mondo greco, Caliò 2014; Sassu 2014. Come scrive lo studioso (p. 46): “Il processo di assimilazione tra umano e divino nel mondo
antico ha dunque un medio comune che è l’oro, sia utilizzato come mezzo di imitazione del dio attraverso l’uso di acconciature e di gioielli
o di vesti preziose, sia come materiale per la costruzione di statue votive o di simulacri”. Ad es. i pesi da telaio con iscrizioni relative alla
divinità sono stati interpretati anche come oggetti riferibili a telai per tessere le vesti per la dea (Ambrosini 2000, 158-161; Bellelli 2012, 459).
Per il ruolo degli strumenti tessili nelle aree sacre vd. Gleba 2008; Meyers 2013.
4
Stopponi 2012, 15 s., tav. VIII.2.
5
Vd. Caliò 2014. Orlandini interpretava come Demetra la nota protome di rilevanti dimensioni con collana a doppio giro (bulle
ghiandiformi e teste di toro) dal Santuario del predio Sola a Gela (Orlandini 2008, 173, fig. 13); contra Ismaelli 2013, 132 s., tav. XIII.2;
Parisi 2017, 86-90, fig. 32.
6
In particolare entrambe indossano orecchini a piramide e Cerere anche un torques (Zevi 2012, figg. 1-2). Lo studioso (ibidem, 141)
segnalava anche la presenza nel deposito votivo di alcune oreficerie, sopravvissute ai saccheggi subiti dal santuario: oltre a due coppie di
orecchini, una in argento e l’altra in lamina d’oro conformata a pigna, un anello d’oro, di fattura etrusca, con castone a rilievo raffigurante
la lotta di Teseo con il toro di Maratona. Nancy de Grummond ha sottolineato proprio l’importanza che gli orecchini assumono nell’iconografia di Persefone (de Grummond 2004, 360).
7
Dewailly 1992; Albertocchi 2003.
57
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
a
Fig. 1 - a. Teste dalla cd. tomba delle teste votive, Cerveteri, necropoli della Banditaccia (da Roma 2014); b. antefissa dal tempio del Belvedere, Orvieto. Orvieto, Museo Archeologico Nazionale.
cd. statuine con “collane a semi”8. Alcune statuette del tipo sono attestate anche dall’area settentrionale del
santuario di Gravisca9, probabilmente dedicata al culto di una coppia divina, tra cui deve vedersi probabilmente la stessa Kore e forse un Apollo dalla connotazione giovanile ed infera, come a Pyrgi. Gioielli sono
presenti a volte anche nei busti con polos, datati tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C., restituiti dalle
necropoli spinetiche, anch’essi collegati a culti demetriaci10. A questo stesso ambito cultuale sembrerebbero
ricondursi anche i ben noti busti votivi femminili, inquadrabili generalmente tra la seconda metà del IV e i
Albertocchi 1999, 355-368.
Vd. Fortunelli 2001; Albertocchi 2003, 140, n. 6.33; Fiorini 2005, 196 s.; Fiorini, Fortunelli 2011, 42-43 s. Qui era forse un fondaco
dove sembra attestata la presenza di una componente siceliota, in particolare agrigentina, dalla fine del VI sec. a.C. fino ad almeno il 480
a.C., anche se i contatti con la Sicilia rimangono notevoli ancora nel corso del V sec. a.C.
10
Sani 1987, 39 ss., figg. 24-51.
8
9
58
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
primi decenni del III sec. a.C., in gran parte provenienti da un santuario di Cerveteri, in località Vignaccia11,
tipici ed esclusivi della città, sparsi in molti Musei italiani ed europei12 e recentemente rinvenuti anche nella
tomba cd. “delle teste votive” nella necropoli della Banditaccia13 (fig. 1.a). Questi busti indossano elaborate
parures con alti diademi, orecchini a grappolo e collane-pettorali “a targhetta” con grossi pendenti14. Databili
ad una fase precedente (fine V-inizi IV sec. a.C.15) sembrano invece essere alcune teste con alti diademi a
perle e orecchini a grappolo16, provenienti sempre dalla stessa località Vignaccia, di cui si ha traccia pure nel
territorio, come nel santuario di Punta della Vipera17.
Passando invece alle evidenze di realia dal Santuario di Campo della Fiera, gli scavi hanno restituito un
nucleo di oggetti preziosi piuttosto consistente. In questa sede ci limiteremo ad una presentazione generale del
materiale, soffermandoci solo su alcuni oggetti più significativi, lasciando all’edizione completa una disamina
più dettagliata.
La maggior parte delle evidenze proviene dal saggio M, entro il recinto del tempio A (figg. 1 e 3). I più numerosi sono quelli recuperati tra il muro del temenos, il donario, l’altare in tufo e la struttura quadrangolare,
all’interno di due fosse irregolarmente rivestite da blocchi e spezzoni lapidei e separate da un setto murario
eretto con materiali di reimpiego18 (figg. 2-3). Qui si rinvennero fibule, anelli di bronzo, fuseruole, ambre, cristalli di rocca informi e lavorati, un piccolissimo pendente aureo19 (fig. 9.b), frammenti di vasetti e di alabastra
in alabastro, vaghi ed unguentari di pasta vitrea, due anelli in argento (fig. 11.a, c) ed uno in pasta vitrea, una
cospicua quantità di aes rude, un pendente in osso configurato a testa leonina 20, due piccole basi iscritte ed
11
Nagy 1988; Nagy 1989-90; Nagy 2011; Nagy 2014; Nagy 2016. H. Nagy (1988, 26), per gli esemplari conservati a Berkeley,
pur sottolineando il richiamo a prototipi magno greci e siciliani associati al culto di Demetra e Kore, notava come in quei casi le figure
femminili indossino il polos, mentre in quelle ceretane è presente un diadema a grani e così concludeva: “while possibly associated with
growth and fertility, appears at the same time almost insistently to dissociate its wearer from the more common iconography of Demeter
and Phersephone whose obvious attribute is so clearly avoided”. In realtà proprio la scelta di un diadema a grani sembra rafforzare
l’attribuzione dei busti alle due divinità. Alla Vignaccia H. Nagy ipotizzava inizialmente un culto riservato a Thesan (Nagy 1988, 44 ss.),
mentre più recentemente ha proposto piuttosto la venerazione di “numerose divinità femminili, forse in rapporto le une con le altre, tra
cui Artumes, Menerva, Turan forse Uni, Vei e Phersipnai” (Nagy 2014, 284 s.). Sulle diverse divinità di culto vd. anche Millemaci 1997,
in particolare il culto di Vei e Phersipnai sarebbe attestato da alcune statuine databili già alla fine del V - inizi del IV sec. a.C. (ibidem,
21-23).
12
Museo archeologico di Siena, già Coll. Chigi Zondadari: Banti 1969, tav. 75; Hafner 1965, 48, tav. 16.2; Hofter 1985, 172, n. 43;
Coen 1999, 259, fig. 104. Museo Gregoriano etrusco (inv. 21620): Hafner 1965, 47 s., tav. 15.4; Buranelli, Sannibale 2004, 39, n. 6. Bonn:
Bentz 2009, 109, n. 145, 110 s., nn. 146-149. Amburgo: Amburgo 1981, 114, n. 140; Coen 1999, 260, fig. 106 due exx. di tipo diverso.
Boston: Nagy 2008, fig. 8. I materiali conservati a Berkeley mostrano una certa varietà di tipologie: oltre ai busti più comuni Nagy I.A16
(Nagy 1988, 66 ss., tav. XII.24 e altri exx. alle tavv. XIII-XIV, con diadema del suo tipo A, orecchini del tipo B6 e collana del tipo C6b), ne
sono presenti altri, come quello molto simile I.A17 (Nagy 1988, 71 ss., tav. XV.29, con altri exx alle tav. XV-XVI con corona del suo tipo
A6, orecchini del tipo B6a e collana del tipo C3) o I.A19, molto simile a I.A17, ma privo di diadema (Nagy 1988, 82 ss., tav. XVII.34, con
altri exx. alle tavv. XVIII-XIX, con orecchini del suo tipo B6 e collana del tipo CIb). In generale Nagy 2008. Si vedano inoltre anche alcune
statuine votive a figura intera conservate a Berkeley (Nagy 1988, 138, n. II.A8, tav. XXXVII.83).
13
Roma 2014, 300-303, nn. 366-367; Calarota 2021, 180 ss., nn. 4-5.
14
Per questa tipologia di collana vd. Coen 2011. Per un ipotetico esemplare reale, Coen 2006.
15
Nagy 1988, 14 ss.
16
Andrén 1955-1956, 213 s., figg. 9-10; Hafner 1965, 47 s., tav. 16.4; Riis 1981, 27, Caeretan type 19A, tav. II, con lett.; Coen 1999,
fig. 104. Per quello che riguarda invece le teste conservate a Berkeley, oltre al tipo Nagy I.A3 (Nagy 1988, tav. II.3-4, con orecchini B6b
applicati separatamente, diadema A7) ne esistono varianti come la I.A3b (51, tav. III.5, considerata una seconda generazione di IA3 =
Andrèn 1955-56, fig. 10), una variante con diadema a rosetta (54, tipo I.A3h, tav. IV.7) ed altre (56, tipo IA.4b, tav. V.9, con solo diadema); Nagy 2008, fig. 7.
17
Colonna 1985, 151, n. 8.1.B.1; Comella 2001, 28-31, n. A2IA, tav. V.a. Orecchini a grappolo in terracotta sono stati considerati pertinenti alla testa stessa (Colonna 1985, 153, n. 8.1.B.14; Comella 2001, n. A2fr13, 30-32, tav. IX.c, anche exx. frammentari, n. A2fr14, tav. IX.d).
Nel santuario di Punta della Vipera, dove alcune iscrizioni vascolari testimoniano un culto di Minerva, sono stati trovati anche alcuni monili
(Comella 2001, uno scarabeo etrusco in diaspro verde databile intorno al 530-520 a.C., 117, n. O1, tav. XXXVI.a e un grano di collana in
pasta vitrea blu, 117, n. O2, tav. XXXV.h).
18
Stopponi 2012, 9 ss., tav. I.
19
Inv. 09M10102/567413. H. 1,2. Forse parte di una collana composita, come alcuni pendenti ghiandiformi, vd. ad es. Cristofani,
Martelli 1983, nn. 155, 159-161 (primi decenni del V sec. a.C.). Vd. anche ibidem, n. 138.
20
Inv. 09M10165/567450. H. 1,4, lungh. 1,8. L’esemplare presenta purtroppo una superficie ormai piuttosto abrasa; foro pervio
longitudinale. Il tipo è assimilabile ad analoghi pendenti in ambra databili tra l’ultimo quarto del VI e i primi decenni del V sec. a.C. (Morandini 2018, 266, tav. LXV.c-f, in ptc. LXV.c). Un confronto stilistico può essere ravvisabile anche con due piccole protomi bronzee, forse
impiegate come decorazione di una capanna, della coll. Passerini (V sec. a.C.): Iozzo, Luberto 2020, 243 s., n. 149.
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Fig. 2 - Planimetria generale dello scavo di campo della Fiera (aggiornamento 2022) (Foto Archivio dello scavo di Campo della
Fiera).
Fig. 3 - Particolare della planimetria dello scavo di campo della Fiera, area M, con evidenziate la
struttura quadrangolare e le due fosse (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
Fig. 4 - La kylix a vernice nera dal saggio M di Campo della Fiera e alcuni oggetti rinvenuti all’interno nella vetrina del Museo Archeologico Nazionale di Orvieto.
un vasetto attico configurato a testa femminile, etc. Altri oggetti, sempre dal saggio M, furono rinvenuti nella colmata della citata struttura
quadrangolare, sotto la base con dedica alle divinità Tluschva21, tra
cui un certo numero all’interno di una kylix a vernice nera, databile
tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C., collocata accuratamente
alla base del deposito22 (fig. 4). Un altro piccolo nucleo di oreficerie
proviene invece dal saggio N, dagli strati di distruzione del tempio
C23 (fig. 1, 12).
Molto recente (2021) la scoperta di una bellissima bulla aurea
ghiandiforme (fig. 5) nel saggio Y, dalla ripulitura superficiale del
riempimento della fondazione di una delle celle laterali dell’edificio
tardo arcaico F24. Questo affianca la struttura E, posta accanto al temFig. 5 - Bulla aurea dall’edificio F, saggio Y
pio C (figg. 1, 6), e ne sembra ricalcare la pianta. La spoliazione della
(foto Archivio dello scavo di Campo della Fiemuratura dell’edificio, stando ai materiali recuperati, è stata ascritta
ra).
alla prima epoca imperiale romana. Nel riempimento (un accumulo di
massi basaltici di medie e grandi dimensioni, con probabile funzione
di vespaio per i piani pavimentali non più conservati) erano infatti presenti ceramica comune, bucchero grigio,
vernice nera, pareti sottili e, come elementi più recenti, alcuni frammenti di sigillata italica.
La bulla, di piccolissime dimensioni (h. 1,9), è del tipo ghiandiforme con chiusura a tappo mobile e può essere
inserita nel tipo da me classificato come II.B, il quale comprende generalmente esemplari di maggiori dimensioni, in gran parte di provenienza sconosciuta25. Le poche provenienze accertate riguardano Tarquinia, Populonia,
Filottrano (AN), ma soprattutto Spina, località che ha restituito gli esemplari più raffinati tra cui quello notis21
Inv. 09M10102/567413. H. cm. 1,2, largh. cm. 0,5. Stopponi 2009, 441-448; Stopponi 2012, 18 e nota 55; Giacobbi 2021, 88 ss.,
fig. 12. Sulla base vd. anche Benelli 2020, 31, fig. 22-25.
22
Stopponi 2012, 18.
23
Stopponi 2012, 29, tav. XXV.1.
24
Sull’area dove sorgono gli edifici si vd. l’intervento di S. Stopponi e M. Cruciani al XXVIII Convegno internazionale di studi sulla
storia e l’archeologia dell’Etruria, Etruria e Magna Grecia, tenutosi a Orvieto il 15-16 dicembre 2023. Si tratta dell’unico oggetto metallico
rinvenuto nella “sassaiola” che costituisce il riempimento della fondazione. In tutte e tre le celle manca la pavimentazione. Nella fossa di
spoliazione di F era ceramica a vernice nera, insieme a sigillata attica e italica, che sembrerebbe indicare una datazione in età augustea. Al
di sopra era una fistula bollata di epoca adrianea.
25
Coen 2021, 15, 133 ss., nn. II.11-21.
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Fig. 6 - Tempio C con accanto gli edifici F e E (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
simo con Dedalo e Icaro26. Nessuna delle altre bulle inseribili in questo tipo presenta tuttavia la raffinatissima
decorazione a filigrana del tappo, né tanto meno i triangoli granulati sulla parte alta del corpo, un tipo di ornato
piuttosto raro nelle oreficerie, attestato soprattutto in alcuni orecchini a tubo con terminazione a testa leonina
o d’ariete da Spina27 (fig. 7.c) della seconda metà V-inizi IV sec. a.C., documentati in ambito meridionale solo
da un contesto tarquiniese della prima metà del IV sec. a.C. su cui torneremo28. Sulla bulle tale decorazione si
ritrova in quattro esemplari discoidali dalla tomba 92 di Aleria (fig. 7.a) (contesto databile tra 460-400 a.C., ma
riutilizzato anche in età successiva29), probabilmente assegnabili a produzione populoniese, e in una, di analoga
forma, dall’Heraion alla Foce del Sele (fig. 7.b)30, unica altra bulla aurea di cui è noto il rinvenimento in area
sacra. Ad Orvieto piccole bulle ghiandiformi e pendenti ad anforetta compaiono in collane composite in parte
rimaneggiate modernamente dai Castellani31, ma anche in questo caso non si hanno confronti puntuali con il
nostro esemplare, le cui caratteristiche tecniche e decorative sembrerebbero comunque ricondurre ad una produzione etrusco-settentrionale della seconda metà del V sec. a.C. Anche la bulla spinetica con Dedalo e Icaro, uno
degli esemplari più antichi tra quelli noti, non sembra infatti risalire a prima del secondo quarto del V sec. a.C.32.
26
Vd. nota precedente. Una piccola bulla aurea del tipo (h. 2,7), priva di decorazione, proviene anche dalla tomba 564 della necropoli
di Valle Trebba, inserita all’interno di una collana con pendenti in ambra, tra cui uno a bulla discoidale (Museo Archeologico di Ferrara:
Alfieri 1958, 49, n. 58).
27
Panichi 1998, 48 s., nn. 1-2A (VT300), n. 3-4A, fig. 1 (VT422), 50, n. 8-9A, fig. 2 (VT743), 54, nn 31-31A, fig. 5 (VT213C), 59 s., n.
1-2B, fig. 6 (VT300), n. 3B (VT437), 63 s., nn. 24-25B, fig. 8 (VP402C) per cui anche Cristofani, Martelli 1983, 304 s., n. 206, etc. Si veda
anche una coppia di orecchini a tubo con terminazione a testa umana da Fraore, datati alla metà del V se. a.C., assegnati anch’essi a bottega
spinetica (Cristofani, Martelli 1983, 304, n. 199). Su questi orecchini anche Morandini 2018, 276 ss. e 280-283.
28
Morandini 2018, 283, n. 66, tav. LXXIX.a, sul tipo 276 ss.
29
Coen 2021, 123, n. I.50.1-8, tav. XIII.a, sul contesto, 70 s. Il rinvenimento delle bulle presso la banchina sud della tomba permette
di assegnarle con maggior verosimiglianza alla fase più antica.
30
Edificio quadrato, secondo deposito: Franco 2014, fig. 3; Coen 2021, 29, 118, n. I.33, tav. VII.b.
31
(1) Roma VG 53738: Della Fina, Pellegrini 2013, 330, n. 1; Coen 2021, 123, n. I.53bis, 136, n. II.22; 2) Roma VG 53877: Cristofani,
Martelli 1983, 314, n. 258; Caruso 1988, 40, n. 72, tav. X; Coen 2021, 123, n. I.53.1-4, tav. XII.c, con altra bibl.; Della Fina, Pellegrini 2013,
330, n. 3.
32
Coen 2021, 40.
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
Fig. 7 - a. Bulle auree dalla tomba 92 della necropoli di Aleria (da Coen 2021); b.
Bulla aurea dall’Heraion alla Foce del Sele (da Coen 2021); c. Coppia di orecchini da
Spina. Ferrara, Museo archeologico (da Cristofani, Martelli 1983, n. 206).
Per quanto riguarda la funzione, le bulle con tappo rimovibile dovevano con ogni probabilità contenere
sostanze all’interno, molto probabilmente profumate. Al proposito noto è il passo di Macrobio (I.6,8-14): “ita
bulla gestamen erat triumphantium, quam in triumpho prae se gerebant inclusis intra eam remediis quae crederent
adversus invidiam valentissima…”33. Anche se discusso appare in realtà il riconoscimento della bulla quale ornamento del trionfatore34, resta comunque interessante la considerazione sulla valenza talismanica di questo
tipo di monile. Esso è spesso indossato dagli adepti ai culti bacchici, come confermano una serie di documenti
iconografici, tra cui il noto sarcofago tarquiniese della Baccante al British Museum35. Nel caso di Orvieto interessante è la presenza di piccole bulle ghiandiformi come pendenti delle ricche collane a targhetta indossate
dalle menadi raffigurate su alcune delle antefisse dal tempio del Belvedere36 (fig. 1.c-d). Ancor più eclatanti le
testimonianze del santuario di San Leonardo, dove la decorazione delle placche frontonali includeva figure, tra
cui una ornata proprio di un vistoso bracciale a bulle, per alcune delle quali si è ipotizzata un’identificazione
proprio con Fufluns e una sua paredra femminile37.
La presenza di bulle non è comunque isolata nel santuario orvietano. Un esemplare bronzeo discoidale di
grandi dimensioni è stato rinvenuto insieme ad altri bronzi e a lamine di carro nel deposito di fronte all’ingresso
del tempio C38. Una mano che tiene una bulla legata ad un nastro è invece rappresentata su un singolare scarabeo
proveniente da una delle due fosse antistanti il donario in trachite39 (fig. 8). Inoltre tre piccole bulle bronzee40
33
Molto interessante al proposito la testimonianza offerta da una bulla in ferro restituitaci dalla t. 155 della necropoli di Colfiorito,
databile alla locale fase IIIA (VI sec. a.C.), assegnata alla deposizione maschile della tomba che prevedeva la sepoltura di due adulti ai piedi
dei quali era deposto un bambino (Bonomi Ponzi 1997, 113, 155, n. 9, tav. 22). All’interno della bulla era infatti un rotolino di tessuto di
lino, con frammisti piccoli frammenti di ferro e di rame. La studiosa sottolinea come “data l’esiguità del campione non è stato possibile
stabilire se la stoffa era stata impregnata con sostanze per esempio di natura oleosa oppure con oli essenziali”.
34
Si veda al proposito Coen 2021.
35
Coen 2021, tav. XXVIII.d.
36
Andrén 1939-1940, 180-181, II.36, tav. 68.221; Coen 1999, 147-148. Un esemplare anche a Copenhagen: Andrén 1939-1940, 201,
III.2, tav. 76.259; Riis 1941, 97, n. A.8, fig. 19.2; Cristofani, Coen 1991-1992, fig. 57. Per esemplari derivati, da Arna e da Perugia, Andrén
1939-1940, 263, II.2; Leningrado 1990, 223-227, n. 4.2 e 4.3 (A.E. Feruglio); Coen 2011, 231, nota 71.
37
Vd. Coen 2011. Una piccola bulla aurea bivalve inornata è conservata nella coll. dei conti Faina presso il Museo “Claudio Faina” di
Orvieto (inv. 2298-2299).
38
Stopponi 2012, 25-28 tav. XX; Stopponi, Giacobbi 2017, 137. L’associazione carro e bulla aveva fatto richiamare agli editori la
ritualità del trionfo.
39
Stopponi, Giacobbi 2017, 133, fig. 14. Lo scarabeo è in corso di studio da parte del dott. Marco Ubaldelli.
40
Inv. 08M6828, 08M6846, 08M6839 (531692, 531703,531710). Bulle in bronzo sono comunque attestate in diversi santuari etruschi: ad
es. nel santuario dell’acropoli di Volterra, di Ortaglia e in quello di Portonaccio a Veio (vd. rispettivamente gli interventi di L. Rosselli, di S. Bruni
e di M.L. Michetti, in questo volume), a Gravisca (Colivicchi 2004, 45, nn. 84-86, tav. 3) e nel santuario di Celle a Falerii (Comella 1986, 103, nn.
M15-16, tav. 53.a). Nel santuario di Poggio Colla (Vicchio) era invece una bulla in piombo (Castor 2009, 247, 259, n. 18, fig. 17). Vd. Coen 2021,
46. Complicata una datazione puntuale delle piccole bulle, forse assegnabili al VI-V sec. a.C.
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Fig. 8 - Scarabeo con mano e bulla (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
(fig. 9.a) furono rinvenute dentro la sopra menzionata coppa a vernice nera, occultata nella colmata della struttura
quadrangolare del recinto del tempio A. Qui, come è stato da tempo evidenziato da S. Stopponi, era venerata Vei/
Demetra e una divinità maschile assimilabile proprio a Dioniso/Fufluns41, come attesterebbero vari indizi, tra cui
per la prima, il rinvenimento di glaukes, di offerte in metallo e di aes rude e forse l’epigrafe posta su un peso da
telaio42, per il secondo, le numerose raffigurazioni sulla ceramica attica e i resti di vite nel thesaurus43. A. Giacobbi44
sottolineava come elementi estremamente indicativi, anche all’interno della citata coppa, appaiono essere proprio
quelli riferibili alla sfera dionisiaca, su tutti un frammento di parete di kylix con testa di menade, ma anche dei
frustoli riconducibili ad un rhyton a testa di capro e ad una kylix miniaturistica a occhioni. Le due divinità sopra
citate sono chiaramente legate alla dimensione dei passaggi di stato45 e il loro culto sembra aver avuto lunga fortuna, dal momento che l’area definita dal temenos del tempio A è l’unica in tutto il santuario di Campo della Fiera
che mostra continuità di vita fino all’età repubblicana ed imperiale.
Per quanto riguarda la struttura quadrangolare del recinto del tempio A, A. Giacobbi ritiene che, cito, come
nel caso della “stipe” di Cannicella, si possa «pensare ad una “fossa di scarico” destinata ad accogliere doni
ormai decontestualizzati e frammentari a seguito di una “ripulitura” del santuario, in occasione di una sua ristrutturazione, in tal modo rientrando fra i “depositi di obliterazione e di rispetto”. È possibile supporre che gli
interventi di risistemazione del recinto avvenuti nella prima età imperiale abbiano intercettato antichi depositi
sacri, facendo confluire i materiali nella struttura quadrangolare». All’interno della coppa erano contenuti, oltre
alle ceramiche e alle piccole bulle bronzee già citate, vari altri ornamenti e oggetti metallici anche di cronologie
un po’ diverse (fig. 4): in bronzo, delle pinzette, sedici fibule del tipo Certosa databili tra la fine del VI e l’inizio
del V sec. a.C., alcuni pezzetti di aes rude di diverse dimensioni (V-IV sec. a.C.), un chiodo, alcuni anelli46 (fig.
9.c) ed una foglia (fig. 10.a); in pasta vitrea, vaghi di collana e pendenti; in ambra, un vago; in oro, una foglia (di
mirto o alloro) (fig. 10.c)47.
Stopponi 2012, 20; Stopponi, Giacobbi 2017, 131 ss., 135.
Controversa l’interpretazione dell’iscrizione: vd. Stopponi, Giacobbi 2017, 130.
43
Stopponi 2018, 13.
44
Giacobbi 2021, 97.
45
Stopponi, Giacobbi 2017, 133. Dentro la coppa a v.n., insieme alle tre piccole bulle, era anche un bronzetto di un fanciullo che offre
la palla.
46
Sul tipo, spesso donato in contesti santuariali, vd. Benedettini 2019b, tipo 12, 607-609, figg. 202-204.
47
Giacobbi (2021, 91) esplicita le modalità di deposizione: “Prima ad essere deposta sull’acciottolato fu la coppa a vernice nera con
il suo contenuto. Intorno e sopra di essa furono disposte alcune piccole basi, fu quindi posizionata la grande base iscritta. Nelle lacune
dell’acciottolato furono deposte le basi di bronzetti, quindi un grande concio in trachite e una scaglia di tufo inzeppata fra questo e il grande
masso naturale. Poco più ad est furono collocate una base modanata in trachite e un rocchio di colonna in tufo che la separava dal masso.
Fra la base iscritta e la parete meridionale della fossa fu posizionato un bronzetto di orante, rivolto verso il basso. Nello stesso spazio furono
quindi adagiati l’oinochoe a testa di Dioniso, con il volto verso il basso, poi il rhyton a testa d’ariete a vernice nera e il frammento di braccio
maschile in terracotta”. È ovvio concludere che i riempimenti delle fosse, che contenevano anch’esse importanti ex voto della fase etrusca
del santuario, e della struttura quadrangolare siano avvenuti in un’unica soluzione e con analoghe motivazioni.
41
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
Fig. 9 - a. Piccole bulle bronzee
rinvenute all’interno della kylix
a vernice nera; b. pendente aureo
rivenuto nel riempimento della
più piccola delle due fosse a est
del donario; c-d. anelli bronzei
rinvenuti all’interno della kylix a
vernice nera (foto Archivio dello
scavo di Campo della Fiera).
Fig. 10 - a, c. foglia bronzea e foglia aurea rinvenute all’interno della kylix a vernice nera; b. foglia aurea d’edera rinvenuta nell’area M;
d-e. testine in ambra rinvenute nelle due fosse ad est del donario (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Il nome Tluschva presente sulla base orvietana che copriva la coppa ricorre tre volte sul fegato di Piacenza,
ma il culto è attestato anche a Cerveteri, nell’area sacra in località S. Antonio, dove A. Maggiani48 lo assegna a
divinità interpretate come Chárites o Ninfe49. Alla luce di questa identificazione dello studioso per il santuario
ceretano (che ha restituito, tra l’altro, anche alcuni ornamenti 50) sembra particolarmente interessante la presenza, tra i materiali contenuti nella coppa a v.n., della foglia aurea e di quella bronzea, entrambe prive di fori.
Quest’ultimo particolare sembra escludere la loro originale appartenenza a monili come corone o diademi (tra
l’altro poco rappresentati a Orvieto51) sui quali venivano generalmente applicate tramite sottili fili o ribattini 52.
Ovviamente non si può neppure trascurare l’ipotesi che fossero attaccate ad altro tipo di supporto: l’esemplare
in bronzo53, infatti, presenta, in corrispondenza del picciolo, una sorta di piegatura che potrebbe proprio riferirsi ad un punto di saldatura (forse ad un ramo?) (fig. 10.a).
La Milanesio Macrì per il rinvenimento di foglie in argento e ferro nel Thesmophorion di contrada Parapezza
a Locri Epizefiri 54, ha richiamato il rituale della phyllobolia, ovvero il lancio di foglie da parte di Ninfe e Grazie
su Demetra secondo una tradizione attestata da Fìlico di Corcira nel III sec. a.C. L’ipotesi, accolta da S. Stopponi e A. Giacobbi, anche per gli esemplari orvietani 55, non è infatti priva di fascinazione ed è stata ripresa anche
in relazione ai rinvenimenti dal santuario meridionale di Pyrgi, dove, a ridosso del filare di pietre meridionale
del deposito kappa è stato infatti ritrovato un pacchetto di almeno sei foglie forate in lamina di ferro e bronzo
sistemate all’interno di una teca ricavata tra le pietre insieme a due unguentari in ceramica attica, una lekythos
a figure nere e un alabastron a fondo bianco56. M. Franco, in relazione alle foglie rinvenute nel santuario alla
Foce del Sele57, ha suggerito che esse potessero essere pertinenti a corone ma anche a rami sacri, sulla scia delle
ipotesi di M. Castoldi che ha riesaminato questo tipo di evidenze per diversi santuari greci e magno greci in un
volume del 201458. La studiosa, nel terzo capitolo del suo volume, si sofferma proprio sui rami aurei intesi come
offerte votive legate al mondo funerario con un rimando all’episodio citato nell’Eneide, dove la Sibilla cumana
consiglia ad Enea di cogliere un ramus aureus in modo da poterlo offrire a Proserpina per discendere nell’Ade59.
In altre fonti si narra che lo stesso Dioniso accettò di consacrare il mirto ad Ade in cambio della resurrezione
della madre60. Che la pianta fosse particolarmente cara al dio ce lo testimonia anche il verso 330 delle Rane di
Aristofane, dove il coro invita Dioniso a danzare insieme al suo thiasos agitando intorno al suo capo una corona
di mirto coperta di frutti abbondanti.
In ambito siceliota e magno greco i rinvenimenti di foglie in metallo più o meno prezioso si stanno facendo
sempre più numerosi in collegamento a divinità femminili e principalmente a culti demetriaci61.
Maggiani 2011.
Vd. discussione in Giacobbi 2021, 98-100.
50
Maggiani 2011, 143, ricorda il rinvenimento di “lamine o ornamenti aurei, una testa di spillone in bronzo, lastrine di avorio e osso di
preziosi cofanetti..….diversi frammenti di braccialetti di vetro”. Non mancano poi tre teste votive femminili, una del tipo IA19 Nagy. Vd.
anche Roma 2001, 154, nn. II.B.6.2 e II.B.6.3.
51
Coen 1999, 278, n. NI.16 “Lievi rimasugli di foglioline d’oro dei serti funebri” (G.F., Gamurrini, in Notsc 1881, 52) dalla cd. tomba
del Guerriero, necropoli di Crocifisso del Tufo, Le Conce, scavi Mancini. Due lamine auree appartenenti ad un diadema, con file di piccole
foglie realizzate a stampo sulla lamina stessa e con palmette, sempre a stampo, nelle estremità ricurve, sono conservate presso il Museo
Etrusco “Claudio Faina” di Orvieto (già coll. Conti Faina, invv. 2272-2273): Della Fina, Binaco 2020, fig. a p. 68.
52
Stopponi 2012, 18, tav. XIV.
53
Inv. 08M6838/ 531702. Largh. cm. 1, lungh. cm. 2,5.
54
Milanesio Macrì 2005, 229-234; Milanesio Macrì, Sabbione 2008, 198, nota 5, 204, 210 s., figg. 19, 22 e 35.
55
Stopponi 2021, 19; Stopponi, Giacobbi 2017, 131; Giacobbi 2021, 96.
56
Baglione 2008b, 311, n. 23; Bellelli Marchesini et al. 2012, 234-236, fig. 23 e l’intervento di A. Conti in questo volume. Non mancano
tuttavia altre interpretazioni per questa pratica dell’offerta di foglie: G. Colonna per gli esemplari pyrgensi aveva infatti pensato a sortes in
collegamento con il culto di Apollo-Suri (Colonna 2006, 135, fig. VIII.8).
57
Franco 2017, 242-243, nn. 27-32, figg. 7-8.
58
Castoldi 2014, 29-34.
59
Interessante al proposito lo specchio da Orbetello (van der Meer 1995, 190 ss., fig. 92).
60
Coen 1999, 201, con riferimenti bibl. a nota 35, in ptc. Snell 1971, 135, n. F3 (Iophon).
61
Attestazioni, oltre che dal santuario locrese già citato, vengono dalla stipe di Calderazzo a Medma (Bellelli Marchesini et al. 2012,
nota 42, 235, con lett. prec.), ma anche dalla stipe di Persephone a Camarina (ibidem) e dal santuario di Monte Papalucio ad Oria (due
foglie d’oro di forma trilobata: Ori Taranto 1984, n. 23; Guzzo 1993, 281, n. 4). Sulla presenza qui di ornamenti personali, vd. Guzzo 1993,
274 ss.; Mastronuzzi 2008, 137, nota 5; Archeologia dei Messapi, 274 ss., in ptc. per le foglie, considerate però parte di un diadema, vd. 276,
n. 143. Ci sono anche una serie di elementi a forma di ghianda in argento (Archeologia dei Messapi, 277, nn. 146-149). Una foglia bronzea
48
49
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
Tornando alle foglie dal santuario orvietano, quella aurea62 (fig. 10.c) presenta una forma lanceolata con
nervatura centrale, anche se purtroppo la superficie non è più molto leggibile per le numerose piegature. Morfologicamente può essere avvicinata a foglie di alloro/ulivo (tipo Coen A.2A.2), attestate in una corona tarquiniese ora al British Museum63, ma anche a foglie di mirto di forma non dissimile, ma con contorno e nervature
evidenziate, associate a foglie d’edera in una corona vulcente, già coll. Castellani64. Le foglie di mirto sono in
Etruria testimoniate solo da poche corone assegnate al cd. tipo V Coen65 di cui se ne conoscono esemplari in
oro, ma anche in bronzo, da Vulci, Tuscania e di provenienza sconosciuta.
Sempre dall’area M, da uno strato rinvenuto a sud del tempio A, proviene anche una foglia aurea d’edera66
(fig. 10.b), un tipo presente in ambito etrusco-meridionale, soprattutto a Vulci, in corone auree o in bronzo dorato67. La foglia orvietana trova morfologicamente confronti con quelle Coen C.1.B68, attestate a Vulci in una corona ora al British Museum69 e in un esemplare di provenienza sconosciuta70. Interessante per quanto riguarda il
legame con la sfera dionisiaca è l’associazione a Tarquinia, nella cd. tomba I del Poggio del Cavalluccio, cd. del
British Museum71, di una corona a foglie d’edera e corimbi con una collana a bulle, tra cui alcune ghiandiformi
con appiccagnolo a tappo72 e di un cratere a figure rosse con scena dionisiaca73.
La deposizione di gioielli all’interno di vasi è pratica ben nota nei contesti demetriaci. Ad es. nel santuario
di Bitalemi a Gela74, entro una brocca argiva erano un anello di argento e una lunga collana di grani in pasta
vitrea. Al di sotto del muro di delimitazione orientale del cortile F dell’edificio alfa a Gravisca (fine V-inizi del
IV sec. a.C.), che prospetta proprio verso l’edificio beta dedicato a Demetra/Vei75, era seppellito un deposito di
fondazione consistente in un’olla di piccole dimensioni, contenente all’interno una parure di gioielli in oro di V
sec. a.C., coperta da una patera ombelicata in bronzo della fine del secolo76. Dal deposito rho di Pyrgi, destinato
appunto al culto di Cavatha, all’interno di un’anfora attica erano alcuni monili ipoteticamente ricomponibili in
un’unica collana in argento e pasta vitrea con pendenti tra cui alcuni a bulla ghiandiforme; al di fuori dell’anfora erano inoltre deposti due pendenti in ambra di cui uno a testa di ariete e un anello con verga e castone ovale
in argento77. Entrambi questi due tipi di monili trovano confronto nelle attestazioni di Campo della Fiera. Due
pendagli configurati a testa di ariete in ambra (fig. 10.d-e), purtroppo in uno stato di conservazione non ottimaviene anche dalla Collina dei templi, Santuario ctonio ad est di Porta V (De Miro 2008, 47-92, in ptc. 59, fig. 34.). Oltre a quelli già segnalati,
si vd. anche: da Cirò Santuario di Apollo Aleo, un centinaio di foglie d’argento, alcune dorate, a forma di lauro (Guzzo 1993, 280, n. 1);
da Monasterace marina, tempio di Punta Stilo, due foglie di lauro in bronzo dorato (Guzzo 1993, 288, n. 1) e due foglie di olivo in bronzo
dorato (Guzzo 1993, 288, n. 2). Su quest’ultimo santuario, più di recente, Parra 2013, 93, nota 41, che segnala una lama fogliata che per
forma e dimensioni (cm 14,5 ca.) appare del tutto analoga alle ‘foglie’ in ferro dal Thesmophorion locrese di contrada Parapezza. Un quadro
riassuntivo sulla questione è in Guzzo 1993; Parisi 2017, p. 530 s. Si vd. poi, rispettivamente per il mondo magno-greco e per quello sannita,
i contributi di G.P. Guzzo e di G.Tagliamone e A. Natali in questo stesso volume.
62
Inv. 08M6911/531675. Lungh. 4,2 cm, largh. 1,5.
63
Coen 1999, 51, 250, n. 19, fig. 18.a-b.
64
Coen 1999, 267, NC.12, fig. 67.
65
Coen 1999, 262-264, figg. 55-60.
66
Inv. 07M1588/505829. Lungh. 1,8 cm, largh. 1,7.
67
Tipo IV Coen (Coen 1999, 259 ss., nn. 49-56, figg. 48-54).
68
Coen 1999, 54 s.
69
Marshall 1911, 267, n. 2302, tav. XLVIII; Coen 1999, 260, n. 51, fig. 50.
70
Coen 1999, 260, n. 50, fig. 49.
71
Sul contesto, più recentemente, Coen 2021, 56 s. con lett. prec.
72
Per la corona: Cristofani, Martelli 1983, 306, n. 213; Coen 1999, 260, n. 52, fig. 51. Per la collana: Cristofani, Martelli 1983, 306, n.
216; Coen 2021, 118, n. I.34, 135, n. II.17.1-3, tavv. IX.a, XX.b. Nel contesto erano anche gli orecchini sopracitati alla nota 29 ed un’altra
collana con pendenti ghiandiformi.
73
Per l’ipotesi dell’iniziata: M. Cristofani, in Cristofani, Martelli 1983, 306; Colonna 1991, 136-138.
74
Orlandini 2008, 174, figg. 49-50.
75
Fiorini 2005, 196 sottolinea come il cortile F fosse in effetti accessibile solo da sud dall’ampia piazza che fiancheggiava l’oikos di
Demetra e accogliesse al suo interno “un altare presso il quale si è ipotizzato un sacrificio di fondazione, un basamento di blocchi di macco,
un altare o piuttosto la base di un donario, da connettere ai rituali praticati sicuramente nella corte, ma che presentavano un collegamento
probabilmente più con l’area antistante che con il retrostante edificio alfa”.
76
Un diadema a nastro, un anello con castone liscio a mandorla, alcuni vaghi di vario tipo, tra cui anche in ambra, ora perduti, una
testa di spillone a capocchia sferica: Colivicchi 2004, 27-29, nn. 4-9; Fiorini 2005, 135; Roma 2009, 254, n. 216.1-7.
77
Gentili 2013, 103 ss., figg. 3-4. A Pyrgi sono attestate anche piccole testine d’ariete in terracotta (Gentili 2013, 119, fig. 23, che le
assegna al culto di Kore richiamando Ardovino 1999, 169-187, in ptc. 175). Si vd. anche il contributo di A. Conti in questo stesso volume.
67
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
le, provengono infatti dall’area M, dal riempimento
delle due fosse ad est del donario, l’una da quella più
piccola e l’altra da quella di maggiori dimensioni78. Il
tipo trova un’ampia diffusione in tombe di una certa
ricchezza di area centro italica e balcanica soprattutto
tra fine VI e V sec. a.C.79: diversi esemplari provengono dall’area padana (Felsina80, Adria, Marzabotto,
Spina), dove si deve probabilmente riconoscere una
produzione locale, ma anche da Novi Pazar in Serbia, da Populonia, Aleria e dal territorio piceno (dalla
t. 124 di Belmonte Piceno; da Montegiorgio81; dalla
tomba della Regina di Numana82). Queste testine potevano far parte anche di complesse collane, come
dimostra la notissima scena della tomba tarquiniese
della Caccia e della Pesca, dove l’uomo a banchetto indossa un collier con pendenti configurati, di un colore
che sembra alludere proprio all’ambra83. Nella tomba
della Regina di Numana i due pendagli furono rinvenuti, insieme ad altri due a forma di felino accucciato, all’interno di un grande anello in avorio con altri
oggetti posti presso il collo della defunta: dovevano
dunque far parte o di una collana o di un ornamenFig. 11 - a, c. anelli in argento rinvenuti nella fossa minore ad est
to appeso all’abito mediate fibule. L’ambra è d’altro
del donario; b. anello in bronzo invenuto nella fossa maggiore ad
est del donario (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
canto spesso prescelta proprio per la realizzazione di
complessi girocollo, considerato anche il valore talismanico della sostanza stessa84. In area padana, ad es., gli orecchini, tra cui spesso proprio quelli a tubo con
terminazione a testa di ariete85, sono generalmente associati, nelle tombe femminili, a collane in ambra86.
Interessanti anche i due anelli in argento con massiccia verga circolare con castone aureo, uno a losanga e l’altro
ovale, saldato al di sopra (fig. 11 a, c), provenienti anch’essi da una delle due fosse dell’area M, quella minore87.
Sul primo è incisa una figura con corpo alato di felino, coda serpentina e testa di uccello, con la zampa destra
protesa verso un elemento vegetale88: molto probabilmente si tratta di un grifo, motivo frequente nel repertorio
vicino-orientale già dall’orientalizzante proprio con muso ornitomorfo desinente in una sorta di becco, come
nell’esemplare in esame89. Il secondo anello, sul cui castone è invece una sfinge, tipologicamente sembra avvici78
Inv. 09M10164/ 567449, h. cm. 2,7, lungh. cm. 3,2, dalla fossa minore; Inv. 10M684/ 568234, h. cm. 1, lungh. cm. 2,8, dalla fossa
maggiore.
79
Vd. anche Panichi 1998, 66 s.; Tessmann 2001, 91−94 e note successive.
80
C. Cornelio, in Nava, Salerno 2007, 153, n. II.84, dalla tomba 12, femminile, della necropoli dell’ex Manifattura Tabacchi, VI sec.
a.C., probabile parte di collana insieme ad altri pendenti configurati ad aryballos e a felino (pantera).
81
Coen, Seidel 2010, 262 s., tav. IV.1-3, tardo VI-inizi V sec. a.C., adespota, con discussione sul tipo.
82
M. Landolfi, in Nava, Salerno 2007, 174, cat. III. 120−121.
83
Si vedano anche le osservazioni in Castor 2016, 278 s.
84
Diversi pendagli in ambra, anche se non del tipo in esame, provengono anche dal Santuario settentrionale di Pontecagnano insieme
ad un complesso di oreficerie databili alla fine del VI sec. a.C. o poco dopo: Tocco, Basile, Mancusi 2014, 52 ss.; Tocco 2017.
85
Panichi 1998, 59 ss.
86
Panichi 1998, 45.
87
Inv. 09M10261/ 567485, diam. cm. 1,8; Inv. 09M9268/ 567199, diam. cm. 1,8.
88
Stopponi 2012, 17, tav. XI.3.
89
Vd. ad es. una coppia di armille vetuloniesi dal Circolo dei leoncini d’argento (Cristofani, Martelli 1983, 280, n. 96), un’anfora con
tre felini e un quadrupede alato con un becco del tipo in esame (New York, Metropolitan, inv. 2001.761.8: De Puma 2013, 12, 115), il
sostegno di flabello in avorio configurato ad avambraccio dalla tomba Barberini (Sciacca 2013, figg. 48-49). Un grifo in analoga posizione
incedente e con a bocca a becco entro castone ovale è anche su un anello aureo da Tartus -antica Antaradus-, in Siria, conservato al British
Museum (inv. 1917,0501.177: Marshall 1907, 30. n. 177, tav. V), assegnato all’età ellenistica da Marshall e con qualche dubbio nel catalogo
on line del Museo (https://www.britishmuseum.org/collection/object/G_1917-0501-177). In effetti le caratteristiche generali sembrereb-
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I gioielli dal santuario di Campo della Fiera
nabile al tipo tardo arcaico L del Boardmann (“Massive
hoops with inset Bezels”), caratterizzato da una verga
massiccia per tutta la circonferenza su cui è inserito un
piccolo castone, solitamente ovale90. Allo stesso tipo, di
produzione etrusca91, potrebbe essere ricondotto anche
un altro anello bronzeo, rinvenuto nella fossa maggiore,
con figura di cinghiale92 (fig. 11.b), ormai poco leggibile.
L’anello con grifo nel castone a losanga (fig. 11.c) non
sembra invece trovare al momento confronti puntuali e
potrebbe piuttosto essere una sorta di combinazione tra
il tipo L e quello F del Boardman, di produzione greca,
largamente diffuso in Etruria, anche con imitazioni locali, e in Italia meridionale dalla metà del VI a tutto il V
sec. a.C., perdurando anche, nei limiti dei contesti votivi
magno-greci, fino al IV sec. a.C.93.
Un altro piccolo nucleo di oreficerie proviene invece dall’area N, in particolare dalla preparazione della
pavimentazione del pronao del tempio C94, probabilmente dedicato ad Athena Menerva (fig. 12). Si tratta
di un vago aureo decorato a pulviscolo, una sorta di
spillone con godronatura sotto la capocchia, tre piccoli
elementi rettangolari formati da due tubicini zigrinati
accostati forati longitudinalmente terminanti su un lato
con tre sferette minuscole, forse interpretabili come distanziatori per collane, e sottilissimi fili d’oro probabilmente ornamenti di tessuti95. Un richiamo puntuale
per il tipo di vaghi granulati è quello con una collana da Cetona, ora all’Antikenmuseum di Berlino (inv.
Fig. 12 - Oreficerie rinvenute nel saggio N, dalla distruzione del
GI.6)96 assegnata ad una bottega forse vulcente della
tempio C (foto Archivio dello scavo di Campo della Fiera).
fine del VI-inizi del V sec. a.C. Molto simile anche per
la decorazione dei vaghi aurei una collana detta provenire da Vulci, pastiche di pezzi antichi e moderni, ora al
British Museum97. Vaghi lisci o decorati a granulazione (interamente o parzialmente) sono spesso accostati ad
altri in pasta vitrea, in qualche caso anche in ricomposizioni moderne come è il caso di alcuni esemplari provenienti proprio da Orvieto98.
bero, a mio avviso, piuttosto riportarlo ad età tardo-arcaica. Negli anelli il grifo ricorre con tipologie variabili, anche se non molto frequentemente, nel tipo a cartouche di età arcaica (Procacci 2013, 405-406, d, figg. 4, 6). Vd. anche due esemplari al Walters Art Museum (inv.
57.427) e al Metropolitan Museum (inv. 1995.40: De Puma 2013, no. 7.22, 261, 274, 280).
90
Boardman 1967, 23 s.; Boardman 1970, 156-157, fig. 434. Il tipo è attestato sia in argento che in argento dorato. Per gli esemplari del
Louvre, già coll. Campana: https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl010255602 (BJ1058 in argento dorato) e https://collections.louvre.fr/
en/ark:/53355/cl010255908)Bj1353 in argento).
91
Boardman, pur riconoscendovi una produzione etrusca, segnalava anche per alcuni esemplari la possibilità di una mano greca (Boardmann 1967, 23).
92
Inv. 10M661/568217, diam. cm. 2,3. Questo animale sembra frequentemente rappresentato nel tipo (Boardman 1967, 23, nn. L.3-4).
93
Boardman 1967, 18-20, gruppo F; Boardman 1970, 155, figg. 429-431, 187; Boardman 1975, 93 s., nn. 66-67, tipo F. Vd. anche
Guzzo 1993, 41-43, 175-176, tipo VIIIA; Buranelli, Sannibale 2004, 107, n. 135; Gaultier, Metzger 2005, 137, nn. II.83-II.87.
94
Invv. 11N150, 1059, 1558, 1559.Stopponi 2012, 29, tav. XXV.1.
95
Per l’uso dell’oro nelle vesti, vd. Meyers 2013, 250, 254, figg. 5-6.
96
Cristofani, Martelli 1983, 293 s., n. 154, fig. 154, sul tipo 54, con cfr. alla nota 24. Si veda anche una collana da Marzabotto (necropoli
settentrionale, tomba 80): Gozzadini 1870, 51, fig. 16, n. 11 ; Marchesi 2005, 209.
97
Marshall 1911, 258, n. 2273, tav. XLVI; Gaultier, Metzger 2005, 154, n. IV.10, fig. IV.10. Confronti generici: Marshall 1911, 142 s.,
nn. 1450 – già coll. Castellani – e 1456, tavv. 21, 23. Si veda anche una collana dalla t. 85 della necropoli di Aleria, per cui, più di recente,
Coen 2015, 116, tav. I.b, con altri cfr. (460-400 a.C. ca.).
98
Caruso 1988, 40, n. 72; Cristofani, Martelli 1983, 314, n. 258 (IV sec. a.C.); Della Fina, Pellegrini 2013, 330, nn. 1 e 3.
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Gioielli per gli dei. Le evidenze dai santuari etrusco-italici
Nel caso di quest’ultimo gruppo di oreficerie molto interessante è la valenza rituale della deposizione, ancorché il materiale sia stato trovato nello strato di distruzione del tempio C, valenza che si riscontra anche in altre
situazioni di ambito sacro, come dimostrano altri interventi di questo stesso convegno. Mi sembra comunque
da richiamare, tra i vari confronti, il santuario di Poggio Colla (Vicchio) dove analogamente alcuni filamenti
aurei (insieme ad un anello) sono stati ritrovati in un deposito rituale per il quale era stato anche riutilizzato un
blocco del tempio99.
99
Castor 2009, 248; Meyers 2013, 117 s.; Warden 2016, 214.
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