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Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti

2017

The meaningful appearances of natural forms, intrinsically provided with meaning, are primary ecological facts for humans and non–human living beings. Only in recent years, however, perception studies have developed research pointing to the qualitative, and multimodal aspects of the experience. Specifically, the debate is now moving to the field of cross–modality, studying the connections between any given sensory feature in one modality (for example, color) and a sensory feature in another modality (for example, sound). Initially prompted by interest in the field of synesthesia, studies have begun considering similar phenomena occurring in the general population. Several hypotheses have been presented to explain the nature of such associations. A recent review of the field has drawn a distinction among structural correspondences (due to neural correlates, hence potentially universal), statistical correspondences (due to learning, hence potentially influenced by different environmen...

Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Liliana Albertazzi Liliana Albertazzi Le apparenze delle forme naturali nell’ambiente che ci circonda, intrinsecamente dotate di significato, sono fatti ecologicamente primari per gli esseri viventi, umani o non umani. Solo in anni recenti, però, gli studi della percezione hanno sviluppato la ricerca puntando agli aspetti qualitativi, semantici e multimodali dell’esperienza. In particolare, il dibattito si sta spostando sui fenomeni di cross–modalità, studiando le connessioni tra un qualsiasi attributo sensoriale (per esempio, il colore) e un attributo in un’altra modalità sensoriale (per esempio, il suono). Questi studi, suscitati inizialmente dall’interesse per la sinestesia, hanno in seguito verificato l’esistenza di tali fenomeni anche nella popolazione generale. Per spiegare la natura di tali associazioni, si sono avanzate diverse ipotesi. Una recente review dello stato attuale della ricerca ha distinto tra corrispondenze di tipo strutturale (dovute a correlati neuronali, quindi potenzialmente di tipo universale), oppure corrispondenze di tipo statistico (dovute ad apprendimento, quindi potenzialmente influenzate da ambienti diversi) o infine corrispondenze di tipo semantico (dovute al linguaggio e quindi potenzialmente differenti tra le diverse culture). Un crescente numero di ricercatori spiega le associazioni in termini di pattern di somiglianza qualitativa presenti nelle diverse modalità sensoriali e percepiti come tali: per esempio, attributi come caldo e freddo, triste e allegro, piacevole e spiacevole, sono proprietà connotative sia del colore che del suono, un aspetto di cui le arti sono sempre state consapevoli. Questo significa che in gioco non è l’informazione semantica proiettata top down in altri domini, ma qualità intrinseche agli stessi fenomeni percepiti. Questa posizione non esclude ovviamente la ricerca delle correlazioni a livello neuronale o la presenza di alcune dimensioni cognitive dovute all’apprendimento, al linguaggio e ad attività umane di tipo simbolico. Il mio contributo discute i recenti risultati nel campo della cross–modalità. In particolare, mostro l’esistenza di associazioni cross–modali tra forme geometriche (e loro parti, gli angoli) e colore, forme morfologiche e colore, pittura materica e musica classica spagnola, arte astratta e percezione tattile virtuale. I risultati ottenuti gettano luce sulla nostra relazione con l’ambiente e sulle corrispondenze esistenti tra lo spazio percettivo ambientale e lo spazio pittorico1. The meaningful appearances of natural forms, intrinsically provided with meaning, are primary ecological facts for humans and non–human living beings. Only in recent years, however, perception studies have developed research pointing to the qualitative, and multimodal aspects of the experience. Specifically, the debate is now moving to the field of cross–modality, studying the connections between any given sensory feature in one modality (for example, color) and a sensory feature in another modality (for example, sound). Initially prompted by interest in the field of synesthesia, studies have begun considering similar phenomena occurring in the general population. Several hypotheses have been presented to explain the nature of such associations. A recent review of the field has drawn a distinction among structural correspondences (due to neural correlates, hence potentially universal), statistical correspondences (due to learning, hence potentially influenced by different environments), and semantic correspondences (due to language influence, hence potentially different among cultures). A growing number of researchers explains associations in terms of patterns of qualitative similarity present in different sensory modalities and perceived as such: for example, hot and cold, sad and happy, and pleasant and unpleasant, are connotative properties of both sounds and colors, something about which the arts have always been aware. This means that what is at stake is not semantic information projected top–down into other domains, but qualities intrinsic to perceived phenomena. This position obviously does not preclude investigation of correlations at neuronal level or the presence of cognitive dimensions due to learning, language, and human symbolic activities. My contribution presents a survey of the results of recent studies in cross–modality. Specifically, I show the existence of cross–modal associations between geometric shape (and parts of, such as angles) and color, morphological shapes and color, materic paintings and classical Spanish music, abstract paintings and virtual tactile perception. These findings shed light on our relationship with the environment, and on the correspondences between perceptual and pictorial space1. Keywords: cross–modality, perceptual and pictorial spaces, qualities. Parole chiave: cross–modalità, qualità, spazio percettivo e pittorico. 1. Can we trust our eyes? The question is apparently odd, after centuries of vision studies. However, among the most intriguing challenges of current vision science there is the development of an observer–dependent science. A science of visual phenomena as subjectively and consciously experienced, in fact, would undermine the well–established assumption of veridicalism which rules the mainstream research, and in so doing go beyond the Galileian–Newtonian idea of science based on metric properties alone (Albertazzi, 2013a, b; Albertazzi, van Tonder, Vishwanath, 2010; Koenderink, 2010). Among the reasons for a radical change of viewpoint is the awareness that the space and the shapes that we subjectively experience are highly “illusory” if compared with the underlying physical stimuli. Although there is 36 extensive evidence in the experimental literature about behaviors of shapes and surfaces in visual space, that do not conform to their metric dimensions, only recently has the question of the nature and the intrinsic geometry (or, the geometries) underlying visual appearances been explicitly addressed in science (Albertazzi, 2015; Albertazzi, Louie, 2016; Wagner, 2006; Wackermann, 2010). The visual objects analyzed in classical psychophysics and neurophysiology, in fact, have been mainly understood and represented in terms of Euclidean geometry, starting from primitives such as points, lines, and surfaces as defined in that specific framework. It is generally assumed, for example, that points have neither dimensions nor colour, that there are Euclidean surfaces in the visual field, and that shapes have geometrical properties replicable in com- 1. Many thanks to Agostino De Rosa for providing the figures n. 2, n. 3, n. 4, and n. 5. 1. Si ringrazia Agostino De Rosa per aver messo a disposizione le immagini delle figure 2, 3, 4, e 5. 1. Possiamo fidarci di quello che vediamo? Dopo secoli di scienza della visione la domanda sembrerebbe fuori luogo. Peraltro, una delle sfide più interessanti sollevate di recente in questo campo di ricerca, consiste nello sviluppo di una scienza dipendente dall’osservatore. Una scienza dei fenomeni visivi, quali sono soggettivamente e consciamente percepiti, minerebbe infatti alle fondamenta l’incontrastata assunzione veridicalista che governa la tendenza dominante nella ricerca. In questo modo, si collocherebbe oltre la stessa idea galileiana–newtoniana di scienza, che è fondata unicamente sulle proprietà metriche degli stimoli (Albertazzi, 2013a, b; Albertazzi, van Tonder, Vishwanath, 2010; Koenderink, 2010). Fra le ragioni che motivano un cambiamento radicale del punto di vista, vi è la consapevolezza che lo spazio e le forme che esperiamo sogget- tivamente sono fenomeni altamente “illusori”, se confrontati con gli stimoli fisici sottostanti. Sebbene la letteratura sperimentale offra ampia evidenza del fatto che lo spazio e le forme nello spazio visivo non si conformino alle loro dimensioni metriche, solo di recente in ambito scientifico si è esplicitamente posto il problema della natura intrinseca della geometria (o delle geometrie) alla base dei fenomeni visivi (Albertazzi, 2015; Albertazzi, Louie, 2016; Wagner, 2006; Wackermann, 2010). Gli oggetti analizzati nella ricerca psicofisica e neurofisiologica infatti, sono stati quasi esclusivamente compresi e rappresentati in termini euclidei, a partire da primitivi, quali punti, linee e superfici, nei termini in cui sono definiti in quella specifica geometria. Ad esempio, si assume che i punti non abbiano né dimensione né colore, che nel campo visivo esistano super- 37 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? putational terms (Albertazzi, 2015; Koenderink et al., 2010; Marr, 1982). Therefore the inconsistencies of visually deformed shapes in space have been labeled “odd” perceptions (Gregory, 2009), and explained as “illusions”, i.e. hallucinations of our senses; although it is a fact that we subjectively perceive much more and differently from what is given in the metric stimuli. Among the widespread so–called “illusions” of our experience there are particularly surprising ones. Consider the visual behaviour of the simple drawing of a parallelepiped on a sheet of paper (Michotte, 1948). Looking from a particular vantage point, it appears “to stand up” (fig. 1). The readers are invited to test themselves that this happens when viewing with either one or both eyes. With both eyes, one has to look at the paper from an extreme angle, in which case the disparity information for the paper surface is very weak or disrupted (disparity gradient limit), so that one loses awareness of the paper surface, and the pictorial information dominates. This happens even more readily with one eye, because there is no conflicting binocular information. The impression of three–dimensionality is so strong that the observer readily accepts an invitation to insert a thin rod into the 3D figure without considering the task meaningless, as it would be if she were looking at a normal 3D picture drawn on a similar sheet of paper. The “qualitative” salience of the percept has been explained as being due to changes in assignment of egocentric distance information. Because the paper surface’s presence has been disrupted, the distance information from accommodation may accrue to the perceived object, and allow a scaling of the depth from an “egocentric” point of view, thus giving it the quality of “touchable” (Vishwanath, 2011). What we see is literally a “solid shape” that seems capable of being grasped. The same does not happen, for example, if one draws a cube on a piece of paper that is viewed binocularly or only with a slight slant, where distance information specifies the distance of the visual paper surface. The “metric two–dimensionality” of figures therefore does not necessarily coincide with a “perceived three–dimensionality” and may even potentially provoke motor actions such as 38 Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Figura 1 L’immagine del parallelepipedo che “si solleva” e “si eleva” nello spazio visivo. Figure 1 The image of the parallelepiped “stands up”, and “elevates” in the space above the sheet. 1 virtually grasping the so–called illusory object. Similar so–called illusions are widespread in visual space, perceptual and pictorial as well: consider, for example, superb anomalies such as Andrea Pozzo’s painted ceiling in the Church of St. Ignazio in Rome (and his perspective in the trompe–l’œil dome), or Edgar Mueller’s spectacular meta–anamorphic (άναμόρφωσις) street paintings, which indeed challenge our veridical sense of reality2 (figs. 2, 3, 4 and 5). As to the three–dimensionality of artistic objects, sculptures appear to manifest specific and distinct properties with respect to whose of paintings, such as tactile and volumetric dimensions. However, an analysis of the third dimension as a product of the mind of the observer that idiosyncratically expands or contracts it (Vishwanath, Hibbard, 2013) shows that seeing and touching are not separate modes. Therefore, the perfection of sculptures should Figure 2 Digital reconstruction of the catoptric anamorphosis designed by J.F. Niceron in La Perspective curieuse, ou magie artificielle des effets merveilleux…, Paris 1638, plate 19. Digital processing: Isabella Friso/Imago Rerum. Figura 2 Ricostruzione digitale dell’anamorfosi catottrica ideata da J.F. Niceron in La Perspective curieuse, ou magie artificielle des effets mervellieux…, Parigi 1638, tavola 19. Elaborazione digitale: Isabella Friso/Imago Rerum. Figure 3 Digital reconstruction of the geometric structure of the catoptric anamorphosis designed by J.F. Niceron in La Perspective curieuse, ou magie artificielle des effets merveilleux…, Paris 1638, plate 20. Digital processing: Isabella Friso/Imago Rerum. Figura 3 Ricostruzione digitale delle costruzioni geometriche relative a una anamorfosi catottrica, da J.F. Niceron in La Perspective curieuse, ou magie artificielle des effets mervellieux…, Parigi 1638, tavola 20. Elaborazione digitale: Isabella Friso/Imago Rerum. 2. Edgar Mueller. [visited December 27, 2016]. Available by: http://www.metanamorph. com/index.php. 2. Edgar Mueller. [visitato 27 dicembre 2016]. Disponibile da: http://www.metanamorph. com/index.php. 2 3 fici euclidee e che le forme abbiano proprietà geometriche replicabili in termini computazionali (Albertazzi, 2015; Koenderink et al., 2010; Marr, 1982). Per questa ragione le inconsistenze degli oggetti, che si “deformano” visivamente nello spazio rispetto alle loro proprietà metriche, sono state definite “curiose” percezioni (Gregory, 2009) e spiegate come “illusioni”, ovvero vere e proprie allucinazioni dei nostri sensi. Eppure, è un fatto che soggettivamente si percepisca molto di più e diversamente rispetto alle dimensioni metriche. Fra le diffuse cosiddette “illusioni” dei nostri sensi, ve ne sono alcune particolarmente sorprendenti. Si consideri il comportamento visivo di un semplice disegno di un parallelepipedo su un foglio di carta (Michotte, 1948). Guardandolo da una particolare angolatura, il parallelepipedo appare “sollevarsi” nello spazio visivo (fig. 1). I lettori sono invitati loro stessi a verificare come questo accada, sia in visione binoculare che in visione monoculare. In visione binoculare, si deve guardare il foglio dall’estremità di un angolo, nel qual caso l’informazione di disparità per la superficie del foglio è molto debole o interamente distrutta: in questo modo si perde la consapevolezza della superficie del foglio e prevale l’informazione pittorica. Questo fenomeno si verifica molto più velocemente in visione monoculare, per l’assenza di un’informazione binoculare conflittuale. L’impressione di tridimensionalità è così forte, che l’osservatore accetta senza difficoltà l’invito a inserire un bastoncino sottile nella figura tridimensionale senza considerare il compito insensato, come sarebbe nel caso stessimo guardando un’immagine normale disegnata su un foglio di carta. La salienza “qualitativa” del percetto è stata spiegata come dipendente dai cambiamenti che si verificano nell’assegnazione dell’informazione relativa alla distanza egocentrica. Dal momento che, percettivamente, la presenza della superficie del foglio è stata distrutta, l’informazione dovuta all’accomodamento è libera di accumularsi sull’oggetto percepito e permettere un ridimensionamento della profondità dal punto di vista “egocentrico”, producendo nell’oggetto la dimensione di poter essere “toccato” (Vishwanath, 2011). Ciò che vediamo è letteralmente una “forma solida” che ci sembra di poter afferrare. Non accade la stessa cosa, per esempio, se si disegna un cubo su un foglio di carta visto binocularmente o solo con una leggera inclinazione, dove l’informazione sulla distanza specifica quella della superficie del foglio visivo. Questi esempi portano a concludere che la “bidimensionalità metrica” delle figure non coincide necessariamente con una “tridimensionalità percepita” e che potenzialmente può persino indurre azioni motorie come l’afferrare virtualmente il cosiddetto oggetto illusorio. Simili illusioni, come sono definite, sono molto diffuse sia nello spazio visivo che in quello pittorico: si consideri, ad esempio, alcune superbe anomalie come il soffitto dipinto di Andrea Pozzo nella Chiesa di Sant’Ignazio a Roma (e la prospettiva trompe–l’œil della cupola) o gli spettacolari meta–anamorfici (άναμόρφωσις) dipinti di strada di Edgar Mueller che realmente pongono una sfida al nostro veridico senso di realtà2 (figg. 2, 3, 4 e 5). Quanto alla tridimensionalità delle opere d’arte, le sculture sembrerebbero presentare proprietà specifiche e distinte da quelle dei dipinti, ad esempio le dimensioni tattili e volumetriche. Un’analisi della terza dimensione come prodotto della mente dell’osservatore che idiosincraticamente la espande o la contrae (Vishwanath, Hibbard, 2013), peraltro, 39 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? also to be measured in terms of their ability to render at a distance the three–dimensional volumetric qualities with a two–dimensional surface effect (Hildebrand, 1893/1969). The awareness of the intrinsic relationship among space, shape and touch, is also described by architectural studies (Pallasma, 2005; Holl, Pallasma, 2007), and is experimentally verifiable regards to abstract art (Albertazzi et al., 2016a). Over the centuries, in fact, the history of art shows the presence and the application of the so–called illusions as aesthetic and perceptual devices. They are widely represented, from the èntasis of the Doric columns to painting, to stereo kinetic effects of images in rotation (see Duchamp’s Rotoreliefs, fig. 6, such as the Chinese Lanterne3), to the drawing of cartoons (it is well known the effort put by Walt Disney’s designers to render the perceived movement and the impact on the ground of two dimensional drawings). These examples allow us to conceive the space we “see in” (Hecht, Schwartz, Atherton, 2003) as intrinsically imaginative, observer dependent, and very apparent if compared with metric stimuli. Between the two basic characteristics of visual space – convexity (the space Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? 4 outside) and concavity (the space inside) – there may in fact be an entire phenomenology of spatial variations and behaviors. Consider, for example, a cylinder seen from the inside as concave or seen from the outside as convex (a problem that also occupied Fechner in his studies on experimental aesthetics (Fechner, 6 40 5 Figures 4 and 5 Emmanuel Maignan, San Francesco di Paola in preghiera (1642), convent of SS. Trinità dei Monti, Rome. Photograph by Agostino De Rosa. Figure 4 e 5 Emmanuel Maignan, San Francesco di Paola in preghiera (1642), convento della SS. Trinità dei Monti, Roma. Fotografia di Agostino De Rosa. Figure 6 Marcel Duchamp, Rotoreliefs, 1935. A set of 6 double sided discs to be spun on a turntable at 40–60 rpm, to create an illusion of depth. StudyBlue. [visited December 30, 2016]. Available by: https:// www.studyblue.com/notes/ note/n/20th-21st-century-art/ deck/185804. Figure 6 Marcel Duchamp, Rotoreliefs, 1935. Un insieme di dischi bidimensionali da far ruotare a 40–60 giri/m, per creare una “illusione” di profondità. StudyBlue. [visitato 30 dicembre 2016]. Disponibile da: https://www.studyblue. com/notes/note/n/20th-21stcentury-art/deck/185804. 3. YouTube.it. [visited December 27, 2016]. Available by: https://www.youtube.com/ watch?v=zX4-sDVVDiw. 3. YouTube.it. [visitato 27 dicembre 2016]. Disponibile da: https://www.youtube.com/ watch?v=zX4-sDVVDiw. mostra come vedere e toccare non siano modalità separate. La perfezione delle sculture, quindi, dovrebbe essere misurata anche nei termini della loro capacità di rendere a distanza le qualità tridimensionali e volumetriche con un effetto di superficie bidimensionale (Hildebrand, 1893/1969). La consapevolezza dell’intrinseca relazione tra spazio, forma e percezione tattile è descritta anche negli studi di architettura (Pallasma, 2005; Holl, Pallasma, 2007) ed è verificabile sperimentalmente nei confronti dell’arte astratta (Albertazzi et al., 2016a). Nei secoli, la storia dell’arte ha esibito la presenza e l’impiego delle cosiddette illusioni come strumenti estetici e percettivi: sono infatti ampiamente rappresentati, dall’èntasis delle colonne doriche alla pittura, agli effetti stereocinetici delle immagini in rotazione (si vedano i Rotoreliefs di Duchamp, fig. 6, come la Chinesische Lanterne3), al disegno dei cartoons (è molto nota la ricerca fatta dai disegnatori della Walt Disney per riuscire a rendere l’impressione di movimento e l’impatto sul terreno di figure bidimensionali). Questi esempi permettono una concezione dello spazio “entro cui vediamo” (Hecht, Schwartz, Atherton, 2003) come uno spazio intrinsecamente immaginativo, dipendente dall’osservatore e molto apparente, se confrontato con gli stimoli metrici. Tra le due caratteristiche fondamentali dello spazio visivo – convessità (lo spazio esterno) e concavità (lo spazio interno) – può esistere, infatti, un’intera fenomenologia di variazioni e di comportamenti spaziali delle forme percepite. Si consideri, ad esempio, un cilindro visto dall’interno come concavo o visto dall’esterno come convesso (un problema di cui si era occupato anche Fechner, nei suoi studi di estetica sperimentale (Fechner, 1860) o il comportamento visivo di cubi, prismi e conchiglie a forma conica in fase di inversione prospettica (Deregowski, 2014; Kopfermann, 1930; Necker, 1832). Che ogni superficie, ogni forma nello spazio visivo abbia il suo “punto centrale di direzione” (Arnheim, 1988) e che l’osservatore sia situato “all’interno” di questa geometria visiva delle forme percepite, da Cezanne in poi è una consapevolezza che pervade i movimenti artistici di quel periodo. Nel raffigurare come “triangolari” o “coniche” le forme dimensionali percepite (siano esse il dinamismo di un uomo, di lancieri o di cavalli, come in Boccioni) o nel sostenere che gli angoli acuti siano “caldi” e quelli ottusi “freddi” (Kandinsky, 1912), i pittori delle avanguardie tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento non hanno fatto altro che rappresentare con grande esattezza alcune componenti della nostra esperienza soggettiva diretta. Per esempio, nel percepire certe configurazioni come “quadrate”, ciò che percepiamo effettivamente non è una figura euclidea, ma una specifica qualità (una “quadrità” o una “forma quadrata”), che copre una variabile, ma entro un piccolo numero di variazioni (Albertazzi, 2015). Lo stesso vale per le proprietà connotative dei colori, che percepiamo come caldi o freddi, chiari o scuri, squillanti o muti (Albertazzi, Koenderink, van Doorn, 2015). Le rappresentazioni artistiche di queste dimensioni soggettive della nostra percezione sono comprese e condivise dalla popolazione generale, perché fenomenologicamente “oggettive”. 2. Siamo tutti sinesteti? Negli ultimi anni, dopo il vasto numero di ricerche condotte per spiegare la natura delle cosiddette illusioni percettive, il focus dell’at- 41 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? 1860), or the visual behaviour of cubes, prisms, and conical shells undergoing perspectival reversal (Deregowski, 2014; Kopfermann, 1930; Necker, 1832). That every surface, every shape in visual space has its “central point of direction” (Arnheim, 1988), and that the perceiver is “internal” to this visual geometry of perceived forms, was from Cezanne onwards an awareness pervading the artistic movements of that period. By depicting the perceived dimensional shapes and dynamism of a man, lancers, horses, as “triangular” or “conical” (Boccioni), or maintaining that acute angles are “warm” and obtuse ones are “cold” (Kandinsky, 1912), these painters were re–presenting components of our direct and subjective experience in exact manner. For example, in perceiving certain configurations as “squared”, we do not perceive a Euclidean figure but a specific quality (say, “squareness” or “squaroid”), that covers a variable but always small number of variations (Albertazzi, 2015). The same holds for the connotative properties of colours, which humans perceive as warm, cold, bright or dull, shrill or mute (Albertazzi, Koenderink, van Doorn, 2015).The representations of our perceiving in art products are understood and shared by general population, because they are phenomenologically “objective”. 2. Are we all synaesthetes? In recent years, after the large amount of studies conducted to explain the behavior of so–called perceptual illusions, the focus of attention has shifted to apparently “odd” associations perceived among percepts of different modalities. Initially prompted by interest in the field of synaesthesia (Cytowic, 1995; Melara, O’Brien, 1987; Simner et al., 2006), studies then considered similar phenomena occurring in the general population (Crisinel, Spence, 2010; Sagiv, Ward, 2006; Spence et al., 2010; Spector, Maurer, 2008, 2011). Differently from the individual and rigid coordination occurring in synaesthesia (for example between a certain colour and a certain sound or grapheme simultaneously perceived by the subject), cross–modal associations are neither restricted to 5% of the population, nor idiosyncratic: on the contrary, there 42 is broad consensus and statistically consistency among people as regards these phenomena, which are shared and perceived as “natural”. In scientific research, the question was initially put in terms of the tendency for a sensory feature, or attribute, in one modality to be matched with a sensory feature in another modality (Demattè, Sanabria, Spence, 2006; Lau et al., 2011; Ludwig, Simner, 2013; Simner et al., 2005; Ward, Huckstep, Tsakanikos, 2006). Most of the initial research was conducted on rather simple stimuli (colour/grapheme, colour/sound, note/odour, taste/flavour/sound, etc.), and only recently has inquiry been extended to stimuli of higher order complexity. It has been shown that humans tend to associate colors and shapes, sounds and shapes, or taste and music. In natural language, in fact, we make wide use of expressions such as “bitter” or “rough” sounds, and “acid” or “vivid” colors, or speak in terms of a “falling” minor and a “rising” major in music; the triangle is generally associated with yellow and the square with red, zigzag shapes are associated with sharp sounds, and curvilinear shapes with soft ones. More than this, complex paintings are associated with specific music, faster music in the major mode produces color choices that are more saturated, lighter, and yellower, whereas slower, minor music produces the opposite pattern (Palmer et al., 2013); even abstract concepts such as “impartiality” seem to be blue–green (Albertazzi et al., 2013). Because the association is shown even with highly complex stimuli, rather than being treated as a curiosity it should be considered an essential feature of perception. The research on these aspects has been recently extended to associations between materic painting and classical Spanish music (Albertazzi, Canal, Micciolo, 2015), abstract painting and touch (Albertazzi et. al., 2016a), and even classical music and poetic texts (Albertazzi et al., 2016b). In other words, research is now extending to stimuli as perceived and experienced in daily life, and in so doing attracting the attention of people working in apparently very different domains, such as graphic interior designers, fashion designers, people working in virtual reality, urban and environmental architecture, museums, in- Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? tenzione si è spostato su associazioni apparentemente altrettanto “curiose”, percepite fra fenomeni appartenenti a modalità sensoriali differenti. A partire dall’interesse suscitato dagli studi sulla sinestesia (Cytowic, 1995; Melara, O’Brien, 1987; Simner et al., 2006), la ricerca ha poi considerato fenomeni simili che si verificano nella popolazione generale (Crisinel, Spence, 2010; Sagiv, Ward, 2006; Spence et al., 2010; Spector, Maurer, 2008, 2011). A differenza del coordinamento rigido e specifico per i singoli individui che si verifica nella sinestesia (per esempio un certo colore e un certo suono o grafema sono percepiti dal soggetto simultaneamente), le associazioni cross–modali non sono né ristrette al 5% della popolazione né idiosincratiche e diverse per i singoli individui: al contrario, nella popolazione generale esiste un ampio consenso su queste percezioni, la cui consistenza è statisticamente verificabile, e che sono condivise e percepite come “naturali”. Nella ricerca scientifica la questione è stata posta inizialmente in termini di una tendenza che avrebbe uno stimolo metrico o attributo in una modalità ad essere mappato su uno stimolo metrico in un’altra modalità (Demattè, Sanabria, Spence, 2006; Lau et al., 2011; Ludwig, Simner, 2013; Simner et al., 2005; Ward, Huckstep, Tsakanikos, 2006). Gran parte della ricerca iniziale è stata condotta su stimoli abbastanza semplici (colore/grafema, colore/ suono, nota/odore, gusto/odore/suono, ecc.) e solo di recente l’indagine è stata estesa a stimoli di maggiore complessità. È stato dimostrato, dunque, che le persone tendono ad associare colori e forme, suoni e forme, gusti e brani musicali. Nel linguaggio naturale, infatti, facciamo ampio uso di espressioni quali suono “aspro” o “ruvido”, colori “acidi” o “vivaci” e in ambito musicale parliamo di una modalità minore “discendente” e di una modalità maggiore “ascendente”. Si è mostrato come il triangolo venga generalmente associato al giallo e il quadrato al rosso, le forme a zig–zag a suoni acuti e le forme curvilinee a suoni morbidi. Inoltre, dipinti complessi sono associati a uno specifico tipo di musica, un ritmo veloce in modalità maggiore è associato a colori saturi, chiari e tendenti al giallo, mentre un ritmo più lento e in modalità minore su- scita il pattern opposto (Palmer et al., 2013); persino concetti astratti come “imparzialità” sembrano essere associati a tinte intermedie dei blu–verdi (Albertazzi et al., 2013). Poiché l’associazione è stata provata anche nel caso di stimoli molto complessi, come quadri o musica classica, piuttosto che essere considerati una curiosità, questi fenomeni dovrebbero essere riconosciuti come una caratteristica cruciale della percezione. La ricerca su questi aspetti si è recentemente estesa allo studio di quadri di pittura materica e musica classica flamenca (Albertazzi, Canal, Micciolo, 2015), pittura astratta e percezione tattile (Albertazzi et. al., 2016a) e persino tra musica classica e testi poetici (Albertazzi et al., 2016b). In altre parole, la ricerca si sta estendendo all’analisi di stimoli non elementari, quali sono le normali esperienze della vita ordinaria. A causa del loro valore applicativo, questi risultati hanno richiamato l’attenzione di professionisti che operano in domini apparentemente molto diversi come designers di grafica e di interni o fashion designers, di coloro che lavorano nell’ambito della realtà virtuale, in architettura urbana e ambientale, nei musei, nelle industrie di produzione e distribuzione di prodotti alimentari (food commerce) ed in ambito pubblicitario. Questi fenomeni forniscono anche molte informazioni sulla natura dello spazio visivo, che appare “intrinsecamente cross–modale” e rivelano la presenza di “un’unità dei sensi” (Cytowic, 1995), che viene percepita dalla popolazione generale. Per spiegare la natura di tali associazioni si sono avanzate diverse ipotesi: per alcuni sarebbero da mettere in relazione a corrispondenze strutturali che si verificano tra correlati neuronali; per altri a corrispondenze statistiche dovute ad apprendimento oppure a corrispondenze di tipo semantico; o infine a pattern di somiglianza qualitativa presenti nelle diverse modalità sensoriali: per esempio, caldo e freddo, allegro e triste, piacevole e spiacevole sono proprietà connotative sia dei suoni che dei colori percepiti. Una spiegazione esaustiva di questi fenomeni è ancora lontana dal potersi realizzare, anche a causa delle differenze sostanziali esistenti tra le diverse analisi e le diverse metodologie applicate nella ricerca (Spence, 2011). 43 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? 7 dustries of food commerce, and advertising, because of their potential applicative value. These phenomena are very informative also regarding the nature of visual space, because it appears to be “intrinsically cross–modal”, in that it reveals the presence of a “unity of the senses” (Cytowic, 1995) as perceived by general population. Several hypotheses have been put forward to explain the nature of such associations: structural correspondences due to neural correlates; statistical correspondences due to learning; semantic correspondences; patterns of qualitative similarity in different sensory modalities: for example, hot and cold, sad and happy, and pleasant and unpleasant, are connotative properties of both the sounds and the colours that we perceive. An exhaustive explanation of these phenomena is not yet forthcoming also because of the substantial differences among the analyses and methodologies applied in the research (Spence, 2011). 3. What is the “natural colour” of circles, triangles, squares, and graphemes? For centuries, odd questions of the kind have been permitted only in the realm of the arts: consider, for example, Rimbaud’s The Vowels, centred on what he perceived to be the natural colours of the letters of the alphabet, or Kandinsky’s already mentioned idea (Kandinsky, 1912), that sounds and shape have their own natural colours, or Skrjabin’s The Poem of Fire, on the natural association between musical notes and coloured lights. One may object, howe- 44 ver, that the three artists were synaesthetes, so that their experiences are not generalizable. However, the impossibility of raising such questions in science is essentially due to the strict constraints imposed by Galileo on what is or has to be considered a “scientific” inquiry. As well known, Galileo conceived the universe as written in mathematical languages, whose characters are triangles, circles and other geometric (i.e. Euclidean) shapes, without which it would be impossible to understand even a single word of that language, leaving us wandering in an obscure labyrinth (Galileo, 1963/1957, ch. VI). Galileo was perfectly aware of the existence of so–called “secondary qualities”, but he maintained that we have only names for those subjective experiences pertaining to consciousness. Recently, however, those apparently odd questions have been considered eligible, and consequently experimentally tested. Here I present the results of some recent studies, two of which relate to Kandinsky’s claim that there exist a natural association between shapes and colours. The first study (Dadam et al., 2012) expanded Kandinsky’s classic ABC (consisting of three shapes to be associated with three colours by his Bauhaus students at Dessau) to include more complex set of stimuli. Kandinsky (1912) survey showed the existence of an association between colour and shape, and precisely between yellow and triangle, red and square, and blue and circle (Droste, 1990; Lupton, Miller, 1991). He claimed that this correspondence was due to the intrinsic relationship between colours and angles. Others replicated Kandinsky’s experiment with minor changes (Jacobsen, 2002), obtaining different results. As regards our study, its materials consisted of a Hue Circle and a series of geometric shapes. The Hue Circle, taken from the NCS (Natural Colour System) Atlas, presents 40 hues, including the four unique hues – Yellow, Red, Green, Blue – and the intermediate ones (the Yellow–Reds, Red–Blues, Blue–Greens, Green–Yellows, fig. 7). The twelve geometric drawings were two– dimensional shapes (circle, triangle, square, rhombus, hexagon, trapezium, oval, and parallelogram) and two–dimensional projections Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Figure 7 The 40 hues of the NCS Hue Circle and their labels. The circle is here divided into two halves (“cool half” and “warm half”) that represent an approximate subdivision between warm and cool colours. Figure 8 Twelve shapes presented to participants (1rst test), consisting of two– dimensional shapes (circle, triangle, square, rhombus, hexagon, trapezium, oval, parallelogram) and two– dimensional projections of three–dimensional shapes (cone, pyramid, truncated cone, truncated pyramid). Figura 7 Le 40 tinte del “cerchio delle tinte” del NCS e le loro notazioni metriche. Qui il cerchio è diviso in due parti (una “metà fredda” e una “metà calda”), che rappresentano una divisione approssimativa tra colori caldi e freddi. Figura 8 Le dodici forme presentate ai partecipanti (nel primo test), consistenti di forme dimensionali (cerchio, triangolo, quadrato, rombo, esagono, trapezio, ovale, parallelogramma) e di proiezioni bidimensionali di forme tridimensionali (cono, piramide, tronco di cono, tronco di piramide). 3. Qual’è il “colore naturale” di cerchi, triangoli, quadrati e grafemi? Per secoli, domande di questo tipo sono state ammissibili solo in campo artistico: si consideri l’esempio della poesia di Rimbaud, Le vocali, originata da quello che il poeta percepiva come il colore naturale delle lettere dell’alfabeto o l’affermazione di Kandinsky (Kandinsky, 1912), già ricordata, secondo cui suoni e forme hanno i loro propri colori, o Il Poema del Fuoco di Skrjabin, sull’associazione naturale tra note musicali e luci colorate. Si potrebbe obiettare, peraltro, che i tre artisti erano sinesteti, così che le loro esperienze non siano generalizzabili. L’impossibilità di sollevare tali domande in ambito scientifico, però, si è dovuta essenzialmente ai forti vincoli imposti da Galileo su ciò che sia o debba essere considerato una ricerca “scientifica”. Come è noto, Galileo concepiva l’universo come scritto in linguaggio matematico, i cui caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche (ovvero euclidee), senza le quali a suo parere sarebbe impossibile comprendere una sola parola di quel linguaggio, cosa che ci porterebbe a vagare in un oscuro labirinto (Galilei, 1623/1957, cap. VI). Galileo era perfettamente consapevole dell’esistenza delle cosiddette “qualità secondarie” come suoni, colori o odori, ma sosteneva che per queste esperienze soggettive, pertinenti alla coscienza, si avessero solo nomi. Recentemente, però, queste domande apparentemente curiose sono state considerate scientificamente ammissibili e di conseguenza verificate sperimentalmente. In questa sede presento i risultati di alcuni studi recenti, due dei quali fanno riferimento all’affermazione di Kandinsky che esista un’associazione naturale tra forme e colori. Il primo studio (Dadam et al., 2012) ha espanso il classico ABC di Kandinsky (consistente di tre forme da associare a tre colori da parte dei suoi studenti alla Bauhaus di Dessau) a un più complesso insieme di stimoli. Il test di Kandinsky (1912) aveva mostrato l’esistenza di una associazione tra colore e forma, e precisamente tra il giallo e il triangolo, il rosso e il quadrato e il blu e il cerchio (Droste, 1990; Lupton, Miller, 1991). Egli sosteneva che questa corrispondenza fosse dovuta alla relazione intrinseca esistente tra colori ed angoli. Altri ricercatori hanno replicato il formato del test di Kandinsky con alcuni minori modifiche (Jacobsen, 2002), ottenendo però risultati differenti. Per ciò che riguarda il nostro studio, i materiali consistevano in un Cerchio delle Tinte ed in una serie di forme geometriche. Il Cerchio delle Tinte, preso dall’Atlas NCS (Natural Colour System), è composto di 40 tinte che includono le quattro tinte uniche – Giallo, Rosso, Verde, Blu – e le tinte intermedie (i Giallo–Rossi, i Rosso–Blu, i Blu–Verdi e i Verdi–Gialli, fig. 7). I dodici disegni geometrici sono forme bidimensionali (cerchio, triangolo, quadrato, rombo, esagono, trapezio, ovale, e parallelogramma) e proiezioni bidimensionali di forme tridimensionali (cono, piramide, tronco di cono, tronco di piramide, fig. 8). L’ipotesi formulata era che forme con caratteristiche percettive differenti inducessero associazioni consistenti con colori o gruppi cromatici. La ricerca era divisa in due parti. La prima parte verificava l’esistenza di una “associazione naturale” tra una forma e una tinta specifica o un gruppo di tinte. La seconda parte esplorava la relazione tra il colore e le dimensioni spaziali delle forme, ovvero la loro grandezza, l’area, il perimetro e la stabilità percettiva nello spazio 8 45 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? of three–dimensional shapes (cone, pyramid, truncated cone, truncated pyramid, fig. 8). The hypothesis was that shapes with different perceptual characteristics lead to consistent associations with colours or chromatic groups. The research was divided into two parts. The first part, verified the existence of a naturally–biased association between a shape and a specific hue, or groups thereof. The second part explored the relationship between the colour and the spatial dimensions of the shapes, i.e. their size, area/perimeter and stability, the purpose being to verify that the results obtained in the first part were independent of these spatial characteristics of shapes. For each basic geometric shape studied, participants were asked to indicate the colour perceived as most closely related to it, choosing from the NCS Hue Circle. The results show that the choices of colour for each shape were not random, i.e., participants systematically established an association between shapes and colours when explicitly asked to choose the colour which, in their view, without any presupposition or reference to past experience, they saw as the most naturally related to a series of given shapes. It is noteworthy that none of the participants showed perplexity or difficulty in understanding the task: the concept of “natural association” seems to have been intuitively clear to all of them. Analysis of the results showed that non–random relations exist between colours and shapes, and that these relations are remarkably systematic. The systematicity concerns both positive and negative associations: for example, positive relations were found in both sessions between the triangle and YY, between the square and RR, between the circle and RR, between the square and BB, between the hexagon and RB, and between the pyramid and YY. Correspondence analysis explained the associations found between shapes and colour qualities in terms of some connotative properties of colour, i.e. the warm/cold and the light/dark dimensions. In other words, two–dimensional shapes are spread along a “warmth continuum” (identified by the first dimension) ranging from the coolest (parallelogram) to the warmest (circle and triangle) 46 going through “mild temperature” shapes (trapezium, rhombus, square, hexagon, oval). On the other hand, two–dimensional shapes have a lesser extension on the second dimension (light/dark); some shapes are definitely dark (square and circle) while none of them is light. In particular, the circle has high values in both dimensions. The two–dimensional projections of three–dimensional shapes (pyramid, cone, truncated cone and pyramidal cone) essentially vary in the second dimension (light/dark) and are mainly neutral with respect to the first dimension (warm/cold). The pyramid, and to a lesser extent the cone, are shown to be perceived as the lightest shapes. The strongest relations were found between the triangle and yellows, and the circle and square with reds. By contrast, the parallelogram was connected particularly infrequently with yellows and the pyramid with reds. Correspondence analysis suggested that two main aspects determine these relationships, namely the “warmth” and degree of “natural light- Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Figure 9 Shapes presented to participants. The 4 shapes were rhombus, square, triangle and circle. Two of the four series are displayed in the figure: large shapes with the same perimeter (top panel), small shapes with the same area (bottom panel). Additional series displayed to participants were: large shapes with the same area, small shapes with the same perimeter. 9 Figura 9 Le forme presentate ai partecipanti. Le 4 forme sono state rombo, quadrato, triangolo e cerchio. Nella figura si mostrano due delle quattro serie: forme larghe con lo stesso perimetro (in alto), forme piccole con la stessa area (in basso). Ulteriori serie presentate ai partecipanti sono state: forme larghe con la stessa area, forme piccole con lo stesso perimetro. visivo, volendo verificare se i risultati ottenuti nella prima parte del test dipendessero o meno da queste caratteristiche spaziali degli oggetti. Per ogni forma geometrica di base presa in considerazione, ai partecipanti si chiedeva di indicare il colore che percepissero come ad essa naturalmente associato, scegliendolo dal Cerchio delle Tinte NCS. I risultati mostrano che le scelte del colore per ogni forma non sono casuali, ovvero che i partecipanti hanno stabilito in modo sistematico un’associazione tra forme e colori quando si chiedeva loro esplicitamente di scegliere il colore che, dal loro punto di vista e senza alcun riferimento ad esperienze passate, vedessero come il più naturalmente relato a una serie di forme loro presentate. È degno di nota come nessuno dei partecipanti abbia mostrato alcuna perplessità o difficoltà nella comprensione del compito: il concetto di “associazione naturale” sembra essere stato intuitivamente chiaro. L’analisi dei risultati ha mostrato che tra colori e forme esistono relazioni non casuali in modo sistematico. Inoltre, si sono verificate sia associazioni positive che negative: per esempio, in ambedue le sessioni sperimentali, tra il cerchio ed il rosso, tra l’esagono e il rosso–blu e tra la piramide e il giallo. L’analisi delle corrispondenze ha spiegato le associazioni rinvenute tra forme e qualità del colore in termini di alcune proprietà connotative, ovvero le dimensioni caldo/freddo e chiaro/scuro. In altre parole, le forme bidimensionali si estendono lungo un “continuo di calore” (identificato dalla prima dimensione), dalla forma più fredda (parallelogramma) a quelle più calde (cerchio e triangolo), passando per forme di “temperatura intermedia” (trapezio, rombo, quadrato, esagono, ovale). D’altro canto, le forme bidimensionali mostrano una minore estensione nella seconda dimensione (chiaro/scuro), mentre alcune forme sono decisamente scure (quadrato). In particolare, il cerchio mostra valori alti in ambedue le dimensioni (temperatura e chiarezza). Le proiezioni bidimensionali delle forme tridimensionali (piramide, cono, tronco di cono e tronco di piramide) variano essenzialmente nella seconda dimensione (chiaro/scuro) e sono generalmente neutrali rispetto alla prima dimensione (caldo/freddo). La piramide e, in misura minore, il cono sono percepiti come le forme più chiare. Le relazioni più forti si sono trovate tra il triangolo e i gialli, e tra il cerchio e il quadrato e i rossi. Per contrasto, il parallelogramma è stato pochissimo associato ai gialli e la piramide ai rossi. L’analisi della corrispondenza suggerisce quindi che sono due gli aspetti fondamentali che determinano queste relazioni, la “temperatura” e il grado di “chiarezza naturale” (Spillmann, 1985) delle tinte. Come già ricordato, abbiamo anche verificato se dimensioni quali perimetro, area e stabilità percettiva nello spazio visivo potessero giocare un ruolo nella correlazione (fig. 9). Anche in questo caso abbiamo ottenuto risultati simili rispetto alle associazioni tra le variabili “forma” e “colore”, ovvero non si sono verificate interazioni significative con l’area, il perimetro e la stabilità percettiva delle forme. Come risultato collaterale dello studio, le associazioni personali di Kandinsky (peraltro, un sinesteta) sono state parzialmente confermate: il triangolo è giallo e il quadrato è rosso. La popolazione generale, invece, percepisce il cerchio come rosso chiaro. Lo studio, con gli stessi stimoli e la stessa metodologia è stato ripetuto in Giappone portando a risultati simili, nonostante la differenza culturale (Chen, Tanaka, Matsuyoshi, Watanabe, 2013). 4. Qual’è il “colore naturale” degli angoli? I risultati dello studio condotto sulle associazioni naturali tra forme geometriche e colore, hanno permesso di avanzare delle previsioni: per esempio, ci si aspetterebbe di trovare una correlazione non solo tra colore e tipo di forma, ma anche tra colore e parti di una forma, sia per l’estensione relativa delle parti coinvolte sia per la caratterizzazione generale dell’intero. In principio, però, il colore di una forma percepita non deve essere necessariamente dato dalla somma delle parti. Questi studi trovano ancora un correlato nelle analisi condotte da Kandinsky in campo artistico. L’analisi tra forma e colore rientrava infatti in un’indagine più ampia sugli elementi dello spazio pittorico in termini di punti, linee e superfici (Kandinsky, 1926) e sulle loro caratteristiche cross–modali. Kandinsky, per esempio, considerava caldo 47 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? ness” (Spillmann, 1985) of hues. We also tested whether dimensions such perimeter, area, and stability/instability in visual space might have a role in correlation (fig. 9). Also in this case, however, quite similar results were obtained with respect to both the significant association between the variables “shape” and “color”, i.e. non–significant interactions occurred with size, area/perimeter, stability. As a by–product of the study, Kandinsky’s personal associations (he was a synaesthete) were partially confirmed: the triangle is yellow and the square is red. The general population, instead, perceives the circle as light red. The study, with the same stimuli and the same methodology, has been repeated in Japan, leading to similar results, notwithstanding the difference in culture (Chen, Tanaka, Matsuyoshi, Watanabe, 2013). 4. What is the “natural colour” of angles? The results of the study conducted on the natural associations between geometrical shapes and colour, allowed some predictions to be made: for instance, one would expect to find a correlation not only between colour and type of shape but also between colour and the parts of a shape, in regard to both the relative extension of the parts involved and the overall characterization of the whole. In principle, the colour of a perceived shape is not necessarily given by the sum of the colours of its metric parts. These studies again find a correlate in the analyses conducted by Kandinsky in the artistic field. In fact, Kandinsky’s shape/colour analysis was part of his broader investigation into the elements of pictorial space in terms of points, lines, and surfaces (Kandinsky, 1926) and their cross–modal characteristics. For example, Kandinsky considered an acute angle to be warm and tending to yellow, and an obtuse angle to be cool and tending to blue. In a second experiment (Albertazzi et al., 2014), the existence of a natural association between specific geometric angles formed by two lines and specific hues in the general population was tested. Because it was hypothesized that there may be some kind of intermediate visual structure explaining the particular combinations or connections found between shape and colour, such a structure might have 48 been the angle. Examining whether angles of different amplitude are viewed as naturally associated with specific hues, this would also confirm and explain the associations previously found between shapes and hues. The only variation with respect to the previous experimental design, besides the different stimuli, consisted in presenting the figures against both a white and a black background. To this end, a selection of basic geometric angles was used to evaluate whether different amplitudes indeed give rise to consistent choices of hues valid for participants who, although independent, shared the same culture, age, education, and so forth. A non–random distribution of frequency of choice of hues for the different angles presented was expected. The materials consisted of a Hue Circle and a series of angles formed by two segments joined at their vertex. The Hue Circle had a diameter of 375 mm and was made up of 40 small circular patches of 18 mm. Lines forming angles of different widths (22.5°, 45°, 90°, 135°, 157.5°, 180°) were displayed one at a time with their vertex centered with respect to the Hue Circle (fig. 10). The angles were presented in achromatic grey (RGB = 125, 125, 125) and reproducing only their sides (length = 97 mm; thickness = 3 mm). On every presentation the orientation of the Hue Circle varied at random (i.e., the colour to the north of the screen was not always the same). Between one presentation and the next, the angles of each width were presented in random orientation in each of the eight possible orientations (0°, 45°, 90°, 135°, 180°, 225°, 270°, 315°), for a total of 48 presentations. The same stimuli were presented first in the version with a white background and then in the version with a black background, or vice versa. The results of the study confirmed previous findings (Albertazzi et al., 2014; Dadam et al., 2012; Spector, Maurer, 2008, 2011), further extending the range of the associations of colours with angles of different amplitude. As regards the other specific aspects of colours examined, the results suggest relations between angles and some qualities of colours like their temperature (warm/cool). Acute angles were mainly associated with warm colours, while obtuse an- Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Figure 10 Lines forming angles with the six widths studied (22.5°, 45°, 90°, 135°, 157.5°, 180°), in one of the eight orientations in which they could appear during the experiment with the white background. The Hue Circle rotated at random between one presentation and the next. Figura 10 Linee formanti angoli con le sei ampiezze studiate (22.5°, 45°, 90°, 135°, 157.5°, 180°), in uno degli otto orientamenti in cui apparivano durante l’esperimento con lo sfondo bianco. Il “cerchio delle tinte” ruotava casualmente tra l’una e l’altra presentazione. 10 e tendente al giallo un angolo acuto, mentre freddo e tendente al blu un angolo ottuso. In un secondo esperimento (Albertazzi et al., 2014), l’esistenza di un’associazione naturale tra determinati angoli geometrici, formati da due linee unite ad un vertice e determinate tinte è stata verificata nella popolazione generale. Poiché si era ipotizzata l’esistenza di una certa struttura visiva intermedia, che potesse spiegare le particolari associazioni o connessioni che si erano precedentemente rinvenute tra forma e colore, tale struttura avrebbe potuto essere l’angolo. Analizzare se angoli di diversa ampiezza fossero percepiti come naturalmente associati a certe tinte avrebbe confermato e contribuito a spiegare anche le associazioni precedentemente rinvenute tra forme e colori. La sola variazione rispetto al precedente disegno sperimentale, oltre alla diversità degli stimoli, consisteva nel presentare le figure sia su sfondo bianco che su sfondo nero. A questo scopo, una selezione di angoli geometrici di base è stata scelta per valutare se ampiezze differenti dessero origine a scelte consistenti di tinte differenti da parte di partecipanti che, sebbene in modo indipendente, condividessero la stessa cultura, età, educazione e così via. Ci si aspettava una non casuale distribuzione di frequenza di scelta delle tinte per i differenti angoli presentati. I materiali consistevano di un Cerchio delle Tinte e di una serie di angoli formati da due segmenti uniti al vertice. Il Cerchio delle Tinte aveva un diametro di 375 mm e era costituito di 40 piccoli cerchi di 18 mm. Linee formanti angoli di diversa ampiezza (22.5°, 45°, 90°, 135°, 157.5°, 180°) venivano presentate sullo schermo una alla volta con il loro vertice centrato rispetto al Cerchio delle Tinte (fig. 10). Gli angoli venivano presentati prima in grigio acromatico (RGB = 125, 125, 125) e riproducendo solo i lati (lunghezza = 97 mm; spessore = 3 mm). Ad ogni presentazione l’orientamento del Cerchio delle Tinte variava in maniera casuale (ovvero, il colore a nord dello schermo non era mai lo stesso). Ad ogni presentazione, gli angoli di ogni ampiezza venivano presentati in orientamento casuale in ognuno degli otto orientamenti possibili (0°, 45°, 90°, 135°, 180°, 225°, 270°, 315°), per un totale di 48 presentazioni. Gli stessi stimoli sono stati presentati prima nella versione con uno sfondo bianco e poi nella versione con uno sfondo nero, o viceversa. I risultati di questo studio hanno confermato i risultati ottenuti precedentemente (Albertazzi et al., 2014; Dadam et al., 2012; Spector, Maurer, 2008, 2011), estendendo ulteriormente il campo delle associazioni dei colori ad angoli di diversa ampiezza. Per ciò che riguarda gli altri specifici aspetti del colore analizzati, i risultati suggeriscono l’esistenza di relazioni tra angoli e alcune qualità del colore come la “temperatura” (caldo/freddo). Gli angoli acuti sono stati associati principalmente a colori caldi, mentre gli angoli ottusi a colori freddi (fig. 11). Questo risultato è particolarmente evidente quando si consideri la più forte attrazione per l’angolo acuto (il giallo, ovvero un colore caldo, per l’angolo 22.5°) e per l’angolo ottuso (il verde, ovvero un colore freddo, per l’angolo 157.5°). L’ipotesi di Kandinsky (1926) sul colore degli angoli è stata parzialmente confermata dai nostri risultati. Infatti, gli angoli acuti appaiono caldi e gli angoli ottusi freddi. In particolare, con lo sfondo bianco l’angolo di 22.5° è stato associato al giallo, quello di 45° è stato associato a G40Y, quello di 135° è stato associato a G20Y, e quello di 157.5°è stato associato a R80B. Con lo sfondo nero, l’angolo di 22.5° è stato associato a G90Y, l’angolo di 45° è stato associato a Y40R, l’angolo di 135° è stato associato a B30G, e l’angolo di 157.5° è stato associato al verde. La più forte attrazione per l’angolo di 90° è stata con G30Y in ambedue gli sfondi, ma non con il rosso–viola come era stato ipotizzato da Kandinsky. Però, la seconda attrazione per l’angolo di 90° con lo sfondo nero è stata R30B, e perciò con il “viola” di Kandinsky. Non è stato così con lo sfondo bianco, dove la seconda attrazione è stata con Y20R e perciò non con il viola. Possiamo quindi affermare che con lo sfondo nero l’ipotesi di Kandinsky non è stata confutata. In generale, i nostri risultati sono consistenti, se si considerano sia lo sfondo che l’opposizione tra attrazioni e repulsioni. Una diversa considerazione riguarda l’angolo 180°, che non è stato visto come un angolo, ma come una linea. Confrontati con i risultati ottenuti nelle analisi sull’associazione di forme geometriche a 49 Liliana Albertazzi – Puzzles of vision and art. Are we all synaesthetes? gles were mainly associated with cool colours (fig. 11). This finding was particularly evident when considering the strongest attraction for acute (which was Y, i.e., a warm colour, for the 22.5°angle) and obtuse angles (which was G, i.e., a cool colour, for the 157.5° angle). Kandinsky’s (1926) hypotheses on the colour of angles were partly confirmed by our results. In fact, acute angles also appear to be warm, and obtuse angles appear to be cold. Specifically, on the white screen the 22.5° angle was Y, the 45° one was G40Y, the 135° one was G20Y, and the 157.5° one was R80B. On the black screen, the 22.5° angle was G90Y, the 45° one was Y40R, the 135° one was B30G, and the 157.5° one was G. The strongest attraction for the 90° angle was with G30Y for both the black and the white background, but not with Red–Violet as hypothesized by Kandinsky. However, the second attraction for the angle of 90° with the black background was R30B, and therefore with Kandinsky’s “violet”. Not so with the white background, where the second attraction was with Y20R, and therefore not with violet. We may therefore say that with the black background Kandinsky’s hypothesis was not confuted. Overall, our results are consistent when considering both the background and the opposition between attractions and repulsions. A different consideration applies to the 180° angle, which was not seen as an angle but as a line. If these results are compared with those of previous studies on the matching between geometric shapes and colour, they suggest that the association of the triangle with yellow could be explained by the fact that it is characterized by acute angles, here associated primarily with yellows. But not in all cases is a direct correspondence found between the colour of a figure as a whole and the colour of its parts (e.g., angles), which again demonstrates that the whole is not equivalent to the sum of its parts. 5. Conclusions From a systematic point of view, and on the basis of the results obtained, we may assume that the association between colour and form is intrinsic to the meaning of a perceived shape in nature and artifacts as well (Albertazzi 50 et al., 2014). Kandinsky (1912), in fact, called this relationship “inevitable”!: The choice of a colour to combine with a shape (or of an image or a poetic quatrain with a musical clip), in fact, was made by the participants to the mentioned experiments merely according to an association perceived as “natural”. In the case of angles, then, a top–down association was less likely than that which can be supposed between shapes and colours (such as, for example, the association between a circle and the colour red). The effect therefore seems to be due to the presence of a sort of “generalized synaesthesia” in the normal population as a pattern of properties perceived as intrinsically connected, more than to a synaesthesia induced top–down or “ideasthesia” (Jürgens, Nikolić, 2012; Myles et al., 2003; Nikolić, 2009). Nevertheless, this research field is in full expansion, requiring different competences for its development, and the potential applications of the results, concerning the nature and the use of images in science and art. Liliana Albertazzi – Rebus di arte e visione. Siamo tutti sinesteti? Figure 11 Bars represent the residuals greater than 1.96 (in absolute value) for acute angles (top) versus obtuse angles (bottom) when presented on a white background. In general the acute angles were mainly attracted to warm colours (red and yellow) and repulsed by cool colours (blue and green). The reverse is observed for obtuse angles. If you compare the most acute angle (22.5°) to the most obtuse one (157.5°) an opposite pattern emerges: the former is mainly attracted to yellow/ green–yellow and repulsed by blue–green, the latter is attracted to blue–green/red– blue and repulsed by yellow/ green–yellow. 11 Figura 11 Le asticelle rappresentano i residui maggiori di 1.96 (in valore assoluto) per gli angoli acuti (in alto) verso gli angoli ottusi (in basso), quando presentati su uno sfondo bianco. In generale gli angoli acuti sono stati maggiormente attratti da colori caldi (rosso e giallo) e respinti da colori freddi (blu e verde). L’opposto si verifica per gli angoli ottusi. Se si confronta l’angolo più acuto (22.5°) con l’angolo più ottuso (157.5°) ne emerge un pattern opposto: il primo è principalmente attratto dai giallo/giallo–verde e respinto dai blu–verde, il secondo è attratto dai blu–verde/rosso– blu e respinto dai giallo/ verde–giallo. colori, questi nuovi risultati suggeriscono che l’associazione del triangolo col giallo potrebbe essere spiegata dal fatto che la figura è caratterizzata da angoli acuti, che in questo studio sono stati primariamente associati ai gialli. Peraltro, non i tutti casi si è trovata una corrispondenza diretta tra il colore di una figura e il colore delle sue parti (ovvero, gli angoli), il che di nuovo dimostra che l’intero non è equivalente alla mera somma delle sue parti. 5. Conclusioni Da un punto di vista sistematico e sulla base dei risultati ottenuti, possiamo assumere che l’associazione tra colore e forma è intrinseca al significato stesso di una forma percepita, sia essa naturale che artificiale (Albertazzi et al., 2014). Kandinsky (1912), infatti, definiva questa relazione “inevitabile”! La scelta di un colore da associare ad una forma (o anche di un’immagine o di una quartina poetica a un brano musi- cale, come nel caso di altri esperimenti) è stata fatta dai partecipanti solo sulla base di un’associazione percepita come “naturale”. Nel caso degli angoli, in particolare, un’associazione dovuta ad esperienza passata è da considerarsi meno probabile che nel caso dell’associazione tra una forma e un colore (come potrebbe essere, per esempio, nel caso del cerchio con il colore rosso). L’effetto sembra quindi dovuto alla presenza di una sorta di “sinestesia generalizzata” presente nella popolazione generale, ovvero a un pattern di proprietà percepite come intrinsecamente connesse, più che ad una sinestesia indotta top down o, come è stata definita, ideasthesia (Jürgens, Nikolić, 2012; Myles et al., 2003; Nikolić, 2009). Ciononostante, questo campo di ricerca è in piena espansione, per il cui sviluppo e la cui potenziale applicazione si richiedono competenze differenziate, che riguardando la natura e l’uso delle immagini nella scienza e nell’arte. Bibliografia / References ALBERTAZZI, L., 2013a. Experimental phenomenology: an introduction. In ALBERTAZZI, L. (Ed.), The Wiley– Blackwell Handbook of Experimental Phenomenology: Visual Perception of Shape, Space and Appearance. Chichester, NJ, USA: WileyBlackwell, pp. 1–36. ALBERTAZZI, L., 2013b. Appearances from a radical standpoint. In ALBERTAZZI, L. 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