IGOR GELARDA
Guerre e diplomazia in Iberia
nel Chronicon del vescovo Idazio
La Continuatio chronicorum Hieronymianorum di Idazio di Limica è la fonte
principale, e spesso unica, di buona parte degli avvenimenti della penisola iberica tra la
fine del IV e la metà del V secolo. 1 Si tratta di un testo storico di grande importanza che
fornisce informazioni di prima mano della maggior parte degli avvenimenti successivi al
427. 2 Non a torto il suo autore è stato considerato il migliore storico latino tra
Ammiano Marcellino e Gregorio di Tours e, probabilmente, il migliore nel suo genere
della tarda antichità. 3 Ciò che rende il Chronicon interessante ai fini della nostra ricerca è
la sensibilità dimostrata dall’autore per l’attività politica e diplomatica del V secolo,
periodo di incertezze che vede il moltiplicarsi delle attività diplomatiche in un contesto
di estrema fluidità. Nessun autore tardoantico presta la stessa attenzione di Idazio
1 G. Zecchini, Aezio: l’ultima difesa dell’Occidente romano, Roma 1983, 187 e M. Guidetti, Vivere tra i
barbari, vivere con i Romani, Milano 2007, 122. L’edizione critica che abbiamo seguito è A. Tranoy, Hydace.
Chronique, Introduction, texte critique, traduction, SChr 218-219, Paris 1974.
2 Hyd. Chron. Praef. 5. Da adesso in poi i riferimenti al testo di Idazio verranno abbreviati
semplicemente con Hyd. Sulle fonti utilizzate da Idazio per la composizione della sua opera si rimanda a
A. Gillet, Envoys and political communication in the late antique West, Cambridge 2003, 50-53. Il Courtois
affermò che Idazio fu uno dei migliori tra i cronisti dei Chronica Minora, sebbene nella sua opera vi siano
numerose inesattezze ed imprecisioni dovute alle correzioni dei copisti che hanno torturato, mutilato, e
sfigurato il testo (Ch. Courtois, Auters et scribes. Remarques sur la Chronique d’Hydace, «Byzantion» XXI
(1951), 50). Al contrario il Burgess sostiene che il manoscritto principale è molto meno corrotto di
quanto non affermi il Courtois, rifiutando decisamente l’idea che gli errori che si trovano nel Chronicon
siano tutti dovuti ad interpolazioni o errori dei copisti e «Hydatius could make errors, could get confused,
and sometimes had in accurate or incomplete information» (The Chronicle of Hydatius and the Consularia
Constantinopolitana. Two contemporary accounts of the final years of the Roman empire, Oxford 1993, 31).
3 «The best Latin historian to survive between Ammianus Marcellinus and Gregory of Tours,
and probably the best in his genre in all of Late Antiquity» secondo R.W. Burgess, che ne ha recentemente
curato una nuova edizione critica con traduzione in inglese (The Chronicle of Hydatius, cit., 10). Il Burgess
sostiene inoltre che Idazio «demonstrates an awareness and understanding of historical method, and a
willingness to discuss such matters, matched by none of his contemporaries» (ibid.). Altre edizioni con
traduzioni in lingua moderna sono Tranoy, Hydace, cit. (in francese); J. Cardoso, Idacio. Crónica, Braga 1982
(in portoghese); J. Campos, Idacio, obispo de Chaves. Su Cronicòn, Salamanca 1984 (in castigliano); X.
Bernárdez Vilar, Idacio Lémico: Chronica (379-469), Cadernos Ramón Piñeiro VI, Santiago de Compostela
2004 (con traduzione in galiziano). Non esiste una traduzione italiana. Su Idazio si vedano anche S.
Crespo Matellán, Las lecturas de Hidacio de Chaves: Notas sobre la recepción literaria en la Gallaecia del s. V,
«Minerva» VI (1992), 241-256; F. García Penas, A crónica do bispo Hidacio, «Compostellanum» IIL (2003),
317-358; J.A. López Silva, A Crónica de Idacio de Limia, bispo de Chaves, Deputación Provincial de Ourense
2004; C. Candelas Colodròn, O Cronicón de Hidacio. Bispo de Chaves, Noia 2004, e Id., O mundo de Hidacio de
Chaves, Santiago de Compostela 2006. Per gli studi filologici sul Chronicon C.C. De Hartmann, Philogische
Studien zur Chronik des Hydatius von Chaves, Palingenesia XLVII, Stuttgart 1994.
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ISSN 2036-587X
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all’attività politica e diplomatica del proprio paese: né i modelli che l’autore del Chronicon
dichiara di continuare, come Eusebio o Girolamo, né altri come Prospero, Marcellino
Comes e Cassiodoro. Non solo Idazio riporta quasi il doppio di casi di ricorso alla
diplomazia rispetto agli altri autori di V e VI secolo, 4 ma quel che più conta è che il
vescovo di Aquae Flaviae non tratta le ambascerie come episodi isolati, o come
affermazioni di prestigio personale di determinati personaggi, ma le inserisce in un
contesto politico più ampio e articolato. 5 La Cronaca si occupa in più di trenta capitoli, su
un totale di 253, di ambascerie o avvenimenti collegati ad accordi diplomatici tra tutte le
componenti del composito e multietnico scacchiere iberico. 6 Per tale ragione uno studio
sistematico del Chronicon idaziano, con una particolare attenzione agli aspetti militari e
della diplomazia, può fornire numerosi elementi utili per comprendere come venga
vissuto il difficile momento storico dalle compagini romano-iberiche e in che rapporto
queste si pongono nei confronti del potere centrale, al quale rimangono
fondamentalmente fedeli e dal quale sperano un ristabilimento degli equilibri precedenti
al 409.
Per comprendere quali possano essere state le esperienze personali che
spingono il vescovo galiziano a individuare nella diplomazia la via migliore per la
risoluzione dei problemi tra gli stati, è necessario osservare il suo profilo biografico, 7 dal
quale si evince come l’uomo-Idazio rappresenti un eccellente paradigma della simbiosi
tra romanità e cattolicesimo, una simbiosi largamente condivisa da numerosi settori del
gruppo ibero-romano. 8 Ciò che sappiamo del nostro autore lo desumiamo
esclusivamente dal Chronicon: 9 Idazio, che riceve una buona educazione, 10 proviene da
4
Gillet, Envoys and political communication, cit., 40.
Anche se non si può ignorare il disinteresse, quasi totale, di Idazio verso gli avvenimenti
diplomatici non direttamente collegati alla Spagna. In particolare è ignorata quasi del tutto l’attività
diplomatica della parte orientale dell’impero, tant’è che all’interno del Chronicon è inserita solo l’ambasceria
inviata da Avito a Marciano. Allo stesso modo l’autore non si occupa dell’intensa attività diplomatica che
precedette l’invasione della Gallia da parte di Attila, alla quale diedero invece rilievo Iordanes e Sidonio
Apollinare. Per tale ragione è stato detto che Idazio riporta solo una piccola parte del complesso mosaico
politico dell’Occidente di metà V secolo, un mosaico ben delineato e dettagliato per ciò che concerne la
penisola iberica, ma molto più frammentario per il resto dell’occidente (Gillet, Envoys and political
communication, cit., 54). Tuttavia il sostanziale disinteresse dell’autore verso attività diplomatiche che non
potevano avere ricadute, almeno immediate e dirette, sugli affari interni della Spagna non è che
un’ulteriore testimonianza che per Idazio politica e diplomazia rappresentano strumenti di sopravvivenza
per la sua comunità.
6 Si tratta dei capitoli 100, 101, 111, 121, 155, 161, 170, 172, 177, 192, 205, 208, 217, 219, 220,
224, 226, 230, 231, 233, 237, 238, 239, 240, 242, 245, 247, 251. Sulla penisola Iberica del V e VI secolo si
rimanda ad J. Arce, Bárbaros y romanos en Hispania 400-507 A.D., Madrid 2005 e E.A. Thompson, Los Godos
en España, Madrid 1979.
7 Atteggiamento molto più duro, per motivi complessi, ha Idazio verso i Bacaudae, da lui
considerati ribelli (Zecchini, Aezio., cit., 68, ma anche 193-196; 224-229).
8 J. Vilella, Idacio, un cronista de su tempo, «Compostellanum» XLIV (1999), 40.
9 In verità il vescovo galiziano è appena citato in due epistole: una scritta da Turibio della quale
Idazio è destinatario insieme ad un altro vescovo di nome Coeponio, del quale si ignora la sede (Turibius,
Ep. ad Hyd. et Cep., in PL LIV, 693-695); l’altra è una lettera dell’epistolario di Leone Magno in cui Idazio è
citato nuovamente con Coeponio (Leo Magn. Ep. XV, in Ph. Jaffé - G. Wattenbach, Regesta pontificum
Romanorum, nr. 412, e in PL LIV, 122-138).
10 Vilella, Idacio, cit., 50 n. 68. Vilella fa giustamente notare che nonostante la “professione” di
ignoranza fatta da Idazio all’inizio della sua opera, una evidente diminutio dettata dall’umiltà del vescovo,
appare evidente che il vescovo di Chaves possedeva una discreta conoscenza di testi di S. Agostino,
Sulpicio Severo, Paolino da Nola ed ovviamente le cronache di Eusebio e Girolamo (su questo vedi anche
Tranoy, Hydace, cit., I, 56-58).
5
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una famiglia agiata forse appartenente all’aristocrazia galiziana, 11 che deve essere
politicamente vicina alla dinastia teodosiana e ne segue le glorie ed i rovesci tra la fine
del IV e la metà del V secolo. 12
Nella prefazione del Chronicon l’autore dice di essere nato nella città di Limica in
Galizia 13 (a 10 km ad est di Xinzo de Limia) che, come puntualizza egli stesso, si trova
“ai confini della terra”. Resta ignota la sua data di nascita che può essere collocata tra il
391 14 ed il 395, 15 periodo cui è possibile risalire attraverso la notizia di un viaggio in
Oriente che il cronista compie ancora infantulus et pupillus, 16 verosimilmente tra il 406 ed
il 408. 17 Durante il lungo viaggio, Idazio giunge fino all’estremità orientale del mondo
romano, ossia la Palestina, 18 incontrando oltre ai vescovi di Gerusalemme, Cesarea ed
Alessandria d’Egitto anche San Girolamo, del quale decide poi di continuare la
cronaca. 19 Probabilmente già nell’ottobre del 409, quando i barbari valicano i Pirenei,
egli ha fatto ritorno in Spagna, data la dovizia di particolari con la quale descrive gli
avvenimenti iberici tra il 409 ed il 411. 20 Ma di là dalla possibilità di stabilire l’esatta
cronologia del viaggio in Oriente, appare interessante l’ipotesi di chi sostiene che più che
un pellegrinaggio quello di Idazio, e della sua famiglia, possa essere una sorta di fuga
dalla Galizia, dove sta per giungere l’usurpatore Costantino III (406-411), che dalla
Britannia si sposta in Gallia, dirigendosi verso la penisola iberica: 21 è probabile che la
famiglia del futuro vescovo si senta minacciata per l’arrivo dell’usurpatore. 22 Sembra,
dunque, che l’autore del Chronicon provi sin da bambino cosa significhi un
allontanamento forzato, seppur di breve durata (Costantino III morì nel 411), dalla sua
terra a causa dell’appartenenza ad uno schieramento politico in quel momento
soccombente. Nel 416 Idazio pone la notizia della sua conversione a Dio, con la quale
intende verosimilmente indicare l’inizio della sua vita da sacerdote. 23 La successiva
consacrazione di Idazio come vescovo, tra il 424 ed il 427, quasi certamente di Aquae
11
L.A. Garcia Moreno, La iglesia y el cristianismo en la Galecia de època sueva, «Antiguedad Cristiana»
XXIII (2006), 45.. Contrario a questa ipotesi invece Burgess, The Chronicle of Hydatius, cit., 3.
12 Garcia Moreno, La iglesia, cit., 45.
13 Sulla Galizia romana si veda A. Tranoy, La Galice romaine, Recherches sur le nord-ouest de la péninsule
Ibérique dans l’Antiquité, Paris 1984.
14 Bernárdez Vilar, Idacio Lémico, cit., 28.
15 Tranoy, Hydace, cit., I, 13.
16 Nonostante non vi sia certezza sulla data di tale viaggio, seguendo alcuni rimandi relativi alla
cronologia dei vescovi orientali incontrati da Idazio, questa dovrebbe essere compresa tra il 400 ed il 412
(Idacio, cit., 41 e n. 12), più esattamente tra 406 e 407, data sulla quale concordano anche il C. Torres
Rodriguez, Peregrinaciones de Galicia a Tierra Santa en el siglo V. Hidacio, «Compostellanum» I (1956), 408-409
e Tranoy, Hydace, cit., 12.
17 Il Vilella (Idacio, cit., 41 e n. 13) prendendo spunto dal Burgess (The Chronicle of Hydatius, cit., 4 e
81) reputa che, con i termini infantulus e pupillus, Idazio intenda dire che era orfano e per tale ragione è
accompagnato in Oriente da un parente. In verità, però, il Burgess avanza questa ipotesi in modo
piuttosto prudente.
18 A ragione fa notare il Tranoy che pochi anni prima di Idazio un’altra galiziana aveva intrapreso
un viaggio simile a quello di Idazio: si tratta di Eteria, della quale ci resta appunto la peregrinatio (P. Geyer,
S. Silviae, quae fertur. Peregrinatio in loca santa, in Itinera Hierosolymitana saeculi IIII-VIII, CSEL XXXIX, Vienna
1898).
19 Hyd. 40 a. 407 e Tranoy, Hydace, cit., I, 52.
20 Hyd. 42 a. 409; 46, 47, 48 a. 410; e 49 a. 411.
21 Garcia Moreno, La iglesia, cit., 45.
22 L.A. Garcìa Moreno, Espaňa Visigota, in Menéndez Pidal (ed.), Historia de Espaňa, III, 1, Madrid
1963, 108-111.
23 Hyd. 62 b a. 416. Il Burgess espunge dalla sua edizione questo capitolo.
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Flaviae (corrispondente oggi a Chaves nel nord del Portogallo), 24 avviene in un frangente
particolare della storia della Spagna. All’indomani della sconfitta di Castino, infatti,
riprendono in Spagna le scorribande di Svevi e Vandali, 25 mentre i romano-iberici
ripongono sempre di più le tenui speranze di pace nella potente gerarchia ecclesiastica,
formatasi soprattutto durante il V secolo. Tra il 431 ed il 432, Idazio guida l’ambasceria
ad Aezio: non può certamente essere casuale la scelta del vescovo di Aquae Flaviae come
capo della delegazione, 26 scelta legata da un lato alle doti culturali ed alle conoscenze
personali e dall’altro al prestigio politico del vescovo galiziano. 27 Non sappiamo con
certezza quando muore il vescovo di Aquae Flaviae, anche se il termine post quem è il 469,
ultimo anno in cui sono registrate notizie nel Chronicon. 28 Giacché nella prefazione
dell’opera scrive di avere portato avanti la sua cronaca extremus et vitae, 29 il nostro
vescovo deve essersi spento tra il 469 ed il 470/1. 30 L’unica notizia certa che abbiamo è
che muore durante il regno dell’imperatore Leone I (morto nel febbraio del 474). 31 Una
vita impegnata nel campo della politica e della religione, durante anni difficili e
travagliati; un cinquantennio che lo vede non solo testimone diretto e privilegiato, ma
anche protagonista e vittima di importanti avvenimenti politici e militari.
Per meglio comprendere con quale spirito e da quale punto di vista il nostro
autore affronti gli argomenti della guerra e della diplomazia nella sua opera è necessario
focalizzare la nostra attenzione su alcuni elementi peculiari dell’Idazio-storico e del suo
tempo.
In primo luogo Idazio scrive negli anni successivi al 409, dopo che, con il
passaggio dei barbari attraverso i Pirenei, la Spagna cessa di essere quella penisola felice,
che durante il IV secolo rimane immune dalle preoccupazioni legate allo spostamento
delle popolazioni barbariche. Da questo momento in poi ogni equilibrio si rompe e la
situazione politica, militare ed economica della penisola diviene precaria: 32 nonostante i
continui tentativi imperiali di tenere sotto controllo Svevi, Alani, Vandali ed in ultimo i
24
Non tutti gli autori sono d’accordo sul fatto che Idazio fosse vescovo proprio di Aquae Flaviae,
propendendo per Lemica oppure per altre sedi (cfr. A. Lopez Ferreiro, Estudios histórico-críticos sobre el
Priscilianismo en Galicia, Santiago de Campostela 1878, 186, ripreso più recentemente da C. Torres
Rodriguez, Hidacio, el primer cronista español, «Revista de Archivios, Bibliotecas y Museos» LXII, 8 (1956),
775-776).
25 Sui Vandali in Spagna si vedano i recenti M.E. Gil Egea, África en tiempos de los Vándalos:
continuidad y mutaciones de las estructuras socio-politicas romanas, Memorias del seminario de Historia Antigua,
Universidad de Alcalà de Henares 1998; J. Arce, Los Vàndalos en Hispania (409-429 A.D.): Impacto,
actividades, identidad, in G.M. Berndt - R. Steinacher (Hgg.), Das Reich der Vandalen und sein (Vor-)Geschichten,
Wien 2008, 97-104; J. Pinar - G. Ripoll, The so-called Vandal Object of Hispania, ibid., 105-130 e G.M. Berndt,
Gallia-Hispania-Africa: Zu den Migrationen der Vandalen auf ihrem Weg nach Nordafrika, ibid., 131-150.
26 Zecchini, Aezio, cit., 59.
27 Tranoy, Hydace, cit., I, 15.
28 Il Vilella, seguendo ancora la cronologia del Chronicon proposta dal Mommsen, considera
queste ultime notizie riportate da Idazio relative al 468 (Idacio, cit., 58 e n. 83), mentre Tranoy, seguendo
Courtois, sposta al 469 questi avvenimenti.
29 Hyd. Praef. 1. Su quando Idazio abbia dato una forma organica alla sua opera non tutti gli
storici sono d’accordo. Per questo problema si rimanda a Vilella, Idacio, cit., 50 n. 71.
30 Tranoy (Hydace, cit., 16) pensa che sia morto nel 470; Bernárdez Vilar, (Idacio Lémico, cit., 31)
ritiene che possa essere morto nel 471. Il Mommsen (MGH AA XI, 4) sostenne che deve essere morto
poco dopo il 468, ormai ultrasettantenne, seguito dal Vilella (Idacio, cit., 52). Poco affidabile appare
l’indicazione contenuta nella cronaca di Sigebertus Gemblacensis che colloca la morte di Idazio al 490
(Sigebert. Gembl. Chron., in MGH SS VI, 313).
31 Isid. de vir. ill. 9.
32 Un quadro sintetico della situazione della Spagna nella prima metà del V secolo si trova in
Tranoy, Hydace, cit., I, 24-35.
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Visigoti, la fisionomia politica ed economica della penisola iberica muta
definitivamente. 33
In secondo luogo Idazio identifica la sua fedeltà verso Roma e verso l’idea di
Impero con il suo lealismo ai Teodosidi, 34 un lealismo che non gli impedisce di assumere
un atteggiamento critico nei confronti degli inutili e dispendiosi tentativi militari messi in
atto da Valentiniano III per risolvere la questione barbarica in Spagna e che non gli
impedisce di manifestare simpatia per Aezio. 35 Dopo la morte del figlio di Galla
Placidia, 36 il rammarico di Idazio, più per la fine della dinastia teodosiana che per la
morte di Valentiniano III, è racchiuso nel laconico usque ad Valentinianum Theodosi
generatio tenuit principium. 37 Il 455 vede la ripresa delle ostilità degli Svevi 38 e l’arrivo in
Galizia dei Goti 39 e per Idazio, ormai non più giovane, viene a cessare ogni speranza
concreta di una restaurazione imperiale in Iberia e nella sua Galizia. È questo il
momento nel quale il nostro autore sembra prendere tragicamente coscienza della fine
del suo mondo, sperato e desiderato più che realmente vissuto 40 e la sua opera comincia
ad essere pervasa da un certo scoraggiamento 41 e, sempre più spesso, ancorata ad una
contemplazione nostalgica «di ciò che era stato sul piano politico». 42 Un cambio di
prospettiva che non è esplicitamente dichiarato, ma che traspare attraverso un
pessimismo soffuso, ma sempre più diffuso nelle notazioni del Chronicon, a partire da
quel annus horribilis, durante il quale Roma è saccheggiata, Avito diventa imperatore per
volontà dei Visigoti, 43 dilaga in Iberia il priscillianesimo che costerà la prigione a Idazio 44
e l’arianesimo comincia a prendere piede anche in Spagna.
Il terzo aspetto è la sincera adesione di Idazio all’utilizzo della diplomazia e della
politica come strumento per la risoluzione dei problemi tra i popoli. Non possiamo
escludere che l’aver sofferto a causa di scontri intestini, possa avere contribuito a far
maturare in lui l’idea che l’arma della politica fosse, quando realisticamente percorribile,
da preferire a quella delle spade. Propensione alla diplomazia che, in Idazio, è rafforzata
Sulla Spagna visigota si rimanda a L.A. Garcìa Moreno, Història de la Espaňa Visigota , Madrid
1989; José Á. García de Cortázar y Ruiz de Aguirre, La época medieval, Madrid 1974; E. Mitre Fernández,
La España Medieval. Sociedades. Estados. Culturas, Madrid 1979; J.L. Martìn, La península en la Edad Media,
Barcelona 1976 e a K.E. Carr, Vandals to Visigoths: Rural Settlement Patterns in Early Medieval Spain, Michigan
2002.
34 C. Molè Ventura, Uno storico del V secolo: il vescovo Idazio, Catania 1975, 54 e Tranoy, Hydace, cit.,
59-60.
35 Zecchini, Aezio, cit., 188-189; La Molè Ventura parla di una «profonda ammirazione» (Un
storico del V secolo, cit., 50-51).
36 Vasta la bibliografia su Galla Placidia. Si rimanda a V.A. Sirago, Galla Placidia. La nobilissima,
Milano 1996 e F. Lamendola, Donne celebri del mondo antico: Galla Placidia, in Atti della Soc. "Dante Alighieri",
Treviso 2007.
37 Hyd. 164 a. 455.
38 Hyd. 168 e 170 a. 455.
39 Hyd. 173 e 174 a. 455.
40 Al riguardo Zecchini, Aezio, cit., 231-233; Garcia Moreno, La iglesia, cit., 51, Candela
Colodròn, O mundo de Hidacio, cit., 23-24 e Tranoy, Hydace, cit., I, 60.
41 Zecchini, Aezio, cit., 131.
42 G. Zecchini, Ricerche di storiografia latina tardoantica, Roma 1993, 230-233.
43 Idazio non inserisce Avito nella numerazione degli imperatori passando da Marciano (43°), a
Maioriano (44°) (165 a. 455 e 185 a. 457).
44 Tra il luglio ed il novembre del 460 Idazio è fatto prigioniero dallo svevo Frumario, che lo
incarcera a causa delle accuse di alcuni delatori, quasi certamente priscillianisti, che intendevano rendere
innocuo uno dei campioni iberici nella lotta contro questa eresia (Hyd. 201 e 207 a. 460. Tranoy, Hydace,
cit., I, 16).
33
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da almeno altri due fattori: in primo luogo il ruolo di vescovo cattolico, che gli rende
doveroso cercare di avvicinare anche chi cattolico non lo è ma può divenirlo; in secondo
luogo, a Idazio deve essere chiaro che la supremazia militare dei Romani nel V secolo
non è più tale da fare sperare che, solo attraverso l’esercito, si possano riportare la pace
e l’equilibrio politico Aezio stesso dimostra, in più di un’occasione, di preferire la strada
della convivenza con i barbari. Non bisogna infine sottovalutare che il potere
dell’episcopato spagnolo – ma in realtà qualcosa di analogo avviene anche in Italia ed in
Gallia – cresce dal V secolo in poi, grazie alle capacità dei suoi componenti di sostituirsi
ad un potere centrale sempre più assente: Idazio e la gerarchia ecclesiastica spagnola
diventano i portavoce delle istanze degli iberici presso Ravenna. 45 Mentre l’autorità
centrale romana si presenta debole e lontana, i prelati spagnoli gestiscono in modo
sempre più deciso e diretto le comunità cittadine cristianizzate: il ruolo che il vescovo
assume, dunque, è sempre più spesso politico. 46 Ne è la dimostrazione il fatto che è
proprio Idazio, con gli altri vescovi galiziani, a sentirsi chiamato a risolvere gli attriti tra
Galiziani e Svevi ricorrendo direttamente ad Aezio. 47
Ancora, l’atteggiamento di Idazio verso i barbari, che pur sono la principale
causa di disgregazione dello stato romano danneggiando la compagine ibero-romana è,
certamente, di ostilità e di poca fiducia, anche se non viene abbandonata la speranza che
questi possano essere assimilati dalla societas Romana, divenendo romani, cattolici 48 e
smettano di essere ostili. Idazio incarna il sentire politico degli ibero-romani, le cui
speranze di pace e sopravvivenza consistono quasi esclusivamente negli accordi politici,
nelle ambascerie e nei trattati di pace, sebbene spesso questi restino solo sulla carta.
Ecco perché il nostro autore «si mostra sempre estremamente attento a notare sia pur
l’ombra di una pace con gli invasori». 49 Infine è innegabile che, in quanto direttamente
coinvolto nelle vicende di cui parla, l’autore del Chronicon possiede una competenza
notevole nell’occuparsi di guerre ed ambascerie, frutto di un’esperienza diretta
necessaria per la salvaguardia dei membri della sua comunità religiosa e politica. 50
Tra le notizie che si trovano nella prima parte del Chronicon c’è quella dello
scontro tra i Vandali e gli Svevi: in Galizia, nel 419, Vandali ed Alani guidati da
Gunderico 51 sono sul punto di sconfiggere i deboli Svevi capeggiati da Ermerico. 52 Ma
l’esercito romano, guidato dal comes Hispaniarum Asterio, giunge in aiuto degli Svevi 53 e si
pone all’inseguimento delle truppe vandale che, mentre ripiegano verso sud, sono
sorprese a Braga dal vicario di Spagna Maurocello, sconfitte e costrette a ritirarsi in
45
L.A. Garcia Moreno, Élites e Iglesia hispanas en la transición del Imperio Romano al reino Visigodo, in
J.M. Candau et alii (Ed.), La cónversion de Roma. Cristianismo y paganismo, Madrid 1999, 239-241. Della stessa
idea Zecchini, Aezio, cit., 187-188.
46 Garcia Moreno, La iglesia, cit., 48.
47 A tal proposito è interessante notare come proprio in Galizia, ad orgogliosa memoria del loro
legame ideale e culturale con l’Impero, a partire dagli inizi del VI secolo, alcuni vescovi cominciarono a far
coniare monete d’oro con tipi che richiamavano la tradizione imperiale romana (Garcia Moreno, La iglesia,
cit., 46).
48 Tranoy, Hydace, cit., I, 59. La Molè Ventura fa giustamente notare come le espressioni
dispregiative di Idazio verso le popolazioni barbariche siano costanti e vengano evitate solo quando il
vescovo fornisce notizie riguardanti i rari periodi di pace (Uno storico del V secolo, cit., 29-30).
49 Molè Ventura, Uno storico del V secolo, cit., 31.
50 Zecchini, Aezio, cit., 188.
51 Su questo N. Francovich Onesti, I Vandali. Lingua e storia, Roma 2002, 23-27 e 161.
52 Hyd. 71 a. 419.
53 Hyd. 74 a. 420.
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Igor Gelarda, Guerre e diplomazia in Iberia nel Chronicon del vescovo Idazio
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Betica. 54 Più critico è, invece, Idazio quando parla della sconfitta di Castino nel 422: 55
Castinus magister militum cum magna manu et auxiliis Gothorum, bellum in Baetica Vandalis infert:
quos cum ad inopiam vi obsidionis artaret, adeo ut se tradere iam pararent, inconsulte publico certamine
confligens, auxiliorum fraude deceptus ad Tarraconam victus effugit. Tuttavia, nel passo Idazio
sembra contraddirsi: come mai il cronista reputa «sconsiderato» che Castino decida di
affrontare in una battaglia campale i Vandali, se il magister militum non solo è fornito di
un grosso contingente militare, ma ha già ridotto alla fame il nemico? Sappiamo inoltre
che, tra le principali cause della sconfitta del contingente romano, v’è il tradimento degli
ausiliari visigoti, ma del quale Idazio non fa parola. Infatti, poiché il tradimento dei
Visigoti è istigato dalla stessa Galla Placidia, ostile a Castino, Idazio preferisce tacere sui
gravi contrasti interni alla corte di Ravenna. 56 Allo stesso modo sorvola sugli aspri dissidi
scoppiati tra gli alti ufficiali romani, 57 contrasti che affiorano quasi in controluce nel
Chronicon. 58 Quindi la «sconsideratezza» di Castino consiste proprio nell’avere voluto
affrontare i Vandali, pur essendo stato lasciato da solo, tradito dai Goti ed in rotta con i
suoi stessi ufficiali.
Idazio non nutre particolare simpatia per Valentiniano III, 59 che è menzionato
solo cinque volte nel Chronicon. 60 Il figlio di Galla Placidia non solo si rende colpevole
dell’assassinio di Aezio, con il quale viene meno l’ultimo baluardo della romanità, 61 ma
in più di un’occasione dimostra di preferire l’uso delle armi per la risoluzione dei
problemi con i barbari, in Spagna come anche in Gallia. 62 A rendere Valentiniano III
ancora più sgradito alla nobiltà iberica contribuisce anche la sua politica di alleanze con
l’aristocrazia italica, sostanzialmente contraria a quella gallo-ispanica. 63 Segno evidente
del disprezzo di Idazio verso Valentiniano è che l’ultimo dei Teodosidi, come Avito,
non è inserito nella lista degli imperatori del Chronicon, 64 ma anche in altri punti del testo
è possibile cogliere la scarsa stima dell’autore nei confronti della politica di Valentiniano
III. Nel 438 il generale romano Andevoto, uomo di Valentiniano III, è duramente
sconfitto in Betica da Rechila nei pressi del fiume Jenil. Le fonti non ci permettono di
sapere se Andevoto si rechi in Spagna appositamente per combattere contro gli Svevi, o
se il suo contingente sia attirato in un’imboscata da questi. 65 Idazio, sfavorevole al
tentativo di risoluzione militare del problema svevo, in un momento in cui sembrano
54
Ch. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955, 55-56. Il Gillet (Envoys and political
communication, cit., 64) pensa che gli Svevi fossero già federati dei Romani nel 419 e che per tale ragione
Asterio intervenne per difenderli.
55 Hyd. 77 a. 422. Si veda anche Sirago, Galla Placidia, cit., 48-49.
56 Sulle cause del tradimento dei Visigoti vedi Zecchini, Aezio, cit., 128-129 e Sirago, Galla
Placidia, cit., 48-50.
57 Tranoy, Hydace, cit., II, 57.
58 Hyd. 78 a. 422, dove si legge che Bonifacio lasciò Ravenna recandosi in Africa. In realtà
Bonifacio, fedelissimo di Galla Placidia, abbandonò la spedizione di Castino prima ancora che questi
giungesse in Spagna, mentre Idazio sembra invertire l’ordine dei due avvenimenti, preferendo dare quasi
una consequenzialità logica, piuttosto che cronologica, agli avvenimenti lasciando appena intuire lo
scontro tra i generali. Sui dissapori tra Bonifacio e Castino si veda anche Prosp. chron. 1278.
59 Su Valentiniano III si veda F. Elia, Valentiniano III, Catania 1999.
60 Tranoy, Hydace. Chronique, cit., II, 60. Aezio invece è citato in 13 capitoli e Galla Placida in 5.
61 Con felice intuizione Procopio definisce Aezio l’ultimo dei Romani ( BV I 3, 14).
62 Sulla politica antibarbarica di Valentiniano si rimanda a Zecchini, Aezio, cit., 174-176.
63 Molè Ventura, Uno storico del V secolo, cit., 44 e n. 99. Ricordiamo invece che il Burgess scarta
l’ipotesi di una sua origine aristocratica (vedi nota infra, 11).
64 Hyd. 142. Si veda la tabella in Tranoy, Hydace. Chronique, cit., II, 60. L’elenco passa dal 41°
imperatore Teodosio al 42° Marciano.
65 Sposa la prima ipotesi Zecchini, Aezio, cit., 192, per la seconda Tranoy, Hydace, cit., II, 75.
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ancora esserci margini per una risoluzione pacifica del conflitto, annota con distacco la
sconfitta di Andevoto, al quale Valentiniano III aveva fornito grandi ricchezze finite poi
preda degli Svevi. 66 Più feroci sono, invece, i giudizi dell’autore del Chronicon sul magister
utriusque militiae Vito, anch’egli probabilmente uomo di Valentiniano III, inviato in
Spagna all’indomani del ritiro del generale filo-eziano Merobaude. 67 Vito, che nel 446 si
porta nel sud della penisola iberica con un grosso contingente di ausiliari, 68 non solo
vessa e deruba gli abitanti della Betica e della Carthaginiensis, cittadini romani, ma quando
si trova dinnanzi all’esercito svevo di Rechila, subisce un’umiliante sconfitta e si dà ad
una vergognosa fuga (territus miserabili timore diffugit) che permette ai barbari di
saccheggiare indisturbati i villaggi delle province meridionali. Per Idazio, Vito è dunque
un predone ed un vigliacco allo stesso tempo.
Come ha rilevato Zecchini, l’identità di vedute tra il vescovo galiziano ed Aezio
in merito alla politica da adottare nei confronti dei barbari, appare pressoché totale. 69
Entrambi sono favorevoli alla soluzione diplomatica dei problemi ed entrambi si
sforzarono di raggiungere questo risultato, pur con mezzi differenti. 70 Nel 430 gli Svevi
cercano di saccheggiare alcune zone interne della Galizia ma, poco numerosi e mal
organizzati, vengono respinti dagli abitanti; 71 l’anno successivo, però, gli uomini guidati
da Ermerico riprendono con maggior successo i raids contro i Galiziani, danneggiandoli
a tal punto che Hydatius episcopus ad Aetium ducem […] suscipit legationem, in nome e per
conto dei Galiziani. 72 Il Chronicon si rivela ancora un prezioso strumento e Idazio si
conferma un fine conoscitore dei meccanismi della politica. Infatti, subito dopo la
notizia dell’ambasciata ad Aezio, Idazio annota che i Goti guidati da Vetto 73 provano a
stringere accordi con gli Svevi: 74 comprendiamo così che non sono solo i danni materiali
provocati dagli Svevi a spingere i Galiziani a chiedere aiuto all’Impero, ma soprattutto la
preoccupazione di una alleanza tra Svevi e Goti, che avrebbe potuto stringere in una
morsa fatale la popolazione locale, come in effetti avverrà alcuni anni dopo. Idazio parte
dunque per la Francia e, dopo avere atteso ad Arles il rientro di Aezio dalla campagna
contro i Franchi nella Gallia del nord, incontra il generale che, avendo a cuore le sorti
della Spagna, lo rimanda in Galizia in compagnia di Censorio, che diviene di fatto il
responsabile di Aezio per gli affari iberici. 75 Su questa nota ambasceria è opportuno fare
alcune considerazioni. Innanzitutto è sintomatico che Idazio non si rechi alla corte di
Ravenna a cercare aiuto (anche perché presso la capitale si stava consumando un’aspra
lotta tra i fautori di Aezio e quelli di Galla Placidia) 76 ma ad Arles, dove si trova l’unico
66
Hyd. 114 a. 438.
Zecchini, Aezio, cit., 194-195.
68 Hyd. 134. Il Tranoy, più che Valentiniano III, dietro questa spedizione vede la longa manus dei
Visigoti che volevano estendere i loro interessi anche in Iberia (Tranoy, Hydace, cit., II, 84).
69 Zecchini, Aezio, cit., 189; Sirago, Galla Placidia, cit., 339-342. Su Idazio come fonte di Aezio si
veda anche Zecchini, Aezio, cit., 67-71.
70 Zecchini, Aezio, cit., 189.
71 Hyd. 91 a. 430.
72 Hyd. 96 a. 431.
73 Torres Rodriguez (Hidacio, el primer cronista español, cit., 778) sospetta che Vetto sia inviato da
Aezio agli Svevi, ma non si comprende bene su quali basi formuli tale ipotesi.
74 Hyd. 97.
75 Hyd. 98.
76 Hyd. 99. E non v’è dubbio che Idazio ne fosse pienamente cosciente, come dimostra la notizia
riportata nel capitolo successivo.
67
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uomo in grado di aiutare i galiziani. 77 Inoltre è indicativo che a capo dell’ambasciata,
organizzata e gestita dalla Chiesa, c’è proprio Idazio, scelto probabilmente su
indicazione di un sinodo di vescovi galiziani. Questa missione diplomatica è la
controprova della sostanziale latitanza delle autorità civili in Galizia: i vescovi assumono
il ruolo di portavoce delle esigenze dell’aristocrazia e del popolo galiziano, sono
proiettati in primo piano nella vita politica e diventano protagonisti dell’attività
diplomatica. 78
Un ruolo ancora più delicato tocca ai prelati galiziani nel 433 quando, a causa del
peggioramento della situazione a Ravenna, Aezio è costretto a richiamare Censorio. Per
quell’anno il Chronicon registra che, sub interventu episcopali, è conclusa una nuova pace tra
Svevi e Galiziani. 79 Sebbene la pace sia stata poi ratificata da Aezio nel 438, appare
chiaro che le trattative vengono portate avanti direttamente dai vescovi galiziani che si
sostituiscono temporaneamente alle autorità civili assenti. Tuttavia, leggendo
attentamente il Chronicon si nota qualcosa di incongruente: infatti, a garanzia della pace
appena conclusa, i Galiziani devono fornire alcuni ostaggi agli Svevi. Ora, normalmente,
gli ostaggi vengono forniti dal contendente più forte a garanzia del rispetto degli accordi,
pena lo sterminio dei prigionieri stessi. In questo caso sembra che siano piuttosto gli
Svevi, da Idazio normalmente dipinti come aggressori, a temere che i Galiziani non
rispettino gli accordi. Tutto questo ci fa supporre che la situazione in Galizia sia molto
confusa e assai più complessa di quanto non voglia farci credere il nostro autore, nella
sua presentazione ellittica dei fatti, che finisce per essere tendenzioso: 80 la Galizia deve
essere stata teatro di una guerra tra Galiziani e Svevi, con i primi più forti nelle zone
urbane meglio fortificate e gli altri padroni incontrastati delle zone montagnose. 81
Dunque, la pace che viene stipulata grazie ai vescovi, non serve tanto a difendere i
Galiziani dai barbari, ma a porre termine ad una guerra che deve aver danneggiato non
poco l’economia di questa regione, già di suo poco florida.
Una peculiarità della cronaca di Idazio è che, pur essendo universale nella
strutturazione, nelle intenzioni e soprattutto nei modelli seguiti (Eusebio e Girolamo),
restituisce una visione settoriale della storia del V secolo, con una particolare attenzione
alla Galizia. 82 Per questa ragione il problema che più direttamente interessa l’autore è
quello dei rapporti tra la sua comunità e gli Svevi, 83 i quali, già all’indomani della
partenza dei Vandali, diventano più aggressivi ed estendono le proprie mire anche a
parte del resto della penisola. 84 Giunti nella penisola iberica insieme a Vandali ed Alani
77
Zecchini, Aezio, cit., 188; «Quasi-imperial authority» dice Gillet, Envoys and political
communication, cit., 56.
78 Tranoy, Hydace, cit., II, 65.
79 Hyd. 100.
80 Gillet, Envoys and political communication, cit., 55.
81 Tranoy, Hydace, cit., II, 67.
82 Gillet, Envoys and political communication, cit., 54. Per tale ragione il Chronicon, almeno da un
punto di vista puramente formale, è stato definito una cronologia di “tipo misto” in quanto segna il
passaggio graduale dalla storiografia universalistica a quella nazionale spagnola (D. Sanchez Alonso,
Historia de la historiografia Espaňola, Madrid 1941, 72-74; ma si vedano le osservazioni della Molè Ventura,
Uno storico del V secolo, cit., 153-157).
83 Per gli Svevi in Spagna si rimanda a L.A. García Moreno, História de la España Visigoda, Madrid
1989 con relativa bibliografia. Gli Svevi sono il popolo più presente in assoluto nel Chronicon, esattamente
in 41 paragrafi.
84 Tranoy, Hydace, cit., I, 28-33.
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nel 409, nel 411 partecipano alla spartizione della Spagna ottenendo la Galizia, 85 ma
sono sostanzialmente innocui per i Galiziani fino a quando i Vandali restano in Spagna.
Nel 438 Aezio intende ratificare l’accordo del 433, tra vescovi galiziani e Svevi,
inviando in Spagna Censorio e Fretimondo come ambasciatori presso gli Svevi, 86 i quali
confermano la pace cum parte plebis Gallaeciae cui adversabantur. 87 Ancora una volta le
parole di Idazio necessitano di una attenta riflessione, dato che il testo asserisce
chiaramente che gli Svevi sono in guerra solo con una parte dei Galiziani, anche se non
specifica quale parte. Gli Svevi devono avere un controllo quasi totale delle zone rurali
della Galizia, dove il priscillianesimo è maggiormente diffuso, mentre gli ibero-romani
tengono in mano le città più facilmente difendibili, più romanizzate e poste sotto lo
stretto controllo del potente episcopato cattolico. 88 I Galiziani che vivono nelle zone più
rurali, dunque, convivono pacificamente con gli Svevi. 89 Questo spiegherebbe perché il
testo sottolinei che gli accordi di pace con i barbari riguardano solo una parte della
comunità galiziana, ossia quella urbanizzata e cattolica.
Nel 448 a Rechila succede il figlio Rechiario, il primo sovrano barbaro del quale
si ricordi la conversione al cattolicesimo, 90 anche se questo non impedisce al re svevo,
appena insediatosi tamen sine mora come sottolinea disilluso Idazio, di saccheggiare la
Betica. Idazio, da buon politico, comprende subito che questa conversione, dettata da
calcoli politici del re, non avrebbe mutato la politica degli Svevi nei confronti dei
Galiziani. Una mossa di Rechiario che inizialmente si dimostra vincente è l’alleanza con i
Goti di Teodorico I, attraverso il matrimonio del re svevo con la figlia di quello goto. 91
Non conosciamo gli accordi stipulati tra i due sovrani, anche se possiamo intuire che i
Goti lascino campo libero in Iberia agli Svevi che, in cambio, appoggiano gli uomini di
Teodorico I nello scontro contro gli imperiali. Tuttavia la stella di Rechiario è destinata a
eclissarsi rapidamente. Dopo l’assassinio nel 451 del re goto Teodorico I, 92 Rechiario
temendo di restare isolato, giacché il successore Teodorico II è filo-romano, accetta di
restituire all’Impero la provincia Carthaginiensis, 93 ma dopo la morte di Valentiniano III
inizia nuovamente a depredare gli abitanti della regione. 94 I tentativi di Romani e Goti di
85
Hyd. 49 a. 411.
Hyd. 111 a. 438.
87 Hyd. 113 a. 438. Sull’utilizzo del temine plebs in Idazio, in senso tutt’ altro che dispregiativo, si
veda Gillet, Envoys and political communication, cit., 58-60.
88 R. Gibert, El reino Visigodo y el particolarismo espaňol, in I Goti in Occidente. Problemi, Settimane di
Studio del CISAM (Spoleto, 29 marzo - 5 aprile 1955), III, Spoleto 1956, 562.
89 Tranoy, Hydace, cit., I, 41 e Zecchini, Aezio, cit., 191. Entrambi rigettano l’ipotesi del
Thompson (The Visigoths from Fritigern to Euric, «Historia» XII (1963), 118 e n. 52) che in questa frase
potesse celarsi un qualsiasi riferimento alla presenza di Bacaudae in Galizia.
90 Hyd. 137 a. 488 e Guidetti, Vivere tra i barbari, cit., 236. Secondo il Garcia Moreno la scelta da
parte di Rechiario di abbracciare il cattolicesimo nasce in contrapposizione politica alla monarchia dei
Vandali Hasdingi di Gunderico: «El catolicismo de Requiario resulta explicado a la luz de las hostilidades
y competitividad surgidas entre las diversas monarquìas militares germanicas que luchaban por conseguir
la supremacìa en Espaňa el la primiera mitad del siglo V» (Garcia Moreno, La iglesia, cit., 45). Rechila
imposta nei confronti dei Romani una politica aggressiva, che lo porta a sconfiggere Andevoto, a
sconfinare in Lusitania e a imprigionare Censorio.
91 Hyd. 140 a. 449. Si veda anche Tranoy, Hydace, cit., I, 87. Teodorico, che aveva iniziato a
stringere accordi politici in funzione di un suo progetto di espansione a danno dei romani sin dal 432,
aveva dato in sposa sua figlia a Rechiario. In questa cornice si inserisce anche lo sfortunato matrimonio di
sua figlia Eudossia con il vandalo Hunirix, il figlio di Gaiserico.
92 Hyd. 152 a. 451.
93 Hyd. 155 a. 452.
94 Hyd. 168 a. 455.
86
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venire a patti con gli Svevi, tentativi ben evidenziati da Idazio, sono però vani. 95
Teodorico II decide di intervenire personalmente contro gli Svevi: nel 455 entra in
Spagna, sconfigge Rechiario che perde la vita 96 e saccheggia Braga. 97 Idazio non può
che essere soddisfatto dell’apparente, totale disfatta del popolo che più ha danneggiato
la sua Galizia disattendendo spesso gli accordi stipulati, illudendosi anche che il nefasto
nemico sia scomparso per sempre: regnum destructum et finitum est Suevorum. 98 Anche se gli
avvenimenti successivi dimostreranno il contrario. 99
Oltre quaranta anni fa Francesco Giunta ha notato come il Chronicon di Idazio ha
tra le prime notizie quella dell’infida pax che nel 382 i Goti concludono con i Romani 100 e
si chiude con i feroci saccheggi goti di Astorga ed in Lusitana. 101 Idazio ha le sue buone
ragioni per ritenere i Goti, oltre che nemici della sua terra, nemici dell’Impero più
temibili degli stessi Svevi. Rispetto a questi ultimi, infatti, i Goti sono militarmente più
forti, politicamente meglio organizzati tanto da essere riusciti ad occupare stabilmente
una regione importante come l’Aquitania 102 e godono della protezione dell’Augusta
Galla Placidia, 103 nominalmente loro regina. Ma non sono solo queste le ragioni per cui
Idazio stigmatizza il popolo goto, quanto piuttosto per il fatto che costoro, pur avendo
più volte dichiarato di agire in nome e per conto dell’autorità romana, si rivelano alleati
infidi, attenti esclusivamente al loro tornaconto personale. Nel 416 ad Ataulfo, marito di
Galla Placidia succede re Vallia che dopo avere concluso un accordo con Costantius si
dirige in Spagna e lì Romani nominis causa stermina quasi completamente Vandali Silingi e
Alani. 104 Idazio non solo ha piena coscienza della debolezza della corte di Ravenna,
costretta dalla necessità a rivolgersi a pericolosi federati per risolvere questioni in zone
periferiche, ma assai delicate dell’impero; ma soprattutto sa quanto possono essere
inaffidabili i re barbari.
Esempio di questa “perfidia” e inaffidabilità è il re goto Teodorico II. Nel 455
questi muove contro gli Svevi alla guida di un grosso esercito cum voluntate et ordinatione
Aviti imperatoris 105 e, avuta la meglio su di un imponente contingente guidato da
Rechiario, 106 marcia alla volta di Braga, extremam civitatem Gallaeciae, 107 che subisce un
95
Hyd. 170 e 172 a. 455.
Hyd. 175 e 178 a. 476.
97 Hyd. 174 a. 455. Sul saccheggio di Braga torneremo a breve quando ci occuperemo dei Goti.
98 Hyd. 175. Questa frase del Chronicon potrebbe essere la dimostrazione che l’opera di Idazio è
stata composta in due riprese: una prima del 455 ed una successiva, come indicherebbero anche altri indizi
(Gillet, Envoys and political communication, cit., 48-50).
99 Infatti, nonostante il periodo di anarchia dovuto a scontri interni per la riassegnazione del
potere, il regno svevo sopravvive ancora, pur sotto il controllo dei Goti. Per gli ibero-romani la situazione
resta sostanzialmente immutata: paci fugaci, trattati spesso non rispettati ed aggressioni continue tra
Galiziani, Svevi e Goti verranno denunciate dal Chronicon per gli anni successivi al 456 (Tranoy, Hydace,
cit., I, 34).
100 Hyd. 7.
101 Hyd. 249 e 250 a. 469. F. Giunta, Idazio e i barbari, «Anuario de Estudios medievales» I (1964),
491-494.
102 Sirago, Galla Placidia, cit., 45.
103 Sirago, Galla Placidia, cit., 33-39.
104 Hyd. 60, 63, 67 e 68. Nonostante ciò, nel testo del vescovo di Aquae Flaviae non è possibile
scorgere alcuna parola di lode per Vallia, al massimo si nota una malcelata gioia del vescovo per la
riaffermazione nella penisola iberica del potere imperiale, seppur attraverso la mano armata dei Goti, una
gioia resa forse un po’ amara a causa dei massacri che la spedizione del re goto aveva comportato.
105 Hyd. 173 a. 455.
106 Lo scontro avvenne nei pressi del fiume Urbico che si trovava nel territorio ricadente nel
distretto giudiziario di Astorga.
96
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pesante saccheggio, etsi incruenta, e molti dei suoi abitanti sono fatti prigionieri. La
spedizione gota contro Braga è dettata da ragioni di ordine politico e militare, in quanto
la città, di fatto, è la capitale del regno svevo. 108 Tuttavia è evidente lo sdegno di Idazio,
per il fatto che Teodorico II, che almeno ufficialmente agiva in nome e per conto di
Ravenna, oltre a prendere prigionieri numerosi Romani, profana e distrugge alcune
chiese cattoliche. Idazio sa bene che i Goti non sono andati in Iberia per restaurare il
potere imperiale e della Chiesa di Roma, quanto piuttosto per imporre il loro dominio. 109
Dopo Braga, Teodorico cinge d’assedio anche Merida, sebbene non riesca a conquistarla
perché, narra Idazio, S. Eulalia terrorizza con grandi prodigi il re goto, che desiste dal
suo proposito. 110 Dell’assalto goto di Merida Idazio è in pratica testimone oculare, o
comunque attinge da fonti di prima mano. Per quale ragione, dunque, il cronista ricorre
al “soprannaturale” per spiegare l’insuccesso militare di Teodorico II, piuttosto che
porre in risalto la strenua resistenza dei cittadini di Augusta Emerita ai Goti? Gli abitanti,
Svevi e Ibero-Romani, confidando nel buon sistema difensivo della città 111 e al corrente
dei pesanti saccheggi subiti da Braga, decidono di opporsi compatti a Teodorico.
Probabilmente Idazio, pur essendo soddisfatto che la città non cada in mano nemica,
preferisce tacere che Svevi e Ibero-Romani, asserragliati dentro la città, lottino insieme
per difendere le loro vite e i loro beni: un’alleanza trasversale, risultata alla fine vincente,
ma che Idazio preferisce rimarcare. Poco dopo l’assedio di Merida muore l’imperatore
Avito e Teodorico II comincia un saccheggio ancora più sistematico di altre città
iberiche. In particolare la descrizione fatta nel Chronicon della presa di Astorga da parte
del re goto, è assai più realistica, meno retorica e più cruda di quelle fin qui incontrate
nel Chronicon idaziano: il re barbaro, dopo avere finto di volere la pace, conquista con
l’inganno la città abbandonandosi ad un tremendo massacro degli abitanti, ad uno
scempio dei luoghi sacri e costringe il clero all’esilio. Della città, conclude Idazio
sconsolato, non resta nulla. 112
L’attenzione rivolta da Idazio alla diplomazia ed alla politica, ben maggiore di
quella di qualsiasi altro autore a lui contemporaneo, fa apparire ai nostri occhi il vescovo
di Aquae Flaviae come uno dei più attenti uomini politici, nel significato moderno del
termine, di cui il Tardoantico abbia lasciato traccia. Equilibrato nella sua narrazione
storica, immune da toni esaltati e convinto sostenitore dell’utilizzo della diplomazia per
107
Hyd. 174.
Così Diaz (El reino suevo de Hispania, cit., 404), il quale precisa che tra gli Svevi non esisteva
ancora un concetto di città dove avesse sede la corte, che era itinerante e seguiva il re. Tuttavia la lunga
permanenza dei re svevi a Braga aveva fatto sì che la città divenisse la loro città simbolo insieme a Merida.
109 R. Teja, Sobre la actitud de la poblacìon urbana en Occidente ante las invasiones bàrbaras, «Hispania
antiqua» VI (1976), 7-17.
110 Hyd. 182 a. 456. Sull’intervento del soprannaturale e sul catastrofismo in Idazio si vedano J.
Arce, El catastrofismo de Hidacio y los cammellos de la Galecia, «Cuadernos Emeritenses» X (1995), 219-229 e S.
Bodelón García, Idacio: prodigios y providencialismo en su Crónica, «Memorias de historia antigua» XVII (1996),
117-132. Burgess (The Chronicle of Hydatius, cit., 21) sostiene che Idazio sia rimasto profondamente
influenzato da un’apocalisse apocrifa. Si trattava di una lettera di Cristo all’apostolo Tommaso, che
rivelava che il mondo sarebbe finito nel 482 (su questa apocalisse si veda D.P. Bihlmeyer, Un texte no
interpolé de l’Apocalypse de Thomas, «Revue Bénédectine» XXVIII (1911), 270-280). Toni apocalittici e le sue
visioni catastrofiche sarebbero dunque state influenzate da questa fine imminente di cui Idazio, secondo
il Burgess, era convinto.
111 Merida, infatti, era stata la sede, almeno teorica, del vicarius Hispaniae (Diaz, El reino suevo de
Hispania, cit., 406).
112 Hyd. 186 a. 457.
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la risoluzione dei conflitti. È chiaro che Idazio non ripudia la guerra tout court, la sua
cultura e la sua mentalità non glielo permettono, ma l’uso delle armi è considerato come
una soluzione estrema, solo dopo il fallimento dei tentativi di mediazione diplomatica,
alla quale egli, da cattolico e da membro di una società stanca di conflitti e desiderosa di
tranquillità, crede sinceramente. È innegabile, tuttavia, che in alcuni punti del Chronicon
l’atteggiamento di Idazio appaia oscillante e rasenti la contraddizione seppur motivata da
ragioni di carattere politico e pratico (come in alcune occasioni con gli Svevi o nel caso
dei Bacaudae). 113 È proprio in queste occasioni che Idazio incarna quella contraddizione
di fondo che ha riguardato, spesso, l’atteggiamento della chiesa cattolica sulla liceità e la
necessità dell’uso delle armi. 114 Convivono, infatti, nell’autore istanze antimilitaristiche,
tipiche del periodo evangelico, ed esigenze più pragmatiche che la chiesa elabora sin
dalla fine del III secolo, quando l’appoggio allo Stato, divenuto gradualmente cattolico,
significava spesso anche il sostegno alle sue scelte belliche. 115 Ma non è questa l’unica
contraddizione che si può riscontrare nel Chronicon idaziano, dove è evidente il continuo
dibattersi dell’autore tra l’obiettività pretesa e la presenza del soggettivo, tra volontà di
assimilazione dei barbari e la coscienza dell’impossibilità che ciò avvenga veramente:
antinomie che si possono comprendere solo in un contesto di contrasti e profonde
lacerazioni della società nella quale Idazio vive ed opera. 116
La comunità ibero-romana, almeno a partire dalla metà del V secolo, ha preso
coscienza che la situazione è irrimediabilmente mutata ed il progressivo, crescente
pessimismo di Idazio ne è la prova. La società rappresentata dal vescovo, non solo
quella dei ricchi possessores, ma anche quella delle comunità cittadine e religiose, 117 è una
società che deve necessariamente accogliere il “nuovo”, tentando di assimilarlo spesso
ad un prezzo molto alto per non esserne irrimediabilmente fagocitata. È in questa
temperie politica e culturale di grande incertezza, ma anche di grande trasformazione,
che inizia quel processo dal quale uscirà, nel giro di meno di due secoli, la nuova Spagna
nazionale e visigotica.
Igor Gelarda
Università degli Studi di Palermo
Dip. di Beni Culturali
Viale delle Scienze-Ed.12
Facoltà di Lettere e Filosofia
90128 Palermo
on line dal 23.05.2010
113 Per la Molè Ventura «la lettura della Cronaca ci dà comunque l’impressione di una serie di
tentativi di Idazio, che, seppur a volte contrastanti tra di loro, erano fondamentalmente rivolti allo stesso
scopo, trovare l’accordo e l’alleanza con gli invasori». (Uno storico del V secolo, cit., 31).
114 Sul concetto di pace nel cristianesimo antico la bibliografia è molto vasta, tuttavia per una
visione di sintesi con relativa bibliografia si rimanda ai seguenti lavori: E. Butturini (a cura di), La
nonviolenza nel cristianesimo dei primi secoli. Antologia di prosatori latini, Torino 1977; Id., La croce e lo scettro. Dalla
nonviolenza evangelica alla chiesa costantiniana, S. Domenico di Fiesole 1990; P. Siniscalco, L’uomo e la pace in
scritti cristiani del II e del III secolo, in R. Uglione (a cura di), La pace nel mondo antico, Atti del Convegno
Nazionale di Studi, (Torino aprile 1990), Torino 1991, 257-275.
115 Il XII canone del Concilio di Nicea infliggeva pene severe per i soldati cristiani che
disertavano (J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze-Venezia 1759-1798, II, 673).
Si veda anche Butturini (a cura di), La nonviolenza nel cristianesimo, cit., 1-13.
116 Molè Ventura, Uno storico del V secolo, cit., 283.
117 Zecchini, Aezio, cit., 68.
ὅρμος - Ricerche di Storia Antica n.s. 1-2008/2009, 294-306