L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
L’Associazione Ricercatori Documenti Storici
in collaborazione col Gruppo festeggiamenti del Santo Patrono,
organizza la mostra:
L’ABBAZIA DI VILLANOVA
DAL QUATTROCENTO AL SEICENTO
Dopo «L’abbazia di Villanova nel ‘700» e «I San Bonifacio e l’abbazia di Villanova» che
affrontava il periodo della fondazione del monastero dall’undicesimo secolo fino al quattordicesimo,
la mostra che l’Associazione Ricercatori Documenti Storici ha organizzato quest’anno, continua nella
ricostruzione della storia dell’abbazia affrontando i secoli centrali: dal Quattrocento al Seicento.
La mostra avrà luogo nel Chiostro dell’Abbazia di San Pietro di Villanova,
sarà inaugurata giovedì 27 giugno e resterà aperta fino al 1 settembre 2013
HANNO REALIZZATO LA MOSTRA
Ideazione: Irnerio De Marchi
Testi: Giorgio Castegini, Irnerio De Marchi, Angelo Passuello
Fotografie: Giacomo Albertini, Irnerio De Marchi, Angelo Passuello
Rilievi: Claudio Baroni, Irnerio De Marchi, Claudio Soprana
Elaborazioni fotografiche ed illustrazioni: Irnerio De Marchi
Rendering: Carlotta Castegini
Collaboratori: Giulio De Marchi
INTRODUZIONE
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
L
a lunga storia dell’abbazia ha
visto momenti di crescita alternati a fasi di arretramento. I tre secoli che vengono affrontati in questa mostra, sono centrali nella storia
dell’abbazia ma sono caratterizzati, pur nello stabilizzarsi del quadro
politico che vede Venezia all’inizio
del ‘400 prendere possesso della
Terraferma, dalle instabilità dovute alle grandi trasformazioni che la
Chiesa impone nella sua riorganizzazione dopo il concilio di Trento.
Dopo la fondazione voluta dal marchese Alberto di San Bonifacio che
punta su Villanova per un rilancio
della politica dei Conti volta alla
creazione, intorno a San Bonifacio,
di una signoria rurale, l’abbazia ha
momenti di forte crescita economica anche grazie alle ampie donazioni che continuano per tutto il
XII secolo. Questa rosea situazione
si infrange all’inizio del XIII secolo
con le lotte tra il partito dei Conti ed i Montecchi ed in seguito con
l’avvento di Ezzelino III da Romano.
L’abbazia, creazione dei Conti, viene a trovarsi in mezzo a queste aspre
contese e ne subisce tutte le conseguenze, tanto che per quasi sessant’anni, dall’inizio del ‘200, non
esistono testimonianze che documentino la vita del monastero. Sotto
la dominazione scaligera, che pur
considera fondamentale Villanova,
più che altro per motivi strategici,
trovandosi sul confine tra Verona e
Vicenza, continuano le malversazioni verso il monastero i cui possedimenti vengono dati in gestione ai
Cavalli, una famiglia vicina ai Della
Scala. È solo dopo la dominazione
scaligera, alla fine del ‘300 che Villanova torna a crescere sotto la guida
dell’abate Guglielmo da Modena,
voluto dai Visconti, in quel momento signori di Verona.
La vita monastica è però ai minimi
e dopo pochi anni l’abbazia viene
data in commenda dal papa ad abati che non vi risiedono più. Segue
un lungo periodo, fino alla riforma
tridentina in cui si succedono gli
abati commendatari, a volte anche personalità di grande rilievo
come Pietro Bembo, che però vedono nell’abbazia solo una fonte
sicura di reddito. Con l’arrivo degli Olivetani di Santa Maria in Organo nel 1562, il monastero ritorna gradualmente alla normalità di
una presenza monacale. Villanova
non avrà mai più di una decina di
monaci e nonostante gli importanti lavori di ammodernamento della
struttura realizzati dagli Olivetani
soprattutto all’inizio del ‘700, il monastero sarà soppresso da Venezia
nel 1771.
6. ANTONIO DA MESTRE E LA SUA
BOTTEGA A VILLANOVA:
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
L’ANCONA DI SAN PIETRO APOSTOLO
L
a grande ancona addossata all’emiciclo dell’abside
maggiore della chiesa, a ridosso del coro ligneo cinquecentesco, è stata attribuita dalla critica più recente
alla bottega dello scultore Antonio da Mestre, documentato dal 1379 al 1418 e particolarmente attivo nella città
di Verona e nel territorio orientale della diocesi.
Il manufatto si imposta su una bassa predella ed è organizzato in due registri sovrapposti: il primo ordine consiste in cinque nicchie, delimitate da colonnine tortili che
racchiudono ciascuna la figura di un santo scolpito ad
altorilievo (rispettivamente, da sinistra a destra, San Paolo, San Benedetto, San Pietro, Sant’Andrea e San Nicola).
Le formelle del secondo registro si svolgono ai lati della
scena centrale che rappresenta la Crocifissione ed è collocata sopra il San Pietro Apostolo: i riquadri sovrapposti ai Santi Paolo e Benedetto mostrano due scene tratte
dalle storie di san Pietro, ovvero La Pesca Miracolosa e
La Tempesta Sedata, mentre quelli al di sopra dei Santi
Andrea e Nicola esibiscono alcuni episodi delle storie
di sant’Agata: la prima specchiatura raffigura il Processo
subito dalla santa siciliana davanti al proconsole Quinziano, e la seconda accoglie nel contempo tre vicende,
ovvero il Martirio, la Visita di San Pietro in Carcere e la
Guarigione, quest’ultima entro un’edicoletta pensile.
La sommità dell’ancona è coronata da una serie di piccoli
pinnacoli inframmezzati a cinque cuspidi a decorazioni
fogliacee: nella guglia centrale è scolpito, a bassorilievo, Cristo Pantocrator in mandorla, affiancato dal Tetramorfo, ossia i quattro simboli degli evangelisiti: il Bue di
Luca, L’Aquila di Giovanni, il Leone di Marco e L’Angelo
di Matteo.
L’Ancona di San Pietro è stilisticamente affine a parecchie opere attribuite ad Antonio da Mestre, in modo particolare all’arca pensile di Barnaba da Morano a San Fermo Maggiore e al Paliotto di san Biagio conservato nella
parrocchiale di Colognola ai Colli, suggerendo pertanto
un’assegnazione per via stilistica allo scultore lagunare,
poiché non esistono documenti che comprovino la sua
attività a Villanova.
La rappresentazione dell’abate Guglielmo da Modena, che compare in atteggiamento orante nella scena di
commendatio animae mentre san Benedetto lo sta presentando a san Pietro, rende verosimile l’ipotesi che l’artista mestrino abbia compiuto l’ancona attorno al primo
decennio del XIV secolo: questa datazione è supportata
anche dai riferimenti stilistici, che permettono di collocare quest’opera a un dipresso fra il pulpito di San Fermo
(1396) e la più “veneziana” tomba di Barnaba da Morano
(1411), nella stessa chiesa. Si potrebbe inoltre ipotizzare che Antonio abbia desunto la singolare iconografia
del San Benedetto imberbe dal ciclo pittorico rappresentate le Storie di san Benedetto, collocato fra il 1400 e il
1411, che pertanto sarebbe cronologicamente prossimo
all’Ancona di San Pietro.
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Antonio da Mestre e bottega, Ancona di San Pietro
Apostolo (primo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, abside maggiore.
Ricostruzione dell’interno della chiesa di San Pietro
Apostolo aVillanova, con l’originaria posizione dell’ancona nel presbiterio.
Antonio da Mestre e bottega, San Benedetto presenta l’abate Guglielmo da Modena a San Pietro (part.)
(primo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR),
San Pietro Apostolo a Villanova, abside maggiore.
Antonio da Mestre e bottega, San Pietro in cattedra
(part.) (primo decennio del XV secolo). San Bonifacio
(VR), San Pietro Apostolo a Villanova, abside maggiore.
Antonio da Mestre e bottega, Crocifissione (part.) (primo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR), San
Pietro Apostolo a Villanova, abside maggiore.
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7. ANTONIO DA MESTRE E LA SUA
BOTTEGA A VILLANOVA:
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
IL DITTICO DELL’ANNUNCIAZIONE
N
ell’abside meridionale della cripta sono
collocati i pannelli di un dittico rappresentante l’Annunciazione, ascrivibile all’ultima fase
della carriera di Antonio da Mestre.
I due altorilievi si ergono sopra un podio poligonale e sono racchiusi in un’edicoletta gotica; i
motivi strutturali ed ornamentali sono i medesimi che contraddistinguono il polittico dell’altare
maggiore, ma in queste lastre Antonio compie
una decisa svolta in senso “tardogotico” nella
trattazione plastica dei personaggi. La Vergine
annunciata ha un corpo allungato e il leggero
inarcamento della schiena le conferisce un andamento piuttosto sinuoso; il viso elegante denuncia una modellazione dei particolari assai
accurata, apprezzabile particolarmente nella
chioma che corona il morbido ovale del volto.
L’Angelo annunciante denota la stessa meticolosa lavorazione della Vergine: il viso, dai teneri
lineamenti, è circondato dai boccoli della zazzera, finemente cesellata; il piumaggio delle ali
è estremamente dettagliato, poiché lo scultore
ha intagliato il calamo, la rachide e le barbe di
ogni penna; le pieghe della tunica, poi, seguono
l’inclinazione delle braccia, atteggiate nel gesto
di offrire il giglio (purtroppo reciso) alla Vergine.
I delicati tratti fisiognomici di Maria e Gabriele sono ben lontani dalla severità e dalla solidità di stampo “neoromanico” che distinguono le
prime opere di Antonio, eseguite a cavallo fra
il XIV e il XV secolo, come l’Annunciazione del
pulpito da Morano a San Fermo. Lo stesso soggetto viene riproposto dallo scultore mestrino
quasi due decenni dopo nella tomba Dal Verme a Sant’Eufemia (1415), dove la trattazione
dei personaggi mostra maggiori affinità con il
dittico di San Pietro: pressoché identiche sono
la fattura dei panneggi e la modellazione delle chiome, mentre le posture delle due Vergini
annunciate sono quasi sovrapponibili. Nel dittico sambonifacese, tuttavia, Antonio compie un
deciso miglioramento nella resa proporzionale delle figure, che non mostrano più l’evidente
ipercefalia dei protagonisti delle Annunciazioni
del pulpito da Morano e della tomba Dal Verme;
i personaggi, inoltre, non sono più disposti frontalmente, ma di tre quarti, a dimostrazione della
maturazione compiuta dallo scultore lagunare
rispetto alle precedenti opere, caratterizzate da
un accentuato frontalismo.
L’opera di Antonio stilisticamente più vicina al
dittico sambonifacese è la Madonna con Bambino posizionata sul trumeau del portale maggiore di Sant’Anastasia: questa scultura, datata nel
1420, mostra la rinnovata sensibilità tardogotica
assunta dall’artista lagunare nell’ultimo periodo
della sua carriera e suggerisce una cronologia al
secondo decennio del Quattrocento anche per
l’Annunciazione di Villanova.
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1. Antonio da Mestre, Angelo annunciante (secondo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR), San Pietro
Apostolo a Villanova, abside meridionale della cripta.
2. Antonio da Mestre, Vergine annunciata (secondo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR), San Pietro
Apostolo a Villanova, abside meridionale della cripta.
3. Antonio da Mestre, Vergine annunciata (1415). Verona, Sant’Eufemia, tomba Dal Verme.
4 . Antonio da Mestre, Madonna con bambino (1420).Verona, Sant’Anastasia, trumeau del portale maggiore.
8. I CICLI PITTORICI
QUATTROCENTESCHI:
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
LE STORIE DI SAN BENEDETTO
I
l ciclo pittorico delle Storie di san Benedetto si svolge
nel fianco meridionale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate della navatella, e prosegue nella controfacciata. Sebbene la produzione artistica sviluppatasi nell’ambito dell’ordine benedettino
fosse di notevole rilievo, i dipinti superstiti che illustrano la vita del padre del monachesimo occidentale appaiono oggi assai rari; in questo scarno panorama, le
pitture murarie di Villanova assumono indubbiamente
una posizione di rilievo, dal momento che si configurano come la più ampia narrazione di epoca medievale,
tratta dai Dialogi di Gregorio Magno (fine del VI secolo), riguardante le storie del santo di Norcia.
La lettura degli episodi si svolge da oriente verso occidente, a partire dal registro superiore; ogni fascia annovera la successione consequenziale di cinque scene
della fiancata ed una della controfacciata, così da ottenere tre file di sei riquadri ciascuna.
Le vicende rappresentate, in base all’ordine di lettura,
sono le seguenti:
• Terzo registro: La partenza per Roma; Il vaglio infranto e riparato; Il Sacro Speco e il pranzo Pasquale; I
pastori scoprono Benedetto; Benedetto vince la tentazione carnale; La folla si reca da Benedetto.
• Secondo registro: Il miracolo di Vicovaro; Benedetto esorcizza un monaco; Il miracolo dell’acqua tra i
monti; L’incontro con Totila; Benedetto resuscita il figlio del rustico; Scena di incerta lettura.
• Primo registro: Scena di incerta lettura; L’ultima comunione; Morte di Benedetto; La deposizione del corpo; L’omaggio dei monaci; I funerali solenni.
Le Storie di san Benedetto sembrano opera di una maestranza veronese di cultura neo-giottesca, ma facente capo al linguaggio artistico di Martino da Verona. È
plausibile che il ciclo sia stato commissionato dall’abate
Guglielmo da Modena, suggerendo pertanto una datazione nel primo decennio del XV secolo. Tale cronologia è avvalorata, oltre che dal dato stilistico, anche da
quello della moda: alcuni personaggi portano capi di
abbigliamento che erano particolarmente in voga agli
inizi del Quattrocento, come le vesti dai colli alti dei
dignitari della corte gota nella scena dell’Incontro con
Totila, o il cappello a punta della figura di destra nella
prima scena del primo registro.
1. Maestro di Villanova, Storie di san Benedetto (primo
decennio del XV secolo), Benedetto esorcizza un
monaco (part.). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, seconda campata della navata meridionale.
2. Maestro di Villanova, Storie di san Benedetto (primo decennio del XV secolo), L’incontro con Totila
(part.). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, prima campata della navata meridionale.
3. Maestro di Villanova, Storie di san Benedetto (primo
decennio del XV secolo), Morte di Benedetto (part.).
San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
prima campata della navata meridionale.
4. Maestro di Villanova, Storie di san Benedetto (primo
decennio del XV secolo), prima scena del primo registro (part.). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo
a Villanova, seconda campata della navata meridionale.
5. Maestro di Villanova, Storie di san Benedetto (primo
decennio del XV secolo), I funerali solenni (part.).
San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
controfacciata.
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L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
9. I CICLI PITTORICI
QUATTROCENTESCHI:
LE STORIE DI SANT’AGATA E I SANTI
AGOSTINO E CATERINA
L
’abbazia di Villanova, attorno al terzo decennio del ‘400,
fu protagonista di una campagna pittorica di notevole interesse.
Nel fianco meridionale della chiesa, in prossimità dell’altare di Sant’Agata, è visibile un pannello con i Santi Caterina e
Agostino inquadrati da una semicupola a conchiglia: il santo indossa i paramenti vescovili, mentre la santa tiene fra le
mani il libro e la ruota dentata, simbolo del suo martirio.
Nell’absidiola settentrionale della cripta, invece, è raffigurato un Cristo in mandorla affiancato da due personaggi acefali,
ma ugualmente riconoscibili: sant’Agata a sinistra, che tiene
nella mano una tenaglia, e san Pietro a destra, che porta una
chiave ed un libro. Le figure denotano serrate analogie con
i Santi Caterina ed Agostino della chiesa: gli elaborati motivi
stampigliati che ricoprono le vesti sono pressoché sovrapponibili e altresì si presenta affine la strutturazione degli ampi
panneggi che ricoprono le figure; i tratti fisionomici sono delineati con un tratto sottile che si avvale del colore rosso anziché del più consueto nero; infine, sono similari alcuni dettagli
marginali, come la mani delle figure atteggiate nelle medesime posizioni.
Nella parete nord della cripta si svolgono le Storie di sant’Agata: la prima lunetta rappresenta il processo che la santa subì
al cospetto del proconsole di Catania Quinziano; il secondo
pannello racchiude al contempo due episodi, ovvero il martirio e san Pietro che visita Agata in carcere e le guarisce le
mammelle amputate. Nonostante la lettura del ciclo sia compromessa, si possono ugualmente ravvisare alcuni dettagli
tecnici e stilistici che la pongono in relazione con i già citati
Santi Caterina ed Agostino della chiesa e con il Cristo in mandorla con i santi Pietro ed Agata della cripta: si confrontino,
in particolare, il ductus grafico sottile con cui sono tracciati
i volti delle figure, la resa fisionomica, le pieghe degli ampi
panneggi nonché l’aderenza esecutiva fra la cornice che circonda le scene.
L’artefice di queste pitture parietali, già attivo nella vicina
pieve di Colognola ai Colli, conosceva il linguaggio artistico
di Martino da Verona, come emerge dall’analisi del Cristo in
mandorla e dei due santi della chiesa; la sua ripresa dei modi
e delle formule stereotipate dell’artista veronese appare nondimeno assai superficiale e lontana dalle snervate intonazioni cortesi che contraddistinguono lo stile di quest’ultimo. Le
Storie di sant’Agata, dove si esprime una concezione spaziale
articolata, mostrano maggiori affinità con le Storie di san Valentino di Bussolengo, riferite a Giovanni Badile e realizzate
nel secondo decennio del XV secolo. Il dato della moda, che
rivela precisi riscontri negli abbigliamenti dei protagonisti
dei cicli di Erbè del 1440, attesterebbe una cronologia pressappoco nel terzo decennio del Quattrocento anche per il
ciclo sambonifacese, che peraltro trova un sicuro ante quem
in un’incisione recante la data del 1430 visibile nel settore
inferiore del pannello raffigurante il Processo.
1. Pittore veronese vicino ai modi di Giovanni Badile, Santi
Caterina ed Agostino (terzo decennio del XV secolo). San
Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, navata meridionale.
2. Pittore veronese, Volto Santo, Madonna con Bambino, San
Benedetto. Colognola ai Colli (VR), pieve di Santa Maria,
parete settentrionale.
3. Pittore veronese vicino ai modi di Giovanni Badile, Cristo
in mandorla (part.) (terzo decennio del XV secolo). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, abside settentrionale della cripta.
4. Pittore veronese vicino ai modi di Giovanni Badile, Storie di
sant’Agata (terzo decennio del XV secolo), San Pietro visita
sant’Agata in carcere (part.). San Bonifacio (VR), San Pietro
Apostolo a Villanova, parete settentrionale della cripta.
5. Pittore veronese vicino ai modi di Giovanni Badile, Storie
di sant’Agata (terzo decennio del XV secolo), Processo di
sant’Agata (part.). San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo
a Villanova, parete settentrionale della cripta.
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GLI ABATI OLIVETANI 1562-1771
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
N
el 1562, in ottemperanza alle disposizioni del
Concilio Tridentino, Torquato Bembo rimise il
suo incarico di abate commendatario nelle mani
di Papa Pio IV; il Pontefice, osservando come «Monasterium Sancti Petri de Villanova, Ordinis Sancti
Benedicti, Vicentine Diocesis» fosse «conventu carens», ovvero non avesse alcuna forma di vita religiosa, lo accorpò al monastero veronese di S. Maria
in Organo, retto dalla congregazione dei monaci del
Monte Oliveto. L’atto di presa di possesso definitivo, tuttavia, ebbe luogo nel 1563, quando fu inviato
a S. Pietro il monaco Nicolò della Bella quale procuratore e amministratore: da quel momento, la badia
di Villanova restò aggregata per oltre due secoli al
monastero di S. Maria in Organo in Verona.
Benché l’anno 1562 sia riconosciuto come data d’ingresso istituzionale degli Olivetani a S. Pietro, è verosimile che una piccola comunità di benedettini
bianchi fosse già presente a San Bonifacio prima di
questo periodo, come testimonierebbe un’epigrafe presente in un corpo annesso alla chiesa, dove
compare uno stemma simile a quello dell’ordine
(in verità assai semplificato, dal momento che i tre
monticelli sono sovrastati da due stelle schematizzate in luogo dei consueti rami d’ulivo e della croce
trionfante) sormontato dalla data del 1534, quando
era ancora abate Pietro Bembo. È plausibile, pertanto, che già durante gli ultimi decenni del periodo
commendatario, essendo venute a mancare quasi
del tutto la vita claustrale e la cura d’anime, gli Olivetani avessero preso in gestione la badia sambonifacese, seppur in maniera non “ufficiale”.
La vita claustrale fu finalmente ricostituita a cavallo
tra Cinquecento e Seicento; i padri olivetani, grazie ad un’accorta politica patrimoniale e agli introiti provenienti dalle terre di pertinenza del cenobio,
rafforzarono l’economia del convento, organizzarono una vasta fattoria e, per di più, iniziarono i lavori
per il restauro delle zone monastiche e della chiesa. La piccola comunità presentò una condotta piuttosto regolare durante tutto il sec. XVII, sotto la guida dei priori Onorato da Probano (1610) Arcangelo
Fontana (1628), Giovanni Azzolini (1630), Benedetto
Bongiovanni (1637), Prospero Cernia (1661), Marcantonio Campagna (1684) e Gasparo Vico da Verona (1694). I resoconti delle visite pastorali compiute dai presuli vicentini Priuli e Dolfin fra il XVI
e il XVII secolo, confermano il buono stato in cui si
trovava l’abbazia e testimoniano altresì il fruttuoso
zelo con cui gli Olivetani guidavano il monastero.
1- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
ambiente annesso alla chiesa, graffito con stemma
olivetano schematizzato (?).
2- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, facciata della chiesa, stemma olivetano sopra il
contrafforte sinistro.
3- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, veduta aerea del complesso monastico.
4- Mappa del monastero di San Pietro Apostolo a Villanova eseguito alla metà del ‘700 dopo la realizzazione dei lavori di chiusura dei volti del chiostro.
5- Planimetria del monastero di San Pietro Apostolo
a Villanova realizzata nel 1771, in occasione della
sua soppressione.
6- La porta che collega il presbiterio col campanile,
dipinta con i simboli olivetani.
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12. GLI INTERVENTI ARCHITETTONICI
DEGLI OLIVETANI (XVI-XVII SEC.)
L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
L
e prime modifiche promosse dagli abati olivetani riguardarono la facciata del tempio: le variazioni che
i monaci apportarono al prospetto furono sostanziali,
ma non snaturarono la complessa e ordinata tessitura
della muratura romanica. Il fronte fu munito delle tre
ampie finestre rettangolari, che comportarono il tamponamento delle due monofore laterali e lo smontaggio del protiro pensile, ma al contempo diedero nuova luce all’interno della chiesa dopo la sottomurazione
dell’oculo quattrocentesco. Anche il grande portale
marmoreo sembra essere un’opera di matrice quantomeno cinquecentesca: il varco, che scarica il peso degli stipiti e del possente architrave su un’arcata ribassata che lo sovrasta, sfrutta verosimilmente l’ampiezza
dell’apertura precedente. Nella sommità del fastigio
furono inseriti gli acroteri plastici: i salienti del settore
centrale sono coronati dalle statue dei SS. Paolo, Pietro e Bernardo Tolomei, fondatore dell’ordine olivetano, mentre quelli laterali sono adornati da due vasi
floreali. Nel vertice dei contrafforti, poi, furono posati
gli stemmi lapidei del Monte Oliveto, composti da tre
monticelli sormontati da una croce affiancata da due
racemi d’ulivo.
La facies interna dell’abbazia di Villanova subì fra Sei
e Settecento un’opera di riassetto secondo uno stile
prettamente barocco. Lungo la navata centrale furono
collocate le statue di otto angeli che reggono una cornucopia. Queste sculture, tipicamente barocche nella
struttura mossa e scomposta delle membra, e nell’enfatizzazione dei movimenti contrapposti, sono affatto
simili ai due angeli cerofori realizzati nel 1696 dai fratelli Angelo e Francesco Marinali per la chiesa di S.
Chiara ad Udine, rendendo plausibile l’ipotesi che gli
artisti vicentini siano stati impegnati anche a Villanova. L’area presbiteriale fu provvista dell’ampio scalone
che ancora oggi la contraddistingue e delle balaustre
poste a protezione del pontile: il posizionamento della
nuova rampa, che occupò tutta la larghezza della navata centrale e conferì una maggiore monumentalità alla
chiesa; i due putti in pietra morta posti a capo dei corrimano denotano diverse analogie stilistiche con gli
angeli della navata centrale, insinuando il dubbio che
siano stati realizzati dalla stessa bottega.
Lungo i perimetrali della chiesa gli Olivetani elevarono
due cappelle ad intarsi policromi in pieno stile barocco, affini all’altare maggiore nella lavorazione e nella
scelta dei marmi. L’edicola della parete meridionale è
dedicata a Sant’Agata e sfoggia una pala raffigurante
il martirio della santa siciliana attribuita recentemente
al pittore veronese Felice Boscarati (1721-1807), mentre quella della fiancata settentrionale contempla il
Vesperbild quattrocentesco realizzato da uno scultore dell’ambito di Egidius Gutenstein von Wiener Neustadt.
L’ultimo intervento ascrivibile ai benedettini olivetani
all’interno della chiesa fu la sottocopertura del soffitto per mezzo di una serie di volte a vela intonacate,
sotto le quali si conservano ottimamente le precedenti
capriate lignee con listelli decorati a fasce intrecciate
spiraliformi.
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1- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
facciata della chiesa.
2- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
scalone di accesso al presbiterio.
3- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova,
altare barocco col Martirio di Sant’Agata di Felice
Boscarati (1721-1807), fianco meridionale della chiesa.
4- Angelo e Francesco Marinali, Putto con chiavi (ultimo decennio del XVII secolo). San Bonifacio (VR),
San Pietro Apostolo a Villanova, scalone di accesso al
presbiterio.
5- Angelo e Francesco Marinali, Angelo con cornucopia (ultimo decennio del XVII secolo). San Bonifacio
(VR), San Pietro Apostolo a Villanova, infilata meridionale della chiesa.
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L’Abbazia di Villanova dal ‘400 al ‘600
13. GLI INTERVENTI ARCHITETTONICI
DEGLI OLIVETANI (XVIII SEC.)
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onostante la mostra prenda in esame lo spazio temporale dal ‘400 al ‘600, abbiamo ritenuto utile, per completare il ciclo olivetano del monastero, di continuare la
storia comprendendo gli importanti lavori che vennero
eseguiti nella prima metà del ‘700.
La guida della comunità olivetana fu assunta, nei decenni
centrali del XVIII secolo, da una personalità considerevole
e piuttosto singolare, ossia l’abate Angelo Benedetto Manis (1728/1737). Questo religioso impresse una notevole
spinta ai lavori di rinnovamento degli ambienti monastici,
ricordati nei capitolati, nelle ricevute e nelle dettagliate
relazioni redatte nel periodo in cui resse il cenobio, prima
di trasferirsi a Verona nel 1738 per divenire abate di Santa
Maria in Organo. L’impresa di Manis per modificare le strutture conventuali fu così estensiva e duratura che avrebbe
potuto essere finanziata solo da un’istituzione molto efficiente sul piano economico, a riprova della solidità patrimoniale che gli Olivetani seppero mantenere, con grande
capacità, per oltre due secoli.
Il primo problema che l’abate si pose nel 1723 fu quello della chiusura del chiostro: Manis decise di procedere
tamponando le grandi arcate ad ogiva aperte da Guglielmo da Modena sul finire del Trecento per consolidare la
struttura. I lavori proseguirono fino al 1735, quando tre lati
dell’ambiente claustrale furono coperti con le volte alla
mantovana in cotto, vennero aperte otto finestre rettangolari, quattro porte e fu soprelevato l’intero complesso di
un piano. I muri d’ambito meridionale ed orientale, che
versavano in uno stato conservativo precario, furono ricostruiti integralmente sin dalle fondazioni e, come si può
osservare tuttora, sono gli unici che non contemplano le
arcate ogivali, visibili al contrario nei lati settentrionale ed
occidentale.
Nell’ambito di questo cantiere, va inserita anche l’opera
di rimozione della scala addossata al fianco meridionale
della chiesa (della quale è ancora ben leggibile il profilo dell’ammorsatura col muro) che portava dal chiostro al
piano rialzato del presbiterio. Con la creazione della sagrestia in questa zona, avvenuta nel 1420, diventò necessario
l’inserimento di uno scalone più solenne, che ripetesse le
forme di quello posto a collegamento fra la zona plebana
e l’area presbiteriale all’interno alla chiesa: la rampa fu ricostruita nelle forme attuali nel 1744, come ricorda l’iscrizione che sormonta l’architrave del portale d’accesso alla
sagrestia e racchiude un clipeo a grottesca con l’effige degli olivetani.
Infine, nell’elenco dei attività favorite dall’abate Manis, viene insolitamente dedicata un’attenzione particolare alla
sistemazione della piano interrato sottostante la sagrestia,
che non aveva i requisiti necessari per essere una buona
cantina e conservare adeguatamente il vino. L’abate diede
così il via ad alcuni interventi per aerare l’ambiente, forando i paramenti murari e creando una serie di condotti chiusi da griglie tufacee a cerchi concentrici, che sono ancora
in buona parte visibili nel fianco orientale del chiostro.
1- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lati
settentrionale ed occidentale del chiostro.
2- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lato
meridionale del chiostro.
3- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lato
orientale del chiostro.
4- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lato
settentrionale del chiostro, volte alla mantovana in cotto.
5- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lato
settentrionale del chiostro, condotto di areazione per la
cantina.
6- San Bonifacio (VR), San Pietro Apostolo a Villanova, lato
settentrionale del chiostro, scalone di accesso alla sagrestia con decorazione pittorica trompe l’oeil.
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