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Editoriale, in 'LA DIANA' | 5 | 2023, pp. 4-10.

2023, LA DIANA

https://doi.org/10.36253/ladiana-2378

Con questo numero, a due anni dalla sua 'riemersione' in una nuova edizione digitale, «La Diana» transita, con i suoi primi quattro fascicoli, sulla piattaforma FUP-Firenze University Press | USiena Press: è l'esito naturale del progetto di collaborazione tra i due atenei toscani di Firenze e di Siena varato quest'anno per la realizzazione di pubblicazioni scientifiche in co-edizione. L'obiettivo è quello di promuovere l'editoria universitaria in modalità open-access e di potenziarne la presenza, la visibilità e l'accessibilità sulla rete, sui principali motori di ricerca e sugli OPAC delle biblioteche di settore.

Editoriale Davide Lacagnina Con questo numero, a due anni dalla sua ‘riemersione’ in una nuova edizione digitale, «La Diana» transita, con i suoi primi quattro fascicoli, sulla piattaforma FUP-Firenze University Press | USiena Press: è l’esito naturale del progetto di collaborazione tra i due atenei toscani di Firenze e di Siena varato quest’anno per la realizzazione di pubblicazioni scientifiche in co-edizione. L’obiettivo è quello di promuovere l’editoria universitaria in modalità open-access e di potenziarne la presenza, la visibilità e l’accessibilità sulla rete, sui principali motori di ricerca e sugli OPAC delle biblioteche di settore. Un passaggio obbligato, dunque: per raggiungere una platea sempre più ampia di ricercatori, studiosi e cultori della materia e anche per mettere alla prova, in questo modo, la tenuta della nostra proposta, nell’agone più competitivo (e inevitabilmente però anche più ‘dissipativo’) delle pubblicazioni on-line, per consolidarne missione e identità. Per tali ragioni l’infrastruttura informatica della rivista è stata riconfigurata sul web per rendere più agevole la comunicazione e l’interazione tra redazione, comitato scientifico, referees, potenziali autori e lettori e ogni singolo contributo è stato provvisto di tutto quel bagaglio di dotazioni tecniche e di informazioni complementari strumentali alla metadatazione dei testi e quindi alla loro piena intelligibilità come oggetti editoriali digitali, nelle specificità dei loro contenuti e della loro forma (Studi, Contributi, Note e Recensioni). Confidiamo nel buon esito dell’operazione come ulteriore occasione di crescita della rivista e della comunità accademica della Scuola di Specializzazione in Beni Storico Artistici dell’Università degli Studi di Siena, che la promuove e la realizza in ogni suo aspetto. È anche questo un modo per rilanciare e tentare di irrobustire il progetto formativo della Scuola e il riconoscimento delle competenze scientifiche e professionali a cui essa prepara, ancora oggi da più parti scarsamente considerate quando non del tutto rimosse. È ancora di quest’estate, infatti, la polemica fra la Consulta universitaria nazionale degli storici dell’arte, la Società italiana di storia della critica d’arte e Massimo Osanna, Direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura, sulla commissione nominata dal Ministro Gennaro Sangiuliano chiamata a selezionare i nuovi direttori di dieci importanti musei italiani. In una lettera aperta al Ministro e al Direttore DOI 10.36253/ladiana-2378 LA DIANA | 5 | 2023 4 Davide Lacagnina | Editoriale generale dello scorso 25 luglio CUNSTA e SISCA, congiuntamente, hanno lamentato la presenza della disciplina in maniera così marginale agli equilibri di una commissione composta in tutto da cinque membri, fra cui due archeologi (e due sono i musei archeologici ricompresi nello stesso bando: Taranto e Reggio Calabria), un docente di diritto privato (individuato come presidente della commissione), un docente di economia e tecnica dei materiali finanziari (questi ultimi due, nel parere delle due associazioni, senza particolari competenze nel settore dell’amministrazione e dell’economia del patrimonio culturale) e un solo storico dell’arte, a fronte della natura prettamente storico-artistica della maggior parte delle collezioni in causa (Uffizi, Brera, GNAM, Capodimonte, Gallerie Estensi, Gallerie nazionali d’arte antica, Galleria nazionale dell’Umbria, Museo nazionale d’Abruzzo). Inoltre, l’unico storico dell’arte in commissione è un dirigente del Ministero della Cultura: circostanza giudicata ‘critica’ dalle due associazioni, in ragione delle dinamiche top-bottom che hanno ispirato già in passato la ratio della selezione dei ‘super-direttori’ voluti dal precedente Ministro Dario Franceschini, rispetto se non altro a quel principio di terzietà così gravemente compromesso dai larghi margini di discrezionalità lasciati al Ministro o al Direttore generale per competenza, che potranno individuare in ultima istanza, e in maniera unilaterale e verticistica, i nuovi direttori all’interno di una rosa di tre nomi proposti dalla commissione per ciascun incarico. Il timore, paventato nella lettera delle due consulte, è che un dirigente del Ministero (in commissione anche un altro Direttore generale) possa assumere a priori, anche in totale buona fede, e persino naturaliter, senza ingerenze o pressioni, la linea di condotta – anche politica in tutta evidenza (e si confida nella sua accezione più alta e nobile, senza alcuna ipocrisia) – che si vorrà adottare in occasione delle nuove nomine, in quanto rappresentante del Dicastero che da ultimo dovrà decidere nel merito, onorando così, in maniera ineccepibile (e incontestabile), il patto fiduciario che lo lega all’istituzione presso cui presta servizio. Il titolo semplificatorio e maliziosamente tranchant dell’intervista di Antonio Ferrara su «la Repubblica» dello scorso 28 luglio, cui era stata affidata la replica del Direttore Osanna, I musei sono aziende e hanno bisogno di manager, assecondava la logica tutta giornalistica dello scontro ideologico, esacerbando in premessa la rappresentazione – infondata e invero del tutto inutile, se non controproducente – di un dibattito polarizzato tra accademici parrucconi e lungimiranti policy-makers, con una visione chiara dello stato di salute dei nostri musei e dei rimedi necessari per il loro ‘efficientamento’ (magari….!). Per fortuna, Osan- LA DIANA | 5 | 2023 5 Davide Lacagnina | Editoriale na – stimato studioso, già apprezzato direttore del Parco Archeologico di Pompei ed egli stesso professore ordinario di archeologia presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ – chiariva nel testo dell’intervista che «i musei come luoghi della cultura […] si configurano come piccole aziende e quindi hanno bisogno di figure complesse con capacità anche manageriali per la direzione, unite alle competenze tecniche che da sole non bastano». C’è dunque nelle sue dichiarazioni un salvifico anche – mio il corsivo – che stempera il contrasto e afferma la necessità di affiancare capacità manageriali a competenze tecniche. Naturalmente, non si può non essere d’accordo con un’affermazione di questo tipo, fin troppo ovvia nella sua verità, ma rimane nondimeno irrisolto il nodo problematico posto dalle due consulte: in che modo e in che misura le capacità manageriali saranno valutate positivamente a integrazione (o a discapito) delle competenze tecniche? Quale credito potrà essere dato alle valutazioni ‘tecniche’ dell’unico storico dell’arte in commissione, immaginando anche un confronto paritetico fra tutti i membri che la compongono? E, soprattutto, basterà il bagaglio di conoscenze di un solo storico dell’arte (e di due archeologi) per entrare nel merito di competenze così ampie e articolate su uno spettro cronologico che va dalla tarda antichità all’età contemporanea qual è quello rappresentato dai musei a bando? Considerato il carattere delle loro collezioni, non sarebbe stato più opportuno rafforzare la presenza in commissione di storici dell’arte con specializzazioni, background ed esperienze professionali diversificate? E ancora: visto che due dei tre ‘tecnici di settore’ sono interni al Ministero, e considerata l’enfasi posta sul carattere di autonomia dei musei in concorso nel nuovo loro assetto giuridico e finanziario voluto per essi dalla cosiddetta ‘Riforma Franceschini’, non sarebbe stato più appropriato garantire anche nel processo di selezione un’autonomia di giudizio svincolata da logiche e dinamiche ministeriali? Sono domande più che legittime, che non dovrebbero irritare, portare al muro contro muro o alla polemica sterile, ma al contrario favorire il dibattito pubblico. Non si tratta di difendere interessi corporativistici, quanto un principio di certezza della competenza specialistica che muove in prima battuta – e non potrebbe essere altrimenti – dalla verifica di una rigorosa preparazione di base e da percorsi di formazione ben definiti e fra loro opportunamente integrati: una laurea magistrale in Storia dell’arte o una laurea comunque di ambito umanistico con almeno una tesi d’argomento storico-artistico; una Specializzazione in Beni Storico Artistici; un Dottorato in Storia dell’arte; accanto ad altri corsi di perfezionamento o master su aspetti di management, co- LA DIANA | 5 | 2023 6 Davide Lacagnina | Editoriale municazione, fundraising, conseguiti in Italia o all’estero. Del resto, i due titoli di terzo livello – Dottorato e Specializzazione – presuppongono necessariamente un’organica formazione storico-artistica di secondo livello (nel caso dell’accesso alle Scuole di Specializzazione è persino obbligatoria) e rappresentano due percorsi di formazione distinti e tuttavia complementari: nel primo caso, il focus di lavoro su un unico argomento addestra alla ricerca e al raggiungimento di risultati innovativi e originali, tali da apportare un contributo significativo alle conoscenze disciplinari e dunque alla storiografia di riferimento e predisporre sviluppi di carriera soprattutto (ma non esclusivamente) in ambito universitario; nel secondo caso, l’obiettivo è forse più ambizioso e mira ad affinare le competenze disciplinari e ad acquisirne di nuove, specie nell’ambito della conservazione (lo studio delle tecniche e dei materiali delle opere e delle metodologie di intervento su di esse), della gestione (economica e amministrativa), della comunicazione e quindi della valorizzazione del patrimonio, sul fronte sia dell’amministrazione pubblica che dell’azione privata, secondo le indicazioni contenute nel D.M. 524 del 31 gennaio 2006. Il decreto, che ripensava in maniera radicale gli ordinamenti didattici delle Scuole di Specializzazione nel settore del patrimonio culturale, era l’esito di una valutazione congiunta operata allora dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Università e presto però rimasta lettera morta nelle sue applicazioni e nelle sue ricadute nel settore dell’Amministrazione Pubblica: premesse e propositi ottimali e oggi tuttavia largamente da rivedere (cfr. Editoriale, «La Diana», 3, 2022). La controversa composizione della commissione di questo ultimo concorso riflette in realtà l’aleatorietà del bando che l’ha determinata e più in generale l’incertezza che sembra ormai da tempo innervare le politiche del patrimonio culturale. Il bando stesso infatti avrebbe dovuto sollecitare alcune riflessioni a monte del più recente dibattito estivo sulla composizione della commissione giudicatrice, proprio con riferimento all’assenza di titoli di studio specialistici fra i requisiti richiesti per la partecipazione. S’indica infatti solo una laurea generica, specialistica o magistrale, ovvero di vecchio ordinamento, o titolo equipollente conseguito all’estero, senza alcun riferimento a una classe di laurea o a uno specifico indirizzo di specializzazione. Ergo, qualunque titolo di studio – da una Laurea in Giurisprudenza a una in Economia e commercio o in Biologia – va bene, purché accompagnato da adeguate esperienze professionali. Seguono allora, nel bando, i criteri che definiscono la «qualificazione professionale richiesta in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali» e comprovata dalla sussistenza di LA DIANA | 5 | 2023 7 Davide Lacagnina | Editoriale almeno due requisiti: la responsabilità di «incarichi gestionali presso aziende private o amministrazioni pubbliche, in Italia o all’estero, da cui possano desumersi le spiccate doti manageriali in materia di patrimonio culturale» e/o il «possesso di una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica in materia di patrimonio culturale desumibile da concrete esperienze di lavoro maturate, per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni pubbliche, in Italia o all’estero» (Ministero della Cultura, Bando internazionale per i Direttori dei musei italiani, 16 giugno 2023, art. 2, comma 1, lettere d) ed e), punti 1 e 2). Risulta evidente che l’esperienza professionale è premiante e primariamente – sembrerebbe, leggendo il bando – quella maturata nel settore privato e solo in subordine o oppure anche in amministrazioni pubbliche. Nessuno scandalo, naturalmente, per le collaborazioni nel privato e per la valorizzazione di competenze maturate anche in ambiti d’intervento strategico per la valorizzazione del patrimonio (le società di servizi, l’editoria, le fondazioni di diritto privato, la comunicazione culturale…) ma forse alle pregresse esperienze nella PA andava accordato un rilievo maggiore, visto che si tratta di musei statali che esigono un bagaglio di conoscenze – normative, procedurali, contabili – che non necessariamente possiede chi ha lavorato nel privato. Altra (e più dolorosa) considerazione: la «particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica in materia di patrimonio culturale» (ovvero titoli di studio, pubblicazioni, curatele, organizzazione di convegni, partecipazione a progetti di ricerca ecc.) rimane un dato opzionale, essendo uno dei due requisiti attesi in alternativa a dimostrare la «qualificazione professionale richiesta in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali». Ne consegue, ahinoi, non solo che «le competenze tecniche […] da sole non bastano», ma persino che esse non servono: un segnale non proprio incoraggiante per chi sta investendo tempo e risorse in un progetto di formazione indirizzato a uno specifico ambito professionale, dai confini sempre più sfuggenti e arbitrari. Un buon ‘manager’ del patrimonio culturale – se deve essere questo il ruolo imposto al direttore di un museo nel discorso corrente, più demagogico e à la page – va soprattutto valutato sulla sua capacità di dare forma e contenuti a progetti culturali originali e interessanti, di elaborare proposte qualificate in linea con l’identità e la missione del museo da lui diretto e di tradurre queste proposte in occasioni di crescita per il museo e per le sue collezioni, avendo come primo e più importante interlocutore la comunità cui offre i propri servizi e con cui deve essere costantemente in dialogo. Come è possibile tutto questo se non a par- LA DIANA | 5 | 2023 8 Davide Lacagnina | Editoriale tire da una profonda conoscenza del patrimonio conservato nel museo che un direttore è chiamato a dirigere? Ogni strategia ‘manageriale’ di valorizzazione di quel patrimonio non può che fare i conti con la sua specificità e con la familiarità con essa che un direttore può dimostrare nel proprio curriculum, soprattutto culturale e scientifico, prima ancora che gestionale: nelle pubblicazioni realizzate, nelle ricerche intraprese, nei contenuti prodotti, negli approfondimenti affrontati, nei progetti messi in opera. Diversamente, dovremmo ammettere il paradosso per cui ogni strategia ‘manageriale’ vale sempre e comunque allo stesso modo per ogni museo, che sia d’arte antica, moderna o contemporanea, che abbia una collezione legata soprattutto al territorio su cui insiste o al contrario una vocazione nazionale e internazionale, per statuto e storia dell’istituzione. Su questa falsariga dovremmo riconoscere che mostre e iniziative, magari di circuito e pronte per l’uso, funzionano ugualmente a ogni latitudine e che possono essere replicate dappertutto con minime varianti, assecondando prassi standardizzate, che aggirano ogni principio di originalità e puntano al massimo risultato con il minimo investimento. La storia ci insegna il contrario (ogni museo è un mondo a sé) e ha dimostrato che le logiche meramente speculative dei ‘giacimenti culturali’ e del ‘petrolio d’Italia’ sono risultate fallimentari già nel breve e nel medio termine. Estranee alla definizione di museo, così come approvata da ICOM nell’assemblea generale del 24 agosto 2022 a Praga nella sua nuova e più attuale formulazione, esse soccombono di fronte all’idea di un’istituzione senza scopo di lucro – not-for-profit (!), se può suonare più chiaro in inglese –, al servizio della società, accessibile e inclusiva, che promuove la diversità e la sostenibilità e implica necessariamente pratiche di gestione e di comunicazione che si vogliono etiche e professionali e assolvono le funzioni primarie della ricerca, della conservazione, dell’interpretazione e dell’esposizione del patrimonio. Tutto ciò implica altissimi livelli di consapevolezza storica e critica che non possono essere improvvisati e vanno considerati realmente tali solo se coltivati in anni di studio e di ricerca. Per questo, il valore di un titolo di studio specialistico e la conseguente esperienza curriculare devono rimanere centrali a ogni processo di selezione, a monte di ogni politica culturale coerente, lungimirante e coraggiosa. D’altronde, le iniziative museali di maggior successo – riallestimenti, esposizioni, aperture straordinarie, programmi pubblici – anche a livello internazionale, dal Prado di Madrid al MoMA di New York – sono state sempre condotte dai più accreditati specialisti del settore e da squadre di supporto composte da profili professionali diversi (amministrativi, architetti, designer, addetti LA DIANA | 5 | 2023 9 Davide Lacagnina | Editoriale stampa, social-media manager, sponsor, mecenati, esperti di didattica dell’arte, ecc.) con cui saper dialogare in maniera proficua. Pensare di condensare tutte questa professionalità in unico profilo, per quanto di alta qualificazione, significa nascondersi dietro a un dito e non considerare le reali necessità, in termini di risorse umane e di investimenti economici, che da anni il nostro patrimonio reclama a gran voce. Si pensi alla sola situazione attuale della GNAM, tra i musei a concorso, svuotatasi negli ultimi anni di buona parte del personale tecnico-scientifico in servizio, tra pensionamenti e trasferimenti, che nessun ‘super-direttore’ potrà mai sostituire pienamente. Accanto a una più oculata politica di reclutamento e di programmazione dei turnover nelle diverse aree, fasce e livelli funzionali, sarà bene infatti iniziare a ragionare sulla separazione delle carriere e individuare almeno due figure apicali, una scientifica e una amministrativa, per ogni istituzione culturale media e grande, in maniera tale da condividere gli oneri di una gestione complessa, in dialogo e in sinergia, distinguendo tra pianificazione culturale e amministrazione tout court e potendo altresì contare su figure di supporto in entrambi i settori in misura adeguata alle dimensioni del museo interessato e necessariamente rispondenti a profili e percorsi di formazione differentemente caratterizzati. A questa buona prassi puntano le Scuole di Specializzazione come la nostra che intendono formare figure consapevoli delle proprie competenze e delle proprie responsabilità e nello stesso tempo capaci di dialogare con professionalità diverse, tutte necessarie e complementari, ciascuna per il proprio ambito specialistico d’intervento, al funzionamento ottimale di quella straordinaria realtà che è il nostro patrimonio culturale. LA DIANA | 5 | 2023 10