Schede
diversi strati rinvenuti sotto l’attuale piano stradale
di via Pianell, all’esterno della cavea del teatro romano (saggio I) in un’area posta nelle immediate
adiacenze di una delle porte di accesso alla città
medievale (Porta Nova o Porta Napoli) oramai non
più esistente.
Sebbene si tratti di diversi livelli piuttosto sottili, la
loro deposizione, in base all’analisi dei materiali,
pur in presenza di frammenti residui d’età romana
e medievale, sembra potersi collocare in un arco
cronologico piuttosto circoscritto che va dalla fine
del ’400 alla prima metà, o forse primo trentennio
del ’500 (uuss 11, 15, 17, 22, 23, 26, 27, 34, 36,
38). Tale cronologia è confermata dalla totale assenza di frammenti di maiolica in stile compendiario, fatto questo che permette di circoscrivere la
datazione non oltre la metà del ’500. I materiali
ceramici rinvenuti in tali contesti, sebbene in taluni
casi estremamente frammentati, permettono in ogni
modo di fornire delle prime interessanti indicazioni sulle produzioni circolanti nella città di Chieti
fra la fine del ’400 e prima metà del ’500. Il contesto in esame ben si presta difatti a rappresentare
l’articolata realtà dell’Abruzzo costiero dove accanto
alle produzioni locali e regionali emerge una vivace
ed insospettata circolazione di prodotti extraregionali soprattutto padani (per una recente sintesi sulle ceramiche postmedievali abruzzesi cui si fa spesso riferimento in questa sede si rimanda ai contributi in D. TROIANO, V. VERROCCHIO c.s.).
ABRUZZO
Provincia di CHIETI
Chieti, Teatro Romano – via G. Pianell, 2001
Recentissime indagini condotte fra maggio e luglio
2001 dalla Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo presso il Teatro Romano di Chieti hanno permesso l’individuazione di stratigrafie anche postmedievali che hanno restituito interessanti contesti
di materiali, per lo più ceramici, il cui studio è stato
appena avviato e per i quali si fornisce una prima
notizia in questa sede. Si tratta nello specifico di
1. Produzioni ceramiche regionali. La presenza delle più antiche produzioni smaltate (maiolica arcaica in bruno-verde) deve considerarsi in parte
dovuta a residualità, anche se in taluni casi, come
per la produzione monocroma bianca, recenti acquisizioni permettono di ritenere un protrarsi della
produzione “arcaica” nella seconda metà del ’400inizi ’500, soprattutto con bacili carenati, scodelle a tesa piana e ciotole. Ben attestate, nella produzione rinascimentale, quelle tipologie castellane che i recenti studi permettono di individuare
fra le più diffuse in territorio regionale. Si segnalano frammenti di boccali con medaglione a scaletta blu-arancio, a linea sinuosa arancio, con campi
centrali floreali; panate con medaglione a stella e
con motivi “alla porcellana” (uuss 15, 22, 23, 26,
34, 36 e sporadici) ed anche un frammento riferibile al gruppo con decoro raffigurante lo stemma
aragonese stilizzato (sporadico). Utili elementi cronologici provengono dai frammenti (uuss 22, 36)
attribuibili al gruppo “parallelo” alla produzione
“Orsini-Colonna”, anche con motivi in blu graffito e a fasce alternate blu, giallo e arancio (us 36),
che ebbe una discreta diffusione e che si deve quindi annoverare fra le produzioni commercializzate,
sebbene di maggior pregio, la cui datazione rientra negli anni ’30-’40 del ’500. Forse riferibili alle
manifatture castellane anche alcuni rari frammenti della produzione “bianco su bianco” (uuss 26 e
sporadico).
Discretamente attestata anche la produzione graffita castellana (uuss 11, 17, 22, 23) facilmente riconoscibile per la qualità dell’ingobbio e per i noti
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repertori piuttosto standardizzati quali le sequenze
ad archetti e motivi centrali floreali stilizzati.
Alla produzione di Anversa sono riconducibili vari
frammenti di piatti e scodelle in ingobbiata dipinta
imitante la maiolica con motivi sulla tesa ad archetti che si intersecano in blu e giallo alternati e girali
nei riempitivi (us 22) oppure con tratti decrescenti
(sporad.); motivi floreali stilizzati in blu ed ocra (us
22), motivo a sequenza di fiori circolari e monticelli (us 22). Un frammento di boccale in maiolica (us
22) presenta un motivo a graticcio in blu e arancio
e riempitivi in blu.
Per quanto riguarda le ceramiche da fuoco appare
di notevole interesse il rinvenimento di scarti di
produzione, che testimoniano della presenza di
manifatture urbane nei primi decenni del ’500. Si
tratta difatti di un orlo d’olla, con ansa, del tutto
deformato e ripiegato su se stesso durante la prima
cottura (us 34), che appare di colore grigio, ad impasto molto duro con inclusi bianchi visibili, e di
un secondo frammento, anch’esso d’olla (us 36) ad
orlo leggermente inclinato all’esterno ed ansa fortemente rilevata. Sebbene si tratti di scarti di prima
cottura, privi di vetrina, le similitudini con altri
frammenti d’invetriata da fuoco rinvenuti negli stessi
contesti permettono di attribuire tali testimonianze alla stessa produzione di pentolame invetriato
da fuoco, cui forse è da attribuire anche alcuni frammenti di acroma che potrebbero essere scarti di prima cottura (biscotti). È interessante segnalare una
certa similitudine nelle morfologie con manufatti
inediti di analoga cronologia provenienti da Sulmona.
Si tratta quindi di primi elementi che attestano l’esistenza di un’inedita produzione ceramica urbana
nella prima metà del ’500, produzione cui si potrebbe ricollegare, pur in assenza di scarti, anche
alcune tipologie d’ingobbiate rinvenute nello stesso contesto e diffuse solo in ambito teatino. Si tratta di frammenti di scodelle e scodelloni sia ingobbiati dipinti, sia graffiti, caratterizzati da un impasto beige-rossastro, depurato e da vetrine con tonalità giallastre, spesso ossidate e con ornati in bicromia ramina e ferraccia. L’ingobbiata dipinta ricalca
repertori abbastanza noti nell’Abruzzo centrale
adriatico quali linee ondulate sulle tese e cerchi concentrici, per lo più in verde e giallo. Per la graffita,
pur notandosi elementi di similitudine con la coeva
produzione d’altri centri abruzzesi adriatici, si riscontrano alcuni ornati originali, quali in particolare quelli presenti su piatti (us 15) con una sola
girandola racchiusa da una fascia di cerchi concentrici sul fondo, lasciando il resto del manufatto bianco, oppure con la stessa girandola ma con tesa decorata a cerchi concentrici e trattini. Altra particolare tipologia graffita reca sulla tesa di uno scodellone (sporadico, con vetrina che appare di colore
beige, nei colori verde, giallo e bruno diluiti), un
motivo a “nastro spezzato” con girali riempitive e
nel cavetto una sequenza di foglie stilizzate oltre a
“tacche” sull’orlo. Infine si segnalano scodelloni
(uuss 22, 36) caratterizzati da una sequenza di foglie sulla tesa in ferraccia e manganese.
L’attribuzione di tali tipologie a manifatture locali è
avvalorata dalla diffusione riscontrabile, allo stato
attuale, esclusivamente nel territorio gravitante su
Chieti (Ripa Teatina, Miglianico, Vacri, Bucchianico).
In particolare un interessante riscontro sia tipologico sia cronologico è fornito da un notevole nucleo di materiali, in fase di studio da parte di chi
scrive, proveniente appunto da Ripa Teatina.
Una continuità produttiva anche nei primissimi anni
del ’600 è documentata da fonti archivistiche che
attestano la presenza di vasai e botteghe a Chieti,
questa volta ubicati nei pressi di Porta Pescara, come
nel caso di mastro Amico vasaro nel 1604 ed in
luogo non menzionato, forse presso la stessa Porta
Pescara, oppure presso Porta Nova, nel caso di
magister Nicola Antonelli, vasaro documentato nel
1601 (D. TROIANO, V. VERROCCHIO c.s.). Non sembra in ogni modo casuale la presenza delle botteghe dei vasai nei pressi delle principali porte d’accesso alla città e a ridosso del centro urbano, soprattutto se poste in relazione ai rispettivi rioni noti
in questo periodo per le periodiche fiere o mercati
che vi si tenevano, rimandando a tipologie insediative legate alla produzione ceramica stessa già ampiamente note in altri centri.
2. Produzioni extra regionali. Fra le più antiche
produzioni smaltate si segnala la presenza di un
frammento di ciotola attribuibile alla produzione
valenzana matura in blu e lustro (2° metà del ’400),
con il noto motivo del tralcio a fiori di bryonia, che
rappresenta la prima attestazione nell’Abruzzo costiero di una tipologia ceramica certamente di pregio che trovò ampia diffusione nel periodo bassomedievale. Il frammento costituisce una delle prime testimonianze di traffici commerciali ceramici,
probabilmente già facenti capo al vicino porto di
Pescara, che prelude la più ampia diffusione d’altre
tipologie rinascimentali. Nell’ambito della maiolica rinascimentale possiamo segnalare la presenza
di frammenti attribuibili a manifatture umbre
(Deruta e Gubbio), con i motivi dell’occhio di penna di pavone e “petal back” (us 22) in giallo, ocra,
verde acqua e blu, presente su un frammento di scodella. Di maggior pregio, un frammento di piatto
(us 22) rientrante nella produzione in blu e lustro,
con fogliame sulla tesa in blu, giallo e lustro verosimilmente riferibile alla produzione eugubina, che
fornisce un ulteriore fossile guida datante i contesti
in esame.
Frammenti attribuibili a manifatture extraregionali
sono documentati anche in altre classi ceramiche,
ed in particolare nella produzione ingobbiata. Si
segnalano difatti frammenti di produzione padana
sia in graffita sia in marmorizzata. Si tratta di scodelle (us 11, 22) con orlo a tesa breve e vetrina su
tutta la superficie con decorazione in ramina e ferraccia recante il noto motivo del nastro spezzato
fra i più diffusi nelle produzioni padane rinascimentali (Veneto, Emilia Romagna). Un unico frammento di scodellone (us 22) testimonia inoltre la rara
presenta di ceramica ingobbiata marmorizzata in
blu, verosimilmente riferibile alla produzione romagnola.
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Indubbiamente un ruolo primario nella diffusione
di questi prodotti ceramici extraregionali, dovette
svolgerlo la nota fiera di Chieti che monopolizzò i
traffici in area medioabruzzese in alternativa alla
più meridionale fiera di Lanciano. A tal proposito
si ricorda che la città di Chieti in questo periodo, e
fino al 1528, fu direttamente proprietaria della cittadina di Pescara e quindi del suo porto, che costituiva lo sbocco naturale ed il punto d’incontro fra
il mercato teatino e i vari mercanti noti a Pescara
attraverso la documentazione archivistica. Fra la
popolazione pescarese spiccano i romagnoli, documentati fin dal 1499 (in quest’anno la città di Chieti concesse i diritti di pesca ai romagnoli per il lungo tratto di mare antistante Pescara, Francavilla e
Montesilvano) e che intorno al 1560 rappresentavano la comunità immigrata più numerosa (vd. L.
LOPEZ, Pescara nel ’500, in AA.VV., Pescara e la sua
Provincia (ambiente-cultura-società), vol. II, Pescara, 1996, pp. 503-518).
La vivace attività mercantile è ulteriormente confermata da già note presenze di produzioni ceramiche padane (invetriata monocroma, graffita monocroma a punta e a stecca, graffita policroma, maculata, maiolica rinascimentale) attestate nella stessa
Pescara ed in diversi altri centri regionali (D.
TROIANO, V. VERROCCHIO c.s.).
(Si ringraziano la dott.sa A. Campanelli della Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo, responsabile dello scavo, per la gentile disponibilità nei confronti delle nostre ricerche e le dott.se L. Pandolfi,
E. Orfanelli e l’Arch. C. Malatesta).
Bibl.: D. TROIANO, V. VERROCCHIO c.s., I materiali,
in D. TROIANO, V. VERROCCHIO (a cura di), La ceramica postmedievale in Abruzzo. I materiali dallo
scavo in Piazza Caporali a Castel Frentano (CH),
(Documenti di Archeologia Postmedievale, 1), c.s.
(D.T., V.V.)
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